home page




RASSEGNA STAMPA

GENNAIO 2003

 
Script 30/31, 1.2003
Montalbano, Csi e altre cose
Montalbano: come costruire un successo di qualità
Intervista col produttore Carlo Degli Esposti
Giambattista Avellino
 
 

La voce di Rimini, 2.1.2003
L'insostenibile leggerezza della musica

MODENA - Una parata di stelle come non si raccoglie nemmeno per le occasioni solenni e i titoli più collaudati. Che invece si sono date appuntamento attorno a un'opera al suo debutto. L'eccezionalità di queste presenze si giustifica solo pensando alla notorietà dell'autore del libretto, se così si può definire, visto che il testo è nato con intenzioni del tutto diverse, come racconto di una serie, Il commissario di bordo, pubblicata sul quotidiano La stampa da Andrea Camilleri. In realtà è stato Rocco Mortelliti, tra i collaboratori abituali dell'ormai celeberrimo scrittore siciliano, a curare l'adattamento del testo - pur con qualche rima di troppo - che nel progetto originario sarebbe dovuto diventare una fiction televisiva. Le musiche portavano invece la firma di Marco Betta, non nuovo a collaborazioni con Camilleri che, strizzando l'occhio al musical, ha creato un sottofondo sonoro facile e orecchiabile, rigorosamente tonale, dalla costruzione melodica e armonica semplicissima. Il fantasma nella cabina è il risultato di un'operazione molto più vicina alle canzonette di Sanremo che ai cerebralismi contemporanei, e anche dove il testo suggerisce sfumature più misteriose, se non addirittura inquietanti, Betta le lascia puntualmente cadere. Tuttavia lo spettacolo andato in scena al Comunale di Modena, subito dopo il debutto al Teatro Donizetti di Bergamo, è estremamente gradevole. Merito del bellissimo impianto scenico di Italo Grassi, che ricrea la cornice di una nave stilizzata ed elegante, ma anche degli interpreti. In primo luogo Vincenzo La Scola, nei panni di Cecè Collura, il commissario che sale a bordo della nave da crociera per trascorrervi la sua convalescenza e invece si trova ad indagare su una vicenda di fantasmi. é sempre in scena e l'intera opera ruota attorno a lui: non solo deve cantare, funzione che il tenore assolve come gli riesce, ma ben più spesso recitare, impresa tutt'altro che facile per attori non professionisti. Invece La Scola, grazie a una forte inflessione siciliana, è bravissimo a rendere il suo personaggio vivo e credibile. Accanto a lui, due star come Katia Ricciarelli e Luciana Serra: entrambe assai spiritose nel dare spessore, la prima a una matura signorina, la seconda a una petulante giornalista di cronaca rosa. Tra gli altri componenti dell'equipaggio, il cui intervento canoro doveva limitarsi essenzialmente a un declamato, vanno citati il baritono Fabio Previati, il comandante della nave, e il bravissimo tenore Danilo Formaggia, purtroppo sottoutilizzato nel ruolo del vice commissario. Il regista, lo stesso Mortelliti, che a sua volta si ritaglia uno spazio come animatore delle attività ludiche dei passeggeri, fa mantenere a tutti l'accento di provenienza, aggirando simpaticamente l'ostacolo di una improbabile recitazione. Paola Ghigo aveva invece il ruolo di intrattenitrice musicale della nave: peccato fosse priva di quella professionalità che solitamente i cantanti da crociera possiedono. Aldo Sisillo ha diretto correttamente l'Orchestra della Fondazione Donizetti di Bergamo. Ricavando dalla musica tutto quel che si poteva.
Giulia Vannoni
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 4.1.2003
Romanzi, fiction e opere liriche. Inesauribile signor Montalbano
Un anno con Camilleri
Con Katia Ricciarelli e Vincenzo La Scola il giallo si trasforma in musica
Alla fine del 2003 è in programma il secondo volume dei Meridiani
A marzo il nuovo poliziesco dal titolo "Il giro di boa". In primavera le riprese de "La scomparsa di Patò"
Dopo l´uscita de "I sette dormienti" lo scrittore inaugurerà il teatro di Racalmuto del quale è direttore artistico

Potrà sembrare un´affermazione ovvia, ma il 2003 sarà l´anno di Andrea Camilleri. Un anno fitto di appuntamenti, nuovi romanzi, film, opere liriche, che terranno ben desta l´attenzione degli estimatori dello scrittore empedoclino per i prossimi dodici mesi. Gennaio, tanto per cominciare, si apre con il libriccino "I sette dormienti" (Medusa, 6,50 euro), nel quale viene esposta la leggenda di sette uomini di nobile famiglia convertiti al cristianesimo murati vivi dall´imperatore Decio in una caverna, dalla quale usciranno dopo un lungo sonno ritrovandosi nell´era di Tito; leggenda già accennata da Camilleri ne "Il cane di terracotta".
A fine gennaio verranno pubblicati dalla casa editrice Sellerio gli atti del convegno "Letteratura e storia. Il caso Camilleri", che si è tenuto lo scorso anno: una sorta di gigantesca radiografia della produzione di Camilleri, dai gialli ai romanzi storici, ricca di spunti e barlumi critici. Ed è quasi pronta un´edizione scolastica de "Il cane di terracotta", corredata da una guida e da un dizionarietto Vigatese-Italiano. Sempre nello stesso mese è prevista l´inaugurazione del teatro Regina Margherita di Racalmuto, che verrà presieduta da Camilleri in qualità di direttore artistico.
All´inizio di febbraio, invece, al teatro Vittorio Emanuele di Messina verrà messa in scena l´opera da camera di Marco Betta "Il fantasma nella cabina", tratta dall´omonimo racconto di Camilleri, pubblicato recentemente dalla Libreria dell´Orso nella raccolta "Le inchieste del commissario Collura". La regia è di Rocco Mortelliti, gli interpreti Vincenzo La Scola, nel ruolo del commissario, e Katia Ricciarelli. A marzo, sempre per i tipi della Sellerio, uscirà il nuovo e attesissimo poliziesco di Montalbano, che si intitolerà "Il giro di boa".
"La presa di Macallè" invece, il romanzo storico ambientato a Vigàta nel 1935 che sarebbe dovuto uscire all´inizio di quest´anno, subirà un lieve slittamento. In primavera, stando almeno alle anticipazioni, inizieranno le riprese del film tratto da "La scomparsa di Patò", con la regia di Rocco Mortelliti, a cui inizialmente era stato negato il finanziamento da parte della commissione Cinema del ministero della Cultura: la produzione è di Carlo Degli Esposti, lo stesso del Montalbano televisivo che ora promette di portare in tv anche "Il birraio di Preston". Sempre in primavera verranno pubblicate le videocassette con l´intera serie degli sceneggiati televisivi ispirati ai romanzi di Montalbano trasmessi su Rai Uno.
A luglio, a cura dell´Accademia Chigiana, potrebbe essere messo in scena il dittico che raccoglie i testi "Il mistero del finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", presenti nella già citata serie delle inchieste del commissario Collura. Sempre quest´anno è prevista, quasi sicuramente in un teatro lirico siciliano, la trasposizione in opera lirica de "Il birraio di Preston", con le musiche di Paolo Furlani e la sceneggiatura teatrale di Giuseppe Dipasquale e dello stesso Andrea Camilleri.
E per chiudere in bellezza, il canale culturale satellitare franco-tedesco "Arte" ha in programmazione per la fine dell´anno un documentario sul giallo italiano. Nel corso della serata verrà trasmesso il telefilm "Il ladro di merendine". Come guida letteraria per il documentario è stato scelto, guarda caso, Andrea Camilleri, il quale parlerà non solo dei suoi libri, ma anche di alcuni suoi colleghi italiani, come Santo Piazzese, Nino Filastò, Carlo Lucarelli e Andrea G. Pinketts. A cavallo tra il 2003 e il 2004 uscirà poi il secondo volume dei Meridiani Mondadori, questa volta dedicato ai romanzi storici di Camilleri, da "Il birraio di Preston" a "Il re di Girgenti". Una produzione sterminata che non potrà che rendere entusiasti i milioni di fan dello scrittore più letto (e forse anche più ricco) d´Italia.
Salvatore Ferlita
 

LA CURIOSITÀ
Va a ruba la versione in cd-rom

È stato uno dei regali di Natale più gettonati. Grande successo per il terzo cartone animato interattivo in cd-rom del commissario Montalbano, sviluppato dalla Immedia ed edito da Sellerio. Questa volta è il turno de "La voce del violino", in cui il poliziotto di Vigata si misura con l´assassinio di una giovane donna e col mistero di un musicista che vive in eremitaggio. Il cd-rom riunisce la sceneggiatura tratta dal poliziesco e un gioco che dà la possibilità al lettore-spettatore di interagire e immedesimarsi con Montalbano per decidere la linea d´azione. Un dizionarietto vigatese-italiano guida il giocatore nei meandri dell´impasto linguistico di Camilleri, mentre le dieci ricette allegate ne allieteranno il palato. L´animazione dura 20 minuti e i personaggi coinvolti sono 45. Ma c´è una novità, rispetto ai due precedenti cd: una doppia intervista, a Camilleri e al commissario Montalbano. Ma attenzione: il commissario di Vigàta, nella versione animata, ha dismesso i panni di Luca Zingaretti: lo trovate con una folta capigliatura e un bel paio di baffi.
s.f.
 

IN LIBRERIA
Collura sono e indago in crociera
Un altro commissario alle prese con strani misteri

Proprio mentre l´anno vecchio stava per accomiatarsi, ecco che faceva capolino nelle librerie l´ultima fatica di Andrea Camilleri, intitolata "Le inchieste del commissario Collura" (Libreria dell´Orso, 8 euro).
Si tratta di una leggera e godibile raccolta di otto racconti già pubblicati sul quotidiano "La Stampa" nell´estate del 1998, con al centro la figura del commissario di bordo Vincenzo (per gli amici Cecè) Collura, poliziotto momentaneamente a riposo. Uomo di terraferma, e non d´acqua, colpito al fegato da una bella "revorberata" durante una sparatoria con alcuni rapinatori di banche, il commissario Collura si concede sei mesi di riposo accettando la proposta di passare una parte del periodo di tregua quale commissario di bordo in una nave da crociera.
E già l´ambientazione di questi racconti è un primo indizio per comprendere la natura di questa raccolta, che fa venire in mente i gialli della dark lady per eccellenza, Agata Christie. Niente atmosfere simenoniane, come quelle che dominano nei romanzi di Montalbano, ma soltanto un luogo esattamente delimitato, all´interno del quale il commissario Collura conduce le sue indagini. E la scelta di ambientare i racconti in una nave da crociera permette a Camilleri di riprodurre un microcosmo in cui convivono persone molto diverse tra loro che, dopo pochissimi giorni, riescono a sapere tutto di tutti.
Coadiuvato da un solerte e simpatico collaboratore, il triestino Scipio Premuda, il commissario Collura, amico tra l´altro di Salvo Montalbano, si dovrà misurare con una serie di piccoli misteri, di gialli minimi, come il caso del fantasma apparso in una cabina, una bisca clandestina, la sparizione di preziosi gioielli, lo scambio tra due sorelle gemelle. La narrazione è veloce, liscia come l´olio, incastonata ogni tanto da qualche immancabile termine siculo; i personaggi, per forza di cose, sono funzionali alle vicende narrate. Ed è come se reclamassero più spazio e pretendessero più attenzione da parte del loro creatore, il quale da essi avrebbe potuto cavare fuori altre storie più articolate e conchiuse. Ma non fa niente: questi racconti vanno letti per quello che sono, ossia un puro divertimento e per l´autore e per il lettore. 
Non manca però la solita bacchettata al premier: nel primo racconto Camilleri parla di un miliardario, già presidente del Consiglio, il quale in gioventù faceva il cantante sulle navi da crociera, e che a sessant´anni torna in incognito a cantare sulla nave dove si trova Collura. Povero Berlusconi, costretto a mettere i baffi finti, la parrucca e le lenti a contatto per non farsi riconoscere...
s.f.
 
 

Il Giorno, 4.1.2003
Sì, quel «Meridiano» di Camilleri laurea un classico contemporaneo

Leggo nell'articolo di Giuseppe Bonura «Ma Camilleri non è un classico» di qualche giorno fa alcune affermazioni sulla collana dei «Meridiani» che esigono una risposta. Premesso che la qualità della carta è sempre la stessa e che la cura filologica si è affinata e arricchita negli anni, non sono d'accordo con l'affermazione principale dell'articolo, e cioè che un classico non possa mai essere contemporaneo. La storia stessa della nostra collana la smentisce. Camilleri infatti fa parte di una nutrita compagnia, a partire da Ungaretti, il cui «Tutte le poesie» (il primo Meridiano in assoluto) uscì nel 1969, vivo l'autore. Seguono, in rigoroso ordine alfabetico, Bassani, Bertolucci, Borges, Marquez, Ginzburg, Giudici, Luzi, Macchia, Romano, Saramago, Solzenicyn, Zanzotto.
Camilleri è ritenuto un importante scrittore del '900 non solo da un altissimo numero di lettori ma anche da un ampio numero di critici: basti leggere l'introduzione che Nino Borsellino ha scritto per questo «Meridiano» e l'articolato saggio linguistico di Mauro Novelli che lo accompagna.
Quanto agli altri autori del giallo letterario, sono assolutamente d'accordo con Bonura nel deplorare l'assenza di Simenon dal panorama della collana. Ma le sue opere sono un fiore all'occhiello del catalogo di Adelphi. La collana comunque intende valorizzare questo genere letterario, così caratteristico della modernità novecentesca, tanto che i prossimi anni vedranno la pubblicazione dei Meridiani dedicati a Chandler, a Hammett e a Fruttero & Lucentini.
Cordiali saluti.
Renata Colorni, Direttore della collana «I Meridiani»
 

No, la sua idea di letteratura è quella del tenente Sheridan

Cara signora Colorni,
lei ha ragione ma io non ho torto. Continuo a pensare che Camilleri nei «Meridiani» favorisca una indebita e perniciosa estensione del concetto di classico. E i critici che lei cita a suo sostegno non mi rassicurano (in tempi ormai remoti c'era sempre un critico volonteroso disposto a giurare che Virgilio Brocchi fosse un classico). Quei contemporanei da lei menzionati avevano e hanno uno stile e quindi uno spessore temporale. Camilleri ha una maniera tipicamente giornalistica, e per di più esemplata sui miti e sullo spirito degli anni Cinquanta. Beninteso, stimo le idee politiche di Camilleri, ma la sua idea di letteratura, e la sua pratica, è quella del tenente Sheridan. Tanto è vero che, se per Sciascia la mafia è un dramma universale, per Camilleri è folklore, e il suo linguaggio ne è la prova eloquente. Ripeto che per Camilleri sarebbe bastato un Omnibus, che avrebbe giovato sia alla graduatoria dei valori letterari sia al prestigio dei «Meridiani».
Cordiali saluti
Giuseppe Bonura
 
 

Rai Due, 4.1.2003
Stasera alle  23.55, RaiDue Palcoscenico presenta
Aldo e Carlo Giuffré in:
"FRANCESCA DA RIMINI" - Tragedia a vapore
Una farsa di Antonio Petito.

Con Clara Biondi, Pino Salis, Mimmo Brescia.
Regia teatrale di Aldo e Carlo Giuffré.
Luci di Carlo Natali.
Regia televisiva di Andrea Camilleri.

Equivoci, i malintesi e paradossi linguistici … che derivano proprio dal modo di parlare. Tra esilaranti battute e doppi sensi, una farsa ingenua e sapiente che porta in scena la grande scommessa linguistica di Petito.
 
 

TV Sorrisi & Canzoni, 4.1 2003
OPERA: La Ricciarelli porta in scena Camilleri
Katia e i siciliani. E' subito amore

"Oh guardi Camilleri l'ho scoperto da sola. Mio marito non mi ha mai aiutata a comprendere il siciliano, che per me veneta era indecifrabile. Mi sono dovuta avventurare tutta da sola in quelle storie... Forse è stato un bene, perchè ne sono rimasta affascinata". L'incontro con lo scrittore ha portato Katia Ricciarelli ad affrontare un'opera lirica ispirata ad un suo racconto, "Il fantasma nella cabina" (primo degli otto di "Le inchieste del commissario Collura"). Opera non tradizionale dove la Ricciarelli è la signora Meneghetti, "un'artista in pensione che vuole vendicare tutti quei colleghi bravi ma poco fortunati che non hanno ottenuto ciò che meritavano".
[...]
 
 

Libertà, 7.1.2003
Le "Storie" nei Meridiani Mondadori
Il commissario Montalbano entra nei classici

Il sempre più acclamato commissario Montalbano, il personaggio creato dallo scrittore siciliano Andrea Camilleri, con una mossa prevista, sulla scia del clamoroso successo televisivo, piomba nei classici. E' un evento non da poco, soprattutto se consideriamo il genere di romanzi, quel giallo fino a pochi anni fa svilito in angiporti bizzosi, dove la buona letteratura non tentava neppure di affacciarsi. Ma tanto tuonò che piovve, e Camilleri, con i romanzi del commissario che in Tv ha il volto vincente dell'attore Luca Zingaretti, è riuscito a forzare le porte dell'Olimpo letterario, senza neppure troppa fatica. Il successo popolare è sempre il grimaldello più efficace e consenso, Camilleri e il suo personaggio, ne hanno da vendere. Non sappiamo se Manzoni, Montale, Proust e gli altri migliaia d'immortali che abitano nei prestigiosi Meridiani Mondadori, abbiano storto il naso vedendoli arrivare; se hanno pensato a qualche “camurria” o ad altri procedimenti mafiosi, indignati o sorpresi che fossero, da qualche guizzo interpretativo fatto di scorciatoie compiacenti. Ma tant'è, qualunque cosa vogliano o vogliate pensarne, Andrea Camilleri e le sue “Storie di Montalbano” sono nella casa della beata soddisfazione, e nulla potrà più rimuoverli. Anzi, se il successo che accompagna questo personaggio sin dalla nascita continuerà con lo stesso ritmo in libreria e in Tv, sicuramente s'impossesseranno di un considerevole scorcio panoramico e l'Olimpo corre il rischio di un'occupazione più che di un'infiltrazione. Il volume, con un saggio di Mauro Novelli, introduzione di Nino Borsellino e cronologia di Antonio Franchini, riunisce alcuni dei romanzi più famosi della saga di Montalbano [In effetti, sono tutti i romanzi di Montalbano, NdCFC], quali “La forma dell'acqua”, “Il cane di terracotta”, “Il ladro di merendine”, “La voce del violino”, “La gita a Tindari”, “L'odore della notte” e numerosi racconti tratti dalle varie raccolte che ha pubblicato. Chiedersi il perché del successo di Camilleri è d'obbligo, ma la risposta è semplice: piace ai lettori. Forse anche perché, fra tutti gli scrittori d'oggi, non solo siciliani, Camilleri “è quello che ha valorizzato il teatralismo intrinseco della scrittura”, elevando il regionalismo a universalismo, a epopea definita il sentimento elegiaco. Il Grand - Guignol della mafia “ha aggiunto alla sua arte spunti nuovi”, gli ha dato un retroterra introspettivo degno del miglior Simenon, calcando su di un linguaggio inventato ma estremamente duttile, efficace, insinuante. «I romanzi ed i racconti raccolti e pubblicati nel volume - ha detto lo scrittore - non soltanto disegnano in modo tangibile l'evoluzione di un personaggio quanto credo che scandiscano le tappe dell'evoluzione, o involuzione, di una certa società italiana». Non più solo giallo quindi, ma fatto di costume, specchio ambientale di logiche e rifrazioni nelle quali Camilleri proietta gli istinti venefici di una società controversa, e le motivazioni di una intelligenza che vuole capire, scendere dentro i cerchi dell'indicibile per afferrare le ragioni di tutti. Insignito di recente con una laurea honoris causa dall'Università Iulm di Milano, Camilleri ha affermato, con una gioia autentica che ignora il classico piagnisteo dei siciliani, che il Meridiano ha per lui il valore di una seconda laurea. Ha ragione di compiacersi, perché forse non è che l'inizio di tante altre meritate lauree.
Francesco Mannoni
 
 

Corriere della sera, 7.1.2003
Cinquanta capolavori per una vita da sogno
Oggi in regalo «Va’ dove ti porta il cuore» di Susanna Tamaro. L’avventura proseguirà per tutto l’anno

Si riparte. Da oggi, martedì dopo martedì, i lettori del Corriere della Sera potranno riprendere una piacevole abitudine, lasciata appena un mese fa: trovare in edicola, insieme al quotidiano, un libro. E dopo i trenta Grandi romanzi del Corriere è la volta adesso dei Grandi romanzi italiani: cinquanta volumi, tutti rigorosamente della nostra letteratura, classici di ieri o bestseller dei giorni nostri.
[...]
Le chiavi di lettura di ciascun romanzo saranno affidate, di settimana in settimana a giornalisti e collaboratori del Corriere che si trasformeranno in vere e proprie guide che accompagneranno il lettore.
[...]
Si susseguono paesaggi reali e di fantasia: la Sicilia [...] di Camilleri (La mossa del cavallo, prefazione di Antonio D’Orrico. In edicola l’8 aprile).
[...]
Damiano Fedeli
 
 

Corriere della sera, 7.1.2003
«Solo da qualche anno ho imparato a recitare»
«E’ stata una specie di illuminazione e mi dispiace di averla avuta così in ritardo: avrei potuto fare meglio tutto ciò che ho fatto»

[...]
Nella filmografia di Massimo Girotti si contano oltre cento titoli; e poi ci sono le presenze in teatro con Blasetti, Visconti, Orazio Costa, Luigi Squarzina. E su questo versante citerò ciò che scriveva nel 1958 sull’«Enciclopedia dello Spettacolo» un collaboratore oggi famoso, Andrea Camilleri: «...(in palcoscenico) Girotti ha confermato le sue doti di attore moderno, il fascino di una presenza discreta ma attraente».
[...]
Tullio Kezich
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 8.1.2003
Un calendario ricco di impegni importanti per attori e registi siciliani, che promette di segnare una svolta nella loro carriera
Tutti gli uomini del 2003
Set all'estero, divi e kolossal: è un anno da "Saranno famosi"

[...]
MARCO BETTA. Per il compositore palermitano, il 2003 nasce sotto il segno di Camilleri. La sua opera da camera "Il fantasma della cabina", regia di Rocco Mortelliti, il 6 febbraio sarà in scena al teatro Vittorio Emanuele di Messina. E a Siena quest'estate, con l'Accademia Chigiana, presenterà la seconda tappa del progetto legato alle "Inchieste del commissario Collura" di Camilleri, una nuova opera in due atti, composta da "Il mistero del finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", ancora con la regia di Mortelliti.
[...]
GIUSEPPE DIPASQUALE. Il 18 gennaio, in qualità di braccio destro di Andrea Camilleri, il regista inaugurerà il vecchio teatro "Regina Margherita" di Racalmuto, dopo un restauro lungo vent'anni. "Nel cartellone ci sarà una nuova edizione del "Birraio di Preston" che ho già messo in scena a Catania - dice Dipasquale - spettacolo che quest'anno probabilmente, avrà anche una trasposizione lirica". L'inaugurazione si articolerà in due serate: il 18 gala d'apertura col concerto dell'orchestra "Franco Ferrara" diretta da Carmelo Caruso. Il 6 febbraio sarà Sabina Guzzanti ad aprire ufficialmente il cartellone con il suo recital "Giuro di dire la verità".
[...]
Laura Nobile
Marco Oliveri
 
 

