Sette (inserto del Corriere
della sera), 28.2.2002
Quelli che non girotondano
[...]
Ed è nato così quello che "Il Foglio" ha chiamato "il
partito dei girotondini". Quello di coloro, cioè, che credono che
sia la piazza il nuovo lavacro rigeneratore, e che sia l'opposizione durissima
l'unica via per dare la spallata a Silvio Berlusconi. Militanti e cittadini
che come il direttore dell'Unità Furio Colombo sostengono: "Facciamo
in modo che l'indignazione irrompa nelle nostre vite, indignarsi è
l'unico modo per riconquistare dignità".
Ne fanno parte professori come Francesco Pardi e Paul Ginsberg, scrittori
come Lidia Ravera e Andrea Camilleri, attori come Moni Ovadia.
[...]
Così, in parallelo (e in contrapposizione) con questo movimento
ne è sorto anche un altro, meno visibile, però non meno agguerrito:
quello di chi sotto l'Ulivo non si adegua all'onda, quello di chi si "trattiene".
[...]
C'è poi il manipolo di intellettuali che hanno aderito all'appello
di Erri De Luca, lo scrittore dal passato ultrasinistro che invece di schierarsi
con i Camilleri ha sentenziato:"Prima di tutto viene la politica, basta
con i Nanni e le ballerine".
[...]
Matteo Bandiera
Gazzetta del Sud,
27.2.2002
Lo scrittore cileno presenta a Roma il suo primo film, «Nowhere»
Sepulveda: un apologo della libertà
Tra gli interpreti Harvey Keitel e Angela Molina
[...]
«Il mio primo shock emozionale – afferma Sepulveda – me lo ha
dato “Miracolo a Milano”. Il cinema italiano è stato decisivo nella
mia formazione. Così come in letteratura il più grande per
me è Cervantes e poi mi piacciono Soriano, Hemingway, Sciascia,
Calvino e tra i contemporanei Camilleri, Tabucchi, Saramago».
[...]
Marco Neri
Il Messaggero,
26.2.2002
LA VALNERINA SI PREPARA ALLA BELLA STAGIONE
Vallo di Nera, la terra dei racconti
VALLO DI NERA - E' Vallo di Nera uno dei primi comuni della Valnerina
che si incontrano passando sotto il traforo di Forca di Cerro, l'infrastruttura
viaria che da circa cinque anni unisce la via Flaminia alla zona più
montana dell'Umbria. E' per questo che il comune di Vallo di Nera, con
il suo arroccamento medievale, le case in pietra, la suggestiva chiesa
di S. Maria e le sue tradizioni, è un biglietto da visita della
Valnerina per i turisti alla ricerca di esperienze culturali, ambientali
ed eno-gastronomiche. Consapevole di questo ruolo, Vallo di Nera si sta
preparando all'arrivo della bella stagione dotandosi di un nuovo look nell'arredo
urbano e nella segnaletica turistico-informativa, ma anche predisponendo
la seconda edizione de "La terra dei racconti", una interessante iniziativa
che lo scorso anno ha avuto
un buon successo di pubblico e di critica. "La terra dei racconti"
è un viaggio nel tempo teso a salvaguardare la tradizione orale
utilizzando anche le moderne tecnologie. Consiste in una rassegna teatrale,
in premi letterari, in storie itineranti lungo le vie e fra i piccoli gioielli
artistici del territorio di Vallo di Nera, in incontri con alcuni tra i
più famosi autori italiani come, ad esempio, Andrea Camilleri o
Danila Comastri Montanari, in spettacoli perfettamente in armonia con la
sede ospitante.
«Tra i primi appuntamenti del 2002 - anticipa Agnese Benedetti,
sindaco di Vallo di Nera - ci sarà quello del 27 aprile, con "Storie
di Corte", uno spettacolo innovativo e interessante che verrà realizzato
in collaborazione con l'Assessorato al turismo della Provincia di Perugia
e permetterà anche di valorizzare il nostro patrimonio artistico».
In attesa che il programma della primavera-estate 2002 venga definito anche
nei dettagli, si può raggiungere Vallo di Nera per scoprirne la
microstoria, i tesori architettonici e ambientali, ma anche per apprezzarne
l'accoglienza ed i piatti locali a base di prodotti tipici e genuini.
Rita Chiaverini
Corriere della sera,
20.2.2002
Giornata pro Mani Pulite, attesa per Benigni
Dopo Nanni Moretti, anche Roberto Benigni? Paolo Flores d’Arcais se
la cava con un ispirato «vorrei evitare di sognare». Ma la
speranza che il regista e attore toscano si mischi alla folla di intellettuali
ed artisti che aderiranno alla «Giornata della legalità»,
in programma sabato al Palavobis di Milano, è qualcosa di più
di un sogno. E non solo perché il nome del toscanaccio de «La
vita è bella» compare al primo posto tra i firmatari del manifesto
che dà origine all’iniziativa milanese, ma anche perché dallo
stesso clan di Benigni hanno ieri fatto capire che una sua presenza non
è affatto esclusa. In ogni caso, il cast di partecipanti si preannuncia
nutrito. E l’effetto-Moretti si farà sentire. Perché, come
afferma Flores d’Arcais, direttore di «Micromega» e promotore
della manifestazione, «la giornata milanese, pur essendo stata ideata
tempo fa, si collega inevitabilmente ai nuovi fermenti che si alzano in
tutta Italia dalla società civile». A testimoniare la loro
solidarietà all’intera magistratura e in particolare al pool Mani
Pulite, «contro i tentativi del governo Berlusconi di stravolgere
lo Stato di diritto», saranno Sabina Guzzanti (con un monologo),
Andrea Camilleri, don Ciotti, Antonio Caponnetto, Antonio Tabucchi (in
collegamento da Parigi). Attesi inoltre Fo e Franca Rame, l’ex presidente
Rai Zaccaria, Sylos Labini, Luttazzi, il professore fiorentino Pardi, la
Pivano, Ginsborg e altri ancora.
Il Messaggero,
20.2.2002
IL CONVEGNO DS DI VENERDI
Moretti indigesto, intellettuali in ordine sparso
Tabucchi non va, Eco sì, Scola defilato, Foa incerto
[...]
Non ci saranno gli scrittori Antonio Tabucchi, Vincenzo Consolo e Andrea
Camilleri, considerati la punta di diamante della cattiva coscienza della
sinistra.
[...]
Claudia Terracina
Corriere della sera,
14.2.2002
CASES Il professore che risolve il giallo
INTERVISTA Il germanista, a Bari per la laurea ad honorem, parlerà
di un genere minore diventato la forma più diffusa del romanzo:
da Gadda a Eco, da Simenon a Camilleri
FIRENZE - Cesare Cases e il giallo? Niente di più apparentemente
paradossale. Il critico marxista che in occasione di una laurea ad honorem
(la riceverà in marzo a Bari) parlerà di un genere di consumo
per eccellenza, borghese per nascita. Niente di più paradossale:
il grande germanista, studioso di Lukács, Mann, Musil e Brecht,
alle prese con Agatha Christie. Eppure è proprio così. Cases,
a 82 anni suonati, raggiunge a piccoli passi la sua poltrona preferita,
in una sala che guarda gli ulivi della collina fiorentina, per rivelare
una sua antica passione.
