Il Messaggero, 11.6.2002
Se Montalbano si guarda allo specchio

POSSIAMO fare il tifo per Maigret e infischiarcene di Simenon? E’ possibile parlare di Padre Brown senza pensare a Chesterton? Si può salvare Pepe de Carvalho e buttare giù dalla torre Vázquez Montalbán? Quando queste domande diventano possibili, quando ci si può chiedere se sia più famoso l’eroe di carta o il suo papà letterario, significa che le cose per l’autore si mettono molto male (o molto bene). Significa che la penna del romanziere ha saputo dar vita a un personaggio così esemplare, di tale forza e riconoscibilità, che lo stesso eroe finisce per ribellarsi al suo creatore, reclamando la propria autonomia narrativa. Anche lo scettico, ironico generoso Salvo Montalbano, il popolare commissario di Vigata, sembra ormai vivere di vita propria, affrancato dalla tutela del “padre-padrone" che lo ha messo al mondo, e del quale - anzi - si prepara ad oscurare la fama. Lo si capisce bene dalla lettura dell’ultimo libro firmato da Andrea Camilleri, La paura di Montalbano (Mondadori, 321 pagine, 15,80 euro): una raccolta di sei racconti balzata subito in vetta alle classifiche, sei nuovi casi da risolvere per il Maigret siciliano che finiscono tutti per sondare i recessi oscuri del cuore umano. C’è in queste pagine il solito e accattivante mondo di Vigata. Ci sono come sempre Mimì Augello, l’eterna fidanzata Livia e il buffo telefonista Catarella, che tra irresistibili svarioni linguistici può indossare per una volta i panni del vero detective. Non solo. Compaiono adesso anche nuove e riuscite figure come il maresciallo Verruso, formale, pignolo, eppure grandioso nella dignità con cui custodisce un suo terribile segreto. La verità viene a galla quasi sempre per caso, da una naturale osservazione delle smagliature del tessuto quotidiano, ad esempio nei racconti Ferito a morte o Meglio lo scuro. Ma quel che più importa è scrutare le trasformazioni del commissario Montalbano, un personaggio che di avventura in avventura cresce, si emancipa, approfondisce i suoi tratti. Ed oggi rivela al lettore qualcosa di nuovo, ci rivela la paura di penetrare gli abissi della coscienza, perché lui sa che negli abissi più profondi troverà inevitabilmente uno specchio. Sa che l’animo umano ha mille facce e tutte fanno parte di ciascuno di noi. La bravura di Camilleri è di tenersi sempre un passo indietro rispetto al suo personaggio, assecondandolo e mettendosi al suo servizio. In un rapporto di affettuosa complicità che solo in Simeon è possibile ritrovare.