Gazzetta di Parma, 8.1.2003
«L'ombrello di Noè»
Camilleri, una vita in scena

''A proposito di memoria, lo sai cos'è l'anno nonno? E' un po' come l'anno luce. L'anno nonno è quello che racconta a te, nipote, ciò che il suo stesso nonno gli ha raccontato. Sedici nonni in fila, sedici, e arrivi al nonno che ti dice: "Sai, ero in Senato, ma quel fanatico di Bruto non ha tirato fuori un coltello tanto e non è arrivato ad ammazzare Cesare?". Sedici nonni così, in fila, ti fanno il percorso storico della memoria. Non è impressionante? Centodue nonni in fila e arrivi all'uomo di Neanderthal». A proposito di memoria, lo sapete quanto è lungo il curriculum di regista, sceneggiatore, saggista, attore, autore radiofonico di Andrea Camilleri? Pagine e pagine. Non è impressionante per quanti l'hanno scoperto come creatore di Montalbano? E sfogliare quelle pagine fatte di ricordi personali e di trasmissione di ricordi altrui è un po' come arrivare al cuore del teatro. Il suo L'ombrello di Noè (Rizzoli, a cura di Roberto Scarpa) è un libro irresistibile: non pretende di spiegare nessuna verità, eppure comunica anima e respiro del palcoscenico, prendendosi le giuste pause, i fiati. Si attacca in sordina, cogliendo il senso del titolo, quindi ci si intrufola in punta di piedi nelle evocazioni saporose di chi può dire io c'ero, poiché nella bella intervista, anzi un colloquio, una chiacchierata a quattr'occhi con il curatore, Camilleri racconta della sua passione per Majakovskij, dell'ingresso all'Accademia di Silvio D'Amico, di Eduardo e Peppino e Titina - conoscenze di prima mano - e dell'esperienza straordinaria all'Enciclopedia dello spettacolo, a lavorare gomito a gomito con Angelo Maria Ripellino. Fine del prologo. Ed ecco che si entra nel vivo di cosa significhi fare teatro: prima di tutto analizzare il testo, conoscere l'autore, capire Pirandello attraverso una serie di lezioni tenute anni fa; invaghirsi di un'opera di Jean Genet e da un incontro lontano ricavare uno splendido bozzetto - quasi un atto unico; senza mai trascurare i collegamenti, l'inventiva, la miscela tra realtà e finzione, trasformare Beckett, innamorato del personaggio, in Belacqua, che vive in un passaggio assai difficile del Purgatorio («e ha l'infelice destino di essere situato proprio al termine del canto»); intervistare Orazio Costa, maestro e amico dell'autore, che non vide mai nessuna messinscena dell'allievo, per timore di non apprezzarla e che individua una quaterna unica nella storia della letteratura: Ibsen, Strindberg, Cechov, Pirandello; offrirci l'occasione di conoscere Adamov per poi arrivare all'epilogo e dare di nuovo la stura ai ricordi, riprendendo il filo del colloquio con Roberto Scarpa. Dal vaso di Pandora escono altre meraviglie: l'amicizia con Pietro Sharoff, assistente di Stanislavskij, l'incontro con attori del calibro di Randone, Borboni, Agus, l'amicizia con Vasco Pratolini, l'amore per la scena che scocca da un'operetta. E infine una fiaba: una chicca, un dono per chi vuole affrontare il mestiere d'attore. Tuttavia, anche in un volume come questo, che travalica la scrittura e si fa narrazione pura, perché si è voluto conservarvi lo stile del parlato, da istrione del dire, l'aneddoto non è mai fine a se stesso, mai compiaciuto. E' una vera lezione di teatro e si può leggere a più livelli, da profani e da appassionati, da curiosi e da addetti ai lavori. Da spettatori, se si ha voglia di sognare: «Mi viene in mente di una volta che accompagnai il generale Nobile... a Cinecittà per vedere la scenografia de La tenda rossa... Nobile, appena vide nello studio il dirigibile Italia disse "Ma non può volare!" "Infatti, generale, non deve volare", dissi. "Serve solo per le riprese, si fingerà che vola. Lei lo vedrà volare"».
Silvia Sichel
 
 

Corriere della sera, 8.1.2003
«Per un po’ di tempo vado via dal piccolo schermo, torno al teatro con il Riccardo III»

Cappellino blu calato sulla testa, stretto nel cappotto scuro, lo sguardo imbronciato e sospettoso. Quando apre bocca sembra stia per dire: «Piacere, Montalbano». Invece no. Luca Zingaretti si apre in un sorriso inaspettato, sincero. Il 2002 è stato l’anno del commissario siciliano nell’interpretazione del 41enne attore romano: la quarta serie ha catturato più di dieci milioni di spettatori. Nel 2002 ha interpretato sempre il tv Perlasca, il commerciante che salvò 5.000 ebrei ungheresi. E quest’anno si trasformerà nel «Riccardo III» di Shakespeare, con la regia di Patroni Griffi. Zingaretti è di poche parole, ma chiare. Schivo, però coerente, con una diffidenza difficile da perdere. Il papà e la mamma erano impiegati. Suo fratello Nicola, più giovane di 4 anni, è segretario dei Ds romani. E poi c'è Angela, 27 anni, che lavora in una agenzia stampa per le radio. Lui, dopo il liceo a piazza Mastai, si è formato all’Accademia Silvio D’Amico. Ha lavorato con Luca Ronconi, nel film di Ricky Tognazzi, «Vite strozzate» dove era un usuraio spietato, poi «La piovra». Infine nel ’99 il «Commissario Montalbano» di Camilleri. Ora annuncia: «Per un po’ vado via dalla televisione, non mi farà male».
Perché?
«Voglio riflettere e non voglio asfissiare con la mia immagine».
Come è andato il 2002?
«Non vorrei sembrare irriconoscente: sono molto contento perché il mio lavoro è stato apprezzato. Ma vinta una scommessa, ce n’è pronta un’altra. Ecco, uno dei miei difetti è di non riuscire a godere in pieno dei benefici che ottengo».
Qual è la sua nuova scommessa?
«Mi preparerò al "Riccardo III", un vecchio sogno dai tempi dell’Accademia. È una sfida, un grande affresco sul potere e la sua gestione, mi sembra di grande attualità. E poi segna il mio ritorno in teatro, diretto da un grande maestro».
Il teatro non lo ha mai lasciato.
«All’inizio recitavo anche nelle cantine romane, dove non veniva nessuno. Uno dei miei spettacoli più belli è stato "Tre alberghi", con Isabella Ferrari, al Teatro Due. Lo aveva tradotto Masolino d’Amico, che sarebbe diventato mio suocero».
Venne pubblico a vederla?
«Pochissimo, la stessa sorte è toccata ad altri spettacoli, come quelli al Colosseo. Un attore si forma a teatro, recitare è come per un navigatore fare la traversata dell’Oceano. Per un giovane è importante, ti prepara ad affrontare le scommesse».
Come si raggiunge il successo?
«Lavorare tanto non è sufficiente. L’ho fatto, per anni. C’erano periodi in cui non ho preso un giorno di vacanza. Certo l’ho fatto per passione, non solo per soldi. Anche se quando non ti conosce nessuno c’è sempre una buona ragione per rimandare il riposo».
Per esempio?
«La pagnotta. Però quel lavoro mi è servito, perché quando è arrivata la botta di fortuna ero pronto. Ora posso permettermi di scegliere. Se fossi un filodrammatico, potrei fregarmene: se ti fanno proposte che non ti piacciono, vai a giocare a tennis».
La televisione le ha dato molto.
«Molto ho rifiutato: una carriera si costruisce anche dicendo di no, e ho la presunzione di credere che il pubblico non mi avrebbe mai voluto vedere in certi ruoli. Ma non dico quali».
Al cinema si vede poco, perché?
«Tra un cattivo film e una buona tv, scelgo la seconda. Eppure il cinema a me piace molto e in Italia stanno succedendo cose belle. Penso a Muccino, Crialese, Garrone».
Si parla di un suo futuro da regista. È vero?
«Mi piacerebbe, ma non ora. In teatro la parola è padrona e un attore ha il suo peso. Al cinema e in tv chi racconta la storia è il regista».
Cosa si augura per il 2003?
«Un mondo di pace. L’Occidente, dopo l’11 settembre ha reagito nel peggior modo possibile. Ammesso e non concesso che la nostra cultura sia la più forte di tutte, è inammissibile che non riesca a farci vivere in pace». 
Sandra Cesarale
 
 

Il Nuovo, 8.1.2003
Tutti i colori del giallo
Dall'11 gennaio su Radio 2 Tutti i colori del giallo, un programma di Luca Crovi sul mondo del mistero

MILANO - “Il giallo è l'unica forma di letteratura popolare che esprima la poesia della vita moderna”. Così Gilberth Keith Cesterton assecondava la sua innata passione  per il mistero. Una passione sanguigna che diventa protagonista, per tredici settimane, di un nuovo programma intitolato Tutti i colori del giallo in onda su Radio2 a partire dall'11 gennaio 2003, ogni sabato e domenica, dalle 13.00 alle 13.30.
Ad esplorare le sfumature del giallo e le sue varie tonalità (dal noir al mistery, dall'hard boiled al procedural) sarà il saggista Luca Crovi che farà emergere dal passato le figure di personaggi mitici come Nero Wolfe, Poirot, Maigret, Sherlock Holmes, Arsenio Lupin, Auguste Dupin, Pepe Carvalho, Philip Marlowe, Mike Hammer, il Commissario Montalbano, l'Agente 007 o Hannibal Lecter.
Sulle loro avventure indagheranno, di volta in volta, scrittori, musicisti, attori e disegnatori che vestiranno per l'occasione i panni insoliti di detectives e racconteranno curiosità e aneddoti legati al mondo del giallo. Tra gli ospiti in studio che esploreranno in diretta il mistero anche Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Marcello Fois, Giancarlo De Cataldo, Luca Zingaretti, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Bruno Gambarotta.
"Il romanzo poliziesco è il frutto rosso di sangue della nostra epoca... Nulla è più vivo, e aggressivo della morte oggi. Nel romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo: persino i cadaveri che sono, anzi, i veri protagonisti dell'avventura. Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può essere l'assassino o l'assassinato...". Così Augusto De Angelis rivendicava sul finire degli anni Trenta la dignità culturale del giallo. Per anni critici e scrittori hanno discusso sull'importanza più o meno rilevante del poliziesco nella letteratura italiana, e polemiche e discussioni non sembrano spente neppure oggi nonostante i grandi successi in libreria di Camilleri (capace di vendere oltre due milioni di libri negli ultimi tre anni), Lucarelli, Scerbanenco, Macchiavelli & Guccini, Fois, Pinketts, Carlotto, Baldini, Rigosi, etc.
In Italia il giallo è un genere che ha dimostrato di sopravvivere ai tempi e alle mode e che ha saputo arrivare, seppur per strade diverse, direttamente al cuore dei lettori. Il commissario Montalbano, il sergente Antonio Sarti, il tenente Sheridan, il maresciallo Rocca, l'ispettore Grazia Negro, il genio del crimine Diabolik, l'investigatore dell'incubo Dylan Dog, solo per citarne alcuni, sono personaggi che sono entrati a far parte dell'immaginario comune del nostro paese. Seguiamo così in questo saggio la scia rosso sangue lasciata dai giallisti italiani nei romanzi, nei fumetti, nelle serie televisive. Un documentato resoconto degli sviluppi del thriller made in Italy dai suoi esordi (alla fine dell'Ottocento) ad oggi: aneddoti, trame e curiosità che hanno fatto la fortuna di un genere.
 
 

La Sicilia, 9.1.2003
Racalmuto, riapre il teatro

E' ormai ufficiale: il 18 gennaio riaprirà dopo oltre un ventennio di lavori di restauro, il Teatro «Regina Margherita» di Racalmuto. Per l'occasione l'amministrazione comunale ha organizzato due giorni di manifestazioni. Per l'apertura del teatro è previsto alle ore 20.30 il concerto del'Orchestra «Paolo Ferrara» di Palermo composta da settanta elementi. Nel corso della serata sono previste numerose esibizioni a cominciare dalla cabarettista Francesca Reggiani per proseguire con la bravissima Anna Marchesini ed ancora Mario Scaccia e Serena Dandini. Hanno dato forfait sia Luca Zingaretti che Leo Gullotta, impegnati in riprese cinematografiche e quindi impossibilitati ad intervenire. Sarà invece presente, sia il 18 che il 19, il direttore artistico del teatro, lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri. Per il 19 è previsto invece il concerto del soprano Ranya Kapaivaska che proporrà delle arie liriche.
L'altro ieri, il sindaco di Racalmuto, Gigi Restivo, è volato a Roma nella casa capitolina di Camilleri per una riunione urgente del Consiglio di amministrazione del Teatro che risulta essere composto, oltre che dallo stesso primo cittadino, da Gaetano Savatteri del Tg 5, da Felice Cavallaro del «Corriere della Sera» e dall'ex sovrintendente al Teatro «Massimo» di Palermo, Francesco Giambrone. Vice direttore artistico è stato nominato il regista Giuseppe Dipasquale. Nel corso dei lavori, Camilleri ha presentato al sindaco il cartellone teatrale di questa stagione che avrà inizio il 3 febbraio per concludersi ad aprile.
In tutto quindici appuntamenti.Si comincia con un grande nome, Sabina Guzzanti che metterà in scena la commedia «Io giuro di dire la verità». Tra gli altri appuntamenti di un certo interesse quello del 15 febbraio con il tenore Vincenzo La Scola .L'ultimo nodo da sciogliere riguarda quello degli abbonamenti. «Siamo indecisi - ha dichiarato il sindaco Restivo - molto probabilmente per questa prima stagione opteremo soltanto per lo sbigliettamento visto che non c'è più molto tempo».
Il tagliando per la platea costerà 15 euro, per il palco 10, mentre per tutti coloro i quali hanno una età inferiore ai 26 anni il prezzo del tagliando sarà di appena 5 euro.
Gaetano Ravanà
 
 

Sette, 9.1.2003
"Ho  preso 7  in  Montalbano"
In una scuola siciliana si studia Camilleri invece del Manzoni. Ragazzi entusiasti.

Mentre in tutta Italia esplodeva la polemica sulla revisione dei testi scolastici di storia, a Ispica, in provincia di Ragusa, la 
rivoluzione culturale era già cominciata. Andrea Camilleri infatti ha "eliminato" Alessandro Manzoni e presto molte scuole dell'isola potrebbero adottare il nuovo testo dell'autore siciliano. "Un anno fa", racconta Attilio Sigona, preside del Liceo Curcio della cittadina, "abbiamo deciso di fare un esperimento sostituendo in una quinta ginnasio I promessi sposi di Manzoni con Il birraio di Preston di Camilleri, pensando che ai ragazzi un testo contemporaneo, con un linguaggio attuale e che valorizzava anche il territorio li avrebbe coinvolti più di un testo ormai superato. Allora la curia ci attaccò in tutti i modi ma noi andammo avanti e finita la sperimentazione abbiamo seguito la classe e abbiamo visto che i voti sono in linea con le altre classi e la preparazione non lamenta nessuna lacuna". Esperimento riuscito, quindi?. "Assolutamente sì, tanto che adesso stiamo discutendo i risultati e pensiamo di utilizzare l'esperienza per ragionare stabillmente nell'ordine del rinnovo". Nel frattempo i  risultati sono stati presi in considerazione anche dall'editore storico di Camilleri, la Sellerio di Palermo, che ha appena introdotto nella linea scuola Il cane di terracotta, romanzo del giallista completo di schede didattiche e note dell'autore. Che si prepara a invadere i licei e gli istituti tecnici di  tutto il Mezzogiorno.
Antonio Calitri
 
 

10.1.2003
Conversazione con Rocco Mortelliti

Abbiamo avuto l'opportunità di fare quattro chiacchiere col regista Rocco Mortelliti, allievo e collaboratore di Andrea Camilleri, negli ultimi tempi molto impegnato su progetti legati alla "produzione" dello stesso Camilleri.
Mortelliti ha diretto qualche anno fa il film "La strategia della maschera", tratto da un'idea di Camilleri e da Camilleri stesso interpretato, in un ruolo da "non protagonista". Il film, anche a causa di una non felice distribuzione, non ebbe grande riscontro di pubblico. E' comunque disponibile in videcoassetta, oltre ad essere presente nella programmazione di Stream TV.
Mortelliti è anche il regista dell'opera lirica "Il fantasma nella cabina", tratta dall'omonimo racconto di Camilleri e musicata dal palermitano Marco Betta.
Il regista, che in questo periodo è impegnato nella tournée italiana dello spettacolo (prossime date: Lucca, 18-19 gennaio; Messina, 6-9 febbraio), ci ha confermato che si sta lavorando (sempre con Betta) alla realizzazione di altre tre opere tratte dai rimanenti racconti del commissario Cecè Collura, che saranno realizzate rispettivamente a Siena, Catania e Bergamo. Ci ha inoltre annunciato che dalle registrazioni della "prima" del "Fantasma", che ha avuto luogo a Bergamo nello scorso mese di dicembre, verranno tratti un CD e un DVD.
Mortelliti, oltre alla lirica, si sta anche dedicando al cinema.
In particolare sta lavorando alla trasposizione de "La scomparsa di Patò", con la produzione della Palomar (la stessa casa di produzione dei telefilm di Montalbano). Ci dice che nella sceneggiatura cinematografica ha introdotto una differenza rispetto al romanzo: il Delegato di P.S. Ernesto Bellavia (uno dei due protagonisti) non sarà siciliano, bensì uno "scapolo settentrionale", il che farà sì che il Delegato possa avere un atteggiamento più distaccato, quasi da osservatore dei fatti.
Ancora nulla di concreto, invece, riguardo alle trasposizioni (in TV) degli altri romanzi storici, ovvero "Il birraio di Preston" e "La concessione del telefono" (anch'essi saranno prodotti dalla Palomar). E' però drastica la posizione di Mortelliti al riguardo: ovvero che la TV "ammazza" un romanzo, per trasporre il quale il mezzo migliore è il cinema.
In particolare, parlando di Camilleri, questo vale per i romanzi storici.
Per Montalbano, invece, la TV, tutto sommato, potrebbe anche andar bene, il problema è non "commercializzare" troppo il prodotto; cosa che invece sta accadendo.
Mortelliti è molto critico sulla scelta di Zingaretti come Montalbano televisivo, in quanto non siciliano, e quindi costretto a "fare il siciliano" con esiti a suo giudizio non sempre eccelsi. Ha quindi auspicato che i protagonisti dei prossimi film e telefilm siano siciliani, apprezzando le prove dei "comprimari" siculi dei telefilm montalbanici.
Purtroppo però anche lui dovrà fare i conti con un problema simile. Infatti, a partire dalle repliche di Messina, cambierà l'interprete di Cecè Collura nell'opera "Il fantasma nella cabina": al posto del palermitano La Scola, che a giudizio del regista ha magistralmente interpretato il commissario di bordo anche grazie alla sua sicilianità, ci sarà il toscano Luca Canonici.
 
 

Il Denaro, 10.1.2003
Commenti. Come cambia la scuola
Andrea Camilleri elimina Manzoni

Nel liceo classico “Curcio” di Ispica in provincia di Ragusa, Andrea Camilleri ha “eliminato” Alessandro Manzoni. Nell’Istituto Tecnico per Geometri di Colico in provincia di Lecco, il romanzo di un autore locale di cui mi sfugge il nome ha già da qualche anno “eliminato” Alessandro Manzoni. Dice proprio cosi Sette il magazine del Corriere della Sera di ieri: “eliminato”. Come se si trattasse di gare sportive per accedere alla finale di una qualche coppa. Il profondissimo sud di Ispica e l’altissimo nord di Colico si sono dati la mano e se la sono data in nome delle stesse argomentazioni. “Abbiamo deciso di fare un esperimento sostituendo in una quinta ginnasio I promessi sposi di Manzoni con Il birraio di Preston di Camilleri, pensando che ai ragazzi un testo contemporaneo, con un linguaggio attuale e che valorizzava anche il territorio li avrebbe coinvolti più di un testo ormai superato.” Se a Il birraio di Preston di Camilleri sostituiamo Un amore di zitella dell’imperdonabilmente a me ignoto scrittore lecchese, l’argomentazione è la stessa: parola per parola, virgola per virgola. L’Italia non è mai stata così unita come in questo caso. E mai unita contro uno stesso avversario: quell’Alessandro Manzoni che auspicava un’Italia “una d’armi, di lingua, d’altare / di memorie, di sangue, di cor”. E, se vogliamo andare oltre, possiamo addirittura aggiungere che sia Camilleri sia lo scrittore lecchese non vivono, letterariamente, di luce propria ma si richiamano —con esplicito contributo alla critica della loro stessa opera- Camilleri a Gadda e, l’altro, a Piero Chiara. Il sublime e pirotecnico Gadda di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e il molto più prevedibile Chiara delle sue storie di paese. Molto più prevedibile, linguisticamente parlando, Piero Chiara. Di “titanica esagitazione linguistica” e di “violento ma squisito scrittore” scrive Gianfranco Contini di Carlo Emilio Gadda. Gianfranco Contini che, in questi ultimi cinquant’anni, ha rappresentato la corte di cassazione dei giudizi letterari. Dunque, Camilleri: un Gadda ripasticciato in uno stile “gradevole” o “amabile” (come i vini leggerini) trasferito in Sicilia mentre per Piero Chiara abbiamo una scrittura già leggerina calata ad ancor più modesta letteratura ferroviaria. 
Palmiro Togliatti non era uno stupido. Sosteneva che egli si batteva perché anche il popolo potesse mangiare l’aragosta. O assaggiarla, almeno! Palmiro Togliatti sapeva bene quali e quanti succhi -densi ricchi sapidi saporosi- si potessero trarre da un’aragosta! A Ispica e a Colico, e temo non solo lì, altro che aspirare all’aragosta. Si accontentano di pesce azzurro e congelato pure. Un contentino di gravi conseguenze per il futuro di quei giovani per i quali si dice di avere operato tali scelte: perché se dall’aragosta Alessandro Manzoni si ricava quello che l’aragosta può dare, dal pesce azzurro, per di più congelato, si ricava molto ma molto meno. Con tutto il rispetto per le sarde e le alici.
Il fatto è che i nostri presidi e i nostri docenti dovrebbero leggere di più e meglio. Le grandi lezioni che vengono da un grande paese. Perché due anni fa è arrivato da New York, per la sapidissima penna di un giovanissimo settantenne irlandese d'America, un messaggio in una bottiglia che, per noi, ha stampato l’Adelphi.
Frank McCourt ha zappato, sterrato, dissodato per decenni e decenni nelle High Schools della Grande Mela: dagli istituti tecnici e professionali di periferia (affollati da bande di giovani da far impallidire il Glenn Ford de Il seme della violenza) agli istituti-bene del centro con allievi per lo più impegnati a far passare il tempo e la noia in attesa di approdare in qualche prestigioso college. Un messaggio forte e chiaro, quello di McCourt. Perché, quando arriva —primo incarico in una scuola- a insegnare "lingua inglese" in un professionale di Staten Island, un sobborgo, trova alunni svogliati alle prese con un Montalbano locale o con qualche storia alla Chiara. Perché i Montalbano e gli sbiaditi personaggi di Chiara hanno parenti dappertutto e partigiani, soprattutto, in ogni parte del mondo. Cibi (letterari/culturali) leggeri per i delicati appetiti dei giovani d'oggi. Leggeri ma non sufficienti.
Leggeri ma che lasciavano intatta la fame: visto che i giovani, s'accorge l'imberbe McCourt, protestavano e s'annoiavano tal quale s'annoierebbero i nostri a leggere l'Alessandro Manzoni. E McCourt (ecco cosa significa quando lo chef è un grande chef!) cambia di colpo menù. Lo ribalta, anzi: il menù. Via il cibo insipido dei minestroni letterari e dentro Shakespeare. Sì, Shakespeare: la vetta più alta della poesia inglese. E, dice Harold Bloom, non solo inglese! Una lingua "antica", quella di Shakespeare, irta per i palati delle periferie urbane. Una lingua complessa e desueta di fronte a cui anche un lettore colto trova difficoltà. Ma una lingua per passioni "eterne". Le eterne passioni degli uomini. Rifiuto dapprima. Rifiuto che si capovolge in attenzione, progressiva attenzione. Un'attenzione che cresce giorno per giorno: perché i giovani incominciano a trovare, nello smagliante inglese di Shakespeare, l'eterna trama delle umane esistenze. Lady Macbeth? Il "pallido principe" Amleto che pensa troppo e troppo bene? Il perfido e violento Riccardo III°? La leggerissima Ariele? Il dirompente Falstaff? Ma siamo noi: si accorgono, sorpresi, i giovani eroi delle bande metropolitane. Sono i nostri vicini di casa. Le persone che incontriamo, ogni giorno, a milioni sui marciapiedi della Mela. Altro che Montalbano! E incominciano a recitarseli tra loro, a rinviarseli -negli intervalli, fuori della scuola, nei giochi per strada- i versi immortali. "Essere o non essere", "L'inverno del nostro scontento", "Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni": tra la sorpresa, prima, e l'ammirazione, poi, dei compagni delle altre classi. Classi dove si leggevano, ancora, storie incredibili di impossibili tardivi amori. E gli alunni di MacCourt diventano nell'istituto tecnico e professionale McKee "Quelli che leggono Shakespeare". Una marmellata di sorpresa e di invidia, i compagni degli altri corsi: perché, alla fine, il cibo buono lo riconoscono tutti, quando è veramente buono e lo chef veramente all'altezza.
Che grande lezione! E Che paese, l'America! per noi che eliminiamo, come fosse niente, Manzoni e lo sostituiamo con Montalbano. Ai giovani piace di più? Se è per questo personalmente non perdo una puntata della versione televisiva del Camilleri-Montalbano e, forse, domani non ne perderò una delle storie dello scrittore del lago di Como, ramo di Lecco, se ce ne sarà una versione televisiva. Però devo sapere che mangerò alici e sarde e non andrò molto lontano. E non mi meraviglierò -poi- se, un domani non lontano, qualche nostra grande industria non saprà gareggiare, a faccia a faccia, con i colossi di altri paesi.
Corrado Ruggiero
 