«Sono partito dall’amore per Agatha Christie. Per me i suoi romanzi
sono esempi tipici del giallo, poiché contengono tutti i requisiti
del genere».
Quali sono questi requisiti?
«Primo: un assassino capace di intendere e di volere. I delinquenti
patologici appartengono a un’altra categoria. Secondo: l’assassino viene
individuato da vari indizi coordinati da un detective che non fa sempre
parte della polizia, spesso ne ironizza i metodi e in genere non è
sposato. Terzo: il detective entra nella logica del delinquente e la intende
appieno. Quarto: c’è una società omogenea, in cui chiunque
può essere l’assassino».
Secondo questi criteri, il numero dei gialli veri e propri si riduce
di molto.
«Il giallo sembra avere trionfato su ogni altra forma narrativa,
anche filmica o televisiva. Se esiste un plot , un intreccio, questo intreccio
viene presentato come giallo. La rubrica televisiva Nel segno del giallo
in realtà tratta di psicopatici, l’opposto del giallo classico,
dove il personaggio ha l’intenzione di nuocere. E’ un vero cattivo».
Colpa del giallo americano?
«Da Hammett e da Chandler in poi, il giallo hard boiled va verso
il patologico: è un romanzo di suspense . In certi casi non ci sarebbe
neanche bisogno di un detective né di un cadavere. Mentre questo
tipo di racconto specula sull’angoscia dell’uomo contemporaneo, il giallo
specula sui residui illuministici: il detective compie la sua azione per
rischiarare un mistero. Ammetto che i romanzi di Hammett sono meglio scritti
e più realistici, ma non c’è più il conflitto tra
buoni e cattivi, e il cattivo finisce per essere più buono dei buoni».
A cosa si deve questo cambiamento?
«Indubbiamente il giallo nasce, con Poe, Collins, Wallace e Conan
Doyle, dalla coincidenza tra crisi del romanzo e aumento dei lettori. Ma
presuppone una borghesia che ha paura di perdere la sicurezza a causa di
qualche suo membro moralmente bacato. Alla fine della corsa, poi, c’è
sempre un’ingordigia di denaro, che in epoca capitalistica è propria
di tutti. A un certo punto però l’orologio della storia si sposta,
la società cambia e si impone il giallo americano in cui tutti sono
delinquenti salvo (forse) il detective e qualche anima pura. Questo schema
però non dura, perché nessuno ha voglia di sentirsi dire
che vive in una società delinquenziale. Così, mentre da una
parte si torna al giallo classico, dall’altra si procede verso la deresponsabilizzazione
del delinquente psicopatico. E’ più facile vivere in un mondo di
psicopatici che di delinquenti, anche se il risultato è il medesimo,
cioè la morte. E poi c’è un’altra caratteristica».
Quale?
«Nei gialli americani si insinua il criterio della verosimiglianza.
Non per niente Chandler rimproverò alla Christie di scrivere libri
inverosimili. Si può pure ammettere che nell’ Assassinio sull’Orient
Express non c’è verosimiglianza. Ma perché Chandler sottolinea
l’improbabilità delle coincidenze, piuttosto che ammirare il fiuto
e l’acume di Hercule Poirot?».
Simenon si ispira al genere classico?
«Intanto ha inventato l’unico detective che abbia una moglie,
anche se lei si limita ad ascoltarlo. Poi per lui è troppo importante
lo sfondo parigino, il plot viene relegato in secondo piano rispetto al
clima, all’ambiente».
E oggi, che cosa è rimasto del giallo delle origini?
«Come ultimo residuo del giallo si è conservato il plot,
in chiave di suspense o di psicopatologia. E’ il plot a caratterizzare
la nostra epoca, in forme fin troppo raffinate anche perché la tecnologia
vi si presta. Ma certe raffinatezze tecnologiche a me non piacciono: Kay
Scarpetta, la detective della Cornwell, ne è specialista, però
c’è un eccesso di trucchi che mi dà fastidio. Comunque è
interessante capire come mai il romanzo sia rimasto quasi solo sotto forma
di giallo».
Come lo spiega?
«Il giallo classico non ti lasciava dormire, invece ormai la
morte è il meno che possa capitare e il lettore non ha niente in
contrario che qualcuno venga fatto fuori. Anzi la morte finisce per riabilitare
l’individuo a posteriori. A me non piace che solo la morte riesca a premiare
un individuo. E’ immorale, ipocrita».
Esiste un giallo all’italiana?
«Grazie alla competenza di Sciascia, la Sellerio ha pubblicato
molti gialli: Rex Stout, Holiday Hall, Collins, Hammett, Glauser e tanti
altri. Tra gli italiani, oltre a Camilleri, c’è Augusto De Angelis,
con Il mistero delle tre orchidee. De Angelis (1888-1944) è il primo
giallista italiano importante, il padre di quell’eccezionale commissario-intellettuale
che è De Vincenzi. Ciò non significa che abbia inventato
il giallo all’italiana, ma che da romano ha ambientato a Milano motivi
e personaggi propri della narrativa anglosassone. All’italiana eventualmente
sono le difficoltà che egli ha dovuto affrontare: il regime fascista
infatti non aveva simpatia per un genere fondato sull’assassinio e che
metteva in dubbio l’onnipotenza della polizia. Ma diciamo che in genere
i nostri giallisti, per esempio Scerbanenco, applicano
all’ambiente italiano le formule del giallo classico».
Il giallo di Gadda?
«Il Pasticciaccio è troppo aperto per rientrare nella
categoria. E poi Gadda, come Sciascia, è troppo grande per essere
un giallista».
Eco?
« Il nome della rosa è noiosissimo, troppo lungo. Come
giallo non tiene. Solo leggendo L’isola del giorno prima ho capito che
Eco è davvero uno scrittore».
«La donna della domenica»?
«Troppo lungo e complesso».
Camilleri?
«Mi è simpatico politicamente, ma da buon milanese faccio
fatica a leggerlo».
Corriere della sera,
12.2.2001
Sì al modello-Moretti, girotondo per la giustizia di intellettuali
e artisti
L’idea lanciata da Vecchioni: registi e cantanti circonderanno il «palazzaccio»
della capitale
ROMA - Il metodo dello «schiaffo» (direbbe Fassino) di Nanni
Moretti alla sinistra comincia a fare scuola: la base si organizza senza
consultare il vertice. O meglio «nonostante» il vertice. Domenica
prossima, 17 febbraio, alle 11, il vecchio palazzo romano di Giustizia
in piazza Cavour (che i romani chiamano «Palazzaccio») verrà
circondato da un «Girotondo per la democrazia». Nessun segretario
di partito tra gli organizzatori né sigle politiche ma solo un gruppo
di ragazze romane «impegnate a sinistra», come le traduttrici
Silvia Bonucci e Marina Astrologo, spesso impegnate nel cinema, e che avevano
già organizzato un sit-in il 19 gennaio davanti al ministero della
Giustizia in segno di solidarietà con la magistratura. Sulla carta
molte le adesioni illustri, come Rita Levi Montalcini, Margherita Hack,
Mario Luzi, Liliana Cavani, Giovanni Bollea, Francesco Guccini, Carla Fracci,
Dario Fo e Franca Rame, Mario Martone, Andrea Camilleri. Ma verosimilmente
in piazza si ritroverà una parte del giovane cinema italiano (Marco
Tullio Giordana e Giuseppe Piccioni) della tv (Fabio Fazio) e della musica
(Fiorella Mannoia, Ivano Fossati, Roberto Vecchioni). Area che più
«vicina a Moretti», per dirla in politichese, non potrebbe
essere. Proprio da Vecchioni, in qualche modo, nasce l’idea. Il «girotondo»
ha come modello la manifestazione milanese «Per mano per la democrazia»
del 26 gennaio scorso organizzata dalla moglie del cantautore, la giornalista
Daria Colombo. Le adesioni furono trasversali: parteciparono, per esempio,
sia Gino Strada di «Emergency» che l’ex sindaco Marco Formentini.
