La Repubblica, 12.5.2002
La signora dei libri e i tre uomini della sua vita
Sarà lei la madrina della Fiera che s´apre mercoledì a Torino. Passioni e vanità d´una primadonna dell´editoria.
Prima l´incontro con Enzo, il marito: era fotografo ma divenne presto editore.
Poi Sciascia, maestro ed amico. Infine Camilleri, la terza carta fortunata.

PALERMO. Tutto è rimasto eguale, come ai bei tempi. La scrivania antica dove sedeva Leonardo Sciascia, lo stesso divanetto ma con una tappezzeria nuova, alle pareti gli innumerevoli bozzetti che - sulla macchia blu dei libriccini - hanno fatto lo "stile Sellerio". «Vorrei che i miei figli si liberassero di questo mausoleo», dice donna Elvira guardando il suo studiolo, il tono imperioso di chi vuole convincersene. Niente è cambiato rispetto a vent´anni fa, anche la stanza delle riunioni con le grandi librerie ottocentesche, ora affastellata di carte da cui sporge la testa di Beppe Aiello, il Lettore dei Manoscritti, una figura più da romanzo che da industria editoriale. Anche il quadrilatero famigliare d´affetti e tempeste è quello d´un tempo. Su un lato di via Siracusa, un intero piano diviso tra Elvira ed Enzo Sellerio, il marito fotografo da cui si separò alla fine degli anni Settanta. Sull´altro lato della strada, il balcone fiorito di lei e, ad angolo, le finestre spoglie di Enzo. La novità in casa editrice è un simpatico e preparato trentenne dai capelli rossi, il figlio Antonio, una laurea alla Bocconi con una tesi sull´azienda di famiglia. Ha studiato sofisticati criteri di razionalizzazione, ma un´intensa stagione di letture scientifiche va a frantumarsi contro quello che lui – con ironica rassegnazione – chiama "un modello del tutto originale"(che oggi fattura 25 miliardi l´anno). «Di che parlate?», irrompe sulla scena "il modello originale", Elvira, lo sguardo fulmineamente cangiante dalla tenerezza alla severità. «Manca Olivia, la primogenita: lei s´occupa delle librerie, ma presto arriverà in casa editrice». Capelli lunghi raccolti in un bianco chignon, classe 1936, sarà Elvira Sellerio ad inaugurare la nuova Fiera del Libro di Torino, mercoledì al nastro di partenza.
Chi l´ha convinta ad accettare?
«Mi ha scritto tempo fa il direttore Ernesto Ferrero, un amico editor al quale voglio bene. L´altro è Roberto Cerati, mi è sempre stato vicino, lo consultai perfino prima di lanciare la nostra collana più famosa "La Memoria". Una lettera affettuosa e cortese, "Cara signora, se Lei vorrà…"».
Ma, scusi, vi date del "lei"?
Il gelo saetta nello sguardo. «Io a tutti do del "lei". Forse è l´età». Poi riprende: «Quello di Torino è un appuntamento importante, irrinunciabile per chi ama i libri. Sono onorata che la madrina sia un´editrice siciliana».
Ma perché finora è stata lontana dalla Fiera?
«Un editore deve stare quanto più silenzioso, nascosto, taciturno. Il nostro è un mestiere d´umiltà, ma in pochi lo intendono così. È servizio, non protagonismo».
Non sarà invece che lei preferisce stare lontano dagli autori?
«Preferisco incontrarli sulla pagina scritta. Dialogare con loro a distanza, per lettera. Tabucchi e Bufalino li ho conosciuti dopo averli pubblicati».
Paura di delusioni?
«Forse. Ma, direi meglio, gli scrittori non sempre somigliano ai loro libri. Tabucchi per esempio è un toscano sanguigno, però scrive come un portoghese. Camilleri invece è come i suoi romanzi: perfino nel parlato, negli ammiccamenti, nel modo così espressivo di disegnare i personaggi».
