Sette (inserto del Corriere della sera), 28.2.2002
Quelli che non girotondano

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Ed è nato così quello che "Il Foglio" ha chiamato "il partito dei girotondini". Quello di coloro, cioè, che credono che sia la piazza il nuovo lavacro rigeneratore, e che sia l'opposizione durissima l'unica via per dare la spallata a Silvio Berlusconi. Militanti e cittadini che come il direttore dell'Unità Furio Colombo sostengono: "Facciamo in modo che l'indignazione irrompa nelle nostre vite, indignarsi è l'unico modo per riconquistare dignità".
Ne fanno parte professori come Francesco Pardi e Paul Ginsberg, scrittori come Lidia Ravera e Andrea Camilleri, attori come Moni Ovadia.
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Così, in parallelo (e in contrapposizione) con questo movimento ne è sorto anche un altro, meno visibile, però non meno agguerrito: quello di chi sotto l'Ulivo non si adegua all'onda, quello di chi si "trattiene".
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C'è poi il manipolo di intellettuali che hanno aderito all'appello di Erri De Luca, lo scrittore dal passato ultrasinistro che invece di schierarsi con i Camilleri ha sentenziato:"Prima di tutto viene la politica, basta con i Nanni e le ballerine".
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Matteo Bandiera
 
  

Gazzetta del Sud, 27.2.2002
Lo scrittore cileno presenta a Roma il suo primo film, «Nowhere»
Sepulveda: un apologo della libertà
Tra gli interpreti Harvey Keitel e Angela Molina
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«Il mio primo shock emozionale – afferma Sepulveda – me lo ha dato “Miracolo a Milano”. Il cinema italiano è stato decisivo nella mia formazione. Così come in letteratura il più grande per me è Cervantes e poi mi piacciono Soriano, Hemingway, Sciascia, Calvino e tra i contemporanei Camilleri, Tabucchi, Saramago».
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Marco Neri
 
 

Il Messaggero, 26.2.2002
LA VALNERINA SI PREPARA ALLA BELLA STAGIONE
Vallo di Nera, la terra dei racconti

VALLO DI NERA - E' Vallo di Nera uno dei primi comuni della Valnerina che si incontrano passando sotto il traforo di Forca di Cerro, l'infrastruttura viaria che da circa cinque anni unisce la via Flaminia alla zona più montana dell'Umbria. E' per questo che il comune di Vallo di Nera, con il suo arroccamento medievale, le case in pietra, la suggestiva chiesa di S. Maria e le sue tradizioni, è un biglietto da visita della Valnerina per i turisti alla ricerca di esperienze culturali, ambientali ed eno-gastronomiche. Consapevole di questo ruolo, Vallo di Nera si sta preparando all'arrivo della bella stagione dotandosi di un nuovo look nell'arredo urbano e nella segnaletica turistico-informativa, ma anche predisponendo la seconda edizione de "La terra dei racconti", una interessante iniziativa che lo scorso anno ha avuto 
un buon successo di pubblico e di critica. "La terra dei racconti" è un viaggio nel tempo teso a salvaguardare la tradizione orale utilizzando anche le moderne tecnologie. Consiste in una rassegna teatrale, in premi letterari, in storie itineranti lungo le vie e fra i piccoli gioielli artistici del territorio di Vallo di Nera, in incontri con alcuni tra i più famosi autori italiani come, ad esempio, Andrea Camilleri o Danila Comastri Montanari, in spettacoli perfettamente in armonia con la sede ospitante. 
«Tra i primi appuntamenti del 2002 - anticipa Agnese Benedetti, sindaco di Vallo di Nera - ci sarà quello del 27 aprile, con "Storie di Corte", uno spettacolo innovativo e interessante che verrà realizzato in collaborazione con l'Assessorato al turismo della Provincia di Perugia e permetterà anche di valorizzare il nostro patrimonio artistico». In attesa che il programma della primavera-estate 2002 venga definito anche nei dettagli, si può raggiungere Vallo di Nera per scoprirne la microstoria, i tesori architettonici e ambientali, ma anche per apprezzarne l'accoglienza ed i piatti locali a base di prodotti tipici e genuini.
Rita Chiaverini
 
  

Corriere della sera, 20.2.2002
Giornata pro Mani Pulite, attesa per Benigni

Dopo Nanni Moretti, anche Roberto Benigni? Paolo Flores d’Arcais se la cava con un ispirato «vorrei evitare di sognare». Ma la speranza che il regista e attore toscano si mischi alla folla di intellettuali ed artisti che aderiranno alla «Giornata della legalità», in programma sabato al Palavobis di Milano, è qualcosa di più di un sogno. E non solo perché il nome del toscanaccio de «La vita è bella» compare al primo posto tra i firmatari del manifesto che dà origine all’iniziativa milanese, ma anche perché dallo stesso clan di Benigni hanno ieri fatto capire che una sua presenza non è affatto esclusa. In ogni caso, il cast di partecipanti si preannuncia nutrito. E l’effetto-Moretti si farà sentire. Perché, come afferma Flores d’Arcais, direttore di «Micromega» e promotore della manifestazione, «la giornata milanese, pur essendo stata ideata tempo fa, si collega inevitabilmente ai nuovi fermenti che si alzano in tutta Italia dalla società civile». A testimoniare la loro solidarietà all’intera magistratura e in particolare al pool Mani Pulite, «contro i tentativi del governo Berlusconi di stravolgere lo Stato di diritto», saranno Sabina Guzzanti (con un monologo), Andrea Camilleri, don Ciotti, Antonio Caponnetto, Antonio Tabucchi (in collegamento da Parigi). Attesi inoltre Fo e Franca Rame, l’ex presidente Rai Zaccaria, Sylos Labini, Luttazzi, il professore fiorentino Pardi, la Pivano, Ginsborg e altri ancora.
 
 

Il Messaggero, 20.2.2002
IL CONVEGNO DS DI VENERDI
Moretti indigesto, intellettuali in ordine sparso
Tabucchi non va, Eco sì, Scola defilato, Foa incerto

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Non ci saranno gli scrittori Antonio Tabucchi, Vincenzo Consolo e Andrea Camilleri, considerati la punta di diamante della cattiva coscienza della sinistra.
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Claudia Terracina
 
     

Corriere della sera, 14.2.2002
CASES Il professore che risolve il giallo
INTERVISTA Il germanista, a Bari per la laurea ad honorem, parlerà di un genere minore diventato la forma più diffusa del romanzo: da Gadda a Eco, da Simenon a Camilleri

