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RASSEGNA STAMPA

SETTEMBRE 2003

 
Ad Est, n.6, 1.9.2003
Lettera di Andrea Camilleri
Lettera scritta in occasione di un attentato compiuto contro il teatro di Raffadali

Quando vengo d'estate al mio paese per trascorrere qualche giorno di vacanza (per modo di dire) comincio naturalmente a comprare i quotidiani dell'isola e a seguire i notiziari delle televisioni locali. Sono in un certo senso rassegnato alla constatazione che i fatti negativi dei quali verrò a conoscenza supereranno di gran lunga quelli positivi. Ma una notizia mi ha particolarmente addolorato e cioè l'incendio non casuale del palcoscenico del bellissimo teatro all'aperto di Raffadali.
La prima volta che lo vidi ne rimasi assai colpito per una ragione molto semplice: si trattava di una struttura in muratura, non di un "arrangiamento" qualsiasi in tubi innocenti: segno dell'importanza civile che la comunità dava a un fatto sociale com'è il teatro. M'inorgoglii, da siciliano, per i miei amici raffadalesi. E in quel teatro ho diretto due spettacoli che sono rimasti nella mia memoria oltre che per i risultati ottenuti, per l'amicizia, per la simpatia, la cortesia di cui venni, in quelle occasioni, circondato. E in quel teatro lavorò anche il regista Pino Passalacqua, gran galantuomo e amico fraterno. Spero che quel palcoscenico venga al più presto ricostruito e valorizzato, a simbolo di una ritrovata comunanza d'intenti.
 
 

Ulisse, 9.2003
“Mi piacque l’ambiguità di Vigàta”
Il paese delle mie storie è semifantastico. Vi si riconosce Porto Empedocle, ma esso ha ormai assunto la forma triangolare della Sicilia stessa.

Ci sono scrittori che sentono la necessità di ambientare la maggior parte delle loro storie in un unico luogo semifantastico, una città, una provincia. È come se si fossero autoeletti sindaci o governatori dei loro personaggi. Dando loro in qualche modo dei confini, geografici ed esistenziali, forse sentono di poterli tenere maggiormente sotto controllo. Due casi per tutti: Faulkner e Garcìa Márquez. Ho detto che sono luoghi semifantastici a ragion veduta: in realtà quella città o quella provincia esistono sulla carta geografica come strutture toponomastiche di base, ma le necessità narrative degli autori fanno sì che i confini siano a geometria variabile, che le strade si ordinino in un modo diverso, che un fiume che scorre ad est venga spostato a ovest, che una collina da sud trovi la sua più giusta collocazione fantastica a nord. Ne I vecchi e i giovani di Pirandello, Girgenti (ora Agrigento) appare letteralmente terremotata: ad esempio, siccome Pirandello aveva la necessità che due case si fronteggiassero, fece scomparire un colle che nella realtà si frappone. Le vicende del mio primo romanzo, Il corso delle cose, terminato nel 1968 ma pubblicato dieci anni dopo, si svolgevano in un paese costiero del sud della Sicilia che non aveva un nome. Ma chi tra i miei compaesani lo lesse riconobbe subito che si trattava di Porto Empedocle, il mio paese natale. E del resto io non avevo fatto niente per camuffarlo. Allora cominciò una specie di gioco d’identificazione: qual era il nome vero di un personaggio che si nascondeva dietro il nome inventato che io gli avevo dato? Qualcuno si riconobbe (forse non a torto) e s’irritò. E questo malgrado io avessi scritto il solito avvertimento e cioè che i nomi e i fatti non avevano alcun rapporto con la realtà. La cosa mi seccò molto, mi ripromisi di non correre più il rischio e così, quando scrissi il mio secondo romanzo, Un filo di fumo, del 1980, volli ambientarlo in un paese, Vigàta, che esisteva e nello stesso tempo non esisteva. Quel paese, lo confesso, mi piacque, mi piacque quell’ambiguità, e decisi che, possibilmente, tutti i miei romanzi futuri dovessero svolgersi a Vigàta. Vigàta che era capace d’inglobare fatti e vicende d’altri paesi siciliani pur restando sempre Porto Empedocle. Però, sposta il confine oggi, spostalo un po’ più domani, è andato a finire che Vigàta ha assunto la forma triangolare della Sicilia stessa. Con l’insperato successo dei miei libri, il nome di Vigàta ora è conosciuto in Italia e in buona parte del mondo. Ma c’è stata, se così si può chiamare, una complicazione. Vale a dire una sorta di sdoppiamento di Vigàta. Quando si trattò di girare i telefilm che avevano a protagonista il commissario Montalbano, il produttore, il regista, lo scenografo, ritennero che la splendida zona di Ragusa e dintorni fosse più adatta come ambientazione. E non avevano tutti i torti. Il mio paesaggio empedoclino era di memoria e nel corso degli anni aveva subìto molte e sostanziali modifiche.
E così è accaduto che il successo dei telefilm ha fatto conoscere una parte della Sicilia che invece è assente nei miei romanzi. E ora esistono con pieno diritto due Vigàta: quella letteraria, che continua ad avere come struttura portante la memoria della mia Porto Empedocle, e quella della fiction televisiva, altrettanto valida e plausibile nella sua realtà odierna. 
Andrea Camilleri
 

“I liked Vigàta’s ambiguity”
The town where my stories are set is half-imaginary. It has something of Porto Empedocle in it, but over time it has taken on the triangular shape of Sicily.

Some writers feel the need to set their stories in a single, semi-imaginary place, town or province, as if they were the self-elected mayors or governors of their characters. Maybe they feel that establishing geographical and existential boundaries helps to keep them under control. Two examples: Faulkner and Garcia Marquez. I have deliberately called them semi-imaginary places - the fact is that the town or province actually exists on the map in its basic configuration, but the authors’ narrative needs cause boundaries to be moved, changes in the layout of streets, a river flowing eastwards to be diverted to the west, and a hill to be transferred from south to an imaginary location north. In Pirandello’s The Old and the Young, Girgenti (now Agrigento) is literally disrupted. For example, since Pirandello required two houses to face each other, he caused the hill that rises between them in real life, to disappear.
My first novel Il corso delle cose, which I finished writing in 1968 (though it was published ten years later) was set in an unnamed town on the south coast of Sicily. When my fellow citizens read it, they immediately recognised Porto Empedocle, my hometown. For that matter, I had done nothing to disguise it. A sort of guessing game began - who were the real people concealed behind the fictional names I had made up for them? Some people recognised themselves (and sometimes they were right) and got angry, despite my having written the usual warning that names and facts had nothing to do with reality.
I was very annoyed and promised myself not to run a similar risk again, so when I wrote my second novel Un filo di fumo in 1980, I set it in a town called Vigata, real and inexistent at the same time. I confess I liked the ambiguity of this town so much that I decided that in the future all my novels, as far as possible, would take place in Vigàta. While continuing to be Porto Empedocle, Vigàta was able to absorb facts and events of other Sicilian towns. Gradually, by dint of extending its boundaries, Vigàta ended up by taking on the triangular shape of Sicily in its entirety. As my books became unexpectedly popular, the name of Vigàta became known throughout Italy and indeed in a large part of the world. However, a complication has cropped up, if it can be termed such - Vigàta now has a double. When it came to shooting the TV series based on the figure of Inspector Montalbano, everybody involved - the producer, the director and the set designer - all judged the splendid area of Ragusa and its surroundings to be a far more suitable setting. And they weren’t far wrong. The landscape of my Empedocle only existed in my memory and had greatly changed with the passing of the years.
So it happened that the success of the TV series has introduced the public to a part of Sicily that does not feature in my novels. Now two Vigàtas exist - the literary one, still based on my memories of Porto Empedocle, and the one for the TV series, just as valid and plausible in its present reality.
 

