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30/31, 1.2003
Montalbano, Csi e altre cose
Montalbano: come costruire un successo di qualità Intervista col produttore Carlo Degli Esposti
Giambattista Avellino
MODENA - Una parata di stelle come non si raccoglie nemmeno per le occasioni
solenni e i titoli più collaudati. Che invece si sono date appuntamento
attorno a un'opera al suo debutto. L'eccezionalità di queste presenze
si giustifica solo pensando alla notorietà dell'autore del libretto,
se così si può definire, visto che il testo è nato
con intenzioni del tutto diverse, come racconto di una serie, Il commissario
di bordo, pubblicata sul quotidiano La stampa da Andrea Camilleri. In realtà
è stato Rocco Mortelliti, tra i collaboratori abituali dell'ormai
celeberrimo scrittore siciliano, a curare l'adattamento del testo - pur
con qualche rima di troppo - che nel progetto originario sarebbe dovuto
diventare una fiction televisiva. Le musiche portavano invece la firma
di Marco Betta, non nuovo a collaborazioni con Camilleri che, strizzando
l'occhio al musical, ha creato un sottofondo sonoro facile e orecchiabile,
rigorosamente tonale, dalla costruzione melodica e armonica semplicissima.
Il fantasma nella cabina è il risultato di un'operazione molto più
vicina alle canzonette di Sanremo che ai cerebralismi contemporanei, e
anche dove il testo suggerisce sfumature più misteriose, se non
addirittura inquietanti, Betta le lascia puntualmente cadere. Tuttavia
lo spettacolo andato in scena al Comunale di Modena, subito dopo il debutto
al Teatro Donizetti di Bergamo, è estremamente gradevole. Merito
del bellissimo impianto scenico di Italo Grassi, che ricrea la cornice
di una nave stilizzata ed elegante, ma anche degli interpreti. In primo
luogo Vincenzo La Scola, nei panni di Cecè Collura, il commissario
che sale a bordo della nave da crociera per trascorrervi la sua convalescenza
e invece si trova ad indagare su una vicenda di fantasmi. é sempre
in scena e l'intera opera ruota attorno a lui: non solo deve cantare, funzione
che il tenore assolve come gli riesce, ma ben più spesso recitare,
impresa tutt'altro che facile per attori non professionisti. Invece La
Scola, grazie a una forte inflessione siciliana, è bravissimo a
rendere il suo personaggio vivo e credibile. Accanto a lui, due star come
Katia Ricciarelli e Luciana Serra: entrambe assai spiritose nel dare spessore,
la prima a una matura signorina, la seconda a una petulante giornalista
di cronaca rosa. Tra gli altri componenti dell'equipaggio, il cui intervento
canoro doveva limitarsi essenzialmente a un declamato, vanno citati il
baritono Fabio Previati, il comandante della nave, e il bravissimo tenore
Danilo Formaggia, purtroppo sottoutilizzato nel ruolo del vice commissario.
Il regista, lo stesso Mortelliti, che a sua volta si ritaglia uno spazio
come animatore delle attività ludiche dei passeggeri, fa mantenere
a tutti l'accento di provenienza, aggirando simpaticamente l'ostacolo di
una improbabile recitazione. Paola Ghigo aveva invece il ruolo di intrattenitrice
musicale della nave: peccato fosse priva di quella professionalità
che solitamente i cantanti da crociera possiedono. Aldo Sisillo ha diretto
correttamente l'Orchestra della Fondazione Donizetti di Bergamo. Ricavando
dalla musica tutto quel che si poteva.
Giulia Vannoni
La Repubblica
(ed. di Palermo), 4.1.2003
Romanzi, fiction e opere liriche. Inesauribile signor Montalbano
Un anno con Camilleri Con Katia Ricciarelli e Vincenzo La Scola il giallo si trasforma in
musica
Alla fine del 2003 è in programma il secondo volume dei Meridiani
A marzo il nuovo poliziesco dal titolo "Il giro di boa". In primavera
le riprese de "La scomparsa di Patò"
Dopo l´uscita de "I sette dormienti" lo scrittore inaugurerà
il teatro di Racalmuto del quale è direttore artistico
Potrà sembrare un´affermazione ovvia, ma il 2003 sarà
l´anno di Andrea Camilleri. Un anno fitto di appuntamenti, nuovi
romanzi, film, opere liriche, che terranno ben desta l´attenzione
degli estimatori dello scrittore empedoclino per i prossimi dodici mesi.
Gennaio, tanto per cominciare, si apre con il libriccino "I sette dormienti"
(Medusa, 6,50 euro), nel quale viene esposta la leggenda di sette uomini
di nobile famiglia convertiti al cristianesimo murati vivi dall´imperatore
Decio in una caverna, dalla quale usciranno dopo un lungo sonno ritrovandosi
nell´era di Tito; leggenda già accennata da Camilleri ne "Il
cane di terracotta".
A fine gennaio verranno pubblicati dalla casa editrice Sellerio gli
atti del convegno "Letteratura e storia. Il caso Camilleri", che si è
tenuto lo scorso anno: una sorta di gigantesca radiografia della produzione
di Camilleri, dai gialli ai romanzi storici, ricca di spunti e barlumi
critici. Ed è quasi pronta un´edizione scolastica de "Il cane
di terracotta", corredata da una guida e da un dizionarietto Vigatese-Italiano.
Sempre nello stesso mese è prevista l´inaugurazione del teatro
Regina Margherita di Racalmuto, che verrà presieduta da Camilleri
in qualità di direttore artistico.
All´inizio di febbraio, invece, al teatro Vittorio Emanuele di
Messina verrà messa in scena l´opera da camera di Marco Betta
"Il fantasma nella cabina", tratta dall´omonimo racconto di Camilleri,
pubblicato recentemente dalla Libreria dell´Orso nella raccolta "Le
inchieste del commissario Collura". La regia è di Rocco Mortelliti,
gli interpreti Vincenzo La Scola, nel ruolo del commissario, e Katia Ricciarelli.
A marzo, sempre per i tipi della Sellerio, uscirà il nuovo e attesissimo
poliziesco di Montalbano, che si intitolerà "Il giro di boa".
"La presa di Macallè" invece, il romanzo storico ambientato
a Vigàta nel 1935 che sarebbe dovuto uscire all´inizio di
quest´anno, subirà un lieve slittamento. In primavera, stando
almeno alle anticipazioni, inizieranno le riprese del film tratto da "La
scomparsa di Patò", con la regia di Rocco Mortelliti, a cui inizialmente
era stato negato il finanziamento da parte della commissione Cinema del
ministero della Cultura: la produzione è di Carlo Degli Esposti,
lo stesso del Montalbano televisivo che ora promette di portare in tv anche
"Il birraio di Preston". Sempre in primavera verranno pubblicate le videocassette
con l´intera serie degli sceneggiati televisivi ispirati ai romanzi
di Montalbano trasmessi su Rai Uno.
A luglio, a cura dell´Accademia Chigiana, potrebbe essere messo
in scena il dittico che raccoglie i testi "Il mistero del finto cantante"
e "Che fine ha fatto la piccola Irene?", presenti nella già citata
serie delle inchieste del commissario Collura. Sempre quest´anno
è prevista, quasi sicuramente in un teatro lirico siciliano, la
trasposizione in opera lirica de "Il birraio di Preston", con le musiche
di Paolo Furlani e la sceneggiatura teatrale di Giuseppe Dipasquale e dello
stesso Andrea Camilleri.
E per chiudere in bellezza, il canale culturale satellitare franco-tedesco
"Arte" ha in programmazione per la fine dell´anno un documentario
sul giallo italiano. Nel corso della serata verrà trasmesso il telefilm
"Il ladro di merendine". Come guida letteraria per il documentario è
stato scelto, guarda caso, Andrea Camilleri, il quale parlerà non
solo dei suoi libri, ma anche di alcuni suoi colleghi italiani, come Santo
Piazzese, Nino Filastò, Carlo Lucarelli e Andrea G. Pinketts. A
cavallo tra il 2003 e il 2004 uscirà poi il secondo volume dei Meridiani
Mondadori, questa volta dedicato ai romanzi storici di Camilleri, da "Il
birraio di Preston" a "Il re di Girgenti". Una produzione sterminata che
non potrà che rendere entusiasti i milioni di fan dello scrittore
più letto (e forse anche più ricco) d´Italia.
Salvatore Ferlita
LA CURIOSITÀ
Va a ruba la versione in cd-rom
È stato uno dei regali di Natale più gettonati. Grande
successo per il terzo cartone animato interattivo in cd-rom del commissario
Montalbano, sviluppato dalla Immedia ed edito da Sellerio. Questa volta
è il turno de "La voce del violino", in cui il poliziotto di Vigata
si misura con l´assassinio di una giovane donna e col mistero di
un musicista che vive in eremitaggio. Il cd-rom riunisce la sceneggiatura
tratta dal poliziesco e un gioco che dà la possibilità al
lettore-spettatore di interagire e immedesimarsi con Montalbano per decidere
la linea d´azione. Un dizionarietto vigatese-italiano guida il giocatore
nei meandri dell´impasto linguistico di Camilleri, mentre le dieci
ricette allegate ne allieteranno il palato. L´animazione dura 20
minuti e i personaggi coinvolti sono 45. Ma c´è una novità,
rispetto ai due precedenti cd: una doppia intervista, a Camilleri e al
commissario Montalbano. Ma attenzione: il commissario di Vigàta,
nella versione animata, ha dismesso i panni di Luca Zingaretti: lo trovate
con una folta capigliatura e un bel paio di baffi.
s.f.
IN LIBRERIA
Collura sono e indago in crociera Un altro commissario alle prese con strani misteri
Proprio mentre l´anno vecchio stava per accomiatarsi, ecco che
faceva capolino nelle librerie l´ultima fatica di Andrea Camilleri,
intitolata "Le inchieste del commissario Collura" (Libreria dell´Orso,
8 euro).
Si tratta di una leggera e godibile raccolta di otto racconti già
pubblicati sul quotidiano "La Stampa" nell´estate del 1998, con al
centro la figura del commissario di bordo Vincenzo (per gli amici Cecè)
Collura, poliziotto momentaneamente a riposo. Uomo di terraferma, e non
d´acqua, colpito al fegato da una bella "revorberata" durante una
sparatoria
con alcuni rapinatori di banche, il commissario Collura si concede sei
mesi di riposo accettando la proposta di passare una parte del periodo
di tregua quale commissario di bordo in una nave da crociera.
E già l´ambientazione di questi racconti è un primo
indizio per comprendere la natura di questa raccolta, che fa venire in
mente i gialli della dark lady per eccellenza, Agata Christie. Niente atmosfere
simenoniane, come quelle che dominano nei romanzi di Montalbano, ma soltanto
un luogo esattamente delimitato, all´interno del quale il commissario
Collura conduce le sue indagini. E la scelta di ambientare i racconti in
una nave da crociera permette a Camilleri di riprodurre un microcosmo in
cui convivono persone molto diverse tra loro che, dopo pochissimi giorni,
riescono a sapere tutto di tutti.
Coadiuvato da un solerte e simpatico collaboratore, il triestino Scipio
Premuda, il commissario Collura, amico tra l´altro di Salvo Montalbano,
si dovrà misurare con una serie di piccoli misteri, di gialli minimi,
come il caso del fantasma apparso in una cabina, una bisca clandestina,
la sparizione di preziosi gioielli, lo scambio tra due sorelle gemelle.
La narrazione è veloce, liscia come l´olio, incastonata ogni
tanto da qualche immancabile termine siculo; i personaggi, per forza di
cose, sono funzionali alle vicende narrate. Ed è come se reclamassero
più spazio e pretendessero più attenzione da parte del loro
creatore, il quale da essi avrebbe potuto cavare fuori altre storie più
articolate e conchiuse. Ma non fa niente: questi racconti vanno letti per
quello che sono, ossia un puro divertimento e per l´autore e per
il lettore.
Non manca però la solita bacchettata al premier: nel primo racconto
Camilleri parla di un miliardario, già presidente del Consiglio,
il quale in gioventù faceva il cantante sulle navi da crociera,
e che a sessant´anni torna in incognito a cantare sulla nave dove
si trova Collura. Povero Berlusconi, costretto a mettere i baffi finti,
la parrucca e le lenti a contatto per non farsi riconoscere...
s.f.
Il Giorno,
4.1.2003
Sì, quel «Meridiano» di Camilleri laurea un classico
contemporaneo
Leggo nell'articolo di Giuseppe Bonura «Ma Camilleri non è
un classico» di qualche giorno fa alcune affermazioni sulla collana
dei «Meridiani» che esigono una risposta. Premesso che la qualità
della carta è sempre la stessa e che la cura filologica si è
affinata e arricchita negli anni, non sono d'accordo con l'affermazione
principale dell'articolo, e cioè che un classico non possa mai essere
contemporaneo. La storia stessa della nostra collana la smentisce. Camilleri
infatti fa parte di una nutrita compagnia, a partire da Ungaretti, il cui
«Tutte le poesie» (il primo Meridiano in assoluto) uscì
nel 1969, vivo l'autore. Seguono, in rigoroso ordine alfabetico, Bassani,
Bertolucci, Borges, Marquez, Ginzburg, Giudici, Luzi, Macchia, Romano,
Saramago, Solzenicyn, Zanzotto.
Camilleri è ritenuto un importante scrittore del '900 non solo
da un altissimo numero di lettori ma anche da un ampio numero di critici:
basti leggere l'introduzione che Nino Borsellino ha scritto per questo
«Meridiano» e l'articolato saggio linguistico di Mauro Novelli
che lo accompagna.
Quanto agli altri autori del giallo letterario, sono assolutamente
d'accordo con Bonura nel deplorare l'assenza di Simenon dal panorama della
collana. Ma le sue opere sono un fiore all'occhiello del catalogo di Adelphi.
La collana comunque intende valorizzare questo genere letterario, così
caratteristico della modernità novecentesca, tanto che i prossimi
anni vedranno la pubblicazione dei Meridiani dedicati a Chandler, a Hammett
e a Fruttero & Lucentini.
Cordiali saluti.
Renata Colorni, Direttore della collana «I Meridiani»
No, la sua idea di letteratura è quella del tenente Sheridan
Cara signora Colorni,
lei ha ragione ma io non ho torto. Continuo a pensare che Camilleri
nei «Meridiani» favorisca una indebita e perniciosa estensione
del concetto di classico. E i critici che lei cita a suo sostegno non mi
rassicurano (in tempi ormai remoti c'era sempre un critico volonteroso
disposto a giurare che Virgilio Brocchi fosse un classico). Quei contemporanei
da lei menzionati avevano e hanno uno stile e quindi uno spessore temporale.
Camilleri ha una maniera tipicamente giornalistica, e per di più
esemplata sui miti e sullo spirito degli anni Cinquanta. Beninteso, stimo
le idee politiche di Camilleri, ma la sua idea di letteratura, e la sua
pratica, è quella del tenente Sheridan. Tanto è vero che,
se per Sciascia la mafia è un dramma universale, per Camilleri è
folklore, e il suo linguaggio ne è la prova eloquente. Ripeto che
per Camilleri sarebbe bastato un Omnibus, che avrebbe giovato sia alla
graduatoria dei valori letterari sia al prestigio dei «Meridiani».
Cordiali saluti
Giuseppe Bonura
Rai Due, 4.1.2003
Stasera alle 23.55, RaiDue Palcoscenico presenta
Aldo e Carlo Giuffré in:
"FRANCESCA DA RIMINI" - Tragedia a vapore Una farsa di Antonio Petito.
Con Clara Biondi, Pino Salis, Mimmo Brescia.
Regia teatrale di Aldo e Carlo Giuffré.
Luci di Carlo Natali.
Regia televisiva di Andrea Camilleri.
Equivoci, i malintesi e paradossi linguistici … che derivano proprio
dal modo di parlare. Tra esilaranti battute e doppi sensi, una farsa ingenua
e sapiente che porta in scena la grande scommessa linguistica di Petito.
TV Sorrisi & Canzoni, 4.1 2003
OPERA: La Ricciarelli porta in scena Camilleri
Katia e i siciliani. E' subito amore
"Oh guardi Camilleri l'ho scoperto da sola. Mio marito non mi ha mai
aiutata a comprendere il siciliano, che per me veneta era indecifrabile.
Mi sono dovuta avventurare tutta da sola in quelle storie... Forse è
stato un bene, perchè ne sono rimasta affascinata". L'incontro con
lo scrittore ha portato Katia Ricciarelli ad affrontare un'opera lirica
ispirata ad un suo racconto, "Il fantasma nella cabina" (primo degli otto
di "Le inchieste del commissario Collura"). Opera non tradizionale dove
la Ricciarelli è la signora Meneghetti, "un'artista in pensione
che vuole vendicare tutti quei colleghi bravi ma poco fortunati che non
hanno ottenuto ciò che meritavano".
[...]
Libertà,
7.1.2003
Le "Storie" nei Meridiani Mondadori
Il commissario Montalbano entra nei classici
Il sempre più acclamato commissario Montalbano, il personaggio
creato dallo scrittore siciliano Andrea Camilleri, con una mossa prevista,
sulla scia del clamoroso successo televisivo, piomba nei classici. E' un
evento non da poco, soprattutto se consideriamo il genere di romanzi, quel
giallo fino a pochi anni fa svilito in angiporti bizzosi, dove la buona
letteratura non tentava neppure di affacciarsi. Ma tanto tuonò che
piovve, e Camilleri, con i romanzi del commissario che in Tv ha il volto
vincente dell'attore Luca Zingaretti, è riuscito a forzare le porte
dell'Olimpo letterario, senza neppure troppa fatica. Il successo popolare
è sempre il grimaldello più efficace e consenso, Camilleri
e il suo personaggio, ne hanno da vendere. Non sappiamo se Manzoni, Montale,
Proust e gli altri migliaia d'immortali che abitano nei prestigiosi Meridiani
Mondadori, abbiano storto il naso vedendoli arrivare; se hanno pensato
a
qualche “camurria” o ad altri procedimenti mafiosi, indignati o sorpresi
che fossero, da qualche guizzo interpretativo fatto di scorciatoie compiacenti.
Ma tant'è, qualunque cosa vogliano o vogliate pensarne, Andrea Camilleri
e le sue “Storie di Montalbano” sono nella casa della beata soddisfazione,
e nulla potrà più rimuoverli. Anzi, se il successo che accompagna
questo personaggio sin dalla nascita continuerà con lo stesso ritmo
in libreria e in Tv, sicuramente s'impossesseranno di un considerevole
scorcio panoramico e l'Olimpo corre il rischio di un'occupazione più
che di un'infiltrazione. Il volume, con un saggio di Mauro Novelli, introduzione
di Nino Borsellino e cronologia di Antonio Franchini, riunisce alcuni dei
romanzi più famosi della saga di Montalbano [In effetti, sono
tutti i romanzi di Montalbano, NdCFC], quali “La forma dell'acqua”,
“Il cane di terracotta”, “Il ladro di merendine”, “La voce del violino”,
“La gita a Tindari”, “L'odore della notte” e numerosi racconti tratti dalle
varie raccolte che ha pubblicato. Chiedersi il perché del successo
di Camilleri è d'obbligo, ma la risposta è semplice: piace
ai lettori. Forse anche perché, fra tutti gli scrittori d'oggi,
non solo siciliani, Camilleri “è quello che ha valorizzato il teatralismo
intrinseco della scrittura”, elevando il regionalismo a universalismo,
a epopea definita il sentimento elegiaco. Il Grand - Guignol della mafia
“ha aggiunto alla sua arte spunti nuovi”, gli ha dato un retroterra introspettivo
degno del miglior Simenon, calcando su di un linguaggio inventato ma estremamente
duttile, efficace, insinuante. «I romanzi ed i racconti raccolti
e pubblicati nel volume - ha detto lo scrittore - non soltanto disegnano
in modo tangibile l'evoluzione di un personaggio quanto credo che scandiscano
le tappe dell'evoluzione, o involuzione, di una certa società italiana».
Non più solo giallo quindi, ma fatto di costume, specchio ambientale
di logiche e rifrazioni nelle quali Camilleri proietta gli istinti venefici
di una società controversa, e le motivazioni di una intelligenza
che vuole capire, scendere dentro i cerchi dell'indicibile per afferrare
le ragioni di tutti. Insignito di recente con una laurea honoris causa
dall'Università Iulm di Milano, Camilleri ha affermato, con una
gioia autentica che ignora il classico piagnisteo dei siciliani, che il
Meridiano ha per lui il valore di una seconda laurea. Ha ragione di compiacersi,
perché forse non è che l'inizio di tante altre meritate lauree.
Francesco Mannoni
Corriere della sera,
7.1.2003
Cinquanta capolavori per una vita da sogno Oggi in regalo «Va’ dove ti porta il cuore» di Susanna
Tamaro. L’avventura proseguirà per tutto l’anno
Si riparte. Da oggi, martedì dopo martedì, i lettori del
Corriere della Sera potranno riprendere una piacevole abitudine, lasciata
appena un mese fa: trovare in edicola, insieme al quotidiano, un libro.
E dopo i trenta Grandi romanzi del Corriere è la volta adesso dei
Grandi romanzi italiani: cinquanta volumi, tutti rigorosamente della nostra
letteratura, classici di ieri o bestseller dei giorni nostri.
[...]
Le chiavi di lettura di ciascun romanzo saranno affidate, di settimana
in settimana a giornalisti e collaboratori del Corriere che si trasformeranno
in vere e proprie guide che accompagneranno il lettore.
[...]
Si susseguono paesaggi reali e di fantasia: la Sicilia [...] di Camilleri
(La mossa del cavallo, prefazione di Antonio D’Orrico. In edicola l’8 aprile).
[...]
Damiano Fedeli
Corriere della sera,
7.1.2003
«Solo da qualche anno ho imparato a recitare» «E’ stata una specie di illuminazione e mi dispiace di averla
avuta così in ritardo: avrei potuto fare meglio tutto ciò
che ho fatto»
[...]
Nella filmografia di Massimo Girotti si contano oltre cento titoli;
e poi ci sono le presenze in teatro con Blasetti, Visconti, Orazio Costa,
Luigi Squarzina. E su questo versante citerò ciò che scriveva
nel 1958 sull’«Enciclopedia dello Spettacolo» un collaboratore
oggi famoso, Andrea Camilleri: «...(in palcoscenico) Girotti ha confermato
le sue doti di attore moderno, il fascino di una presenza discreta ma attraente».
[...]
Tullio Kezich
La Repubblica
(ed. di Palermo), 8.1.2003
Un calendario ricco di impegni importanti per attori e registi siciliani,
che promette di segnare una svolta nella loro carriera
Tutti gli uomini del 2003 Set all'estero, divi e kolossal: è un anno da "Saranno famosi"
[...]
MARCO BETTA. Per il compositore palermitano, il 2003 nasce sotto il
segno di Camilleri. La sua opera da camera "Il fantasma della cabina",
regia di Rocco Mortelliti, il 6 febbraio sarà in scena al teatro
Vittorio Emanuele di Messina. E a Siena quest'estate, con l'Accademia Chigiana,
presenterà la seconda tappa del progetto legato alle "Inchieste
del commissario Collura" di Camilleri, una nuova opera in due atti, composta
da "Il mistero del finto cantante" e "Che fine ha fatto la piccola Irene?",
ancora con la regia di Mortelliti.
[...]
GIUSEPPE DIPASQUALE. Il 18 gennaio, in qualità di braccio destro
di Andrea Camilleri, il regista inaugurerà il vecchio teatro "Regina
Margherita" di Racalmuto, dopo un restauro lungo vent'anni. "Nel cartellone
ci sarà una nuova edizione del "Birraio di Preston" che ho già
messo in scena a Catania - dice Dipasquale - spettacolo che quest'anno
probabilmente, avrà anche una trasposizione lirica". L'inaugurazione
si articolerà in due serate: il 18 gala d'apertura col concerto
dell'orchestra "Franco Ferrara" diretta da Carmelo Caruso. Il 6 febbraio
sarà Sabina Guzzanti ad aprire ufficialmente il cartellone con il
suo recital "Giuro di dire la verità".
[...]
Laura Nobile Marco Oliveri
Gazzetta di Parma,
8.1.2003
«L'ombrello di Noè»
Camilleri, una vita in scena
''A proposito di memoria, lo sai cos'è l'anno nonno? E' un po'
come l'anno luce. L'anno nonno è quello che racconta a te, nipote,
ciò che il suo stesso nonno gli ha raccontato. Sedici nonni in fila,
sedici, e arrivi al nonno che ti dice: "Sai, ero in Senato, ma quel fanatico
di Bruto non ha tirato fuori un coltello tanto e non è arrivato
ad ammazzare Cesare?". Sedici nonni così, in fila, ti fanno il percorso
storico della memoria. Non è impressionante? Centodue nonni in fila
e arrivi all'uomo di Neanderthal». A proposito di memoria, lo sapete
quanto è lungo il curriculum di regista, sceneggiatore, saggista,
attore, autore radiofonico di Andrea Camilleri? Pagine e pagine. Non è
impressionante per quanti l'hanno scoperto come creatore di Montalbano?