FIRENZE - Cesare Cases e il giallo? Niente di più apparentemente paradossale. Il critico marxista che in occasione di una laurea ad honorem (la riceverà in marzo a Bari) parlerà di un genere di consumo per eccellenza, borghese per nascita. Niente di più paradossale: il grande germanista, studioso di Lukács, Mann, Musil e Brecht, alle prese con Agatha Christie. Eppure è proprio così. Cases, a 82 anni suonati, raggiunge a piccoli passi la sua poltrona preferita, in una sala che guarda gli ulivi della collina fiorentina, per rivelare una sua antica passione.
«Sono partito dall’amore per Agatha Christie. Per me i suoi romanzi sono esempi tipici del giallo, poiché contengono tutti i requisiti del genere».
Quali sono questi requisiti?
«Primo: un assassino capace di intendere e di volere. I delinquenti patologici appartengono a un’altra categoria. Secondo: l’assassino viene individuato da vari indizi coordinati da un detective che non fa sempre parte della polizia, spesso ne ironizza i metodi e in genere non è sposato. Terzo: il detective entra nella logica del delinquente e la intende appieno. Quarto: c’è una società omogenea, in cui chiunque può essere l’assassino».
Secondo questi criteri, il numero dei gialli veri e propri si riduce di molto.
«Il giallo sembra avere trionfato su ogni altra forma narrativa, anche filmica o televisiva. Se esiste un plot , un intreccio, questo intreccio viene presentato come giallo. La rubrica televisiva Nel segno del giallo in realtà tratta di psicopatici, l’opposto del giallo classico, dove il personaggio ha l’intenzione di nuocere. E’ un vero cattivo».
Colpa del giallo americano?
«Da Hammett e da Chandler in poi, il giallo hard boiled va verso il patologico: è un romanzo di suspense . In certi casi non ci sarebbe neanche bisogno di un detective né di un cadavere. Mentre questo tipo di racconto specula sull’angoscia dell’uomo contemporaneo, il giallo specula sui residui illuministici: il detective compie la sua azione per rischiarare un mistero. Ammetto che i romanzi di Hammett sono meglio scritti e più realistici, ma non c’è più il conflitto tra buoni e cattivi, e il cattivo finisce per essere più buono dei buoni».
A cosa si deve questo cambiamento?
«Indubbiamente il giallo nasce, con Poe, Collins, Wallace e Conan Doyle, dalla coincidenza tra crisi del romanzo e aumento dei lettori. Ma presuppone una borghesia che ha paura di perdere la sicurezza a causa di qualche suo membro moralmente bacato. Alla fine della corsa, poi, c’è sempre un’ingordigia di denaro, che in epoca capitalistica è propria di tutti. A un certo punto però l’orologio della storia si sposta, la società cambia e si impone il giallo americano in cui tutti sono delinquenti salvo (forse) il detective e qualche anima pura. Questo schema però non dura, perché nessuno ha voglia di sentirsi dire che vive in una società delinquenziale. Così, mentre da una parte si torna al giallo classico, dall’altra si procede verso la deresponsabilizzazione del delinquente psicopatico. E’ più facile vivere in un mondo di psicopatici che di delinquenti, anche se il risultato è il medesimo, cioè la morte. E poi c’è un’altra caratteristica».
Quale?
«Nei gialli americani si insinua il criterio della verosimiglianza. Non per niente Chandler rimproverò alla Christie di scrivere libri inverosimili. Si può pure ammettere che nell’ Assassinio sull’Orient Express non c’è verosimiglianza. Ma perché Chandler sottolinea l’improbabilità delle coincidenze, piuttosto che ammirare il fiuto e l’acume di Hercule Poirot?».
Simenon si ispira al genere classico?
«Intanto ha inventato l’unico detective che abbia una moglie, anche se lei si limita ad ascoltarlo. Poi per lui è troppo importante lo sfondo parigino, il plot viene relegato in secondo piano rispetto al clima, all’ambiente».
E oggi, che cosa è rimasto del giallo delle origini?
«Come ultimo residuo del giallo si è conservato il plot, in chiave di suspense o di psicopatologia. E’ il plot a caratterizzare la nostra epoca, in forme fin troppo raffinate anche perché la tecnologia vi si presta. Ma certe raffinatezze tecnologiche a me non piacciono: Kay Scarpetta, la detective della Cornwell, ne è specialista, però c’è un eccesso di trucchi che mi dà fastidio. Comunque è interessante capire come mai il romanzo sia rimasto quasi solo sotto forma di giallo».
Come lo spiega?
«Il giallo classico non ti lasciava dormire, invece ormai la morte è il meno che possa capitare e il lettore non ha niente in contrario che qualcuno venga fatto fuori. Anzi la morte finisce per riabilitare l’individuo a posteriori. A me non piace che solo la morte riesca a premiare un individuo. E’ immorale, ipocrita».
Esiste un giallo all’italiana?
«Grazie alla competenza di Sciascia, la Sellerio ha pubblicato molti gialli: Rex Stout, Holiday Hall, Collins, Hammett, Glauser e tanti altri. Tra gli italiani, oltre a Camilleri, c’è Augusto De Angelis, con Il mistero delle tre orchidee. De Angelis (1888-1944) è il primo giallista italiano importante, il padre di quell’eccezionale commissario-intellettuale che è De Vincenzi. Ciò non significa che abbia inventato il giallo all’italiana, ma che da romano ha ambientato a Milano motivi e personaggi propri della narrativa anglosassone. All’italiana eventualmente sono le difficoltà che egli ha dovuto affrontare: il regime fascista infatti non aveva simpatia per un genere fondato sull’assassinio e che metteva in dubbio l’onnipotenza della polizia. Ma diciamo che in genere i nostri giallisti, per esempio Scerbanenco, applicano 
all’ambiente italiano le formule del giallo classico».
Il giallo di Gadda?
«Il Pasticciaccio è troppo aperto per rientrare nella categoria. E poi Gadda, come Sciascia, è troppo grande per essere un giallista».
Eco?
« Il nome della rosa è noiosissimo, troppo lungo. Come giallo non tiene. Solo leggendo L’isola del giorno prima ho capito che Eco è davvero uno scrittore».
«La donna della domenica»?
«Troppo lungo e complesso».
Camilleri?
«Mi è simpatico politicamente, ma da buon milanese faccio fatica a leggerlo».
 
 

Corriere della sera, 12.2.2001
Sì al modello-Moretti, girotondo per la giustizia di intellettuali e artisti
L’idea lanciata da Vecchioni: registi e cantanti circonderanno il «palazzaccio» della capitale