La provincia delle lettere
Qui sono nati Pirandello, Sciascia e Camilleri. Qui sorgono Girgenti, Regalpetra e Vigàta che richiamano luoghi reali ormai profondamente segnati dalla finzione letteraria.

Esistono luoghi nei quali si torna, anche se vi si mette piede per la prima volta. Altri luoghi invece sempre sfuggono al tentativo di attraversarli e comprenderli, restando comunque inesplorati. Ed esistono luoghi che si sdoppiano e moltiplicano, come in un gioco di specchi, rimandando immagini che somigliano al reale ma che tradiscono, confondono e ammaliano.
Se Jorge Luis Borges pubblicava nel 1967 Il libro degli esseri immaginari, enciclopedia di finzioni ed esistenze letterarie, così per la provincia di Agrigento si potrebbe disegnare un Atlante dei luoghi immaginari, parafrasando lo scrittore argentino nato in un quartiere di Buenos Aires chiamato Palermo, coincidenza che in qualche modo lo riconduce alla Sicilia. “Ignoriamo il significato dell’universo, ma c’è qualcosa nella sua immagine che concorda con l’immaginazione degli uomini”, scriveva allora lo stesso Borges. Così forse si finisce per ignorare la geografia concreta e reale di una provincia che corre lungo la costa del mare africano da Sciacca a Licata, si addentra nelle vallate arse dell’interno verso Cammarata, si inerpica sui boschi della Quisquina, si dispiega nel vuoto abbacinante dei feudi smembrati e racchiude la sua luce in certe forme barocche delle chiese di tufo giallo. Si può ignorare tutto questo, ma non si può sfuggire a una geografia più leggera, più resistente.
Perché se quella delle strade, dei paesi, dei monumenti e delle spiagge può essere la provincia del viaggiatore, del turista, di chiunque la attraversi per caso o per scelta durante quello che Luigi Pirandello chiamò “l’involontario soggiorno sulla terra”, ad essa se ne sovrappone un’altra che per certi versi combacia e per altri si discosta dalla geografia reale: una provincia letteraria che ha i suoi beadeker e le sue guide, dai titoli strani e suggestivi: I vecchi e i giovani, Le parrocchie di Regalpetra, Il re di Girgenti. Manuali per viaggiatori che possono percorrere questo territorio dai confini dilatati e dilatabili senza spostarsi da casa; vademecum che non si trovano sui consueti scaffali dedicati ai viaggi ma in quelli occupati dalla narrativa italiana. Una provincia triangolare, come a tre punte è la Sicilia che la contiene: “isola dentro l’isola”, l’avrebbe definita Leonardo Sciascia che in questo sistema concentrico di isole (“l’isola-provincia” dentro “l’isola-regione”, e così via fino ad arrivare all’“isola-individuo”) ravvisava uno degli elementi fondanti della sua “Sicilia come metafora”. Una provincia tutta di parole stampate, di parole che parlano della realtà, fino a ridisegnarla e a riscriverla. Un territorio che ha le sue capitali nella Girgenti di Luigi Pirandello, nella Regalpetra di Leonardo Sciascia, nella Vigàta di Andrea Camilleri. Certo, ci vuol poco a tentare il gioco delle corrispondenze. Così Girgenti è Agrigento, Regalpetra è Racalmuto, Vigàta è Porto Empedocle. Ma chi conosce i viaggi delle parole scritte sui libri, sa che le cose funzionano diversamente. “Regalpetra, si capisce, non esiste”, scriveva Sciascia nell’introduzione alle sue Parrocchie. Anzi: “Esistono in Sicilia tanti paesi che a Regalpetra somigliano”. E uno di questi paesi era Racalmuto, dove Sciascia era nato, “un paese che nella mia immaginazione confina con Regalpetra”. Ecco, sta lì il trucco, la mistificazione, il congegno che si trasforma in trappola affascinante per l’intelligenza.
Agrigento nell’immaginazione di Pirandello “confina” con Girgenti e, allo stesso modo, Porto Empedocle “confina” con la Vigàta di Camilleri. Quasi uno spostamento di asse, forse di pochi atomi, anche meno, ma che sulla lunga distanza - la distanza del tempo, la distanza tra scrittore e lettore, tra reale e fantastico - stabilisce lo scarto tra geografie immaginarie e geografie concrete. Eppure bisognerà riuscire a capire, prima o poi, come tre scrittori abbiano scelto come luogo d’avvio del loro “involontario soggiorno sulla terra” questo triangolo prima ancora geografico che letterario, questo lembo di terra meridionale. Tre scrittori nati in tre luoghi concreti che distano fra loro non più di venti chilometri l’uno dall’altro; nello squarcio breve di poco più di mezzo secolo, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Pirandello, Sciascia e Camilleri, autori che nel loro attaccamento alle radici, ai colori e sapori originari riescono a parlare la lingua di tutte le latitudini. Tanto da convincere Sciascia dell’assioma che “il massimo della sicilianità coincida col massimo dell’universalità”.
E Pirandello come Sciascia, come Camilleri affonda in una provincia distante dai grandi circuiti culturali ed editoriali, lontana dalle capitali mondane, gravata da ritardi economici e storici. Una provincia che Andrea Camilleri, nella sua adolescenza, sognando di scapparne via, descriveva come “un sommergibile ffondato”. Allora, come è possibile? “Forse proprio per questo”, sostiene il papà del commissario Montalbano. “Forse perché in questo luogo la nostra personalità si è formata rocciosamente, senza poter godere della carezza di altri rivoli, di diverse correnti”.
Girgenti, Regalpetra, Vigàta. Luoghi vicini fra loro e contigui sulle mappe tracciate in caratteri di piombo. Paesi che quasi si guardano l’un l’altro, come le torri tozze e cupe alzate lungo le coste a fermare gli assalti saraceni, ciascuna delle quali ne avvista altre due, a destra e a sinistra, in un reticolo di sguardi lontani che circonda e tenta di proteggere l’intera Sicilia.
Agrigento, Racalmuto, Porto Empedocle. Tre luoghi adiacenti, tre scrittori legati da vincoli e parentele. Ma non solo di sangue, come quella fra la famiglia materna di Andrea Camilleri e la famiglia di Luigi Pirandello, ma affinità più forti e profonde perché scaturite dal ceppo comune, dal comune sentire, da una caratteristica che Sciascia ravvisava negli autori siciliani, uniti fra essi da eredità letterarie.
E se Pirandello riconosceva di avere un debito verso Giovanni Verga, Sciascia lo ammetteva verso Pirandello e Camilleri verso Sciascia. È come se le opere di questi autori andassero a comporre un grande libro che parla delle stesse cose, mantenendo suono, voce e timbro propri. Ma a voler scavare per cercare la vena comune, il filone aureo, qualcosa si trova. È giallo come l’oro, ma demoniaco e ardente come lo zolfo. Quello zolfo che unisce tre luoghi, tre scrittori. Nell’industria degli zolfi commerciava Stefano Pirandello, il padre di Luigi, e l’allagamento di una zolfatara provocò il disastro economico che travolse la famiglia e la serenità della moglie dello scrittore, rendendola pazza, trasformando la vita di Pirandello in un percorso di pena. Di zolfi viveva Porto Empedocle, dei traffici e delle navi che quel minerale portavano in giro per il mondo: cataste di lingotti gialli sulle banchine del porto dove Andrea Camilleri iniziò a muoversi e a nuotare, sotto l’occhio del padre doganiere. E di zolfare era tarlato il territorio di Racalmuto, in una zolfara lavoravano il nonno e il padre di Sciascia, in una zolfara deserta si uccise a venticinque anni suo fratello Giuseppe e all’epopea misera di quei minatori l’autore de Il giorno della civetta dedicò parte del suo primo libro. Lo zolfo, dunque. Che sa di intelligenza, di fatica, di energia, di dannazione, di solitudine. Al punto che Sciascia affermava, a conclusione del suo Alfabeto pirandelliano: “Senza l’avventura della zolfara non ci sarebbe stata l’avventura dello scrivere, del raccontare: per Pirandello, Alessio di Giovanni, Rosso di San Secondo, Nino Savarese, Francesco Lanza. E per noi”.
E così, seguendo lo zolfo, alla geografia piana se ne aggiunge ancora un’altra: sotterranea, questa volta. Nascosta e invisibile, come le vene di zolfo che percorrono la provincia, quasi una nervatura sommersa e atavica. Ma anche questo non spiega perché qui, perché proprio qui, tre scrittori abbiano intrapreso il loro percorso morale e letterario. Forse perché casualmente appartengono allo stesso territorio, alla stessa geografia reale. O forse no. Forse è il contrario. Forse questa latitudine esiste solo nelle loro parole, in quello che hanno scritto e descritto. Forse la “loro” provincia è quella vera. L’unica.
Gaetano Savatteri
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 2.9.2003
Il seminario
La comunicazione secondo Camilleri

