Modi ruvidi, ironia tagliente, buongustaio anarchico, il Montalbano
di Luca Zingaretti, sanguigno ma intimorito dalle donne, idolo tv di milioni
di spettatori che si riconoscono nel carattere di questo commissario fuori
degli schemi, riappare in autunno, probabilmente cambiando canale (da Raidue
a Raiuno) ma, dopo l'ennesimo, prevedibile successo, si prepara a una lunga
licenza: in teatro. Dalla stagione 2003-04, il volto della giustizia tele-romanzesca
assumerà le sembianze fosche e infide di Riccardo III, uno dei personaggi
più neri del teatro elisabettiano.
Dalla tv al teatro: un tradimento, un ritorno o una svolta?
«Erano ormai tre anni che non rimettevo piede in scena.
Finora mi ero dedicato a un teatro ''carbonaro'', in tour su piccole ribalte,
con partner insolite e con esiti felici, come nel caso di due commedie
trapiantate dall'Off Broadway, Tre alberghi, con Isabella Ferrari, e Separazione,
con Margherita Buy».
Dopo i ruoli levigati su piccolo schermo, il Riccardo III non
rischia di sconcertare il suo pubblico?
«Già in televisione ho dato di me immagini molto
diverse tra loro, dalla serie di Montalbano a Giorgio Perlasca, lo Schindler
italiano, fino a Incompreso dove, su Canale 5, ero il padre ''cattivo''.
Il mio pubblico s'è da tempo abituato a vedermi sotto molte angolature.
Per qualsiasi attore è un vantaggio essere camaleontico, senza ridursi
a fotocopia di un unico carattere».
Quale mezzo preferisce per esprimersi?
«Mi diverto a fare tutto, tv, cinema, teatro. Adesso, dopo
tanta tv, ho voglia di teatro. Che non nasconde affatto l'intenzione di
voltare le spalle al piccolo o al grande schermo. Anche la contrapposizione
tra cinema e televisione è da tempo finita. Pure economicamente,
la situazione si è ribaltata. Meno male che, oggi, per gli attori
di cinema, c'è la tv. Nelle ultime due stagioni, non c'è
mai stato un ruolo adatto per uno della mia generazione».
La tv è un suo rifugio anche come spettatore?
«Non la guardo troppo. I programmi che seguo sono le news,
le inchieste, i documentari. Oltre, naturalmente, agli eventi sportivi.
Il calcio, come noto, è una passione tutt'altro che spenta. Se non
avessi fatto l'attore, sarei sicuramente sceso in campo: come mediano».
Quest'estate, al Vieste Film Fest s'è visto un assaggio
del Montalbano d'autunno: che altro può anticipare?
«Sono quattro episodi, con i quali si dovrebbe chiudere
il ciclo cominciato tre anni fa, sei film al ritmo di due all'anno. La
messa in onda è prevista tra ottobre e novembre, probabilmente si
passerà da Raidue a Raiuno. Un episodio è tratto dall'ultimo
romanzo di Andrea Camilleri, L'odore della notte. Gli altri tre, dai racconti,
tra cui Gli arancini di Montalbano e Il senso del tatto. Sono stati girati
in gran parte a Favignana e nelle Egadi».
Quando ha conosciuto Camilleri?
«Era stato il mio professore all'Accademia d'arte drammatica
a Roma, dove insegnava regia televisiva. Anni dopo, in libreria, trovai
per caso un suo libro su uno scaffale, l'ho comprato per simpatia. La lettura
mi ha folgorato, ho intuito che se ne poteva trarre un magnifico film,
tanto che mi era venuta l'idea di comprane i diritti: era Il ladro di merendine.
Quando sono stato scelto, dopo un mese di provini, ho subito chiamato Camilleri,
che mi ha fatto i complimenti con calore. Quando si dice il destino...».
Quali aspetti apprezza nelle pagine su Montalbano?
«Il gusto del paradosso, la leggerezza, la capacità
di trovare l'eccezionale nel normale. E l'ironia costante, la costruzione
di un mondo sospeso, appeso a un altro tempo, anche se ambientato con assoluta
precisione e riconoscibilità nei nostri giorni. Ma questo modo di
giocare a rimpiattino con la realtà più prossima è
tipico della Sicilia e dei suoi scrittori».
Pier Cardinali