E sfogliare quelle pagine fatte di ricordi personali e di trasmissione
di ricordi altrui è un po' come arrivare al cuore del teatro. Il
suo L'ombrello di Noè (Rizzoli, a cura di Roberto Scarpa) è
un libro irresistibile: non pretende di spiegare nessuna verità,
eppure comunica anima e respiro del palcoscenico, prendendosi le giuste
pause, i fiati. Si attacca in sordina, cogliendo il senso del titolo, quindi
ci si intrufola in punta di piedi nelle evocazioni saporose di chi può
dire io c'ero, poiché nella bella intervista, anzi un colloquio,
una chiacchierata a quattr'occhi con il curatore, Camilleri racconta della
sua
passione per Majakovskij, dell'ingresso all'Accademia di Silvio D'Amico,
di Eduardo e Peppino e Titina - conoscenze di prima mano - e dell'esperienza
straordinaria all'Enciclopedia dello spettacolo, a lavorare gomito a gomito
con Angelo Maria Ripellino. Fine del prologo. Ed ecco che si entra nel
vivo di cosa significhi fare teatro: prima di tutto analizzare il testo,
conoscere l'autore, capire Pirandello attraverso una serie di lezioni tenute
anni fa; invaghirsi di un'opera di Jean Genet e da un incontro lontano
ricavare uno splendido bozzetto - quasi un atto unico; senza mai trascurare
i collegamenti, l'inventiva, la miscela tra realtà e finzione, trasformare
Beckett, innamorato del personaggio, in Belacqua, che vive in un passaggio
assai difficile del Purgatorio («e ha l'infelice destino di essere
situato proprio al termine del canto»); intervistare Orazio Costa,
maestro e amico dell'autore, che non vide mai nessuna messinscena dell'allievo,
per timore di non apprezzarla e che individua una quaterna unica nella
storia della letteratura: Ibsen, Strindberg, Cechov, Pirandello; offrirci
l'occasione di conoscere Adamov per poi arrivare all'epilogo e dare di
nuovo la stura ai ricordi, riprendendo il filo del colloquio con Roberto
Scarpa. Dal vaso di Pandora escono altre meraviglie: l'amicizia con Pietro
Sharoff, assistente di Stanislavskij, l'incontro con attori del calibro
di Randone, Borboni, Agus, l'amicizia con Vasco Pratolini, l'amore per
la scena che scocca da un'operetta. E infine una fiaba: una chicca, un
dono per chi vuole affrontare il mestiere d'attore. Tuttavia, anche in
un volume come questo, che travalica la scrittura e si fa narrazione pura,
perché si è voluto conservarvi lo stile del parlato, da istrione
del dire, l'aneddoto non è mai fine a se stesso, mai compiaciuto.
E' una vera lezione di teatro e si può leggere a più livelli,
da profani e da appassionati, da curiosi e da addetti ai lavori. Da spettatori,
se si ha voglia di sognare: «Mi viene in mente di una volta che accompagnai
il generale Nobile... a Cinecittà per vedere la scenografia de La
tenda rossa... Nobile, appena vide nello studio il dirigibile Italia disse
"Ma non può volare!" "Infatti, generale, non deve volare", dissi.
"Serve solo per le riprese, si fingerà che vola. Lei lo vedrà
volare"».
Silvia Sichel
Corriere della sera,
8.1.2003
«Per un po’ di tempo vado via dal piccolo schermo, torno al
teatro con il Riccardo III»
Cappellino blu calato sulla testa, stretto nel cappotto scuro, lo sguardo
imbronciato e sospettoso. Quando apre bocca sembra stia per dire: «Piacere,
Montalbano». Invece no. Luca Zingaretti si apre in un sorriso inaspettato,
sincero. Il 2002 è stato l’anno del commissario siciliano nell’interpretazione
del 41enne attore romano: la quarta serie ha catturato più di dieci
milioni di spettatori. Nel 2002 ha interpretato sempre il tv Perlasca,
il commerciante che salvò 5.000 ebrei ungheresi. E quest’anno si
trasformerà nel «Riccardo III» di Shakespeare, con la
regia di Patroni Griffi. Zingaretti è di poche parole, ma chiare.
Schivo, però coerente, con una diffidenza difficile da perdere.
Il papà e la mamma erano impiegati. Suo fratello Nicola, più
giovane di 4 anni, è segretario dei Ds romani. E poi c'è
Angela, 27 anni, che lavora in una agenzia stampa per le radio. Lui, dopo
il liceo a piazza Mastai, si è formato all’Accademia Silvio D’Amico.
Ha lavorato con Luca Ronconi, nel film di Ricky Tognazzi, «Vite strozzate»
dove era un usuraio spietato, poi «La piovra». Infine nel ’99
il «Commissario Montalbano» di Camilleri. Ora annuncia: «Per
un po’ vado via dalla televisione, non mi farà male».
Perché?
«Voglio riflettere e non voglio asfissiare con la mia immagine».
Come è andato il 2002?
«Non vorrei sembrare irriconoscente: sono molto contento perché
il mio lavoro è stato apprezzato. Ma vinta una scommessa, ce n’è
pronta un’altra. Ecco, uno dei miei difetti è di non riuscire a
godere in pieno dei benefici che ottengo».
Qual è la sua nuova scommessa?
«Mi preparerò al "Riccardo III", un vecchio sogno dai
tempi dell’Accademia. È una sfida, un grande affresco sul potere
e la sua gestione, mi sembra di grande attualità. E poi segna il
mio ritorno in teatro, diretto da un grande maestro».
Il teatro non lo ha mai lasciato.
«All’inizio recitavo anche nelle cantine romane, dove non veniva
nessuno. Uno dei miei spettacoli più belli è stato "Tre alberghi",
con Isabella Ferrari, al Teatro Due. Lo aveva tradotto Masolino d’Amico,
che sarebbe diventato mio suocero».
Venne pubblico a vederla?
«Pochissimo, la stessa sorte è toccata ad altri spettacoli,
come quelli al Colosseo. Un attore si forma a teatro, recitare è
come per un navigatore fare la traversata dell’Oceano. Per un giovane è
importante, ti prepara ad affrontare le scommesse».
Come si raggiunge il successo?
«Lavorare tanto non è sufficiente. L’ho fatto, per anni.
C’erano periodi in cui non ho preso un giorno di vacanza. Certo l’ho fatto
per passione, non solo per soldi. Anche se quando non ti conosce nessuno
c’è sempre una buona ragione per rimandare il riposo».
Per esempio?
«La pagnotta. Però quel lavoro mi è servito, perché
quando è arrivata la botta di fortuna ero pronto. Ora posso permettermi
di scegliere. Se fossi un filodrammatico, potrei fregarmene: se ti fanno
proposte che non ti piacciono, vai a giocare a tennis».
La televisione le ha dato molto.
«Molto ho rifiutato: una carriera si costruisce anche dicendo
di no, e ho la presunzione di credere che il pubblico non mi avrebbe mai
voluto vedere in certi ruoli. Ma non dico quali».
Al cinema si vede poco, perché?
«Tra un cattivo film e una buona tv, scelgo la seconda. Eppure
il cinema a me piace molto e in Italia stanno succedendo cose belle. Penso
a Muccino, Crialese, Garrone».
Si parla di un suo futuro da regista. È vero?
«Mi piacerebbe, ma non ora. In teatro la parola è padrona
e un attore ha il suo peso. Al cinema e in tv chi racconta la storia è
il regista».
Cosa si augura per il 2003?
«Un mondo di pace. L’Occidente, dopo l’11 settembre ha reagito
nel peggior modo possibile. Ammesso e non concesso che la nostra cultura
sia la più forte di tutte, è inammissibile che non riesca
a farci vivere in pace».
Sandra Cesarale
Il Nuovo, 8.1.2003
Tutti i colori del giallo Dall'11 gennaio su Radio
2 Tutti i colori del giallo, un programma di Luca Crovi sul mondo del
mistero
MILANO - “Il giallo è l'unica forma di letteratura popolare che
esprima la poesia della vita moderna”. Così Gilberth Keith Cesterton
assecondava la sua innata passione per il mistero. Una passione sanguigna
che diventa protagonista, per tredici settimane, di un nuovo programma
intitolato Tutti i colori del giallo in onda su Radio2 a partire dall'11
gennaio 2003, ogni sabato e domenica, dalle 13.00 alle 13.30.
Ad esplorare le sfumature del giallo e le sue varie tonalità
(dal noir al mistery, dall'hard boiled al procedural) sarà il saggista
Luca Crovi che farà emergere dal passato le figure di personaggi
mitici come Nero Wolfe, Poirot, Maigret, Sherlock Holmes, Arsenio Lupin,
Auguste Dupin, Pepe Carvalho, Philip Marlowe, Mike Hammer, il Commissario
Montalbano, l'Agente 007 o Hannibal Lecter.
Sulle loro avventure indagheranno, di volta in volta, scrittori, musicisti,
attori e disegnatori che vestiranno per l'occasione i panni insoliti di
detectives e racconteranno curiosità e aneddoti legati al mondo
del giallo. Tra gli ospiti in studio che esploreranno in diretta il mistero
anche Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Marcello Fois, Giancarlo De Cataldo,
Luca Zingaretti, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Bruno Gambarotta.
"Il romanzo poliziesco è il frutto rosso di sangue della nostra
epoca... Nulla è più vivo, e aggressivo della morte oggi.
Nel romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo:
persino i cadaveri che sono, anzi, i veri protagonisti dell'avventura.
Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può
essere l'assassino o l'assassinato...". Così Augusto De Angelis
rivendicava sul finire degli anni Trenta la dignità culturale del
giallo. Per anni critici e scrittori hanno discusso sull'importanza più
o meno rilevante del poliziesco nella letteratura italiana, e polemiche
e discussioni non sembrano spente neppure oggi nonostante i grandi successi
in libreria di Camilleri (capace di vendere oltre due milioni di libri
negli ultimi tre anni), Lucarelli, Scerbanenco, Macchiavelli & Guccini,
Fois, Pinketts, Carlotto, Baldini, Rigosi, etc.
In Italia il giallo è un genere che ha dimostrato di sopravvivere
ai tempi e alle mode e che ha saputo arrivare, seppur per strade diverse,
direttamente al cuore dei lettori. Il commissario Montalbano, il sergente
Antonio Sarti, il tenente Sheridan, il maresciallo Rocca, l'ispettore Grazia
Negro, il genio del crimine Diabolik, l'investigatore dell'incubo Dylan
Dog, solo per citarne alcuni, sono personaggi che sono entrati a far parte
dell'immaginario comune del nostro paese. Seguiamo così in questo
saggio la scia rosso sangue lasciata dai giallisti italiani nei romanzi,
nei fumetti, nelle serie televisive. Un documentato resoconto degli sviluppi
del thriller made in Italy dai suoi esordi (alla fine dell'Ottocento) ad
oggi: aneddoti, trame e curiosità che hanno fatto la fortuna di
un genere.
E' ormai ufficiale: il 18 gennaio riaprirà dopo oltre un ventennio
di lavori di restauro, il Teatro «Regina Margherita» di Racalmuto.
Per l'occasione l'amministrazione comunale ha organizzato due giorni di
manifestazioni. Per l'apertura del teatro è previsto alle ore 20.30
il concerto del'Orchestra «Paolo Ferrara» di Palermo composta
da settanta elementi. Nel corso della serata sono previste numerose esibizioni
a cominciare dalla cabarettista Francesca Reggiani per proseguire con la
bravissima Anna Marchesini ed ancora Mario Scaccia e Serena Dandini. Hanno
dato forfait sia Luca Zingaretti che Leo Gullotta, impegnati in riprese
cinematografiche e quindi impossibilitati ad intervenire. Sarà invece
presente, sia il 18 che il 19, il direttore artistico del teatro, lo scrittore
empedoclino Andrea Camilleri. Per il 19 è previsto invece il concerto
del soprano Ranya Kapaivaska che proporrà delle arie liriche.
L'altro ieri, il sindaco di Racalmuto, Gigi Restivo, è volato
a Roma nella casa capitolina di Camilleri per una riunione urgente del
Consiglio di amministrazione del Teatro che risulta essere composto, oltre
che dallo stesso primo cittadino, da Gaetano Savatteri del Tg 5, da Felice
Cavallaro del «Corriere della Sera» e dall'ex sovrintendente
al Teatro «Massimo» di Palermo, Francesco Giambrone. Vice direttore
artistico è stato nominato il regista Giuseppe Dipasquale. Nel corso
dei lavori, Camilleri ha presentato al sindaco il cartellone teatrale di
questa stagione che avrà inizio il 3 febbraio per concludersi ad
aprile.
In tutto quindici appuntamenti.Si comincia con un grande nome, Sabina
Guzzanti che metterà in scena la commedia «Io giuro di dire
la verità». Tra gli altri appuntamenti di un certo interesse
quello del 15 febbraio con il tenore Vincenzo La Scola .L'ultimo nodo da
sciogliere riguarda quello degli abbonamenti. «Siamo indecisi - ha
dichiarato il sindaco Restivo - molto probabilmente per questa prima stagione
opteremo soltanto per lo sbigliettamento visto che non c'è più
molto tempo».
Il tagliando per la platea costerà 15 euro, per il palco 10,
mentre per tutti coloro i quali hanno una età inferiore ai 26 anni
il prezzo del tagliando sarà di appena 5 euro.
Gaetano Ravanà
Sette,
9.1.2003
"Ho preso 7 in Montalbano" In una scuola siciliana si studia Camilleri invece del Manzoni. Ragazzi
entusiasti.
Mentre in tutta Italia esplodeva la polemica sulla revisione dei testi
scolastici di storia, a Ispica, in provincia di Ragusa, la
rivoluzione culturale era già cominciata. Andrea Camilleri infatti
ha "eliminato" Alessandro Manzoni e presto molte scuole dell'isola potrebbero
adottare il nuovo testo dell'autore siciliano. "Un anno fa", racconta Attilio
Sigona, preside del Liceo Curcio della cittadina, "abbiamo deciso di fare
un esperimento sostituendo in una quinta ginnasio I promessi sposi di Manzoni
con Il birraio di Preston di Camilleri, pensando che ai ragazzi un testo
contemporaneo, con un linguaggio attuale e che valorizzava anche il territorio
li avrebbe coinvolti più di un testo ormai superato. Allora la curia
ci attaccò in tutti i modi ma noi andammo avanti e finita la sperimentazione
abbiamo seguito la classe e abbiamo visto che i voti sono in linea con
le altre classi e la preparazione non lamenta nessuna lacuna". Esperimento
riuscito, quindi?. "Assolutamente sì, tanto che adesso stiamo discutendo
i risultati e pensiamo di utilizzare l'esperienza per ragionare stabillmente
nell'ordine del rinnovo". Nel frattempo i risultati sono stati presi
in considerazione anche dall'editore storico di Camilleri, la Sellerio
di Palermo, che ha appena introdotto nella linea scuola Il cane di terracotta,
romanzo del giallista completo di schede didattiche e note dell'autore.
Che si prepara a invadere i licei e gli istituti tecnici di tutto
il Mezzogiorno.
Antonio Calitri
10.1.2003
Conversazione con Rocco Mortelliti
Abbiamo avuto l'opportunità di fare quattro chiacchiere col regista
Rocco Mortelliti, allievo e collaboratore di Andrea Camilleri, negli ultimi
tempi molto impegnato su progetti legati alla "produzione" dello stesso
Camilleri.
Mortelliti ha diretto qualche anno fa il film "La strategia della maschera",
tratto da un'idea di Camilleri e da Camilleri stesso interpretato, in un
ruolo da "non protagonista". Il film, anche a causa di una non felice distribuzione,
non ebbe grande riscontro di pubblico. E' comunque disponibile in videcoassetta,
oltre ad essere presente nella programmazione di Stream TV.
Mortelliti è anche il regista dell'opera lirica "Il fantasma
nella cabina", tratta dall'omonimo racconto di Camilleri e musicata dal
palermitano Marco Betta.
Il regista, che in questo periodo è impegnato nella tournée
italiana dello spettacolo (prossime date: Lucca, 18-19 gennaio; Messina,
6-9 febbraio), ci ha confermato che si sta lavorando (sempre con Betta)
alla realizzazione di altre tre opere tratte dai rimanenti racconti del
commissario Cecè Collura, che saranno realizzate rispettivamente
a Siena, Catania e Bergamo. Ci ha inoltre annunciato che dalle registrazioni
della "prima" del "Fantasma", che ha avuto luogo a Bergamo nello scorso
mese di dicembre, verranno tratti un CD e un DVD.
Mortelliti, oltre alla lirica, si sta anche dedicando al cinema.
In particolare sta lavorando alla trasposizione de "La scomparsa di
Patò", con la produzione della Palomar (la stessa casa di produzione
dei telefilm di Montalbano). Ci dice che nella sceneggiatura cinematografica
ha introdotto una differenza rispetto al romanzo: il Delegato di P.S. Ernesto
Bellavia (uno dei due protagonisti) non sarà siciliano, bensì
uno "scapolo settentrionale", il che farà sì che il Delegato
possa avere un atteggiamento più distaccato, quasi da osservatore
dei fatti.
Ancora nulla di concreto, invece, riguardo alle trasposizioni (in TV)
degli altri romanzi storici, ovvero "Il birraio di Preston" e "La concessione
del telefono" (anch'essi saranno prodotti dalla Palomar). E' però
drastica la posizione di Mortelliti al riguardo: ovvero che la TV "ammazza"
un romanzo, per trasporre il quale il mezzo migliore è il cinema.
In particolare, parlando di Camilleri, questo vale per i romanzi storici.
Per Montalbano, invece, la TV, tutto sommato, potrebbe anche andar
bene, il problema è non "commercializzare" troppo il prodotto; cosa
che invece sta accadendo.
Mortelliti è molto critico sulla scelta di Zingaretti come Montalbano
televisivo, in quanto non siciliano, e quindi costretto a "fare il siciliano"
con esiti a suo giudizio non sempre eccelsi. Ha quindi auspicato che i
protagonisti dei prossimi film e telefilm siano siciliani, apprezzando
le prove dei "comprimari" siculi dei telefilm montalbanici.
Purtroppo però anche lui dovrà fare i conti con un problema
simile. Infatti, a partire dalle repliche di Messina, cambierà l'interprete
di Cecè Collura nell'opera "Il fantasma nella cabina": al posto
del palermitano La Scola, che a giudizio del regista ha magistralmente
interpretato il commissario di bordo anche grazie alla sua sicilianità,
ci sarà il toscano Luca Canonici.
Il Denaro, 10.1.2003
Commenti. Come cambia la scuola
Andrea Camilleri elimina Manzoni
Nel liceo classico “Curcio” di Ispica in provincia di Ragusa, Andrea
Camilleri ha “eliminato” Alessandro Manzoni. Nell’Istituto Tecnico per
Geometri di Colico in provincia di Lecco, il romanzo di un autore locale
di cui mi sfugge il nome ha già da qualche anno “eliminato” Alessandro
Manzoni. Dice proprio cosi Sette il magazine del Corriere della Sera di
ieri: “eliminato”. Come se si trattasse di gare sportive per accedere alla
finale di una qualche coppa. Il profondissimo sud di Ispica e l’altissimo
nord di Colico si sono dati la mano e se la sono data in nome delle stesse
argomentazioni. “Abbiamo deciso di fare un esperimento sostituendo in una
quinta ginnasio I promessi sposi di Manzoni con Il birraio di Preston di
Camilleri, pensando che ai ragazzi un testo contemporaneo, con un linguaggio
attuale e che valorizzava anche il territorio li avrebbe coinvolti più
di un testo ormai superato.” Se a Il birraio di Preston di Camilleri sostituiamo
Un amore di zitella dell’imperdonabilmente a me ignoto scrittore lecchese,
l’argomentazione è la stessa: parola per parola, virgola per virgola.
L’Italia non è mai stata così unita come in questo caso.
E mai unita contro uno stesso avversario: quell’Alessandro Manzoni che
auspicava un’Italia “una d’armi, di lingua, d’altare / di memorie, di sangue,
di cor”. E, se vogliamo andare oltre, possiamo addirittura aggiungere che
sia Camilleri sia lo scrittore lecchese non vivono, letterariamente, di
luce propria ma si richiamano —con esplicito contributo alla critica della
loro stessa opera- Camilleri a Gadda e, l’altro, a Piero Chiara. Il sublime
e pirotecnico Gadda di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e il molto
più prevedibile Chiara delle sue storie di paese. Molto più
prevedibile,
linguisticamente parlando, Piero Chiara. Di “titanica esagitazione linguistica”
e di “violento ma squisito scrittore” scrive Gianfranco Contini di Carlo
Emilio Gadda. Gianfranco Contini che, in questi ultimi cinquant’anni, ha
rappresentato la corte di cassazione dei giudizi letterari. Dunque, Camilleri:
un Gadda ripasticciato in uno stile “gradevole” o “amabile” (come i vini
leggerini) trasferito in Sicilia mentre per Piero Chiara abbiamo una scrittura
già leggerina calata ad ancor più modesta letteratura ferroviaria.
Palmiro Togliatti non era uno stupido. Sosteneva che egli si batteva
perché anche il popolo potesse mangiare l’aragosta. O assaggiarla,
almeno! Palmiro Togliatti sapeva bene quali e quanti succhi -densi ricchi
sapidi saporosi- si potessero trarre da un’aragosta! A Ispica e a Colico,
e temo non solo lì, altro che aspirare all’aragosta. Si accontentano
di pesce azzurro e congelato pure. Un contentino di gravi conseguenze per
il futuro di quei giovani per i quali si dice di avere operato tali scelte:
perché se dall’aragosta Alessandro Manzoni si ricava quello che
l’aragosta può dare, dal pesce azzurro, per di più congelato,
si ricava molto ma molto meno. Con tutto il rispetto per le sarde e le
alici.
Il fatto è che i nostri presidi e i nostri docenti dovrebbero
leggere di più e meglio. Le grandi lezioni che vengono da un grande
paese. Perché due anni fa è arrivato da New York, per la
sapidissima penna di un giovanissimo settantenne irlandese d'America, un
messaggio in una bottiglia che, per noi, ha stampato l’Adelphi.
Frank McCourt ha zappato, sterrato, dissodato per decenni e decenni
nelle High Schools della Grande Mela: dagli istituti tecnici e professionali
di periferia (affollati da bande di giovani da far impallidire il Glenn
Ford de Il seme della violenza) agli istituti-bene del centro con allievi
per lo più impegnati a far passare il tempo e la noia in attesa
di approdare in qualche prestigioso college. Un messaggio forte e chiaro,
quello di McCourt. Perché, quando arriva —primo incarico in una
scuola- a insegnare "lingua inglese" in un professionale di Staten Island,
un sobborgo, trova alunni svogliati alle prese con un Montalbano locale
o con qualche storia alla Chiara. Perché i Montalbano e gli sbiaditi
personaggi di Chiara hanno parenti dappertutto e partigiani, soprattutto,
in ogni parte del mondo. Cibi (letterari/culturali) leggeri per i delicati
appetiti dei giovani d'oggi. Leggeri ma non sufficienti.
Leggeri ma che lasciavano intatta la fame: visto che i giovani, s'accorge
l'imberbe McCourt, protestavano e s'annoiavano tal quale s'annoierebbero
i nostri a leggere l'Alessandro Manzoni. E McCourt (ecco cosa significa
quando lo chef è un grande chef!) cambia di colpo menù. Lo
ribalta, anzi: il menù. Via il cibo insipido dei minestroni letterari
e dentro Shakespeare. Sì, Shakespeare: la vetta più alta
della poesia inglese. E, dice Harold Bloom, non solo inglese! Una lingua
"antica", quella di Shakespeare, irta per i palati delle periferie urbane.
Una lingua complessa e desueta di fronte a cui anche un lettore colto trova
difficoltà. Ma una lingua per passioni "eterne". Le eterne passioni
degli uomini. Rifiuto dapprima. Rifiuto che si capovolge in attenzione,
progressiva attenzione. Un'attenzione che cresce giorno per giorno: perché
i giovani incominciano a trovare, nello smagliante inglese di Shakespeare,
l'eterna trama delle umane esistenze. Lady Macbeth? Il "pallido principe"
Amleto che pensa troppo e troppo bene? Il perfido e violento Riccardo III°?
La leggerissima Ariele? Il dirompente Falstaff? Ma siamo noi: si accorgono,
sorpresi, i giovani eroi delle bande metropolitane. Sono i nostri vicini
di casa. Le persone che incontriamo, ogni giorno, a milioni sui marciapiedi
della Mela. Altro che Montalbano! E incominciano a recitarseli tra loro,
a rinviarseli -negli intervalli, fuori della scuola, nei giochi per strada-
i versi immortali. "Essere o non essere", "L'inverno del nostro scontento",
"Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni": tra la sorpresa, prima,
e l'ammirazione, poi, dei compagni delle altre classi. Classi dove si leggevano,
ancora, storie incredibili di impossibili tardivi amori. E gli alunni di
MacCourt diventano nell'istituto tecnico e professionale McKee "Quelli
che leggono Shakespeare". Una marmellata di sorpresa e di invidia, i compagni
degli altri corsi: perché, alla fine, il cibo buono lo riconoscono
tutti, quando è veramente buono e lo chef veramente all'altezza.