Andrea Camilleri e Giovanni Russo inaugurano questo pomeriggio il seminario della Scuola estiva di alta formazione di Cattolica Eraclea dal titolo "Comunicazione e espressione. Linguaggi e tecniche". Alle 18, nell'aula magna dell'istituto Ezio Contino di largo Pertini, Camilleri interviene su "La concessione del telefono", mentre Giovanni Russo del "Corriere della Sera" affronta il tema "L'informazione nel Mezzogiorno ieri e oggi". La partecipazione è libera.
 
 

La Sicilia, 2.9.2003
Da oggi a Cattolica Eraclea
Seminario di giornalismo con 15 borse di studio

Cattolica Eraclea. Importante seminario di studi di giornalismo a Cattolica Eraclea promosso dall'amministrazione comunale. Gli incontri si terranno a partire dalle ore 18 di oggi, presso l'aula magna dell'istituto comprensivo «Contino», fino al 5 settembre prossimo. Temi dell'incontro della scuola estiva di alta formazione saranno «Comunicazione ed espressione. Linguaggi e tecniche». Le prime due relazioni saranno tenute, oggi, dallo scrittore e regista agrigentino Andrea Camilleri che parlerà de «La concessione del telefono», e dal giornalista del Corriere della Sera Giovanni Russo che tratterà «L'informazione nel Mezzogiorno, ieri ed oggi». Domani sarà il turno di Costanza Baracchini Biondi di Rai International che si soffermerà su «Cinquant'anni di radio: dalle tre reti nazionali all'universo sonoro di oggi» e di Stefano Malatesta (nella foto) di Repubblica che relazionerà su «L'immagine della Sicilia fuori dalla Sicilia». Nino Borsellino dell'università La Sapienza di Roma per giovedì ha in programma di trattare «Parola ed immagine: trasformazioni della letteratura», mentre Maria Grazia Tolomeo discuterà su «Arte e comunicazione». Venerdì la scuola estiva di giornalismo si chiuderà con le relazioni di Benedetta Gentile dell'Ansa di Parigi, «C'è ancora un ruolo per le agenzie di stampa ?» e con Vanna Vannuccini di Repubblica «Comunicazione ed informazione: Il mestiere dell'inviato». Il comune di Cattolica Eraclea ha messo a concorso 15 borse di studio per giovani universitari.
Enzo Minio
 
 

La Sicilia, 2.9.2003
Camilleri a Serradifalco con Albanese
Premiato pure il «barista» del commissario Montalbano

Andrea Camilleri cittadino emerito di Serradifalco in provincia di Caltanissetta. Tra qualche giorno però, nella ridente cittadina nissena il «papà» del commissario Montalbano non si presenterà da solo col suo carisma.
Accanto a se ci sarà infatti il «fido» Stefano Albanese, il titolare del «Caffè Vigata» di via Roma a Porto Empedocle, trasformato da alcuni mesi in «segreteria ufficiale» del noto scrittore. Mentre a Camilleri verrà concessa la prestigiosa attestazione di riconoscenza e amicizia, al commerciante verrà donata una targa ricordo, visto che proprio attorno a un tavolo del suo bar, il sindaco di Serradifalco, Bernardo Alaimo, ha chiesto a Camilleri se fosse intenzionato a fare un salto nel paese che tra l'altro, conosce bene. Nel Comune in provincia di Caltanissetta infatti, l'allora giovane scrittore e regista teatrale, oggi fenomeno letterario, visse da sfollato alcuni mesi del tragico dopo guerra siciliano. Giorni che a Serradifalco qualcuno continua a ricordare, anche perché dei luoghi serradifalchesi Camilleri ha scattato molti «flash», rappresentati nelle sue opere. E proprio per ringraziarlo di quelle citazioni, il sindaco Alaimo ha inviato una lettera allo scrittore, con la quale lo invita a farsi attribuire l'attestato di benemerenza. In tutto ciò, a ottenere un'inattesa ribalta sarà anche il commerciante empedoclino, il quale del suo bar in via Roma fatto una sorta di cult, conosciuto ormai anche fuori dai confini regionali.
Francesco Di Mare
 