L’iniziativa romana, spiega Silvia Bonucci, si prefigge gli stessi
scopi: «Tutelare simbolicamente un bene comune come la giustizia.
Noi non siamo giustizialisti ma teniamo all’indipendenza della magistratura
e a tanti diritti che sembrano ora in discussione. Presto faremo un "girotondo"
anche per la Rai, la scuola, la sanità». Contatti coi partiti
della sinistra? «Nessuno. Abbiamo solo avvisato qualche sezione Ds
del centro, se mai volessero darci una mano. Ma abbiamo pensato a tutto
noi: permessi in Questura, piccoli volantini e qualche manifesto, la catena
via Internet con le adesioni su girotondoaroma@hotmail.com. Ci siamo autotassate.
Non intendiamo sostituirci ai partiti né colmarne il vuoto. Anzi,
se l’Ulivo si desse una svegliata saremmo ben contente: organizzare certe
cose è faticoso...»
P.Co.
La Nazione,
ed. di Lucca, 12.2.2002
Tutti in bottega a tesser l'arte della scrittura
Vi sentite creativi con la penna? C'è un corso per voi
Scrittori non si nasce, semmai lo si diventa raffinando il talento naturale
con l'esercizio. Reggendosi su questo presupposto, Pietrasanta-città
dell'artigianato ospita il primo corso di scrittura creativa che abbia
mai visto la luce in Versilia. La sede è l'atelier Petrartedizione
di via del Marzocco, in pieno centro storico, e la formula ricalca quella
della bottega artigiana, dove il mestiere si trasmette dal maestro al discepolo
attraverso il confronto diretto e la pratica. "Ci piaceva l'idea di riprendere
il modello del laboratorio -racconta Giovanni Bovecchi, patron della Petrartedizioni-
e trasportarlo in ambito scrittorio".
La prima lezione è aperta a tutti ed è fissata per sabato
alle 18: presenta il corso Benedetta Centovalli, editor della Rizzoli.
Imparare a scrivere, imparare a scrivere meglio confrontandosi con generi
e scritture diverse e magari, chissà, riuscire a tirar fuori dal
cassetto quel romanzo che non abbiamo mai avuto il coraggio di far leggere
a nessuno. Che questo corso sia la chiave che schiude le porte del successo
ad una nuova generazione di poeti e romanzieri? Forse, ma non facciamoci
illusioni.
"Può servire comunque per iniziare a conoscere i meccanismi
dell'editoria"- spiegava ieri lo scrittore-giornalista Romano Battaglia
che fa parte della squadra dei docenti. E a confrontarsi con chi si è
già incamminato lungo il sentiero difficile ma bellissimo della
scrittura. Le lezioni si tengono tutti i lunedì dalle 20 alle 23
dal 18 febbraio al 20 maggio. Il corso è aperto a venti partecipanti
e costa 488 euro. "In estate -aggiunge la coordinatrice Stella Giorgianni-
il laboratorio potrebbe avere delle propaggini aperte anche ai vacanzieri
e a settembre si ricomincia con corsi trimestrali specialistici: il giornalismo,
la narrativa, la saggistica". E i docenti? Eccone alcuni: Dacia Maraini,
Giuseppe Pontiggia, Andrea Pinketts, Francesco Alberoni, forse Andrea Camilleri.
Chiara Pellegrini
Corriere della sera,
11.2.2002
Fassino chiama ma Moretti il 22 non ci sarà
ROMA - Nanni Moretti molto probabilmente il 22 febbraio non ci sarà.
Il regista che con il suo «urlo» a piazza Navona ha aperto
la polemica contro i vertici dell’Ulivo non parteciperà al grande
convegno che Piero Fassino sta organizzando proprio per riprendere il dialogo
con gli intellettuali. Questo è quello che lo stesso Moretti è
andato a dire a Fassino venerdì scorso a via Nazionale. La decisione
definitiva il regista di Aprile ancora non l’ha comunicata, ma al Botteghino
non fanno più molto affidamento sulla sua presenza. Basta chiedere
a chi conosce bene Moretti per sapere che nella più fortunata delle
ipotesi - dita incrociate e scongiuri - Moretti partirà per Los
Angeles per l’Oscar. Le nomination si decidono domani pomeriggio, proprio
in contemporanea con la segreteria dei Ds che stabilirà come organizzare
il dibattito del 22. Se il sogno americano di Moretti non dovesse avverarsi,
il carnet degli impegni nazionali e internazionali del regista è
comunque pieno. E dunque - ha spiegato Moretti a Fassino - ci saranno delle
difficoltà.
Data per persa la star, a meno di sorprese dell’ultimo momento, a via
Nazionale si stanno comunque organizzando diversamente per garantire la
riuscita della convention . L’ospite d’onore della Giornata dell’Intellettuale,
che nelle intenzioni del segretario dei Ds dovrebbe diventare un appuntamento
periodico, potrebbe essere allora Umberto Eco. Fassino gli ha già
telefonato e gli ha chiesto di fare una relazione.
Per ora Eco è uno dei pochi già contattati per l’appuntamento
del 22. E nonostante continuino le interviste e le polemiche degli intellettuali
scontenti, le richieste di partecipazione al dibattito fioccano numerose,
così numerose che Gianni Cuperlo e Franca Chiaromonte, i due organizzatori,
stanno pensando di spostare l’appuntamento dal residence Ripetta al Palazzo
delle Esposizioni o allo Stenditoio a Palazzo San Michele, che possano
contenere ben più delle cento persone inizialmente previste. Sono
più di 600 intellettuali, operatori di Internet, architetti, giornalisti
e studiosi a vario titolo, che secondo l’ufficio stampa dei Ds, vogliono
esserci. Dopo Dario Fo, Gillo Pontecorvo, Omar Calabrese, Andrea Camilleri,
a Milano Fassino ha reclutato anche Vittorio Gregotti. Poi ci sono i professori
di Firenze, quelli di 6.30 di Bologna. La cosa rende più difficile
la preparazione dell’evento: mantenere l’ingresso a inviti o trasformare
l’appuntamento in una riunione aperta dove chi vuole viene e ascolta? Chi
far salire sul palco evitando incidenti? Come organizzare i lavori senza
fare scontenti?
Ne discuterà domani la segreteria: Fassino intanto sta già
lavorando al suo discorso. Il segretario è guardato con sospetto
da quanti nel partito vedono nell’iniziativa un cedimento verso le istanze
del correntone. Vero? I collaboratori di Fassino promettono che «non
sarà una abiura della linea di Pesaro».