Che grande lezione! E Che paese, l'America! per noi che eliminiamo,
come fosse niente, Manzoni e lo sostituiamo con Montalbano. Ai giovani
piace di più? Se è per questo personalmente non perdo una
puntata della versione televisiva del Camilleri-Montalbano e, forse, domani
non ne perderò una delle storie dello scrittore del lago di Como,
ramo di Lecco, se ce ne sarà una versione televisiva. Però
devo sapere che mangerò alici e sarde e non andrò molto lontano.
E non mi meraviglierò -poi- se, un domani non lontano, qualche nostra
grande industria non saprà gareggiare, a faccia a faccia, con i
colossi di altri paesi.
Corrado Ruggiero
Giornale di
Brescia, 11.1.2003
Santo Piazzese al suo terzo romanzo cambia protagonista e marca la
distanza con Camilleri
La doppia sfida del giallo siciliano Un pacato commissario sostituisce il biologo dandy. Tra squarci di
luce e oscuri quesiti da sciogliere
Ne ha di coraggio Santo Piazzese. E non solo perché si mette
a scrivere gialli ambientati in Sicilia nel bel mezzo dell’epoca-Camilleri.
Ma anche e soprattutto perché dopo due romanzi di ampio successo,
in Italia e all’estero, cambia personaggio protagonista e muta registro,
dimostrando un’abilità che va ben oltre la produzione seriale. Il
primo gesto coraggioso Piazzese l’aveva compiuto nel 1996, con «I
delitti di via Medina-Sidonia». Lui, di Palermo, andava a pubblicare
con Sellerio un giallo ambientato in Sicilia proprio mentre l’astro Camilleri
era in piena ascesa. C’erano tutti gli elementi per essere accusato di
cavalcare l’onda, di mettere le vele dove il vento è a favore. E
non bastava dicesse ad ogni occasione che lui aveva letto Camilleri quando
il suo primo romanzo era già in stampa. Santo Piazzese, siciliano
e giallista con il vezzo della battuta in dialetto, non poteva sfuggire
al ferreo paragone con il papà del commissario Montalbano. A fare
giustizia d’un parallelo superficiale ci hanno pensato i lettori. Sì,
perché quello di Piazzese è tutto un altro mondo, rispetto
alla Vigata camilleriana. È vero che pur sempre di giallo si tratta,
di quelli classici che non amano concedere spazio alla violenza e alla
brutalità, e che invece prediligono il mistero da risolvere, la
matassa ingarbugliata da sciogliere con pazienza. È vero che molto
si gioca sulla psicologia dei personaggi, così come lo sfondo è
sempre quello di una Sicilia bella ed enigmatica. Ma diversissimi sono
il taglio, l’ambiente sociale, l’evolversi dell’indagine. Sia nell’esordio
di via Medina-Sidonia, sia ne «La doppia vita di M. Laurent»,
l’ambiente è quello della borghesia palermitana e il protagonista
è Lorenzo La Marca, quarantenne docente di Biologia all’Università
di Palermo (esattamente come l’autore). Intellettuale brillante, single
gaudente: la battuta rapida, l’aggancio colto, l’intreccio raffinato di
citazioni e sensazioni, rendono piacevolissima la lettura. Due romanzi,
due successi. E si attendeva il terzo... Ma qui sta la sorpresa, il secondo
gesto ancor più coraggioso. Piazzese cambia protagonista e cambia
registro. L’autore dà una spiegazione fintamente semplice: La Marca
non è un poliziotto, né un avvocato o un medico legale, insomma
non è una persona che per mestiere ha a che fare tutti i giorni
con morti ammazzati... serviva un professionista. Ma il cambio è
ben più radicale, profondo. Nel terzo romanzo, «Il soffio
della valanga», Piazzese porta in primo piano un amico del brillante
biologo, quel commissario Vittorio Spotorno che nei primi due romanzi era
apparso tanto grigio, dimesso, quotidianamente formale, da sembrare costruito
apposta per far da contraltare all’esuberante La Marca. E il commissario
non viene snaturato: resta dimesso nei gesti, pacato nei modi, formale
nei comportamenti. Sposato felicemente da anni con una insegnante che unisce
saggezza a fantasia. Padre di famiglia un po’ preoccupato del poco tempo
che riesce a dare alla sua famiglia. Con un presente da mezza carriera
e un passato da periferia. Proprio da quel passato emergono, uno alla volta,
i personaggi-chiave del giallo. Rosario, ridotto a fare l’autista ad un
piccolo boss del pizzo e ammazzato (per sbaglio, sembra all’inizio...)
in un’imboscata. Diego, già un tempo freddo e calcolatore, ora imprenditore
in cerca di ascesa. Maddalena, sorella di Rosario, in bilico delicato tra
mille difficoltà familiari... Come nei gialli classici, quel che
colpisce a prima vista non è la realtà, bisogna saper scavare
oltre i veli delle apparenze, per scoprire la verità. Talvolta è
il soffio della valanga a creare i danni più appariscenti, ai margini
della precipitazione. E c’è anche una vena di mafia, per dire che
la Sicilia sembra non possa sfuggire a questa ombra lunga e cupa. Cambia
il personaggio e cambia il tono della narrazione. Diventa meno effervescente,
più distesa. Ma non per questo meno piacevole. Anzi, forse guadagna
in profondità. Santo Piazzese anche questa seconda coraggiosa sfida
pare proprio averla vinta.
Claudio Baroni
Opera international, 1.2003
Intervista a Marco Betta Giovanni La Barbara
Prima della
prima, 14.1.2003
Martedi 14 gennaio alle 24.40 su Raitre "Il fantasma nella cabina"
da una racconto di Andrea Camilleri
“PRIMA DELLA PRIMA” di martedi 14 gennaio presenta dal Teatro Donizetti
di Bergamo l’opera “Il fantasma nella cabina” tratto dal racconto di Andrea
Camilleri "Il commissario di bordo", su libretto di Rocco Mortelliti e
musiche di Marco Betta. Il racconto del grande scrittore siciliano si svolge
in una nave da crociera, o più precisamente nel suo salone di prima
classe, dove tutti i personaggi si incontrano e interagiscono tra loro.
Ma non è il famoso commissario Montalbano a trasformarsi in cantante
lirico, bensì il suo collaboratore Cecè Collura, - alias
il tenore Vincenzo La Scola - che, reduce da una pallottola nella pancia,
va a farsi una bella convalescenza su una nave da crociera come commissario
di bordo. Mentre Cecé Collura è intento a sorseggiare un
drink con l’attrice e cantante Giorgia – Paola Ghigo – viene chiamato per
un’emergenza: nel suo ufficio, una vecchia signora avvolta in una vestaglia
di gran classe - la signorina Meneghetti interpretata da Katia Ricciarelli
– sostiene di aver visto nella sua cabina un fantasma. Così Cecé
Collura si trova a dipanare un misterioso caso e a tranquillizzare i passeggeri
che, presi dal panico, vedono fantasmi dappertutto. Altri interpreti principali
sono Luciana Serra nel ruolo di Stefania Biroli, una giornalista impicciona,
mentre nel ruolo dell’attore Rocco, lo stesso Rocco Mortelliti che cura
anche la regia dell’opera. Con “Il fantasma nella cabina” Betta e Mortelliti
accettano la sfida di coniugare la prosa con la musica, grazie anche alla
struttura teatrale del racconto di Camilleri. Ci sono arie, duetti, recitazione
sulla musica, il tutto a formare un’opera divertente e accattivante. La
regia televisiva di questa puntata di "Prima della Prima" è di Andrea
Bevilacqua. L’appuntamento con "PRIMA DELLA PRIMA" è per martedi
14 gennaio alle ore 24.40 su Raitre.
Riportiamo la trascrizione, a cura di Paola, degli interventi di
Andrea Camilleri, Rocco Mortelliti, Marco Betta, Vincenzo La Scola, Katia
Ricciarell e Luciana Serra.
VOCE FUORI CAMPO
Dal Teatro Donizetti di Bergamo “PRIMA DELLA PRIMA” presenta oggi “Il
fantasma nella cabina” di Andrea Camilleri.
Il collaboratore del Commissario Montalbano, Cecè Collura, reduce
da una pallottola nella pancia, va a farsi una bella convalescenza su una
nave da crociera come commissario di bordo. Cecè pensa infatti di
doversi preoccupare solo di tenere lontane le camurrìe dei passeggeri,
ma qui si sbaglia, il Nostro, perché, durante la notte, mentre è
intento a sorseggiare un drink con la cantante Giorgia un avvenimento turba
la quiete generale: una vecchia donna in vestaglia - la signorina Candida
Meneghetti - si precipita fuori dalla sua cabina urlando di aver visto
un fantasma. Così comincia una notte di tregenda: mentre Cecé
Collura cerca di risolvere il misterioso caso, i passeggeri, presi
da panico, vedono fantasmi dappertutto. Il comandante è preoccupato
per il buon nome della nave e Stefania Biroli, una giornalista pedante
e ficcanaso, profetizza immani sventure.
ROCCO MORTELLITI (Regista)
Da bambino mio padre voleva comprarsi una nave da crociera e andammo
a visitare questa nave a Gaeta. Mi ricordo che io la visitai, entrai nelle
cabine e aveva un’aria rarefatta, quasi abbandonata… diciamo, in qualche
modo si è riacceso questo ricordo.
La musica viene direttamente “dalla” nave. Questo è un tipo
di teatro che mi piace, far nascere le situazioni dal teatro stesso.
ANDREA CAMILLERI
Cecè Collura è uno dei due nomi che mi vennero in mente
quando dovevo chiamare in qualche modo l’investigatore del primo romanzo
giallo che scrissi: La forma dell’acqua. L’altro nome era Salvo Montalbano.
All’inizio c’era questa sorta di incertezza ma, una volta che Salvo Montalbano
venne definito, diciamo, perfino nei suoi tic, nelle sue manie, è
chiaro che Cecè Collura non poteva che essere un’altra cosa. Infatti
nella mia finzione Cecè Collura è un amico di Montalbano
ma, in un certo senso, è assai più “dritto”, più sbrigativo
nelle sue indagini, si perde meno.
Ogni personaggio nasce come una “funzione”. Io preferisco iniziare
dal dialogo, cioè lo metto davanti a un personaggio che già
c’è e lo faccio parlare. Da come parla, dalle frasi che dice, ne
deduco il personaggio, com’è fatto come si muove quanti anni ha:
le sue parole me lo formano.
ROCCO MORTELLITI
Mi fa tanto ridere l’acuto che Vincenzo La Scola fa con “camurrìa”.
Mi emoziona sentire una canzone in siciliano con questo linguaggio. Il
siciliano veramente parlato come oggi si sente parlare per esempio a Palermo,
perché lui dà questi colori che solo un Siciliano può
dare, aggiunge delle cose, delle sfumature e solo un Siciliano lo può
fare.
LUCIANA SERRA (Stefania Biroli, giornalista)
Una giornalista che inventa qualsiasi cosa pur di non stare zitta,
infatti arriva in scena con una cinepresa, registratore, telefonino, blocco
per scrivere tutto… sono proprio fornita di tutto, anche perché
sono stata ingaggiata da questa compagnia di navigazione per fare articoli
di costume su questo viaggio che secondo me è un viaggio “immobiliare”
e fatto di parassiti… cosa può esserci di diverso su di una nave
di crociera? Si viaggia, così, si chiacchiera, ci si diverte e poi
ci sono anche i fantasmi, perché no?
KATIA RICCIARELLI (Candida Meneghetti)
Sto bene come Candida Meneghetti, mi piace moltissimo, questo personaggio,
per altro è un personaggio che deve avere la mia età. E’
sicuramente perdente, però diciamo che sicuramente c’è un
fondo di patetico perché lei rappresenta un po’ tutti quegli attori,
insomma, considerati secondari, caratteristi che poi in fondo, spesso e
volentieri sono più bravi dei protagonisti.
Per noi cantanti è una cosa un po’ insolita quella di parlare.
Qualche volta ci succede in qualche opera di avere dei recitativi parlati
ma è rarissimo, invece qui c’è piuttosto… parecchio da fare.
La molla che mi ha fatto accettare è stata prima di tutto il
testo di Andrea Camilleri, poi la presenza di Marco Betta come musicista
e poi tutto il resto. La Scola, la Serra, una compagnia straordinaria,
il teatro che amo moltissimo. Poi, quando ho sentito la musica mi sono
detta: be’, tutto sommato avevo ragione, perché non è una
musica contemporanea che per ascoltarla ci vuole molta pazienza e per impararla
ce ne vuole veramente altrettanta.
ROCCO MORTELLITI
Quando scrivo qualcosa mi faccio accompagnare da un suono che ho in
testa e che comunque mi aiuta a trovare anche il ritmo della storia. Quando,
appunto, ho scritto questo libretto mi sono fatto la mia colonna sonora
del libretto che poi ho comunicato al compositore Marco Betta che lo ha
sviluppato, me lo ha rimandato e ho ritrovato un’altra cosa, giustamente.
Adesso io, mentre faccio il regista non mi rendo conto che quest’opera
è partita da un racconto di Camilleri, poi l’ho trasformata in libretto
poi è stata musicata. Mi è tornata una cosa che ha una sua,
come dire, una sua fattura e io dirigo questa cosa che forse non
conosco… paradossalmente è così, anzi, mi sono distaccato
moltissimo dall’autore, adesso sono il regista che mette in piedi un’opera
che ha una sua forza, una sua vitalità, la sua musica.
VINCENZO LA SCOLA (Cecè Collura)
Il rapporto che si crea, diciamo, tra la Candida Meneghetti e Cecè
Collura è un rapporto sicuramente di sfida, anche se la Candida
Meneghetti cerca di creare una situazione facile da risolvere perché
pensa che il commissario di bordo sia un personaggio qualunque della nave.
In realtà ha la sfortuna di imbattersi in un vero Commissario di
Polizia che sin dalle prime battute non le crede assolutamente, se non
altro per la panzana così grande del fatto di poter vedere un fantasma,
una cosa che realmente nessuno vuole credere.
La cosa più importante è che io personalmente, Vincenzo
La Scola, mi sto divertendo da morire, sto facendo una cosa totalmente
nuova che è legata alla recitazione, alla gestualità non
abituale che si può avere all’interno di un’opera e sto lavorando
col regista che mi sta dando dei grandissimi suggerimenti anche per il
resto della mia carriera e sto facendo una specie di stacco da quella che
è l’opera tradizionale che, per un cantante come me che oramai canta
da parecchi anni, può significare anche una ricarica delle batterie.
MARCO BETTA (Musicista)
Credo che l’opera che abbiamo scritto sia un ‘opera che in qualche
modo ha una malinconia leggera e una leggera ironia e questo secondo me
era in qualche modo il clima emozionale che volevo organizzare all’interno
di quest’opera. Questo clima poi, in realtà, per una coincidenza
straordinaria, come sempre avviene nelle cose dell’arte, è stato
un clima che poi alla fine abbiamo scoperto volevamo tutti.
Oggi l’opera, comunque, ha la necessità di avere un ritmo teatrale
che in qualche modo corrisponde al ritmo della nostra vita. Io penso che
qualsiasi opera d’arte è il risultato anche della sensazione del
tipo di vita che un popolo conduce o tutti conduciamo oggi.
ANDREA CAMILLERI
Una pagina scritta è come il bilancino di un farmacista dei
vecchi tempi, quando facevano le polverine, quindi è tutto un problema,
per me, di lettura e rilettura della pagina scritta alla scoperta dell’equilibrio
del personaggio, della sua valenza in funzione di altre valenze. Diciamo
che è un fatto musicale, è un fatto di proporzione, di tempi
all’interno di altri tempi più generali. Nel ritmo di una pagina
c’è un rapporto diretto con la musica, io mi accorgo immediatamente
quando sono fuori ritmo. Quando ho bisogno, come un direttore d’orchestra,
di dire ai mie personaggi “Fermi, c’è qualche cosa che non funziona…
voi state rallentando, voi state andando un po’ troppo avanti.” E’ una
cosa di sensibilità molto difficile a spiegarsi a parole.
KATIA RICCIARELLI
Vive con pochi soldi di pensione al mese e quindi ha accettato di fare
questa cosa, questa messinscena per prendere dei soldi, per danneggiare
la compagnia diciamo armatrice, e la concorrenza ha pagato per danneggiare
l’immagine di questa compagnia. Quindi lei ha preso tanti soldi, si è
comperata tutto… camicie da notte… io non ne ho mai avuto una così
nella mia vita, comunque… Però poi alla fine, insomma, da questo
commissario Cecè Collura viene smascherata e allora lì c’è
questa specie di morale, di cosa che lei dice, che quando si parla degli
attori, subito in generale si pensa a Hollywood alle stars, ma invece poi
c’è tutta un’altra faccia della moneta che poi è quella che
sappiamo, che non sempre è così…
VINCENZO LA SCOLA
Cecè è tutt’e due. All’inizio è spietato, soprattutto
quando si cerca di fregarlo in maniera così stupida e plateale,
però subito dopo è molto paterno perché consente alla
signora Meneghetti di continuare la crociera, consente anche di mettere
a tacere, diciamo, tutto il polverone che si è creato nella compagnia
armatrice.
Io dico che con quest’esperienza francamente l’idea di fare l’attore
non mi dispiace, o almeno di trovare orizzonti nuovi e in quest’opera dove
la recitazione è praticamente privilegiata rispetto al canto stesso
ho scoperto una nuova faccia di me stesso grazie all’intervento, ovviamente,
di Rocco Mortelliti che è un fantastico regista di cinema e di teatro
e… francamente, è un’idea che sto accarezzando.
ROCCO MORTELLITI
Io non conosco i critici, quindi non saprei proprio, deve funzionare
un meccanismo, uno spettacolo, una macchina, non una musica singola. Se
la musica si sposa bene con l’azione, con quello che si sta raccontando
e come si sta raccontando io credo che questa sia la cosa migliore.
ANDREA CAMILLERI
Che cosa spera uno, che cosa pensa quando vede un suo personaggio diventare
un’altra cosa? Eh, questo è importante, perché fin quando
il personaggio è sulla pagina si affida alla lettura del singolo.
Diciamo che io l’ho scritto sul mio computer, la casa editrice l’ha stampato,
il libraio ha comprato il libro ma questi mediatori non alterano minimamente
il rapporto tra me e il mio lettore. Diverso è il caso nel momento
nel quale il mio lavoro viene trasferito in televisione o viene adattato
come opera lirica. Io mi trovo in una posizione privilegiata cioè
a dire la posizione di chi avendo fatto per lunghi –troppi- anni il regista
sa che il “tradimento” dell’opera scritta è indispensabile perché
funzioni il trasferimento, tanto in televisione quanto in cd-rom, come
ho già visto, quanto in fumetto, perché è già
accaduto tutto, mi manca solo che Cecè Collura canti… Va benissimo,
lo attendo con una curiosità immensa.
Tele +, 14.1.2003
INN News
PRIMAFILA: Camilleri e il successo del commissario Montalbano
Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri è ospite della rubrica
di spettacolo Primafila di INN (www.inn.tv),
il canale all news del Gruppo Sitcom. Un faccia a faccia in cui Camilleri
parla del successo televisivo della serie sul commissario Montalbano, confessando
di non avere il pieno controllo del personaggio.
Lo scrittore attacca anche la Rai: "Il successo della serie televisiva
di Montalbano - dice - sta a dimostrare che la domanda di buoni prodotti
c'è, ma che non esiste un'offerta adeguata. La vera differenza tra
gli sceneggiati di un tempo e la maggior parte della fiction di oggi -
continua Camilleri - è data dai testi, dalla base culturale che
si decideva di portare in tv. Non voglio fare la parte del vecchio che
dice che una volta era meglio, ma una volta la Rai faceva cultura attraverso
le trasmissioni di varietà e di prosa senza bisogno di pensare a
programmi dedicati alla cultura".
Giovedì 16 gennaio ore 20.35
Il Nuovo, 14.1.2003
Il 2002 è l'"anno della Fallaci" Lo dicono le tirature de La rabbia e l'orgoglio, le più alte
in Italia durante l'anno appena conclusosi. Tra gli altri autori bestseller
Camilleri e la Allende.
ROMA - E' La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci il libro più
venduto in Italia nel corso del 2002. Lo ha stabilito un'analisi delle
rilevazioni del Cirm condotta da Giuseppe Gallo per l'almanacco Tirature
2002, edito dal Saggiatore. Seguono La paura di Montalbano di Andrea Camilleri
e Ritratto di seppia di Isabel Allende. L'almanacco prende in considerazione
le vendite dall'autunno 2001 fino a tutta l'estate 2002. Mancano quindi
i dati relativi all'ultimo quadrimestre.
Ma il pamphlet della giornalista-scrittrice è di gran lunga
il best-seller italiano del 2002 (1.366 punti nella rilevazione statistica
Cirm contro i 950 e 844 di Camilleri e della Allende). Significativo comunque
che quest'anno cinque dei dieci titoli best seller siano di autore italiano
e 11 tra i primi venti, a dimostrare una tenuta generale davanti alla concorrenza
straniera e americana in particolare.
Con la Fallaci e Camilleri ci sono poi Flavio Oreglio con Il momento
è catartico (810 punti) e, a seguire, Lettere contro la guerra di
Tiziano Terzani (671) e ancora Camilleri con Il re di Girgenti (579).
[...]
E' pronto il programma della stagione teatrale 2003 del «Regina
Margherita» di Racalmuto. Si comincia con «Giuro di dire la
verità» con Sabina Guzzanti; si proseguirà con il concerto
del tenore Vincenzo La Scola (che si è esibito per il concerto di
Capodanno alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi),
ed ancora «La chiave dell'ascensore» con Ida Carrara per la
regia di Guglielmo Ferro; Concerto Fotogramma di Nicola Piovani, «Un
omaggio a Turi Ferro» con il concerto multimediale di Massimiliano
Pace denominato «Experienza», «La Controversia liparitiana»
che è la prima produzione del teatro racalmutese per la regia di
Gaetano De Pasquale.
Slitta però nuovamente la riapertura dello stesso teatro prevista
per sabato prossimo 18 gennaio. L'apertura della struttura, dopo una opera
ventennale di ristrutturazione avverrà a metà febbraio forse
per consentire al Presidente della Repubblica Ciampi, che il prossimo mese
sarà ad Agrigento, di inaugurarlo così come avvenne per il
teatro «Luigi Pirandello» di Agrigento nel 1995 alla presenza
dell'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Ma ufficialmente
non c'è ancora nulla. Anzi il sindaco di Racalmuto, Gigì
Restivo ha comunicato che lo slittamento della data di inaugurazione si
è reso necessario per ultimare il look alla struttura teatrale e
per consentire di organizzare al meglio la cerimonia di inaugurazione al
quale interverrà naturalmente il direttore artistico, Andrea Camilleri,
assieme ad altri artisti teatrali di primo piano del panorama italiano.
Una piccola speranza per potere contare anche sulla presenza di Luca Zingaretti
che interpreta per la tv il Commissario Salvo Montalbano nato proprio dalla
penna di Camilleri. L'artista sabato prossimo non poteva esserci per impegni
di lavoro. A giorni intanto partirà il primo corso di avviamento
al teatro per tecnici, organizzatori, attori e maestranze teatrali, ma
il fiore all'occhiello del teatro è rappresentato dal bandi di concorso
premio di Drammaturgia dedicato alla memoria di Leonardo Sciascia. Per
il vincitore la possibilità di mettere in scena al «Margherita»
l'opera composta.
Gaetano Ravanà
La Repubblica
(ed. di Palermo), 15.1.2003
Il regista sta lavorando alla sceneggiatura assieme allo scrittore-poliziotto
palermitano
Preferisco il rumore dell´isola Di Cara: "Calopresti trasforma il mio libro in film"
"Isola nera", il romanzo del commissario di polizia palermitano Pier
Giorgio Di Cara pubblicato lo scorso anno dalla e/o, sta per diventare
un film per mano del regista Mimmo Calopresti. Ambientato nell´isola
di Linosa (Lipanusa nel libro), il noir di Di Cara racconta la storia di
uno «sbirro», Salvo Riccobono che, ferito in un agguato mafioso,
decide di trascorrere la convalescenza in compagnia dell´amico medico
Mario in una piccola isola vulcanica, teatro di un misterioso omicidio
quasi subito liquidato come incidente. Ma che piega prenderà il
romanzo di Di Cara, nell´immaginario di un regista colto e raffinato
come Mimmo Calopresti?