 

La Sicilia, 3.9.2003
«Turismo in costante crescita»
Gli amministratori comunali illustreranno al festival di Ischia il «miracolo Vigata»

Porto Empedocle. Vigata «tira». Dopo alcune perplessità all'inizio della stagione estiva, soprattutto da parte di alcuni albergatori, il trend delle presenze turistiche rispetto allo scorso anno è in netta ascesa. Il sindaco Paolo Ferrara e l'assessore al ramo Tonino Guido, parlano di un «60% in più rapportato allo stesso periodo dello scorso anno, quando in giro non si vedeva la massa di gente in cui ci s'imbatte in questi giorni». Ferrara e Guido sprizzano gioia da tutti i pori, quando raccontano di «piazza Kennedy gremita ogni sera da centinaia di persone, contente per gli spettacoli che abbiamo organizzato. Ma è l'effetto Vigata che ci rende felici per la decisione che nei mesi scorsi abbiamo preso. Affiancare al nome vero del paese quello immaginario creato da Andrea Camilleri è stata una grande intuizione che ci sta ripagando di tutti gli sforzi fatti».
Oltre a piazza Kennedy trasformata in una bomboniera affollata quasi ogni sera, gli amministratori comunali dicono che «gli alberghi locali sono strapieni di gente venuta anche dall'estero per conoscere i luoghi del papà del commissario Montalbano».
[...]
F. D. M.
 
 

Libertà, 3.9.2003
Cultura
Quadruppani: «La scrittura dà senso alla vita»
Intervista all'autore francese ospite di Carovane in vacanza in Sicilia

Serge Quadruppani, che sarà ospite di Carovane a Piacenza il 12 e 13 settembre, è nato a Tolone nel 1952 e vive tra Parigi e Roma. Traduttore dall'americano e dall'italiano (in particolare ricordiamo le sue traduzioni di Andrea Camilleri, Valerio Evangelisti e Sandrone Dazieri), è a sua volta scrittore e saggista. In Italia Mondadori ha pubblicato “14 colpi al cuore”, un'antologia di racconti inediti dei migliori giallisti italiani, da lui curata, e i suoi romanzi “La breve estate dei Colchici” e “L'assassina di Belleville”. Per una singolare coincidenza, abbiamo incontrato Quadruppani in vacanza in Sicilia. Dalla terrazza del “Vecchio Baglio” di San Vito Lo Capo, affacciata su quell'angolo di paradiso che è la Riserva naturale dello Zingaro, lo scrittore francese ha accettato di raccontarsi un po' ai lettori di Libertà. Che cosa la lega all'Italia? «Io mi chiamo Quadruppani, mia madre si chiamava Gandolfi, tutti i miei antenati erano italiani, ma a casa si parlava solo francese. Poi è successo che quando sono arrivato in Italia per la prima volta ho scoperto che quello che si mangiava qui da voi erano le stesse cose che si mangiavano a casa mia. La lingua a casa era sparita, perché c'era un grosso sforzo di integrazione, ma il cibo, che è la cosa più vicino al cuore, soprattutto al cuore materno, era rimasto. Per questo ho sentito subito un forte legame con l'Italia». E con la Sicilia, dove sta trascorrendo le vacanze, ha un legame particolare? «Vengo spesso in Sicilia perché mi sono innamorato di una siciliana che vive a Roma e che spesso torna sull'isola, e l'impressione che ho tratto è che la Sicilia sia una specie di continente a sé, diverso dall'Italia». Questa conoscenza approfondita della Sicilia e dei siciliani l'ha aiutata nel tradurre Camilleri e il “camillerese”? «Ho conosciuto i libri di Camilleri per caso, vedendone uno in casa della mia compagna a Roma. Il libro era “La stagione della caccia” e all'epoca Camilleri non era ancora di moda: cominciava a vendersi bene, ma la stampa ancora non ne parlava. Nonostante ci fossero molte parole che non capivo, il libro mi è piaciuto molto, ho sentito un'allegria nel modo di raccontare di questo scrittore che mi ha convinto subito. Per quanto riguarda la lingua da lui usata devo dire che frequentando i siciliani ho scoperto che tutti sostengono che la lingua di Camilleri non sia il vero siciliano, eppure quando cerco di sapere qual è in realtà il termine giusto, in “siciliano puro”, di un dato vocabolo usato da Camilleri, non trovo mai due siciliani che siano d'accordo sulla risposta». Come sceglie gli autori italiani da tradurre in Francia? «Seguo i miei gusti. Per le edizioni Métailié sto curando una collana che si chiama Italies, nella quale pubblico giovani romanzieri ben ancorati in una regione d'Italia, come per esempio, per quanto riguarda il territorio napoletano, Giuseppe Montesano, Maurizio Braucci e Michele Serio, autori tra loro molto diversi ma molto interessanti». Tra gli autori italiani da lei tradotti vi sono molti scrittori di noir. A cosa è dovuta l'assoluta predominanza di questo genere a cui stiamo assistendo in Italia? «In Italia sta succedendo quello che è successo in Francia vent'anni fa, ossia la riscoperta del genere noir, un genere spesso sentito dai suoi stessi autori come “maudit”, abbandonato e disprezzato. In realtà, anche se ci sono sempre stati scrittori che si sentono aggrediti dalla letteratura di genere e sostengono, nei loro discorsi accademici, che i romanzi noir non siano vera letteratura, non è così. Basti pensare che la “Série Noire” è stata creata da Marcel Duhamel, un intellettuale molto raffinato, amico dei surrealisti, e che moltissimi grandi scrittori francesi hanno elogiato ed elogiano il genere noir. Ora, in Italia c'è voluto un po' più di tempo perché questo genere venisse riscoperto, perché qui la cultura accademica è ancora più forte che in Francia. E' talmente forte che, grazie a un formidabile lavoro degli addetti stampa italiani, non si è mai saputo, per esempio, che Daniel Pennac è nato e conosciuto nel suo paese come scrittore di noir». Lei è autore di saggi, inchieste, romanzi storici e romanzi senza etichette, ma c'è un genere che preferisce agli altri? «Il genere noir è quello in cui ho scritto di più, ma non mi capita mai di scegliere un genere piuttosto che un altro: quando scrivo, scelgo di scrivere una storia, il genere viene di conseguenza». Che cosa significa per lei scrivere? «Scrivere è quello che so fare. La scrittura per me è anche un lavoro, certo, ma è molto più di quello: per me la scrittura dà un senso alla vita».
Caterina Caravaggi
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 5.9.2003
Romanzi, noir e saggi l´importante è leggere
In arrivo un bastimento carico di titoli
Finita la pausa estiva autori ed editori siciliani stanno per presentare le novità
Sellerio e i Flaccovio, Kalòs e Novecento, c´è solo l´imbarazzo della scelta