ROMA - Il metodo dello «schiaffo» (direbbe Fassino) di Nanni Moretti alla sinistra comincia a fare scuola: la base si organizza senza consultare il vertice. O meglio «nonostante» il vertice. Domenica prossima, 17 febbraio, alle 11, il vecchio palazzo romano di Giustizia in piazza Cavour (che i romani chiamano «Palazzaccio») verrà circondato da un «Girotondo per la democrazia». Nessun segretario di partito tra gli organizzatori né sigle politiche ma solo un gruppo di ragazze romane «impegnate a sinistra», come le traduttrici Silvia Bonucci e Marina Astrologo, spesso impegnate nel cinema, e che avevano già organizzato un sit-in il 19 gennaio davanti al ministero della Giustizia in segno di solidarietà con la magistratura. Sulla carta molte le adesioni illustri, come Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Mario Luzi, Liliana Cavani, Giovanni Bollea, Francesco Guccini, Carla Fracci, Dario Fo e Franca Rame, Mario Martone, Andrea Camilleri. Ma verosimilmente in piazza si ritroverà una parte del giovane cinema italiano (Marco Tullio Giordana e Giuseppe Piccioni) della tv (Fabio Fazio) e della musica (Fiorella Mannoia, Ivano Fossati, Roberto Vecchioni). Area che più «vicina a Moretti», per dirla in politichese, non potrebbe essere. Proprio da Vecchioni, in qualche modo, nasce l’idea. Il «girotondo» ha come modello la manifestazione milanese «Per mano per la democrazia» del 26 gennaio scorso organizzata dalla moglie del cantautore, la giornalista Daria Colombo. Le adesioni furono trasversali: parteciparono, per esempio, sia Gino Strada di «Emergency» che l’ex sindaco Marco Formentini.
L’iniziativa romana, spiega Silvia Bonucci, si prefigge gli stessi scopi: «Tutelare simbolicamente un bene comune come la giustizia. Noi non siamo giustizialisti ma teniamo all’indipendenza della magistratura e a tanti diritti che sembrano ora in discussione. Presto faremo un "girotondo" anche per la Rai, la scuola, la sanità». Contatti coi partiti della sinistra? «Nessuno. Abbiamo solo avvisato qualche sezione Ds del centro, se mai volessero darci una mano. Ma abbiamo pensato a tutto noi: permessi in Questura, piccoli volantini e qualche manifesto, la catena via Internet con le adesioni su girotondoaroma@hotmail.com. Ci siamo autotassate. Non intendiamo sostituirci ai partiti né colmarne il vuoto. Anzi, se l’Ulivo si desse una svegliata saremmo ben contente: organizzare certe cose è faticoso...»
P.Co.
 
 

La Nazione, ed. di Lucca, 12.2.2002
Tutti in bottega a tesser l'arte della scrittura
Vi sentite creativi con la penna? C'è un corso per voi

Scrittori non si nasce, semmai lo si diventa raffinando il talento naturale con l'esercizio. Reggendosi su questo presupposto, Pietrasanta-città dell'artigianato ospita il primo corso di scrittura creativa che abbia mai visto la luce in Versilia. La sede è l'atelier Petrartedizione di via del Marzocco, in pieno centro storico, e la formula ricalca quella della bottega artigiana, dove il mestiere si trasmette dal maestro al discepolo attraverso il confronto diretto e la pratica. "Ci piaceva l'idea di riprendere il modello del laboratorio -racconta Giovanni Bovecchi, patron della Petrartedizioni- e trasportarlo in ambito scrittorio".
La prima lezione è aperta a tutti ed è fissata per sabato alle 18: presenta il corso Benedetta Centovalli, editor della Rizzoli. Imparare a scrivere, imparare a scrivere meglio confrontandosi con generi e scritture diverse e magari, chissà, riuscire a tirar fuori dal cassetto quel romanzo che non abbiamo mai avuto il coraggio di far leggere a nessuno. Che questo corso sia la chiave che schiude le porte del successo ad una nuova generazione di poeti e romanzieri? Forse, ma non facciamoci illusioni.
"Può servire comunque per iniziare a conoscere i meccanismi dell'editoria"- spiegava ieri lo scrittore-giornalista Romano Battaglia che fa parte della squadra dei docenti. E a confrontarsi con chi si è già incamminato lungo il sentiero difficile ma bellissimo della scrittura. Le lezioni si tengono tutti i lunedì dalle 20 alle 23 dal 18 febbraio al 20 maggio. Il corso è aperto a venti partecipanti e costa 488 euro. "In estate -aggiunge la coordinatrice Stella Giorgianni- il laboratorio potrebbe avere delle propaggini aperte anche ai vacanzieri e a settembre si ricomincia con corsi trimestrali specialistici: il giornalismo, la narrativa, la saggistica". E i docenti? Eccone alcuni: Dacia Maraini, Giuseppe Pontiggia, Andrea Pinketts, Francesco Alberoni, forse Andrea Camilleri.
Chiara Pellegrini
 
 

Corriere della sera, 11.2.2002
Fassino chiama ma Moretti il 22 non ci sarà

ROMA - Nanni Moretti molto probabilmente il 22 febbraio non ci sarà. Il regista che con il suo «urlo» a piazza Navona ha aperto la polemica contro i vertici dell’Ulivo non parteciperà al grande convegno che Piero Fassino sta organizzando proprio per riprendere il dialogo con gli intellettuali. Questo è quello che lo stesso Moretti è andato a dire a Fassino venerdì scorso a via Nazionale. La decisione definitiva il regista di Aprile ancora non l’ha comunicata, ma al Botteghino non fanno più molto affidamento sulla sua presenza. Basta chiedere a chi conosce bene Moretti per sapere che nella più fortunata delle ipotesi - dita incrociate e scongiuri - Moretti partirà per Los Angeles per l’Oscar. Le nomination si decidono domani pomeriggio, proprio in contemporanea con la segreteria dei Ds che stabilirà come organizzare il dibattito del 22. Se il sogno americano di Moretti non dovesse avverarsi, il carnet degli impegni nazionali e internazionali del regista è comunque pieno. E dunque - ha spiegato Moretti a Fassino - ci saranno delle difficoltà.
Data per persa la star, a meno di sorprese dell’ultimo momento, a via Nazionale si stanno comunque organizzando diversamente per garantire la riuscita della convention . L’ospite d’onore della Giornata dell’Intellettuale, che nelle intenzioni del segretario dei Ds dovrebbe diventare un appuntamento periodico, potrebbe essere allora Umberto Eco. Fassino gli ha già telefonato e gli ha chiesto di fare una relazione.
Per ora Eco è uno dei pochi già contattati per l’appuntamento del 22. E nonostante continuino le interviste e le polemiche degli intellettuali scontenti, le richieste di partecipazione al dibattito fioccano numerose, così numerose che Gianni Cuperlo e Franca Chiaromonte, i due organizzatori, stanno pensando di spostare l’appuntamento dal residence Ripetta al Palazzo delle Esposizioni o allo Stenditoio a Palazzo San Michele, che possano contenere ben più delle cento persone inizialmente previste. Sono più di 600 intellettuali, operatori di Internet, architetti, giornalisti e studiosi a vario titolo, che secondo l’ufficio stampa dei Ds, vogliono esserci. Dopo Dario Fo, Gillo Pontecorvo, Omar Calabrese, Andrea Camilleri, a Milano Fassino ha reclutato anche Vittorio Gregotti. Poi ci sono i professori di Firenze, quelli di 6.30 di Bologna. La cosa rende più difficile la preparazione dell’evento: mantenere l’ingresso a inviti o trasformare l’appuntamento in una riunione aperta dove chi vuole viene e ascolta? Chi far salire sul palco evitando incidenti? Come organizzare i lavori senza fare scontenti?
Ne discuterà domani la segreteria: Fassino intanto sta già lavorando al suo discorso. Il segretario è guardato con sospetto da quanti nel partito vedono nell’iniziativa un cedimento verso le istanze del correntone. Vero? I collaboratori di Fassino promettono che «non sarà una abiura della linea di Pesaro».
Gianna Fregonara
 
 

Il Sole 24 Ore, supplemento Cultura, 10.2.2002

Commissari, brava gente.
Bilanci, thriller all'italiana.
I nostri giallisti sono più che mai in auge: eppure spesso fanno rimpiangere Scerbanenco.