 

Giornale di Brescia, 11.1.2003
Santo Piazzese al suo terzo romanzo cambia protagonista e marca la distanza con Camilleri
La doppia sfida del giallo siciliano
Un pacato commissario sostituisce il biologo dandy. Tra squarci di luce e oscuri quesiti da sciogliere

Ne ha di coraggio Santo Piazzese. E non solo perché si mette a scrivere gialli ambientati in Sicilia nel bel mezzo dell’epoca-Camilleri. Ma anche e soprattutto perché dopo due romanzi di ampio successo, in Italia e all’estero, cambia personaggio protagonista e muta registro, dimostrando un’abilità che va ben oltre la produzione seriale. Il primo gesto coraggioso Piazzese l’aveva compiuto nel 1996, con «I delitti di via Medina-Sidonia». Lui, di Palermo, andava a pubblicare con Sellerio un giallo ambientato in Sicilia proprio mentre l’astro Camilleri era in piena ascesa. C’erano tutti gli elementi per essere accusato di cavalcare l’onda, di mettere le vele dove il vento è a favore. E non bastava dicesse ad ogni occasione che lui aveva letto Camilleri quando il suo primo romanzo era già in stampa. Santo Piazzese, siciliano e giallista con il vezzo della battuta in dialetto, non poteva sfuggire al ferreo paragone con il papà del commissario Montalbano. A fare giustizia d’un parallelo superficiale ci hanno pensato i lettori. Sì, perché quello di Piazzese è tutto un altro mondo, rispetto alla Vigata camilleriana. È vero che pur sempre di giallo si tratta, di quelli classici che non amano concedere spazio alla violenza e alla brutalità, e che invece prediligono il mistero da risolvere, la matassa ingarbugliata da sciogliere con pazienza. È vero che molto si gioca sulla psicologia dei personaggi, così come lo sfondo è sempre quello di una Sicilia bella ed enigmatica. Ma diversissimi sono il taglio, l’ambiente sociale, l’evolversi dell’indagine. Sia nell’esordio di via Medina-Sidonia, sia ne «La doppia vita di M. Laurent», l’ambiente è quello della borghesia palermitana e il protagonista è Lorenzo La Marca, quarantenne docente di Biologia all’Università di Palermo (esattamente come l’autore). Intellettuale brillante, single gaudente: la battuta rapida, l’aggancio colto, l’intreccio raffinato di citazioni e sensazioni, rendono piacevolissima la lettura. Due romanzi, due successi. E si attendeva il terzo... Ma qui sta la sorpresa, il secondo gesto ancor più coraggioso. Piazzese cambia protagonista e cambia registro. L’autore dà una spiegazione fintamente semplice: La Marca non è un poliziotto, né un avvocato o un medico legale, insomma non è una persona che per mestiere ha a che fare tutti i giorni con morti ammazzati... serviva un professionista. Ma il cambio è ben più radicale, profondo. Nel terzo romanzo, «Il soffio della valanga», Piazzese porta in primo piano un amico del brillante biologo, quel commissario Vittorio Spotorno che nei primi due romanzi era apparso tanto grigio, dimesso, quotidianamente formale, da sembrare costruito apposta per far da contraltare all’esuberante La Marca. E il commissario non viene snaturato: resta dimesso nei gesti, pacato nei modi, formale nei comportamenti. Sposato felicemente da anni con una insegnante che unisce saggezza a fantasia. Padre di famiglia un po’ preoccupato del poco tempo che riesce a dare alla sua famiglia. Con un presente da mezza carriera e un passato da periferia. Proprio da quel passato emergono, uno alla volta, i personaggi-chiave del giallo. Rosario, ridotto a fare l’autista ad un piccolo boss del pizzo e ammazzato (per sbaglio, sembra all’inizio...) in un’imboscata. Diego, già un tempo freddo e calcolatore, ora imprenditore in cerca di ascesa. Maddalena, sorella di Rosario, in bilico delicato tra mille difficoltà familiari... Come nei gialli classici, quel che colpisce a prima vista non è la realtà, bisogna saper scavare oltre i veli delle apparenze, per scoprire la verità. Talvolta è il soffio della valanga a creare i danni più appariscenti, ai margini della precipitazione. E c’è anche una vena di mafia, per dire che la Sicilia sembra non possa sfuggire a questa ombra lunga e cupa. Cambia il personaggio e cambia il tono della narrazione. Diventa meno effervescente, più distesa. Ma non per questo meno piacevole. Anzi, forse guadagna in profondità. Santo Piazzese anche questa seconda coraggiosa sfida pare proprio averla vinta.
Claudio Baroni
 
 

Opera international, 1.2003
Intervista a Marco Betta
Giovanni La Barbara
 
 

Prima della prima, 14.1.2003
Martedi 14 gennaio alle 24.40 su Raitre "Il fantasma nella cabina" da una racconto di Andrea Camilleri

“PRIMA DELLA PRIMA” di martedi 14 gennaio presenta dal Teatro Donizetti di Bergamo l’opera “Il fantasma nella cabina” tratto dal racconto di Andrea Camilleri "Il commissario di bordo", su libretto di Rocco Mortelliti e musiche di Marco Betta. Il racconto del grande scrittore siciliano si svolge in una nave da crociera, o più precisamente nel suo salone di prima classe, dove tutti i personaggi si incontrano e interagiscono tra loro. Ma non è il famoso commissario Montalbano a trasformarsi in cantante lirico, bensì il suo collaboratore Cecè Collura, - alias il tenore Vincenzo La Scola - che, reduce da una pallottola nella pancia, va a farsi una bella convalescenza su una nave da crociera come commissario di bordo. Mentre Cecé Collura è intento a sorseggiare un drink con l’attrice e cantante Giorgia – Paola Ghigo – viene chiamato per un’emergenza: nel suo ufficio, una vecchia signora avvolta in una vestaglia di gran classe - la signorina Meneghetti interpretata da Katia Ricciarelli – sostiene di aver visto nella sua cabina un fantasma. Così Cecé Collura si trova a dipanare un misterioso caso e a tranquillizzare i passeggeri che, presi dal panico, vedono fantasmi dappertutto. Altri interpreti principali sono Luciana Serra nel ruolo di Stefania Biroli, una giornalista impicciona, mentre nel ruolo dell’attore Rocco, lo stesso Rocco Mortelliti che cura anche la regia dell’opera. Con “Il fantasma nella cabina” Betta e Mortelliti accettano la sfida di coniugare la prosa con la musica, grazie anche alla struttura teatrale del racconto di Camilleri. Ci sono arie, duetti, recitazione sulla musica, il tutto a formare un’opera divertente e accattivante. La regia televisiva di questa puntata di "Prima della Prima" è di Andrea Bevilacqua. L’appuntamento con "PRIMA DELLA PRIMA" è per martedi 14 gennaio alle ore 24.40 su Raitre.

Riportiamo la trascrizione, a cura di Paola, degli interventi di Andrea Camilleri, Rocco Mortelliti, Marco Betta, Vincenzo La Scola, Katia Ricciarell e Luciana Serra.

VOCE FUORI CAMPO
Dal Teatro Donizetti di Bergamo “PRIMA DELLA PRIMA” presenta oggi “Il fantasma nella cabina” di Andrea Camilleri.
Il collaboratore del Commissario Montalbano, Cecè Collura, reduce da una pallottola nella pancia, va a farsi una bella convalescenza su una nave da crociera come commissario di bordo. Cecè pensa infatti di doversi preoccupare solo di tenere lontane le camurrìe dei passeggeri, ma qui si sbaglia, il Nostro, perché, durante la notte, mentre è intento a sorseggiare un drink con la cantante Giorgia un avvenimento turba la quiete generale: una vecchia donna in vestaglia - la signorina Candida Meneghetti - si precipita fuori dalla sua cabina urlando di aver visto un fantasma. Così comincia una notte di tregenda: mentre Cecé Collura cerca di risolvere il misterioso caso,  i passeggeri, presi da panico, vedono fantasmi dappertutto. Il comandante è preoccupato per il buon nome della nave e Stefania Biroli, una giornalista pedante e ficcanaso, profetizza immani sventure.

ROCCO MORTELLITI (Regista)
Da bambino mio padre voleva comprarsi una nave da crociera e andammo a visitare questa nave a Gaeta. Mi ricordo che io la visitai, entrai nelle cabine e aveva un’aria rarefatta, quasi abbandonata… diciamo, in qualche modo si è riacceso questo ricordo.
La musica viene direttamente “dalla” nave. Questo è un tipo di teatro che mi piace, far nascere le situazioni  dal teatro stesso.

ANDREA CAMILLERI
Cecè Collura è uno dei due nomi che mi vennero in mente quando dovevo chiamare in qualche modo l’investigatore del primo romanzo giallo che scrissi: La forma dell’acqua. L’altro nome era Salvo Montalbano. All’inizio c’era questa sorta di incertezza ma, una volta che Salvo Montalbano venne definito, diciamo, perfino nei suoi tic, nelle sue manie, è chiaro che Cecè Collura non poteva che essere un’altra cosa. Infatti nella mia finzione Cecè Collura è un amico di Montalbano ma, in un certo senso, è assai più “dritto”, più sbrigativo nelle sue indagini, si perde meno.
Ogni personaggio nasce come una “funzione”. Io preferisco iniziare dal dialogo, cioè lo metto davanti a un personaggio che già c’è e lo faccio parlare. Da come parla, dalle frasi che dice, ne deduco il personaggio, com’è fatto come si muove quanti anni ha: le sue parole me lo formano.

ROCCO MORTELLITI
Mi fa tanto ridere l’acuto che Vincenzo La Scola fa con “camurrìa”. Mi emoziona sentire una canzone in siciliano con questo linguaggio. Il siciliano veramente parlato come oggi si sente parlare per esempio a Palermo, perché lui dà questi colori che solo un Siciliano può dare, aggiunge delle cose, delle sfumature e solo un Siciliano lo può fare.

LUCIANA SERRA (Stefania Biroli, giornalista)
Una giornalista che inventa qualsiasi cosa pur di non stare zitta, infatti arriva in scena con una cinepresa, registratore, telefonino, blocco per scrivere tutto… sono proprio fornita di tutto, anche perché sono stata ingaggiata da questa compagnia di navigazione per fare articoli di costume su questo viaggio che secondo me è un viaggio “immobiliare” e fatto di parassiti… cosa può esserci di diverso su di una nave di crociera? Si viaggia, così, si chiacchiera, ci si diverte e poi ci sono anche i fantasmi, perché no?

KATIA RICCIARELLI (Candida Meneghetti)
Sto bene come Candida Meneghetti, mi piace moltissimo, questo personaggio, per altro è un personaggio che deve avere la mia età. E’ sicuramente perdente, però diciamo che sicuramente c’è un fondo di patetico perché lei rappresenta un po’ tutti quegli attori, insomma, considerati secondari, caratteristi che poi in fondo, spesso e volentieri sono più bravi dei protagonisti.
Per noi cantanti è una cosa un po’ insolita quella di parlare. Qualche volta ci succede in qualche opera di avere dei recitativi parlati ma è rarissimo, invece qui c’è piuttosto… parecchio da fare.
La molla che mi ha fatto accettare è stata prima di tutto il testo di Andrea Camilleri, poi la presenza di Marco Betta come musicista e poi tutto il resto. La Scola, la Serra, una compagnia straordinaria, il teatro che amo moltissimo. Poi, quando ho sentito la musica mi sono detta: be’, tutto sommato avevo ragione, perché non è una musica contemporanea che per ascoltarla ci vuole molta pazienza e per impararla ce ne vuole veramente altrettanta.

ROCCO MORTELLITI
Quando scrivo qualcosa mi faccio accompagnare da un suono che ho in testa e che comunque mi aiuta a trovare anche il ritmo della storia. Quando, appunto, ho scritto questo libretto mi sono fatto la mia colonna sonora del libretto che poi ho comunicato al compositore Marco Betta che lo ha sviluppato, me lo ha rimandato e ho ritrovato un’altra cosa, giustamente. Adesso io, mentre faccio il regista non mi rendo conto che quest’opera è partita da un racconto di Camilleri, poi l’ho trasformata in libretto poi è stata musicata. Mi è tornata una cosa che ha una sua, come dire, una sua  fattura e io dirigo questa cosa che forse non conosco… paradossalmente è così, anzi, mi sono distaccato moltissimo dall’autore, adesso sono il regista che mette in piedi un’opera che ha una sua forza, una sua vitalità, la sua musica.

VINCENZO LA SCOLA (Cecè Collura)
Il rapporto che si crea, diciamo, tra la Candida Meneghetti e Cecè Collura è un rapporto sicuramente di sfida, anche se la Candida Meneghetti cerca di creare una situazione facile da risolvere perché pensa che il commissario di bordo sia un personaggio qualunque della nave. In realtà ha la sfortuna di imbattersi in un vero Commissario di Polizia che sin dalle prime battute non le crede assolutamente, se non altro per la panzana così grande del fatto di poter vedere un fantasma, una cosa che realmente nessuno vuole credere.
La cosa più importante è che io personalmente, Vincenzo La Scola, mi sto divertendo da morire, sto facendo una cosa totalmente nuova che è legata alla recitazione, alla gestualità non abituale che si può avere all’interno di un’opera e sto lavorando col regista che mi sta dando dei grandissimi suggerimenti anche per il resto della mia carriera e sto facendo una specie di stacco da quella che è l’opera tradizionale che, per un cantante come me che oramai canta da parecchi anni, può significare anche una ricarica delle batterie.

MARCO  BETTA (Musicista)
Credo che l’opera che abbiamo scritto sia un ‘opera che in qualche modo ha una malinconia leggera e una leggera ironia e questo secondo me era in qualche modo il clima emozionale che volevo organizzare all’interno di quest’opera. Questo clima poi, in realtà, per una coincidenza straordinaria, come sempre avviene nelle cose dell’arte, è stato un clima che poi alla fine abbiamo scoperto volevamo tutti.
Oggi l’opera, comunque, ha la necessità di avere un ritmo teatrale che in qualche modo corrisponde al ritmo della nostra vita. Io penso che qualsiasi opera d’arte è il risultato anche della sensazione del tipo di vita che un popolo conduce o tutti conduciamo oggi.

ANDREA CAMILLERI
Una pagina scritta è come il bilancino di un farmacista dei vecchi tempi, quando facevano le polverine, quindi è tutto un problema, per me, di lettura e rilettura della pagina scritta alla scoperta dell’equilibrio del personaggio, della sua valenza in funzione di altre valenze. Diciamo che è un fatto musicale, è un fatto di proporzione, di tempi all’interno di altri tempi più generali. Nel ritmo di una pagina c’è un rapporto diretto con la musica, io mi accorgo immediatamente quando sono fuori ritmo. Quando ho bisogno, come un direttore d’orchestra, di dire ai mie personaggi “Fermi, c’è qualche cosa che non funziona… voi state rallentando, voi state andando un po’ troppo avanti.” E’ una cosa di sensibilità molto difficile a spiegarsi a parole.

KATIA RICCIARELLI
Vive con pochi soldi di pensione al mese e quindi ha accettato di fare questa cosa, questa messinscena per prendere dei soldi, per danneggiare la compagnia diciamo armatrice, e la concorrenza ha pagato per danneggiare l’immagine di questa compagnia. Quindi lei ha preso tanti soldi, si è comperata tutto… camicie da notte… io non ne ho mai avuto una così nella mia vita, comunque… Però poi alla fine, insomma, da questo commissario Cecè Collura viene smascherata e allora lì c’è questa specie di morale, di cosa che lei dice, che quando si parla degli attori, subito in generale si pensa a Hollywood alle stars, ma invece poi c’è tutta un’altra faccia della moneta che poi è quella che sappiamo, che non sempre è così…

VINCENZO LA SCOLA
Cecè è tutt’e due. All’inizio è spietato, soprattutto quando si cerca di fregarlo in maniera così stupida e plateale, però subito dopo è molto paterno perché consente alla signora Meneghetti di continuare la crociera, consente anche di mettere a tacere, diciamo, tutto il polverone che si è creato nella compagnia armatrice.
Io dico che con quest’esperienza francamente l’idea di fare l’attore non mi dispiace, o almeno di trovare orizzonti nuovi e in quest’opera dove la recitazione è praticamente privilegiata rispetto al canto stesso ho scoperto una nuova faccia di me stesso grazie all’intervento, ovviamente, di Rocco Mortelliti che è un fantastico regista di cinema e di teatro e… francamente, è un’idea che sto accarezzando.

ROCCO MORTELLITI
Io non conosco i critici, quindi non saprei proprio, deve funzionare un meccanismo, uno spettacolo, una macchina, non una musica singola. Se la musica si sposa bene con l’azione, con quello che si sta raccontando e come si sta raccontando io credo che questa sia la cosa migliore.

ANDREA CAMILLERI
Che cosa spera uno, che cosa pensa quando vede un suo personaggio diventare un’altra cosa? Eh, questo è importante, perché fin quando il personaggio è sulla pagina si affida alla lettura del singolo. Diciamo che io l’ho scritto sul mio computer, la casa editrice l’ha stampato, il libraio ha comprato il libro ma questi mediatori non alterano minimamente il rapporto tra me e il mio lettore. Diverso è il caso nel momento nel quale il mio lavoro viene trasferito in televisione o viene adattato come opera lirica. Io mi trovo in una posizione privilegiata cioè a dire la posizione di chi avendo fatto per lunghi –troppi- anni il regista sa che il “tradimento” dell’opera scritta è indispensabile perché funzioni il trasferimento, tanto in televisione quanto in cd-rom, come ho già visto, quanto in fumetto, perché è già accaduto tutto, mi manca solo che Cecè Collura canti… Va benissimo, lo attendo con una curiosità immensa.
 
 

Tele +, 14.1.2003
INN News
PRIMAFILA: Camilleri e il successo del commissario Montalbano

Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri è ospite della rubrica di spettacolo Primafila di INN (www.inn.tv), il canale all news del Gruppo Sitcom. Un faccia a faccia in cui Camilleri parla del successo televisivo della serie sul commissario Montalbano, confessando di non avere il pieno controllo del personaggio.
Lo scrittore attacca anche la Rai: "Il successo della serie televisiva di Montalbano - dice - sta a dimostrare che la domanda di buoni prodotti c'è, ma che non esiste un'offerta adeguata. La vera differenza tra gli sceneggiati di un tempo e la maggior parte della fiction di oggi - continua Camilleri - è data dai testi, dalla base culturale che si decideva di portare in tv. Non voglio fare la parte del vecchio che dice che una volta era meglio, ma una volta la Rai faceva cultura attraverso le trasmissioni di varietà e di prosa senza bisogno di pensare a programmi dedicati alla cultura".
Giovedì 16 gennaio ore 20.35
 
 

Il Nuovo, 14.1.2003
Il 2002 è l'"anno della Fallaci"
Lo dicono le tirature de La rabbia e l'orgoglio, le più alte in Italia durante l'anno appena conclusosi. Tra gli altri autori bestseller Camilleri e la Allende.

ROMA - E' La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci il libro più venduto in Italia nel corso del 2002. Lo ha stabilito un'analisi delle rilevazioni del Cirm condotta da Giuseppe Gallo per l'almanacco Tirature 2002, edito dal Saggiatore. Seguono La paura di Montalbano di Andrea Camilleri e Ritratto di seppia di Isabel Allende. L'almanacco prende in considerazione le vendite dall'autunno 2001 fino a tutta l'estate 2002. Mancano quindi i dati relativi all'ultimo quadrimestre.
Ma il pamphlet della giornalista-scrittrice è di gran lunga il best-seller italiano del 2002 (1.366 punti nella rilevazione statistica Cirm contro i 950 e 844 di Camilleri e della Allende). Significativo comunque che quest'anno cinque dei dieci titoli best seller siano di autore italiano e 11 tra i primi venti, a dimostrare una tenuta generale davanti alla concorrenza straniera e americana in particolare.
Con la Fallaci e Camilleri ci sono poi Flavio Oreglio con Il momento è catartico (810 punti) e, a seguire, Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani (671) e ancora Camilleri con Il re di Girgenti (579).
[...]
 