Gianna Fregonara
Il Sole 24 Ore,
supplemento Cultura, 10.2.2002
Commissari, brava gente.
Bilanci, thriller all'italiana.
I nostri giallisti sono più che mai in auge: eppure spesso fanno
rimpiangere Scerbanenco.
E' la stagione del giallo italiano. Non c'è editore che non mandi
in libreria almeno un paio di titoli all'anno. In Francia, la storica rivista
"813", bibbia del "polar" e spesso fucina di furenti discussioni sul genere,
questo mese gli dedica addirittura un numero monografico. I festival letterari
in suo onore si moltiplicano. Sarà presente al Salone del Libro
di Parigi e subito dopo se ne discuterà a Lione. Einaudi lo ospita
nella collana "Stile Libero Noir", e Adelphi fa spazio a Giuseppe Ferrandino.
Da qualche tempo, inoltre, i nostri autori vengono tradotti in tutta
l'Europa. Se da una parte verrebbe da dire che era l'ora, dall'altra viene
fatto di temere che tanta quantità, tanta attenzione, possano andare
a scapito della qualità. Tanto più che la quantità
riguarda spesso il numero di titoli, non di copie vendute, che se non altro
varrebbero a dimostrare il gradimento dei lettori. Strana vita, quella
del giallo italiano. Ha sempre faticato ad affermarsi, anche perché
quando cominciava a comparire qualche autore che poteva farne la storia,
subentrava o la censura politica fascista o, nel dopoguerra, la ragion
di stato della scarsa redditività.
Furono i romanzi di Giorgio Scerbanenco pubblicati da Garzanti e soprattuttto
la mondadoriana "Donna della domenica" di Fruttero e Lucentini (trent'anni
compiuti in questi giorni) a "sdoganarlo" dalle edizioni economiche. Gli
editori cominciarono a crederci tanto da pubblicarlo nelle collezioni rilegate,
mandando in libreria gialli di forte impegno sociale come "La mazzetta"
di Attilio Veraldi (Mondadori, ora riedita da Avagliano), "Il caso Montecristo",
di Enzo Russo (Mondadori), "Le piste dell'attentato" di Lorano Macchiavelli
(Garzanti).
Da quegli anni, il genere cosiddetto all'italiana è andato indubbiamente
fiorendo. E anche se di alcuni autori pubblicati un po' sconsideratamente
nella corsa al nostro giallo si è persa la memoria, altri sono rimasti
e altri sono nati. Si diceva un tempo che nella narrativa la figura dell'investigatore
privato di casa nostra era risibile, visto lo scoraggiante panorama di
professionisti del ramo che avevamo sotto gli occhi. Oggi Diabasis pubblica
due romanzi con un investigatore come protagonista, "Il nido dei gabbiani"
e "La campana di Rivera". E chi li ha scritti è Daniele Genova,
di mestiere investigatore privato lui stesso. Tuttavia, malgrado il cammino
percorso, in qualche modo il giallo italiano dà ancora la sensazione
di procedere timidamente, come alla ricerca di una sua strada originale.
"In Italia, il genere poliziesco ha dovuto confrontarsi con lo Stato,
con la storia", sostiene Laurent Lombard, italianista alla Sorbona di Parigi.
"Questa lotta corpo a corpo, questo rapporto odio-amore è stato
fatale nelle ricadute che ha avuto". Lombard sottintende che fra i giallisti
italiani esiste un diffuso pessimismo indotto, che impedisce loro di credere
nella giustizia.
Forse il discorso è assai più complesso. Pare al contrario
che i nostri scrittori "vogliano" credere nella giustizia, anche se spesso
per descriverla, e forse per renderla credibile, scelgono di ambientare
i loro romanzi nel passato. Come spesso fa Carlo Lucarelli: come ha fatto
Marcello Fois in alcuni romanzi, fra i quali "Sempre caro" (Frassinelli-
Il Maestrale); come fa Danila Comastri Montanari, che oltre ad ambientare
le sue vicende nell'antica Roma colloca nel Settecento "la campana dell'arciprete"
(Garzanti). O, per esaminare gli ultimi gialli usciti, come fa Marco Vichi,
del quale Guanda ha appena pubblicato "Il commissario Bordelli", romanzo
ambientato nel 1963 (quanta malizia ha messo, questo toscano, nello scegliere
il nome del suo protagonista?); o come fa Leonardo Gori nel suo "I delitti
del Mondo Nuovo" (Hobby & Work), ambientato in un'oscura Firenze settecentesca.
Salvo poche eccezioni, possiedono un'altra caratteristica comune, i
nostri gialli (anche i numerosi non nominati qui): hanno come protagonista
un galantuomo, per lo più poliziotto o ex carabiniere, che persegue
un suo concetto di giustizia ed è incorruttibile (con la romantica
idea sottintesa che la mela sana possa ridare salute al cesto di mele marce).
In altre parole, non esiste il noir, quello vero, quello che racconta la
disperazione, che non fa differenza fra giusti e ingiusti e vede la morte
solo come liberazione. Come faceva un tempo Cornell Woolrich (Mondadori),
come fanno Andrew Vachss (Sperling e Kupfer) e soprattutto il James Ellroy
di "I miei luoghi oscuri" (Bompiani).
Ma spesso i nostri giallisti possiedono una capacità rara nel
panorama del romanzo di genere internazionale, una capacità à
la Durrenmatt e viene fatto di pensare ad Andrea Camilleri, autore principe
di Sellerio, a Loriano Macchiavelli, ora mondadoriano, a Massimo Carlotto,
lo scrittore ribelle di e/o: il finale dei loro romanzi può
sembrare consolatorio, e invece suggerisce che la verità non
sta lì, nella scoperta del colpevole, ma sta altrove, tanto lontana
da risultare imprendibile.
Laura Grimaldi
La Stampa - Tutto
Libri, 9.2.2002
I figli della domenica
DEGLI SCRITTORI ITALIANI CHE SI SONO POSTI SULLA SCIA DEI DUE MAESTRI
USANDO LA PROPRIA CITTA´ COME PALCOSCENICO
SIAMO tutti «figli della domenica». Ecco una di quelle perentorie
affermazioni che non ammettono repliche e che provocano l´orticaria
ai nostri due autori. I quali scrissero «La donna della domenica»,
della quale festeggiamo i trent´anni di vita in un sistema editoriale
nel quale i libri vivono in media tre settimane, per reazione a un´altra
frase che per di più intendeva prescrivere un obbligo: «D´ora
in avanti non si potrà più scrivere un romanzo che inizi
con la frase La marchesa uscì alle cinque». I moschettieri
del Gruppo ´63 intendevano mettere al bando un modello di scrittura
romanzesca nella quale l´autore è un dio pantocratore, che
tutto vede e tutto sente, compresa la capacità di leggere i pensieri
dei suoi personaggi. Ma noi lettori di romanzi è proprio questo
che vogliamo. A proposito di incipit: «La donna
della domenica» iniziava così: «Il martedì
di giugno in cui fu assassinato, l´architetto Garrone guardò
l´ora molte volte». Non vi ricorda qualcosa? Apriamo «Cronaca
di una morte annunciata» e leggiamo le prime righe: «Il giorno
che l´avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del
mattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo».