Come l´ha conosciuto?
«Me lo presentò Leonardo un secolo fa. Era un regista piuttosto noto, io seguivo i suoi Maigret televisivi con la colonna sonora di Luigi Tenco. Un giorno arrivò in casa editrice pallidissimo. "Un caffè, presto", implorò. "Ora un whisky, vi prego". Lo guardammo angosciati. Poi cominciò: "Il sangue scorreva come in un film. Ma se fossi stato io a girare il film, avrei detto di diluirne la tinta: era troppo rosso". Insomma: aveva assistito a una carneficina, e riuscì a farcela vedere con le parole. Questo spiega il successo dei suoi libri».
Camilleri le è rimasto sostanzialmente fedele, a parte qualche uscita con Rizzoli e Mondadori.
«In realtà nessuno mi ha mai tradito, specie tra i grandi. Fastidiosi sono i piccolini che, per diventare importanti, scelgono editori più potenti. Sciascia fu l´unico a fare il percorso contrario: dai colossi alla piccola editrice siciliana. Camilleri ci ha già consegnato due nuovi libri, ma aspettiamo il prossimo anno, per non esagerare. Lei non immagina quanti miliardi gli abbia offerto Mondadori, e lui niente. Intendiamoci, anche con noi guadagna…».
Diciamo che è reciproco: sei milioni di copie vendute.
«Camilleri è stato il terzo incontro fortunato della mia vita. Lo capiscono perfino in Veneto, anche se poi i venditori locali mi hanno suggerito di togliere Palermo dal marchio in copertina. Roba da matti: ha ragione Adriano (ndr, Sofri) quando mi suggerisce di scrivere la storia della casa editrice».
Gli altri due incontri della vita?
«Il primo è stato Enzo, mio marito. Bellissimo, affascinante, curioso. Lo sposai a ventisei anni, subito dopo la morte di mia mamma Lina. Ero la più grande di sei fratelli, mio padre un alto funzionario dello Stato. Non sopportavo di continuare a stare in quella casa. Fu un atto di egoismo, anche se poi la nostra famiglia è rimasta molto unita: passionale e cattivissima come la classica famiglia siciliana. Il sabato pomeriggio ci vediamo sempre per lo scopone: tutti tranne gli estranei, ossia i cognati».
Enzo faceva il fotografo.
«E poi l´editore. Fu lui, alla fine degli anni Sessanta, ad avviare la casa editrice: un progetto maturato insieme a Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta, l´antropologo. Stavano sempre insieme, parlavano fitto nella stanza piena di fumo».
Teneramente rivolta al figlio: «Antonio, ma tu t´annoi?». Lui mite: «Dài, racconta».
Lei era esclusa dal dotto consesso?
«Ero quella del caffè. Come un caratterista di seconda fila, entravo sulla scena e chiedevo "Caffè?". Nei rari momenti di originalità: "O una tazza di tè?". Loro annuivano».
Complessi?
«No, ad essere sincera. Alla mia età lo posso confessare - che le femministe mi perdonino – ma io ero molto carina, sapevo di piacere. E le donne ne traggono forza e sicurezza».
In che modo esercitava la sua femminilità?
«Ero frivola, vanitosissima. Una camicetta nuova mi teneva allegra per una giornata. Poi giocavo con i miei capelli: li tagliavo cortissimi, cambiavo colore. Tutto per amore di Enzo. Anche il mio ingresso in casa editrice fu per stare più vicino a lui. Per farmi apprezzare di più».
Come fu?
«Cominciai a intervenire alle riunioni, ad appassionarmi. Seguendo sempre una regola: se avevo un´idea convincente, la presentavo come non mia. L´attribuivo a Leonardo o ad Enzo».
E loro?
«Ci cascavano sempre».
Ma lei per Enzo era "la povera ragazza". Il matrimonio fatalmente finì.
