Un siciliano critico. Si definisce così Andrea Camilleri, nato
a Porto Empedocle, Agrigento, nel 1925 e dal 1949 residente a Roma.
Perché critico?
"Perché i siciliani hanno tradizionalmente una smodata considerazione
di se stessi, un orgoglio eccessivo", dice lo scrittore, "e questo è
un tratto caratteriale da cui la Sicilia deve liberarsi, perché
è all'origine di molti errori: costringe l'individuo a chiudersi,
a essere diffidente, a evitare il confronto con gli altri".
Che cosa, invece apprezza della Sicilia?
"Il forte senso di lealtà e di amicizia, il rispetto della parola
data (che poi è una forma di rispetto verso gli altri). E soprattutto
il senso dell'ironia".
Che cos'è l'ironia per un siciliano?
"Una forma di saggezza, un mezzo per aggirare il nostro orgoglio. Da
una parte, ci permette di camuffarci, di nasconderci allo sguardo altrui,
di soddisfare il nostro bisogno di riservatezza; dall'altro è un
modo per parlare dei nostri difetti e di accettarli".
Che cosa rappresenta per lei il dialetto?
"La lingua materna. Il dialetto mi dà la sicurezza di poter
esprimere ogni emozione in tutte le sfumature possibili".
Ma le radici quanto sono importanti per uno scrittore siciliano?
"Moltissimo. La Sicilia è un tale magma di culture e di lingue
che uno scrittore deve per forza fare i conti con le sue origini, se vuole
capire se stesso. Ma bisogna fare attenzione. Le radici danno la certezza
di essere ancorati al suolo, attraverso di esse entra nell'organismo la
linfa vitale che rende i rami robusti, e questo è un bene. Però,
come diceva Sciascia, le radici mantengono l'individuo immobile, e per
questo possono essere dannose".
Giuseppe Gallo