E' la stagione del giallo italiano. Non c'è editore che non mandi in libreria almeno un paio di titoli all'anno. In Francia, la storica rivista "813", bibbia del "polar" e spesso fucina di furenti discussioni sul genere, questo mese gli dedica addirittura un numero monografico. I festival letterari in suo onore si moltiplicano. Sarà presente al Salone del Libro di Parigi e subito dopo se ne discuterà a Lione. Einaudi lo ospita nella collana "Stile Libero Noir", e Adelphi fa spazio a Giuseppe Ferrandino.
Da qualche tempo, inoltre, i nostri autori vengono tradotti in tutta l'Europa. Se da una parte verrebbe da dire che era l'ora, dall'altra viene fatto di temere che tanta quantità, tanta attenzione, possano andare a scapito della qualità. Tanto più che la quantità riguarda spesso il numero di titoli, non di copie vendute, che se non altro varrebbero a dimostrare il gradimento dei lettori. Strana vita, quella del giallo italiano. Ha sempre faticato ad affermarsi, anche perché quando cominciava a comparire qualche autore che poteva farne la storia, subentrava o la censura politica fascista o, nel dopoguerra, la ragion di stato della scarsa redditività.
Furono i romanzi di Giorgio Scerbanenco pubblicati da Garzanti e soprattuttto la mondadoriana "Donna della domenica" di Fruttero e Lucentini (trent'anni compiuti in questi giorni) a "sdoganarlo" dalle edizioni economiche. Gli editori cominciarono a crederci tanto da pubblicarlo nelle collezioni rilegate, mandando in libreria gialli di forte impegno sociale come "La mazzetta" di Attilio Veraldi (Mondadori, ora riedita da Avagliano), "Il caso Montecristo", di Enzo Russo (Mondadori), "Le piste dell'attentato" di Lorano Macchiavelli (Garzanti).
Da quegli anni, il genere cosiddetto all'italiana è andato indubbiamente fiorendo. E anche se di alcuni autori pubblicati un po' sconsideratamente nella corsa al nostro giallo si è persa la memoria, altri sono rimasti e altri sono nati. Si diceva un tempo che nella narrativa la figura dell'investigatore privato di casa nostra era risibile, visto lo scoraggiante panorama di professionisti del ramo che avevamo sotto gli occhi. Oggi Diabasis pubblica due romanzi con un investigatore come protagonista, "Il nido dei gabbiani" e "La campana di Rivera". E chi li ha scritti è Daniele Genova, di mestiere investigatore privato lui stesso. Tuttavia, malgrado il cammino percorso, in qualche modo il giallo italiano dà ancora la sensazione di procedere timidamente, come alla ricerca di una sua strada originale.
"In Italia, il genere poliziesco ha dovuto confrontarsi con lo Stato, con la storia", sostiene Laurent Lombard, italianista alla Sorbona di Parigi. "Questa lotta corpo a corpo, questo rapporto odio-amore è stato fatale nelle ricadute che ha avuto". Lombard sottintende che fra i giallisti italiani esiste un diffuso pessimismo indotto, che impedisce loro di credere nella giustizia.
Forse il discorso è assai più complesso. Pare al contrario che i nostri scrittori "vogliano" credere nella giustizia, anche se spesso per descriverla, e forse per renderla credibile, scelgono di ambientare i loro romanzi nel passato. Come spesso fa Carlo Lucarelli: come ha fatto Marcello Fois in alcuni romanzi, fra i quali "Sempre caro" (Frassinelli- Il Maestrale); come fa Danila Comastri Montanari, che oltre ad ambientare le sue vicende nell'antica Roma colloca nel Settecento "la campana dell'arciprete" (Garzanti). O, per esaminare gli ultimi gialli usciti, come fa Marco Vichi, del quale Guanda ha appena pubblicato "Il commissario Bordelli", romanzo ambientato nel 1963 (quanta malizia ha messo, questo toscano, nello scegliere il nome del suo protagonista?); o come fa Leonardo Gori nel suo "I delitti del Mondo Nuovo" (Hobby & Work), ambientato in un'oscura Firenze settecentesca.
Salvo poche eccezioni, possiedono un'altra caratteristica comune, i nostri gialli (anche i numerosi non nominati qui): hanno come protagonista un galantuomo, per lo più poliziotto o ex carabiniere, che persegue un suo concetto di giustizia ed è incorruttibile (con la romantica idea sottintesa che la mela sana possa ridare salute al cesto di mele marce). In altre parole, non esiste il noir, quello vero, quello che racconta la disperazione, che non fa differenza fra giusti e ingiusti e vede la morte solo come liberazione. Come faceva un tempo Cornell Woolrich (Mondadori), come fanno Andrew Vachss (Sperling e Kupfer) e soprattutto il James Ellroy di "I miei luoghi oscuri" (Bompiani).
Ma spesso i nostri giallisti possiedono una capacità rara nel panorama del romanzo di genere internazionale, una capacità à la Durrenmatt e viene fatto di pensare ad Andrea Camilleri, autore principe di Sellerio, a Loriano Macchiavelli, ora mondadoriano, a Massimo Carlotto, lo scrittore ribelle di e/o: il finale dei loro romanzi può 
sembrare consolatorio, e invece suggerisce che la verità non sta lì, nella scoperta del colpevole, ma sta altrove, tanto lontana da risultare imprendibile.
Laura Grimaldi
 
 

La Stampa - Tutto Libri, 9.2.2002
I figli della domenica
DEGLI SCRITTORI ITALIANI CHE SI SONO POSTI SULLA SCIA DEI DUE MAESTRI USANDO LA PROPRIA CITTA´ COME PALCOSCENICO