«Agosto: autore mio, non ti conosco». C´è chi, nell´ambito dell´editoria, ha parodiato così un celebre detto, titolo di un divertente libro di Achille Campanile. Ma, finita la pausa estiva, le case editrici tornano finalmente alla carica, preannunciando un autunno da trascorrere in poltrona, in compagnia di un buon libro.
Che ne dite, ad esempio, del nuovo romanzo storico di Andrea Camilleri, "La presa di Macallè", che uscirà a fine settembre per i tipi della Sellerio? Ma la casa editrice palermitana ha in cantiere tanti altri titoli: a cominciare dal divertente e nostalgico libro di memorie di Vincent Schiavelli, originario di Polizzi Generosa, indimenticabile fantasma della metropolitana nel film "Ghost". Si intitola "Bruculinu America", ed è il racconto ironico e divertito della vita dei siciliani di Brooklyn. A seguire, il testo drammaturgico di Michele Perriera "Ritorno", "Il viaggio di due oziosi apprendisti" di Wilkie Collins e Charles Dickens, e poi "La vecchia colpa", un giallo dello scrittore e giornalista Gaetano Savatteri ambientato a Palermo nel 1985. Tra ottobre e novembre dovrebbero vedere la luce, sempre per i tipi della Sellerio, "La fedeltà de´ vassalli verso Dio" di Alfonso de´ Liguori, "L´avventura di Winthrop" di Vernon Lee e "Non dirlo a nessuno" di Jaime Bayly.
Per quanto riguarda invece Enzo Sellerio, è prevista per la fine di ottobre l´uscita, nella collana L´occhio di vetro, de "Il matrimonio in Sicilia": la celebrazione del matrimonio nell´isola, raccontata attraverso gli ottanta scatti in bianco e nero di Giuseppe Leone. A introdurre le immagini, un testo di Salvatore S. Nigro. Tra gli ultimi giorni di ottobre e i primi di novembre vedrà la luce, nella collana La nuova memoria, l´autobiografia picaresca del palermitano Alessandro Tasca: una sorta di anti-Gattopardo.
Passiamo a Dario Flaccovio: a novembre manderà in libreria "Duri a morire", antologia noir che conterrà i racconti, tra gli altri, di Luigi Bernardi, Serge Quadruppani, Nino Filastò, Giacomo Cacciatore, Ugo Barbàra. Nello stesso giro di giorni, sono previste le uscite dei romanzi "Io e Ivonne" del milanese Ernesto Villa e del palermitano Ignazio Rafi, e di "Volto di pietra". Per quanto riguarda il primo, si tratta di un noir scritto via Internet: gli autori ancora non si conoscono. Avrà la prefazione di Andrea Pinketts e la postfazione di Gaetano Savatteri. "Volto di pietra" è invece firmato da Sal Cappalonga: pseudonimo dietro al quale si nascondono tre autori palermitani.
Si tratta di un romanzo collocabile tra i due genius loci del giallo isolano: Camilleri e Piazzese. Passando dal poliziesco alla ricerca storica e archeologica: "Pantellerian Ware", a cura di Sebastiano Tusa, uno studio sul primo ritrovamento di ceramiche pantesche all´interno del relitto di una nave affondata a largo di Scauri, "La Zisa e Palermo" di Michaela Sposito, libro dedicato all´edificio del XII secolo, e infine "L´anfiteatro romano di Catania" di Cesare Sposito: uno studio sull´anfiteatro più importante dopo il Colosseo.
Sergio Flaccovio, invece, all´inizio di ottobre, manderà in libreria l´edizione economica dei "Beati Paoli". Il volume costerà diciotto euro e inaugurerà la nuova collana I tascabili Flaccovio: il tutto a un secolo circa dalla prima edizione del capolavoro di Luigi Natoli. Quasi pronto, invece, il sesto numero della rivista "Sicilia", dedicato al teatro, arricchito dai testi di Dacia Maraini, Giovanni Raboni e Mario Luzi e dai disegni di Bruno Caruso.
Di prossima uscita, poi, i saggi "Giovanni Biagio Amico", architetto e trattatista del Settecento, di Antonella Mazzamuto, e "Diritti fondamentali e multietnicità", a cura di Alfredo Galasso, e i cataloghi "Sicani Elimi e Greci: storie di contatti e terre di frontiera", a cura di Francesca Spatafora e Stefano Vassallo, e "Ebrei e Sicilia", a cura di Nicolò Bucarla, Michele Luzzati e Angela Tarantino.
La casa editrice Kalòs annuncia l´uscita imminente del libro fotografico "La Sicilia di Andrea Camilleri tra Vigàta e Montelusa", con gli scatti di Giuseppe Leone, un´intervista ad Andrea Camilleri e un saggio sulla sua opera; e inoltre un volume che propone un itinerario tra i 41 oratori presenti a Palermo, serpottiani e non, a cura di Pierfrancesco Palazzotto, e un saggio di Salvo Zarcone dedicato al rapporto tra letteratura e cibo in Sicilia.
Di prossima uscita, per i tipi della Novecento, due testi teatrali di autori del secolo scorso: "La principessa Zubarof" di Ronald Firbank, con testo inglese a fronte, e "Alle radici delle stelle" di Dyuna Barnes, raccolta di undici brevissimi atti unici. E ancora i saggi "Il lessico del giardino" di Jerome Goudeau, evocazione storica e insieme poetica di alcuni termini che fanno parte del glossario del giardino, e "La biblioteca di Oscar Wilde", a cura di Rita Severi. Sempre con Novecento vedranno la luce sei volumi che fanno parte della collana Cronache teatrali di Silvio D´Amico, e il terzo e il quarto tomo dell´antologia di scrittori francesi dell´Ottocento in viaggio nel Mediterraneo intitolata "Presagio d´Oriente", rispettivamente dedicati alla Turchia, a Costantinopoli, alla Siria e alla Palestina.
Salvatore Ferlita
 

L´intervista
"Grazie a Montalbano lanciamo nuovi scrittori"
Nasce un´altra collana per giovani narratori

