La Sicilia, 14.7.2002
Parla il papà del commissario Montalbano

Provate a dire con finta nonchalance: 'Manzoni e Camilleri'! Ne viene fuori un ibrido, un ossimoro che suona male, malissimo. E magari qualcuno vi guarderà interdetto. Perché loro, i due scrittori, sono proprio agli antipodi: separati di fatto da un secolo abbondante e dall'essere nati il primo a nord e il secondo a sud che di più non si può; religiosissimo l'uno, anticlericale l'altro; dal temperamento che ci dicono austero e morigerato, riluttante al sorriso, il Manzoni; mentre Camilleri non ha nulla in contrario a che si sappia che è, o è stato, un buontempone; inoltre fuma accanitamente ed ha un mucchio di amici assieme ai quali ama lasciarsi andare a grandissime abbuffate di pesce in trattoria. Naturalmente anche le produzioni letterarie riflettono queste diverse posizioni. Però qualcosa accomuna i due, e forse più di qualcosa. Si tratta della notorietà: gloria nazionale il Manzoni - lettura coatta in tutte le scuole della Repubblica del suo capolavoro 'I Promessi Sposi' - e scrittore-miracolo contesissimo a suon di miliardi dall'editoria italiana il Camilleri che è da anni sulla cresta dell'onda e in vetta ogni settimana alle classifiche con quattro o cinque gialli da leggere ridendo sotto l'ombrellone. Eppure, eppure… anche se non ci sarà mai un giudizio di Manzoni su Camilleri ecco come quest'ultimo, venuto di recente nella nostra città per presentare l'ultima fatica di Salvatore Silvano Nigro - per l'appunto una innovativa e fondamentale edizione de 'I Promessi Sposi' - parla del più illustre collega, raccontando un significativo lapsus in cui egli stesso è incorso:
"Un paio d'anni fa mi telefona, mentre sono a tavola con mia moglie, un tale giornalista spagnolo e mi dice che sta facendo un sondaggio per sapere quale scrittore del Novecento io salverei, nel caso si verificasse il famoso 'buco nell'ozono' di cui allora si faceva un gran parlare. Io, seccato, rispondo indicando il Manzoni e torno di corsa al mio piatto di spaghetti. Ma eravamo appena arrivati al secondo che il telefono squilla di nuovo. Era ancora lui, il giornalista spagnolo. Disse che aveva controllato e che gli risultava Manzoni fosse uno scrittore dell'Otto e non del Novecento. Rimasi perplesso. Lui allora mi propose di scegliere 'Il gattopardo': io dissentii e menzionai invece l'Orcynus Orca'. Ma neanche questo andava bene perché in Spagna pare non fosse conosciuto".
- Insomma, non se ne fece niente?
"Non solo, ma l'ottimo pranzo, continuamente interrotto, mi andò di traverso. Però in seguito ripensai a questa madornale svista in cui ero incorso, cercandone il perché. E credo di averlo trovato".
- Un'affinità la legherebbe al Manzoni, così tanto da sentirlo un contemporaneo? Se esiste è davvero ben nascosta, invisibile a tutti.
"No, no, guardi che a scuola è stato odiato da me come da tutti. Il ritratto edificante e agiografico che ne è stato fatto ha prodotto questo risultato. Lo abbiamo visto scostante, antipatico, bacchettone e bigotto. Persino il gobbetto, che non faceva questioni di chiesa e se ne stava a guardare la luna e il passero solitario, era più simpatico. Il Manzoni no. Però, nel '42, mi capitò fra le mani 'La storia della colonna infame' e sbalordii: possibile, pensai, che l'autore fosse lo stesso Manzoni baciapile de 'I Promessi Sposi'? La pavidità di don Abbondio, dopo la lettura della Colonna, dopo le sue parole sulla tortura, non fa più sorridere. Allora si ha l'impressione che 'La colonna infame' sia come un fiume carsico che continua ad esserci anche quando più non è visibile. A cui Manzoni affida il compito di speziare e condire la lettura de 'I Promessi Sposi. Questo è il Manzoni e il suo grande romanzo che adesso Nigro ci invita ad esplorare in maniera innovativa e coltissima".
- Ma veniamo adesso a lei, al controverso fenomeno Camilleri: il cui nome, a differenza di quello manzoniano, è promessa di letture col sorriso sulle labbra, di spensierate evasioni fra morti allegramente ammazzati, ragionieri queruli e pensionate con i bigodini in testa. Una cittadina vivace e abbastanza inverosimile, Vigàta. Ma lei crede davvero in quello che scrive?
"Certo. Se non ci credessi, non mi divertirei: mi annoierei mortalmente e rinuncerei a scrivere".
- C'è nei suoi libri una certa presa di distanza, come se lei volesse irridere gli stereotipi. Ma spesso finisce col confermarli.
"Non so se li confermo. La mia voglia sarebbe di evitarli il più possibile, però gli stereotipi sono tali e tanti che è molto difficile evitarli tutti. Ma bisogna dire che c'è anche una lettura che può essere stereotipa. Il che significa che non sei stato abbastanza forte da imporre una direzione di lettura".
- A chi strizza l'occhio nello scrivere i suoi romanzi?
"A mia moglie, che è il mio critico esigentissimo e tutt'altro che benevolo".
- Lei lascia dietro di sé una scia di invidie più o meno dichiarate. Si dice che lei fa del folclore, che è manieristico, che dipinge una Sicilia che non è mai esistita…
"Perché, c'è l'obbligo di dipingere le cose che esistono? Non mi pare che un pittore, come uno scrittore, come un musicista, siano obbligati a fare delle fotografie o dei ritratti dal vero della realtà. Questa non mi sembra un'accusa. Circa l'invidia, invece, non so che farci. Non è colpa mia, non ho nessuna responsabilità. Ma devo dire una cosa: ed è che io non sono mai stato invidioso. Ho condiviso con gioia il successo degli altri. Sempre".
- Parliamo della sua ironia. Non è per caso una difesa?
"Non credo. Appartengo ad una famiglia nella quale l'ironia regnava sovrana".
- Ma se invece fosse una difesa, da cosa servirebbe a metterla al riparo?
"Da un eccesso di gravità del mondo: un modo di staccarsi e di tenerlo un po' a distanza".
Camilleri è stanco, guarda l'interlocutore attraverso una nuvola di fumo ma probabilmente non lo vede: dalla sua c'è il vortice di una inesausta produzione libraria, ci sono pressioni continue, inviti, proposte e richieste d'ogni tipo. Lui fugge e ora è difficilissimo raggiungerlo. Forse buona parte della sua gioia di vivere, quella che gli si leggeva sul volto sorridente non più tardi di alcuni anni fa, ancora agli inizi del suo exploit, l'ha ceduta a Salvo Montalbano. A lui è rimasto il successo, che sicuramente pesa. E anche questo lo differenzia dal Manzoni.
Finetta Guerrera