Appartenente alla «cordata» di Nanni Moretti, Colapresti,
recentemente impostosi all´attenzione del pubblico e della critica
col suo "Preferisco il rumore del mare", assieme allo stesso Di Cara e
a Heidrun Schleef, sta lavorando alla sceneggiatura con vero entusiasmo:
«Lui è molto contento -confida il commissario - ma io sono
curioso di sapere come renderà sullo schermo la mia storia. Mimmo
non si è mai cimentato nel genere poliziesco. È un regista
intimista, e sicuramente non girerà un film noir. Mi ha detto che
punterà essenzialmente sul dialogo interiore del protagonista, dal
quale viene fuori un´idea di Sud alla Salvatores. E poi è
importante che un autore come lui, dalla forte connotazione ideologica,
scelga come protagonista un poliziotto per raccontare il suo punto di vista
sul mondo».
Il film verrà prodotto dalla "Bianca film". Intanto, "Isola
nera", presentato lo scorso anno alla Fiera del libro di Torino, entro
dicembre verrà tradotto in francese da Serge Quadruppani, il traduttore
di Camilleri, e pubblicato dalla casa editrice Metailie; l´anno prossimo,
invece, varcherà i confini editoriali tedeschi. Ma Pier Giorgio
Di Cara, nel frattempo, non si è fermato; da Siderno, in Calabria,
dove si occupa del reparto prevenzione crimine, fa sapere che ha già
ultimato il suo nuovo romanzo, che si intitolerà "Un´assurda
parrucca bionda" e che quasi sicuramente verrà pubblicato dalla
e/o. «Questa volta - spiega Di Cara - tornerò all´ambientazione
metropolitana; niente isole dunque, ma una città che all´inizio
del libro è sconvolta da un attentato a un giudice. Sarà
un romanzo più violento, più frenetico; in una parola, si
tratterà di una storia da squadra mobile, con tanto di sigarette,
appostamenti, scazzottate, nella quale verrà raccontato l´antefatto
di "Isola nera", ossia il ferimento di Salvo Riccobono». L´impianto
narrativo, come quello del primo romanzo, si poggerà sulla prima
persona, quella del protagonista, che però ad un certo momento subirà
uno slittamento, passando così dall´italiano borghese di Riccobono
a quello «palermitanizzato», zeppo di allusioni, del rivale,
il malavitoso braccato.
Tra commissari veri e finti, vien fuori che Zingaretti-Montalbano è
un amico di Di Cara. «Lui è un mio fan - confessa Di Cara
- e in uno degli ultimi sceneggiati televisivi, quello che vede l´omicidio
del vecchio cieco Enea Silvio Piccolomini, mi ha voluto fare un omaggio.
Verso la fine, a un tizio arrestato perché scommetteva su cani da
combattimento, Montalbano intima "Cammina, stronzo!", citando il titolo
della mia raccolta di racconti».
Salvatore Ferlita
Il
Piccolo, 15.1.2003
Dall’estate dell’anno scorso si era messo a lavorare contemporaneamente
su tre opere diverse
Sfidava il tempo con sempre nuovi libri Le lezioni di Napoli, una riflessione sul linguaggio e sugli amati
gialli
Quando parlava di libri, Giuseppe Petronio riusciva a fermare il tempo.
[...]
Petronio era disposto a confessare ancora che un nuovo «Punto
sul giallo» l’avrebbe messo assieme volentieri. Perchè le
idee su questo genere, messe in giro da studiosi frettolosi, e per nulla
attendibili, hanno finito per creare un gran polverone. «Si pretende
di cacciare dentro un gran calderone Agatha Christie e Andrea Camilleri,
Georges Simenon e Carlo Lucarelli». Lui, che alla «trivialliteratur»,
alla letteratura di massa e di consumo aveva dedicato studi approfonditi,
convegni ribollenti di contrapposizioni e convergenze metodologiche, articoli
densi di indicazioni, non ci stava a snocciolare parole a vanvera.
I gialli, Petronio, non solo si divertiva a leggerli. Ma era sempre
pronto a discuterne, a difendere il loro diritto di esistere dentro i confini
della letteratura «alta». Non esitava a confessare che, dopo
aver navigato tra libri pretenziosi di scrittori contemporanei e saggi
zoppicanti di studiosi paludati, preferiva tirare fuori dalla libreria
di casa un succulento, vecchio libro di Georges Simenon e concludere la
serata in sua compagnia.
«Il giallo non è un’invenzione dei nostri giorni - spiegava
-. E con deve stupire nemmeno se scrittori di grande prestigio dedicano
di usare le forme narrative della ”detective novel” per scrivere libri
”alti”. Non dobbiamo dimenticare che Edgar Allan Poe, uno dei grandi della
letteratura americana, per tutta la vita ha continuato a inventare storie
misteriose e fantastiche. E lo stesso Carlo Emilio Gadda ha concepito il
suo ”Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” come un giallo».
[...]
Alessandro Mezzena Lona
Ad ogni puntata decine di nuovi contatti. Il commissario Montalbano
interpretato da Zingaretti fa girare all'impazzata il contatore del sito
vigata.org.
Ovvero il luogo della Rete dove si incontrano i membri del "Camilleri
fans club", nato a Palermo ma ormai con soci in tutto il mondo.
Loro, però, gli ideatori del sito, vedono i telefilm con un
occhio un po' distante, anche perché la loro passione è nata
in tempi non sospetti, 5 anni fa, e soprattutto dall'amore per l'autore
di romanzi.
La
città di Salerno, 16.1.2003
Andrea Camilleri: ''Le inchieste del commissario Collura'' - Edizioni
Libreria dell'Orso - 96 pagine
Un commissario in mare Dalla penna di Camilleri ecco Cecè Collura
Andrea Camilleri è davvero incontenibile. Nella stagione in cui
il commissario Montalbano compare un pò dovunque (fiction, repliche,
libri, fumetti, racconti, romanzi, dischi, antologie, opere liriche) ecco
che spunta un nuovo investigatore anch'esso immaginato dall'abile e fantasioso
scrittore siciliano: si chiama Vincenzo Cecè Collura ed è
come l'altro commissario. Collura non naviga soltanto tra le debolezze
e gli enigmi della vita siciliana come fa Montalbano. Lui naviga davvero:
indaga infatti su una nave, lui uomo di terra che si è imbarcato
solo per rimettersi in salute dopo essere stato ferito in una sparatoria.
Più che l'ennesima, gradevolissima invenzione di Andrea Camilleri,
le avventure del commissario Collura risultano essere una sorta di risarcimento
verso questo personaggio, che si avvale per le sue inchieste di un aiutante
triestino simpatico e perspicace. Racconta l'autore che proprio Collura
avrebbe dovuto chiamarsi il celeberrimo Montalbano. Fu all'ultimo momento
l'ammirazione verso il giallista Vàzquez Montalbàn a far
battezzare da Camilleri Montalbano il suo eroe e non più Collura.
Ma l'affetto verso quel cognome siciliano Camilleri non l'ha dimenticato.
Così; quando nel 1998 La Stampa gli propose una collaborazione estiva,
lo scrittore ripescò dalla sua fantasia il commissario Collura,
lo fece imbarcare e in otto diverse indagini lo fece incontrare con gemelle
truffaldine, cantanti improbabili, gioielli scomparsi, cadaveri e bische.
Ora quei racconti formano un agile e piacevole volumetto intitolato ''Le
inchieste del commissario Collura''. E' un libro che si legge e si gusta
assai lestamente, sciogliendo enigmi ben costruiti e navigando tra parole
nuove e simpatie tutte meridionali.
m.d.l.
Avvenimenti, 17-23.1.2003
Andrea Camilleri
La mia Sicilia La rabbia di Termini Imerese, la mafia Spa, il Ponte sullo Stretto,
la Primavera che non c'è più. Il grande scrittore racconta
la sua isola
Andrea Camilleri, la Sicilia. Da dove vogliamo incominciare? Vorrei cominciare a parlare di un problema così vivo in questi
giorni: la situazione di termini Imerese. L'altra sera ho visto in televisione
un documentario Rai girato, la notte di Natale, in una sorta di tendone
davanti alla fabbrica. C'era un gruppo di volontari che preparava da mangiare
quello che altrove, manon lì, viene chiamato il cenone. Mi ha colpito
molto l'accento toscano di questi volontari che passavano il Natale fuori
dalle loro case. Anche il vescovo di Palermo, De Giorgi, aveva portato
il suo saluto, la sua testimonianza in quella giornata particolare che
è il Natale.
Il documentario mi ha ricordato una trasmissione che feci tanti anni
fa, si chiamava Natale è un giorno: andai ad intervistare
degli ergastolani, delle prostitute, dei mendicanti che dormivano nei cartoni,
e trovai in loro una sorta di rassegnata disperazione. Quello che invece
mi ha colpito l'altra sera guardando la televisione era l'assenza di disperazione
ed invece una profondissima preoccupazione, cosa assai diversa. Non si
trattava, per usare un termine osceno, di gente non più "riciclabile"
ma di gente pronta, che vuole essere "riciclata", ma non nei modi o nei
termini appunto osceni usati da alcuni rappresentanti del governo quando
hanno detto che questi operai potevano essere riutilizzati facendo gli
infermieri o lavorando in nero. Ho visto persone che vogliono tornare a
fare il lavoro che hanno sempre fatto, quello di operai. Bisogna capire
che chiudere Termini Imerese non è lo stesso che chiudere una grande
fabbrica del Nord. In una fabbrica del Nord l'indotto può essere
trasformabile, in Sicilia no. Chiudendo Termini Imerese non si arresta
un momento di lavoro ma si arretra nel tempo. Quindi questo danno della
Fiat, che riguarda tutta l'Italia, è più danno, se così
si può dire, nella regione siciliana.
Dove le condizioni di vita erano già di per sé non
buone, anche con la fabbrica aperta. Figurarsi ora. Certamente. Questo dovrebbe preoccuparci, e non solo per un interesse
elettoralistico. Questa gente si sente tradita: dalla fabbrica, dalla politica.
Si sente abbandonata da chi non ha saputo far fronte a questa situazione.
E` gente che in uno scatto di rabbia ha appeso all'albero di Natale la
lettera di licenziamento, cosa che mi sembra giustissima e ha pure stracciato
le tessere elettorali. E sempre più si aggrava il divario tra il
cittadino comune e la politica, che già in Sicilia molto ampio.
Tutto questo, in genere, comporta dei rigurgiti orrendi, comporta per esempio
di sentire pronunciare di nuovo, e non mi riferisco a quelli di Termini
Imerese, la frase: "La mafia dava lavoro". Anche un appartamento da svaligiare
dà lavoro. Al ladro.
La mafia è profondamente inserita dentro la politica degli appalti,
le opere pubbliche, ma è chiaro che tu puoi agire sulla proprietà
privata del mafioso. Sequestrandola, riconvertendola, dandola a giovani
che hanno voglia di fare. A me certe volte pare che la lotta alla mafia
non viene condotta con l'accortezza che ci vorrebbe, non dico da parte
dei magistrati, che fanno il loro dovere, anzi fanno più del loro
dovere, ma da parte dello Stato. E` come, tanto per fare un esempio, per
la legge Basaglia: giustissima la chiusura dei manicomi, dopo di che non
sapevamo dove sistemare questi poveri pazzi, perché non fu contestuale
la creazione di una struttura o di una qualche cosa di equivalente che
non fosse più un manicomio, ma una civile struttura d'accoglienza.
Mi sembra che ci troviamo nella stessa situazione: se è vero che
la mafia produce cattivo lavoro, è altrettanto vero che non si può
eliminare il cattivo lavoro senza crearne, contestualmente, di nuovo. Altrimenti
hanno buon gioco i mafiosi a entrare nel sistema. Indirettamente la chiusura
di Termini Imerese, per chiudere il cerchio di questo ragionamento, è
un bel favore alla mafia: le fa un gioco meraviglioso.
Ora io sento che si vivono molte situazioni di disagio nelle piccole
industrie in Sicilia, ma allora ci sono delle altre cose che onestamente
non mi spiego. Intendo dire che un signore che si chiama Zonin, e che produce
vino, è venuto dal suo veneto in Sicilia, si è comprato non
so quanto terreno in Sicilia e produce vino Zonin in Sicilia. Fa lavorare
delle persone, ha dichiarato che si trova benissimo e non crede, come Andrea
Pininfarina, che la Sicilia sia una terra da Far West. Pensa, invece, che
i delinquenti siano dovunque e che le persone perbene siano altrettanto
ovunque. Quindi cos'è mancato, anche con i governi precedenti, sia
detto per onestà? E` mancata quella giusta incentivazione, vera,
che si doveva fare - ma quando potevamo farla, quando eravamo fuori dall'Europa?
Nessuno può pretendere che ancora esista un'immigrazione interna
dove si chiede all'uomo del Sud, e non solo al siciliano, di spostarsi
al Nord, pagare un affitto a Milano, sopravvivere e, in più, di
mandare i soldi a casa. Quelli del Nord si rendono conto della necessità
di immigrati extracomunitari, però? ci sono anche quelli che non
se ne rendono conto e fanno una politica non poco cristiana, ma proprio
anticristiana. Ci abbiamo messo un po' di tempo a scoprire che non contano
le differenze di colore della pelle, che non contano le differenze di nessun
genere, poi però le differenze saltano fuori quando sei alla porta
di casa mia.
Adesso non sono i siciliani ad essere alla porta di casa dei settentrionali,
ma i disperati del Terzo mondo sulle coste dell'isola. Come reagiscono
in Sicilia? Io amo e odio la Sicilia, come è giusto e doveroso. Ma ci trovo
anche degli esempi meravigliosi. Tanti anni fa, per un documentario Rai,
andai a Mazara del Vallo, dove si impiegava la manodopera maghrebina. Il
documentario, in realtà, verteva sul gasdotto che partiva dall'Africa
e andava a finire a Mazara. E lì trovai una prima comunità
di quattro o cinquemila maghrebini, che si erano creati un loro spazio,
con le loro case, i loro bagni, fumerie, benissimo tollerati dalla popolazione
locale. Non abbiamo mai letto sui giornali che fossero scoppiati incidenti
a Mazara del Vallo,anche se poi sono diventati migliaia. Insomma lì
mi capita un caso che racconto come un aneddoto: a un certo punto mi dissero
che in una scuola un illuminato direttore didattico aveva concesso due
aule ai figli dei tunisini perché potessero studiare. Allora mi
precipitai con l'operatore e trovai due classi con dei maestri che scrivevano
in arabo su una lavagna, e ragazzini di cinque-sei anni, anche loro arabi.
Cominciai a dire all'operatore "vai dentro e gira". Ma arrivò trafelato
il direttore didattico: "Per carità dottor Camilleri, per carità,
io l'ho fatto di nascosto, non ho l'autorizzazione del provveditorato,
non ho nessuna autorizzazione, ma questi poveri disgraziati dove andavano
a studiare? Non ho le carte in regola, se lo vengono a sapere mi fanno
chiudere immediatamente". Io capii la delicatezza della questione e dissi
all'operatore "stop, fermati, non girare", e promisi al direttore che non
avrei utilizzato quelle immagini. Allora forse per darmi un contentino,
il direttore mi disse: "Perché non li riprende all'uscita? E' così
bello quando fraternizzano". Mi misi all'uscita e registrai. Quando arrivai
a Roma per montare il documentario, la montatrice, una romanaccia, mi disse:
"Ahò ma 'ste immagini nun se capisce gnente". Ma perché?
"Ma perché non riesco a distingue quali so' gli siciliani dalli
tunisini". Non potemmo utilizzare quella scena perché il colore
della pelle era lo stesso.
Anche quando c'è stata quella disgrazia dei morti a Porto Empedocle,
quelli della nave piena di poveracci affondata tempo fa - la sapevano tutti
i pescatori e la ignoravano Roma - c'è stata la cerimonia funebre
in un paese che si chiama Canicattì. L'ha officiata un prete cattolico,
ma c'era anche l'imam che assisteva e a un certo punto ha fatto anche lui
la sua cosa, c'era tutta la popolazione. La Sicilia come la Puglia, è
curioso, eh? In Puglia ne sono arrivati tanti, anche lì la popolazione
ha retto l'urto e lo stesso sta avvenendo in Sicilia ora che la rotta di
questi disperati è cambiata.
Tornando alla questione industriale, la vecchia opzione di una Sicilia
e di un Sud votati prevalentemente al turismo non è di nuovo attuale
al punto da costituire una possibile salvezza? La Sicilia deve avere le industrie che deve avere, mica deve diventare
Boston. Il problema della Sicilia é anche di infrastrutture. La
situazione é spaventosa. Per esempio, il trasporto su gomma si fa
su strade inesistenti, ce ne sono due sole che tagliano l'isola, la Palermo-Catania
e la Palermo-Agrigento, che è una strada a scorrimento veloce a
tre corsie dove l'incidente è quotidiano; mentre la Messina-Palermo
è ancora incompleta. Se tu vuoi andare da Porto Empedocle a Catania,
devi raggiungere Caltanissetta, immetterti sulla scorrimento veloce Enna-Catania
e lì arrivare a Catania. Ma se vuoi andare a Siracusa o a Ragusa,
ti cominciano i guai, perché non esiste una strada che taglia. E
i treni? non ne parliamo di quello che sono i treni. Ci puoi mettere anche
sei ore a percorrere pochi chilometri. Non sto esagerando, un viaggiatore
che desidera girare la Sicilia in treno può anche impazzire.
Quando mi si chiede: "Ma tu sei favorevole al ponte sullo Stretto?",
io rispondo che sono sempre stato favorevole. Però siccome la questione
è tornata fuori ora con Berlusconi la cosa mi scoccia, ma devo dire
che da quando c'è stato un signore che si chiama Nino Calarco, che
dirige la "Gazzetta del Sud" (il quotidiano di Messina e della Calabria,
NdR) e si è fatto carico di cominciare ad agitare questa faccenda
del Ponte ho pensato: perché no? Rimanendo poi sbalordito da affermazioni,
per esempio, di Bertinotti o dello stesso Cofferati, che dicevano: si finisce
per dare un incentivo alla mafia. Allora non facciamo più niente
in Sicilia, perché con qualsiasi opera pubblica si dà un
incentivo alla mafia. Si controlla invece, si fa in modo che la mafia non
entri in questi appalti, e si fanno le cose necessarie. Io ho sempre detto
a proposito del Ponte: ben venga se é fattibile, parlo di fattibilità
geologica, questo è il dubbio mio che non mi fa, per usare una frase
cara al Cavaliere, scendere più decisamente in campo. Ha visto che
succede con i terremoti da quelle parti? Io voglio, non dico sicurezza
al mille per mille, perché non si avrà mai con qualsiasi
manifattura, però novecentonovanta su mille me la si deve dare.
Poi uno dice: che te ne fai del ponte se ti mancano le ferrovie? Allora
io credo che in Italia si deve ragionare in un altro modo, come con il
porto di Gioia Tauro, sul quale si fecero centoventisettemila polemiche
dicendo che é un porto nel nulla, eccetera eccetera. Fatto il porto,
hanno costruito le strade, in quanto l'opera era talmente importante che
non si poteva lasciar morire. Oggi è un porto per i portacontainer
straordinario. Dunque? Forse bisogna procedere come si è proceduto
con l'Europa. Prima la facciamo bancaria, l'Europa, poi vediamo di trovare
le idee comuni. In più il Ponte viene a spazzare via il concetto
di sicilitudine o almeno gli dà un gran bel colpo. Perché
c'è un certo compiacimento nella sicilitudine, no?, quest'isolamento
per cui si può piangere sulla spalla degli altri e si può
dire al governo italiano, no, allo Stato per l'amor del cielo, vieni a
tenerci compagnia, non ci abbandonare, noi siamo soli. Ma noi siciliani
abbiamo avuto, dopo il separatismo, un'autonomia regionale che Bossi se
la sogna. E' anche colpa dei siciliani che non hanno saputo per niente
adoperare la loro autonomia. Come nelle altre regioni autonome, in Sicilia
ci potevano essere industrie e fabbriche che potevano essere fatte e non
sono state fatte. Il governo autonomo siciliano è diventato una
sorta di spenditore di se stesso.
Sarà una banalità, però l'elemento mafioso
conta nella valutazione di ciò che Þ stato fatto oppure reso
impossibile. Per quanto riguarda mafia e politica non è un argomento nuovo
in Sicilia. La mafia -un minimo di storia facciamola- ebbe una legittimazione
politica dagli americani che, quando arrivarono nel '43, misero a sindaco
di vari paesi dei mafiosi notori che col fascismo erano, come dicono i
massoni, "in sonno". Quando sorse il movimento separatista, la mafia confluì
tutta nel separatismo siciliano. Dunque non confluì subito nella
Democrazia cristiana. Fu dopo, quando il separatismo finì, che centomila
voti si trovarono a vagare e ci fu una dignitosa presa di posizione di
alcuni esponenti dc che videro il pericolo di questo inquinamento. Mi riferisco,
per esempio, al tuttora vivo e vegeto, quasi centenario, onorevole Giuseppe
Alessi, il quale dichiarò proprio per iscritto che accettare certe
persone significava rischio di infiltrazione mafiosa. Alessi chiese l'iscrizione
di queste persone alla Dc previa valutazione singola e invece arrivarono
nel partito interi collegi elettorali, Alessi andò in minoranza
e buona sera. Da allora c'è stata sempre questa connivenza. Ora,
sostenere la proposizione "dire Democrazia cristiana è dire mafia"
mi sembra francamente un eccesso che non mi sento di avallare, arrivato
all'età di anni settantasette. Ho avuto degli amici democristiani
-io non lo sono mai stato, non ho mai votato Dc in vita mia- che mafiosi
non erano, anche se ricoprivano cariche pubbliche. Avevano una doppia responsabilità:
quella politica e quella di non legarsi alla mafia. Bisognava essere molto
bravi e abili, sapere navigare molto bene. Erano delle persone oneste.
Certo che la scorciatoia, la via più facile, è quella di
ricevere voti dalla mafia.
Io credo che la mafia è immortale, se combattuta con i mezzi
che si usano di solito. Come i direttori generali dei ministeri. I ministri
passano e loro restano. Allora: la mafia ha visto passare i separatisti,
ha visto passare la Democrazia cristiana e ora sta vedendo passare Forza
Italia. Le altre sigle sono cambiate, la sigla "mafia" rimane lì.
E allora per non dire che è eterna, si può dire almeno che
dura più a lungo delle altre. Anche qui però non bisogna
commettere l'errore di pensare che quello della destra, che ha avuto sessantuno
deputati a zero, sia tutto voto mafioso. Sennò in Sicilia saremmo
dominati dalla mafia. Quei parlamentari non sono stati eletti tutti dalla
mafia -che controllerà due o tre collegi- e attribuirle questo successo
è un errore di valutazione che può avere conseguenze gravi,
perché questo successo fa parte di un disagio più grosso.
E' disagio sociale, è disagio economico. I siciliani da un lato
hanno sperato nell'innovazione di Forza Italia. Dall'altro, nel momento
in cui vanno ad analizzare i voti, Forza Italia non è spesso e volentieri
la prima forza politica nei paesi siciliani. Le prime sono Ccd e Cdu, cioè
formazioni democristiane. Però dire "la Dc ha rivinto in Sicilia"
sarebbe un errore, come dire "la mafia ha vinto in Sicilia". Sarebbe un
errore, ma un errore meno grave del secondo.
Quando dico questo sistema di lotta non potrà mai battere la
mafia, lo dico a ragion veduta. Cioè a dire, questa mafia non è
un'astrazione -perché la tendenza è farla diventare un'astrazione-èÞ
persone, uomini, cose, soldi in banca, mariti, mogli. La grande scoperta
di Falcone e di Borsellino -che, non dimentichiamoci, sono siciliani che
ci hanno lasciato la pelle- è quella della Cupola. La lotta alla
mafia è stata così a lungo ritardata perché si trattava
di bande di malavitosi. La grande scoperta è stata di capire che
la Cupola è parte di una "mafia S.p.a.", una società per
azioni, con un consiglio di amministrazione che decide come muoversi, chi
appoggiare, che danneggiare. La mafia si muove come una normalissima multinazionale.
Una multinazionale con i mitra. Attenzione, con i mitra difendono l'orto. Come una normale multinazionale
la mafia ha un ufficio, che magari non si chiamerà come lo chiamo
io, ufficio ricerche di mercato. Perché si ammette che la Bayer
abbia un ufficio ricerche di sviluppo e mercato, e non pensa che ce l'abbia
una multinazionale spaventosa come la mafia? Benissimo. Noi non sappiamo
individuare l'equivalente dell'ufficio sviluppo in modo che le forze dello
Stato possano prevedere le mosse della mafia. Noi combattiamo sempre battaglie
di retroguardia, arrestiamo a cose finite, facciamo processi per fatti
già avvenuti e li facciamo a persone ormai "bruciate", che si possono
processare. La lotta che si sta svolgendo tra i mafiosi che sono all'interno
del carcere e quelli che sono fuori, è questa: i primi cominciano
a prendere coscienza di essere bruciati. Da qui la lotta contro il 41 bis.