Da quasi sette anni Antonio Sellerio, figlio di Enzo e di Elvira Giorgianni, si occupa di editoria. Alto, magro, rosso di capelli e dai modi gentili, laureato in Economia e specialista in amministrazione d´Impresa, Antonio in verità, assieme alla sorella Olivia, frequenta la casa editrice dei genitori da quando è nato: «E´ come se conoscessi questa realtà da sempre. Anche se, ora che ci lavoro, mi accorgo di tante cose».
Ad esempio?
«Fare certe cose è più difficile di quanto pensassi, anche se sapevo quale fosse il funzionamento generale della casa editrice».
C´è chi ha parlato, al suo arrivo, di una svolta manageriale.
«Certo, ho studiato economia, e non posso fare a meno di determinate competenze che sono diverse da quelle accumulate dai miei genitori. Oggi cerchiamo di essere più efficienti in alcuni campi, ma i cambiamenti sono graduali, senza salti bruschi. La struttura della casa editrice è rimasta pressoché invariata, come del resto non è mutato il modo di proporre libri. Io non sono per le rivoluzioni o i rivolgimenti».
Da poco tempo è nata una vostra nuova collana.
«Si chiama "Il contesto", nome tipicamente sciasciano, ed è una collana di narrativa contemporanea, creata con l´intento di individuare una fascia di pubblico più giovane, al quale indirizzare dei testi particolari».
La vostra attività è la dimostrazione che stampare libri in Sicilia non è come coltivare fichidindia a Milano...
«Questa casa editrice è nata trent´anni fa dal nulla, in un posto che allora era in periferia. Certo, non è stato facile: i miei genitori sono stati in grado di farlo. E oggi, pur essendo di piccole dimensioni, siamo in concorrenza con i grandi editori. Non sempre riusciamo a spuntarla, ma abbiamo più volte dimostrato che ci si può provare».
Il fenomeno Camilleri non ha rappresentato solo per voi una grossa chance. La vendita dei suoi libri permette che altri ne vengano pubblicati.
«Anche questo è vero. Con Camilleri in catalogo ci possiamo permettere di affrontare con coraggio alcune scelte difficili, cosa che comunque abbiamo sempre fatto nella storia della nostra casa editrice. A suo tempo, pubblicare Camilleri era una scommessa, che potevamo affrontare grazie alla pubblicazione di altri libri».
A proposito di Camilleri, avete in mente di proporre un nuovo cd-rom ispirato alle avventure del commissario Montalbano? Oppure sono previsti nuovi prodotti multimediali?
«Il progetto del cd-rom ha avuto tre fortunati episodi. Non pensiamo di continuare sulla stessa strada. Oltretutto, migliorare ulteriormente quel prodotto significherebbe raddoppiare i costi. Il mercato non darebbe una risposta tale da giustificare ulteriori investimenti. Però stiamo cercando di fare un lavoro del genere anche in altri canali».
s.f.
 
 

La Repubblica (ed.di Roma), 6.9.2003
Fontanone
Camilleri, Formica, Laganà una serata per aiutare Amref

La rassegna dell´estate romana del Fontanone del Gianicolo conclude la serie d´appuntamenti dedicati al teatro d´impegno civile con una serata unica, l´8 settembre, dedicata alla raccolta fondi per Amref (Fondazione africana per la medicina e la ricerca) con un´attenzione particolare all´acqua. Curata da Maria Luisa Bigai insieme con Maria Teresa Pintus, Paxione, questo il titolo della serata, vedrà protagonisti numerosi artisti, amici e sostenitori del Fontanone. Sul palco grande a partire dalle 21 saliranno tra gli altri, Andrea Camilleri, Daniele Formica, Valeria Ciangottini, Toni Garrani, Massimo Wertmuller e Rodolfo Laganà, Massimo Bonetti, Francesca Draghetti de la Premiata Ditta, e Roberto Stocchi, Alessandra Annunziata, Valeria Andreozzi, Carla Cassola, Vittorio Viviani e Stefano Scartocci, Accademia Tp, Hafed Khalida, Laura de Marchi, Claudio Contartese, Patrizia Barbieri, Giampiero Mazzone, Eliot Munaba, responsabile progetti Amref per l´Uganda, Emanuela Ponzani e Riccardo Boni. Ogni artista interverrà con un breve testo, una poesia, un intervento musicale e tema conduttore sarà l´acqua e la lotta alla siccità. L´ingresso in via Garibaldi è di 10 euro. Info: 06.5809690.
Geraldine Schwarz
 
 

Corriere della sera, 7.9.2003
Camilleri superstar degli scaffali
Classifiche

Il re di cuori per i lettori italiani è Camilleri. E' lui l'autore che ha venduto di più nei sei mesi presi qui in esame, anche se «Il giro di boa» è giallo ma non pura evasione. Segue Faletti, ed è ancora giallo, come giallo è Ken Follett. Ma la voglia di ridere dev'esser stata tanta, se quattro autori su dieci nella Top ten sono, appunto, comici.
Da segnalare il successo di Ammaniti, con un romanzo che s'avvia a diventare un long seller, e la riconferma di Coelho. (Classifiche Demoskopea)
 
 

Foreigner Film Festival, 9.2003
Premio "Pithecusa" alla fiction TV "Commissario Montalbano"

Quest’anno il Premio "Pithecusa" per la Fiction Tv che ha maggiormente valorizzato località italiane negli anni 2002/2003 è stato assegnato alla serie televisiva "Il Commissario Montalbano". Un riconoscimento a coloro che con passione e dedizione hanno inteso mettere in luce l'identità di un luogo, suscitando interesse e suggestioni, tanto da promuovere un'inedita specie di turismo culturale. I luoghi delle riprese da Ibla, patrimonio dell’umanità, a Marina di Ragusa, da Scopello a Scicli, da Modica a Punta Secca sono entrati a far parte di un percorso artistico-culturale ben definito. Il produttore Carlo Degli Esposti e il regista Alberto Sironi ritireranno personalmente il premio in occasione della serata finale prevista per il 13 Settembre ore 20.00 alla Torre di Guevara di Ischia.
 
 

Il Nuovo, 8.9.2003
Quando il giallo è tricolore
Successo dei giallisti italiani: da Camilleri a Faletti, da Lucarelli ad Ammaniti, le penne noir conquistano i lettori