 

La Sicilia, 15.1.2003
Racalmuto alza il sipario

E' pronto il programma della stagione teatrale 2003 del «Regina Margherita» di Racalmuto. Si comincia con «Giuro di dire la verità» con Sabina Guzzanti; si proseguirà con il concerto del tenore Vincenzo La Scola (che si è esibito per il concerto di Capodanno alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi), ed ancora «La chiave dell'ascensore» con Ida Carrara per la regia di Guglielmo Ferro; Concerto Fotogramma di Nicola Piovani, «Un omaggio a Turi Ferro» con il concerto multimediale di Massimiliano Pace denominato «Experienza», «La Controversia liparitiana» che è la prima produzione del teatro racalmutese per la regia di Gaetano De Pasquale.
Slitta però nuovamente la riapertura dello stesso teatro prevista per sabato prossimo 18 gennaio. L'apertura della struttura, dopo una opera ventennale di ristrutturazione avverrà a metà febbraio forse per consentire al Presidente della Repubblica Ciampi, che il prossimo mese sarà ad Agrigento, di inaugurarlo così come avvenne per il teatro «Luigi Pirandello» di Agrigento nel 1995 alla presenza dell'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Ma ufficialmente non c'è ancora nulla. Anzi il sindaco di Racalmuto, Gigì Restivo ha comunicato che lo slittamento della data di inaugurazione si è reso necessario per ultimare il look alla struttura teatrale e per consentire di organizzare al meglio la cerimonia di inaugurazione al quale interverrà naturalmente il direttore artistico, Andrea Camilleri, assieme ad altri artisti teatrali di primo piano del panorama italiano. Una piccola speranza per potere contare anche sulla presenza di Luca Zingaretti che interpreta per la tv il Commissario Salvo Montalbano nato proprio dalla penna di Camilleri. L'artista sabato prossimo non poteva esserci per impegni di lavoro. A giorni intanto partirà il primo corso di avviamento al teatro per tecnici, organizzatori, attori e maestranze teatrali, ma il fiore all'occhiello del teatro è rappresentato dal bandi di concorso premio di Drammaturgia dedicato alla memoria di Leonardo Sciascia. Per il vincitore la possibilità di mettere in scena al «Margherita» l'opera composta.
Gaetano Ravanà
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 15.1.2003
Il regista sta lavorando alla sceneggiatura assieme allo scrittore-poliziotto palermitano
Preferisco il rumore dell´isola
Di Cara: "Calopresti trasforma il mio libro in film"

"Isola nera", il romanzo del commissario di polizia palermitano Pier Giorgio Di Cara pubblicato lo scorso anno dalla e/o, sta per diventare un film per mano del regista Mimmo Calopresti. Ambientato nell´isola di Linosa (Lipanusa nel libro), il noir di Di Cara racconta la storia di uno «sbirro», Salvo Riccobono che, ferito in un agguato mafioso, decide di trascorrere la convalescenza in compagnia dell´amico medico Mario in una piccola isola vulcanica, teatro di un misterioso omicidio quasi subito liquidato come incidente. Ma che piega prenderà il romanzo di Di Cara, nell´immaginario di un regista colto e raffinato come Mimmo Calopresti?
Appartenente alla «cordata» di Nanni Moretti, Colapresti, recentemente impostosi all´attenzione del pubblico e della critica col suo "Preferisco il rumore del mare", assieme allo stesso Di Cara e a Heidrun Schleef, sta lavorando alla sceneggiatura con vero entusiasmo: «Lui è molto contento -confida il commissario - ma io sono curioso di sapere come renderà sullo schermo la mia storia. Mimmo non si è mai cimentato nel genere poliziesco. È un regista intimista, e sicuramente non girerà un film noir. Mi ha detto che punterà essenzialmente sul dialogo interiore del protagonista, dal quale viene fuori un´idea di Sud alla Salvatores. E poi è importante che un autore come lui, dalla forte connotazione ideologica, scelga come protagonista un poliziotto per raccontare il suo punto di vista sul mondo».
Il film verrà prodotto dalla "Bianca film". Intanto, "Isola nera", presentato lo scorso anno alla Fiera del libro di Torino, entro dicembre verrà tradotto in francese da Serge Quadruppani, il traduttore di Camilleri, e pubblicato dalla casa editrice Metailie; l´anno prossimo, invece, varcherà i confini editoriali tedeschi. Ma Pier Giorgio Di Cara, nel frattempo, non si è fermato; da Siderno, in Calabria, dove si occupa del reparto prevenzione crimine, fa sapere che ha già ultimato il suo nuovo romanzo, che si intitolerà "Un´assurda parrucca bionda" e che quasi sicuramente verrà pubblicato dalla e/o. «Questa volta - spiega Di Cara - tornerò all´ambientazione metropolitana; niente isole dunque, ma una città che all´inizio del libro è sconvolta da un attentato a un giudice. Sarà un romanzo più violento, più frenetico; in una parola, si tratterà di una storia da squadra mobile, con tanto di sigarette, appostamenti, scazzottate, nella quale verrà raccontato l´antefatto di "Isola nera", ossia il ferimento di Salvo Riccobono». L´impianto narrativo, come quello del primo romanzo, si poggerà sulla prima persona, quella del protagonista, che però ad un certo momento subirà uno slittamento, passando così dall´italiano borghese di Riccobono a quello «palermitanizzato», zeppo di allusioni, del rivale, il malavitoso braccato.
Tra commissari veri e finti, vien fuori che Zingaretti-Montalbano è un amico di Di Cara. «Lui è un mio fan - confessa Di Cara - e in uno degli ultimi sceneggiati televisivi, quello che vede l´omicidio del vecchio cieco Enea Silvio Piccolomini, mi ha voluto fare un omaggio. Verso la fine, a un tizio arrestato perché scommetteva su cani da combattimento, Montalbano intima "Cammina, stronzo!", citando il titolo della mia raccolta di racconti».
Salvatore Ferlita
 
 

Il Piccolo, 15.1.2003
Dall’estate dell’anno scorso si era messo a lavorare contemporaneamente su tre opere diverse
Sfidava il tempo con sempre nuovi libri
Le lezioni di Napoli, una riflessione sul linguaggio e sugli amati gialli

Quando parlava di libri, Giuseppe Petronio riusciva a fermare il tempo.
[...]
Petronio era disposto a confessare ancora che un nuovo «Punto sul giallo» l’avrebbe messo assieme volentieri. Perchè le idee su questo genere, messe in giro da studiosi frettolosi, e per nulla attendibili, hanno finito per creare un gran polverone. «Si pretende di cacciare dentro un gran calderone Agatha Christie e Andrea Camilleri, Georges Simenon e Carlo Lucarelli». Lui, che alla «trivialliteratur», alla letteratura di massa e di consumo aveva dedicato studi approfonditi, convegni ribollenti di contrapposizioni e convergenze metodologiche, articoli densi di indicazioni, non ci stava a snocciolare parole a vanvera.
I gialli, Petronio, non solo si divertiva a leggerli. Ma era sempre pronto a discuterne, a difendere il loro diritto di esistere dentro i confini della letteratura «alta». Non esitava a confessare che, dopo aver navigato tra libri pretenziosi di scrittori contemporanei e saggi zoppicanti di studiosi paludati, preferiva tirare fuori dalla libreria di casa un succulento, vecchio libro di Georges Simenon e concludere la serata in sua compagnia.
«Il giallo non è un’invenzione dei nostri giorni - spiegava -. E con deve stupire nemmeno se scrittori di grande prestigio dedicano di usare le forme narrative della ”detective novel” per scrivere libri ”alti”. Non dobbiamo dimenticare che Edgar Allan Poe, uno dei grandi della letteratura americana, per tutta la vita ha continuato a inventare storie misteriose e fantastiche. E lo stesso Carlo Emilio Gadda ha concepito il suo ”Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” come un giallo».
[...]
Alessandro Mezzena Lona
 
 

Neapolis, 16.1.2003
VIGATA.ORG

Ad ogni puntata decine di nuovi contatti. Il commissario Montalbano interpretato da Zingaretti fa girare all'impazzata il contatore del sito vigata.org.
Ovvero il luogo della Rete dove si incontrano i membri del "Camilleri fans club", nato a Palermo ma ormai con soci in tutto il mondo.
Loro, però, gli ideatori del sito, vedono i telefilm con un occhio un po' distante, anche perché la loro passione è nata in tempi non sospetti, 5 anni fa, e soprattutto dall'amore per l'autore di romanzi.
 
 

La città di Salerno, 16.1.2003
Andrea Camilleri: ''Le inchieste del commissario Collura'' - Edizioni Libreria dell'Orso - 96 pagine
Un commissario in mare
Dalla penna di Camilleri ecco Cecè Collura

Andrea Camilleri è davvero incontenibile. Nella stagione in cui il commissario Montalbano compare un pò dovunque (fiction, repliche, libri, fumetti, racconti, romanzi, dischi, antologie, opere liriche) ecco che spunta un nuovo investigatore anch'esso immaginato dall'abile e fantasioso scrittore siciliano: si chiama Vincenzo Cecè Collura ed è come l'altro commissario. Collura non naviga soltanto tra le debolezze e gli enigmi della vita siciliana come fa Montalbano. Lui naviga davvero: indaga infatti su una nave, lui uomo di terra che si è imbarcato solo per rimettersi in salute dopo essere stato ferito in una sparatoria. Più che l'ennesima, gradevolissima invenzione di Andrea Camilleri, le avventure del commissario Collura risultano essere una sorta di risarcimento verso questo personaggio, che si avvale per le sue inchieste di un aiutante triestino simpatico e perspicace. Racconta l'autore che proprio Collura avrebbe dovuto chiamarsi il celeberrimo Montalbano. Fu all'ultimo momento l'ammirazione verso il giallista Vàzquez Montalbàn a far battezzare da Camilleri Montalbano il suo eroe e non più Collura. Ma l'affetto verso quel cognome siciliano Camilleri non l'ha dimenticato. Così; quando nel 1998 La Stampa gli propose una collaborazione estiva, lo scrittore ripescò dalla sua fantasia il commissario Collura, lo fece imbarcare e in otto diverse indagini lo fece incontrare con gemelle truffaldine, cantanti improbabili, gioielli scomparsi, cadaveri e bische. Ora quei racconti formano un agile e piacevole volumetto intitolato ''Le inchieste del commissario Collura''. E' un libro che si legge e si gusta assai lestamente, sciogliendo enigmi ben costruiti e navigando tra parole nuove e simpatie tutte meridionali.
m.d.l.
 
 

Avvenimenti, 17-23.1.2003
Andrea Camilleri
La mia Sicilia
La rabbia di Termini Imerese, la mafia Spa, il Ponte sullo Stretto, la Primavera che non c'è più. Il grande scrittore racconta la sua isola

Andrea Camilleri, la Sicilia. Da dove vogliamo incominciare?
Vorrei cominciare a parlare di un problema così vivo in questi giorni: la situazione di termini Imerese. L'altra sera ho visto in televisione un documentario Rai girato, la notte di Natale, in una sorta di tendone davanti alla fabbrica. C'era un gruppo di volontari che preparava da mangiare quello che altrove, manon lì, viene chiamato il cenone. Mi ha colpito molto l'accento toscano di questi volontari che passavano il Natale fuori dalle loro case. Anche il vescovo di Palermo, De Giorgi, aveva portato il suo saluto, la sua testimonianza in quella giornata particolare che è il Natale.
Il documentario mi ha ricordato una trasmissione che feci tanti anni fa, si chiamava Natale è un giorno: andai ad intervistare degli ergastolani, delle prostitute, dei mendicanti che dormivano nei cartoni, e trovai in loro una sorta di rassegnata disperazione. Quello che invece mi ha colpito l'altra sera guardando la televisione era l'assenza di disperazione ed invece una profondissima preoccupazione, cosa assai diversa. Non si trattava, per usare un termine osceno, di gente non più "riciclabile" ma di gente pronta, che vuole essere "riciclata", ma non nei modi o nei termini appunto osceni usati da alcuni rappresentanti del governo quando hanno detto che questi operai potevano essere riutilizzati facendo gli infermieri o lavorando in nero. Ho visto persone che vogliono tornare a fare il lavoro che hanno sempre fatto, quello di operai. Bisogna capire che chiudere Termini Imerese non è lo stesso che chiudere una grande fabbrica del Nord. In una fabbrica del Nord l'indotto può essere trasformabile, in Sicilia no. Chiudendo Termini Imerese non si arresta un momento di lavoro ma si arretra nel tempo. Quindi questo danno della Fiat, che riguarda tutta l'Italia, è più danno, se così si può dire, nella regione siciliana.
Dove le condizioni di vita erano già di per sé non buone, anche con la fabbrica aperta. Figurarsi ora.
Certamente. Questo dovrebbe preoccuparci, e non solo per un interesse elettoralistico. Questa gente si sente tradita: dalla fabbrica, dalla politica. Si sente abbandonata da chi non ha saputo far fronte a questa situazione. E` gente che in uno scatto di rabbia ha appeso all'albero di Natale la lettera di licenziamento, cosa che mi sembra giustissima e ha pure stracciato le tessere elettorali. E sempre più si aggrava il divario tra il cittadino comune e la politica, che già in Sicilia  molto ampio. Tutto questo, in genere, comporta dei rigurgiti orrendi, comporta per esempio di sentire pronunciare di nuovo, e non mi riferisco a quelli di Termini Imerese, la frase: "La mafia dava lavoro". Anche un appartamento da svaligiare dà lavoro. Al ladro.
La mafia è profondamente inserita dentro la politica degli appalti, le opere pubbliche, ma è chiaro che tu puoi agire sulla proprietà privata del mafioso. Sequestrandola, riconvertendola, dandola a giovani che hanno voglia di fare. A me certe volte pare che la lotta alla mafia non viene condotta con l'accortezza che ci vorrebbe, non dico da parte dei magistrati, che fanno il loro dovere, anzi fanno più del loro dovere, ma da parte dello Stato. E` come, tanto per fare un esempio, per la legge Basaglia: giustissima la chiusura dei manicomi, dopo di che non sapevamo dove sistemare questi poveri pazzi, perché non fu contestuale la creazione di una struttura o di una qualche cosa di equivalente che non fosse più un manicomio, ma una civile struttura d'accoglienza. Mi sembra che ci troviamo nella stessa situazione: se è vero che la mafia produce cattivo lavoro, è altrettanto vero che non si può eliminare il cattivo lavoro senza crearne, contestualmente, di nuovo. Altrimenti hanno buon gioco i mafiosi a entrare nel sistema. Indirettamente la chiusura di Termini Imerese, per chiudere il cerchio di questo ragionamento, è un bel favore alla mafia: le fa un gioco meraviglioso.
Ora io sento che si vivono molte situazioni di disagio nelle piccole industrie in Sicilia, ma allora ci sono delle altre cose che onestamente non mi spiego. Intendo dire che un signore che si chiama Zonin, e che produce vino, è venuto dal suo veneto in Sicilia, si è comprato non so quanto terreno in Sicilia e produce vino Zonin in Sicilia. Fa lavorare delle persone, ha dichiarato che si trova benissimo e non crede, come Andrea Pininfarina, che la Sicilia sia una terra da Far West. Pensa, invece, che i delinquenti siano dovunque e che le persone perbene siano altrettanto ovunque. Quindi cos'è mancato, anche con i governi precedenti, sia detto per onestà? E` mancata quella giusta incentivazione, vera, che si doveva fare - ma quando potevamo farla, quando eravamo fuori dall'Europa? Nessuno può pretendere che ancora esista un'immigrazione interna dove si chiede all'uomo del Sud, e non solo al siciliano, di spostarsi al Nord, pagare un affitto a Milano, sopravvivere e, in più, di mandare i soldi a casa. Quelli del Nord si rendono conto della necessità di immigrati extracomunitari, però? ci sono anche quelli che non se ne rendono conto e fanno una politica non poco cristiana, ma proprio anticristiana. Ci abbiamo messo un po' di tempo a scoprire che non contano le differenze di colore della pelle, che non contano le differenze di nessun genere, poi però le differenze saltano fuori quando sei alla porta di casa mia.
Adesso non sono i siciliani ad essere alla porta di casa dei settentrionali, ma i disperati del Terzo mondo sulle coste dell'isola. Come reagiscono in Sicilia?
Io amo e odio la Sicilia, come è giusto e doveroso. Ma ci trovo anche degli esempi meravigliosi. Tanti anni fa, per un documentario Rai, andai a Mazara del Vallo, dove si impiegava la manodopera maghrebina. Il documentario, in realtà, verteva sul gasdotto che partiva dall'Africa e andava a finire a Mazara. E lì trovai una prima comunità di quattro o cinquemila maghrebini, che si erano creati un loro spazio, con le loro case, i loro bagni, fumerie, benissimo tollerati dalla popolazione locale. Non abbiamo mai letto sui giornali che fossero scoppiati incidenti a Mazara del Vallo,anche se poi sono diventati migliaia. Insomma lì mi capita un caso che racconto come un aneddoto: a un certo punto mi dissero che in una scuola un illuminato direttore didattico aveva concesso due aule ai figli dei tunisini perché potessero studiare. Allora mi precipitai con l'operatore e trovai due classi con dei maestri che scrivevano in arabo su una lavagna, e ragazzini di cinque-sei anni, anche loro arabi. Cominciai a dire all'operatore "vai dentro e gira". Ma arrivò trafelato il direttore didattico: "Per carità dottor Camilleri, per carità, io l'ho fatto di nascosto, non ho l'autorizzazione del provveditorato, non ho nessuna autorizzazione, ma questi poveri disgraziati dove andavano a studiare? Non ho le carte in regola, se lo vengono a sapere mi fanno chiudere immediatamente". Io capii la delicatezza della questione e dissi all'operatore "stop, fermati, non girare", e promisi al direttore che non avrei utilizzato quelle immagini. Allora forse per darmi un contentino, il direttore mi disse: "Perché non li riprende all'uscita? E' così bello quando fraternizzano". Mi misi all'uscita e registrai. Quando arrivai a Roma per montare il documentario, la montatrice, una romanaccia, mi disse: "Ahò ma 'ste immagini nun se capisce gnente". Ma perché? "Ma perché non riesco a distingue quali so' gli siciliani dalli tunisini". Non potemmo utilizzare quella scena perché il colore della pelle era lo stesso.
Anche quando c'è stata quella disgrazia dei morti a Porto Empedocle, quelli della nave piena di poveracci affondata tempo fa - la sapevano tutti i pescatori e la ignoravano Roma - c'è stata la cerimonia funebre in un paese che si chiama Canicattì. L'ha officiata un prete cattolico, ma c'era anche l'imam che assisteva e a un certo punto ha fatto anche lui la sua cosa, c'era tutta la popolazione. La Sicilia come la Puglia, è curioso, eh? In Puglia ne sono arrivati tanti, anche lì la popolazione ha retto l'urto e lo stesso sta avvenendo in Sicilia ora che la rotta di questi disperati è cambiata.
Tornando alla questione industriale, la vecchia opzione di una Sicilia e di un Sud votati prevalentemente al turismo non è di nuovo attuale al punto da costituire una possibile salvezza?
La Sicilia deve avere le industrie che deve avere, mica deve diventare Boston. Il problema della Sicilia é anche di infrastrutture. La situazione é spaventosa. Per esempio, il trasporto su gomma si fa su strade inesistenti, ce ne sono due sole che tagliano l'isola, la Palermo-Catania e la Palermo-Agrigento, che è una strada a scorrimento veloce a tre corsie dove l'incidente è quotidiano; mentre la Messina-Palermo è ancora incompleta. Se tu vuoi andare da Porto Empedocle a Catania, devi raggiungere Caltanissetta, immetterti sulla scorrimento veloce Enna-Catania e lì arrivare a Catania. Ma se vuoi andare a Siracusa o a Ragusa, ti cominciano i guai, perché non esiste una strada che taglia. E i treni? non ne parliamo di quello che sono i treni. Ci puoi mettere anche sei ore a percorrere pochi chilometri. Non sto esagerando, un viaggiatore che desidera girare la Sicilia in treno può anche impazzire.
Quando mi si chiede: "Ma tu sei favorevole al ponte sullo Stretto?", io rispondo che sono sempre stato favorevole. Però siccome la questione è tornata fuori ora con Berlusconi la cosa mi scoccia, ma devo dire che da quando c'è stato un signore che si chiama Nino Calarco, che dirige la "Gazzetta del Sud" (il quotidiano di Messina e della Calabria, NdR) e si è fatto carico di cominciare ad agitare questa faccenda del Ponte ho pensato: perché no? Rimanendo poi sbalordito da affermazioni, per esempio, di Bertinotti o dello stesso Cofferati, che dicevano: si finisce per dare un incentivo alla mafia. Allora non facciamo più niente in Sicilia, perché con qualsiasi opera pubblica si dà un incentivo alla mafia. Si controlla invece, si fa in modo che la mafia non entri in questi appalti, e si fanno le cose necessarie. Io ho sempre detto a proposito del Ponte: ben venga se é fattibile, parlo di fattibilità geologica, questo è il dubbio mio che non mi fa, per usare una frase cara al Cavaliere, scendere più decisamente in campo. Ha visto che succede con i terremoti da quelle parti? Io voglio, non dico sicurezza al mille per mille, perché non si avrà mai con qualsiasi manifattura, però novecentonovanta su mille me la si deve dare. Poi uno dice: che te ne fai del ponte se ti mancano le ferrovie? Allora io credo che in Italia si deve ragionare in un altro modo, come con il porto di Gioia Tauro, sul quale si fecero centoventisettemila polemiche dicendo che é un porto nel nulla, eccetera eccetera. Fatto il porto, hanno costruito le strade, in quanto l'opera era talmente importante che non si poteva lasciar morire. Oggi è un porto per i portacontainer straordinario. Dunque? Forse bisogna procedere come si è proceduto con l'Europa. Prima la facciamo bancaria, l'Europa, poi vediamo di trovare le idee comuni. In più il Ponte viene a spazzare via il concetto di sicilitudine o almeno gli dà un gran bel colpo. Perché c'è un certo compiacimento nella sicilitudine, no?, quest'isolamento per cui si può piangere sulla spalla degli altri e si può dire al governo italiano, no, allo Stato per l'amor del cielo, vieni a tenerci compagnia, non ci abbandonare, noi siamo soli. Ma noi siciliani abbiamo avuto, dopo il separatismo, un'autonomia regionale che Bossi se la sogna. E' anche colpa dei siciliani che non hanno saputo per niente adoperare la loro autonomia. Come nelle altre regioni autonome, in Sicilia ci potevano essere industrie e fabbriche che potevano essere fatte e non sono state fatte. Il governo autonomo siciliano è diventato una sorta di spenditore di se stesso.
Sarà una banalità, però l'elemento mafioso conta nella valutazione di ciò che Þ stato fatto oppure reso impossibile.
Per quanto riguarda mafia e politica non è un argomento nuovo in Sicilia. La mafia -un minimo di storia facciamola- ebbe una legittimazione politica dagli americani che, quando arrivarono nel '43, misero a sindaco di vari paesi dei mafiosi notori che col fascismo erano, come dicono i massoni, "in sonno". Quando sorse il movimento separatista, la mafia confluì tutta nel separatismo siciliano. Dunque non confluì subito nella Democrazia cristiana. Fu dopo, quando il separatismo finì, che centomila voti si trovarono a vagare e ci fu una dignitosa presa di posizione di alcuni esponenti dc che videro il pericolo di questo inquinamento. Mi riferisco, per esempio, al tuttora vivo e vegeto, quasi centenario, onorevole Giuseppe Alessi, il quale dichiarò proprio per iscritto che accettare certe persone significava rischio di infiltrazione mafiosa. Alessi chiese l'iscrizione di queste persone alla Dc previa valutazione singola e invece arrivarono nel partito interi collegi elettorali, Alessi andò in minoranza e buona sera. Da allora c'è stata sempre questa connivenza. Ora, sostenere la proposizione "dire Democrazia cristiana è dire mafia" mi sembra francamente un eccesso che non mi sento di avallare, arrivato all'età di anni settantasette. Ho avuto degli amici democristiani -io non lo sono mai stato, non ho mai votato Dc in vita mia- che mafiosi non erano, anche se ricoprivano cariche pubbliche. Avevano una doppia responsabilità: quella politica e quella di non legarsi alla mafia. Bisognava essere molto bravi e abili, sapere navigare molto bene. Erano delle persone oneste. Certo che la scorciatoia, la via più facile, è quella di ricevere voti dalla mafia.
Io credo che la mafia è immortale, se combattuta con i mezzi che si usano di solito. Come i direttori generali dei ministeri. I ministri passano e loro restano. Allora: la mafia ha visto passare i separatisti, ha visto passare la Democrazia cristiana e ora sta vedendo passare Forza Italia. Le altre sigle sono cambiate, la sigla "mafia" rimane lì. E allora per non dire che è eterna, si può dire almeno che dura più a lungo delle altre. Anche qui però non bisogna commettere l'errore di pensare che quello della destra, che ha avuto sessantuno deputati a zero, sia tutto voto mafioso. Sennò in Sicilia saremmo dominati dalla mafia. Quei parlamentari non sono stati eletti tutti dalla mafia -che controllerà due o tre collegi- e attribuirle questo successo è un errore di valutazione che può avere conseguenze gravi, perché questo successo fa parte di un disagio più grosso. E' disagio sociale, è disagio economico. I siciliani da un lato hanno sperato nell'innovazione di Forza Italia. Dall'altro, nel momento in cui vanno ad analizzare i voti, Forza Italia non è spesso e volentieri la prima forza politica nei paesi siciliani. Le prime sono Ccd e Cdu, cioè formazioni democristiane. Però dire "la Dc ha rivinto in Sicilia" sarebbe un errore, come dire "la mafia ha vinto in Sicilia". Sarebbe un errore, ma un errore meno grave del secondo.
Quando dico questo sistema di lotta non potrà mai battere la mafia, lo dico a ragion veduta. Cioè a dire, questa mafia non è un'astrazione -perché la tendenza è farla diventare un'astrazione-èÞ persone, uomini, cose, soldi in banca, mariti, mogli. La grande scoperta di Falcone e di Borsellino -che, non dimentichiamoci, sono siciliani che ci hanno lasciato la pelle- è quella della Cupola. La lotta alla mafia è stata così a lungo ritardata perché si trattava di bande di malavitosi. La grande scoperta è stata di capire che la Cupola è parte di una "mafia S.p.a.", una società per azioni, con un consiglio di amministrazione che decide come muoversi, chi appoggiare, che danneggiare. La mafia si muove come una normalissima multinazionale.
Una multinazionale con i mitra.
Attenzione, con i mitra difendono l'orto. Come una normale multinazionale la mafia ha un ufficio, che magari non si chiamerà come lo chiamo io, ufficio ricerche di mercato. Perché si ammette che la Bayer abbia un ufficio ricerche di sviluppo e mercato, e non pensa che ce l'abbia una multinazionale spaventosa come la mafia? Benissimo. Noi non sappiamo individuare l'equivalente dell'ufficio sviluppo in modo che le forze dello Stato possano prevedere le mosse della mafia. Noi combattiamo sempre battaglie di retroguardia, arrestiamo a cose finite, facciamo processi per fatti già avvenuti e li facciamo a persone ormai "bruciate", che si possono processare. La lotta che si sta svolgendo tra i mafiosi che sono all'interno del carcere e quelli che sono fuori, è questa: i primi cominciano a prendere coscienza di essere bruciati. Da qui la lotta contro il 41 bis. Quelli che allo stadio di Palermo hanno esposto lo striscione contro il 41 bis, bah, quella è gente che se le dai centomila lire, ti ammazzano un uomo, per dieci euro ti vanno a fare quello che vuoi. Non c'è un mafioso fra quelli che portano lo striscione. Sono ragazzini incensurati che si sono pagati la canna o la benzina per il motorino. I veri mafiosi lavorano con le banche, con gli amministratori, con gente che maneggia computer. E hanno capito che mentre prima c'era tutta la ritualità dell'iniziazione, la famiglia, il rito di sangue, la santina bruciata e tutte queste minchiate, ora manco si conoscono in faccia. Hanno la password e si parlano attraverso i computer. E' questa la mafia che bisogna andare a combattere. E sarà dura.
Proviamo a fare un po' di profezie. Come potrebbe essere il 2003 siciliano?
Saperlo mi  è impossibile. I termini sono troppo prossimi rispetto ai recenti disagi, disgrazie e situazioni gravi. Non essendo uomo di governo, non dispongo dell'ottimismo che mi si dice essere dovere di un presidente del Consiglio. L'altra sera alla tv è stato detto che è doveroso essere ottimisti. Io, alla gente che dice che è doveroso essere ottimista, preferisco il ministro delle Finanze tedesco, il quale il giorno stesso del suo insediamento dice: ragazzi, non ce la faremo, stiamo andando incontro a una crisi spaventosa, rimbocchiamoci le maniche. Preferisco quella gente a quelli che sorridono ottimisticamente e poi ci troviamo tutti nella melma, per usare una gentile metafora. Quindi non posso che essere pessimista. Però divento ottimista, diciamo, sulla lunga durata e mi ricollego al discorso iniziale, cioè di quella gente che stava nella tenda a Termini Imerese. Non erano disperati, avevano una forza interiore che li salverà. Ho avuto questa impressione, ce la faranno malgrado la politica, malgrado tutto.
Malgrado la primavera palermitana, l'orlandismo, le speranze di risorgimento degli anni Novanta, sono definitivamente tramontate?
L'orlandismo è fallito. Sono cose legate alla persona. Si tratta di movimenti, di idee, legatissimi al carisma personale. Noi avevamo in Sicilia due grandi sindaci, Orlando e Bianco. Allora si presume che, avendo loro operato bene, ci sia poi un seguito al loro operare e invece non c'è. Tutt'e due le città, Palermo e Catania, passano in mano a Forza Italia. Questo significa che la loro, quella di Orlando e Bianco, è stata un'azione personale, il loro carisma ha determinato un fenomeno. Andati via loro, tutto implode.
Purtroppo così non si fa la Storia.
No, così non si fa Storia, però dietro c'è stato un pragmatismo molto serio di azione, molto pulito, molto onesto, ma non una grande idea, non un grande orizzonte. Le cose sono state limitate alle città di Palermo e Catania. E va benissimo, ma Orlando e Bianco non hanno fatto Storia. Il grosso movimento dei sindaci, in cosa si è risolto? In nulla. Non essendo più loro sindaci, loro e altri rappresentanti del sud e del nord, è finito tutto. Questa è una cosa seria perché non sto parlando di un fatto politico, sto parlando dell'essere sindaci, che è uno dei dati positivi della Sicilia. Per esempio, l'elezione diretta del sindaco ha portato in Sicilia ad una presa di coscienza municipale che non avevamo mai avuto. Non solo con Orlando o con Bianco, ma anche con sindaci di diverse parti politiche, che però assumevano su di loro, in prima persona, la responsabilità. E si è potuto dire: "Sai chistu, 'stu sinnicu... quant'è bellu comu misi a posto u palazzu ca stava cadennu" (Sai questo, 'sto sindaco... quant'è bello come ha messo a posto il palazzo che stava crollando). Prima ci andavi a pisciare, ora te ne glori perché l'hanno aggiustato, è tuo, perché è della comunità alla quale appartieni. Questa è stata una grande cosa in Sicilia.
Prima ancora che scrittore, lei è un uomo di teatro. Il Teatro Massimo di Palermo, uno dei più importanti d'Europa, ha preso come testimonial di una sua campagna pubblicitaria Manuela Arcuri. Stiamo così male quanto a vita culturale in Sicilia?
La questione del teatro Massimo che si fa pubblicità con l'immagine di Manuela Arcuri riguarda la cultura della vendita del prodotto, di cui il nostro presidente del Consiglio è un alfiere. Lui ha detto ai suoi ambasciatori che dovevano fare i venditori. E come si vende il prodotto? Con le cosce e i nudi femminili. Per quanto riguarda il Massimo siamo nella norma più abbietta. D'altro canto che cos'è che fa il gusto oggi di un popolo poco acculturato come il nostro, quindi non soltanto dei siciliani? E' la televisione. In un paese dove la tv di Stato ha finito col cedere ed entrare in concorrenza con quella commerciale -che doveva farsi i fatti suoi, ossia vendere il prodotto- abbiamo avuto un mostruoso abbassamento generale del livello del gusto. Chi ha una certa età si ricorda cosa erano i venerdì culturali di teatro della Rai.
Dunque sono un po' disperato per l'avvenire prossimo della cultura, però devo dire che gli scrittori siciliani invece marciano che  è una meraviglia. Gli scrittori siciliani pare che prosperino, crescano nelle situazioni di disagio. Più disagio c'è, meglio si trovano. Dei grossi scrittori purtroppo c'è rimasto solo Vincenzo Consolo, quindi consideriamolo un fuoriclasse e lì lui se ne sta. Fra i giovani c'è gente come Giosuè Calaciura, per esempio, un grossissimo scrittore che ha pubblicato due libri, "Malacarne" e "Sgobbo", un capolavoro. Un altro delizioso scrittore è Santo Piazzese, poi c'è Roberto Alajmo, autore del "Repertorio dei pazzi della città di Palermo" e di un altro gran bel libro che è "Notizia del disastro". Voglio dire, c'è gente brava. Poi il giornale "La Sicilia" di Catania pubblica un inserto letterario straordinario, si chiama "Stylos", lo dirige Gianni Bonina. Insomma in Sicilia c'è un inserto culturale vero, importante, non limitato a fatti isolani. Sento vivacità, voglia di fare e questo mi consola. Adesso, il 18 gennaio, vado a Racalmuto, il paese dove è nato Sciascia, a inaugurare il teatro Regina Margherita. Lo riaprono e mi hanno dato la direzione artistica, un teatro da trecentocinquanta posti, una cosa bellissima.
Marcantonio Lucidi
 
