Clorofilla.it, 8.5.2002
L'intervista. Porta la firma di Andrea Camilleri "L'ombrello di Noè",
il nuovo saggio sul teatro by Rizzoli. E' un libro di ricognizione e di
ricordi dall'incontro con Pirandello all'insegnamento di Orazio Costa,
fino agli anni trascorsi come insegnante di regia all'Accademia Silvio
D'Amico
Montalbano? "Un comunista arrangiato"
E' uno degli autori più prolifici della scena letteraria italiana,
scrittore di gialli, di romanzi storici, autore di teatro e non solo. Come
regista, Andrea Camilleri, ha curato la messinscena di almeno un centinaio
di testi e come intellettuale ha sempre rivendicato un suo particolare
impegno a sinistra, un impegno che la nuova onda di movimenti sembra aver
ancor più acceso.
Basta leggere l'intervento accalorato che, di recente, ha consegnato
alle pagine di Micromega sulla Primavera dei movimenti.
Fra pochi giorni andrà in libreria L'ombrello di Noè,
edito da Rizzoli. L'uscita del libro ci offre l'occasione di un incontro
per parlare a tutto tondo di letteratura, di teatro, di politica.
E' un ritorno al suo primo amore, il teatro?
"E' un libro che racconta soprattutto rapporti per me fondamentali
con registi, autori, attori. Del resto il teatro è qualcosa che
si fa. E da quando ho cominciato a scriverlo non faccio altro che tributare
un addio a una cosa che non posso più fare. Per me il teatro è
sostanzialmente un vizio".
Un nome che ricorre spesso nelle pagine del nuovo libro è quello
del regista Orazio Costa.
"Sono stato suo allievo alla scuola di arti drammatiche. A lui devo
tutto. E' stato lui a dirottarmi sul teatro ma anche a farmi capire cose
fondamentali che poi mi avrebbero favorito nell'architettare romanzi e
racconti. Un fatto buffo è che non sono mai riuscito a dargli del
tu, per me era un genio assoluto".
E i maestri del teatro antico, che lei spesso cita?
"Eschilo, Sofocle e Euripide sono vissuti in età diverse eppure
tutti i tre avevano una profonda e uguale cognizione del dolore. Non del
proprio, ma di quello altrui. Nei Persiani Eschilo chiede ai suoi concittadini
di piangere non solo per i Greci morti in battaglia ma anche per i Persiani
che hanno perso la vita. Ecco, questo credo sia stato per me un grande
insegnamento: imparare a guardare il dolore degli altri, come fatto etico
prima ancora che come fatto poetico. Non ho mai creduto che fra gli uomini
si tratti banalmente di vita mea mors tua".
Nel libro quattro capitoli sono dedicati a Pirandello.
"Un'altra figura, per me, fondamentale. Mi ricordo quando lo
incontrai la prima volta. Avevo dieci anni e non sapevo chi fosse, nonostante
lui fosse famosissimo. Seppi solo dopo che era un amico di famiglia e che
veniva dai miei nonni a farsi raccontare le storie. Lui mi ha insegnato
che l'immaginazione non basta se non supportata dall'attenzione verso i
propri simili. Ho capito da lui che è la capacità di ascoltare
a fare uno scrittore".
E lei si ritiene capace di ascoltare?
"Fa parte della mia enorme curiosità verso il genere umano.
Ho sempre avuto un orecchio selettivo, un po' come i gatti che sono capaci
di orientare le orecchie. In un bar affollato riesco a captare una conversazione
fra due persone. Mi piace il rumore della gente. Mia moglie dice che io
sono un corrispondente di guerra perché scrivo benissimo in mezzo
agli altri. La mia casa di campagna è sempre invasa dai nipoti
e quello per me è l'ambiente ideale".
Nessuna torre d'avorio o sacralità della scrittura…
"Per carità. La materia prima dello scrittore sono i suoi simili
e non tanto gli eroi, ma le persone cosiddette normali. Nella normalità
si può trovare una ricchezza infinita".
Questa è un po' la ricetta di Montalbano, il protagonista dei
suoi gialli. Come nascono i suoi personaggi?
"Non riesco a scrivere un personaggio se non me lo vedo passeggiare
per la stanza. Deve essere una figura che si alza dalle pagine dei libri,
che deve prendere corpo a tutto tondo. Dopo aver scritto La forma dell'acqua,
il primo libro in cui compariva Montalbano, credevo di aver chiuso con
lui e invece poi è diventato una specie di serial killer, un personaggio
che è riuscito via via a far fuori gli altri miei personaggi".
Montalbano un po' le somiglia?
"Qualcuno mi ha detto che assomiglia molto a me, ma anche molto a mio
padre".
E come lei è un uomo di sinistra?
"Direi che Montalbano è un comunista arrangiato di quelli che
considerano cose come "non uccidere", "non rubare" come fatti che dovrebbero
essere normali. Che il non lavoro sia la peggiore condanna, che ci debba
essere un po' di giustizia sociale, sono cose elementari per cui uno non
può non dirsi comunista".
Nell'ultimo numero di Micromega dedicato alla Primavera dei movimenti
lei ha usato parole forti di denuncia del governo Berlusconi…
"Ho scritto che questo governo a mio avviso rappresenta un pericolo
per la società e le istituzioni".
Parlerebbe di regime?
"Regime o non regime sta di fatto che il governo Berlusconi cerca di
fare sue giustizia e informazione. Da un punto di vista storico non possiamo
dimenticare che questo fu uno dei modi di procedere del fascismo".
Quanto è importante per lei la storia per capire l'oggi?
"E' fondamentale. Sono un siciliano con un forte senso dello stato
e quando mi capita di scrivere romanzi storici finisco sempre per fare
questo tipo di discorsi".
Come li costruisce?
"Parto da una fonte storica, da un fatto che mi ha colpito e intorno
a questo faccio crescere una narrazione d'invenzione. I fatti, per me,
sono importanti. Mi ricordo una volta sentii Togliatti rimproverare a un
critico teatrale dell'Unità di non aver raccontato i fatti dell'Amleto.
Sul momento mi parve assurdo, poi una volta chiese di raccontargli i fatti
dell'Agamennone e scoprii che aveva ragione lui: quando racconti un fatto
in realtà viene fuori come tu lo interpreti, e questo è l'importante.
Quello che racconti non rimane confinato nel passato. In questo senso credo
di poter dire che tutti i miei romanzi storici siano rapportabili all'oggi".
Dopo un lungo periodo di separatezza oggi intelletuali come lei, Tabucchi,
Ginsborg sembrano scendere più direttamente in campo.
"Credo che questa voglia di prendere direttamente la parola su questioni
sociali e politiche sia un fatto essenziale, anche se poi persone come
me, per aver dimostrato il proprio interesse civile per il paese vengono
chiamate dall'estabilishment attuale "seminatori d'odio"… Insomma, non
dimentichiamoci che se Berlusconi è riuscito a ottenere tanti consensi
è anche perché ha sfruttato certa arretratezza culturale
italiana. Ha raccolto quello che aveva seminato con vent'anni di tv privata,
a cui poi si è accodata anche la Rai".
Crede che l'impegno di un intellettuale di sinistra oggi possa
trovare anche nuovi canali con i movimenti che stanno nascendo un po' ovunque
di opposizione al governo Berlusconi?
"Mi sembra che i movimenti offrano una possibilità positiva
non solo perché già milita a sinistra. Essendo movimenti
fluidi, tematici aprono le porte anche a chi magari scontento del governo
Berlusconi non se la sentirebbe di schierarsi apertamente con un partito
di sinistra".
Simona Maggiorelli