Quelli che allo stadio di Palermo hanno esposto lo striscione contro il
41 bis, bah, quella è gente che se le dai centomila lire, ti ammazzano
un uomo, per dieci euro ti vanno a fare quello che vuoi. Non c'è
un mafioso fra quelli che portano lo striscione. Sono ragazzini incensurati
che si sono pagati la canna o la benzina per il motorino. I veri mafiosi
lavorano con le banche, con gli amministratori, con gente che maneggia
computer. E hanno capito che mentre prima c'era tutta la ritualità
dell'iniziazione, la famiglia, il rito di sangue, la santina bruciata e
tutte queste minchiate, ora manco si conoscono in faccia. Hanno la password
e si parlano attraverso i computer. E' questa la mafia che bisogna andare
a combattere. E sarà dura.
Proviamo a fare un po' di profezie. Come potrebbe essere il 2003
siciliano? Saperlo mi è impossibile. I termini sono troppo prossimi
rispetto ai recenti disagi, disgrazie e situazioni gravi. Non essendo uomo
di governo, non dispongo dell'ottimismo che mi si dice essere dovere di
un presidente del Consiglio. L'altra sera alla tv è stato detto
che è doveroso essere ottimisti. Io, alla gente che dice che è
doveroso essere ottimista, preferisco il ministro delle Finanze tedesco,
il quale il giorno stesso del suo insediamento dice: ragazzi, non ce la
faremo, stiamo andando incontro a una crisi spaventosa, rimbocchiamoci
le maniche. Preferisco quella gente a quelli che sorridono ottimisticamente
e poi ci troviamo tutti nella melma, per usare una gentile metafora. Quindi
non posso che essere pessimista. Però divento ottimista, diciamo,
sulla lunga durata e mi ricollego al discorso iniziale, cioè di
quella gente che stava nella tenda a Termini Imerese. Non erano disperati,
avevano una forza interiore che li salverà. Ho avuto questa impressione,
ce la faranno malgrado la politica, malgrado tutto.
Malgrado la primavera palermitana, l'orlandismo, le speranze di
risorgimento degli anni Novanta, sono definitivamente tramontate? L'orlandismo è fallito. Sono cose legate alla persona. Si tratta
di movimenti, di idee, legatissimi al carisma personale. Noi avevamo in
Sicilia due grandi sindaci, Orlando e Bianco. Allora si presume che, avendo
loro operato bene, ci sia poi un seguito al loro operare e invece non c'è.
Tutt'e due le città, Palermo e Catania, passano in mano a Forza
Italia. Questo significa che la loro, quella di Orlando e Bianco, è
stata un'azione personale, il loro carisma ha determinato un fenomeno.
Andati via loro, tutto implode.
Purtroppo così non si fa la Storia. No, così non si fa Storia, però dietro c'è stato
un pragmatismo molto serio di azione, molto pulito, molto onesto, ma non
una grande idea, non un grande orizzonte. Le cose sono state limitate alle
città di Palermo e Catania. E va benissimo, ma Orlando e Bianco
non hanno fatto Storia. Il grosso movimento dei sindaci, in cosa si è
risolto? In nulla. Non essendo più loro sindaci, loro e altri rappresentanti
del sud e del nord, è finito tutto. Questa è una cosa seria
perché non sto parlando di un fatto politico, sto parlando dell'essere
sindaci, che è uno dei dati positivi della Sicilia. Per esempio,
l'elezione diretta del sindaco ha portato in Sicilia ad una presa di coscienza
municipale che non avevamo mai avuto. Non solo con Orlando o con Bianco,
ma anche con sindaci di diverse parti politiche, che però assumevano
su di loro, in prima persona, la responsabilità. E si è potuto
dire: "Sai chistu, 'stu sinnicu... quant'è bellu comu misi a posto
u palazzu ca stava cadennu" (Sai questo, 'sto sindaco... quant'è
bello come ha messo a posto il palazzo che stava crollando). Prima ci andavi
a pisciare, ora te ne glori perché l'hanno aggiustato, è
tuo, perché è della comunità alla quale appartieni.
Questa è stata una grande cosa in Sicilia.
Prima ancora che scrittore, lei è un uomo di teatro. Il Teatro
Massimo di Palermo, uno dei più importanti d'Europa, ha preso come
testimonial di una sua campagna pubblicitaria Manuela Arcuri. Stiamo così
male quanto a vita culturale in Sicilia? La questione del teatro Massimo che si fa pubblicità con l'immagine
di Manuela Arcuri riguarda la cultura della vendita del prodotto, di cui
il nostro presidente del Consiglio è un alfiere. Lui ha detto ai
suoi ambasciatori che dovevano fare i venditori. E come si vende il prodotto?
Con le cosce e i nudi femminili. Per quanto riguarda il Massimo siamo nella
norma più abbietta. D'altro canto che cos'è che fa il gusto
oggi di un popolo poco acculturato come il nostro, quindi non soltanto
dei siciliani? E' la televisione. In un paese dove la tv di Stato ha finito
col cedere ed entrare in concorrenza con quella commerciale -che doveva
farsi i fatti suoi, ossia vendere il prodotto- abbiamo avuto un mostruoso
abbassamento generale del livello del gusto. Chi ha una certa età
si ricorda cosa erano i venerdì culturali di teatro della Rai.
Dunque sono un po' disperato per l'avvenire prossimo della cultura,
però devo dire che gli scrittori siciliani invece marciano che
è una meraviglia. Gli scrittori siciliani pare che prosperino, crescano
nelle situazioni di disagio. Più disagio c'è, meglio si trovano.
Dei grossi scrittori purtroppo c'è rimasto solo Vincenzo Consolo,
quindi consideriamolo un fuoriclasse e lì lui se ne sta. Fra i giovani
c'è gente come Giosuè Calaciura, per esempio, un grossissimo
scrittore che ha pubblicato due libri, "Malacarne" e "Sgobbo", un capolavoro.
Un altro delizioso scrittore è Santo Piazzese, poi c'è Roberto
Alajmo, autore del "Repertorio dei pazzi della città di Palermo"
e di un altro gran bel libro che è "Notizia del disastro". Voglio
dire, c'è gente brava. Poi il giornale "La Sicilia" di Catania pubblica
un inserto letterario straordinario, si chiama "Stylos", lo dirige Gianni
Bonina. Insomma in Sicilia c'è un inserto culturale vero, importante,
non limitato a fatti isolani. Sento vivacità, voglia di fare e questo
mi consola. Adesso, il 18 gennaio, vado a Racalmuto, il paese dove è
nato Sciascia, a inaugurare il teatro Regina Margherita. Lo riaprono e
mi hanno dato la direzione artistica, un teatro da trecentocinquanta posti,
una cosa bellissima.
Marcantonio Lucidi
La Sicilia, 17.1.2003
I premi «Racalmare» a Camilleri e Savatteri
Conferenza stampa oggi alle 10, presso la «Villa Athena»
di Agrigento, per presentare la quindicesima edizione del premio letterario
«Racalmare - Leonardo Sciascia, città di Grotte» che
si terrà domenica 19 gennaio a Grotte al Teatro «Marconi»
con inizio fissato per le 17,30.
All'incontro con i giornalisti interverrà anche il presidente
della Provincia regionale,Vincenzo Fontana, il Commissario straordinario
del comune grottese, Antonino La Mattina, e la giuria del premio. Quest'anno
i premiati saranno lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri, per i mezzi
di comunicazione ai giornalisti Gaetano Savatteri, del Tg5, e alla memoria
di Maria Grazia Cutuli, la cronista catanese inviata del «Corriere
della Sera» che perse la vita in un agguato in Afghanistan durante
la guerra tra i talebani e gli Usa.
G. R.
LUCCA — Il fantasma nella cabina, testo di Andrea Camilleri trasformato
libretto da Rocco Mortelliti e musicato da Marco Betta, è in crociera
dal 13 dicembre, giorno della sua prima assoluta al Teatro Donizetti di
Bergamo. Crociera vera o virtuale che sia (è anche la domanda che
chiude Il commissario di bordo, racconto breve da cui tutto ha origine),
Il fantasma nella cabina arriva domani sera al Teatro del Giglio di Lucca
nella sua unica data toscana.
Opera vera o virtuale? Comunque, un lavoro che propone «un'opera
che parte dalla tradizione lirica per sposare la scrittura contemporanea
e imprimere le suggestioni indissolubili della musica negli ascoltatori»,
come auspica Marco Betta, autore delle musiche. Il pubblico s'è
schierato con chi applaude; e se l'accusa più ricorrente è
l'eccesso di semplicità della scrittura musicale, («una musica
di tutto riposo con alcuni ariosi scopertamente pucciniani») e letteraria
(«libretto di versi sciocchini che fa ridere i piccini»), l'invito
a confrontarsi con lo spettacolo nella sua data toscana è, anch'esso,
scopertamente semplice. Anche perché a Lucca qualcosa si muove.
E, seppur non siano stati i protagonisti ad armare gli strali dei critici,
Vincenzo La Scola ripone le vesti del commissario di bordo e le affida
a Luca Canonici, mentre l'altra beniamina delle platee Katia Ricciarelli
lascia a Denia Mazzola il ruolo della passeggera che incontra il fantasma
del titolo dando il "la" all'intreccio giallo. Confermati Luciana Serra,
giornalista al soldo della compagnia armatrice; Fabio Previati, il Comandante;
Rocco Mortelliti, Rocco (è regista e genero di Camilleri); la cantante
Giorgia, impersonata da Paola Ghigo; l'Orchestra Donizetti col direttore
Aldo Sisillo e Italo Grassi, autore delle scene e dei costumi apprezzatissimi
da tutti. Poi a Lucca ci sarà anche Aldo Bennici, direttore artistico
dellAccademia Chigiana e committente di un dittico: Il mistero del finto
cantante e Che fine ha fatto la piccola Irene, che svilupperà ulteriormente
la tetralogia annunciata da Betta come forma compiuta del ciclo operistico
da Camilleri.
E a proposito del primo titolo del dittico pensate che il finto cantante
si svelerà essere un ex Primo ministro in cerca di nuovo pubblico.
Racconto scritto da Camilleri in un Paese dove un ex cantante è
oggi Primo ministro… Pensate.
David Toschi
Il commissario di bordo, per Camilleri, è il poliziotto incaricato
di tutelare la sicurezza dei passeggeri in crociera. Nella realtà
invece è il responsabile della gestione amministrativa della nave
e di tutti servizi. Sicurezza sì, quindi, ma anche pulizia degli
ambienti, gestione di ristorante, bar e, qualche volta, anche degli stipendi
dell'equipaggio.
LUCCA — La Stagione lirica del teatro del Giglio concluderà il
suo programma questo mese con la presentazione di due opere.
La prima (domani alle ore 21, replica il pomeriggio di domenica 19
alle ore 16,30) riguarda la prima assoluta dell'opera contemporanea di
Marco Betta «Il Fantasma nella cabina» che ha già avuto
il suo felice «battesimo» nel dicembre scorso al «Donizetti»
di Bergamo e presentata in questi giorni nei programmi televisivi di Rai
3. La seconda la settimana seguente (sabato 25 ore 21, replica il pomeriggio
successivo) con l'opera buffa di Offenbach «La belle Hélène».
Per quanto riguarda l'opera contemporanea va sottolineato che il libretto
è stato realizzato da Rocco Mortelliti, al quale è stata
affidata anche la regia, rifacendosi al racconto di Andrea Camilleri «Il
commissario di bordo». Non ci sarà il commissario Montalbano,
personaggio consueto nei gialli di Camilleri, ma il suo vice Cecè
Collura il quale, mandato in crociera a smaltire i postumi di una ferita
da arma da fuoco, scopre una tresca organizzata da una vecchia attrice,
pagata da una società armatrice concorrente, che asserisce di aver
visto un fantasma nella sua cabina.
Luogo predominante dell'opera sarà il salone di prima classe
della nave con tutti i personaggi che s'incontrano e interagiscono tra
loro. In questo continuo movimento assisteremo a continui cambiamenti di
scena (14 nel primo atto e 12 nel secondo) con la tecnica dei siparietti
tanti cari al teatro essenziale di Brecht al quale Betta e Mortelliti si
sono voluti rifare. I due autori definiscono questo lavoro «Opera
in un baule», quale erede di quella commedia dell'arte che i nostri
comici portavano in giro per l'Europa accompagnati solo da qualche valigia
e un baule. Tra i personaggi spiccano artisti del calibro di Vincenzo La
Scola e Katia Ricciarelli accanto a cantanti di valore come Luciana Serra,
Fabio Previati, Danilo Formaggia, Paola Ghigo, Leonardo De Lisi, Maurizio
Leoni. Sul podio Aldo Sisillo dirigerà la Fondazione Orchestra Gaetano
Donizetti di Bergamo ed il Coro del Circuito Lombardo preparato da Fulvio
Fogliazza. Le scene e i costumi sono stati disegnati da Italo Grassi. L'allestimento
è in coproduzione tra i teatri di Bergamo, Lucca, Modena, e Lecce.
Per informazioni e prenotazioni telefonare alla biglietteria del Teatro:
0583/467521.
Francesco Cipriano
La Gazzetta del
Sud, 17.1.2003
Film «Il commissario Montalbano» su Raiuno alle 20.55
«L'odore della notte» con Luca Zingaretti
Raiuno – «Il commissario Montalbano» in «L'odore della
notte». Il ragionier Emanuele Gargano (Leandro Amato), finanziere
truffaldino, scompare con i risparmi dei vecchietti e dei «picciotti»
della zona di Montelusa. Le indagini di Augello (Cesare Bocci) sembrano
arenarsi quando Montalbano (Luca Zingaretti) interroga Mariastella Cosentino
(Daniela Marazita), segretaria di Gargano, e scopre la verità. Esce
proprio oggi il cd della colonna sonora della quarta e quinta serie televisiva
del «Commissario Montalbano», dirette da Alberto Sironi e tratte
dai libri dello scrittore Andrea Camilleri. Il soundtrack originale dell'opera,
i cui editori musicali sono R.T.I. e Rai Trade, è stato scritto
e orchestrato dal maestro Franco Piersanti che per l'occasione ha diretto
la Check National Simphony Orchestra di Praga. Diciannove le tracce presenti
nel disco, per quasi ben 78 minuti di musica.
La Sicilia, 18.1.2003
Racalmuto
Andrea Camilleri in teatro per preparare l'inaugurazione
Stamattina è previsto al teatro «Regina Margherita»
un sopralluogo molto particolare: quello del direttore artistico della
struttura Andrea Camilleri che verrà accompagnato dal sindaco Gigi
Restivo.
Lo scrittore empedoclino potrà quindi constatare di persona
tutto il lavoro che è stato ultimato. L'apertura, dopo un'opera
di restauro che si è protratta per venti anni è prevista
a metà febbraio. Camilleri ha già preparato il calendario
della stagione che si concluderà a fine aprile dopo quindici appuntamenti.
Proprio nei giorni scorsi nella casa romana dello scrittore si era tenuta
una seduta del Consiglio d'amministrazione del teatro per preparare in
dettaglio la cerimonia di apertura del «Regina Margherita»
che in un primo momento doveva inaugurarsi oggi.
Come ha avuto modo di ripetere il sindaco Restivo il nuovo rinvio della
riapertura del teatro si è resa indispensabile per ultimare gli
ultimi ritocchi alla struttura. Ma è possibile che grazie a questo
nuovo rinvio ad inaugurare il teatro sarà il Presidente della Repubblica,
Carlo Azeglio Ciampi, che a febbraio sarà proprio in visita ad Agrigento
per due giorni.
Camilleri sarà accolto stamani al Comune direttamente dagli
amministratori e poi dopo avere messo a punto le ultime cose per l'inaugurazione
la comitiva si trasferirà al «Regina Margherita»; nel
pomeriggio poi lo scrittore andrà a ritirare il premio «Racalmare»
a Grotte prima di ripartire per Roma.
Gaetano Ravanà
Domani i premi Racalmare
Tutto pronto per la quindicesima edizione del premio «Racalmare
Leonardo Sciascia - Città di Grotte» in programma domani alle
ore 17 al Teatro «Marconi» del centro agrigentino. La manifestazione
è stata presentata ieri mattina alla presenza del presidente della
Provincia Enzo Fontana, dell'assessore provinciale alle Politiche sociali
Santino Lo Presti, del Commissario del comune di Grotte, Antonino La Mattina
e del sindaco di Racalmuto, Gigi Restivo.
Il premio quest'anno è stato assegnato dalla commissione (presieduta
dal Procuratore capo di Agrigento Ignazio De Francisci) allo scrittore
empedoclino Andrea Camilleri. La motivazione è la seguente: «Andrea
Camilleri si è imposto da un decennio nel panorama letterario italiano
con un'immediato e mirabile successo come romanziere, creando un personaggio
assai popolare che vive nel giallo delle storie di Vigata e dei paesi vicini,
il Commissario Salvo Montalbano, e con opere di natura storica dove rielabora
episodi e fatti metabolizzandoli con la sua ricca ed inesauribile fantasia
creativa, in un linguaggio, il dialetto siculo-agreste, che dà forza
e colore ad una civiltà destinata altrimenti a scomparire».
Il «Racalmare» per il giornalismo è stato assegnato
a Maria Grazia Cutuli alla memoria ed all'inviato del Tg5 Gaetano Savatteri.
Per quanto riguarda la prima, la giuria ha dato la seguente motivazione:«Giornalista
del Corriere della Sera, catanese per il suo mestiere mentre tenta nel
novembre del 2001 assieme ad altri colleghi di raggiungere Kabul, viene
uccisa da un gruppo di talebani armati. Fino a poche ore prima aveva rassicurato
la sua famiglia, scacciando ansie e preoccupazioni, minimizzando i rischi
reali ai quali andava incontro con la serenità di una figlia, con
l'allegria di una giovane donna, con la tempra di una cronista di razza».
Per Savatteri la motivazione è la seguente: «Ha intrapreso
da giovanissimo il mestiere del cronista a Palermo, e alla Sicilia è
sempre rimasto fortemente legato, come testimoniano gli argomenti affrontati
anche nei libri che portano la sua firma. A partire dal romanzo "La congiura
dei loquaci", opera di esplicito sapore e ispirazione sciasciana, e ancora:
nel libro «L'attentatuni», scritto con Giovanni Bianconi, che
ricostruisce l'indagine che portò all'individuazione degli autori
della strage di Capaci e nell'inchiesta «Ladri di vita», in
collaborazione con Tano Grasso, sul racket dell'usura e sulla forza economica
della criminalità organizzata».
Nel corso della serata di premiazione sono previsti momenti musicali
e anche il pubblico potrà porgere domande ai premiati.
Gaetano Ravanà
La Sicilia, 18.1.2003
Ispica
Il commissario Montalbano entra anche a scuola
Ispica. Dopo «Il birraio di Preston», ecco «Il cane
di terracotta». A distanza di due anni, al Liceo «Curcio»
di Ispica raddoppiano la lettura critica dei libri di Andrea Camilleri,
elevati al rango di testi scolastici. Il collegio dei docenti, su proposta
del dirigente Attilio Sigona, si appresta a deliberare la scelta del «Il
cane di terracotta», che diventerà così oggetto di
studio da parte degli alunni della quinta ginnasiale, accanto a «I
promessi sposi» sul quale hanno sgobbato intere generazioni di studenti.
«La scuola deve andare incontro ai bisogni di ragazzi che crescono
in un vorticoso giro di scoperte ed applicazioni tecnologiche e nuove forme
di costume – afferma Sigona. «Qui al "Curcio" abbiamo fatto assistere
i nostri ragazzi alla "Bohème" di Puccini, ma nello stesso tempo,
abbiamo accolto la loro richiesta di andare al palasport di Acireale per
vedere Ligabue in uno spettacolo dal vivo. In questa maniera, tra l'antico
ed il moderno, tra il nuovo e la tradizione, gli insegnanti riescono a
compiere la loro missione». Come dire: la scuola cambia interlocutori
guardando sempre all'obiettivo primario, l'insegnamento. «E' proprio
così – aggiunge Sigona – «I docenti fanno fatica a farsi sentire
dagli alunni se non li raggiungono attraverso nuove forme di stimolo. In
Italia, ma il dibattito è molto più diffuso in Europa di
quanto si pensi, da anni si continua a pronunciare il ritornello che "la
scuola è una barba". Bene, i ragazzi del "Curcio" avranno meno alibi».
Nell'anno scolastico 2000/'01, l'adozione del "Birraio di Preston",
ritenuto l'unico romanzo storico dell'autore del commissario Montalbano,
associato alla tradizionale lettura del capolavoro di Alessandro Manzoni,
testo sacro della letteratura italiana, scatenò molte polemiche,
infuriando su tutti gli organi d'informazione nazionale. «Anche se
qualcuno storse il naso, l'esperimento riuscì – continua Sigona
–. Ancora oggi, i ragazzi ricordano a tal proposito le lezioni infarcite
di note del professor Pietro Lauretta. Quest'ultimo, dallo scorso anno,
è lettore di lingua italiana nell'Università di Tallinn,
in Estonia» Ma come si è arrivati a formulare la nuova scelta?
Risponde Sigona: «Di recente la casa editrice Sellerio ha introdotto
la collana scolastica, introducendo le schede didattiche e le note dell'autore».
«Il cane di terracotta», noto al grosso pubblico per la trasposizione
televisiva, vede Salvo Montalbano imbattersi per caso in un giallo ambientato
ai tempi della seconda guerra mondiale nella solita, immaginaria Vigata.
Dalla tv alla scuola, il passo è stato breve».
Antonio Casa
Il Giorno,
18.1.2003
Fiction tv? Meglio la letteratura
«Montalbano sono». Non è più una dichiarazione
anagrafica ma uno slogan che fa la pubblicità a se stesso. Uno slogan
che è la rappresentazione visiva di un personaggio riconoscibile:
perciò fa scattare un moto di simpatia. Non solo, ma se lo slogan
viene ripetuto da milioni di persone genera un complice sentimento di appartenenza
culturale. Insomma, se per settimane o mesi sappiamo che tutti abbiamo
visto Montalbano, la solitudine personale viene sconfitta (anche se la
televisione fabbrica solo illusioni, anzi sogni ad occhi aperti). La cosiddetta
fiction e le interminabili telenovela a puntate giornaliere si basano sulla
loro capacità di isolarci dal mondo, di «divertirci»
nel senso di distoglierci dalla realtà. Ci divertiamo anche quando
ci annoiamo, in quanto l'eventuale noia di una «soap opera»,
o di un personaggio fisso, viene eliminata dalla dolce abitudine passiva
a quella storia e a quel personaggio. Succede proprio come con la droga.
Che cosa distingue una fiction dalla narrativa scritta? C'è una
distinzione esterna e una interna. La distinzione esterna è data
dalla maniera quasi casuale di guardare un racconto televisivo. La distinzione
interna è data dalla pura e semplice visività del racconto.
C'è una enorme differenza tra leggere e guardare. La lettura esige
un atto di volontà della mente, che è consapevole di attivarsi
in vista di uno scopo conoscitivo, e non solo distrattivo. Inoltre le parole
scritte fanno appello alla intelligenza e alla cultura personale, mentre
le immagini televisive sono indifferenziate. Per esempio, la faccia del
Montalbano televisivo è quella che vedono tutti, invece la faccia
del Montalbano romanzesco (quello di Camilleri) è quella che io
mi rappresento nella mente, secondo i miei parametri psicologici e culturali.
Per questo la narrazione di una fiction sarà sempre di un livello
più basso della narrazione di una storia scritta: il successo della
fiction è spiegabile anche con la crisi del pensiero pensante.
Giuseppe Bonura
La Sicilia, 19.1.2003
Camilleri: «Al via la stagione»
Racalmuto. Lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri è stato
ieri a Racalmuto per un sopralluogo al teatro «Regina Margherita»
che verrà inaugurato, dopo un'opera di restauro ventennale, nel
prossimo mese di febbraio. Camilleri è il direttore artistico della
struttura teatrale ed ha già allestito il programma della stagione
che avrà inizio a febbraio e si concluderà ad aprile.
Lo scrittore è arrivato a Palazzo di città assieme al
sindaco Gigi Restivo e con una troupe di Rai Trade che sta realizzando
uno speciale sul personaggio Camilleri. Ha preso parte ad una seduta straordinaria
del Consiglio comunale dove hanno preso la parola i diversi consiglieri,
manifestando la loro soddisfazione per il fatto che lo scrittore abbia
accettato la direzione del «Regina Margherita». Nel corso della
seduta è stato osservato anche un minuto di raccoglimento in onore
di Giuseppe Tornabene, 40 anni, di Racalmuto, deceduto quattro giorni fa
a Reggio Emilia dove si trovava per lavoro mentre era impegnato in un cantiere.
Infine Camilleri si è recato al teatro rimanendo soddisfatto del
lavoro che è stato fatto.
«Ho accettato subito e di buon grado la direzione artistica di
questo teatro - ha detto Camilleri - è uno dei primi favori che
restituisco al mio grande amico Leonardo Sciascia che era innamorato di
questa struttura e ci teneva tantissimo. Lui mi ha sempre aiutato ogni
qualvolta lo disturbavo per un suggerimento.Adesso arriva il difficile.
