Panorama, 13.6.2002 (in edicola il 7.6.2002)
EVENTI EDITORIALI - CAMILLERI CON «PANORAMA»
Io, Montalbano e la letteratura
Ha venduto oltre 5 milioni di copie, le sue storie vengono tradotte in decine di lingue e sono sempre ai vertici delle classifiche. Ora lo scrittore «padre» del più celebre sbirro italiano, intervistato da un grande esperto di storia dei dialetti, racconta esordi, presente e futuro.

Oltre 5 milioni di copie vendute, da anni ai vertici delle classifiche, certamente il più memorabile successo letterario italiano di tutti i tempi.
Il caso Camilleri ha fatto il giro del mondo, i suoi libri sono tradotti nelle principali lingue e perfino la Disney gli ha chiesto una storia. L'inventore del commissario Montalbano si apre ora a un pubblico ancora più vasto grazie all'iniziativa di Panorama.
Si tratta di un'operazione culturale senza precedenti: non un libro allegato a un giornale, ma l'opera di un autore di «long seller» che si avvia a diventare classico, distribuita insieme al primo newsmagazine italiano.
Accompagnato da un consenso di pubblico che stagione dopo stagione non pare conoscere flessioni, Camilleri ha gettato lo scompiglio nel panorama della letteratura contemporanea. È stato letto più degli agguerritissimi Patricia Cornwell, Stephen King e Wilbur Smith. Dopo tanti autori che lavorano per le Muse e il Parnaso, finalmente anche da noi è comparso qualcuno che scrive semplicemente per essere letto. È Camilleri stesso a definirsi un «artigiano della scrittura» e, al sublime delle nostre lettere, oppone l'impegno molto manzoniano, lui, siciliano, di servire il pubblico. Sarebbe improduttivo ragionare su quest'opera solo in termini di valori. I libri di Camilleri vogliono essere programmaticamente un prodotto medio, mirano a intrattenere e a dilettare, coniugano vittoriosamente dignità letteraria e fruibilità, senza neppure rinunciare a un profilo stilistico tutt'altro che corrivo. Nessuna furbizia da autore di best-seller, dunque: solo un mestiere per decenni nutrito più di teatro, televisione, regia e sceneggiatura, che dei tormenti della pagina bianca.
Camilleri, da dove nasce il suo interesse per la letteratura?
Come accade a tanti che cominciano a scrivere da giovani, anche il mio primo approccio fu con la poesia. Vivevo in Sicilia, mi sembrava di trovarmi dentro un sommergibile semiaffondato dal quale lanciavo dei messaggi nella bottiglia. Nel1947 partecipai al premio Libera stampa, a Lugano. C'era gran parte di quella che sarebbe diventata la letteratura del Novecento. Ricordo Pasolini, Zanzotto, Turoldo, Dolci, la filologa Maria Corti. L'anno successivo giunsi finalista al premio Saint Vincent e Ungaretti decise di pubblicare alcune mie poesie nell'Almanacco dello Specchio.
E la prosa?
Stampavo qualche racconto sulla terza pagina dei giornali. Ricordo di avere scritto su un interessantissimo quotidiano di Garosci, L'Italia socialista. Ma volevo stabilirmi a Roma e perciò feci il concorso all'Accademia. Fu così che entrai nel mondo del teatro e per 26-27 anni di letteratura non se ne parlò più.
Ma fra i libri che evidentemente non smise di leggere dove andavano le sue predilezioni?
Mi ha sempre intrigato la linea che ha il suo capostipite in Gogol, con quel gusto per una lingua burocratica. Pensi da noi a Brancati o Sciascia, senza dimenticare mai il grande albero di Pirandello alla cui ombra tutti ci siamo riposati.
Quando si ripresentò il gusto per la narrativa?
Tra il 1967 e il 1968 buttai giù Il corso delle cose. È strano, vivevamo in una stagione rovente dal punto di vista politico e sociale, ma nulla traspare dal libro. Per dieci anni ho cercato invano di pubblicarlo, andando a bussare senza successo alle porte di molti editori. Chiesi un parere all'amico Nicolò Gallo, che neppure mi rispose. Un giorno gli telefonai dicendogli di lasciar perdere, l'amicizia era una cosa più importante. Mi intimò: vieni subito, e lo trovai con il mio manoscritto fitto di appunti. Ne aveva parlato a Sereni e il libro avrebbe dovuto uscire da Mondadori. Ma poi, come avrebbe detto Gadda, Gallo «provvide a rendersi defunto» e del mio libro non si parlò più.
Frustrante...
Sì, ma non me la presi. Facevo il regista e avevo un sacco di cose di cui occuparmi. Del Corso delle cose fu realizzata invece una riduzione televisiva con il titolo La mano sugli occhi. La curò un eccellente uomo di lettere come Dante Troisi. A questo punto saltò fuori un editore a pagamento, Lalli, che, incoraggiato dallo sceneggiato, si offrì di pubblicare il testo. C'erano voluti dieci anni.
A quel punto?