Il libro di Gabriel García Márquez arriva nove anni dopo
«La donna della domenica»; vogliamo iscrivere anche lui all´anagrafe
dei figli della domenica? «Siamo tutti figli della domenica»:
da un primo e sommario regesto compilato due anni or sono durante il Festival
di Cattolica risultò che, ad aver pubblicato almeno un giallo italiano,
eravamo più di duecento. Se fossimo una nazione guerriera potremmo
dare vita al «Battaglione Fruttero &
Lucentini» e se mai si farà mi candido per l´incarico
di ufficiale topografo. Entriamo nella mappa. «La donna della domenica»
dimostrò che era possibile allestire una commedia attorno a un delitto
e alla conseguente ricerca dell´assassino. E´ sufficiente spostare
il baricentro della narrazione da «La cosa in sé», come
recita il titolo di un lavoro teatrale di F.&L., ai discorsi e ai commenti
che l´evento suscita nella società il cui ordine apparente
è stato scompigliato dal delitto. In principio, e alla fine, c´è
la parola. «La donna della domenica» inizia con una discussione
sull´esatta pronuncia di «Boston» e termina con la corretta
interpretazione di un vecchio proverbio piemontese, «La cattiva lavandaia
non trova mai la buona pietra». Il delitto inteso come conversation
piece. Sembra facile, ma per allestire quel delizioso teatrino bisogna
possedere il loro orecchio assoluto per i tic linguistici, avere la pazienza
dell´artigiano della penna che esplora i vari ambienti per riprodurli
con quel lieve falsetto che diverte il lettore ma contemporaneamente gli
fa esclamare: «E´ proprio così!». E poi ci vuole
una visione del mondo e della società superiore, ironica, disincantata,
propria di chi, avendo visto e letto molto, sa che la natura umana non
si cambia, che i vizi e le vanità sono il grande motore del mondo.
Agli antipodi non solo del fanatismo ideologico ma anche delle cupe, truci
e angosciose ambientazioni «noir» di chi aspira a sondare gli
abissi dell´animo umano partendo da scene di bassa macelleria. Alla
domanda: «Che cos´è il Male?», F.&L. risponderebbero
con un sospiro: «E´ già così difficile sistemare
in modo corretto le posate sul piatto dopo aver mangiato...». In
questa direzione il figlio della domenica che è stato più
fedele al modello mi sembra essere il torinese Gianni Farinetti con i tre
romanzi scritti finora, tutti pubblicati da Marsilio, in particolare il
primo «Un delitto fatto in casa» e il terzo «Lampi nella
nebbia» (con le pagine dedicate al funerale
del cavalier Balbiano), essendo il secondo, «L´isola che
brucia», ambientato a Stromboli. Rileggendo «La donna della
domenica» ti viene il dubbio che il vero oggetto dell´indagine
non sia l´assassino ma Torino. Sarà un´osservazione
banale ma bisogna pur farla dal momento che sull´identificazione
dell´autore con la città di elezione F.&L. hanno colpito
duro e lasciato il segno. E anche lì: non è sufficiente nominare
correttamente vie, palazzi e monumenti, come fa il pur bravo Renato Olivieri
con le indagini del suo commissario Giulio Ambrosio che inizia la sua vicenda
editoriale nel ´78 con «Il caso Kobra» (Rusconi editore);
bisogna annusarla la città, percorrerla, entrare nei cortili, saper
leggere nel palinsesto urbano le tracce abrase dei tanti passaggi che si
sono succeduti nel tempo. Nel corso di un´intervista F.&L. definirono
Giulio Einaudi «un grande arredatore», ma la loro bravura nell´arredare
gli interni torinesi (la casa di via Peyron dove vive l´architetto
Garrone con la madre e la sorella) è inarrivabile. L´elenco
dei figli della domenica che si sono identificati con la loro città
è lungo e sicuramente incompleto. Per Milano abbiamo, nel ´74,
Antonio Perrìa («Incidente sul lavoro») con il commissario
Saro Madonna che esplora la corruzione politica e sociale. Arriva poi Secondo
Signoroni con
«Commissario di zona» del ´76 e soprattutto con «Testimonianza
d´accusa» del ´78 dove si affaccia il maresciallo della
squadra narcotici Valenziano Valentini, detto «Il Grigio».
Ultimo nato tra i milanesi figli della domenica Andrea G. Pinketts che
vede la luce nel ´94 con «Il vizio dell´agnello»
edito da Feltrinelli. Passando alla città di Bologna, Loriano Macchiavelli
mette al mondo il Sarti Antonio nel ´74 con «Le piste dell´attentato»,
edito da Campironi. E´ di questi giorni la sedicesima avventura del
nostro eroe con «I sotterranei di Bologna», Mondadori. Non
possiamo ripartire da Bologna senza nominare il proteiforme Carlo Lucarelli
il quale con il suo Marco Coliandro esplora le contraddizioni della città
rossa con «Falange armata» del ´93 e «Il giorno
del lupo» del ´94. Roma è stata raccontata, a iniziare
dal
´73, da una coppia di ferraresi trapiantati nella capitale, Massimo
Felisatti e Fabio Pittorru, con le sei storie di «Qui squadra mobile»,
Garzanti editore, nate per la televisione ma totalmente rivisitate per
la pagina scritta. Nel ´76 Enzo Russo scese sulla scivolosa pista
romana con «Il caso Montecristo», Mondadori. Su Roma ha puntato
lo sguardo anche Corrado Augias con «Una ragazza per la notte»
e «Quella mattina di luglio». Il singolare «Donna da
Quirinale» è stato scritto in coppia con Guido Almansi. Attilio
Veraldi, noto fino a quel momento come ottimo traduttore, rivelò
la sua vena narrativa sulla città di Napoli con «La mazzetta»,
pubblicato nel ´76 da Mondadori e molto opportunamente ristampato
da Avagliano insieme a «Naso di cane». Nel ´93 esce da
Mediolibri, firmato con lo pseudonimo Nicola
Calata, un romanzo rivelazione, «Pericle il Nero», ristampato
da Adelphi con il nome vero dell´autore, Giuseppe Ferrandino. Scendiamo
ancora più a Sud e a Palermo troviamo l´insegnante Lorenzo
Lamarca che, per la penna di Santo Piazzese, indaga su «I delitti
di via Medina Sidonia», 1996, Sellerio editore. Lo stesso editore
ma non più Palermo bensì Porto Empedocle, la spiaggia di
Agrigento, meglio conosciuta come Vigata, è il teatro delle indagini
del commissario Montalbano. Il meritato successo di Andrea Camilleri è
il fenomeno editoriale di questi ultimi anni ed è anche lui un figlio
della domenica, nel senso che i lettori erano stati preparati ad accoglierlo
dal lavoro di F.&L. Non sempre è necessaria una metropoli per
diventare figlio della domenica. Può andare bene anche la Padova
dell´«Alligatore» di Massimo Carlotto, o la Nuoro della
trilogia di Marcello Fois, «Ferro rovente», «Meglio morti»,
«Dura Madre», tutti in Stile Libero di Einaudi. Tornando nella
Torino da cui siamo partiti, constatiamo che è la città dove
più rigoglioso è fiorito il culto dei santi patroni F.&L.