«Rimasi sola, con due figli ancora piccoli. E senza un soldo. Le banche mi negavano i crediti, le cartiere e le tipografie non mi accettavano come interlocutore. Solo per farmi ascoltare, mi facevo introdurre telefonicamente dal portiere: una voce maschile aiuta sempre. E poi soffrivo d´amore». Un´occhiata ad Antonio, come incerta. «Se trovavo per casa un golf o un cappotto di Enzo mi ci avvolgevo dentro piangendo».
Però ci fu Sciascia ad aiutarla.
«Sì, un maestro, un grande amico, la seconda fortuna della vita. Mi aiutò ad acquistare sicurezza, elogiava il mio puntiglio e la mia determinazione. Ed era molto giudicante».
Che cosa le rimproverava?
«Non sopportava che fossi così cortese con tutti, anche con le persone che detestavo. "Gli hai fatto credere d´essere al centro del tuo mondo", mi diceva severo».
Francamente pare difficile immaginarla così arrendevole.
«Tu Antonio mi ricordi così? È stato il processo a incattivirmi (ndr, un processo sui finanziamenti regionali concluso con un´assoluzione). Dopo non sono stata più la stessa. Cominciò all´inizio degli anni Novanta, gli editori concorrenti mi davano per spacciata. Einaudi tentò di mettere sotto contratto i libri di Carlo Lucarelli. Venne a Palermo Benedetta Centovalli, editor da Rizzoli, a prender nota degli autori più venduti. Per loro ero come morta. Queste cose ti cambiano il carattere».
Che cosa le manca di Sciascia?
«La mescolanza di gioco e cultura. La curiosità. Il riscontro della qualità. Perfino i litigi. Antonio, ti ricordi che belle litigate con Leonardo?».
Il figlio divertito annuisce: «Ora, mamma, proprio non si riesce a litigare. Decidi sempre tu».
La volta che Sciascia più s´arrabbiò?
«La prima volta che pubblicai un libro senza interpellarlo. Carmilla di Joseph S. Le Fanu. Era un genere che non gli piaceva, tutto vampiri e fantasmi. S´infuriò».
Era anche questo un modo di emanciparsi dal maestro.
«Ormai, per tutti, ero la Signora. Ancora oggi in casa editrice mi chiamano così. Da "povera ragazza" a Signora, la traversata era compiuta».
Ma è vero che ora ha votato per Forza Italia?
«No».
Ha sostenuto però la candidatura a sindaco di Palermo di Francesco Musotto, ex forzista chiacchierato.
«Mi creda, Musotto è chiacchierato come lo sono tutti i personaggi influenti di questa città. Anch´io lo sono, perché fuori dal gregge».
C´è qualcosa che la infastidisce nelle celebrazioni dedicate a Sciascia?
«M´indigna che oggi nessuno dei suoi amici diessini abbia sentito il dovere morale di illimpidirne la figura, sottraendola alle ombre che gli avevano messo addosso negli ultimi anni. Mi sembra folle una sinistra che non si riappropri di una sua intelligenza».
Allora la indigneranno anche i tentativi di tirargli la giacchetta da parte della destra.
«Ma certo. La colpa è però d´una sinistra che non protegge i suoi uomini. Leonardo ne sarebbe seccatissimo». Pausa. «Ecco, ho fatto quel che non dovevo. Attribuire a Sciascia sentimenti postumi. E non c´è più lui a correggermi, a mettere i puntini sulle i».
Un´ultima sigaretta, e la Signora s´accomiata mettendoci in mano un delizioso volumetto di Viktor Sklovskij, Zoo o lettere non d´amore, epistolario su uno sfortunato amore che il padre del formalismo russo genialmente camuffò da gioco narratologico. «Ho settant´anni», scrive Sklovskij. «La mia anima giace innanzi a me. È tutta segnata dalle pieghe del tempo. Hanno piegato l´anima la morte degli amici. La guerra, le dispute. Gli errori, le offese. E la vecchiaia, che nonostante tutto è sopraggiunta».
Simonetta Fiori