Il commissario Montalbano è un uomo normale, anche se nella professione
eccelle per abilità, intuito e grande deontologia professionale.
Il libro di Camilleri che sta riscuotendo grande successo, è diviso
in sei racconti; tre racconti lunghi e tre brevi; solo i racconti lunghi
sono inediti. La cosa che più colpisce dal punto di vista
linguistico è che l'autore scrive nel suo ormai solito linguaggio
non più originale: il siculo-italiano. La prima cosa che si nota
è che il commissario Montalbano fa venire in mente il celebre Maigret:
li accomuna oltre la grande perizia, il gusto del cibo e una certa irruenza.
Il commissario non lavora da solo, ma possiede ottimi collaboratori
che lo aiutano nel suo non facile lavoro; il commissario ha anche un'intelligente
amica amante di nome Livia, che sa intervenire al momento giusto con suggerimenti
azzeccati, per quanto riguarda la soluzione dei vari casi di delitti; i
racconti brevi non possono definirsi polizieschi in senso stretto: sono
piuttosto la storia di tre incontri occasionali; il più grottesco
è senza dubbio «Un cappello pieno di pioggia» uscito
nel quotidiano «La Repubblica». Il cappello pieno di pioggia
è in realtà un gran cappello pieno di droga caduto dalla
testa di un ragazzotto che sotto una bufera di pioggia e vento, a Roma,
va a finire ai piedi di Montalbano che si trovava nella capitale per una
sua inchiesta; va da sé che anche il commissario inseguiva il suo
cappello; il tutto davanti alla Questura di Roma. Tutti vanno a finire
in questura compreso il commissario che si vede abbracciato da un collega
che gli dice di averlo aiutato a catturare un trafficante di droga. In
tutti i racconti inediti che si svolgono a Vigàta, un microscopico
paesino siciliano, si nota con quale perizia, da vero sbirro, si muova
il commissario Montalbano. Nel racconto «Ferito a morte», il
commissario riesce abilmente a sbrogliare una matassa delittuosa che svela
come un certo Gerlando Piccolo sia stato ucciso dalla nipote Grazia che,
rimasta orfana dei genitori, era stata allevata dallo zio Gerlando e dalla
moglie Titina; morta la zia la furba Grazia era divenuta l'amante dello
zio sconosciuto in paese come un «succhia sangue» un vero e
proprio usuraio. Il suo cliente più affezionato è un forte
giocatore d'azzardo di cui Grazia è veramente innamorata. Saranno
questi due delinquenti ad istigare il povero Dindò, un commesso
di bottega, ad uccidere Gerlando Piccolo, approfittando dell'amore che
lui prova per la bruna e «tracagnotta» Grazia. E sarà
questa donnaccia a ucciderlo, dopo che lui ha ucciso lo zio,
prelevando «un revarbaro» preso da «un cascione»
nella camera da letto dell'usuraio. È da notare che un filo di umorismo,
dovuto anche all'estroso linguaggio, unisce e fa sorridere e ridere il
lettore. Il racconto breve, ma non pubblicato, è quello che dà
il titolo al libro «La paura di Montalbano». Riportiamo, per
dare un'idea chiara al lettore ciò che è scritto in terza
di copertina, naturalmente in siculo-italiano. «Era vero, Livia aveva
ragione. Lui aveva paura “si scantava” di calarsi negli “abissi dell'animo
umano” (...) Aveva scanto perché sapeva benissimo che, raggiunto
il fondo di uno qualsiasi di questi strapiombi, ci avrebbe immancabilmente
trovato uno specchio.
Che rifletteva la sua faccia. Perché si legge la parola strapiombi?
Perché nel suddetto racconto Montalbano si trova a risolvere un
delitto, come dire, virtuale in quanto né l'assassino potenziale
viene arrestato, né la vittima muore. I due sono praticamente marito
e moglie; ma lo sbirro Montalbano riesce a far parlare il marito che, anche
potendo, non ha prestato soccorso alla moglie che resta penzoloni in uno
strapiombo in alta montagna; pochi minuti bastano alla donna per capire
che il marito voleva liberarsi di lei, in quanto il marito, e lo dirà
al commissario, aveva una relazione con un'altra donna; ma donna si salverà
sia per l'aiuto del marito pentito sia per la forza fisica di Montalbano».
Che dire altro? Che non stupisce la celebrità di Camilleri e si
comprende come molti sperano di poterlo incontrare ed essere «taliati»
da lui.
Titti Calfapietra