Un anno dopo «La donna della domenica» ci provano
Riccardo Marcato e Piero Novelli con «Il commissario di Torino»
e nel ´75 ci riprovano con «Dossier Pautasso». Nel ´77
è la volta di Massimo Felisatti il quale, in temporaneo permesso
sia da Roma che dal suo abituale compagno di scrittura, firma, in coppia
con l´autore della presente scheda «La nipote scomoda»,
Mondadori. Il sullodato compilatore si azzarderà anni dopo a firmare
da solo due gialli torinesi pubblicati da Garzanti, «Torino lungodora
Napoli» e «Tutte le scuse sono buone per morire». A Torino
un raffinato libraio editore darà vita a una collana, I gialli di
Fogola, dove troviamo tra gli altri il commissario Martini di Gianna Baltaro,
che compie le sue indagini negli anni del fascismo. Ancora più indietro
nel tempo andrà Pierluigi Berbotto con il suo «Concerto rosso»,
Mondadori. Piero Soria, con «Cuore di lupo» e «La donna
cattiva», ha dato un respiro sempre maggiore a una sua aspra Torino,
facendola vibrare in sintonia con il commissario Lupo Lupo, un personaggio
che cresce di romanzo in romanzo. L´identificazione di una città
con il suo autore arriva talvolta a diventare assoluta. Durante un convegno
a Rimini un tale si presentò come «il giallista di Cesenatico»,
come se ogni Comune, in virtù di una provvida legge, avesse diritto
di stipendiare, oltre al medico
condotto, anche il suo giallista. Non sempre i figli assomigliano ai
padri, anzi quasi mai. Ma non per questo cessano di essere figli. Jean
Pierre Richard inizia un suo saggio esclamando: «Quanto si mangia
nei romanzi di Flaubert». Da Fruttero e Lucentini non si mangia.
I loro personaggi si siedono a tavola per conversare, indifferenti a ciò
che troveranno nei piatti. I figli della domenica invece mangiano, eccome.
Il cibo occupa il secondo posto, dopo la ricerca del colpevole, nella classifica
dei pensieri dominanti e qualche volta è anche il primo, vero commissario
Montalbano? Siamo tutti figli della domenica: spesso ci siamo sentiti rivolgere
una rude domanda: «Credi forse di essere Fruttero e Lucentini?».
E noi, a imitazione di Woody Allen al quale un amico dice: «Credi
forse di essere Dio?», rispondevamo: «A qualcuno devo pure
ispirarmi».
B.Gambarotta
Diario, anno VII, n.6,
(in edicola il 8.2.2002)
La libreria che sopravvive grazie a Montalbano.
Milazzo. <Io e Camilleri>. Potrebbe essere il titolo del romanzo
della vita di Paolo Filoramo, quarant'anni trascorsi dietro il bancone
della sua libreria di Piano Baele, a Milazzo. Pochi metri quadrati pieni
di scaffali, unica oasi per gli amanti della lettura: le altre librerie,
nel tempo, sono state costrette a chiudere.
Paolo Filoramo, invece, ha resistito. Lui e Camilleri. Negli ultimi
sette anni la libreria Filoramo ha venduto 10 mila copie dei libri dell’
autore siciliano. Al punto da ricevere, qualche tempo fa, una lettera di
ringraziamento dallo scrittore. «Ho saputo della grande stima nei
miei confronti, nata già prima del mio successo, con i miei primi
libri; e della "scommessa" fatta coraggiosamente su di me e sul riconoscimento
che tali libri avrebbero dovuto ricevere. Cosa posso dirle? Ne sono commosso.
Chissà se allora -più regista che scrittore, e in cerca della
mia maniera di raccontar storie- io stesso avrei potuto credere alla sua
"preveggenza"? Ne dubito, anche se chiunque scriva non può che riporvi
la speranza di essere letti, capiti e apprezzati».
Quando il papà di Montalbano era sconosciuto, Filoramo vendeva
centinaia di copie. «Conservo gelosamente la prima stampa di Un filo
di fumo, il primo romanzo uscito da Garzanti. I meriti non sono tutti miei,
ma di tre professori del Liceo scientifico di Milazzo: Mimmo Mirabile,
Lina Rizzo e Dario Russo che mi fecero scoprire Il birraio di Preston,
La forma dell'acqua e Il cane di terracotta».
G.C.
La Stampa, 8.2.2002
DESDERI RACCONTA IL SUO PRIMO FESTIVAL A PARMA
C´è anche Camilleri nel regno di Verdi
PARMA Dal Regio di Torino al regno verdiano e toscaniniano di Parma
il passo è stato breve, ma il distacco emotivamente forte, anche
se nella nuova veste di consulente del primo festival di Parma, gli è
di stimolo l´onnipresente immagine di Verdi. Claudio Desderi, in
poco più di un mese, ha fatto appello ai suoi amici-artisti, ha
avuto il loro «sì» e organizzato il «Festival
Verdi 2002» che si aprirà ufficialmente il 19 maggio e si
concluderà il 23 giugno in tre spazi canonici: il Regio, l´Auditorium
Paganini e il Teatro Padiglione Palacassa.
[...]
«... lo scrittore siciliano Andrea Camilleri avrà una
serata tutta sua per commentare i libretti verdiani e sarà accompagnato
dal Gruppo di Ottoni del Parma Opera Ensemble».
[...]
Armando Caruso
RAI1, 6.2.2002
Il fatto
Andrea Camilleri e Antonio Tabucchi, ospiti del programma di Enzo Biagi,
hanno ripetuto pirsonalmente di pirsona quanto già dichiarato (e
riportato dalla stampa) sulla loro decisione di non partecipare al Salon
du Livre come componenti della delegazione "governativa" italiana.
Qui Touring,
2002
Corso Italia
9 e 10 marzo. In provincia di Ragusa: i luoghi di Andrea Camilleri
Itinerario ispirato a Montalbano, il personaggio più noto dello
scrittore. I paesi della costa, le cattedrali barocche, i paesaggi suggestivi.
Con i consoli di Palermo.
Informazioni: tel. 091.524450
Corriere della sera,
5.2.2002
ANNIVERSARIO. Il 23 febbraio «giorno della legalità»
Lo hanno definito «il giorno della legalità» per
ricordare il decimo anniversario di Mani pulite e affermare che «la
questione morale è fondamentale in uno stato di diritto».
Con questo spirito intellettuali, parlamentari, esponenti della società
civile hanno organizzato sabato 23 febbraio, al Palavobis di Milano, una
manifestazione per ricordare il decimo anniversario dall’arresto di Mario
Chiesa e l’inizio dell’inchiesta. Fra le personalità che hanno già
aderito Roberto Benigni, don Luigi Ciotti, Furio Colombo, Andrea Camilleri,
Antonio Tabucchi, Paolo Sylos Labini. Potrebbe «saltare», invece,
il comizio organizzato da Antonio Di Pietro a Cosenza per l’anniversario
di Mani pulite: l’amministrazione del sindaco Giacomo Mancini ha negato
l’utilizzo della piazza.
Giornale di Sicilia, 5.2.2002
De Giorgi parla ai carabinieri: "Giustizia ma pure perdono"
La conferenza. L'intervento del cardinale alla caserma "Bonsignore"
Anche quest'anno, un ciclo culturale per gli ufficiali del comando regionale
dei carabinieri: ieri pomeriggio, primo appuntamento nei locali della caserma
Bonsignore, con una conferenza del cardinale Salvatore De Giorgi sul tema
"Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono".