 

La Sicilia, 17.1.2003
I premi «Racalmare» a Camilleri e Savatteri

Conferenza stampa oggi alle 10, presso la «Villa Athena» di Agrigento, per presentare la quindicesima edizione del premio letterario «Racalmare - Leonardo Sciascia, città di Grotte» che si terrà domenica 19 gennaio a Grotte al Teatro «Marconi» con inizio fissato per le 17,30.
All'incontro con i giornalisti interverrà anche il presidente della Provincia regionale,Vincenzo Fontana, il Commissario straordinario del comune grottese, Antonino La Mattina, e la giuria del premio. Quest'anno i premiati saranno lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri, per i mezzi di comunicazione ai giornalisti Gaetano Savatteri, del Tg5, e alla memoria di Maria Grazia Cutuli, la cronista catanese inviata del «Corriere della Sera» che perse la vita in un agguato in Afghanistan durante la guerra tra i talebani e gli Usa.
G. R.
 
 

La Nazione, 17.1.2003

LUCCA — Il fantasma nella cabina, testo di Andrea Camilleri trasformato libretto da Rocco Mortelliti e musicato da Marco Betta, è in crociera dal 13 dicembre, giorno della sua prima assoluta al Teatro Donizetti di Bergamo. Crociera vera o virtuale che sia (è anche la domanda che chiude Il commissario di bordo, racconto breve da cui tutto ha origine), Il fantasma nella cabina arriva domani sera al Teatro del Giglio di Lucca nella sua unica data toscana.
Opera vera o virtuale? Comunque, un lavoro che propone «un'opera che parte dalla tradizione lirica per sposare la scrittura contemporanea e imprimere le suggestioni indissolubili della musica negli ascoltatori», come auspica Marco Betta, autore delle musiche. Il pubblico s'è schierato con chi applaude; e se l'accusa più ricorrente è l'eccesso di semplicità della scrittura musicale, («una musica di tutto riposo con alcuni ariosi scopertamente pucciniani») e letteraria («libretto di versi sciocchini che fa ridere i piccini»), l'invito a confrontarsi con lo spettacolo nella sua data toscana è, anch'esso, scopertamente semplice. Anche perché a Lucca qualcosa si muove. E, seppur non siano stati i protagonisti ad armare gli strali dei critici, Vincenzo La Scola ripone le vesti del commissario di bordo e le affida a Luca Canonici, mentre l'altra beniamina delle platee Katia Ricciarelli lascia a Denia Mazzola il ruolo della passeggera che incontra il fantasma del titolo dando il "la" all'intreccio giallo. Confermati Luciana Serra, giornalista al soldo della compagnia armatrice; Fabio Previati, il Comandante; Rocco Mortelliti, Rocco (è regista e genero di Camilleri); la cantante Giorgia, impersonata da Paola Ghigo; l'Orchestra Donizetti col direttore Aldo Sisillo e Italo Grassi, autore delle scene e dei costumi apprezzatissimi da tutti. Poi a Lucca ci sarà anche Aldo Bennici, direttore artistico dellAccademia Chigiana e committente di un dittico: Il mistero del finto cantante e Che fine ha fatto la piccola Irene, che svilupperà ulteriormente la tetralogia annunciata da Betta come forma compiuta del ciclo operistico da Camilleri.
E a proposito del primo titolo del dittico pensate che il finto cantante si svelerà essere un ex Primo ministro in cerca di nuovo pubblico. Racconto scritto da Camilleri in un Paese dove un ex cantante è oggi Primo ministro… Pensate.
David Toschi

Il commissario di bordo, per Camilleri, è il poliziotto incaricato di tutelare la sicurezza dei passeggeri in crociera. Nella realtà invece è il responsabile della gestione amministrativa della nave e di tutti servizi. Sicurezza sì, quindi, ma anche pulizia degli ambienti, gestione di ristorante, bar e, qualche volta, anche degli stipendi dell'equipaggio.
 

LUCCA — La Stagione lirica del teatro del Giglio concluderà il suo programma questo mese con la presentazione di due opere.
La prima (domani alle ore 21, replica il pomeriggio di domenica 19 alle ore 16,30) riguarda la prima assoluta dell'opera contemporanea di Marco Betta «Il Fantasma nella cabina» che ha già avuto il suo felice «battesimo» nel dicembre scorso al «Donizetti» di Bergamo e presentata in questi giorni nei programmi televisivi di Rai 3. La seconda la settimana seguente (sabato 25 ore 21, replica il pomeriggio successivo) con l'opera buffa di Offenbach «La belle Hélène». Per quanto riguarda l'opera contemporanea va sottolineato che il libretto è stato realizzato da Rocco Mortelliti, al quale è stata affidata anche la regia, rifacendosi al racconto di Andrea Camilleri «Il commissario di bordo». Non ci sarà il commissario Montalbano, personaggio consueto nei gialli di Camilleri, ma il suo vice Cecè Collura il quale, mandato in crociera a smaltire i postumi di una ferita da arma da fuoco, scopre una tresca organizzata da una vecchia attrice, pagata da una società armatrice concorrente, che asserisce di aver visto un fantasma nella sua cabina.
Luogo predominante dell'opera sarà il salone di prima classe della nave con tutti i personaggi che s'incontrano e interagiscono tra loro. In questo continuo movimento assisteremo a continui cambiamenti di scena (14 nel primo atto e 12 nel secondo) con la tecnica dei siparietti tanti cari al teatro essenziale di Brecht al quale Betta e Mortelliti si sono voluti rifare. I due autori definiscono questo lavoro «Opera in un baule», quale erede di quella commedia dell'arte che i nostri comici portavano in giro per l'Europa accompagnati solo da qualche valigia e un baule. Tra i personaggi spiccano artisti del calibro di Vincenzo La Scola e Katia Ricciarelli accanto a cantanti di valore come Luciana Serra, Fabio Previati, Danilo Formaggia, Paola Ghigo, Leonardo De Lisi, Maurizio Leoni. Sul podio Aldo Sisillo dirigerà la Fondazione Orchestra Gaetano Donizetti di Bergamo ed il Coro del Circuito Lombardo preparato da Fulvio Fogliazza. Le scene e i costumi sono stati disegnati da Italo Grassi. L'allestimento è in coproduzione tra i teatri di Bergamo, Lucca, Modena, e Lecce. Per informazioni e prenotazioni telefonare alla biglietteria del Teatro: 0583/467521.
Francesco Cipriano
 
 

La Gazzetta del Sud, 17.1.2003
Film «Il commissario Montalbano» su Raiuno alle 20.55
«L'odore della notte» con Luca Zingaretti

Raiuno – «Il commissario Montalbano» in «L'odore della notte». Il ragionier Emanuele Gargano (Leandro Amato), finanziere truffaldino, scompare con i risparmi dei vecchietti e dei «picciotti» della zona di Montelusa. Le indagini di Augello (Cesare Bocci) sembrano arenarsi quando Montalbano (Luca Zingaretti) interroga Mariastella Cosentino (Daniela Marazita), segretaria di Gargano, e scopre la verità. Esce proprio oggi il cd della colonna sonora della quarta e quinta serie televisiva del «Commissario Montalbano», dirette da Alberto Sironi e tratte dai libri dello scrittore Andrea Camilleri. Il soundtrack originale dell'opera, i cui editori musicali sono R.T.I. e Rai Trade, è stato scritto e orchestrato dal maestro Franco Piersanti che per l'occasione ha diretto la Check National Simphony Orchestra di Praga. Diciannove le tracce presenti nel disco, per quasi ben 78 minuti di musica.
 
 

La Sicilia, 18.1.2003
Racalmuto
Andrea Camilleri in teatro per preparare l'inaugurazione

Stamattina è previsto al teatro «Regina Margherita» un sopralluogo molto particolare: quello del direttore artistico della struttura Andrea Camilleri che verrà accompagnato dal sindaco Gigi Restivo.
Lo scrittore empedoclino potrà quindi constatare di persona tutto il lavoro che è stato ultimato. L'apertura, dopo un'opera di restauro che si è protratta per venti anni è prevista a metà febbraio. Camilleri ha già preparato il calendario della stagione che si concluderà a fine aprile dopo quindici appuntamenti. Proprio nei giorni scorsi nella casa romana dello scrittore si era tenuta una seduta del Consiglio d'amministrazione del teatro per preparare in dettaglio la cerimonia di apertura del «Regina Margherita» che in un primo momento doveva inaugurarsi oggi.
Come ha avuto modo di ripetere il sindaco Restivo il nuovo rinvio della riapertura del teatro si è resa indispensabile per ultimare gli ultimi ritocchi alla struttura. Ma è possibile che grazie a questo nuovo rinvio ad inaugurare il teatro sarà il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che a febbraio sarà proprio in visita ad Agrigento per due giorni. 
Camilleri sarà accolto stamani al Comune direttamente dagli amministratori e poi dopo avere messo a punto le ultime cose per l'inaugurazione la comitiva si trasferirà al «Regina Margherita»; nel pomeriggio poi lo scrittore andrà a ritirare il premio «Racalmare» a Grotte prima di ripartire per Roma.
Gaetano Ravanà
 

Domani i premi Racalmare

Tutto pronto per la quindicesima edizione del premio «Racalmare Leonardo Sciascia - Città di Grotte» in programma domani alle ore 17 al Teatro «Marconi» del centro agrigentino. La manifestazione è stata presentata ieri mattina alla presenza del presidente della Provincia Enzo Fontana, dell'assessore provinciale alle Politiche sociali Santino Lo Presti, del Commissario del comune di Grotte, Antonino La Mattina e del sindaco di Racalmuto, Gigi Restivo.
Il premio quest'anno è stato assegnato dalla commissione (presieduta dal Procuratore capo di Agrigento Ignazio De Francisci) allo scrittore empedoclino Andrea Camilleri. La motivazione è la seguente: «Andrea Camilleri si è imposto da un decennio nel panorama letterario italiano con un'immediato e mirabile successo come romanziere, creando un personaggio assai popolare che vive nel giallo delle storie di Vigata e dei paesi vicini, il Commissario Salvo Montalbano, e con opere di natura storica dove rielabora episodi e fatti metabolizzandoli con la sua ricca ed inesauribile fantasia creativa, in un linguaggio, il dialetto siculo-agreste, che dà forza e colore ad una civiltà destinata altrimenti a scomparire».
Il «Racalmare» per il giornalismo è stato assegnato a Maria Grazia Cutuli alla memoria ed all'inviato del Tg5 Gaetano Savatteri. Per quanto riguarda la prima, la giuria ha dato la seguente motivazione:«Giornalista del Corriere della Sera, catanese per il suo mestiere mentre tenta nel novembre del 2001 assieme ad altri colleghi di raggiungere Kabul, viene uccisa da un gruppo di talebani armati. Fino a poche ore prima aveva rassicurato la sua famiglia, scacciando ansie e preoccupazioni, minimizzando i rischi reali ai quali andava incontro con la serenità di una figlia, con l'allegria di una giovane donna, con la tempra di una cronista di razza».
Per Savatteri la motivazione è la seguente: «Ha intrapreso da giovanissimo il mestiere del cronista a Palermo, e alla Sicilia è sempre rimasto fortemente legato, come testimoniano gli argomenti affrontati anche nei libri che portano la sua firma. A partire dal romanzo "La congiura dei loquaci", opera di esplicito sapore e ispirazione sciasciana, e ancora: nel libro «L'attentatuni», scritto con Giovanni Bianconi, che ricostruisce l'indagine che portò all'individuazione degli autori della strage di Capaci e nell'inchiesta «Ladri di vita», in collaborazione con Tano Grasso, sul racket dell'usura e sulla forza economica della criminalità organizzata».
Nel corso della serata di premiazione sono previsti momenti musicali e anche il pubblico potrà porgere domande ai premiati.
Gaetano Ravanà
 
 

La Sicilia, 18.1.2003
Ispica
Il commissario Montalbano entra anche a scuola

Ispica. Dopo «Il birraio di Preston», ecco «Il cane di terracotta». A distanza di due anni, al Liceo «Curcio» di Ispica raddoppiano la lettura critica dei libri di Andrea Camilleri, elevati al rango di testi scolastici. Il collegio dei docenti, su proposta del dirigente Attilio Sigona, si appresta a deliberare la scelta del «Il cane di terracotta», che diventerà così oggetto di studio da parte degli alunni della quinta ginnasiale, accanto a «I promessi sposi» sul quale hanno sgobbato intere generazioni di studenti. «La scuola deve andare incontro ai bisogni di ragazzi che crescono in un vorticoso giro di scoperte ed applicazioni tecnologiche e nuove forme di costume – afferma Sigona. «Qui al "Curcio" abbiamo fatto assistere i nostri ragazzi alla "Bohème" di Puccini, ma nello stesso tempo, abbiamo accolto la loro richiesta di andare al palasport di Acireale per vedere Ligabue in uno spettacolo dal vivo. In questa maniera, tra l'antico ed il moderno, tra il nuovo e la tradizione, gli insegnanti riescono a compiere la loro missione». Come dire: la scuola cambia interlocutori guardando sempre all'obiettivo primario, l'insegnamento. «E' proprio così – aggiunge Sigona – «I docenti fanno fatica a farsi sentire dagli alunni se non li raggiungono attraverso nuove forme di stimolo. In Italia, ma il dibattito è molto più diffuso in Europa di quanto si pensi, da anni si continua a pronunciare il ritornello che "la scuola è una barba". Bene, i ragazzi del "Curcio" avranno meno alibi».
Nell'anno scolastico 2000/'01, l'adozione del "Birraio di Preston", ritenuto l'unico romanzo storico dell'autore del commissario Montalbano, associato alla tradizionale lettura del capolavoro di Alessandro Manzoni, testo sacro della letteratura italiana, scatenò molte polemiche, infuriando su tutti gli organi d'informazione nazionale. «Anche se qualcuno storse il naso, l'esperimento riuscì – continua Sigona –. Ancora oggi, i ragazzi ricordano a tal proposito le lezioni infarcite di note del professor Pietro Lauretta. Quest'ultimo, dallo scorso anno, è lettore di lingua italiana nell'Università di Tallinn, in Estonia» Ma come si è arrivati a formulare la nuova scelta? Risponde Sigona: «Di recente la casa editrice Sellerio ha introdotto la collana scolastica, introducendo le schede didattiche e le note dell'autore». «Il cane di terracotta», noto al grosso pubblico per la trasposizione televisiva, vede Salvo Montalbano imbattersi per caso in un giallo ambientato ai tempi della seconda guerra mondiale nella solita, immaginaria Vigata. Dalla tv alla scuola, il passo è stato breve».
Antonio Casa
 
 

Il Giorno, 18.1.2003
Fiction tv? Meglio la letteratura

«Montalbano sono». Non è più una dichiarazione anagrafica ma uno slogan che fa la pubblicità a se stesso. Uno slogan che è la rappresentazione visiva di un personaggio riconoscibile: perciò fa scattare un moto di simpatia. Non solo, ma se lo slogan viene ripetuto da milioni di persone genera un complice sentimento di appartenenza culturale. Insomma, se per settimane o mesi sappiamo che tutti abbiamo visto Montalbano, la solitudine personale viene sconfitta (anche se la televisione fabbrica solo illusioni, anzi sogni ad occhi aperti). La cosiddetta fiction e le interminabili telenovela a puntate giornaliere si basano sulla loro capacità di isolarci dal mondo, di «divertirci» nel senso di distoglierci dalla realtà. Ci divertiamo anche quando ci annoiamo, in quanto l'eventuale noia di una «soap opera», o di un personaggio fisso, viene eliminata dalla dolce abitudine passiva a quella storia e a quel personaggio. Succede proprio come con la droga. Che cosa distingue una fiction dalla narrativa scritta? C'è una distinzione esterna e una interna. La distinzione esterna è data dalla maniera quasi casuale di guardare un racconto televisivo. La distinzione interna è data dalla pura e semplice visività del racconto. C'è una enorme differenza tra leggere e guardare. La lettura esige un atto di volontà della mente, che è consapevole di attivarsi in vista di uno scopo conoscitivo, e non solo distrattivo. Inoltre le parole scritte fanno appello alla intelligenza e alla cultura personale, mentre le immagini televisive sono indifferenziate. Per esempio, la faccia del Montalbano televisivo è quella che vedono tutti, invece la faccia del Montalbano romanzesco (quello di Camilleri) è quella che io mi rappresento nella mente, secondo i miei parametri psicologici e culturali. Per questo la narrazione di una fiction sarà sempre di un livello più basso della narrazione di una storia scritta: il successo della fiction è spiegabile anche con la crisi del pensiero pensante.
Giuseppe Bonura
 
 

La Sicilia, 19.1.2003
Camilleri: «Al via la stagione»

Racalmuto. Lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri è stato ieri a Racalmuto per un sopralluogo al teatro «Regina Margherita» che verrà inaugurato, dopo un'opera di restauro ventennale, nel prossimo mese di febbraio. Camilleri è il direttore artistico della struttura teatrale ed ha già allestito il programma della stagione che avrà inizio a febbraio e si concluderà ad aprile.
Lo scrittore è arrivato a Palazzo di città assieme al sindaco Gigi Restivo e con una troupe di Rai Trade che sta realizzando uno speciale sul personaggio Camilleri. Ha preso parte ad una seduta straordinaria del Consiglio comunale dove hanno preso la parola i diversi consiglieri, manifestando la loro soddisfazione per il fatto che lo scrittore abbia accettato la direzione del «Regina Margherita». Nel corso della seduta è stato osservato anche un minuto di raccoglimento in onore di Giuseppe Tornabene, 40 anni, di Racalmuto, deceduto quattro giorni fa a Reggio Emilia dove si trovava per lavoro mentre era impegnato in un cantiere. Infine Camilleri si è recato al teatro rimanendo soddisfatto del lavoro che è stato fatto.
«Ho accettato subito e di buon grado la direzione artistica di questo teatro - ha detto Camilleri - è uno dei primi favori che restituisco al mio grande amico Leonardo Sciascia che era innamorato di questa struttura e ci teneva tantissimo. Lui mi ha sempre aiutato ogni qualvolta lo disturbavo per un suggerimento.Adesso arriva il difficile. Dobbiamo superare un test difficile che possiamo superare soltanto con le presenze nella varie iniziative. Il teatro incute timore ad entrare perché c'è un tappeto rosso, bisogna vestirsi in un certo modo; eppure il teatro è come una chiesa, una chiesa profana è una astronave, l'astronave più facile da capire perché ha un fascino diverso, particolare».
«Il teatro - ha continuato lo scrittore empedoclino «padre» del celebre commissario Montalbano - fa crescere ognuno di noi perché a fine commedia ci si confronta con gli altri, si discute su quello che ha colpito molto e quello che ha colpito meno. Racalmuto è un paese che non morirà, muoiono i paesi dove non c'è un teatro».
Gaetano Ravanà
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 19.1.2003
Dopo le polemiche tra Consolo e Granata, il riconoscimento a Camilleri
Il signor Montalbano stella del Racalmare

Dopo il polverone scatenato dalla rimozione di Vincenzo Consolo quale presidente del premio "Racalmare Leonardo Sciascia – Città di Grotte", dall´estromissione dei componenti della giuria e dei consulenti scientifici e, inevitabilmente, dall´inviperito botta e risposta scatenatosi con una serie di lettere, è tempo di festeggiamenti e di consegne. E questa tormentata quindicesima edizione del premio, che dal 1980 ha visto insigniti scrittori come Manuel Vásquez Montalbán, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, vede oggi salire sul podio uno scrittore che di riconoscimenti, in questi ultimi tempi, ha fatto incetta, imponendosi come l´autore italiano più letto e amato: Andrea Camilleri.
E visto che ci troviamo in territorio sciasciano (Grotte è proprio a due passi da Racalmuto), con buona pace dei campanilisti della prima ora s´intende, è bello immaginare, a lato della consegna del premio Racalmare, l´incontro tra il padre del commissario Salvo Montalbano e Leonardo Sciascia, col quale Camilleri non ebbe mai dimestichezza, essendogli, come lui stesso ha ammesso, amico di secondo grado. Quelli di primo grado lo chiamavano "Nanà", mentre Camilleri si è sempre rivolto all´illuminista di Racalmuto col nome di Leonardo. Ecco, ritirare questo premio, in origine voluto fortemente da Sciascia, e da lui tenuto al riparo dalle pastoie della critica e dalla polvere dei salotti letterari, per Camilleri potrebbe significare in un certo senso rompere finalmente il ghiaccio, essere ammesso nella cerchia degli amici di primo grado di Sciascia, e avere il coraggio almeno di ricordarlo col diminutivo confidenziale di "Nanà".
Mentre per Sciascia questo premio avrebbe potuto significare una specie di tardivo atto di resipiscenza nei confronti delle sue cautele riguardo alla lingua mescidata di Camilleri, a suo dire troppo contaminata dalla presenza di termini dialettali. Accanto all´autore di La voce del violino, verranno poi premiati per il giornalismo Gaetano Savatteri, inviato del Tg5, autore di importanti inchieste, di un romanzo tipicamente sciasciano, "La congiura dei loquaci" e della riduzione teatrale del romanzo di Luigi Natoli "I Beati Paoli", e Maria Grazia Cutuli, inviata del "Corriere della Sera", alla memoria.
s.f.
 