SIAMO tutti «figli della domenica». Ecco una di quelle perentorie affermazioni che non ammettono repliche e che provocano l´orticaria ai nostri due autori. I quali scrissero «La donna della domenica», della quale festeggiamo i trent´anni di vita in un sistema editoriale nel quale i libri vivono in media tre settimane, per reazione a un´altra frase che per di più intendeva prescrivere un obbligo: «D´ora in avanti non si potrà più scrivere un romanzo che inizi con la frase La marchesa uscì alle cinque». I moschettieri del Gruppo ´63 intendevano mettere al bando un modello di scrittura romanzesca nella quale l´autore è un dio pantocratore, che tutto vede e tutto sente, compresa la capacità di leggere i pensieri dei suoi personaggi. Ma noi lettori di romanzi è proprio questo che vogliamo. A proposito di incipit: «La donna 
della domenica» iniziava così: «Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l´architetto Garrone guardò l´ora molte volte». Non vi ricorda qualcosa? Apriamo «Cronaca di una morte annunciata» e leggiamo le prime righe: «Il giorno che l´avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo». Il libro di Gabriel García Márquez arriva nove anni dopo «La donna della domenica»; vogliamo iscrivere anche lui all´anagrafe dei figli della domenica? «Siamo tutti figli della domenica»: da un primo e sommario regesto compilato due anni or sono durante il Festival di Cattolica risultò che, ad aver pubblicato almeno un giallo italiano, eravamo più di duecento. Se fossimo una nazione guerriera potremmo dare vita al «Battaglione Fruttero & 
Lucentini» e se mai si farà mi candido per l´incarico di ufficiale topografo. Entriamo nella mappa. «La donna della domenica» dimostrò che era possibile allestire una commedia attorno a un delitto e alla conseguente ricerca dell´assassino. E´ sufficiente spostare il baricentro della narrazione da «La cosa in sé», come recita il titolo di un lavoro teatrale di F.&L., ai discorsi e ai commenti che l´evento suscita nella società il cui ordine apparente è stato scompigliato dal delitto. In principio, e alla fine, c´è la parola. «La donna della domenica» inizia con una discussione sull´esatta pronuncia di «Boston» e termina con la corretta interpretazione di un vecchio proverbio piemontese, «La cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra». Il delitto inteso come conversation piece. Sembra facile, ma per allestire quel delizioso teatrino bisogna possedere il loro orecchio assoluto per i tic linguistici, avere la pazienza dell´artigiano della penna che esplora i vari ambienti per riprodurli con quel lieve falsetto che diverte il lettore ma contemporaneamente gli fa esclamare: «E´ proprio così!». E poi ci vuole una visione del mondo e della società superiore, ironica, disincantata, propria di chi, avendo visto e letto molto, sa che la natura umana non si cambia, che i vizi e le vanità sono il grande motore del mondo. Agli antipodi non solo del fanatismo ideologico ma anche delle cupe, truci e angosciose ambientazioni «noir» di chi aspira a sondare gli abissi dell´animo umano partendo da scene di bassa macelleria. Alla domanda: «Che cos´è il Male?», F.&L. risponderebbero con un sospiro: «E´ già così difficile sistemare in modo corretto le posate sul piatto dopo aver mangiato...». In questa direzione il figlio della domenica che è stato più fedele al modello mi sembra essere il torinese Gianni Farinetti con i tre romanzi scritti finora, tutti pubblicati da Marsilio, in particolare il primo «Un delitto fatto in casa» e il terzo «Lampi nella nebbia» (con le pagine dedicate al funerale 
del cavalier Balbiano), essendo il secondo, «L´isola che brucia», ambientato a Stromboli. Rileggendo «La donna della domenica» ti viene il dubbio che il vero oggetto dell´indagine non sia l´assassino ma Torino. Sarà un´osservazione banale ma bisogna pur farla dal momento che sull´identificazione dell´autore con la città di elezione F.&L. hanno colpito duro e lasciato il segno. E anche lì: non è sufficiente nominare correttamente vie, palazzi e monumenti, come fa il pur bravo Renato Olivieri con le indagini del suo commissario Giulio Ambrosio che inizia la sua vicenda editoriale nel ´78 con «Il caso Kobra» (Rusconi editore); bisogna annusarla la città, percorrerla, entrare nei cortili, saper leggere nel palinsesto urbano le tracce abrase dei tanti passaggi che si sono succeduti nel tempo. Nel corso di un´intervista F.&L. definirono Giulio Einaudi «un grande arredatore», ma la loro bravura nell´arredare gli interni torinesi (la casa di via Peyron dove vive l´architetto Garrone con la madre e la sorella) è inarrivabile. L´elenco dei figli della domenica che si sono identificati con la loro città è lungo e sicuramente incompleto. Per Milano abbiamo, nel ´74, Antonio Perrìa («Incidente sul lavoro») con il commissario Saro Madonna che esplora la corruzione politica e sociale. Arriva poi Secondo Signoroni con 
«Commissario di zona» del ´76 e soprattutto con «Testimonianza d´accusa» del ´78 dove si affaccia il maresciallo della squadra narcotici Valenziano Valentini, detto «Il Grigio». Ultimo nato tra i milanesi figli della domenica Andrea G. Pinketts che vede la luce nel ´94 con «Il vizio dell´agnello» edito da Feltrinelli. Passando alla città di Bologna, Loriano Macchiavelli mette al mondo il Sarti Antonio nel ´74 con «Le piste dell´attentato», edito da Campironi. E´ di questi giorni la sedicesima avventura del nostro eroe con «I sotterranei di Bologna», Mondadori. Non possiamo ripartire da Bologna senza nominare il proteiforme Carlo Lucarelli il quale con il suo Marco Coliandro esplora le contraddizioni della città rossa con «Falange armata» del ´93 e «Il giorno del lupo» del ´94. Roma è stata raccontata, a iniziare dal 
´73, da una coppia di ferraresi trapiantati nella capitale, Massimo Felisatti e Fabio Pittorru, con le sei storie di «Qui squadra mobile», Garzanti editore, nate per la televisione ma totalmente rivisitate per la pagina scritta. Nel ´76 Enzo Russo scese sulla scivolosa pista romana con «Il caso Montecristo», Mondadori. Su Roma ha puntato lo sguardo anche Corrado Augias con «Una ragazza per la notte» e «Quella mattina di luglio». Il singolare «Donna da Quirinale» è stato scritto in coppia con Guido Almansi. Attilio Veraldi, noto fino a quel momento come ottimo traduttore, rivelò la sua vena narrativa sulla città di Napoli con «La mazzetta», pubblicato nel ´76 da Mondadori e molto opportunamente ristampato da Avagliano insieme a «Naso di cane». Nel ´93 esce da Mediolibri, firmato con lo pseudonimo Nicola 
Calata, un romanzo rivelazione, «Pericle il Nero», ristampato da Adelphi con il nome vero dell´autore, Giuseppe Ferrandino. Scendiamo ancora più a Sud e a Palermo troviamo l´insegnante Lorenzo Lamarca che, per la penna di Santo Piazzese, indaga su «I delitti di via Medina Sidonia», 1996, Sellerio editore. Lo stesso editore ma non più Palermo bensì Porto Empedocle, la spiaggia di Agrigento, meglio conosciuta come Vigata, è il teatro delle indagini del commissario Montalbano. Il meritato successo di Andrea Camilleri è il fenomeno editoriale di questi ultimi anni ed è anche lui un figlio della domenica, nel senso che i lettori erano stati preparati ad accoglierlo dal lavoro di F.&L. Non sempre è necessaria una metropoli per diventare figlio della domenica. Può andare bene anche la Padova dell´«Alligatore» di Massimo Carlotto, o la Nuoro della trilogia di Marcello Fois, «Ferro rovente», «Meglio morti», «Dura Madre», tutti in Stile Libero di Einaudi. Tornando nella Torino da cui siamo partiti, constatiamo che è la città dove più rigoglioso è fiorito il culto dei santi patroni F.&L. Un anno dopo «La donna della domenica» ci provano 
Riccardo Marcato e Piero Novelli con «Il commissario di Torino» e nel ´75 ci riprovano con «Dossier Pautasso». Nel ´77 è la volta di Massimo Felisatti il quale, in temporaneo permesso sia da Roma che dal suo abituale compagno di scrittura, firma, in coppia con l´autore della presente scheda «La nipote scomoda», Mondadori. Il sullodato compilatore si azzarderà anni dopo a firmare da solo due gialli torinesi pubblicati da Garzanti, «Torino lungodora Napoli» e «Tutte le scuse sono buone per morire». A Torino un raffinato libraio editore darà vita a una collana, I gialli di Fogola, dove troviamo tra gli altri il commissario Martini di Gianna Baltaro, che compie le sue indagini negli anni del fascismo. Ancora più indietro nel tempo andrà Pierluigi Berbotto con il suo «Concerto rosso», Mondadori. Piero Soria, con «Cuore di lupo» e «La donna cattiva», ha dato un respiro sempre maggiore a una sua aspra Torino, facendola vibrare in sintonia con il commissario Lupo Lupo, un personaggio che cresce di romanzo in romanzo. L´identificazione di una città con il suo autore arriva talvolta a diventare assoluta. Durante un convegno a Rimini un tale si presentò come «il giallista di Cesenatico», come se ogni Comune, in virtù di una provvida legge, avesse diritto di stipendiare, oltre al medico 
condotto, anche il suo giallista. Non sempre i figli assomigliano ai padri, anzi quasi mai. Ma non per questo cessano di essere figli. Jean Pierre Richard inizia un suo saggio esclamando: «Quanto si mangia nei romanzi di Flaubert». Da Fruttero e Lucentini non si mangia. I loro personaggi si siedono a tavola per conversare, indifferenti a ciò che troveranno nei piatti. I figli della domenica invece mangiano, eccome. Il cibo occupa il secondo posto, dopo la ricerca del colpevole, nella classifica dei pensieri dominanti e qualche volta è anche il primo, vero commissario Montalbano? Siamo tutti figli della domenica: spesso ci siamo sentiti rivolgere una rude domanda: «Credi forse di essere Fruttero e Lucentini?». E noi, a imitazione di Woody Allen al quale un amico dice: «Credi forse di essere Dio?», rispondevamo: «A qualcuno devo pure ispirarmi».
B.Gambarotta
 