E' solo il primo di una serie d'incontri con autorità religiose,
civili e militari per aprirsi a personalità di rilievo ed "uscirne
migliorati", ha affermato il generale di Brigata, Carlo Gualdi, comandante
della Regione carabinieri Sicilia, davanti ad un parterre d'eccezione:
57 ufficiali, presidente della Regione, prefetto, questore e sindaco ed
alcuni magistrati come Carlo Rotolo, Salvatore Celesti e Giovanni Puglisi.
[...]
Tra i prossimi incontri del ciclo culturale, quello con lo scrittore
Andrea Camilleri.
Filippo Pace
Il Gazzettino,
5.2.2002
I DELUSI. Artisti e intellettuali: in molti si dicono "morettiani"
Roma. I delusi dall'Ulivo - tra intellettuali, scrittori, artisti, attori
e affini - sono tanti, tantissimi. Detestano il pavido Fassino e la sua
esangue leadership diessina, trovano Rutelli inconsistente, inutile e aspettano
come un messia Romano Prodi da Bruxelles. Da Andrea Camilleri ad Alba Parietti,
da Michele Santoro a Mario Monicelli, da Gigi Proietti a Piero Chiambretti:
tutti si riconoscono in pieno nelle invettive di Nanni Moretti. Ed ecco
sorgere all'opposizione dell'opposizione un nuovo partito, quello dei nomi
e cognomi celebri che, da sempre, simpatizzano con Querce e Ulivi e adesso
guardano con simpatia al «subcomandante» Nanni e il suo sanguigno
sfogo.. Anzi, sostengono che milioni di elettori sono morettiani convinti.
Insomma un partitone di intellettuali, d'accordo, ma con un vasto seguito
di casalinghe, impiegati, comuni mortali. E dunque evviva il regista della
«Palombella rossa» e di «Aprile» che ha scoperchiato
la pentolaccia e che lo ha fatto con tutta la passione della sua lunga
militanza comunista. Ecco Dacia Maraini: «È stato brutale,
d'accordo, ma ha fatto bene».
Eppure, da Platone in poi, la storia insegna che i partiti degli intellettuali
non fanno mai troppa strada e appunto lo ricorda a tutti il filosofo Giacomo
Marramao, che dice: «Dio ci guardi dal partito degli intellettuali!
Semmai ben venga l'intellettuale che dimostra di sapere essere un sismografo
di un'opinione diffusa». Cioè Moretti. La pensa così
anche il presidente della Rai, Roberto Zaccaria: «Moretti ha detto
ciò che la gente pensa». Insomma Moretti non ha parlato da
regista, ma da militante, ha parlato da uomo e da uomo intelligente, che
sa pensare, come dice - replicando a Rutelli - Mario Monicelli. Voci fuori
dal coro, Giovanni Sartori, politologo: «Caro Nanni, strillare è
facile...». Ipercritico è anche un altro regista, Franco Zeffirelli:
«Moretti ha fatto solo il maramaldo».
B.d.V.
RAI1, 4.2.2002
Il fatto
Il nostro amatissimo Sommo è intervenuto al "Fatto" di Enzo Biagi,
su RaiUno, a commento dell'intervento di Nanni Moretti al comizio DS. Alla
domanda di Biagi se fosse ottimista sul futuro dell'Italia Egli ha risposto,
senza remore "Certo che sono ottimista! L'Italia ne ha viste anche di peggio.
Questo (sottinteso governo...) è solo un blackout e si sa che dopo
il blackout torna sempre la luce. Intanto attrezziamoci di candele e torce".
Anna a fiurintina
La
Nuova Sardegna, 3.2.2002
Premio letterario Grazia Deledda le giurie selezionano i vincitori
Camilleri presidente della sezione narrativa ma ci sono anche Lilliu,
Mastino e Paolo Savona
NUORO. Si stringono i tempi per la proclamazione dei vincitori del Premio
letterario nazionale "Grazia Deledda" indetto dalla Provincia. Quattro
le sezioni in gara: narrativa, saggistica, narrativa giovani, e narrativa
in lingua sarda. Il bando è scaduto il 30 novembre dello scorso
anno. Mentre la proclamazione dei primi classificati dovrebbe avere luogo,
stando alla programmazione degli organizzatori, nel maggio prossimo. Le
commissioni giudicatrici stanno lavorando a pieno ritmo per rispettare
la data dell'importante appuntamento della città con la cultura.
Si tratta, dopo trent'anni di silenzio, della prima edizione degli
anni Duemila. Istituito dall'Ente provinciale per il turismo nel 1952,
il Premio, che aveva cadenza biennale, andò avanti, con alterne
fortune, fino al 1972. Anno in cui l'amministrazione comunale tentò
di sostituirsi all'Ept, bandendo il solo premio di saggistica, sul tema:
" L'avvenire della Sardegna: scelta dei valori". Fu un vero e proprio flop.
Per cui l'iniziativa venne definitivamente accantonata.
A rilanciare l'idea del Premio letterario è stata, lo scorso
anno, l'amministrazione provinciale, e per essa l'assessore alla cultura
Tonino Rocca. Assicuratosi il supporto degli altri enti istituzionali cittadini,
insieme alla collaborazione degli intellettuali, il Premio è ripartito
tra l'entusiasmo dei componenti dello speciale comitato, costituito ad
hoc, ed il plauso dei nuoresi, alla luce del rinnovato interesse all'estero
per la scrittrice nuorese, alla quale nel 1927, a Stoccolma, è stato
assegnato il premio Nobel per la letteratura.
Complessivamente sono state presentate 458 opere, così distribuite:
213 per la narrativa; 116 per la saggistica (più 14 relative alla
sottosezione per gli studi deleddiani); 64 per la narrativa giovani; 51
per la narrativa in lingua sarda. Il successo partecipativo maggiore è
stato registrato, come d'altra parte era facilmente prevedibile, dalla
narrativa in generale, e immediatamente dopo dalla saggistica.
Le sezioni dove i concorrenti hanno segnato il passo sono state quelle
della narrativa riservata ai giovani nati in Sardegna che, alla data di
scadenza del bando relativo alla partecipazione, non dovevano aver superato
i 39 anni di età. Pochini, appena 54, anche coloro che hanno preso
parte alla sezione per la narrativa in lingua sarda, nonostante il premio
sia riservato a opere edite e inedite. Segno che (nonostante le battaglie
per la difesa "de sa limba", che le è valsa l'approvazione dal consiglio
regionale, per la sua tutela e valorizzazione, di un'apposita legge), non
ci sono molti cultori. Ciò in ragione del fatto che in seno alla
scuola e alle famiglie, sia che vivano in città come nei paesi,
non si parla più la lingua madre. La cultura multimediale, infine,
ha fatto il resto.
C'è da dire, inoltre, che il monte premi in denaro fissato dall'amministrazione
provinciale, se non è cospicuo è oltremodo accettabile. Considerato
che al vincitore della sezione narrativa vanno 7,5 mila euro (15 milioni
di lire) e 2,5mila euro (5 milioni) al secondo classificato. Così
come per il primo e il secondo della sezione saggistica, più 5mila
euro (10 milioni di lire) al vincitore della sezione relativa agli studi
deleddiani. Per la narrativa giovani, invece, è in palio solo il
primo premio, pari a 7,5mila euro (15 milioni). Di uguale importo, infine,
è il premio per il vincitore del premio di narrativa in lingua sarda.