 

Il Giorno, 19.1.2003
«E Georges disse: Cervi va bene, ma la Pagnani...»

Erano i primi anni Sessanta e in un appartamento di Parigi, un giorno ovviamente grigio che sembrava un bianco e nero di Marcel Carné, si trovarono di fronte Georges Simenon, di già celeberrimo padre del commissario Maigret, e Andrea Camilleri, che non pensava neanche alla lontana che sarebbe diventato a suo volta padre di un altro famoso poliziotto, Salvo Montalbano, commissario nell'assolata Vigata.
L'inedito episodio lo rammenta lo stesso Camilleri, che così ricorda Simenon: «Somigliava molto al suo personaggio, era, direi, decisamente megrettiano. La sua massiccia cubatura occupava molto spazio, non parlava molto, piuttosto bofonchiava, e alle parole intercalava grossi silenzi. Mi parve un tipo calmissimo».
Il perché di quell'incontro: Camilleri, allora produttore alla Rai, stava per portare Maigret sugli schermi televisivi degli italiani nella celebre serie interpretata da Gino Cervi.
«L'idea di Maigret in tivvù, però — racconta — non fu mia. Nacque a Diego Fabbri, che aveva scritto per il teatro un famoso “Processo a Gesù” e che era molto conosciuto anche in Francia. Fu lui lo sceneggiatore di quelle puntate, non io. Decidemmo di andare a Parigi per sottoporre il nostro progetto a Simenon, soprattutto la scelta degli attori. Su Cervi non ebbe niente da obiettare, ma su Andreina Pagnani, che doveva interpretare la moglie, sì. Disse che era troppo bella per un tipo, tutto sommato grigio, come Maigret. E vabbè, gli dicemmo, è ormai una signora di una certa età. Eh!, disse lui, ma Maigret si è sposato giovanissimo. Voi lo vedete che si sposa una bellissima ragazza come la signora Pagnani? Non rientra nel personaggio. Comunque la spuntammo e, poi, quando anche Simenon ebbe visto alcune puntate, ne fu soddisfatto».
Si dice, Camilleri, che una delle ragioni del successo immenso di Maigret fu quella di essere nato assieme al cinema sonoro, famelico, tra l'altro, di storie. E chi poteva soddisfarlo meglio di Simenon, cui viene attribuito l'incredibile numero di 435 romanzi! Però Maigret in televisione entrò più tardi, erano già gli anni Sessanta…
«Certo. Simenon/cinema anni Trenta è un'accoppiata magica. Ma Maigret è, io credo, indissolubilmente legato a quelle atmosfere, a quei personaggi. Non le storie, che possono svilupparsi in qualsiasi tempo. Ma attualizzare Maigret non è possibile. E poiché era già problematico quando lo portammo in televisione, le racconto qualcosa di straordinario che fece Diego Fabbri. Lui prendeva i libri di Simenon, pubblicati in brossura negli Oscar, e letteralmente li smontava, pagina dopo pagina, che distribuiva sul pavimento. Poi le rimetteva insieme in un ordine diverso, scrivendo brani di raccordo, nuovi dialoghi, tagliando o aggiungendo, creando alla fine una nuova storia».
Ma, allora, gli italiani videro dei Maigret… inesistenti? E Simenon, non protestò?
«Be', sì — risponde candido Camilleri — erano storie in parte inventate da Fabbri. Comunque seguire quel lavoro fu per me un apprendistato straordinario, era come andare a lezione nella bottega dell' orologiaio. Insomma, imparai l'arte e la misi da parte».
Si dice, Camilleri, che la scrittura di Simenon sia piuttosto piatta, addirittura grigia. Tutto il contrario della sua.
«E come poteva fare altrimenti! Attenzione, però: la sua scrittura è veloce solo nei gialli, quelli con Maigret o senza. Negli altri libri è diversa. Io mi sono accorto che i gialli non li rileggeva neanche. Ce n'è uno dove due personaggi fanno conoscenza due volte a poche pagine di distanza una dall'altra. Lui ha scritto più di 70 Maigret; io 6 Montalbano. E' sorprendente il parallelismo tra la sua incredibile capacità di scrittura e la sua insaziabile vita sessuale…».
Simenon si vantava di avere posseduto 10 mila donne e di fare l'amore tre volte al giorno, ogni giorno.
«Eh, non dico che non funzionasse bene in tutti e due i campi. Però, sia nella scrittura che nel sesso c'è qualcosa di patologico, quasi fossero due bulimìe».
Si dice che un'altra ragione della fortuna mondiale di Maigret sia stata proprio che, essendo molto semplice, non dava alcuna difficoltà al traduttore. Il contrario della sua, che però è stato tradotto ugualmente in tante lingue, gaelico compreso.
«Ma io non esagererei con la semplicità della scrittura di Maigret. Anche nel suo francese ci sono, per esempio, dei belgismi molto efficaci, che se dovessero essere correttamente tradotti, creerebbero difficoltà. Come venga tradotto il mio siciliano vero e inventato, non so bene. So che in Francia hanno preso a prestito il dialetto di Lione, ma il gaelico resta davvero un mistero».
Mario Spezi
 
 

La Sicilia, 20.1.2003
Assegnati i premi Racalmare

Si è svolta ieri a Grotte la premiazione della XV edizione del premio letterario «Racalmare - Leonardo Sciascia». Alla cerimonia, oltre ad una nutrita folla di personalità, è intervenuto un pubblico numeroso al punto da gremire completamente il piccolo Teatro Marconi. Fra di loro persino una coppia di tedeschi ansiosi di vedere di persona Andrea Camilleri. L'appuntamento si è aperto sulle note dell'inno di Mameli che è stato anche intonato dai presenti. Quest'anno il premio ha previsto tre riconoscimenti: due per il giornalismo ed uno per la cultura. Il primo è stato attribuito a Maria Grazia Cutuli e consegnato al padre ed al cugino che hanno annunciato la volontà della madre di destinare il denaro del premio a favore della realizzazione di un pozzo per l'acqua potabile in Africa. Il secondo è andato a Gaetano Savatteri che ha ringraziato spiegando che il riconoscimento, per lui particolarmente significativo, più che a se stesso, lo ha percepito come assegnato ai ragazzi che insieme a lui fondarono la testata racalmutese «Malgrado tutto». Infine, il terzo e più atteso premio è stato consegnato nelle mani dello scrittore Andrea Camilleri che è stato omaggiato con l'esecuzione della sigla televisiva delle avventure del commissario Montalbano e con la lettura di da parte dell'attore Raimondo Moncada di alcune pagine dei suoi libri. L'autore empedoclino, ritirando il premio, ha spiegato come gli fosse particolarmente gradito a differenza di altri riconoscimenti come il premio Bancarella che invece non lo avrebbe voluto «nemmeno a cannonate». Particolarmente inteso il momento durante il quale ha ricordato Leonardo Sciascia che lui inizialmente aveva conosciuto solo in forma epistolare. Camilleri ha ricordato come a separarli in un primo momento fosse stato il diverso approccio verso la storia: «Lui raccoglieva tutti i documenti e poi scriveva, a me basta uno spunto e mi invento tutto».
Fabrizio La Gaipa
 
 

La Sicilia, 20.1.2003
«Vigata è in fermento»

Porto Empedocle. L'occhio del Grande Fratello segue anche Andrea Camilleri. Un pedinamento costante, al quale da alcuni giorni lo scrittore empedoclino si presta, anche nella sua «Vigata», dov'è tornato ieri mattina per partecipare ad una manifestazione commemorativa dei caduti in guerra. Per il «papà» del commissario Montalbano è stata un'occasione irrinunciabile per riabbracciare vecchi e nuovi amici, dopo alcuni mesi di lontananza.
Gli empedoclini, però, hanno subito notato la presenza di un troupe televisiva perennemente alle costole del prestigioso compaesano. Erano gli operatori e tecnici di Rai Trade, impegnati a realizzare un documentario con l'intento di raccontare ogni momento della giornata dello scrittore, diventato negli anni un fenomeno della letteratura contemporanea.
Munito di radiomicrofono sistematogli sotto il gilet, Camilleri si è mosso con naturalezza tra baci e strette di mano. Appena però il radiomicrofono tascabile faceva le bizze, un solerte tecnico audio gli si avvicinava per sistemarlo e riprendere il «pedinamento». La troupe composta da tre persone ha infatti seguito ogni momento della mattinata empedoclina dello scrittore, staccando il collegamento intorno alle 12.
Tornato ad essere padrone di un mimimo di libertà e senza essere più seguito dall'occhio implacabile del Grande Fratello, il creatore del commissario Montalbano si è lasciato andare ad alcune esternazioni. Con accanto il sindaco Paolo Ferrara, Camilleri si è soffermato sulla polemica scoppiata nei giorni scorsi, relativa al presunto «scippo», attuato da Ragusa nei confronti di Porto Empedocle, del set dove sono stati girati i film-tv sul commissario più famoso d'Italia.
Agli amministratori empedoclini, pronti a lanciare una sorta di operazione-verità sui luoghi originali dell'opera camilleriana, il diretto interessato ha replicato dicendo che «Montalbano non può tornare nei suoi posti originali, perchè i luoghi dove vive appartengono alla memoria ed è inevitabile che il paesaggio non corrisponda alla memoria. La produzione dei film è andata a trovare altri posti che non sono ancora invasi dal cemento o da altro. Faccio abitare Montalbano a Marinella, quando a Marinella c'erano appena 3 villette abusive. Me la vada ad ambientare lei, nella Marinella di oggi, le scene di un film. Non è possibile».
Così parlò Camilleri, con la stessa semplicità venata di commozione, di quando guarda le facce dei reduci di guerra, riunitisi ieri mattina in via Roma, per ricordare i caduti dei conflitti bellici. «Molte di queste persone mi hanno visto quando ero bambino e le trovo perfettamente conservate. Tanti di loro, quando scrivo, mi vengono alla memoria. Succede spesso a tutti gli scrittori quando scrivono della terra dove sono nati».
Tra una foto ricordo e l'altra, Camilleri non ha mancato di tracciare un profilo della realtà empedoclina, agrigentina e siciliana in generale. «E' una realtà in movimento. Non solo a Porto Empedocle, ma anche nei paesi vicini, come ad esempio Racalmuto, vedo adesso un grande fermento. La cosa più bella di questo tempo siciliano è la positività dello sviluppo culturale. Basti pensare che oggi in Italia vantiamo molti scrittori, vecchi e giovanissimi, dalle chiare e inequivocabili origini siciliane e questo è un dato che deve fare riflettere, sulle speranze di una terra che ha tanta voglia di crescere e distinguersi».
Dopo il grande bagno di folla nella sua «Vigata», lo scrittore si è trasferito a Grotte per ricevere il premio «Racalmare» per la letteratura. L'ennesimo riconoscimento per un personaggio la cui notorietà ha ormai varcato ogni confine geografico.
Un successo inarrestabile, sorretto da quel mezzo mediatico che Camilleri dimostra di sapere utilizzare meglio di chiunque altro, tanto da diventare protagonista di un documentario su sè stesso, tanto da passeggiare in via Roma con un microfono sotto il gilet.
Francesco Di Mare
 
 

La Sicilia, 20.1.2003
Cerimonia per i caduti in guerra

Porto Empedocle. La cittadina marinara è stata per un giorno capitale della memoria. Ieri davanti al monumento dei caduti e poi in Municipio si sono ritrovate le massime autorità civili e militari della provincia di Agrigento, in occasione della «Giornata del ricordo dei caduti e dispersi in guerra», organizzata dall'Anfcdg (associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra), dalla Provincia regionale e dal Comune. Un momento toccante che ha dato la possibilità a giovani e meno giovani di confrontarsi con il passato. Dopo la deposizione di due corone di fiori ai piedi del monumento ai caduti, il corteo delle autorità si è trasferito nel municipio empedoclino, dove si è svolta una sobria cerimonia, farcita di sensazioni, ricordi, commenti ed interventi di grande spessore.
Una serie di testimonianze aperte dal sindaco Paolo Ferrara, seguito a ruota dal presidente della Provincia Vincenzo Fontana, dai rappresentanti provinciali dell'associazione dei caduti e dispersi in guerra e da un ospite illustre, lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri, pronto ad offrire un ricordo personalissimo di cos'è stata per lui la guerra. «Facendo un giro attorno al monumento ai caduti, ho letto i nomi e cognomi di miei parenti stretti, tra i quali un fratello di mio padre. Per questo posso dire di sentire con particolare trasporto questa ricorrenza che deve servire soprattutto ai più giovani, da stimolo per evitare che altre guerre insanguino il mondo».
E sono stati proprio i giovani i protagonisti della giornata della memoria. Nel corso della cerimonia infatti, sono stati molti gli alunni delle scuole dell'obbligo empedocline, premiati per gli elaborati che hanno realizzato sul tema della guerra e sul ricordo di chi in guerra ha perso la vita. Facce emozionate e felici, quelle degli studenti, perfettamente coscienti di avere interpretato al meglio il senso reale dell'iniziativa che per la prima volta, si è svolta nella cittadina marina, su decisione del presidente provinciale dell'Anfcdg.
Arturo Lauricella
 
 

Giornale di Sicilia, 20.1.2003
Il "Racalmare"
A Camilleri e Savatteri un premio nel segno di Sciascia
L'altro riconoscimento per la sezione giornalistica è andato alla memoria di Maria Grazia Cutuli

Grotte. L'ombra di Sciascia aleggia. E non potrebbe essere altrimenti. Geograficamnte: perché da Grotte, Racalmuto dista una manciata di chilometri. Emotivamente: perché a tanti tra i presenti Sciascia ha insegnato qualcosa. Viene citato, ricordato. Porta il suo nome infatti il premio letterario «Racalmare - Leonardo Sciascia», giunto alla quindicesima edizione, che ieri ha visto Andrea Camilleri vincere nella sezione letteraria, mentre in quella giornalistica i riconoscimenti sono andati a Gaetano Savatteri e alla memoria di Maria Grazia Cutuli, l'inviata del «Corriere della Sera», uccisa mentre tentava di raggiungere Kabul. I familiari della giornalista catanese hanno devoluto il premio ai medici del Burkina Faso per la realizzazne di un pozzo d'acqua potabile.
È lui, «pirsonalmente di persona» Camffleri, il fenomeno che ha reinventato il giallo, che predilige l'aspetto artigianale di una letteratura senza labirinti, che ha creato il commissario Montalbano, eroe da cantastorie, celibe militante e indipendente che s'aggira tra l'abusivismo - che non è solo edilizio ma è anche politico e umano - siciliano. Tutto questo lo ha portato a lunghi soggiorni sulle vette delle classifiche dei libri più venduti e degli autori più premiati.
Ma non è stanco di ricevere premi? Cosa questi riconoscimenti aggiungono alla sua carriera?
«Assolutamente nulla ma fanno piacere, soprattutto quando, come in questo caso, vengo inserito in un elenco titolato».
Ama di più le avventure di Montalbano o i suoi romanzi storici, «Il birraio di Preston» e «Il re di Girgenti»?
«Se rispetto ai figli si possono avere delle preferenze, opto per i romanzi storici, anche se devo riconoscere che il commissario è stato un apripista formidabile».
Gli operai della Sicilfiat hanno dichiarato di sentirsi duemila Zosimo, il protagonista de «Il re di Girgenti»...
«Ho provato un'enorme commozione: hanno capito il mio personaggio, un re che in realtà è un povero cristo».
Ha ricevuto una laurea in lingue per il suo giocare con il dialetto siciliano. Nel mondo, ogni quindici giorni sparisce una lingua. Che fare?
«Nulla, è un fatto di colonizzazione. Tra due lingue vicine, quella parlata da un numero inferiore di persone diventa succube di quella più prossima e più forte. Arriveremo a un linguaggio unico, magari all’inglese dell'Unione Europea. Non è bello: accolgo favorevolmente i ritorni alle radici culturali di una lingua».
C'è un suo libro, «Un filo di fumo», in cui si parla dell'isola Ferdinandea, quella che compare e scompare nel canale di Sicilia. Se aggiungiamo l'Etna, lo Stromboli e l'onda anomala è facile sentirci al centro di estesi movimenti...
«Sono fatti tellurici che si possono metaforizzare o simbolizzare. Il dato concreto è che la Sicilia ribolle: speriamo di trovarci di fronte a una bella metafora».
Pensa che l'ironia, quella che mai fa difetto ai suoi romanzi e a quelli di altri scrittori, da Pennac a Montalban, sia una chiave indispensabile per affrontare la vita?
«Sì, e per i siciliani in particolare. Ne  “Il consiglio d'Egitto” di Sciascia il viceré chiede come si fa a essere siciliani. Risposta possibile: con molta ironia».
La sua Ingrid è svedese, i luoghi di Montalbano, ovvero il distretto del Sud-Est, sono stati esportati in Svezia. Un filo la unisce alla Scandinavia?
«Ammiro quelle terre come fatto culturale, ho letto molti libri di autori nordici. Magari sarà l'attrazione per l'opposto».
In quale Paese d'Europa Salvo Montalbano va più forte?
«In Germania, dove i primi quattro libri hanno venduto quattro milioni di copie. Lì ci sono attenzione e curiosità verso la Sicilia».
Di che salute gode la letteratura siciliana?
«Guardando alla Sicilia, non sono molte le occasioni per essere ottimisti ma in questo caso è giusto uno sguardo positivo. A parte i mostri sacri come Consolo e Bonaviri, si agitano i Giosuè Calaciura, i Roberto Alajmo, i Santo Piazzese. Non male».
Secondo lei, il ponte sullo Stretto s'ha da fare o no?
«Se avessi tutte le assicurazioni possibili e immaginabili sulla stabilità geologica, non sarei contrario. Venendo giù in treno, ho impiegato tre ore da Villa San Giovanni e Messina. Non parlerei di priorità da rispettare: l'Europa unita s'è fatta con le banche, poi sono venute le idee».
Oltre a prepararsi al ruolo di direttore artistico del Teatro Regina Margherita di Racalmuto che riaprirà a febbraio, a cosa sta lavorando?
«Entro l'anno usciranno due libri per Sellerio: "Il giro di boa", una nuova avventura di Montalbano, e un romanzo storico, "La presa di Makallè'. La televisione? Mi interessa solo relativamente».
Giustizia, mai parola fu più bistrattata, sfigurata. Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore, se ne occupa quotidianamente. Per mestiere e per passione. «La congiura dei loquaci», «L'attentatuni», «Ladri di vita» sono alcuni lavori legati ai problemi della Sicilia, la mafia, il racket: «La questione della giustizia mi ha sempre appassionato. Sono nato a Racalmuto e cresciuto sui libri di Sciascia. Se in Sicilia quello della giustizia è un tema dolente, in tutta Italia è una questione che accende gli animi. Ha profondi riferimenti affettivi e letterari: il tentativo dell’uomo di avere dei validi sistemi di giustizia è un'affannosa ricerca sulla quale ci si arrovella da tempo. Nelle aule dove si celebra il rito dei processi c'è una frase semplicissima ma ancora tutta da conquistare: la legge è uguale per tutti. Leggendola, viene spontaneo aggiungere un punto interrogativo».
Anche in Europa e nel resto del mondo?
«La giustizia in Italia ha delle caratterizzazioni forti per la nostra storia antica e recente. Taglia la nostra coscienza, la nostra politica, la nostra anima. Forse perché il nostro è un Paese che ha una lunga dimestichezza con le ingiustizie e il valore della giustizia è lontano dall'essere consolidato: intorno a esso ci sono stati morti e divisioni e la linea della palma, citata da Sciascia, procede verso nord».
Sciascia, appunto...
«Questo premio mi fa piacere perché mi viene assegnato in casa, Racalmuto e Grotte sono i luoghi della mia infanzia. Qui, oltre vent'anni fa, lo e altri giovani cominciammo un mestiere che sognavamo potesse diventare la nostra professione. E così è stato. Fondammo un piccolo giornale, 'Malgrado tutto', perché pensavamo che in quel luogo ce ne fosse la necessità. Ecco, questo riconoscimento mi viene dato non per quello che sono oggi ma per quel sogno di sedicenne che si è realizzato. Ho lavorato in altre testate e sono rimasto legato a quel giornale, dal nome affascinante: Sciascia diceva che veniva dal nostro pessimismo di natura. Le cose sarebbero andate come sarebbero andate ma, 'malgrado tutto' qualcosa bisognava fare».
Antonella Filippi
 
 

20.1.2003
Il fantasma nella cabina

Lucca. La prima de 'Il fantasma nella cabina', due atti di Rocco Mortelliti da 'Il commissario di bordo' di Andrea Camilleri, al Teatro del Giglio di Lucca, è stata sicuramente apprezzata da un pubblico accorso numeroso, anche se non è stato raggiunto il 'tutto esaurito'. I palchi erano semivuoti - ma, si sa, i benpensanti (che di musica non capiscono una bella minchia) hanno la puzza al naso ed evitano di farsi vedere i loro abiti di lusso e i gioielli se non c'è la Tosca o l'Aida o altre opere di cartellone -  la platea quasi piena, il loggione completo e assai 'caldo' negli applausi, tributi solitamente elargiti alle opere pucciniane. Quelle ben eseguite e ancora meglio cantate, si capisce.
Il sottoscritto occupava una poltrona della galleria numerata. Ha comprato doverosamente il volumetto "Le inchieste del commissario Collura" e il libretto dell'opera che si apprestava ad ascoltare.  La trama già la conosceva. La musica no.  Ma su Marco Betta, almeno dove è nato e sulla di lui attività, ha pensato il sottoscritto con il piacevole (per lui) suono degli strumenti in fase di accordo, come sottofondo, qualcosa ci sarà pure scritto sullo stampato dell'Azienda Teatro del Giglio. Speranza fallace. Neppure una riga. Màh!
Con dieci minuti di ritardo sono calate le luci. Il sipario aperto da poco. Fino dalle prime battute - ohibò! Il terrore era quello di sorbirsi dodecafonìa e altri strazi simili - la musica è risultata piacevole. Via via che la vicenda si faceva strada, al sottoscritto veniva in mente il Gesamtkunstwerk, tutto italiano però, e con schegge impazzite di Commedia dell'Arte. Sul palco vivevano 'fantasmi' rossiniani e donizettiani, imperavano jazz, prosa, serietà e facezia, pittura, danza, pantomima (piacevolissima quella di David e Golìa), cabaret. Ma non tessere sparse di un indefinito mosaico. Il mosaico c'era, eccome! Ogni grano del rosario al suo posto. Si spaziava con grazia ed armonìa. E l'ombra di Cecè\Montalbano\Camilleri sempre e ovunque: divertente, mordente, mai stucchevole.
La trama c'è, leggera, bella e inutile come una velina, offre gli spunti non li approfondisce. Una ex-attrice finge di vedere fantasmi per mettere scompiglio a bordo della nave, profumatamente pagata da una società armatrice concorrente, onde danneggiarne l'immagine. Il caso, si fa per dire, viene risolto da un Collura 'sfavato' (si consenta allo scrivente questa parola tipica toscana con buona 'pirdonanza' dello Zingarelli ) e ancor più torturato dalla pignola dabbenaggine del Comandante della 'Marco Polo'.
 Non sono mancati gli applausi e le risate. Molte gag veramente azzeccate. Ottima la regìa di Rocco Mortelliti, di sicuro effetto le scene di Italo Grassi.
E la musica?
Promossa con lode. Orecchiabilissimo il Leitmotiv dell'opera - degno di un Classico - azzeccate alcune arie. I brani di jazz, cantati da Giorgia (Paola Ghigo), sono bene inseriti nel contesto del lavoro, hanno il loro giusto e opportuno spazio. Un primo passo, dunque, verso un Futuro operistico che può e deve migliorare, ma che segna e indica la strada giusta. Lo testimoniano gli applausi a scena aperta al termine de "Il fantasma nella cabina".
     Splendi stiddata la celesti lira,
     E' figghia di lu celu l'armonia
     Armonica ogni sfera in aria gira,
     Saggiu di Samu eccu mi appellu a tia.
'In lode di la Musica' del grande poeta palermitano Giovanni Meli.
Auguri e coraggio, Maestro Betta!
Stelvio Mestrovich
 
 

Giornale del Popolo Luganese, 20.1.2003
Piccola cronaca

Lugano: conferenza - Il professor Mauro Novelli dell'Università Statale di Milano presenterà “Non solo 
Montalbano. Le mille voci della Sicilia nella narrativa di Andrea Camilleri” domani, martedì, alle 16 all'Hotel 
Excelsior. Organizza il Lyceum Club Lugano.
 