 

Diario, anno VII, n.6, (in edicola il 8.2.2002)
La libreria che sopravvive grazie a Montalbano.

Milazzo. <Io e Camilleri>. Potrebbe essere il titolo del romanzo della vita di Paolo Filoramo, quarant'anni trascorsi dietro il bancone della sua libreria di Piano Baele, a Milazzo. Pochi metri quadrati pieni di scaffali, unica oasi per gli amanti della lettura: le altre librerie, nel tempo, sono state costrette a chiudere.
Paolo Filoramo, invece, ha resistito. Lui e Camilleri. Negli ultimi sette anni la libreria Filoramo ha venduto 10 mila copie dei libri dell’ autore siciliano. Al punto da ricevere, qualche tempo fa, una lettera di ringraziamento dallo scrittore. «Ho saputo della grande stima nei miei confronti, nata già prima del mio successo, con i miei primi libri; e della "scommessa" fatta coraggiosamente su di me e sul riconoscimento che tali libri avrebbero dovuto ricevere. Cosa posso dirle? Ne sono commosso. Chissà se allora -più regista che scrittore, e in cerca della mia maniera di raccontar storie- io stesso avrei potuto credere alla sua "preveggenza"? Ne dubito, anche se chiunque scriva non può che riporvi la speranza di essere letti, capiti e apprezzati».
Quando il papà di Montalbano era sconosciuto, Filoramo vendeva centinaia di copie. «Conservo gelosamente la prima stampa di Un filo di fumo, il primo romanzo uscito da Garzanti. I meriti non sono tutti miei, ma di tre professori del Liceo scientifico di Milazzo: Mimmo Mirabile, Lina Rizzo e Dario Russo che mi fecero scoprire Il birraio di Preston, La forma dell'acqua e Il cane di terracotta».
G.C.
 
  

La Stampa, 8.2.2002
DESDERI RACCONTA IL SUO PRIMO FESTIVAL A PARMA
C´è anche Camilleri nel regno di Verdi

PARMA Dal Regio di Torino al regno verdiano e toscaniniano di Parma il passo è stato breve, ma il distacco emotivamente forte, anche se nella nuova veste di consulente del primo festival di Parma, gli è di stimolo l´onnipresente immagine di Verdi. Claudio Desderi, in poco più di un mese, ha fatto appello ai suoi amici-artisti, ha avuto il loro «sì» e organizzato il «Festival Verdi 2002» che si aprirà ufficialmente il 19 maggio e si concluderà il 23 giugno in tre spazi canonici: il Regio, l´Auditorium Paganini e il Teatro Padiglione Palacassa.
[...]
«... lo scrittore siciliano Andrea Camilleri avrà una serata tutta sua per commentare i libretti verdiani e sarà accompagnato dal Gruppo di Ottoni del Parma Opera Ensemble».
[...]
Armando Caruso
 
  
  

RAI1, 6.2.2002
Il fatto

Andrea Camilleri e Antonio Tabucchi, ospiti del programma di Enzo Biagi, hanno ripetuto pirsonalmente di pirsona quanto già dichiarato (e riportato dalla stampa) sulla loro decisione di non partecipare al Salon du Livre come componenti della delegazione "governativa" italiana.
 
  

Qui Touring, 2002
Corso Italia
9 e 10 marzo. In provincia di Ragusa: i luoghi di Andrea Camilleri
Itinerario ispirato a Montalbano, il personaggio più noto dello scrittore. I paesi della costa, le cattedrali barocche, i paesaggi suggestivi. Con i consoli di Palermo.
Informazioni: tel. 091.524450
 
 

Corriere della sera, 5.2.2002
ANNIVERSARIO. Il 23 febbraio «giorno della legalità»

Lo hanno definito «il giorno della legalità» per ricordare il decimo anniversario di Mani pulite e affermare che «la questione morale è fondamentale in uno stato di diritto». Con questo spirito intellettuali, parlamentari, esponenti della società civile hanno organizzato sabato 23 febbraio, al Palavobis di Milano, una manifestazione per ricordare il decimo anniversario dall’arresto di Mario Chiesa e l’inizio dell’inchiesta. Fra le personalità che hanno già aderito Roberto Benigni, don Luigi Ciotti, Furio Colombo, Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Paolo Sylos Labini. Potrebbe «saltare», invece, il comizio organizzato da Antonio Di Pietro a Cosenza per l’anniversario di Mani pulite: l’amministrazione del sindaco Giacomo Mancini ha negato l’utilizzo della piazza.
 