E' importante, comunque, che il sito del premio Deledda sia stato pubblicato
su altri portali nazionali, tra i quali su: "Google", "Altavista", "Lycos",
"Excite", che sono i più potenti motori di ricerca al mondo, oltre
che da "Yahoo" (portale internazionale quotato in borsa negli Stati Uniti)
e su riviste Internet specializzate.
In questo modo, indirettamente, è stata fatta una grande pubblicità
a Nuoro e alla Sardegna, insieme ad una conoscenza più approfondita
della scrittrice e delle sue opere. L'iniziativa ha fatto registrare l'interesse
di un gran numero di Paesi: le Americhe, Germania, Svizzera, Francia, Canada,
Inghilterra, Spagna, Irlanda, Olanda, Finlandia, Svezia, Malta e Arabia
Saudita. Così come da parte delle università: del New Jersey,
di Toronto, di Pittsburg, di Huston, dell'Illinois, della Florida, dell'Oregon,
di New York, del Wiscousin, del Kansas e di Parigi. Senza contare, ovviamente,
quelle italiane.
Una parte del grande interesse al Premio "Grazia Deledda" lo si deve,
in una qualche misura, allo scrittore siciliano Andrea Camilleri, presidente
della commissione per la narrativa. Autore lettissimo e stimatissimo, da
qualche anno sulla cresta dell'onda per il personaggio relativo all'ispettore
Montalbano, di cui è stata presentata in televisione un lunga serie.
Lo scrittore, nell'accettare l'incarico di presiedere la commissione
della più importante sezione del Premio letterario nazionale bandito
dalla Provincia, si è detto onorato di accettare una presidenza
così prestigiosa, complimentandosi con la Provincia e il comitato
organizzatore «per la scelta di ripristinare una iniziativa letteraria
importante, e con essa tributare un omaggio al nome di una scrittrice che
tiene alto il valore delle Lettere in un paese sempre più dimentico
anche delle parole più elementari».
Parole apprezzamenti che suggellano l'importanza del Premio letterario
nuorese ritrovato. E quel che dà più soddisfazione e prestigio
per merito di una città che, nell'ambito delle politiche culturali,
ha sempre avuto un grande ruolo, fino a meritare, senza retorica, l'appellativo
di Atene Sarda.
La Repubblica,
ed. di Palermo, 3.2.2002
Quando arriverà l'Illuminismo in Sicilia?
Il dibattito apertosi su "Repubblica" a proposito di Palermo e della
Sicilia su architettura, orgoglio siciliano, meglio o peggio oggi di ieri,
mi pare porti sempre alla stessa domanda che prepotente si forma leggendo
e rileggendo la storia della Sicilia, quella senza fronzoli e salamelecchi
di turno. Ma quando arriverà l'Illuminismo a Palermo e in Sicilia?
Come ben si sa, il vento del Nuovo si fermò al di là
del faro per colpa di una malpreparata spedizione di Murat che ringalluzzì
i nobili siciliani contenti di tenersi un re che poi gli fece pagare il
conto. Tutto quindi restò fermò: non mutò il bel mondo
siciliano dove i nobili vivevano ancora in regime di feudalesimo e i borghesi
diventavano nobili per non far più nulla. Al contrario di altre
illuminate borghesie italiane. E non mutò nulla nemmeno il secolo
appresso con il Risorgimento che qui fu solo una annessione. Vero è
che nel corso di quest'ultimo secolo abbiamo avuto i migliori rappresentanti
del pensiero illuminista, da Pirandello a Sciascia, da Verga e non si agitino
i puristi a Camilleri. Ma tutto ciò si è limitato alla cultura,
a quella esigua fetta di intellettuali che hanno agito come il Grillo Parlante
nella favola di Pinocchio.
Con le dovute eccezioni, ciò non è avvenuto nell'economia
(Florio non è certo un esempio, anzi, divenuto nobile, si fece sopraffare
da quel «dolcissimo ma fottuto ambiente»), non è avvenuto
in politica e soprattutto, tra la gente. Con una recente e importante parentesi:
il dopo stragi. Quella reazione emotiva è frutto non solo della
rabbia ma soprattutto dalla presa di Coscienza, e quindi della Ragione,
da parte di un popolo la cui maggioranza è formata, però,
dalla parte «accomodante» e che alla fine si è sentita
tradita dalla troppa e sospetta voglia di normalità.
Quella esplosione, però, se non sarà bacata dal ritorno
al peggio, va forse paragonata al primo salto dei tre previsti nel salto
triplo. A questo punto, occorre anche precisare alcune cose palermitane.
A esempio, la querelle sullo stato igienico della città: forse è
bene ricordare che alcuni viaggiatori scrissero di Palermo come la città
più pulita al mondo (risale a troppo tempo fa, purtroppo), se non
lo è più un motivo ci sarà? Se la classe dirigente
siciliana o palermitana non ha prodotto e stimolato una architettura di
stile o in stile probabilmente lo si deve al fatto che alla «vera
classe dominante» in quel settore, la mafia, poco importava dello
stile ma più di cemento e cubature.
Insomma, tutto porta alla stessa domanda: ma quando arriverà
l'Illuminismo in Sicilia? E, mi si permetta sempre con le dovute ma esigue
eccezioni quando avremo politici che fanno dell'Illuminismo il Verbo? E
quando borghesia o imprenditoria faranno lo stesso? Mi piacerebbe sapere
dai maitre à penser, dai docenti, dagli imprenditori e dagli stessi
politici se loro conoscono la risposta e se possono indicare una data,
anche approssimativa. E mi piacerebbe sapere da chi governa oggi - perché
questa non è una questione partitica o di schieramenti ma riguarda
il nostro Dna - sapere se loro hanno aperto o meno le finestre. Attendo
risposta.
Filippo D'Arpa
l'Unità, 1.2.2002
Giustizia, quando l'Italia era un esempio
(Estratto del dialogo fra Andrea Camilleri e Carla Del Ponte, dal numero
1/2002 di MicroMega)
Il Venerdì di Repubblica,
1.2.2002
Su MicroMega
"MicroMega" in edicola da domani è interamente dedicato a "Mani
Pulite, dieci anni dopo". Tre noti scrittori dialogano con tre magistrati
protagonisti di quella stagione: Antonio Tabucchi e Francesco Saverio Borrelli;
Andrea Camilleri e Carla Del Ponte; Carlo Lucarelli e Antonio Di Pietro.
Polemicissimo il confronto tra Piercamillo Davigo e Giuliano Ferrara.
Gherardo Colombo discute con due esponenti del movimento no-global: il
prosindaco di Venezia Gianfranco Bettin e Omid Firousz, giovane leader
delle occupazioni liceali. Completano il volume gli articoli di Marco Travaglio
("I voltagabbana") e Guido Rossi ("L'antitrust di Mani Pulite") e una cronologia
di Paolo Biondani.
Ad aprire il numero un saggio sulla vicenda Mani Pulite di Paolo Flores
d'Arcais, filosofo e direttore della rivista.
Il Venerdì anticipa ampi brani dell'intervista di Lucarelli
a Di Pietro. |