Dobbiamo superare un test difficile che possiamo superare soltanto con
le presenze nella varie iniziative. Il teatro incute timore ad entrare
perché c'è un tappeto rosso, bisogna vestirsi in un certo
modo; eppure il teatro è come una chiesa, una chiesa profana è
una astronave, l'astronave più facile da capire perché ha
un fascino diverso, particolare».
«Il teatro - ha continuato lo scrittore empedoclino «padre»
del celebre commissario Montalbano - fa crescere ognuno di noi perché
a fine commedia ci si confronta con gli altri, si discute su quello che
ha colpito molto e quello che ha colpito meno. Racalmuto è un paese
che non morirà, muoiono i paesi dove non c'è un teatro».
Gaetano Ravanà
La Repubblica
(ed. di Palermo), 19.1.2003
Dopo le polemiche tra Consolo e Granata, il riconoscimento a Camilleri
Il signor Montalbano stella del Racalmare
Dopo il polverone scatenato dalla rimozione di Vincenzo Consolo quale
presidente del premio "Racalmare Leonardo Sciascia – Città di Grotte",
dall´estromissione dei componenti della giuria e dei consulenti scientifici
e, inevitabilmente, dall´inviperito botta e risposta scatenatosi
con una serie di lettere, è tempo di festeggiamenti e di consegne.
E questa tormentata quindicesima edizione del premio, che dal 1980 ha visto
insigniti scrittori come Manuel Vásquez Montalbán, Vincenzo
Consolo, Gesualdo Bufalino, vede oggi salire sul podio uno scrittore che
di riconoscimenti, in questi ultimi tempi, ha fatto incetta, imponendosi
come l´autore italiano più letto e amato: Andrea Camilleri.
E visto che ci troviamo in territorio sciasciano (Grotte è proprio
a due passi da Racalmuto), con buona pace dei campanilisti della prima
ora s´intende, è bello immaginare, a lato della consegna del
premio Racalmare, l´incontro tra il padre del commissario Salvo Montalbano
e Leonardo Sciascia, col quale Camilleri non ebbe mai dimestichezza, essendogli,
come lui stesso ha ammesso, amico di secondo grado. Quelli di primo grado
lo chiamavano "Nanà", mentre Camilleri si è sempre rivolto
all´illuminista di Racalmuto col nome di Leonardo. Ecco, ritirare
questo premio, in origine voluto fortemente da Sciascia, e da lui tenuto
al riparo dalle pastoie della critica e dalla polvere dei salotti letterari,
per Camilleri potrebbe significare in un certo senso rompere finalmente
il ghiaccio, essere ammesso nella cerchia degli amici di primo grado di
Sciascia, e avere il coraggio almeno di ricordarlo col diminutivo confidenziale
di "Nanà".
Mentre per Sciascia questo premio avrebbe potuto significare una specie
di tardivo atto di resipiscenza nei confronti delle sue cautele riguardo
alla lingua mescidata di Camilleri, a suo dire troppo contaminata dalla
presenza di termini dialettali. Accanto all´autore di La voce del
violino, verranno poi premiati per il giornalismo Gaetano Savatteri, inviato
del Tg5, autore di importanti inchieste, di un romanzo tipicamente sciasciano,
"La congiura dei loquaci" e della riduzione teatrale del romanzo di Luigi
Natoli "I Beati Paoli", e Maria Grazia Cutuli, inviata del "Corriere della
Sera", alla memoria.
s.f.
Il Giorno,
19.1.2003
«E Georges disse: Cervi va bene, ma la Pagnani...»
Erano i primi anni Sessanta e in un appartamento di Parigi, un giorno
ovviamente grigio che sembrava un bianco e nero di Marcel Carné,
si trovarono di fronte Georges Simenon, di già celeberrimo padre
del commissario Maigret, e Andrea Camilleri, che non pensava neanche alla
lontana che sarebbe diventato a suo volta padre di un altro famoso poliziotto,
Salvo Montalbano, commissario nell'assolata Vigata.
L'inedito episodio lo rammenta lo stesso Camilleri, che così
ricorda Simenon: «Somigliava molto al suo personaggio, era, direi,
decisamente megrettiano. La sua massiccia cubatura occupava molto spazio,
non parlava molto, piuttosto bofonchiava, e alle parole intercalava grossi
silenzi. Mi parve un tipo calmissimo».
Il perché di quell'incontro: Camilleri, allora produttore alla
Rai, stava per portare Maigret sugli schermi televisivi degli italiani
nella celebre serie interpretata da Gino Cervi.
«L'idea di Maigret in tivvù, però — racconta —
non fu mia. Nacque a Diego Fabbri, che aveva scritto per il teatro un famoso
“Processo a Gesù” e che era molto conosciuto anche in Francia. Fu
lui lo sceneggiatore di quelle puntate, non io. Decidemmo di andare a Parigi
per sottoporre il nostro progetto a Simenon, soprattutto la scelta degli
attori. Su Cervi non ebbe niente da obiettare, ma su Andreina Pagnani,
che doveva interpretare la moglie, sì. Disse che era troppo bella
per un tipo, tutto sommato grigio, come Maigret. E vabbè, gli dicemmo,
è ormai una signora di una certa età. Eh!, disse lui, ma
Maigret si è sposato giovanissimo. Voi lo vedete che si sposa una
bellissima ragazza come la signora Pagnani? Non rientra nel personaggio.
Comunque la spuntammo e, poi, quando anche Simenon ebbe visto alcune puntate,
ne fu soddisfatto».
Si dice, Camilleri, che una delle ragioni del successo immenso di Maigret
fu quella di essere nato assieme al cinema sonoro, famelico, tra l'altro,
di storie. E chi poteva soddisfarlo meglio di Simenon, cui viene attribuito
l'incredibile numero di 435 romanzi! Però Maigret in televisione
entrò più tardi, erano già gli anni Sessanta…
«Certo. Simenon/cinema anni Trenta è un'accoppiata magica.
Ma Maigret è, io credo, indissolubilmente legato a quelle atmosfere,
a quei personaggi. Non le storie, che possono svilupparsi in qualsiasi
tempo. Ma attualizzare Maigret non è possibile. E poiché
era già problematico quando lo portammo in televisione, le racconto
qualcosa di straordinario che fece Diego Fabbri. Lui prendeva i libri di
Simenon, pubblicati in brossura negli Oscar, e letteralmente li smontava,
pagina dopo pagina, che distribuiva sul pavimento. Poi le rimetteva insieme
in un ordine diverso, scrivendo brani di raccordo, nuovi dialoghi, tagliando
o aggiungendo, creando alla fine una nuova storia».
Ma, allora, gli italiani videro dei Maigret… inesistenti? E Simenon,
non protestò?
«Be', sì — risponde candido Camilleri — erano storie in
parte inventate da Fabbri. Comunque seguire quel lavoro fu per me un apprendistato
straordinario, era come andare a lezione nella bottega dell' orologiaio.
Insomma, imparai l'arte e la misi da parte».
Si dice, Camilleri, che la scrittura di Simenon sia piuttosto piatta,
addirittura grigia. Tutto il contrario della sua.
«E come poteva fare altrimenti! Attenzione, però: la sua
scrittura è veloce solo nei gialli, quelli con Maigret o senza.
Negli altri libri è diversa. Io mi sono accorto che i gialli non
li rileggeva neanche. Ce n'è uno dove due personaggi fanno conoscenza
due volte a poche pagine di distanza una dall'altra. Lui ha scritto più
di 70 Maigret; io 6 Montalbano. E' sorprendente il parallelismo tra la
sua incredibile capacità di scrittura e la sua insaziabile vita
sessuale…».
Simenon si vantava di avere posseduto 10 mila donne e di fare l'amore
tre volte al giorno, ogni giorno.
«Eh, non dico che non funzionasse bene in tutti e due i campi.
Però, sia nella scrittura che nel sesso c'è qualcosa di patologico,
quasi fossero due bulimìe».
Si dice che un'altra ragione della fortuna mondiale di Maigret sia
stata proprio che, essendo molto semplice, non dava alcuna difficoltà
al traduttore. Il contrario della sua, che però è stato tradotto
ugualmente in tante lingue, gaelico compreso.
«Ma io non esagererei con la semplicità della scrittura
di Maigret. Anche nel suo francese ci sono, per esempio, dei belgismi molto
efficaci, che se dovessero essere correttamente tradotti, creerebbero difficoltà.
Come venga tradotto il mio siciliano vero e inventato, non so bene. So
che in Francia hanno preso a prestito il dialetto di Lione, ma il gaelico
resta davvero un mistero».
Mario Spezi
Si è svolta ieri a Grotte la premiazione della XV edizione del
premio letterario «Racalmare - Leonardo Sciascia». Alla cerimonia,
oltre ad una nutrita folla di personalità, è intervenuto
un pubblico numeroso al punto da gremire completamente il piccolo Teatro
Marconi. Fra di loro persino una coppia di tedeschi ansiosi di vedere di
persona Andrea Camilleri. L'appuntamento si è aperto sulle note
dell'inno di Mameli che è stato anche intonato dai presenti. Quest'anno
il premio ha previsto tre riconoscimenti: due per il giornalismo ed uno
per la cultura. Il primo è stato attribuito a Maria Grazia Cutuli
e consegnato al padre ed al cugino che hanno annunciato la volontà
della madre di destinare il denaro del premio a favore della realizzazione
di un pozzo per l'acqua potabile in Africa. Il secondo è andato
a Gaetano Savatteri che ha ringraziato spiegando che il riconoscimento,
per lui particolarmente significativo, più che a se stesso, lo ha
percepito come assegnato ai ragazzi che insieme a lui fondarono la testata
racalmutese «Malgrado tutto». Infine, il terzo e più
atteso premio è stato consegnato nelle mani dello scrittore Andrea
Camilleri che è stato omaggiato con l'esecuzione della sigla televisiva
delle avventure del commissario Montalbano e con la lettura di da parte
dell'attore Raimondo Moncada di alcune pagine dei suoi libri. L'autore
empedoclino, ritirando il premio, ha spiegato come gli fosse particolarmente
gradito a differenza di altri riconoscimenti come il premio Bancarella
che invece non lo avrebbe voluto «nemmeno a cannonate». Particolarmente
inteso il momento durante il quale ha ricordato Leonardo Sciascia che lui
inizialmente aveva conosciuto solo in forma epistolare. Camilleri ha ricordato
come a separarli in un primo momento fosse stato il diverso approccio verso
la storia: «Lui raccoglieva tutti i documenti e poi scriveva, a me
basta uno spunto e mi invento tutto».
Fabrizio La Gaipa
Porto Empedocle. L'occhio del Grande Fratello segue anche Andrea Camilleri.
Un pedinamento costante, al quale da alcuni giorni lo scrittore empedoclino
si presta, anche nella sua «Vigata», dov'è tornato ieri
mattina per partecipare ad una manifestazione commemorativa dei caduti
in guerra. Per il «papà» del commissario Montalbano
è stata un'occasione irrinunciabile per riabbracciare vecchi e nuovi
amici, dopo alcuni mesi di lontananza.
Gli empedoclini, però, hanno subito notato la presenza di un
troupe televisiva perennemente alle costole del prestigioso compaesano.
Erano gli operatori e tecnici di Rai Trade, impegnati a realizzare un documentario
con l'intento di raccontare ogni momento della giornata dello scrittore,
diventato negli anni un fenomeno della letteratura contemporanea.
Munito di radiomicrofono sistematogli sotto il gilet, Camilleri si
è mosso con naturalezza tra baci e strette di mano. Appena però
il radiomicrofono tascabile faceva le bizze, un solerte tecnico audio gli
si avvicinava per sistemarlo e riprendere il «pedinamento».
La troupe composta da tre persone ha infatti seguito ogni momento della
mattinata empedoclina dello scrittore, staccando il collegamento intorno
alle 12.
Tornato ad essere padrone di un mimimo di libertà e senza essere
più seguito dall'occhio implacabile del Grande Fratello, il creatore
del commissario Montalbano si è lasciato andare ad alcune esternazioni.
Con accanto il sindaco Paolo Ferrara, Camilleri si è soffermato
sulla polemica scoppiata nei giorni scorsi, relativa al presunto «scippo»,
attuato da Ragusa nei confronti di Porto Empedocle, del set dove sono stati
girati i film-tv sul commissario più famoso d'Italia.
Agli amministratori empedoclini, pronti a lanciare una sorta di operazione-verità
sui luoghi originali dell'opera camilleriana, il diretto interessato ha
replicato dicendo che «Montalbano non può tornare nei suoi
posti originali, perchè i luoghi dove vive appartengono alla memoria
ed è inevitabile che il paesaggio non corrisponda alla memoria.
La produzione dei film è andata a trovare altri posti che non sono
ancora invasi dal cemento o da altro. Faccio abitare Montalbano a Marinella,
quando a Marinella c'erano appena 3 villette abusive. Me la vada ad ambientare
lei, nella Marinella di oggi, le scene di un film. Non è possibile».
Così parlò Camilleri, con la stessa semplicità
venata di commozione, di quando guarda le facce dei reduci di guerra, riunitisi
ieri mattina in via Roma, per ricordare i caduti dei conflitti bellici.
«Molte di queste persone mi hanno visto quando ero bambino e le trovo
perfettamente conservate. Tanti di loro, quando scrivo, mi vengono alla
memoria. Succede spesso a tutti gli scrittori quando scrivono della terra
dove sono nati».
Tra una foto ricordo e l'altra, Camilleri non ha mancato di tracciare
un profilo della realtà empedoclina, agrigentina e siciliana in
generale. «E' una realtà in movimento. Non solo a Porto Empedocle,
ma anche nei paesi vicini, come ad esempio Racalmuto, vedo adesso un grande
fermento. La cosa più bella di questo tempo siciliano è la
positività dello sviluppo culturale. Basti pensare che oggi in Italia
vantiamo molti scrittori, vecchi e giovanissimi, dalle chiare e inequivocabili
origini siciliane e questo è un dato che deve fare riflettere, sulle
speranze di una terra che ha tanta voglia di crescere e distinguersi».
Dopo il grande bagno di folla nella sua «Vigata», lo scrittore
si è trasferito a Grotte per ricevere il premio «Racalmare»
per la letteratura. L'ennesimo riconoscimento per un personaggio la cui
notorietà ha ormai varcato ogni confine geografico.
Un successo inarrestabile, sorretto da quel mezzo mediatico che Camilleri
dimostra di sapere utilizzare meglio di chiunque altro, tanto da diventare
protagonista di un documentario su sè stesso, tanto da passeggiare
in via Roma con un microfono sotto il gilet.
Francesco Di Mare
La Sicilia, 20.1.2003
Cerimonia per i caduti in guerra
Porto Empedocle. La cittadina marinara è stata per un giorno
capitale della memoria. Ieri davanti al monumento dei caduti e poi in Municipio
si sono ritrovate le massime autorità civili e militari della provincia
di Agrigento, in occasione della «Giornata del ricordo dei caduti
e dispersi in guerra», organizzata dall'Anfcdg (associazione nazionale
famiglie caduti e dispersi in guerra), dalla Provincia regionale e dal
Comune. Un momento toccante che ha dato la possibilità a giovani
e meno giovani di confrontarsi con il passato. Dopo la deposizione di due
corone di fiori ai piedi del monumento ai caduti, il corteo delle autorità
si è trasferito nel municipio empedoclino, dove si è svolta
una sobria cerimonia, farcita di sensazioni, ricordi, commenti ed interventi
di grande spessore.
Una serie di testimonianze aperte dal sindaco Paolo Ferrara, seguito
a ruota dal presidente della Provincia Vincenzo Fontana, dai rappresentanti
provinciali dell'associazione dei caduti e dispersi in guerra e da un ospite
illustre, lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri, pronto ad offrire
un ricordo personalissimo di cos'è stata per lui la guerra. «Facendo
un giro attorno al monumento ai caduti, ho letto i nomi e cognomi di miei
parenti stretti, tra i quali un fratello di mio padre. Per questo posso
dire di sentire con particolare trasporto questa ricorrenza che deve servire
soprattutto ai più giovani, da stimolo per evitare che altre guerre
insanguino il mondo».
E sono stati proprio i giovani i protagonisti della giornata della
memoria. Nel corso della cerimonia infatti, sono stati molti gli alunni
delle scuole dell'obbligo empedocline, premiati per gli elaborati che hanno
realizzato sul tema della guerra e sul ricordo di chi in guerra ha perso
la vita. Facce emozionate e felici, quelle degli studenti, perfettamente
coscienti di avere interpretato al meglio il senso reale dell'iniziativa
che per la prima volta, si è svolta nella cittadina marina, su decisione
del presidente provinciale dell'Anfcdg.
Arturo Lauricella
Giornale di Sicilia, 20.1.2003
Il "Racalmare"
A Camilleri e Savatteri un premio nel segno di Sciascia L'altro riconoscimento per la sezione giornalistica è andato
alla memoria di Maria Grazia Cutuli
Grotte. L'ombra di Sciascia aleggia. E non potrebbe essere altrimenti.
Geograficamnte: perché da Grotte, Racalmuto dista una manciata di
chilometri. Emotivamente: perché a tanti tra i presenti Sciascia
ha insegnato qualcosa. Viene citato, ricordato. Porta il suo nome infatti
il premio letterario «Racalmare - Leonardo Sciascia», giunto
alla quindicesima edizione, che ieri ha visto Andrea Camilleri vincere
nella sezione letteraria, mentre in quella giornalistica i riconoscimenti
sono andati a Gaetano Savatteri e alla memoria di Maria Grazia Cutuli,
l'inviata del «Corriere della Sera», uccisa mentre tentava
di raggiungere Kabul. I familiari della giornalista catanese hanno devoluto
il premio ai medici del Burkina Faso per la realizzazne di un pozzo d'acqua
potabile.
È lui, «pirsonalmente di persona» Camffleri, il
fenomeno che ha reinventato il giallo, che predilige l'aspetto artigianale
di una letteratura senza labirinti, che ha creato il commissario Montalbano,
eroe da cantastorie, celibe militante e indipendente che s'aggira tra l'abusivismo
- che non è solo edilizio ma è anche politico e umano - siciliano.
Tutto questo lo ha portato a lunghi soggiorni sulle vette delle classifiche
dei libri più venduti e degli autori più premiati.
Ma non è stanco di ricevere premi? Cosa questi riconoscimenti
aggiungono alla sua carriera? «Assolutamente nulla ma fanno piacere, soprattutto quando, come
in questo caso, vengo inserito in un elenco titolato».
Ama di più le avventure di Montalbano o i suoi romanzi storici,
«Il birraio di Preston» e «Il re di Girgenti»? «Se rispetto ai figli si possono avere delle preferenze, opto
per i romanzi storici, anche se devo riconoscere che il commissario è
stato un apripista formidabile».
Gli operai della Sicilfiat hanno dichiarato di sentirsi duemila
Zosimo, il protagonista de «Il re di Girgenti»... «Ho provato un'enorme commozione: hanno capito il mio personaggio,
un re che in realtà è un povero cristo».
Ha ricevuto una laurea in lingue per il suo giocare con il dialetto
siciliano. Nel mondo, ogni quindici giorni sparisce una lingua. Che fare? «Nulla, è un fatto di colonizzazione. Tra due lingue vicine,
quella parlata da un numero inferiore di persone diventa succube di quella
più prossima e più forte. Arriveremo a un linguaggio unico,
magari all’inglese dell'Unione Europea. Non è bello: accolgo
favorevolmente i ritorni alle radici culturali di una lingua». C'è un suo libro, «Un filo di fumo», in cui si
parla dell'isola Ferdinandea, quella che compare e scompare nel canale
di Sicilia. Se aggiungiamo l'Etna, lo Stromboli e l'onda anomala è
facile sentirci al centro di estesi movimenti... «Sono fatti tellurici che si possono metaforizzare o simbolizzare.
Il dato concreto è che la Sicilia ribolle: speriamo di trovarci
di fronte a una bella metafora».
Pensa che l'ironia, quella che mai fa difetto ai suoi romanzi e
a quelli di altri scrittori, da Pennac a Montalban, sia una chiave indispensabile
per affrontare la vita? «Sì, e per i siciliani in particolare. Ne “Il consiglio
d'Egitto” di Sciascia il viceré chiede come si fa a essere siciliani.
Risposta possibile: con molta ironia».
La sua Ingrid è svedese, i luoghi di Montalbano, ovvero il
distretto del Sud-Est, sono stati esportati in Svezia. Un filo la unisce
alla Scandinavia? «Ammiro quelle terre come fatto culturale, ho letto molti libri
di autori nordici. Magari sarà l'attrazione per l'opposto».
In quale Paese d'Europa Salvo Montalbano va più forte? «In Germania, dove i primi quattro libri hanno venduto quattro
milioni di copie. Lì ci sono attenzione e curiosità verso
la Sicilia».
Di che salute gode la letteratura siciliana? «Guardando alla Sicilia, non sono molte le occasioni per essere
ottimisti ma in questo caso è giusto uno sguardo positivo. A parte
i mostri sacri come Consolo e Bonaviri, si agitano i Giosuè Calaciura,
i Roberto Alajmo, i Santo Piazzese. Non male».
Secondo lei, il ponte sullo Stretto s'ha da fare o no? «Se avessi tutte le assicurazioni possibili e immaginabili sulla
stabilità geologica, non sarei contrario. Venendo giù in
treno, ho impiegato tre ore da Villa San Giovanni e Messina. Non parlerei
di priorità da rispettare: l'Europa unita s'è fatta con le
banche, poi sono venute le idee».
Oltre a prepararsi al ruolo di direttore artistico del Teatro Regina
Margherita di Racalmuto che riaprirà a febbraio, a cosa sta lavorando? «Entro l'anno usciranno due libri per Sellerio: "Il giro di boa",
una nuova avventura di Montalbano, e un romanzo storico, "La presa di Makallè'.
La televisione? Mi interessa solo relativamente».
Giustizia, mai parola fu più bistrattata, sfigurata. Gaetano
Savatteri, giornalista e scrittore, se ne occupa quotidianamente. Per mestiere
e per passione. «La congiura dei loquaci», «L'attentatuni»,
«Ladri di vita» sono alcuni lavori legati ai problemi della
Sicilia, la mafia, il racket: «La questione della giustizia mi ha
sempre appassionato. Sono nato a Racalmuto e cresciuto sui libri di Sciascia.
Se in Sicilia quello della giustizia è un tema dolente, in tutta
Italia è una questione che accende gli animi. Ha profondi riferimenti
affettivi e letterari: il tentativo dell’uomo di avere dei validi sistemi
di giustizia è un'affannosa ricerca sulla quale ci si arrovella
da tempo. Nelle aule dove si celebra il rito dei processi c'è una
frase semplicissima ma ancora tutta da conquistare: la legge è uguale
per tutti. Leggendola, viene spontaneo aggiungere un punto interrogativo».
Anche in Europa e nel resto del mondo? «La giustizia in Italia ha delle caratterizzazioni forti per
la nostra storia antica e recente. Taglia la nostra coscienza, la nostra
politica, la nostra anima. Forse perché il nostro è un Paese
che ha una lunga dimestichezza con le ingiustizie e il valore della giustizia
è lontano dall'essere consolidato: intorno a esso ci sono stati
morti e divisioni e la linea della palma, citata da Sciascia, procede verso
nord».
Sciascia, appunto... «Questo premio mi fa piacere perché mi viene assegnato
in casa, Racalmuto e Grotte sono i luoghi della mia infanzia. Qui, oltre
vent'anni fa, lo e altri giovani cominciammo un mestiere che sognavamo
potesse diventare la nostra professione. E così è stato.
Fondammo un piccolo giornale, 'Malgrado tutto', perché pensavamo
che in quel luogo ce ne fosse la necessità. Ecco, questo riconoscimento
mi viene dato non per quello che sono oggi ma per quel sogno di sedicenne
che si è realizzato. Ho lavorato in altre testate e sono rimasto
legato a quel giornale, dal nome affascinante: Sciascia diceva che veniva
dal nostro pessimismo di natura. Le cose sarebbero andate come sarebbero
andate ma, 'malgrado tutto' qualcosa bisognava fare».
Antonella Filippi
20.1.2003
Il fantasma nella cabina
Lucca. La prima de 'Il fantasma nella cabina', due atti di Rocco Mortelliti
da 'Il commissario di bordo' di Andrea Camilleri, al Teatro del Giglio
di Lucca, è stata sicuramente apprezzata da un pubblico accorso
numeroso, anche se non è stato raggiunto il 'tutto esaurito'. I
palchi erano semivuoti - ma, si sa, i benpensanti (che di musica non capiscono
una bella minchia) hanno la puzza al naso ed evitano di farsi vedere i
loro abiti di lusso e i gioielli se non c'è la Tosca o l'Aida o
altre opere di cartellone - la platea quasi piena, il loggione completo
e assai 'caldo' negli applausi, tributi solitamente elargiti alle opere
pucciniane. Quelle ben eseguite e ancora meglio cantate, si capisce.