 

La Nazione, 21.1.2003
Camilleri di successo tra cabaret e l'operetta

LUCCA - Nella «coda» della stagione lirica 2002-2003 il Teatro del Giglio, dopo cinque appuntamenti con le opere di repertorio, ha voluto inserire due lavori «leggeri» in un'azione culturale di largo respiro e stimolante verso un pubblico troppo spesso ancorato al tradizionalismo.
In attesa de «La Belle Hélène» di Offenbach, è andata in scena sabato sera «Il Fantasma nella cabina» , due atti di Rocco Mortelliti tratti da «Il commissario di bordo» di Andrea Camilleri con il commento musicale di Marco Betta che stanno facendo il giro dell'Italia, dopo la «prima» assoluta realizzata a dicembre al «Donizetti» di Bergamo. Uno spettacolo che sta a mezzo tra l'operetta ed il teatro di Brecht con le parti parlate che predominano su quelle musicali e continui cambi di scena realizzati attraverso la tecnica dei siparietti che permetto istantanei spostamenti dell'azione e dei dialoghi. Un cabaret leggiadro e senza troppe pretese dove la semplice musica, realizzata sulla base di ripetuti giri armonici presi a prestito da quella «leggera», è sostenuta da un organico cameristico diretto da Aldo Sisillo con alcuni interventi solistici pregevoli e scorrevoli. I cantanti per prima cosa devono essere attori ed in questo contesto il racconto di Andrea Camilleri, o meglio l'intenzione di Rocco Mortelliti che ha curato anche la regia di questo spettacolo, è stato quello di evidenziare il mondo degli attori, eredi della commedia dell'arte, alla caccia di scritture remunerate che permettano di sbarcare il lunario. Ecco quindi spiegata la farsa della signorina Meneghetti che, opportunamente pagata da una società armatrice concorrenziale, con grande convinzione asserisce di aver visto un fantasma nella cabina della nave da crociera. Una recitazione avvalorata dalla pregevole arte scenica di Denia Mazzola dalle raffinate qualità canore ed in questa analisi ci piace ricordare la partecipazione di Luciana Serra che con grande professionalità ha recitato nei panni della giornalista Stefania Biroli. Al di là di queste considerazioni musicali, lo spettacolo ha offerto anche una scenetta che si riallaccia al grande Fregoli e varie pantomime del vecchio varietà realizzate con la partecipazione di Luca Canonici, Fabio Previati, Danilo Formaggia, Paola Ghigo, Leonardo De Lisi, Maurizio Leoni.
Francesco Cipriano
 
 

Gazzetta di Parma, 21.1.2003
In arrivo puntate sulla strage di Bologna e su Pasolini
Lucarelli e il caso «Blu notte»

ROMA - Nell'inchiesta del Financial Times sulla tv italiana, Blu notte di Carlo Lucarelli su Raitre non è citato. Peccato: quel programma ad alta tensione sui misteri d'Italia, in onda la domenica poco prima di mezzanotte su Raitre, sta diventando un piccolo caso, una trasmissione di culto che avrebbe ben figurato tra la nostra tv da salvare.
Domenica, con una puntata sulla morte di due agenti di polizia, Antonino Agostino e Emanuele Piazza, ha avuto quasi il 15% del pubblico (Raitre ha una media tra l'8 e il 10%) e nella puntata precedente, dedicata al caso Montesi, ha avuto oltre il 17%. Anche le precedenti edizioni del programma avevano riscosso successo, ma questa volta complice anche la collocazione domenicale il pubblico è cresciuto. Nel nuovo ciclo di 10 puntate, cominciato all'inizio dell'anno, si parlerà della strage di Bologna, del mostro di Firenze e anche di Pier Paolo Pasolini.
Lucarelli, da molti considerato erede di Camilleri per l'intreccio e la capacità narrativa dei suoi gialli, si muove tra delitti noti e meno noti con grande tensione emotiva. La ricostruzione è puntigliosa, senza essere mai per questo troppo fredda o distaccata. Lo spettatore sta subito dalla sua parte e lui non fa nulla per evitarlo, utilizzando una tecnica narrativa che è alla base del successo.
«Descrivo quelle storie come se le leggessi ad alta voce a me stesso», racconta Lucarelli, che ha debuttato anche al cinema dirigendo Almost Blue. Complici i filmati di repertorio e le mini fiction girate nei luoghi veri dei delitti, lo spettatore è subito immerso in un'atmosfera da brivido. «Al di là della tecnica però non c'è nulla di letterario, qui in ballo ci sono storie vere, misteri autentici», aggiunge Lucarelli, molto amato dalla critica letteraria e molto seguito anche dalle web community che a lui sono spesso dedicate come giallodivino o vigata.org, il fans club di Camilleri. Con lui collabora «un team di investigatori»: il giornalista Francesco La Licata, Guido Ruotolo, Vincenzo Vasile, Nicola Biondo.
Terminato l'impegno con Blu Notte, Lucarelli tornerà alla scrittura: «Sto preparando un nuovo romanzo ambientato alla fine dell'Ottocento nelle colonie italiane d'Africa». E intanto, tratto dal suo libro Il giorno del Lupo, i Manetti Brothers si apprestano a girare a metà marzo la puntata pilota per la Rai di una fiction con protagonista il personaggio dell'ispettore Coliandro.
 
 

Liberazione, 21.1.2003
Il soffio della valanga
Santo Piazzese, Sellerio (pp. 329, euro 11,00)

Ci sono voluti quattro anni, dopo il successo di I delitti di via Medina - Sidonia (1996) e La doppia vita di M. Laurent (1998), entrambi pubblicati sempre dall'editore palermitano Sellerio, ma l'attesa non è stata vana. Con Il soffio della valanga il biologo "prestato alla scrittura", come ama definirsi Santo Piazzese, ricercatore universitario dedito all'arte letteraria del delitto, torna a proporci un viaggio in una Palermo allucinata dove il crimine non ha solo il volto della mafia. Nelle sue pagine infatti la città siciliana assume i contorni del noir, riecheggiando le atmosfere e i toni della letteratura poliziesca d'oltreoceano, i suoni del jazz piuttosto che i ritmi mediterranei. E' la Palermo metropolitana che racconta Piazzese, non concedendo nulla ai tempi sincopati della narrativa di un Camilleri, ma rimandando piuttosto ai classici dell'hard boiled o alla cronaca violenta di Bercellona costruita da Manuel Vasquez Montalban.
Anche in questo caso Piazzese, la cui notorietà ha da tempo superato i confini nazionali, i suoi libri sono ad esempio molto amati in Francia, sembra partire da un delitto di mafia, ma le indagini condotte da un ritrovato commissario Vittorio Spotorno approderanno a una pista molto diversa. Spotorno torna protagonista, mentre questa volta l'investigatore Lorenzo La Marca, l'altro personaggio chiave delle storie di Piazzese, resta sullo sfondo. E quasi come in uno specchio narrativo Il soffio della valanga rimanda a I delitti di via Medina - Sidonia, costruendo una sorta di controcanto a quella vicenda, intrecciando un'altra immagine di Palermo, l'ombra di altre storie, di un'altra condizione di vita. Una donna accompagna con la sua comparsa le varie tappe che portano al mistero e alla morte, quella che Spotorno chiama la "Dama Bianca"; ma si intrevede anche il passaggio da un'epoca all'altra, da una generazione della malavita ad un'altra. Come spiega il commissario a un vecchio dirigente della Ps, chiamato da tutti semplicemente don Tano, "uno sbirro chiamato come un mafioso": «I picciotti delle nuove leve sono sempre più arraggiati. E ormai i vecchi capi stentano a tenerli sotto controllo (...) Ci sono troppi soldi in ballo, soldi facili, e chi ne ha sentito l'odore anche solo mezza volta si tira il conto che vale la pena di correre il rischio di giocare in proprio».
Guido Caldiron
 
 

La Repubblica, 22.1.2003
Cento anni fa nasceva a Liegi lo scrittore francese di origine belga. Ne parliamo con Carlo Fruttero. Migliaia di pagine scritte e altrettante conquiste femminili. Ecco il ritratto di un Balzac del Novecento
Georges Simenon. Una vita fra donne e best sellers

[...]
La domanda è fatale. C'è oggi un Simenon italiano? Esiste un Maigret? Che cosa ne pensi di Andrea Camilleri e del suo Montalbano?
"Sì, Camilleri ha un po' il talento di Simenon. Riesce a fare romanzi brevi. Tanti, e tutti con una trama sostenibile. La sua lingua è ben inventata. La sua Sicilia è bella. I casi sono ben trovati. Quel suo poliziotto è un protagonista centrato: fra l'altro, condivide disinvoltamente con dei personaggi più che collaudati - Maigret, appunto, o Nero Wolfe - la passione per la buona cucina. Insomma, trovo che Camilleri sia uno scrittore più che degno. Anche la serie televisiva mi diverte. E` stata, in un certo senso, una rivelazione. Dev'esserlo stata per lo stesso Camilleri".
Nello Ajello
 

Le celebrazioni
I suoi romanzi accolti nella Pleiade

[...]
Manifestazioni sono in preparazione anche in Italia. A Napoli, all'apertura di Galassia Gutenberg, la fiera libraria che si tiene alla Mostra d'Oltremare, venerdi 14 febbraio si stanno organizzando alcuni appuntamenti: Andrea Camilleri, con un intervento registrato, racconterà di quando scriveva i dialoghi per il Maigret televisivo.
 

Come è nato il personaggio
Maigret il vicino di casa
La prima avventura risale al 1929, in un porto olandese, dove oggi gli hanno eretto una statua

[...]
Solo che con la gente comune non si fanno grandi romanzi: neanche grandi romanzi polizieschi. Infatti l'abilità di Simenon come costruttore di plot sta nel proiettare di colpo questa gente comune in una vicenda che la supera, che la scaglia al di là del destino che si credeva scritto per lei. E nel fargli toccare il fondo, o la sommità, di questa condizione inattesa.
Se ci si pensa solo un momento si vede subito che non certo per calcolo ma solo per istinto, la fortuna del commissario Montalbano creato da Camilleri si basa su una struttura equivalente con in più la variante del dialetto che aggiunge alle vicende narrate un ulteriore e rassicurante connotato casalingo.
[...]
In compenso Simenon ci informa fino al dettaglio sulla vita intima e privata di Maigret come appunto sarà per gli investigatori anch'essi mediterranei scaturiti da Camilleri e da Montalban.
[...]
Corrado Augias
 
 

l'Unità, 24.1.2003
"Ecco come si fabbrica un assassino"

"Un romanzo nel quale indago la dimensione della violenza, attraverso l'ottica di un bambino che diventa un assassino. Il contesto? Il periodo fascista, e le tecniche psico-pedagogiche del sistema dittatoriale mussoliniano". Così Andrea Camilleri racconta a L'Unità il suo nuovo romanzo storico, che sarà pubblicato dalla Sellerio. La presa di Macallè, è un libro che farà discutere, per i contenuti e per il modo nel quale Camilleri affronta il tema dell'infanzia violata di un bimbo, che la propaganda di regime trasforma in un assassino.
Un romanzo storico originale, diverso, ambientato nella Sicilia del 1935, durante la guerra in Abissinia, quando l'autore aveva appena dieci anni.
E già questa è una novità. Perchè si tratta del primo romanzo nel quale l'autore non utilizza documenti dell'epoca, ma attinge ai ricordi della sua infanzia. Camilleri spiega: "Non vi è nulla di autobiografico, tranne il fatto che all'epoca, avevo dieci anni, ed ero, come tutti un giovane Balilla. Lo ero per imposizione, non per scelta. Nel '35, nelle scuole tutti i maestri, o quasi, erano fascisti, e ti spiegavano che se ti comportavi male, facevi un dispiacere al Duce ed a Gesù. I preti spiegavano che Mussolini era l'uomo della provvidenza. Sì proprio così, la propaganda si fondava su queste mistificazioni".
Come è nata l'idea di scrivere questo romanzo?
"Bella domanda: perchè io bambino di 10 anni, che vivevo in una famiglia non di cultura fascista, avevo scritto una lettera a Mussolini chiedendo di partire volontario in guerra in Abissinia? Quale meccanismo psicologico scattò in me? Da questo interrogativo è nata l'idea di scrivere questo libro. Una storia, che ho iniziato a scrivere dopo Il re di Girgenti".
Questo dipende anche dal suo metodo di lavoro?
"Sì, mi vengono in mente due-tre storie, ma una prevale sulle altre. Col tempo, capita spesso, che recupero le altre, che nel frattempo hanno subìto un processo di manutenzione. La presa di Macallè, è una storia che è sbucata fuori e mi ha turbato. Un romanzo profondamente diverso rispetto alla mia produzione narrativa. Nel Re di Girgenti, vi è un finale drammatico, nella Presa di Macallè è la storia in sè ad essere tragica, violenta, nel suo svilupparsi, nella sua essenza".
Ha parlato di assassino-innocente. Cosa vuol dire?
"Voglio dire, che un bambino sottoposto al lavaggio del cervello, viene privato della possibilità di sviluppare la sua autonomia critica, subisce una coercizione. E' un assassino-innocente".
Vi sono particolarità strutturali in questo romanzo?
"A differenza di altri romanzi, dove prevale la figura del narratore-romanziere, nella Presa di Macallè, propongo una lettura dal basso, dall'ottica del bambino. E' come se riprendessi la scena, con una telecamera dal basso, per fare una
analogia con il famoso regista giapponese Ozu. Inevitabilmente questa scelta, di raccontare la storia attraverso gli occhi di un bimbo, invece che degli adulti, incide sulla tecnica narrativa. Nel fieri del romanzo mancano alcune caratteristiche peculiari della mia scrittura. I passaggi, i dettagli, le sfumature, le riflessioni filosofiche, le digressioni. Ed è ovvio che sia
così. Poichè un bimbo di sei anni, non fa riflessioni filosofiche o psicologiche tipiche di un adulto, è più immediato. Coglie i passaggi cruciali di una vicenda in maniera diretta, non mediata. Un bambino conosce l'inconsistenza del gioco pur giocando, e coglie la realtà delle cose in maniera istintiva".
Vi è comunque una narrazione del contesto storico...
"Questo è un elemento tipico della mia struttura narrativa. Nel romanzo vi sono adulti che parlano al bambino, facendogli il lavaggio del cervello, che spiegano la loro visione deformante della realtà. Emerge nel suo insieme, il regime fascista con le sue tecniche sofisticate di costruzione e manipolazione del consenso popolare. Nel Novecento, la nascita dei sistemi totalitari è strutturalmente connessa alla nascita dei fascismi. La voce del Duce attraverso la radio assieme alle scuole, erano strumenti di consenso sociale. Così come le parate militari, ed i comizi. Tempo fa, feci fare ai miei allievi, uno studio sulle voci alla radio dei potenti della prima metà del Novecento. Mussolini nelle sue comunicazioni, era come se parlasse all'unisono con le masse. La gente lo ascoltava, suggestionata, e tirava il fiato assieme a lui. La voce di Hitler era più isolata, a tratti isterica. Churchill e Roosvelt invece, avevano un tono dialogante, era come se parlassero solo con te, ti convincevano come se fossero al telefono. Già allora le tecniche delle comunicazione erano sofisticate, ed i sistemi democratici anglosassoni differivano anche in questo dalle dittature naziste e fasciste. Si pensi al ruolo di Goebbels nel regime nazista. Rilevantissimo. Aveva già intuito il ruolo essenziale della comunicazione nelle società moderne. Ed anche la sua forza manipolatrice".
Uno scritto denso di riflessioni...
"E' un romanzo ricco implicitamente di riflessioni. Poichè un bimbo si scontra con la realtà e da essa viene mutato".
Ne La presa di Macallè affronta anche la questione della pedofilia?
"E' la storia di una infanzia violata. Di una violenza, psicologica, fisica e sessuale. Un romanzo duro, non consolatorio".
Un libro che dimostra la sua ecletticità, oltre che la sua prolificità.
"Non mi piace una lettura monocorde della realtà, che nella sua essenza è varia e molteplice".
I critici che l'attaccano non rispondono, o non danno una spiegazione efficace al fatto che anche i suoi libri più complessi, fondati su un substrato filosofico e storico, attirano numerosi lettori. Qual'è il segreto della sua scrittura, rapida efficace e comunicativa?
"Dalla complessità alla semplicità. Il criterio che deve prevalere è la leggerezza. Il trapezista, che si muove nell'aria, trasmette una sensazione di leggerezza, di facilità, e non ti fa pensare per nulla alla fatica degli esercizi quotidiani che ha dovuto compiere, prima della esibizione pubblica. Così nella scrittura, si vede il risultato, non quello che sta dietro. Si pensi a Dostoevskij, tratta di temi complessi, ma non te lo fa pesare. Lo leggi e non hai voglia di smettere. Dietro la leggerezza vi è fatica. L'importante è non mostrarla al lettore, che altrimenti si stanca e si infastidisce".
Salvo Fallica
 
 

l'Unità, 25.1.2003
Mille e una notte. Di misteri

Carlo Lucarelli è multiforme ma monocolore, anzi dark nella vita e nell'arte. Scrive romanzi (per i quali riceve premi),
canta con un gruppo, lavora in Internet e fa anche non il conduttore, ma il narratore televisivo. In quest'ultima veste è
diventato, come si dice, un fenomeno di culto, con il suo Blu Notte che va in onda in questa stagione la domenica sera
su Raitre.
[...]
Come mai inventi dei personaggi e poi li abbandoni? Creare un detective che ritorna in diverse storie può provocare più facilmente l'affezione del pubblico.
Non è da parte mia una scelta tecnica o strategica. Mi vengono in mente delle storie e poi un personaggio che le racconta. Tutto dipende dalla storia. Avere uno stesso personaggio mi sembra un rischio.
Il rischio che ti prenda la mano?
Il rischio che basti a se stesso. Un rischio nel quale non è ancora caduto Camilleri con il suo Montalbano, mentre devo
dire che ho smesso di leggere Montalban con il suo Pepe Carvalho. Io cerco di arrivare al risultato cambiando
personaggio ogni volta, oppure qualche volta tornando a un vecchio personaggio. Mi è capitato anche questo, ma
sempre partendo dalla storia.
[...]
Maria Novella Oppo
 
 

Il Messaggero, 26.1.2003
“Montalbano” a rischio: con la Rai esiste soltanto un accordo verbale

ROMA — La situazione della fiction peggiora di ora in ora. Continua a mancare un direttore della struttura Rai (dallo scorso luglio), il piano editoriale è conosciuto solo a chi dice di averlo studiato e quindi scritto, le associazioni di categoria invece di restare compatte si sfaldano (per motivi di sopravvivenza chi riesce ad agguantare un lavoro non scende più in piazza). E Francesco Scardamaglia, presidente degli sceneggiatori televisivi, ammette «di aver perso di vista» Sergio Silva, presidente dei produttori. A conti fatti, il rischio che corre la fiction coinvolge il lavoro di circa duecentomila persone tra produttori, autori, attori, artigiani e tecnici. Il caso eclatante? Montalbano, serie campione di ascolti sia in prima visione sia in replica, è ancora senza contratto di attivazione. Ma la reazione di Carlo Degli Esposti, produttore dei raffinati film tv tratti dai gialli di Andrea Camilleri, è ottimista. «Abbiamo superato gli esami orali, ora dobbiamo passare gli scritti», dice alludendo all’accordo verbale già esistente con la Rai, «adesso l’azienda deve solo mettere nero su bianco».
Degli Esposti, però, l’uomo che ha lanciato la coppia Montalbano-Zingaretti, non ha ancora sotto contratto l’attore che lui stesso ha reso famoso. Il fatto è che un altro produttore, Pietro Valsecchi, settimane fa ha annunciato che proprio Zingaretti sarà il protagonista di una fiction biografica su Giovanni Paolo II. Quindi l’altro ostacolo consiste in una questione di tempi, di accordi di date a tre personaggi: Degli Esposti, Zingaretti e Valsecchi. Ma Montalbano non può aspettare: qualunque seguito va servito a stretto giro di boa altrimenti diventa un piatto freddo e il pubblico perde l’appetito (basti pensare ai cali pur se lievissimi dell’ultimo Maresciallo Rocca, o di Commesse).
Degli Esposti però ha fiducia sia in Zingaretti sia nei dirigenti Rai: Montalbano ha troppo peso per essere tagliato fuori da quell’ormai celebre quanto misterioso piano editoriale. I film tv diretti dall’abilissimo Alberto Sironi hanno infatti cominciato a far breccia nel cuore del pubblico su Raidue, sbancato l’Auditel su Raiuno e vinto anche con l’ultima ondata di repliche. Insieme con le altre serie realizzate durante le scorse stagioni hanno salvato la vita a una Rai che ha sbagliato spesso e volentieri (tranne le debite eccezioni, come Fiorello, Dalla e Ferilli, il Morandi di C’era un ragazzo) puntanto sul varietà che è invece il genere vincente di Mediaset. E, se valesse ancora la regola della concorrenza, la logica vorrebbe che la tv pubblica scendesse in campo con la fiction (finora suo punto di forza) contro gli spettacoli d’intrattenimento che fino dalla nascita della tv commerciale costituiscono le armi forti di Mediaset.
E invece la fiction Rai è in crisi e da troppo tempo. I mesi passano ma non accade assolutamente alcunchè tanto che si continuano a replicare i successi invece di realizzare nuovi prodotti. Ma è vero che alcuni progetti hanno ricevuto l’attivazione. Secondo quali criteri? Senza un direttore e un conseguente piano editoriale quale linea segue Raifiction? Durante la scorsa gestione esisteva la fiction della "memoria" (da Perlasca a Maria Josè), della "commedia" (da Rocca a Commesse), della lunga serialità (Il medico in famiglia, Incantesimo), dei film tv "evento". E ora? Certo, i dirigenti della struttura proseguono i lavori, ma quali sono i progetti e perchè? Per esempio Raifiction mentre vaglia il caso Montalbano, esamina anche un progetto intitolato La contessa di Castiglione, con protagonista Francesca Dellera.L’attrice, reduce dal fiasco di Nanà su Canale 5, debutterebbe così finalmente su Raiuno...
Micaela Urbano
 