 

Giornale di Sicilia, 5.2.2002
De Giorgi parla ai carabinieri: "Giustizia ma pure perdono"
La conferenza. L'intervento del cardinale alla caserma "Bonsignore"

Anche quest'anno, un ciclo culturale per gli ufficiali del comando regionale dei carabinieri: ieri pomeriggio, primo appuntamento nei locali della caserma Bonsignore, con una conferenza del cardinale Salvatore De Giorgi sul tema "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono". E' solo il primo di una serie d'incontri con autorità religiose, civili e militari per aprirsi a personalità di rilievo ed "uscirne migliorati", ha affermato il generale di Brigata, Carlo Gualdi, comandante della Regione carabinieri Sicilia, davanti ad un parterre d'eccezione: 57 ufficiali, presidente della Regione, prefetto, questore e sindaco ed alcuni magistrati come Carlo Rotolo, Salvatore Celesti e Giovanni Puglisi.
[...]
Tra i prossimi incontri del ciclo culturale, quello con lo scrittore Andrea Camilleri.
Filippo Pace
 
 

Il Gazzettino, 5.2.2002
I DELUSI. Artisti e intellettuali: in molti si dicono "morettiani"

Roma. I delusi dall'Ulivo - tra intellettuali, scrittori, artisti, attori e affini - sono tanti, tantissimi. Detestano il pavido Fassino e la sua esangue leadership diessina, trovano Rutelli inconsistente, inutile e aspettano come un messia Romano Prodi da Bruxelles. Da Andrea Camilleri ad Alba Parietti, da Michele Santoro a Mario Monicelli, da Gigi Proietti a Piero Chiambretti: tutti si riconoscono in pieno nelle invettive di Nanni Moretti. Ed ecco sorgere all'opposizione dell'opposizione un nuovo partito, quello dei nomi e cognomi celebri che, da sempre, simpatizzano con Querce e Ulivi e adesso guardano con simpatia al «subcomandante» Nanni e il suo sanguigno sfogo.. Anzi, sostengono che milioni di elettori sono morettiani convinti. Insomma un partitone di intellettuali, d'accordo, ma con un vasto seguito di casalinghe, impiegati, comuni mortali. E dunque evviva il regista della «Palombella rossa» e di «Aprile» che ha scoperchiato la pentolaccia e che lo ha fatto con tutta la passione della sua lunga militanza comunista. Ecco Dacia Maraini: «È stato brutale, d'accordo, ma ha fatto bene».
Eppure, da Platone in poi, la storia insegna che i partiti degli intellettuali non fanno mai troppa strada e appunto lo ricorda a tutti il filosofo Giacomo Marramao, che dice: «Dio ci guardi dal partito degli intellettuali! Semmai ben venga l'intellettuale che dimostra di sapere essere un sismografo di un'opinione diffusa». Cioè Moretti. La pensa così anche il presidente della Rai, Roberto Zaccaria: «Moretti ha detto ciò che la gente pensa». Insomma Moretti non ha parlato da regista, ma da militante, ha parlato da uomo e da uomo intelligente, che sa pensare, come dice - replicando a Rutelli - Mario Monicelli. Voci fuori dal coro, Giovanni Sartori, politologo: «Caro Nanni, strillare è facile...». Ipercritico è anche un altro regista, Franco Zeffirelli: «Moretti ha fatto solo il maramaldo».
B.d.V.
 
 

RAI1, 4.2.2002
Il fatto

Il nostro amatissimo Sommo è intervenuto al "Fatto" di Enzo Biagi, su RaiUno, a commento dell'intervento di Nanni Moretti al comizio DS. Alla domanda di Biagi se fosse ottimista sul futuro dell'Italia Egli ha risposto, senza remore "Certo che sono ottimista! L'Italia ne ha viste anche di peggio. Questo (sottinteso governo...) è solo un blackout e si sa che dopo il blackout torna sempre la luce. Intanto attrezziamoci di candele e torce".
Anna a fiurintina
 
 


 

La Nuova Sardegna, 3.2.2002
Premio letterario Grazia Deledda le giurie selezionano i vincitori
Camilleri presidente della sezione narrativa ma ci sono anche Lilliu, Mastino e Paolo Savona

NUORO. Si stringono i tempi per la proclamazione dei vincitori del Premio letterario nazionale "Grazia Deledda" indetto dalla Provincia. Quattro le sezioni in gara: narrativa, saggistica, narrativa giovani, e narrativa in lingua sarda. Il bando è scaduto il 30 novembre dello scorso anno. Mentre la proclamazione dei primi classificati dovrebbe avere luogo, stando alla programmazione degli organizzatori, nel maggio prossimo. Le commissioni giudicatrici stanno lavorando a pieno ritmo per rispettare la data dell'importante appuntamento della città con la cultura.
Si tratta, dopo trent'anni di silenzio, della prima edizione degli anni Duemila. Istituito dall'Ente provinciale per il turismo nel 1952, il Premio, che aveva cadenza biennale, andò avanti, con alterne fortune, fino al 1972. Anno in cui l'amministrazione comunale tentò di sostituirsi all'Ept, bandendo il solo premio di saggistica, sul tema: " L'avvenire della Sardegna: scelta dei valori". Fu un vero e proprio flop. Per cui l'iniziativa venne definitivamente accantonata.
A rilanciare l'idea del Premio letterario è stata, lo scorso anno, l'amministrazione provinciale, e per essa l'assessore alla cultura Tonino Rocca. Assicuratosi il supporto degli altri enti istituzionali cittadini, insieme alla collaborazione degli intellettuali, il Premio è ripartito tra l'entusiasmo dei componenti dello speciale comitato, costituito ad hoc, ed il plauso dei nuoresi, alla luce del rinnovato interesse all'estero per la scrittrice nuorese, alla quale nel 1927, a Stoccolma, è stato 
assegnato il premio Nobel per la letteratura.
Complessivamente sono state presentate 458 opere, così distribuite: 213 per la narrativa; 116 per la saggistica (più 14 relative alla sottosezione per gli studi deleddiani); 64 per la narrativa giovani; 51 per la narrativa in lingua sarda. Il successo partecipativo maggiore è stato registrato, come d'altra parte era facilmente prevedibile, dalla narrativa in generale, e immediatamente dopo dalla saggistica.
Le sezioni dove i concorrenti hanno segnato il passo sono state quelle della narrativa riservata ai giovani nati in Sardegna che, alla data di scadenza del bando relativo alla partecipazione, non dovevano aver superato i 39 anni di età. Pochini, appena 54, anche coloro che hanno preso parte alla sezione per la narrativa in lingua sarda, nonostante il premio sia riservato a opere edite e inedite. Segno che (nonostante le battaglie per la difesa "de sa limba", che le è valsa l'approvazione dal consiglio regionale, per la sua tutela e valorizzazione, di un'apposita legge), non ci sono molti cultori. Ciò in ragione del fatto che in seno alla scuola e alle famiglie, sia che vivano in città come nei paesi, non si parla più la lingua madre. La cultura multimediale, infine, ha fatto il resto.
C'è da dire, inoltre, che il monte premi in denaro fissato dall'amministrazione provinciale, se non è cospicuo è oltremodo accettabile. Considerato che al vincitore della sezione narrativa vanno 7,5 mila euro (15 milioni di lire) e 2,5mila euro (5 milioni) al secondo classificato. Così come per il primo e il secondo della sezione saggistica, più 5mila euro (10 milioni di lire) al vincitore della sezione relativa agli studi deleddiani. Per la narrativa giovani, invece, è in palio solo il primo premio, pari a 7,5mila euro (15 milioni). Di uguale importo, infine, è il premio per il vincitore del premio di narrativa in lingua sarda.
E' importante, comunque, che il sito del premio Deledda sia stato pubblicato su altri portali nazionali, tra i quali su: "Google", "Altavista", "Lycos", "Excite", che sono i più potenti motori di ricerca al mondo, oltre che da "Yahoo" (portale internazionale quotato in borsa negli Stati Uniti) e su riviste Internet specializzate.
In questo modo, indirettamente, è stata fatta una grande pubblicità a Nuoro e alla Sardegna, insieme ad una conoscenza più approfondita della scrittrice e delle sue opere. L'iniziativa ha fatto registrare l'interesse di un gran numero di Paesi: le Americhe, Germania, Svizzera, Francia, Canada, Inghilterra, Spagna, Irlanda, Olanda, Finlandia, Svezia, Malta e Arabia Saudita. Così come da parte delle università: del New Jersey, di Toronto, di Pittsburg, di Huston, dell'Illinois, della Florida, dell'Oregon, di New York, del Wiscousin, del Kansas e di Parigi. Senza contare, ovviamente, quelle italiane.
Una parte del grande interesse al Premio "Grazia Deledda" lo si deve, in una qualche misura, allo scrittore siciliano Andrea Camilleri, presidente della commissione per la narrativa. Autore lettissimo e stimatissimo, da qualche anno sulla cresta dell'onda per il personaggio relativo all'ispettore Montalbano, di cui è stata presentata in televisione un lunga serie.
Lo scrittore, nell'accettare l'incarico di presiedere la commissione della più importante sezione del Premio letterario nazionale bandito dalla Provincia, si è detto onorato di accettare una presidenza così prestigiosa, complimentandosi con la Provincia e il comitato organizzatore «per la scelta di ripristinare una iniziativa letteraria importante, e con essa tributare un omaggio al nome di una scrittrice che tiene alto il valore delle Lettere in un paese sempre più dimentico anche delle parole più elementari».
Parole apprezzamenti che suggellano l'importanza del Premio letterario nuorese ritrovato. E quel che dà più soddisfazione e prestigio per merito di una città che, nell'ambito delle politiche culturali, ha sempre avuto un grande ruolo, fino a meritare, senza retorica, l'appellativo di Atene Sarda.
 