Il sottoscritto occupava una poltrona della galleria numerata. Ha comprato
doverosamente il volumetto "Le inchieste del commissario Collura" e il
libretto dell'opera che si apprestava ad ascoltare. La trama già
la conosceva. La musica no. Ma su Marco Betta, almeno dove è
nato e sulla di lui attività, ha pensato il sottoscritto con il
piacevole (per lui) suono degli strumenti in fase di accordo, come sottofondo,
qualcosa ci sarà pure scritto sullo stampato dell'Azienda Teatro
del Giglio. Speranza fallace. Neppure una riga. Màh!
Con dieci minuti di ritardo sono calate le luci. Il sipario aperto
da poco. Fino dalle prime battute - ohibò! Il terrore era quello
di sorbirsi dodecafonìa e altri strazi simili - la musica è
risultata piacevole. Via via che la vicenda si faceva strada, al sottoscritto
veniva in mente il Gesamtkunstwerk, tutto italiano però,
e con schegge impazzite di Commedia dell'Arte. Sul palco vivevano 'fantasmi'
rossiniani e donizettiani, imperavano jazz, prosa, serietà e facezia,
pittura, danza, pantomima (piacevolissima quella di David e Golìa),
cabaret. Ma non tessere sparse di un indefinito mosaico. Il mosaico c'era,
eccome! Ogni grano del rosario al suo posto. Si spaziava con grazia ed
armonìa. E l'ombra di Cecè\Montalbano\Camilleri sempre e
ovunque: divertente, mordente, mai stucchevole.
La trama c'è, leggera, bella e inutile come una velina, offre
gli spunti non li approfondisce. Una ex-attrice finge di vedere fantasmi
per mettere scompiglio a bordo della nave, profumatamente pagata da una
società armatrice concorrente, onde danneggiarne l'immagine. Il
caso,
si fa per dire, viene risolto da un Collura 'sfavato' (si consenta allo
scrivente questa parola tipica toscana con buona 'pirdonanza' dello Zingarelli
) e ancor più torturato dalla pignola dabbenaggine del Comandante
della 'Marco Polo'.
Non sono mancati gli applausi e le risate. Molte gag veramente
azzeccate. Ottima la regìa di Rocco Mortelliti, di sicuro effetto
le scene di Italo Grassi.
E la musica?
Promossa con lode. Orecchiabilissimo il Leitmotiv dell'opera - degno
di un Classico - azzeccate alcune arie. I brani di jazz, cantati da Giorgia
(Paola Ghigo), sono bene inseriti nel contesto del lavoro, hanno il loro
giusto e opportuno spazio. Un primo passo, dunque, verso un Futuro operistico
che può e deve migliorare, ma che segna e indica la strada giusta.
Lo testimoniano gli applausi a scena aperta al termine de "Il fantasma
nella cabina".
Splendi stiddata la celesti lira, E' figghia di lu celu l'armonia Armonica ogni sfera in aria gira, Saggiu di Samu eccu mi appellu a tia. 'In lode di la Musica' del grande poeta palermitano Giovanni Meli.
Auguri e coraggio, Maestro Betta!
Stelvio Mestrovich
Giornale del Popolo Luganese, 20.1.2003
Piccola cronaca
Lugano: conferenza - Il professor Mauro Novelli dell'Università
Statale di Milano presenterà “Non solo
Montalbano. Le mille voci della Sicilia nella narrativa di Andrea Camilleri”
domani, martedì, alle 16 all'Hotel
Excelsior. Organizza il Lyceum Club Lugano.
La Nazione,
21.1.2003
Camilleri di successo tra cabaret e l'operetta
LUCCA - Nella «coda» della stagione lirica 2002-2003 il
Teatro del Giglio, dopo cinque appuntamenti con le opere di repertorio,
ha voluto inserire due lavori «leggeri» in un'azione culturale
di largo respiro e stimolante verso un pubblico troppo spesso ancorato
al tradizionalismo.
In attesa de «La Belle Hélène» di Offenbach,
è andata in scena sabato sera «Il Fantasma nella cabina»
, due atti di Rocco Mortelliti tratti da «Il commissario di bordo»
di Andrea Camilleri con il commento musicale di Marco Betta che stanno
facendo il giro dell'Italia, dopo la «prima» assoluta realizzata
a dicembre al «Donizetti» di Bergamo. Uno spettacolo che sta
a mezzo tra l'operetta ed il teatro di Brecht con le parti parlate che
predominano su quelle musicali e continui cambi di scena realizzati attraverso
la tecnica dei siparietti che permetto istantanei spostamenti dell'azione
e dei dialoghi. Un cabaret leggiadro e senza troppe pretese dove la semplice
musica, realizzata sulla base di ripetuti giri armonici presi a prestito
da quella «leggera», è sostenuta da un organico cameristico
diretto da Aldo Sisillo con alcuni interventi solistici pregevoli e scorrevoli.
I cantanti per prima cosa devono essere attori ed in questo contesto il
racconto di Andrea Camilleri, o meglio l'intenzione di Rocco Mortelliti
che ha curato anche la regia di questo spettacolo, è stato quello
di evidenziare il mondo degli attori, eredi della commedia dell'arte, alla
caccia di scritture remunerate che permettano di sbarcare il lunario. Ecco
quindi spiegata la farsa della signorina Meneghetti che, opportunamente
pagata da una società armatrice concorrenziale, con grande convinzione
asserisce di aver visto un fantasma nella cabina della nave da crociera.
Una recitazione avvalorata dalla pregevole arte scenica di Denia Mazzola
dalle raffinate qualità canore ed in questa analisi ci piace ricordare
la partecipazione di Luciana Serra che con grande professionalità
ha recitato nei panni della giornalista Stefania Biroli. Al di là
di queste considerazioni musicali, lo spettacolo ha offerto anche una scenetta
che si riallaccia al grande Fregoli e varie pantomime del vecchio varietà
realizzate con la partecipazione di Luca Canonici, Fabio Previati, Danilo
Formaggia, Paola Ghigo, Leonardo De Lisi, Maurizio Leoni.
Francesco Cipriano
Gazzetta di Parma,
21.1.2003
In arrivo puntate sulla strage di Bologna e su Pasolini
Lucarelli e il caso «Blu notte»
ROMA - Nell'inchiesta del Financial Times sulla tv italiana, Blu notte
di Carlo Lucarelli su Raitre non è citato. Peccato: quel programma
ad alta tensione sui misteri d'Italia, in onda la domenica poco prima di
mezzanotte su Raitre, sta diventando un piccolo caso, una trasmissione
di culto che avrebbe ben figurato tra la nostra tv da salvare.
Domenica, con una puntata sulla morte di due agenti di polizia, Antonino
Agostino e Emanuele Piazza, ha avuto quasi il 15% del pubblico (Raitre
ha una media tra l'8 e il 10%) e nella puntata precedente, dedicata al
caso Montesi, ha avuto oltre il 17%. Anche le precedenti edizioni del programma
avevano riscosso successo, ma questa volta complice anche la collocazione
domenicale il pubblico è cresciuto. Nel nuovo ciclo di 10 puntate,
cominciato all'inizio dell'anno, si parlerà della strage di Bologna,
del mostro di Firenze e anche di Pier Paolo Pasolini.
Lucarelli, da molti considerato erede di Camilleri per l'intreccio
e la capacità narrativa dei suoi gialli, si muove tra delitti noti
e meno noti con grande tensione emotiva. La ricostruzione è puntigliosa,
senza essere mai per questo troppo fredda o distaccata. Lo spettatore sta
subito dalla sua parte e lui non fa nulla per evitarlo, utilizzando una
tecnica narrativa che è alla base del successo.
«Descrivo quelle storie come se le leggessi ad alta voce a me
stesso», racconta Lucarelli, che ha debuttato anche al cinema dirigendo
Almost Blue. Complici i filmati di repertorio e le mini fiction girate
nei luoghi veri dei delitti, lo spettatore è subito immerso in un'atmosfera
da brivido. «Al di là della tecnica però non c'è
nulla di letterario, qui in ballo ci sono storie vere, misteri autentici»,
aggiunge Lucarelli, molto amato dalla critica letteraria e molto seguito
anche dalle web community che a lui sono spesso dedicate come giallodivino
o vigata.org, il fans club di Camilleri. Con lui collabora «un
team di investigatori»: il giornalista Francesco La Licata, Guido
Ruotolo, Vincenzo Vasile, Nicola Biondo.
Terminato l'impegno con Blu Notte, Lucarelli tornerà alla scrittura:
«Sto preparando un nuovo romanzo ambientato alla fine dell'Ottocento
nelle colonie italiane d'Africa». E intanto, tratto dal suo libro
Il giorno del Lupo, i Manetti Brothers si apprestano a girare a metà
marzo la puntata pilota per la Rai di una fiction con protagonista il personaggio
dell'ispettore Coliandro.
Liberazione, 21.1.2003
Il soffio della valanga Santo Piazzese, Sellerio (pp. 329, euro 11,00)
Ci sono voluti quattro anni, dopo il successo di I delitti di via Medina
- Sidonia (1996) e La doppia vita di M. Laurent (1998), entrambi pubblicati
sempre dall'editore palermitano Sellerio, ma l'attesa non è stata
vana. Con Il soffio della valanga il biologo "prestato alla scrittura",
come ama definirsi Santo Piazzese, ricercatore universitario dedito all'arte
letteraria del delitto, torna a proporci un viaggio in una Palermo allucinata
dove il crimine non ha solo il volto della mafia. Nelle sue pagine infatti
la città siciliana assume i contorni del noir, riecheggiando le
atmosfere e i toni della letteratura poliziesca d'oltreoceano, i suoni
del jazz piuttosto che i ritmi mediterranei. E' la Palermo metropolitana
che racconta Piazzese, non concedendo nulla ai tempi sincopati della narrativa
di un Camilleri, ma rimandando piuttosto ai classici dell'hard boiled o
alla cronaca violenta di Bercellona costruita da Manuel Vasquez Montalban.
Anche in questo caso Piazzese, la cui notorietà ha da tempo
superato i confini nazionali, i suoi libri sono ad esempio molto amati
in Francia, sembra partire da un delitto di mafia, ma le indagini condotte
da un ritrovato commissario Vittorio Spotorno approderanno a una pista
molto diversa. Spotorno torna protagonista, mentre questa volta l'investigatore
Lorenzo La Marca, l'altro personaggio chiave delle storie di Piazzese,
resta sullo sfondo. E quasi come in uno specchio narrativo Il soffio della
valanga rimanda a I delitti di via Medina - Sidonia, costruendo una sorta
di controcanto a quella vicenda, intrecciando un'altra immagine di Palermo,
l'ombra di altre storie, di un'altra condizione di vita. Una donna accompagna
con la sua comparsa le varie tappe che portano al mistero e alla morte,
quella che Spotorno chiama la "Dama Bianca"; ma si intrevede anche il passaggio
da un'epoca all'altra, da una generazione della malavita ad un'altra. Come
spiega il commissario a un vecchio dirigente della Ps, chiamato da tutti
semplicemente don Tano, "uno sbirro chiamato come un mafioso": «I
picciotti delle nuove leve sono sempre più arraggiati. E ormai i
vecchi capi stentano a tenerli sotto controllo (...) Ci sono troppi soldi
in ballo, soldi facili, e chi ne ha sentito l'odore anche solo mezza volta
si tira il conto che vale la pena di correre il rischio di giocare in proprio».
Guido Caldiron
La Repubblica,
22.1.2003
Cento anni fa nasceva a Liegi lo scrittore francese di origine belga.
Ne parliamo con Carlo Fruttero. Migliaia di pagine scritte e altrettante
conquiste femminili. Ecco il ritratto di un Balzac del Novecento
Georges Simenon. Una vita fra donne e best sellers
[...]
La domanda è fatale. C'è oggi un Simenon italiano?
Esiste un Maigret? Che cosa ne pensi di Andrea Camilleri e del suo Montalbano? "Sì, Camilleri ha un po' il talento di Simenon. Riesce a fare
romanzi brevi. Tanti, e tutti con una trama sostenibile. La sua lingua
è ben inventata. La sua Sicilia è bella. I casi sono ben
trovati. Quel suo poliziotto è un protagonista centrato: fra l'altro,
condivide disinvoltamente con dei personaggi più che collaudati
- Maigret, appunto, o Nero Wolfe - la passione per la buona cucina. Insomma,
trovo che Camilleri sia uno scrittore più che degno. Anche la serie
televisiva mi diverte. E` stata, in un certo senso, una rivelazione. Dev'esserlo
stata per lo stesso Camilleri".
Nello Ajello
Le celebrazioni
I suoi romanzi accolti nella Pleiade
[...]
Manifestazioni sono in preparazione anche in Italia. A Napoli, all'apertura
di Galassia Gutenberg, la fiera libraria che si tiene alla Mostra d'Oltremare,
venerdi 14 febbraio si stanno organizzando alcuni appuntamenti: Andrea
Camilleri, con un intervento registrato, racconterà di quando scriveva
i dialoghi per il Maigret televisivo.
Come è nato il personaggio
Maigret il vicino di casa La prima avventura risale al 1929, in un porto olandese, dove oggi
gli hanno eretto una statua
[...]
Solo che con la gente comune non si fanno grandi romanzi: neanche grandi
romanzi polizieschi. Infatti l'abilità di Simenon come costruttore
di plot sta nel proiettare di colpo questa gente comune in una vicenda
che la supera, che la scaglia al di là del destino che si credeva
scritto per lei. E nel fargli toccare il fondo, o la sommità, di
questa condizione inattesa.
Se ci si pensa solo un momento si vede subito che non certo per calcolo
ma solo per istinto, la fortuna del commissario Montalbano creato da Camilleri
si basa su una struttura equivalente con in più la variante del
dialetto che aggiunge alle vicende narrate un ulteriore e rassicurante
connotato casalingo.
[...]
In compenso Simenon ci informa fino al dettaglio sulla vita intima
e privata di Maigret come appunto sarà per gli investigatori anch'essi
mediterranei scaturiti da Camilleri e da Montalban.
[...]
Corrado Augias
l'Unità, 24.1.2003
"Ecco come si fabbrica un assassino"
"Un romanzo nel quale indago la dimensione della violenza, attraverso
l'ottica di un bambino che diventa un assassino. Il contesto? Il periodo
fascista, e le tecniche psico-pedagogiche del sistema dittatoriale mussoliniano".
Così Andrea Camilleri racconta a L'Unità il suo nuovo romanzo
storico, che sarà pubblicato dalla Sellerio. La presa di Macallè,
è un libro che farà discutere, per i contenuti e per il modo
nel quale Camilleri affronta il tema dell'infanzia violata di un bimbo,
che la propaganda di regime trasforma in un assassino.
Un romanzo storico originale, diverso, ambientato nella Sicilia del
1935, durante la guerra in Abissinia, quando l'autore aveva appena dieci
anni.
E già questa è una novità. Perchè si tratta
del primo romanzo nel quale l'autore non utilizza documenti dell'epoca,
ma attinge ai ricordi della sua infanzia. Camilleri spiega: "Non vi è
nulla di autobiografico, tranne il fatto che all'epoca, avevo dieci anni,
ed ero, come tutti un giovane Balilla. Lo ero per imposizione, non per
scelta. Nel '35, nelle scuole tutti i maestri, o quasi, erano fascisti,
e ti spiegavano che se ti comportavi male, facevi un dispiacere al Duce
ed a Gesù. I preti spiegavano che Mussolini era l'uomo della provvidenza.
Sì proprio così, la propaganda si fondava su queste mistificazioni".
Come è nata l'idea di scrivere questo romanzo? "Bella domanda: perchè io bambino di 10 anni, che vivevo in
una famiglia non di cultura fascista, avevo scritto una lettera a Mussolini
chiedendo di partire volontario in guerra in Abissinia? Quale meccanismo
psicologico scattò in me? Da questo interrogativo è nata
l'idea di scrivere questo libro. Una storia, che ho iniziato a scrivere
dopo Il re di Girgenti".
Questo dipende anche dal suo metodo di lavoro? "Sì, mi vengono in mente due-tre storie, ma una prevale sulle
altre. Col tempo, capita spesso, che recupero le altre, che nel frattempo
hanno subìto un processo di manutenzione. La presa di Macallè,
è una storia che è sbucata fuori e mi ha turbato. Un romanzo
profondamente diverso rispetto alla mia produzione narrativa. Nel Re di
Girgenti, vi è un finale drammatico, nella Presa di Macallè
è la storia in sè ad essere tragica, violenta, nel suo svilupparsi,
nella sua essenza".
Ha parlato di assassino-innocente. Cosa vuol dire? "Voglio dire, che un bambino sottoposto al lavaggio del cervello, viene
privato della possibilità di sviluppare la sua autonomia critica,
subisce una coercizione. E' un assassino-innocente".
Vi sono particolarità strutturali in questo romanzo? "A differenza di altri romanzi, dove prevale la figura del narratore-romanziere,
nella Presa di Macallè, propongo una lettura dal basso, dall'ottica
del bambino. E' come se riprendessi la scena, con una telecamera dal basso,
per fare una
analogia con il famoso regista giapponese Ozu. Inevitabilmente questa
scelta, di raccontare la storia attraverso gli occhi di un bimbo, invece
che degli adulti, incide sulla tecnica narrativa. Nel fieri del romanzo
mancano alcune caratteristiche peculiari della mia scrittura. I passaggi,
i dettagli, le sfumature, le riflessioni filosofiche, le digressioni. Ed
è ovvio che sia
così. Poichè un bimbo di sei anni, non fa riflessioni
filosofiche o psicologiche tipiche di un adulto, è più immediato.
Coglie i passaggi cruciali di una vicenda in maniera diretta, non mediata.
Un bambino conosce l'inconsistenza del gioco pur giocando, e coglie la
realtà delle cose in maniera istintiva".
Vi è comunque una narrazione del contesto storico... "Questo è un elemento tipico della mia struttura narrativa.
Nel romanzo vi sono adulti che parlano al bambino, facendogli il lavaggio
del cervello, che spiegano la loro visione deformante della realtà.
Emerge nel suo insieme, il regime fascista con le sue tecniche sofisticate
di costruzione e manipolazione del consenso popolare. Nel Novecento, la
nascita dei sistemi totalitari è strutturalmente connessa alla nascita
dei fascismi. La voce del Duce attraverso la radio assieme alle scuole,
erano strumenti di consenso sociale. Così come le parate militari,
ed i comizi. Tempo fa, feci fare ai miei allievi, uno studio sulle voci
alla radio dei potenti della prima metà del Novecento. Mussolini
nelle sue comunicazioni, era come se parlasse all'unisono con le masse.
La gente lo ascoltava, suggestionata, e tirava il fiato assieme a lui.
La voce di Hitler era più isolata, a tratti isterica. Churchill
e Roosvelt invece, avevano un tono dialogante, era come se parlassero solo
con te, ti convincevano come se fossero al telefono. Già allora
le tecniche delle comunicazione erano sofisticate, ed i sistemi democratici
anglosassoni differivano anche in questo dalle dittature naziste e fasciste.
Si pensi al ruolo di Goebbels nel regime nazista. Rilevantissimo. Aveva
già intuito il ruolo essenziale della comunicazione nelle società
moderne. Ed anche la sua forza manipolatrice".
Uno scritto denso di riflessioni... "E' un romanzo ricco implicitamente di riflessioni. Poichè un
bimbo si scontra con la realtà e da essa viene mutato".
Ne La presa di Macallè affronta anche la questione della
pedofilia? "E' la storia di una infanzia violata. Di una violenza, psicologica,
fisica e sessuale. Un romanzo duro, non consolatorio".
Un libro che dimostra la sua ecletticità, oltre che la sua
prolificità. "Non mi piace una lettura monocorde della realtà, che nella
sua essenza è varia e molteplice".
I critici che l'attaccano non rispondono, o non danno una spiegazione
efficace al fatto che anche i suoi libri più complessi, fondati
su un substrato filosofico e storico, attirano numerosi lettori. Qual'è
il segreto della sua scrittura, rapida efficace e comunicativa? "Dalla complessità alla semplicità. Il criterio che deve
prevalere è la leggerezza. Il trapezista, che si muove nell'aria,
trasmette una sensazione di leggerezza, di facilità, e non ti fa
pensare per nulla alla fatica degli esercizi quotidiani che ha dovuto compiere,
prima della esibizione pubblica. Così nella scrittura, si vede il
risultato, non quello che sta dietro. Si pensi a Dostoevskij, tratta di
temi complessi, ma non te lo fa pesare. Lo leggi e non hai voglia di smettere.
Dietro la leggerezza vi è fatica. L'importante è non mostrarla
al lettore, che altrimenti si stanca e si infastidisce".
Salvo Fallica
Carlo Lucarelli è multiforme ma monocolore, anzi dark nella vita
e nell'arte. Scrive romanzi (per i quali riceve premi),
canta con un gruppo, lavora in Internet e fa anche non il conduttore,
ma il narratore televisivo. In quest'ultima veste è
diventato, come si dice, un fenomeno di culto, con il suo Blu Notte
che va in onda in questa stagione la domenica sera
su Raitre.
[...]
Come mai inventi dei personaggi e poi li abbandoni? Creare un detective
che ritorna in diverse storie può provocare più facilmente
l'affezione del pubblico. Non è da parte mia una scelta tecnica o strategica. Mi vengono
in mente delle storie e poi un personaggio che le racconta. Tutto dipende
dalla storia. Avere uno stesso personaggio mi sembra un rischio.
Il rischio che ti prenda la mano? Il rischio che basti a se stesso. Un rischio nel quale non è
ancora caduto Camilleri con il suo Montalbano, mentre devo
dire che ho smesso di leggere Montalban con il suo Pepe Carvalho. Io
cerco di arrivare al risultato cambiando
personaggio ogni volta, oppure qualche volta tornando a un vecchio
personaggio. Mi è capitato anche questo, ma
sempre partendo dalla storia.
[...]
Maria Novella Oppo
Il Messaggero,
26.1.2003
“Montalbano” a rischio: con la Rai esiste soltanto un accordo verbale
ROMA — La situazione della fiction peggiora di ora in ora. Continua
a mancare un direttore della struttura Rai (dallo scorso luglio), il piano
editoriale è conosciuto solo a chi dice di averlo studiato e quindi
scritto, le associazioni di categoria invece di restare compatte si sfaldano
(per motivi di sopravvivenza chi riesce ad agguantare un lavoro non scende
più in piazza). E Francesco Scardamaglia, presidente degli sceneggiatori
televisivi, ammette «di aver perso di vista» Sergio Silva,
presidente dei produttori. A conti fatti, il rischio che corre la fiction
coinvolge il lavoro di circa duecentomila persone tra produttori, autori,
attori, artigiani e tecnici. Il caso eclatante? Montalbano, serie campione
di ascolti sia in prima visione sia in replica, è ancora senza contratto
di attivazione. Ma la reazione di Carlo Degli Esposti, produttore dei raffinati
film tv tratti dai gialli di Andrea Camilleri, è ottimista. «Abbiamo
superato gli esami orali, ora dobbiamo passare gli scritti», dice
alludendo all’accordo verbale già esistente con la Rai, «adesso
l’azienda deve solo mettere nero su bianco».
Degli Esposti, però, l’uomo che ha lanciato la coppia Montalbano-Zingaretti,
non ha ancora sotto contratto l’attore che lui stesso ha reso famoso. Il
fatto è che un altro produttore, Pietro Valsecchi, settimane fa
ha annunciato che proprio Zingaretti sarà il protagonista di una
fiction biografica su Giovanni Paolo II. Quindi l’altro ostacolo consiste
in una questione di tempi, di accordi di date a tre personaggi: Degli Esposti,
Zingaretti e Valsecchi. Ma Montalbano non può aspettare: qualunque
seguito va servito a stretto giro di boa altrimenti diventa un piatto freddo
e il pubblico perde l’appetito (basti pensare ai cali pur se lievissimi
dell’ultimo Maresciallo Rocca, o di Commesse).
Degli Esposti però ha fiducia sia in Zingaretti sia nei dirigenti
Rai: Montalbano ha troppo peso per essere tagliato fuori da quell’ormai
celebre quanto misterioso piano editoriale. I film tv diretti dall’abilissimo
Alberto Sironi hanno infatti cominciato a far breccia nel cuore del pubblico
su Raidue, sbancato l’Auditel su Raiuno e vinto anche con l’ultima ondata
di repliche. Insieme con le altre serie realizzate durante le scorse stagioni
hanno salvato la vita a una Rai che ha sbagliato spesso e volentieri (tranne
le debite eccezioni, come Fiorello, Dalla e Ferilli, il Morandi di C’era
un ragazzo) puntanto sul varietà che è invece il genere vincente
di Mediaset. E, se valesse ancora la regola della concorrenza, la logica
vorrebbe che la tv pubblica scendesse in campo con la fiction (finora suo
punto di forza) contro gli spettacoli d’intrattenimento che fino dalla
nascita della tv commerciale costituiscono le armi forti di Mediaset.
E invece la fiction Rai è in crisi e da troppo tempo. I mesi
passano ma non accade assolutamente alcunchè tanto che si continuano
a replicare i successi invece di realizzare nuovi prodotti. Ma è
vero che alcuni progetti hanno ricevuto l’attivazione. Secondo quali criteri?