 

L'Arena, 26.1.2003
Intervista a Santo Piazzese, autore de «Il soffio della valanga»
Spotorno, l’anti-Montalbano indaga su un delitto di mafia
«La differenza è voluta. Stimo Camilleri ma siamo diversi»

Una Palermo normale. Incendiata dal sole di fine giugno, assediata dalle macchine nel centro storico, deturpata irrimediabilmente dai condomini lasciati in eredità dalla speculazione degli anni Sessanta, rumorosa nei mercati dei quartieri popolari dove il vapore acqueo del polipo bollito si mescola al fumo inebriante delle "stigghiole", gli spiedini di budella di agnello arrostiti sulla brace. In questa città si muove come un topo nel formaggio il commissario di polizia Vittorio Spotorno, l'eroe del nuovo "noir" di Santo Piazzese, "Il soffio della valanga", edito da poche settimane da Sellerio e già arrivato alla terza edizione. Questo è il terzo romanzo dello scrittore-biologo (è ricercatore presso la facoltà di Biologia dell'Università di Palermo), dopo "I delitti di via Medina-Sidonia" e "La doppia vita di M. Laurent", pubblicati entrambi da Sellerio, che avevano come protagonista Lorenzo La Marca, biologo di mestiere e investigatore per caso, dopo che si ritrova a inciampare fortuitamente in alcuni delitti (a Palermo la cosa non è poi tanto rara). In quei due romanzi, tra i personaggi che si muovevano sullo sfondo c'era proprio Vittorio Spotorno, amico personale di La Marca, il quale finiva dentro la vicenda a causa del suo mestiere di poliziotto della squadra mobile di Palermo. Ora, ne "Il soffio della valanga" Spotorno conquista il ruolo di protagonista con una indagine su un duplice delitto di mafia avvenuto negli anni Ottanta, negli stessi giorni in cui si svolgeva la vicenda in cui era implicato il suo amico Lorenzo La Marca. Santo Piazzese, narratore di raffinate letture, si diverte a costruire un intrigante congegno narrativo, dove attraverso un gioco di specchi e di trasparenze le trame scorrono in parallelo, i personaggi si parlano da un libro all'altro, precisano le rispettive psicologie, aggiungono storie alle storie, in una specie di narrazione continua che si avvolge senza fine su se stessa, come il nastro di Moebius.
«Mi hanno sempre affascinato, in letteratura- dice Piazzese- i libri che parlano di altri libri. Ma, da parte mia, non c'è alcuna ambizione borgesiana, non c'è un progetto determinato a stabilire questi nessi. Sento, piuttosto, un flusso narrativo naturale al quale non oppongo resistenza. Per me scrivere è, essenzialmente, osservare, scegliere un punto di osservazione. In venti minuti, stando a una fermata d'autobus o seduti al tavolino di un bar, passa tanta di quella vita che si possono inventare dieci romanzi, in quella pur breve esperienza c'è un potenziale di scrittura immenso».
- La novità de "Il soffio della valanga" è che si tratta di un romanzo in cui la mafia affiora dalla tragica normalità della vita quotidiana. Non è un romanzo sulla mafia, né sulle implicazioni politiche che la connotano.
«L'omissione degli aspetti politici che riguardano la mafia nasce dal fatto che tutto ciò è già stato abbondantemente detto. La mafia, a Palermo, in Sicilia, informa tutta l'esistenza e quindi anche la politica. Nei miei primi due libri la mafia si scorgeva sullo sfondo, in quest'ultimo mi è piaciuta l'idea di fare intrecciare la cosiddetta vita normale e la realtà mafiosa con cui può venire a contatto chi, per mestiere, si occupa di delitti, come accade a Spotorno, ma al suo posto poteva esserci anche un magistrato o un avvocato penalista».
- La figura centrale del romanzo, a parte Spotorno, è quella di padre Cuttitta, il gesuita che in un drammatico confronto con il commissario fornisce la chiave di lettura della vicenda, evocando la metafora del titolo, del soffio che spira ai margini della valanga e distrugge tutto quello che sfiora.
«A dire la verità, alcuni pezzi del dialogo non sono una mia invenzione. Li ho presi di sana pianta dalle parole che ho sentito pronunciare da un frate nella cripta dei Cappuccini, durante una visita tra i corpi imbalsamati dell'antica nobiltà spagnola di Palermo».
- Però nel romanzo lei le ha messe in bocca a un gesuita...
«Mi serviva un personaggio che giustificasse la forte ambiguità contenuta in quel discorso».
- Vittorio Spotorno è l'anti-Montalbano. Il suo commissario, al contrario di quello di Andrea Camilleri, è sposato felicemente, ha due figli maschi educatissimi, è un monogamo convinto. Questa scelta antitetica è voluta?
«E' inutile negarlo, questa differenza è voluta. Ma, alla base, c'è una ragione di carattere pratico. Nella letteratuta italiana, diversamente che in quella americana, non esiste la figura dell'investigatore che non sia un funzionario pubblico. Pensi allo stesso commissario Ingravallo del "Pasticciaccio" di Gadda. Ora, se uno decide di far nascere un commissario in piena era montalbaniana, non può che creare un personaggio che stia agli antipodi di quello inventato da Camilleri».
- Montalbano, politicamente, sta a sinistra. Dove si colloca Spotorno?
«Non è che Spotorno nutra grandi passioni politiche. Se vogliamo assegnarlo a uno schieramento, si può dire che sta nel centrosinistra. Ma egli ne ha viste tante, è troppo scafato per non sapere che, tutto sommato, le mele marce esistono in ogni paniere. A un certo punto dice: i poliziotti comunisti non esistevano neanche nella Russia boscevica».
- Forse perchè siete entrambi siciliani, ma ogni volta che si parla di lei, si finisce per fare dei confronti con Camilleri. In qualche caso si è addirittura parlato di una rivalità tra voi. E' vero?
«E' assolutamente falso. Ho molta stima e simpatia per Camilleri, ne condivido le idee politiche. Solo che, quando mi è stato chiesto se era uno dei miei punti di riferimento ho risposto di no, e non per prenderne le distanze come scrittore, ma semplicemente perchè, quando ho scritto il mio primo romanzo, non avevo ancora letto i suoi. Non mi considero, come qualcuno ha scritto, un anti-Camilleri. Io e lui siamo diversi, ma essere diversi non significa essere contro».
Se volessimo dare un volto a Spotorno a quale attore dovremmo pensare?
«Spotorno è scuro di pelle, ha un fisico asciutto, segaligno. L'attore a cui lo accosterei è Gian Maria Volontè da giovane».
- Nel romanzo si accenna in maniera marginale, discreta, a Sciascia. Come va interpretata questa presenza?
«Si tratta di un mio recupero personale della figura di Sciascia. Da giovane lessi tutti i suoi libri. Recentemente mi sono ritrovato a leggere alcuni suoi scritti saggistici, non narrativi, e ho riscoperto la sua scrittura etica, la sua acuminata capacità di giudicare uomini e cose. Ci vorrebbe proprio, uno come lui, in questi tempi grigi in cui viviamo».
Antonio Sabatucci
 
 

Corriere della sera, 30.1.2003
L’intervista
Camilleri: «Il mio Montalbano è figlio del suo personaggio»

«Non voleva Andreina Pagnani».
Prego?
«Non la voleva. Gino Cervi sì, perché aveva l’aria giusta, paciosa e massiccia. E fumava la pipa. Ma Andreina Pagnani non lo convinceva. Disse che era troppo bella».
Andrea Camilleri ricorda un giorno lontano - erano i primi Anni ’60 - in cui lui, trentacinquenne, si presentò a casa di Georges Simenon. Accompagnava Diego Fabbri, uomo di teatro e sceneggiatore, che voleva sottoporre allo scrittore di Liegi il progetto del Maigret per la televisione italiana. Simenon era già un autore famoso; Camilleri, a quel tempo, era soltanto un delegato di produzione della Rai; Salvo Montalbano, il gagliardo commissario di Vigata, parente stretto del poliziotto francese, era soltanto un abbozzo di idea che si annidava nella mente.
Come vi accolse Simenon?
«Era un uomo massiccio, parlava poco e fumava la pipa. Mi colpì la sua calma, sembrava padrone di se stesso. Un tipo, insomma, molto maigrettiano».
Come riusciste a salvare la Pagnani?
«Simenon non ne bocciò le capacità di attrice, che forse neppure conosceva, ma l’aspetto fisico. Disse che Maigret si era sposato giovanissimo, ma escludeva che potesse averlo fatto con una ragazza bellissima come pensava che fosse, da giovane, la signora Pagnani. Comunque, la spuntammo noi, e fu una fortuna per tutti. Simenon fu molto felice degli sceneggiati Rai, che furono trasmessi con enorme successo di pubblico tra il 1964 e il 1972».
Quest’anno ricorre il centenario della nascita dello scrittore belga.
«E’ una ricorrenza importante, perché aiuterà a dissipare molte ombre e troppi luoghi comuni».
Per esempio?
«Il primo, e più pesante, è quello secondo cui Simenon è considerato uno scrittore di polizieschi».
Perché pesante?
«Perché è stato uno scrittore vero, al di là della smisurata, quasi bulimica produzione letteraria. Per quanto mi riguarda faccio parte della schiera di persone che non finisce mai di stupirsi della bravura di Simenon».
Non è il solo.
«Quando uno scrittore è apprezzato da un Céline e addirittura adorato da un Gide, non può essere considerato di serie B. E consideri che Céline, come autore, era l’opposto di Simenon. E anche Gide... ma fu talmente caloroso che Georges, quasi per paura di deluderlo, smise per anni di scrivere gialli».
A proposito di Gide: nel ’47 vinse il Premio Nobel per la letteratura. Anni prima, Simenon aveva pronosticato che il riconoscimento, in quella stagione, sarebbe toccato a lui.
«A guardare che fine hanno fatto certi Nobel, autori sopravvalutati e subito dimenticati, è un obbligo chiedersi perché Simenon non sia stato ritenuto degno».
Già, perché?
«Perché forse l’idea di letteratura era molto accademica, paludata. Premiare Simenon avrebbe significato demolire quell’idea. Il Nobel a un giallista? E quando mai? Poi le cose sono cambiate: il premio dato a Dario Fo ne è l’esempio più chiaro».
Maigret croce e delizia per il suo autore?
«Alla fine penso che per Simenon sia stata una condanna, un peso».
Lui infatti la definiva semiletteratura.
«Ma certi Maigret sono capolavori! Penso, ad esempio, a "L’affare Saint Fiacre" . Fu scritto nel ’32, ma se andate a rileggerlo capirete che cosa significa, per un libro, saper sfidare l’usura del tempo».
I suoi preferiti?
«Direi "45 gradi all’ombra" e "Le signorine di Concarneau". Parliamo del primo Simenon, Anni ’30 o giù di lì. Per me, il migliore. Ma adesso sto acquistando tutti gli Adelphi che ripubblicano Maigret e le altre opere».
Va da sè che il suo Salvo Montalbano può essere considerato un nipotino di Jules Maigret.
«Ci sono legami di sangue non facilmente rinnegabili. Intanto, entrambi sono poliziotti istituzionali, spesso in conflitto con obblighi e doveri. E’ però diverso il modo di indagare. Montalbano è uomo d’azione, attivo ed energico; Maigret osserva, placido e distaccato. Ma chissà che cosa darebbe per poter leggere l’immagine del carnefice impressa negli occhi della vittima».
Diversi come metodo, ma la parentela è strettissima.
«Sono uniti da molte cose: l’amore per la buona cucina, il rifiuto della violenza, il rapporto speciale con le donne».
Impensabile, per Maigret, tradire la signora Maigret. Mentre Montalbano...
«Ma no, quella volta che è successo con l’amica svedese forse sognava, o forse no...».
Simenon raccontò a Fellini di aver avuto rapporti con 10 mila donne, ottomila delle quali erano prostitute.
«Simenon aveva un rapporto bulimico non solo con la scrittura, come testimonia la sua mostruosa produzione, ma anche con le donne. Era eccessivo nei comportamenti, ma quanta misura, anche linguistica, nelle ambientazioni e nei personaggi dei suoi romanzi!».
Diceva di impiegare un lessico di soli 2000 vocaboli.
«Un altro luogo comune dice che Simenon aveva una scrittura popolare, troppo facile. Invece è tutt’altro che banale o semplice. Certe atmosfere parigine, certi ritratti e certe descrizioni possono essere usciti solo dalla penna di un maestro».
Claudio Colombo
 
 

La Sicilia, 30.1.2003
Teatro, ultimi collaudi
Racalmuto. I tecnici hanno iniziato ieri le verifiche statiche

Racalmuto.  Ha avuto inizio ieri e si concluderà soltanto domani il collaudo statico del teatro «Regina Margherita» di Racalmuto. Sono arrivati i tecnici della Regione siciliana e della Sovrintendenza ai Beni culturali per verificare la struttura in vista dell'imminente apertura del teatro.
«La prima giornata di collaudo è stata positiva - ha dichiarato il sindaco racalmutese Gigi Restivo - non dovrebbero esserci problemi particolari. Comunque basterà attendere ancora altri due giorni prima di tirare le somme».
Subito dopo avere effettuato il collaudo statico spetterà alla Commissione di vigilanza sui pubblici spettacoli effettuare il sopralluogo definitivo prima dell'apertura del teatro, una struttura che è stata interessata da lavori di restauro che si sono protratti per oltre vent'anni.
«Siamo ormai alle battute finali - ha continuato Restivo - i tecnici della Regione hanno avuto soltanto parole di elogio per i lavori realizzati. D'altronde non avevamo alcun dubbio visto che l'opera di restauro è stata effettuata seguendo tutte le disposizioni di legge. Per noi è essenziale comunque il visto di questo collaudo statico per potere aprire la struttura teatrale».
A proposito dell'apertura del teatro non è stata ancora resa nota la data. Dipenderà molto dalla risposta che arriverà entro fine settimana da Roma. Prende sempre più corpo l'ipotesi che ad inaugurare il teatro tanto caro a Leonardo Sciascia possa essere il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Sull'argomento però il sindaco Restivo glissa ancora.
«Non c'è nulla di ufficiale - ha continuato - ancora non è arrivata alcuna comunicazione. Certamente ci speriamo molto anche perché sarebbe un grande avvenimento riaprire il regina Margherita dopo oltre trent'anni ed alla presenza di Ciampi».
Ricordiamo che nel 1995 quando riaprì il «Pirandello» di Agrigento intervenne per l'inaugurazione l'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Intanto ai primi del mese di febbraio a Racalmuto tornerà anche il Direttore artistico, lo scrittore empedoclino, Andrea Camilleri per mettere a punto la serata di gala con i vari ospiti che interverranno. Si tratta di uomini del mondo dello spettacolo di un certo richiamo e potrebbe anche intervenire Luca Zingaretti, che sembra essersi liberato dagli impegni di lavoro, che impersona il Commissario Salvo Montalbano, nato proprio dalla penna di Camilleri e che è uno degli attori italiani più amati dal pubblico. Della serata di gala farà parte anche Anna Marchesini. Una ex miss Italia farà da madrina della manifestazione.
Gaetano Ravanà
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 31.1.2003
A Messina si prova "Il fantasma della cabina" di Betta ispirato al testo dello scrittore
E il tenore disse: "Camorria"
Mortelliti spiega Camilleri in versione lirica

Come sarà un´aria che culmina con una botta di camorria a pieni polmoni? E come la mettiamo con un tenore che tuona pighiatilla in quel posto? Niente paura, è Camilleri in versione lirica, rimaneggiato e messo in scena da Rocco Mortelliti per il debutto siciliano de "Il fantasma della cabina". Dopo la prima di Bergamo, a Messina sono iniziate le prove dell´operina di Marco Betta ispirata al racconto dello scrittore, che andrà in scena giovedì prossimo al Vittorio Emanuele. Teatro nuovo, allestimento nuovo: oltre a orchestra e coro, che saranno del Vittorio Emanuele, "Il fantasma della cabina" si presenta con un cast rinnovato. Al posto del palermitano Vincenzo La Scola, nel ruolo del commissario Cecè Collura ci sarà Luca Canonici. «È un toscano - dice Mortelliti - perdonate il suo dialetto». Il soprano Denia Mazzola rimpiazza Katia Ricciarelli nel ruolo della signora Meneghetti mentre Cinzia Rizzone sostituisce Luciana Serra nel personaggio della giornalista scandalista. Confermati Fabio Previati, il comandante della nave, Danilo Formaggia, Paola Ghigo e Leonardo De Lisi, oltre allo stesso Mortelliti, impegnato in un piccola parte. Sul podio Fabrizio Carminati.
«Ho stravolto il modo di fare della lirica - dice trionfante il regista - I cantanti, quando provano, sono abituati a fare delle pause per non stancare la voce: io li ho fatti divertire e non hanno sentito il bisogno di chiedere la pausa». Ma cos´è questo esperimento che si nutre della lingua di Camilleri e che sembra voler fare arricciare il naso ai melomani più rigorosi? «Questa è un´opera, non un´operetta o un musical come è stato scritto - risponde Mortelliti - È un´opera nella quale accanto alla arie c´è anche la prosa, dei recitativi. L´ironia c´è, certo, è un testo di Camilleri: io ho cercato di servirlo questo testo, mettendogli dentro le cose che piacciono ad Andrea, il teatro che mi ha insegnato all´Accademia e il teatro che più ho amato. Però si tratta di un´ironia raffinata, mai volgare. La Scola, che è palermitano, ha goduto quando ha potuto fare un acuto cantando camorria. E poi è un´opera in cui si capisce esattamente quello che si dice, anche se il teatro ha preferito attrezzarsi con dei sopratitoli».
L´operazione Camilleri continua, sia in teatro che a cinema. «Con Marco Betta faremo una tetralogia dai racconti del commissario Collura - spiega Mortelliti - Cominceremo a luglio con "Il mistero del finto cantante"». Poi toccherà al film "La scomparsa di Patò", da uno degli ultimi romanzi di Camilleri. «Un progetto che va avanti - assicura il regista - Nei prossimi giorni avrò un incontro col produttore, Carlo Degli Esposti, lo stesso del Montalbano televisivo».
Mario Di Caro
 
 

Diario, 31.1-6.2.2003
Da Vigàta al Pantheon
Il commissario siciliano nel tempio dei classici

Storie di Montalbano
di Andrea Camilleri, a cura di Mauro Novelli
Meridiani Mondadori, pp. 1680, 49 euro

Brava Colorni 7+, come direbbero Cochi e Renato, anzi 8+, per aver accolto nei Meridiani Andrea, a dispetto dello snobismo sterile di certi critici. Lo dico dopo aver scorso la bibliografia, nella quale ritorna spesso la formula di «Caso Camilleri». In che consiste? In parte lo spiega il commissario Montalbano quando, nella Gita a Tindari, dice: «I romanzi gialli, da una certa critica e da certi cattedratici, o aspiranti tali, sono considerati un genere minore, tant'è vero che nelle storie serie della letteratura non compaiono». O se compaiono, aggiungo, come nell'Histoire de la Pleiade, cadono sotto la voce della «parallela-tura». Dove bisognerebbe metterci, allora, anche Dumas, Stevenson, ]ames, Green, oltre allo sdoganato Simenon. Temo che il «caso» stia tutto lì, nello snobismo ottuso di una critica che non concepisce il romanzo d'azione né sa dove collocarlo nei suoi schemi, a dispetto di Ariosto, di Pulci o di Rabelais. Peggio, non concepiscono che possa esistere l'azione e il piacere dell'azione. Me li ricordo alle prese col primo romanzo di Eco.
Dico perciò grazie a Colorni perché spero che costringa quegli snob accademici a compromettersi con qualche argomentazione. Certamente Camilleri non è uno scrittore facile, di  pronta beva, nonostante l'apparenza o l'etichetta, e procura non  poche difficoltà al lettore che non sia siciliano, il quale vien posto  in una situazione sottomessa. A cosa? Alla lingua e, quindi, allo stile, che per un giallista, o presunto tale, sarebbe, è, una specie  di autopunizione preventiva. Il che significa sollecitare quel lettore, suggerendogli che quello che ha tra le mani non è un romanzo giallo, è un'altra cosa, anche se ci sono molti morti ammazzati. Come in ogni romanzo d'azione, del resto, dall'Iliade al cappespada. Gira e rigira, io non riesco proprio, con tutta la mia più buona volontà, a far entrare Montalbano nella categoria del classico giallo. Infatti la prima preoccupazione di Camilleri è quella di costruirsi uno strumento suo e originale, buono o cattivo lo si stimi, di inventarsi una lingua che diventa funzionale e imprescindibile, il che vuole poi dire che il primo interesse è di natura «espressiva», riguarda la scrittura. In altri termini, l'azione non è lasciata a sé stessa. Si può approvare o meno, però è da lì che si deve incominciare eventualmente e onestamente a discutere. In casi come questo la tentazione del critico è di prendere a modello e far riferimento al plurilinguismo di Gadda, che di figli e figliastri ne ha messi al mondo non pochi. Un plurilinguismo aristocratico, un mezzo per convogliare il rancore. O si cita D'Arrigo, volendo rimanere in Sicilia, altro aristocratico. Mentre qui il moto va in direzione contraria, iperrealistica semmai, degradata quanto può esserlo il «popolare». Camilleri tenta di produrre e organizzare una lingua che non è del tutto inventata ma è una sorta di koinè, in cui si mescolano il dialetto, la italianizzazione di parole dialettali, l'italiano, la lingua parlata (tutto lo stile dei romanzi è orale, è «parlato», è Carnilleri che sta parlando e raccontando ai sui concittadini di Vigàta, nella loro lingua) a un medio livello sociale. Ne consegue una lettura che richiede un'attenzione particolare da parte del lettore e che condiziona l'intrigo: un paradosso per uno che lo si vuole giallista a tutti i costi (mica ha scritto solo le storie di Montalbano).
Tutto ciò non è senza significato o senza conseguenza, perché la qualità dei «gialli» di Camilleri consiste nella riduzione dell'eccezionalità a realtà normale (e, che non guasta, poli- tically correct...), incominciando, come si è visto, dalla lingua. Perciò niente a che vedere con Sherlock Holmes o con Poirot o con Nero Wolf. Se proprio si vuole un referente, opterei per Chandler. Niente aragosta ma piuttosto pasta e fagioli e merluzzo. Alla fine emerge l'immagine della provincia siciliana, osservata dal punto di vista di un commissario, un luogo naturale di convergenza di storie (si pensi al Ladro di merendine o alla Gita a Tindari, con fenomeni che appartengono alla quotidianità, per drammatica che sia, da ogni lettore conosciuta). In quel contesto egli non è un genio del sistema deduttivo, ma è uno che risolve i suoi casi perché è dotato sia di professionale mestiere, di intuizione, ma soprattutto perché conosce il suo paese, è aiutato dal caso e dalla fortuna e ha una squadra bene organizzata.
Niente da eccepire? Sì, mica è Balzac. Forse un qualche eccesso, una qualche bulimia stilistica (anche «l'eroe» è bulimico d'altronde), che è compensata dalla sapienza registica, di chi conosce il mestiere registico e i trucchi del montaggio. O un eccesso comico con personaggi che sono tipiche spalle del varietà (di nuovo l'uomo di cinema e di teatro). A volte si compiace e il compiacimento è evidente quando Montalbano e Camilleri coincidono e il romanziere presta al personaggio preziose citazioni dimostrative. Per dirci, non sono un routiniè ma uno colto. Beh, non c'è bisogno di farcelo sapere con le citazioni. S'era già capito con lo stile. E se deve fare una citazione dotta, la prego, si astenga dal farci sapere chi ne è l'autore. Ci toglie il gusto di scoprirlo da noi. Disturba.
Folco Portinari

 


 
Last modified Monday, February, 08, 2016