 

La Repubblica, ed. di Palermo, 3.2.2002
Quando arriverà l'Illuminismo in Sicilia?

Il dibattito apertosi su "Repubblica" a proposito di Palermo e della Sicilia su architettura, orgoglio siciliano, meglio o peggio oggi di ieri, mi pare porti sempre alla stessa domanda che prepotente si forma leggendo e rileggendo la storia della Sicilia, quella senza fronzoli e salamelecchi di turno. Ma quando arriverà l'Illuminismo a Palermo e in Sicilia?
Come ben si sa, il vento del Nuovo si fermò al di là del faro per colpa di una malpreparata spedizione di Murat che ringalluzzì i nobili siciliani contenti di tenersi un re che poi gli fece pagare il conto. Tutto quindi restò fermò: non mutò il bel mondo siciliano dove i nobili vivevano ancora in regime di feudalesimo e i borghesi diventavano nobili per non far più nulla. Al contrario di altre illuminate borghesie italiane. E non mutò nulla nemmeno il secolo appresso con il Risorgimento che qui fu solo una annessione. Vero è che nel corso di quest'ultimo secolo abbiamo avuto i migliori rappresentanti del pensiero illuminista, da Pirandello a Sciascia, da Verga e non si agitino i puristi a Camilleri. Ma tutto ciò si è limitato alla cultura, a quella esigua fetta di intellettuali che hanno agito come il Grillo Parlante nella favola di Pinocchio.
Con le dovute eccezioni, ciò non è avvenuto nell'economia (Florio non è certo un esempio, anzi, divenuto nobile, si fece sopraffare da quel «dolcissimo ma fottuto ambiente»), non è avvenuto in politica e soprattutto, tra la gente. Con una recente e importante parentesi: il dopo stragi. Quella reazione emotiva è frutto non solo della rabbia ma soprattutto dalla presa di Coscienza, e quindi della Ragione, da parte di un popolo la cui maggioranza è formata, però, dalla parte «accomodante» e che alla fine si è sentita tradita dalla troppa e sospetta voglia di normalità.
Quella esplosione, però, se non sarà bacata dal ritorno al peggio, va forse paragonata al primo salto dei tre previsti nel salto triplo. A questo punto, occorre anche precisare alcune cose palermitane. A esempio, la querelle sullo stato igienico della città: forse è bene ricordare che alcuni viaggiatori scrissero di Palermo come la città più pulita al mondo (risale a troppo tempo fa, purtroppo), se non lo è più un motivo ci sarà? Se la classe dirigente siciliana o palermitana non ha prodotto e stimolato una architettura di stile o in stile probabilmente lo si deve al fatto che alla «vera classe dominante» in quel settore, la mafia, poco importava dello stile ma più di cemento e cubature.
Insomma, tutto porta alla stessa domanda: ma quando arriverà l'Illuminismo in Sicilia? E, mi si permetta sempre con le dovute ma esigue eccezioni quando avremo politici che fanno dell'Illuminismo il Verbo? E quando borghesia o imprenditoria faranno lo stesso? Mi piacerebbe sapere dai maitre à penser, dai docenti, dagli imprenditori e dagli stessi politici se loro conoscono la risposta e se possono indicare una data, anche approssimativa. E mi piacerebbe sapere da chi governa oggi - perché questa non è una questione partitica o di schieramenti ma riguarda il nostro Dna - sapere se loro hanno aperto o meno le finestre. Attendo risposta.
Filippo D'Arpa
 
 
 
 l'Unità, 1.2.2002
Giustizia, quando l'Italia era un esempio
(Estratto del dialogo fra Andrea Camilleri e Carla Del Ponte, dal numero 1/2002 di MicroMega)
 
 

Il Venerdì di Repubblica, 1.2.2002
Su MicroMega

"MicroMega" in edicola da domani è interamente dedicato a "Mani Pulite, dieci anni dopo". Tre noti scrittori dialogano con tre magistrati protagonisti di quella stagione: Antonio Tabucchi e Francesco Saverio Borrelli; Andrea Camilleri e Carla Del Ponte; Carlo Lucarelli e Antonio Di Pietro.
Polemicissimo il confronto tra Piercamillo Davigo e Giuliano Ferrara. Gherardo Colombo discute con due esponenti del movimento no-global: il prosindaco di Venezia Gianfranco Bettin e Omid Firousz, giovane leader delle occupazioni liceali. Completano il volume gli articoli di Marco Travaglio ("I voltagabbana") e Guido Rossi ("L'antitrust di Mani Pulite") e una cronologia di Paolo Biondani.
Ad aprire il numero un saggio sulla vicenda Mani Pulite di Paolo Flores d'Arcais, filosofo e direttore della rivista.
Il Venerdì anticipa ampi brani dell'intervista di Lucarelli a Di Pietro.


 

Last modifiedSaturday, 16-Jul-2011 20:02:05 CEST