Senza un direttore e un conseguente piano editoriale quale linea segue
Raifiction? Durante la scorsa gestione esisteva la fiction della "memoria"
(da Perlasca a Maria Josè), della "commedia" (da Rocca a Commesse),
della lunga serialità (Il medico in famiglia, Incantesimo), dei
film tv "evento". E ora? Certo, i dirigenti della struttura proseguono
i lavori, ma quali sono i progetti e perchè? Per esempio Raifiction
mentre vaglia il caso Montalbano, esamina anche un progetto intitolato
La contessa di Castiglione, con protagonista Francesca Dellera.L’attrice,
reduce dal fiasco di Nanà su Canale 5, debutterebbe così
finalmente su Raiuno...
Micaela Urbano
L'Arena, 26.1.2003
Intervista a Santo Piazzese, autore de «Il soffio della valanga»
Spotorno, l’anti-Montalbano indaga su un delitto di mafia «La differenza è voluta. Stimo Camilleri ma siamo diversi»
Una Palermo normale. Incendiata dal sole di fine giugno, assediata dalle
macchine nel centro storico, deturpata irrimediabilmente dai condomini
lasciati in eredità dalla speculazione degli anni Sessanta, rumorosa
nei mercati dei quartieri popolari dove il vapore acqueo del polipo bollito
si mescola al fumo inebriante delle "stigghiole", gli spiedini di budella
di agnello arrostiti sulla brace. In questa città si muove come
un topo nel formaggio il commissario di polizia Vittorio Spotorno, l'eroe
del nuovo "noir" di Santo Piazzese, "Il soffio della valanga", edito da
poche settimane da Sellerio e già arrivato alla terza edizione.
Questo è il terzo romanzo dello scrittore-biologo (è ricercatore
presso la facoltà di Biologia dell'Università di Palermo),
dopo "I delitti di via Medina-Sidonia" e "La doppia vita di M. Laurent",
pubblicati entrambi da Sellerio, che avevano come protagonista Lorenzo
La Marca, biologo di mestiere e investigatore per caso, dopo che si ritrova
a inciampare fortuitamente in alcuni delitti (a Palermo la cosa non è
poi tanto rara). In quei due romanzi, tra i personaggi che si muovevano
sullo sfondo c'era proprio Vittorio Spotorno, amico personale di La Marca,
il quale finiva dentro la vicenda a causa del suo mestiere di poliziotto
della squadra mobile di Palermo. Ora, ne "Il soffio della valanga" Spotorno
conquista il ruolo di protagonista con una indagine su un duplice delitto
di mafia avvenuto negli anni Ottanta, negli stessi giorni in cui si svolgeva
la vicenda in cui era implicato il suo amico Lorenzo La Marca. Santo Piazzese,
narratore di raffinate letture, si diverte a costruire un intrigante congegno
narrativo, dove attraverso un gioco di specchi e di trasparenze le trame
scorrono in parallelo, i personaggi si parlano da un libro all'altro, precisano
le rispettive psicologie, aggiungono storie alle storie, in una specie
di narrazione continua che si avvolge senza fine su se stessa, come il
nastro di Moebius.
«Mi hanno sempre affascinato, in letteratura- dice Piazzese-
i libri che parlano di altri libri. Ma, da parte mia, non c'è alcuna
ambizione borgesiana, non c'è un progetto determinato a stabilire
questi nessi. Sento, piuttosto, un flusso narrativo naturale al quale non
oppongo resistenza. Per me scrivere è, essenzialmente, osservare,
scegliere un punto di osservazione. In venti minuti, stando a una fermata
d'autobus o seduti al tavolino di un bar, passa tanta di quella vita che
si possono inventare dieci romanzi, in quella pur breve esperienza c'è
un potenziale di scrittura immenso».
- La novità de "Il soffio della valanga" è che si tratta
di un romanzo in cui la mafia affiora dalla tragica normalità della
vita quotidiana. Non è un romanzo sulla mafia, né sulle implicazioni
politiche che la connotano.
«L'omissione degli aspetti politici che riguardano la mafia nasce
dal fatto che tutto ciò è già stato abbondantemente
detto. La mafia, a Palermo, in Sicilia, informa tutta l'esistenza e quindi
anche la politica. Nei miei primi due libri la mafia si scorgeva sullo
sfondo, in quest'ultimo mi è piaciuta l'idea di fare intrecciare
la cosiddetta vita normale e la realtà mafiosa con cui può
venire a contatto chi, per mestiere, si occupa di delitti, come accade
a Spotorno, ma al suo posto poteva esserci anche un magistrato o un avvocato
penalista».
- La figura centrale del romanzo, a parte Spotorno, è quella
di padre Cuttitta, il gesuita che in un drammatico confronto con il commissario
fornisce la chiave di lettura della vicenda, evocando la metafora del titolo,
del soffio che spira ai margini della valanga e distrugge tutto quello
che sfiora.
«A dire la verità, alcuni pezzi del dialogo non sono una
mia invenzione. Li ho presi di sana pianta dalle parole che ho sentito
pronunciare da un frate nella cripta dei Cappuccini, durante una visita
tra i corpi imbalsamati dell'antica nobiltà spagnola di Palermo».
- Però nel romanzo lei le ha messe in bocca a un gesuita...
«Mi serviva un personaggio che giustificasse la forte ambiguità
contenuta in quel discorso».
- Vittorio Spotorno è l'anti-Montalbano. Il suo commissario,
al contrario di quello di Andrea Camilleri, è sposato felicemente,
ha due figli maschi educatissimi, è un monogamo convinto. Questa
scelta antitetica è voluta?
«E' inutile negarlo, questa differenza è voluta. Ma, alla
base, c'è una ragione di carattere pratico. Nella letteratuta italiana,
diversamente che in quella americana, non esiste la figura dell'investigatore
che non sia un funzionario pubblico. Pensi allo stesso commissario Ingravallo
del "Pasticciaccio" di Gadda. Ora, se uno decide di far nascere un commissario
in piena era montalbaniana, non può che creare un personaggio che
stia agli antipodi di quello inventato da Camilleri».
- Montalbano, politicamente, sta a sinistra. Dove si colloca Spotorno?
«Non è che Spotorno nutra grandi passioni politiche. Se
vogliamo assegnarlo a uno schieramento, si può dire che sta nel
centrosinistra. Ma egli ne ha viste tante, è troppo scafato per
non sapere che, tutto sommato, le mele marce esistono in ogni paniere.
A un certo punto dice: i poliziotti comunisti non esistevano neanche nella
Russia boscevica».
- Forse perchè siete entrambi siciliani, ma ogni volta che si
parla di lei, si finisce per fare dei confronti con Camilleri. In qualche
caso si è addirittura parlato di una rivalità tra voi. E'
vero?
«E' assolutamente falso. Ho molta stima e simpatia per Camilleri,
ne condivido le idee politiche. Solo che, quando mi è stato chiesto
se era uno dei miei punti di riferimento ho risposto di no, e non per prenderne
le distanze come scrittore, ma semplicemente perchè, quando ho scritto
il mio primo romanzo, non avevo ancora letto i suoi. Non mi considero,
come qualcuno ha scritto, un anti-Camilleri. Io e lui siamo diversi, ma
essere diversi non significa essere contro».
Se volessimo dare un volto a Spotorno a quale attore dovremmo pensare?
«Spotorno è scuro di pelle, ha un fisico asciutto, segaligno.
L'attore a cui lo accosterei è Gian Maria Volontè da giovane».
- Nel romanzo si accenna in maniera marginale, discreta, a Sciascia.
Come va interpretata questa presenza?
«Si tratta di un mio recupero personale della figura di Sciascia.
Da giovane lessi tutti i suoi libri. Recentemente mi sono ritrovato a leggere
alcuni suoi scritti saggistici, non narrativi, e ho riscoperto la sua scrittura
etica, la sua acuminata capacità di giudicare uomini e cose. Ci
vorrebbe proprio, uno come lui, in questi tempi grigi in cui viviamo».
Antonio Sabatucci
Corriere della sera,
30.1.2003
L’intervista
Camilleri: «Il mio Montalbano è figlio del suo personaggio»
«Non voleva Andreina Pagnani».
Prego?
«Non la voleva. Gino Cervi sì, perché aveva l’aria
giusta, paciosa e massiccia. E fumava la pipa. Ma Andreina Pagnani non
lo convinceva. Disse che era troppo bella».
Andrea Camilleri ricorda un giorno lontano - erano i primi Anni ’60
- in cui lui, trentacinquenne, si presentò a casa di Georges Simenon.
Accompagnava Diego Fabbri, uomo di teatro e sceneggiatore, che voleva sottoporre
allo scrittore di Liegi il progetto del Maigret per la televisione italiana.
Simenon era già un autore famoso; Camilleri, a quel tempo, era soltanto
un delegato di produzione della Rai; Salvo Montalbano, il gagliardo commissario
di Vigata, parente stretto del poliziotto francese, era soltanto un abbozzo
di idea che si annidava nella mente.
Come vi accolse Simenon?
«Era un uomo massiccio, parlava poco e fumava la pipa. Mi colpì
la sua calma, sembrava padrone di se stesso. Un tipo, insomma, molto maigrettiano».
Come riusciste a salvare la Pagnani?
«Simenon non ne bocciò le capacità di attrice,
che forse neppure conosceva, ma l’aspetto fisico. Disse che Maigret si
era sposato giovanissimo, ma escludeva che potesse averlo fatto con una
ragazza bellissima come pensava che fosse, da giovane, la signora Pagnani.
Comunque, la spuntammo noi, e fu una fortuna per tutti. Simenon fu molto
felice degli sceneggiati Rai, che furono trasmessi con enorme successo
di pubblico tra il 1964 e il 1972».
Quest’anno ricorre il centenario della nascita dello scrittore belga.
«E’ una ricorrenza importante, perché aiuterà a
dissipare molte ombre e troppi luoghi comuni».
Per esempio?
«Il primo, e più pesante, è quello secondo cui
Simenon è considerato uno scrittore di polizieschi».
Perché pesante?
«Perché è stato uno scrittore vero, al di là
della smisurata, quasi bulimica produzione letteraria. Per quanto mi riguarda
faccio parte della schiera di persone che non finisce mai di stupirsi della
bravura di Simenon».
Non è il solo.
«Quando uno scrittore è apprezzato da un Céline
e addirittura adorato da un Gide, non può essere considerato di
serie B. E consideri che Céline, come autore, era l’opposto di Simenon.
E anche Gide... ma fu talmente caloroso che Georges, quasi per paura di
deluderlo, smise per anni di scrivere gialli».
A proposito di Gide: nel ’47 vinse il Premio Nobel per la letteratura.
Anni prima, Simenon aveva pronosticato che il riconoscimento, in quella
stagione, sarebbe toccato a lui.
«A guardare che fine hanno fatto certi Nobel, autori sopravvalutati
e subito dimenticati, è un obbligo chiedersi perché Simenon
non sia stato ritenuto degno».
Già, perché?
«Perché forse l’idea di letteratura era molto accademica,
paludata. Premiare Simenon avrebbe significato demolire quell’idea. Il
Nobel a un giallista? E quando mai? Poi le cose sono cambiate: il premio
dato a Dario Fo ne è l’esempio più chiaro».
Maigret croce e delizia per il suo autore?
«Alla fine penso che per Simenon sia stata una condanna, un peso».
Lui infatti la definiva semiletteratura.
«Ma certi Maigret sono capolavori! Penso, ad esempio, a "L’affare
Saint Fiacre" . Fu scritto nel ’32, ma se andate a rileggerlo capirete
che cosa significa, per un libro, saper sfidare l’usura del tempo».
I suoi preferiti?
«Direi "45 gradi all’ombra" e "Le signorine di Concarneau". Parliamo
del primo Simenon, Anni ’30 o giù di lì. Per me, il migliore.
Ma adesso sto acquistando tutti gli Adelphi che ripubblicano Maigret e
le altre opere».
Va da sè che il suo Salvo Montalbano può essere considerato
un nipotino di Jules Maigret.
«Ci sono legami di sangue non facilmente rinnegabili. Intanto,
entrambi sono poliziotti istituzionali, spesso in conflitto con obblighi
e doveri. E’ però diverso il modo di indagare. Montalbano è
uomo d’azione, attivo ed energico; Maigret osserva, placido e distaccato.
Ma chissà che cosa darebbe per poter leggere l’immagine del carnefice
impressa negli occhi della vittima».
Diversi come metodo, ma la parentela è strettissima.
«Sono uniti da molte cose: l’amore per la buona cucina, il rifiuto
della violenza, il rapporto speciale con le donne».
Impensabile, per Maigret, tradire la signora Maigret. Mentre Montalbano...
«Ma no, quella volta che è successo con l’amica svedese
forse sognava, o forse no...».
Simenon raccontò a Fellini di aver avuto rapporti con 10 mila
donne, ottomila delle quali erano prostitute.
«Simenon aveva un rapporto bulimico non solo con la scrittura,
come testimonia la sua mostruosa produzione, ma anche con le donne. Era
eccessivo nei comportamenti, ma quanta misura, anche linguistica, nelle
ambientazioni e nei personaggi dei suoi romanzi!».
Diceva di impiegare un lessico di soli 2000 vocaboli.
«Un altro luogo comune dice che Simenon aveva una scrittura popolare,
troppo facile. Invece è tutt’altro che banale o semplice. Certe
atmosfere parigine, certi ritratti e certe descrizioni possono essere usciti
solo dalla penna di un maestro».
Claudio Colombo
La Sicilia, 30.1.2003
Teatro, ultimi collaudi Racalmuto. I tecnici hanno iniziato ieri le verifiche statiche
Racalmuto. Ha avuto inizio ieri e si concluderà soltanto
domani il collaudo statico del teatro «Regina Margherita» di
Racalmuto. Sono arrivati i tecnici della Regione siciliana e della Sovrintendenza
ai Beni culturali per verificare la struttura in vista dell'imminente apertura
del teatro.
«La prima giornata di collaudo è stata positiva - ha dichiarato
il sindaco racalmutese Gigi Restivo - non dovrebbero esserci problemi particolari.
Comunque basterà attendere ancora altri due giorni prima di tirare
le somme».
Subito dopo avere effettuato il collaudo statico spetterà alla
Commissione di vigilanza sui pubblici spettacoli effettuare il sopralluogo
definitivo prima dell'apertura del teatro, una struttura che è stata
interessata da lavori di restauro che si sono protratti per oltre vent'anni.
«Siamo ormai alle battute finali - ha continuato Restivo - i
tecnici della Regione hanno avuto soltanto parole di elogio per i lavori
realizzati. D'altronde non avevamo alcun dubbio visto che l'opera di restauro
è stata effettuata seguendo tutte le disposizioni di legge. Per
noi è essenziale comunque il visto di questo collaudo statico per
potere aprire la struttura teatrale».
A proposito dell'apertura del teatro non è stata ancora resa
nota la data. Dipenderà molto dalla risposta che arriverà
entro fine settimana da Roma. Prende sempre più corpo l'ipotesi
che ad inaugurare il teatro tanto caro a Leonardo Sciascia possa essere
il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Sull'argomento però
il sindaco Restivo glissa ancora.
«Non c'è nulla di ufficiale - ha continuato - ancora non
è arrivata alcuna comunicazione. Certamente ci speriamo molto anche
perché sarebbe un grande avvenimento riaprire il regina Margherita
dopo oltre trent'anni ed alla presenza di Ciampi».
Ricordiamo che nel 1995 quando riaprì il «Pirandello»
di Agrigento intervenne per l'inaugurazione l'allora presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro.
Intanto ai primi del mese di febbraio a Racalmuto tornerà anche
il Direttore artistico, lo scrittore empedoclino, Andrea Camilleri per
mettere a punto la serata di gala con i vari ospiti che interverranno.
Si tratta di uomini del mondo dello spettacolo di un certo richiamo e potrebbe
anche intervenire Luca Zingaretti, che sembra essersi liberato dagli impegni
di lavoro, che impersona il Commissario Salvo Montalbano, nato proprio
dalla penna di Camilleri e che è uno degli attori italiani più
amati dal pubblico. Della serata di gala farà parte anche Anna Marchesini.
Una ex miss Italia farà da madrina della manifestazione.
Gaetano Ravanà
La Repubblica
(ed. di Palermo), 31.1.2003
A Messina si prova "Il fantasma della cabina" di Betta ispirato al
testo dello scrittore
E il tenore disse: "Camorria" Mortelliti spiega Camilleri in versione lirica
Come sarà un´aria che culmina con una botta di camorria
a pieni polmoni? E come la mettiamo con un tenore che tuona pighiatilla
in quel posto? Niente paura, è Camilleri in versione lirica, rimaneggiato
e messo in scena da Rocco Mortelliti per il debutto siciliano de "Il fantasma
della cabina". Dopo la prima di Bergamo, a Messina sono iniziate le prove
dell´operina di Marco Betta ispirata al racconto dello scrittore,
che andrà in scena giovedì prossimo al Vittorio Emanuele.
Teatro nuovo, allestimento nuovo: oltre a orchestra e coro, che saranno
del Vittorio Emanuele, "Il fantasma della cabina" si presenta con un cast
rinnovato. Al posto del palermitano Vincenzo La Scola, nel ruolo del commissario
Cecè Collura ci sarà Luca Canonici. «È un toscano
- dice Mortelliti - perdonate il suo dialetto». Il soprano Denia
Mazzola rimpiazza Katia Ricciarelli nel ruolo della signora Meneghetti
mentre Cinzia Rizzone sostituisce Luciana Serra nel personaggio della giornalista
scandalista. Confermati Fabio Previati, il comandante della nave, Danilo
Formaggia, Paola Ghigo e Leonardo De Lisi, oltre allo stesso Mortelliti,
impegnato in un piccola parte. Sul podio Fabrizio Carminati.
«Ho stravolto il modo di fare della lirica - dice trionfante
il regista - I cantanti, quando provano, sono abituati a fare delle pause
per non stancare la voce: io li ho fatti divertire e non hanno sentito
il bisogno di chiedere la pausa». Ma cos´è questo esperimento
che si nutre della lingua di Camilleri e che sembra voler fare arricciare
il naso ai melomani più rigorosi? «Questa è un´opera,
non un´operetta o un musical come è stato scritto - risponde
Mortelliti - È un´opera nella quale accanto alla arie c´è
anche la prosa, dei recitativi. L´ironia c´è, certo,
è un testo di Camilleri: io ho cercato di servirlo questo testo,
mettendogli dentro le cose che piacciono ad Andrea, il teatro che mi ha
insegnato all´Accademia e il teatro che più ho amato. Però
si tratta di un´ironia raffinata, mai volgare. La Scola, che è
palermitano, ha goduto quando ha potuto fare un acuto cantando camorria.
E poi è un´opera in cui si capisce esattamente quello che
si dice, anche se il teatro ha preferito attrezzarsi con dei sopratitoli».
L´operazione Camilleri continua, sia in teatro che a cinema.
«Con Marco Betta faremo una tetralogia dai racconti del commissario
Collura - spiega Mortelliti - Cominceremo a luglio con "Il mistero del
finto cantante"». Poi toccherà al film "La scomparsa di Patò",
da uno degli ultimi romanzi di Camilleri. «Un progetto che va avanti
- assicura il regista - Nei prossimi giorni avrò un incontro col
produttore, Carlo Degli Esposti, lo stesso del Montalbano televisivo».
Mario Di Caro
Diario, 31.1-6.2.2003
Da Vigàta al Pantheon Il commissario siciliano nel tempio dei classici
Storie di Montalbano di Andrea Camilleri, a cura di Mauro Novelli
Meridiani Mondadori, pp. 1680, 49 euro
Brava Colorni 7+, come direbbero Cochi e Renato, anzi 8+, per aver accolto
nei Meridiani Andrea, a dispetto dello snobismo sterile di certi critici.
Lo dico dopo aver scorso la bibliografia, nella quale ritorna spesso la
formula di «Caso Camilleri». In che consiste? In parte lo spiega
il commissario Montalbano quando, nella Gita a Tindari, dice: «I
romanzi gialli, da una certa critica e da certi cattedratici, o aspiranti
tali, sono considerati un genere minore, tant'è vero che nelle storie
serie della letteratura non compaiono». O se compaiono, aggiungo,
come nell'Histoire de la Pleiade, cadono sotto la voce della «parallela-tura».
Dove bisognerebbe metterci, allora, anche Dumas, Stevenson, ]ames, Green,
oltre allo sdoganato Simenon. Temo che il «caso» stia tutto
lì, nello snobismo ottuso di una critica che non concepisce il romanzo
d'azione né sa dove collocarlo nei suoi schemi, a dispetto di Ariosto,
di Pulci o di Rabelais. Peggio, non concepiscono che possa esistere l'azione
e il piacere dell'azione. Me li ricordo alle prese col primo romanzo di
Eco.
Dico perciò grazie a Colorni perché spero che costringa
quegli snob accademici a compromettersi con qualche argomentazione. Certamente
Camilleri non è uno scrittore facile, di pronta beva, nonostante
l'apparenza o l'etichetta, e procura non poche difficoltà
al lettore che non sia siciliano, il quale vien posto in una situazione
sottomessa. A cosa? Alla lingua e, quindi, allo stile, che per un giallista,
o presunto tale, sarebbe, è, una specie di autopunizione preventiva.
Il che significa sollecitare quel lettore, suggerendogli che quello che
ha tra le mani non è un romanzo giallo, è un'altra cosa,
anche se ci sono molti morti ammazzati. Come in ogni romanzo d'azione,
del resto, dall'Iliade al cappespada. Gira e rigira, io non riesco proprio,
con tutta la mia più buona volontà, a far entrare Montalbano
nella categoria del classico giallo. Infatti la prima preoccupazione di
Camilleri è quella di costruirsi uno strumento suo e originale,
buono o cattivo lo si stimi, di inventarsi una lingua che diventa funzionale
e imprescindibile, il che vuole poi dire che il primo interesse è
di natura «espressiva», riguarda la scrittura. In altri termini,
l'azione non è lasciata a sé stessa. Si può approvare
o meno, però è da lì che si deve incominciare eventualmente
e onestamente a discutere. In casi come questo la tentazione del critico
è di prendere a modello e far riferimento al plurilinguismo di Gadda,
che di figli e figliastri ne ha messi al mondo non pochi. Un plurilinguismo
aristocratico, un mezzo per convogliare il rancore. O si cita D'Arrigo,
volendo rimanere in Sicilia, altro aristocratico. Mentre qui il moto va
in direzione contraria, iperrealistica semmai, degradata quanto può
esserlo il «popolare». Camilleri tenta di produrre e organizzare
una lingua che non è del tutto inventata ma è una sorta di
koinè, in cui si mescolano il dialetto, la italianizzazione di parole
dialettali, l'italiano, la lingua parlata (tutto lo stile dei romanzi è
orale, è «parlato», è Carnilleri che sta parlando
e raccontando ai sui concittadini di Vigàta, nella loro lingua)
a un medio livello sociale. Ne consegue una lettura che richiede un'attenzione
particolare da parte del lettore e che condiziona l'intrigo: un paradosso
per uno che lo si vuole giallista a tutti i costi (mica ha scritto solo
le storie di Montalbano).
Tutto ciò non è senza significato o senza conseguenza,
perché la qualità dei «gialli» di Camilleri consiste
nella riduzione dell'eccezionalità a realtà normale (e, che
non guasta, poli- tically correct...), incominciando, come si è
visto, dalla lingua. Perciò niente a che vedere con Sherlock Holmes
o con Poirot o con Nero Wolf. Se proprio si vuole un referente, opterei
per Chandler. Niente aragosta ma piuttosto pasta e fagioli e merluzzo.
Alla fine emerge l'immagine della provincia siciliana, osservata dal punto
di vista di un commissario, un luogo naturale di convergenza di storie
(si pensi al Ladro di merendine o alla Gita a Tindari, con fenomeni che
appartengono alla quotidianità, per drammatica che sia, da ogni
lettore conosciuta). In quel contesto egli non è un genio del sistema
deduttivo, ma è uno che risolve i suoi casi perché è
dotato sia di professionale mestiere, di intuizione, ma soprattutto perché
conosce il suo paese, è aiutato dal caso e dalla fortuna e ha una
squadra bene organizzata.
Niente da eccepire? Sì, mica è Balzac. Forse un qualche
eccesso, una qualche bulimia stilistica (anche «l'eroe» è
bulimico d'altronde), che è compensata dalla sapienza registica,
di chi conosce il mestiere registico e i trucchi del montaggio. O un eccesso
comico con personaggi che sono tipiche spalle del varietà (di nuovo
l'uomo di cinema e di teatro). A volte si compiace e il compiacimento è
evidente quando Montalbano e Camilleri coincidono e il romanziere presta
al personaggio preziose citazioni dimostrative. Per dirci, non sono un
routiniè ma uno colto. Beh, non c'è bisogno di farcelo sapere
con le citazioni. S'era già capito con lo stile. E se deve fare
una citazione dotta, la prego, si astenga dal farci sapere chi ne è
l'autore. Ci toglie il gusto di scoprirlo da noi. Disturba.
Folco Portinari