POSSIAMO fare il tifo per Maigret e infischiarcene di Simenon? E’ possibile
parlare di Padre Brown senza pensare a Chesterton? Si può salvare
Pepe de Carvalho e buttare giù dalla torre Vázquez Montalbán?
Quando queste domande diventano possibili, quando ci si può chiedere
se sia più famoso l’eroe di carta o il suo papà letterario,
significa che le cose per l’autore si mettono molto male (o molto bene).
Significa che la penna del romanziere ha saputo dar vita a un personaggio
così esemplare, di tale forza e riconoscibilità, che lo stesso
eroe finisce per ribellarsi al suo creatore, reclamando la propria autonomia
narrativa. Anche lo scettico, ironico generoso Salvo Montalbano, il popolare
commissario di Vigata, sembra ormai vivere di vita propria, affrancato
dalla tutela del “padre-padrone" che lo ha messo al mondo, e del quale
- anzi - si prepara ad oscurare la fama. Lo si capisce bene dalla lettura
dell’ultimo libro firmato da Andrea Camilleri, La paura di Montalbano (Mondadori,
321 pagine, 15,80 euro): una raccolta di sei racconti balzata subito in
vetta alle classifiche, sei nuovi casi da risolvere per il Maigret siciliano
che finiscono tutti per sondare i recessi oscuri del cuore umano. C’è
in queste pagine il solito e accattivante mondo di Vigata. Ci sono come
sempre Mimì Augello, l’eterna fidanzata Livia e il buffo telefonista
Catarella, che tra irresistibili svarioni linguistici può indossare
per una volta i panni del vero detective. Non solo. Compaiono adesso anche
nuove e riuscite figure come il maresciallo Verruso, formale, pignolo,
eppure grandioso nella dignità con cui custodisce un suo terribile
segreto. La verità viene a galla quasi sempre per caso, da una naturale
osservazione delle smagliature del tessuto quotidiano, ad esempio nei racconti
Ferito a morte o Meglio lo scuro. Ma quel che più importa è
scrutare le trasformazioni del commissario Montalbano, un personaggio che
di avventura in avventura cresce, si emancipa, approfondisce i suoi tratti.
Ed oggi rivela al lettore qualcosa di nuovo, ci rivela la paura di penetrare
gli abissi della coscienza, perché lui sa che negli abissi più
profondi troverà inevitabilmente uno specchio. Sa che l’animo umano
ha mille facce e tutte fanno parte di ciascuno di noi. La bravura di Camilleri
è di tenersi sempre un passo indietro rispetto al suo personaggio,
assecondandolo e mettendosi al suo servizio. In un rapporto di affettuosa
complicità che solo in Simeon è possibile ritrovare.