Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri ha ricevuto ieri la laurea ad
honorem in Lingue e Letterature Straniere presso l'Università Iulm
di Milano. Settantasette anni, Camilleri ha esordito come narratore nel
1978 con “Il corso delle cose”, ma ha raggiunto il successo nel 1984 con
“La forma dell'acqua”, un giallo ambientato nella immaginaria Vigata e
incentrato sulla figura del commissario Montalbano. Il primo episodio di
una fortunatissima serie al quale si sono andati assommando una decina
di romanzi storici ambientati nella Sicilia a cavallo tra Otto e Novecento.
Opere tutte segnate da una scrittura che mescola sapientemente il dialetto
siciliano e l'italiano. Un successo che, ad oggi, vale 7 milioni e mezzo
di copie vendute in Italia più qualche milione all'estero. “La collezione
delle mie traduzioni – scherza Camilleri – è quasi come l'album
Panini. Mi mancano Cina, Russia e i Paesi Arabi.
Nel corso della cerimonia il rettore della Iulm, Giovanni Puglisi,
ha sottolineato che con questa laurea “Milano apre le sue porte a un intellettuale
irrequieto e coerente, espressione di mediterraneità e insieme di
europeismo, riconoscendo in lui, manzonianamente, l'espressione identitaria
di un'italianità, oggi più che mai, carica delle esperienze
e diversità regionali. La scrittura e l'opera di Camilleri – ha
aggiunto Mario Negri, preside della Facoltà di lingue e letterature
Straniere – lungi dall'iscriversi nel registro della letteratura regionale,
contribuiscono in modo efficacissimo, a iscrivere la Sicilia e la sua anima
culturale nella più ampia e moderna cultura europea” Sergio Pautasso,
ordinario di Letteratura Italiana alla Uilm, infine ha messo in evidenza
lo stretto rapporto fra la struttura dei romanzi e la lingua di Camilleri
con il passato di regista teatrale dell'autore.
“In questi anni mi sono abituato a controllare l'espressione del viso,
a non far trasparire le emozioni” dice prima di entrare Andrea Camilleri.
Non è vero. Non del tutto .Non davanti alla platea dell'aula magna
della Iulm, la “libera Università di Lingue e Comunicazione” di
Milano che, ieri mattina, gli ha tributato un'ovazione. Tutti in piedi,
docenti e studenti, accomunati in un lunghissimo applauso, un' ovazione
giunta sul palco con la forza di un abbraccio. Davanti al calore di quell'applauso,
il papà del commissario Montalbano ha dovuto calare la maschera
di impassibilità che, in questi anni, lo ha difeso da un successo
editoriale che in molti gli hanno imputato come una colpa. “Sono fiero
di questa laurea – dice commosso – ne sono lusingato perché punta
l'attenzione sulla mia ricerca linguistica, perché premia il mio
lavoro di romanziere oltre i confini del genere giallo”.
Non a caso proprio sul linguaggio, sulla sua dissoluzione originale
e babelica, Camilleri ha ieri incentrato la sua Lectio doctoralis. “una
splendida lezione di linguistica comprata – l'ha definita il rettore della
Iulm, Giovanni Puglisi – che prendendo le mosse dal racconto biblico della
distruzione della Torre di Babele e passando attraverso la biblioteca borghesiana,
approda a una rivendicazione poetica e politica insieme: quella della lingua
come elemento imprescindibile dell'esistenza dei popoli e del dialogo come
unico veicolo di pace possibile. Oggi più che mai, in un mondo squassato
dal terrorismo, percorso da venti di guerra, insanguinato dal conflitto
israelo-palestinese.
Camilleri, i suoi romanzi hanno una prepotente identità linguistica
di dialetto siciliano e italiano che, miracolo, risulta comprensibile.
Qual'è il segreto?
C'è chi dice che adopero il siciliano come l'uva passa: ne lascerei
cadere qualche chicco su una struttura italiana. Non è così.
La cosa è più complessa. Io utilizzo le parole che mi offre
la realtà per descriverla in profondità. Non potrei mai ambientare
un mio libro in una città che non conosco. Non è un problema
di topografia. Oggi esistono guide che ti dicono anche come si chiama il
tabaccaio all'angolo. Nessuno però ti può dire come e cosa
pensa chi vi entra: quali sono i codici di comportamento dei clienti di
quel tabaccaio. Detto questo non ho la pretesa di innovare la lingua. Semplicemente
utilizzo la mia, il mio modo di scrivere.
Lei è uno degli autori italiani più tradotto nel mondo.
Come superano all'estero l'ostacolo della “sicilianità” dei suoi
testi?
La coscienza dei traduttori si manifesta via fax. La domanda tipo è.
Come posso tradurre questa parola? “Tampasiare”, ad esempio, attività
tipica del siciliano che consiste nell'alzarsi da letto e, senza lavarsi
né vestirsi, occuparsi di cose essenziali come raddrizzare un quadro
e rimirare una cartolina guardandosi bene dal leggerne il testo. Come tradurre
in inglese, tedesco o francese? In Francia sono andati a scovare un modo
di dire analogo normanno, in Inghilterra lo hanno lasciato in siciliano.
In realtà non so cosa rimanga dei miei libri.
Livia, l'eterna fidanzata di Montalbano, vive a Boccadasse e ne
“La mossa del cavallo” il protagonista parla addirittura genovese. A cosa
si deve questa attenzione per Genova?
Al grande amore per una città in cui ho lavorato e fatto splendidi
incontri. Nel caso de “La mossa del cavallo”, poi, avevo bisogno di un
dialetto duro e difficile da capirsi, teatralmente vergine, da far scontrare
con il siciliano.
Il primo suo successo, “La forma dell'acqua”, segna la nascita del
commissario Montalbano e dà avvio, nel 1994, a una serie di uscite
editoriali ravvicinatissime. Libri nel cassetto?
No. Le mie opere sono uova fresche di giornata e i miei cassetti sono
pieni di cose che riguardano i miei nipoti. Dirò di più.
Mi disfo di tutto quanto ha a che fare con un libro non appena l'ho pubblicato.
Distruggo le prive del reato, insomma. Anzi, adesso che ci penso, da qualche
mese ho terminato un nuovo romanzo. Il titolo per ora è top secret
ma sarà bene pubblicarlo. E' già troppo che aspetta. Va a
finire che puzza.
Lei ha curato molte produzioni televisive, fra cui la serie di Maigret
e Sheridan. Le è piaciuta la riduzione tv del suo Montalbano?
Sì, molto. Era una cosa diversa dai miei libri. Ma così
deve essere.
Andrea Casazza