La Repubblica, ed. di Palermo, 6.3.2002
"È ora di scelte: io sto coi professori mentre Montalbano farà politica"

Salvo Montalbano sta per tornare. Il commissario di Vigata nel prossimo libro scenderà in campo per fare un po' di pulizia in quest'Italia dall'eterna corruzione. Sarà un poliziotto impegnato, per la prima volta politicizzato. Una naturale evoluzione della sua personalità, già complessa e problematica. Lo annuncia Andrea Camilleri alla vigilia di un convegno internazionale sulla sua opera che si terrà a Palermo venerdì e sabato. L'Università e la casa editrice Sellerio hanno raccolto il fior fiore della critica europea per chiarire una volta per tutte il reale valore dello scrittore empedoclino.
Professore a quando il ritorno di Montalbano, Catarella, e compagni?
«Che scriverò un nuovo libro sul commissario è assodato, ma sui tempi non sono ancora in grado di pronunciarmi. Datemi un po' di respiro, anche perché il prossimo libro che lo vedrà ancora protagonista sarà più complesso dei precedenti».
In che senso?
«In questo contesto politico che stiamo vivendo, alla luce dei rischi che corre la democrazia in Italia, non si può restare con gli occhi chiusi. E il mio Montalbano è uno abituato a guardarsi attorno, a fiutare il marcio. Per cui dovrò tenere conto di tante cose su cui prima potevo sorvolare. È il momento difficile che viviamo che ci impone più impegno, politico e sociale».
Camilleri è ormai una fabbrica di best seller celebrato in tutto il mondo. Cosa si aspetta dal convegno di Palermo?
«Parecchio. Tanto per cominciare mi aspetto che i critici mi aiutino a capire chi è in realtà Camilleri. Io ancora non l'ho capito se sono un grande, mezzo grande o mezza calzetta».
Questo è tipicamente pirandelliano.
«È così: gira e rigira Pirandello sbuca sempre fuori quando si tratta della Sicilia e dei siciliani. Spero comunque che da questa sorta di esame organico a più voci finalmente si metta a fuoco la mia opera»
A leggere l'enorme quantità di articoli su di lei sembra che la critica sia divisa.
«Tolga il sembra. La critica è nettamente divisa. Visceralmente divisa».
Per lei è un cruccio?
«No, semmai è un interrogativo. Ho provato a darmi qualche risposta in merito; la prima che mi viene in mente è che c'è l'enorme problema del successo che fa da velo a molti. In Italia si parte dal presupposto che il successo popolare è sinonimo di mediocrità. Siamo convinti che la massa si dedichi solo a letture pessime».
Non è così?
«No. Perché se è vero che io sono al primo posto come vendite è altrettanto vero che al secondo e al terzo posto ci sono libri di qualità, come "Nati due volte" di Pontiggia o "Viaggio a Kobe" della Maraini. E anche quando escono i libri di Consolo e Tabucchi sono sempre ai vertici della classifica. Non vorrei che l'equazione successo uguale a mediocrità valesse solo per me».
Non è che magari sotto sotto ci sia un po' di invidia. Per riferirci a un fatto recente: come fa la commissione cinema del ministero della Cultura a bocciare la sceneggiatura de "La scomparsa di Patò". Dobbiamo ricorrere a Flaiano che diceva: in Italia si perdona tutto tranne il successo? O no?
«Invidia boh? È un affare che non mi riguarda. Se la vedano loro. Anche perché l'invidia è un sentimento che si ritorce su chi lo cova».
Qualcuno sostiene che il suo idioma siculoitaliano sia anacronistico in una fase storica in cui ormai, anche grazie alla tv, si è arrivati a una lingua nazionale. Come replica?
«Io vedo un fiorire di scrittori che impastano il loro italiano con il dialetto, con la parlata di provenienza, con le parole scavate nelle radici. Quasi che fosse una difesa della scrittura di fronte a una omologazione galoppante. Quella che faceva lanciare a Pasolini l'allarme sui rischi dell'afasia della parola».
Intellettuali e impegno, antica querelle, soprattutto in Sicilia. Lei da che parte sta?
«Innanzitutto voglio fare una premessa: la parola intellettuale mi fa venire l'orticaria. Detto questo aggiungo che vorrei tanto avere la lucidità di Sciascia, la sua razionalità tagliente. Diciamo che la mia aspirazione massima è quella di essere degno del suo ammaestramento. Purtroppo ogni tanto mi faccio trascinare dalla passione e questo mi depista e, cosa ancora più grave, depista i lettori».
A Palermo, come nel resto d'Italia la sinistra, è attraversata da grandi fermenti. Lei è uno dei promotori della «rivolta" dei professori. Quali sono le motivazioni che l'hanno spinta a scendere in campo?
«Sono schierato da sempre a sinistra. E al di là dell'attività di scrittore, ho voluto dire la mia come cittadino. Come un qualsiasi cittadino che paga le tasse e vive ogni giorno l'impatto con il potere».
Si aspettava che la pallina di neve diventasse una valanga?
«No, soprattutto al Sud, dopo il cappotto alle nazionali (61 a 0) e alle regionali. È stata una gradita sorpresa».
Andrà alla convention dei professori palermitani sabato prossimo?
«Se i relatori del mio convegno, che si svolge contemporaneamente, me ne lasceranno il tempo lo farò volentieri. Anche per vivere gli umori che esprime la Sicilia. Mi viene un'idea: potrei lasciare acceso un registratore e andare all'assemblea dei professori. Così al ritorno potrei ascoltare quello che i critici dicono alle mie spalle».
Teme quindi coltellate?
«No. Non credo».
No e non credo sono due cose diverse...
«Non ci sono persone di malanimo. Le voci critiche saranno sicuramente civilissime».
Lei segue da vicino le vicende siciliane. E si sarà imbattuto nelle cronache dell'assessore Pellegrino che in un'intercettazione liquida sbrigativamente come sbirri i poliziotti. Cosa ne pensa?
«Le parole non sono neutre, ma si sostanziano nel contesto in cui scaturiscono. Il mio Montalbano parlando di se stesso si definisce sbirro. In chiave ironica la parola si può usare. Ma detta da un uomo delle istituzioni in un contesto ambiguo assume un significato sinistro. Le parole come scriveva Carlo Levi sono pietre».
Qual è il prossimo libro?
«"L'ombrello di Noè", un ciclo di lezioni sul teatro che ho tenuto a Pisa. Esce in questi giorni da Rizzoli».
Saprebbe scrivere senza Sicilia come sfondo?
«No. Assolutamente. La nostra isola è prismatica, ha mille sfaccettature. Esprime una complessità che altrove non esiste. Tutto procede a zig zag. Dopo le primavere arrivano le estati, gli autunni e gli inverni. Ma poi via le nuvole e riecco il sole. In cielo e nella società. Non sarà il migliore dei mondi possibili, come nel Candido, ma mi dica: dove esiste un posto più intrigante?».
Tano Gullo