Due giovani amiche, a una fermata di tram: «Vieni a vederlo da
me, lunedì prossimo? L’ho già detto a Katia, lei c’è
di sicuro». «Contaci, non me lo perdo per niente al mondo.
È l’unico programma che giustifica il canone». Non farà
piacere alla Rai la battuta a dir poco tagliente colta al volo a Milano
(e sottoscritta, crediamo, da milioni di telespettatori da Nord a Sud),
ma a Luca Zingaretti certamente sì.
Perché il "suo" Commissario Montalbano – sei episodi già
trasmessi da Raidue e quattro nuove puntate (Il senso del tatto, Gli arancini
di Montalbano, L’odore della notte e Gatto e cardellino) al via su Raiuno
questo lunedì – conferma d’essere la fiction italiana più
amata dal pubblico e apprezzata dalla critica.
I suoi punti di forza? Splendida matrice letteraria a parte – di Andrea
Camilleri e della meritata fortuna dei suoi romanzi si è detto tutto,
a partire dai quasi due milioni di libri venduti solo in Italia –, vanno
ricordati la regia meticolosa e partecipe di Alberto Sironi, l’accurato
lavoro di sceneggiatura di Francesco Bruni, Salvatore De Mola e dello stesso
Camilleri, il cast di ottimo livello (dai protagonisti ai caratteristi,
scovati con pignolissima pazienza nei teatrini dialettali di Catania e
nelle compagnie amatoriali: una rarità nel nostro panorama televisivo).
Ingredienti e sapori miscelati dall’impegno produttivo – finanziario ma
non solo – della Palomar di Carlo Degli Esposti, che nei quattro nuovi
film ha investito 6 milioni e 700 mila euro. Ma è innegabile che
la ciliegina sulla torta la mette, dall’ormai lontano 1999, allorché
iniziò l’avventura catodica del poliziotto di Vigata, Luca Zingaretti,
per dirla con il regista, «attore di razza e uomo sensibile e intelligente.
Oggi Montalbano è lui, e nessuno può immaginarlo con un’altra
faccia».
Infatti, Zingaretti, nei primi episodi lei ha caratterizzato fisicamente
il personaggio, per arricchirlo nei successivi di preziose sfumature psicologiche.
E, ora, che cosa ci ha messo?
«Il puro e semplice piacere di farlo. Di ritrovare ancora una
volta, per due mesi, un amico che vive in un piccolo paesino siciliano
e che a ogni nuovo incontro mi mostra di sé lati diversi e inediti.
Molti scrittori, a proposito dei loro personaggi "seriali", dicono che
spesso si mettono a vivere di vita propria: il mio rapporto con Montalbano
è un po’ così, ogni volta che lo interpreto si impadronisce
di me e mi indica la via da percorrere, il modo giusto di affrontare situazioni
nuove per entrambi. Nell’episodio di questa settimana (Il senso del tatto,
ndr.), per esempio, Salvo si ritrova a casa un cane, con tutte le implicazioni
che il rapporto con un animale comporta; in un altro, se la vedrà
con la figlia di un collega che ha conosciuto bambina e che oggi, cresciuta,
lo corteggia... Condividere con lui questi stati d’animo me lo ha fatto
sentire ancora più vicino».
E tuttavia la paura di restare intrappolato in un ruolo, per quanto
riuscito, l’avrà pure provata, all’inizio...
«Paura no, però ero cosciente di correre quel rischio;
ma fin dall’inizio della mia carriera, quando interpretavo sempre e solo
cattivi, e tutti a dirmi: "sei matto, ti ritroverai etichettato a vita!",
ho scelto di fare soltanto le cose che mi piacciono, senza calcoli di opportunità
o convenienza. Risultato: sono arrivati i buoni, Montalbano e anche Perlasca,
a dimostrazione che l’importante è avere belle storie da raccontare
e riuscire a farlo bene».
Invidia qualcosa a Montalbano?
«Sicuramente la casa sulla spiaggia, con il mare che accarezza
la porta. Sono abbastanza orso (in questo mi riconosco in lui, oltre che
nel cattivo carattere e in quell’essere burbero ma, sotto sotto, cuore
tenero) e ho bisogno di una cuccia dove rintanarmi, in compagnia di me
stesso e dei miei affetti. In vacanza cerco sempre di avere un bungalow
vicino all’acqua, perché adoro nuotare appena sveglio, passando
dal letto alle onde. E poi non tralascerei le mitiche scorpacciate di pesce,
che però non gli invidio: me le faccio anch’io da quando a Donnalucata,
vicino a Ragusa, ho scoperto "Al molo" pochi coperti e una cucina paradisiaca.
Da far venire l’acquolina in bocca anche a Montalbano».
Dal cibo alla lettura: non ci deluderà dicendo che i gialli
l’annoiano...
«Al contrario, li divoro letteralmente, purché sappiano
descrivere un’epoca, un ambiente, un’atmosfera, come quelli di Simenon
(da anni leggo e rileggo Maigret con intatto piacere). Amo Ellroy per lo
stile di scrittura "selvaggio" che segue non la trama ma il corso dei pensieri,
e la Cornwell degli esordi, con Kay Scarpetta fresca d’ispirazione. Ho
gustato Il silenzio degli innocenti prima sulla carta e poi sullo schermo,
con quell’immenso talento che è Anthony Hopkins. Un mito, un modello
irraggiungibile».
Eppure lei un po’ gli assomiglia, e poi ha in cantiere progetti bellissimi...
«Grazie dell’incoraggiamento! Sto girando Doppio agguato, fiction
sul sequestro Belardinelli in cui sono il comandante della squadra dei
Nocs che lo ha liberato; per prepararmi al ruolo ho vissuto una settimana
con questi ragazzi che molti immaginano esaltati, e che invece sono persone
posate, consapevoli e con una grande carica umana. Un’esperienza felice.
Quanto al film sulla vita di Giovanni Paolo II di cui si è parlato,
mi è stata fatta un’offerta che ovviamente mi ha lusingato; ma il
progetto è così importante da richiedere fior di sceneggiatura,
perciò se ne riparlerà a tempo debito. Più prossimi,
invece, due progetti che mi stanno particolarmente a cuore: Riccardo III
a teatro, diretto da Giuseppe Patroni Griffi, e un documentario che girerò
in Uganda come testimonial dell’Amref, per raccontare come si vive a Gulu
(400 chilometri da Kampala) dopo vent’anni di guerra civile. Ci sono già
stato per i sopralluoghi in compagnia di mia moglie, che scriverà
il testo del reportage: un impatto devastante che ha cambiato – in meglio
– il nostro modo di concepire la vita e ci ha fatto capire quanto noi occidentali
siamo ormai lontani dalla sua vera essenza. Sì, condividere con
Margherita quell’orrore e insieme quella rinascita, scoprendo che si riverberavano
su entrambi con la stessa intensità, è stata un’emozione
profonda. Al pari di quella che proviamo nel ripensare agli occhi immensi
dei bambini di Gulu, che ti guardano senza chiedere nulla, ma se gli dai
un biscotto è come se gli regalassi la luna».
Luisa Sandrone