MILANO - Indagini letterarie. Quale sarà l’autore noir più venduto della stagione? Scommettiamo sarà un italiano. Gli scaffali delle librerie si riempiono sempre più di romanzi gialli di autori tricolore e il pubblico sembra gradire. Dalle 500.000 copie di Io uccido di Giorgio Falettti, l’ex Vito Catozzo di Drive-in, alle oltre 350.000 di Io non ho paura di Nicolò Ammaniti, al crescente successo di Carlo Lucarelli, alle innumerevoli traduzioni nel mondo delle avventure del commissario Montalbano di Andrea Camilleri, la letteratura noir nostrana sta attraversando un periodo molto felice tanto che i libri sembra non bastino più.
In questi giorni saranno pubblicati in dvd con una buona dose di extra, i primi due episodi della serie tv dedicata al commissario di Vigàta, si tratta de La forma dell’acqua e Il cane di terracotta. Arricchiti dal backstage, dalle interviste agli attori, all’autore e dai provini per la scelta del cast, saranno in vendita al prezzo di 10,50 euro. I dvd arrivano all’indomani del successo editoriale de Il giro di boa (Sellerio  pp 269 euro 10) l’ultima fatica letteraria di Andrea Camilleri, in cui il commissario più famoso d’Italia si trova a dover fare i conti con gli avvenimenti del G8 di Genova e con l’intenzione di dimettersi. Per vedere sullo schermo le nuove vicende di Salvo e compagni, però, si dovrà attendere la stagione 2004/2005.
“Il romanzo giallo - ha scritto Leonardo Sciascia - è la migliore gabbia in cui uno scrittore possa mettersi, perché ci sono delle regole, per esempio che non puoi barare sul rapporto logico, temporale - spaziale del racconto”. Di romanzi gabbia se ne intende anche Giorgio Faletti che dopo essersi fatto conoscere come attore comico per partecipazioni a trasmissioni come Drive-in e Fantastico e aver ottenuto un secondo posto al Festival di Sanremo con la canzone Signor Tenente, ha scritto una storia di 700 pagine ambientata a Montecarlo, che comincia con l’annuncio di un serial killer ad un disk jokey della radio del Principato: “Io uccido”.
Il libro (Baldini e Castoldi pp 681 euro 17) che ha ottenuto grande successo di pubblico e critica diventerà presto un film prodotto da Aurelio De Laurentis. Il produttore campano dopo il successo di Natale sul Nilo (28 milioni di euro al botteghino) si tuffa in una nuova avventura cinematografica. Il cinema appassiona anche Nicolò Ammaniti, il suo romanzo noir Io non ho paura (Einaudi pp 220 euro 9) oltre ad essere diventato un film di successo per la regia di Gabriele Salvatores, è stato tradotto in oltre 16 paesi. L’autore ha di recente dichiarato come in principio avrebbe voluto girare lui stesso la pellicola e non ha escluso in futuro di passare dietro la macchina da presa.
Se Faletti è stato il caso editoriale dell’anno, mentre Camilleri si conferma tra gli scrittori più amati, un’altra penna del brivido si fa strada, è quella di Carlo Lucarelli, il suo ultimo libro Il lato sinistro del cuore (Einaudi pp 370 euro 14) è una raccolta di racconti in grado di mescolare vari generi letterari. Dotata di uno stile seducente, la narrazione riesce a cambiare continuamente registro, spiazzando e nello stesso tempo incuriosendo il lettore. Autore di romanzi come L’isola dell’Angelo caduto, Lupo mannaro, Carta bianca, Laura da Rimini, Almost blue diventato un film per la regia di Alex Infascelli, lo scrittore è conduttore anche della trasmissione in onda su Rai tre Blue notte in cui ricostruisce casi di cronaca.
La notte, molti lettori amanti del brivido non si accontentano di leggere ma desiderano sperimentare in prima persona le emozioni delle storie, nascono così le cene con delitto, organizzate dalla galleria del mistero di Napoli Il pozzo e il pendolo, che realizza appuntamenti all’insegna del crimine per tutte le età. Oltre ad essere una biblioteca del brivido, la galleria è anche un teatro dove vengono rappresentate le opere di giallisti famosi. Alle cene partecipano 30 o 35 persone per volta, ci sono sei indagati che ricevono il copione, gli investigatori e il narratore che conduce il gioco. Durante la cena, i commensali formulano domande agli indagati e tra un pasto e l’altro, l’indagine prende forma, fino a quando non sono individuati i colpevoli.
“In tutti i racconti - ha scritto Carlo Lucarelli nella prefazione al suo ultimo libro - ho cercato di fare l’unica cosa che uno scrittore di romanzi o racconti che sia, deve fare quando scrive: raccontare una storia che gli piace nel migliore modo possibile e con le parole più belle che sa”.
Ernesto Capasso
 
 

Il Messaggero 8.9.2003
Pirandello, Sciascia, Camilleri: è il “Mistero buffo siciliano”

Mistero buffo siciliano al Nuovo Teatro Magellano per Sapore di Ostia (lungomare Duilio; domani, ore 21,30; ingresso gratuito). Uno spettacolo tra musica, teatro e poesia presentato dall’Accademia teatrale di Sicilia. La Sicilia amara e dolce. La Sicilia che fa piangere e ridere. La Sicilia dei grandi scrittori agrigentini Andrea Camilleri, Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia. Ed è la Sicilia che raccontano i musicisti, anche loro agrigentini, dell’Accademia Tradizioni Popolari, costola della più nota Accademia teatrale di Sicilia. Mistero buffo siciliano è lo spettacolo che da tanti anni portano in giro, anche all’estero. Per la prima volta a Roma. E’ un “girotondo” di musica, momenti di teatro e di poesia, con i musicisti-attori Lucia Alessi, Raimondo Moncada (voce solista, flauti etnici), Filippo Alessi (percussioni), Alfonso Gueli (fisarmonica, chitarra), Leonardo Mauro (chitarra), Francesco Romano (chitarra). «Mistero buffo siciliano - spiega Moncada, cantante e compositore - è un viaggio tra presente e passato nella sicilianità, attraverso il ricco patrimonio delle tradizioni popolari e gli scritti di grandi autori contemporanei come Andrea Camilleri». 
 
 

Il Messaggero 9.9.2003
Festa di Rinascita

Alle ore 21, Dibattito su "Roma capitale di pace" con Maura Cossutta, Alessio D'Amato, Enrico Gasbarra, Walter Veltroni e Andrea Camilleri. Alle 22, nello spazio cinema, proiezione de "L'appartamento spagnolo". Ex Mercati Generali, via Ostiense, tel 0657301952.
 
 

La Sicilia, 10.9.2003
Enna, copiare Camilleri «ha fin di scherno»

Una pagina de «La concessione del telefono» - uno dei più gradevoli racconti di Andrea Camilleri - diventa «corpo di reato». Accade a Enna, a margine di una controversia intentata da anni da un funzionario dell'Apt, Angelo Trebastoni, contro la stessa Azienda. Trebastoni ha contestato il concorso per il posto di direttore al quale egli stesso (già incaricato) aspirava; classificato al quinto posto, ha fatto vari ricorsi. L'Azienda ha resistito rilevando che i criteri contestati dal ricorrente erano stati predisposti da lui stesso, ma questo è altro discorso. L'ultima sentenza ha accolto formalmente il ricorso del funzionario, ma ha statuito pure che la nomina del direttore è un atto fiduciario dell'azienda. Nell'attesa delle prevedibili decisioni dell'Apt, il funzionario ha chiesto al presidente la nomina e un ufficio con mobili adeguati al grado. E l'ha fatto ricopiando dal libro di Camilleri alcuni passi dell'istanza con cui il commerciante Filippo Genuardi di Vigata sollecitava al prefetto Vittorio Parascianno di Montelusa la concessione della linea telefonica: «Temerariamente mi azzardai a scriverLe per sottoporre alla magnifica generosità, alla larga comprensione e alla paterna benevolenza della S. V. Ill.ma la richiesta...», «impetrando la Sua Augusta Parola» e «scusandomi per il disturbo arrecato alle Sue Alte funzioni». Il presidente dell'Apt, Cataldo Salerno nell'uso di formule linguistico relazionali ottocentesche ha visto «toni di scherno e di dileggio». Conclusione: il funzionario dovrà dare spiegazioni per iscritto. La questione è stata sottoposta anche alla Procura perché valuti eventuali reati.
 