Fu come sturare una bottiglia. Tutto quello che mi ero tenuto dentro esplose. Il secondo libro, Un filo di fumo, fu portato da Ruggero Jacobbi a Gina Lagorio. Dopo una settimana mi telefonò Livio Garzanti e mi disse che lo avrebbe stampato. Siamo nel 1980.
E la poesia?
Mai più, nemmeno un verso.
Montalbano quando arriva?
L'idea nasce tardi e all'origine non propriamente come idea del commissario. Avevo già scritto libri come La stagione della caccia del 1992, La bolla di componenda del 1993 e, prima, La strage dimenticata, che risale all'84. Non erano veri gialli, anche se c'era sempre un'inchiesta, un po' alla maniera di Sciascia.
Dopo un romanzo storico un romanzo e basta?
Sì, i miei libri fino ad allora erano nati da stimoli storici. Mentre stendevo Il birraio di Preston, mi resi conto che io non cominciavo mai dall'inizio, ma partivo dall'episodio che più mi aveva colpito, che poteva poi diventare il settimo o l'ottavo capitolo. Mi chiesi: sarei capace di fare come Snoopy, che infila il foglio nella macchina e inizia a battere sui tasti: "Era una notte buia e tempestosa..."?
Ma il giallo?
Proprio in quei giorni stavo leggendo un libro del solito Sciascia: la Breve storia del romanzo giallo. E non dimentichi che avevo prodotto in televisione tutti gli sceneggiati di Maigret con Gino Cervi. Quello con il giallo, insomma, era un incontro annunciato.
La affascinava il genere con le sue restrizioni?
Proprio così. Inoltre avevo compiuto un apprendistato tecnico eccezionale insieme a Diego Fabbri. Lui lavorava così: prendeva 4-5 copie dei libri di Maigret, le riduceva in fogli e faceva dei mucchietti per ogni episodio. Poi li rimontava secondo la logica televisiva, creando i collegamenti. Lei non immagina quanto quel tirocinio mi sia stato prezioso.
Ma perchè Montalbano è un poliziotto e non un carabiniere?
Me lo hanno chiesto in molti. Vede, i carabinieri sono militari, non possono infrangere le regole del gioco. Il poliziotto è un civile e può permettersi maggiori libertà.
E perchè un personaggio in grigio?
Non sopporto i duri dei film americani. Come fareste a invitare a cena Rambo? Invece con Montalbano potreste passare una serata.
Poi con il giallo ci prese gusto.
E' vero. Dopo La forma dell'acqua del 1994, mentre stavo lavorando per il teatro scrissi Il cane di terracotta. Volevo definire meglio il personaggio e mollarlo. Invece il successo di Montalbano fu strepitoso. Le confesso che lo assecondai perchè Montalbano si tirava dietro anche gli altri libri, ai quali io tenevo di più.
Ma la figura di Montalbano non è ispirata a quella di suo padre?
Fu mia moglie a farmelo notare leggendo La gita a Tindari. Giuro che non me n'ero accorto.
Perchè tiene tanto ai suoi romanzi storici?
Credo che molti dei problemi dell'Italia odierna nascano subito dopo l'unità, nell'epoca in cui di solito ambiento i miei libri: l'eccesso di burocrazia, il colonialismo verso il Sud, il divaricarsi delle due Italie.
Non sarà che ama i testi storici perchè lì può abbandonarsi più liberamente alla ricerca linguistica?
Lei ha colto nel segno. Capisce che in un giallo ci sono già troppi enigmi perchè se ne aggiungano anche di linguistici.
E forse c'è anche al ricerca di nuove strutture narrative.
Cambiare ogni volta la struttura del libro, giungendo addirittura a proporre solo dei documenti, mi diverte moltissimo.
E il dialetto non manca mai.
Con l'italiano per me è come con il canto: so cantare, ma sono stonato. In dialetto invece mi sembra quasi di avere una bella voce.
Nel futuro che cosa ci attende?
A proposito di voce, ho appena inciso due CD per la Mondadori: Camilleri legge Montalbano, sette racconti nell'interpretazione dell'autore. Come vede la vocazione teatrale riciccia.
E i libri?
Dopo i tre racconti lunghi della Paura di Montalbano, sto ora lavorando a un altro romanzo storico. Mi avvicino al presente, la storia è ambientata nella Sicilia della mia infanzia.
Che cosa vorrebbe suggerire ai lettori di "Panorama" che si misureranno con i suoi libri?
Che li usino come trampolino. Mi è capitato più volte che la gente mi chiedesse: ora che ho letto i suoi libri, che cosa mi consiglierebbe? Lei non immagina quanto mi facesse piacere. Se un libro suscita la voglia di cercarne un altro, vuol dire che ha svolto il suo dovere.
E d'altro lei cosa consiglierebbe?
Io sono fazioso, cerco sempre di contrabbandare i libri che amo.
Dunque?
Sciascia. E se Montalbano vi è piaciuto, allora non ci sono dubbi: Il giorno della civetta e Il contesto. Vedrete che trampolini, quelli!
Franco Brevini