 

Il Tirreno, 10.9.2003
Montalbano, è arrivato il commissario arancione
Riccardo Agostini
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 12.9.2003
L'anteprima
Camilleri, viaggio nell'isola dei suoi gialli

«Il posto solito era la spiaggetta di Puntasecca, una corta lingua di sabbia sotto una collina di marna bianca, quasi inaccessibile via terra, o meglio accessibile solo per Montalbano e Gegè che fin dalle elementari avevano scoperto un sentiero già difficoltoso a farselo a piedi». Eccola la spiaggia di Capo Rossello a Porto Empedocle, raccontata ne "Il cane di terracotta", la cui descrizione letteraria adesso cammina parallelamente alle immagini di Giuseppe Leone nel libro "La Sicilia di Andrea Camilleri - Tra Vigàta e Montelusa", curato da Salvatore Ferlita, con un testo di Paolo Nifosì e pubblicato dalle edizioni Kalòs (118 pagine, 20 euro).
Tra luoghi veri e angoli di Sicilia inventata due volte - prima dalla penna di Camilleri e poi dalla trasposizione televisiva - il libro delinea così una nuova geografia dell´Isola, dove la realtà cade nelle maglie di una visione da fata Morgana. E il gioco del vero e del falso continua per tutte le pagine: e così, «tampasiannu e discurrennu» con Camilleri, si sfogliano le pagine dell´isola che non c´è, ma che esiste realmente. Ed è lo stesso Camilleri a far da cicerone ai luoghi dei suoi libri, conversando amabilmente con amici e fan al bar del paese, firmando autografi dalle prime ore del mattino tra un sorso di birra e l´immancabile sigaretta tra le labbra. E che in barba alle dissuasive scritte da necrologio apparse sui pacchetti dice: «Ne fumo tre pacchetti e me ne fotto». Da una foto a un frammento di romanzo, il viaggio nella Sicilia di Camilleri è un modo per ripercorrere luoghi conosciuti senza averli mai visti, e a questa defaillance tra ciò che si conosce solamente dalle narrazioni televisive e letterarie corrono in aiuto le immagini di Giuseppe Leone, che dà l´opportunità di conoscere le volute barocche di Ragusa e Modica, spiagge bianche, paesaggi assolati e rigogliosi e antiche dimore nobiliari.
E a proposito della lingua di Camilleri, il suo elemento di peculiare riconoscibilità e fortuna, Ferlita la pone in parallelo con quella della traduzione di Euripide in siciliano fatta da Luigi Pirandello nel 1918. Somiglianze notevoli, per cui Ulisse e Catarella scoprono di avere molti punti in comune.
Paolo Nicita
 
 

Corriere della sera, 12.9.2003
Scuola media superiore
«Ma nel liceo di Pirandello la cattedra è ancora rispettata»
«Un tempo c'era un consenso più vago Ora ti giudicano per quello che sei davvero» «Nel '65 chi vinceva il concorso era guardato come un Domineddio»

Andrea Camilleri era sul vivace (condotta: sette) ma se la cavava, Carlo Alberto Dalla Chiesa pure. Piuttosto, a risalire nel tempo, quello un po' zuccone era tale Pirandello Luigi da Girgenti, nel registro si legge «Pirandelli» perché il parroco del Caos (appunto) aveva sbagliato l'iscrizione all'anagrafe: un bel tre nelle versioni di latino, un ragionevole quattro in matematica e, udite udite, cinque in italiano scritto, i professori dell'anno scolastico 1879/80 avevano capito tutto, nella medesima seconda ginnasiale «Giuseppe Sala», in italiano, aveva dieci, da morir dal ridere. Così è (se vi pare), i ragazzi dei corsi di recupero possono stare sereni, anche negli anni successivi Pirandello beccheggiava intorno al sei. Ma l'essenziale è che lo scrittore non se la legò al dito, anzi, «stava già a Roma ma volle che il figlio Stefano frequentasse lo stesso liceo», spiega orgoglioso il professor Biagio Milano, aria energica da insegnante di educazione fisica e passione da storico, è stato lui a rimettere in sesto l'archivio della «sua» scuola, trasferita per i bombardamenti del '43, «tutti gli insegnanti della zona sognano di finire la loro carriera qui». Perché il liceo Empedocle, ad Agrigento, è un'istituzione nata con l'unità d' Italia, nel 1861, allora si chiamava Scinà e dal 1901 è dedicato al filosofo greco che fu la gloria dell'antica Akragas. E allora per forza che qui è un po' diverso, al bar sorridono deferenti, «buongiorno, professore!», il preside Giuseppe Patti ha dignità e cortesia antiche, vestito blu, cravatta impeccabile, sfila con delicatezza gli occhiali da lettura e riassume: «Un professore è sempre un professore, è la sola cosa che fa piacere, il rispetto tutto sommato tiene: lo stipendio no, ma il rispetto sì». Basta entrare in una classe, una classe qualsiasi, e non ci si crede. Davanti c'è il Caos con il pino di Pirandello sul «mare color del vino», a sinistra il tempio della Concordia e la valle degli dèi, a destra il profilo di Porto Empedocle, la Vigata del commissario Montalbano. Aria, acqua, terra, fuoco: tra luce e mare gli ulivi saraceni sembrano modellati dai quattro elementi di Empedocle. Il filosofo guarda severo da un quadro sopra la scrivania, il preside sorride, «beh, sì, è molto bello, noi ormai ci siamo abituati». È un clima che se non altro risparmia dalle sindromi vagamente depressive di altri colleghi, specie nelle grandi città del Nord. Certo, pure qui è cambiato: «Nel '65 furono assegnate 150 cattedre in tutta Italia, un concorso durissimo che aveva pure il tema in latino, ad Agrigento passammo in tre ed era una cosa grandiosa, ti guardavano come Domineddio», sorride il professor Onofrio Lo Dico, studente degli anni Cinquanta che all'Empedocle insegna latino e italiano da trentasei anni. È un poeta che Leonardo Sciascia pubblicò nella sua collana, i «Quaderni di Galleria». Allo scrittore di Racalmuto, come a Elio Vittorini, il professor Lo Dico ha dedicato pure dei saggi critici, «ma in quel periodo non lo frequentai, aveva una personalità molto forte e volevo esserne libero». Esile, lo sguardo profondo e mite, Lo Dico è un uomo che fa capire la differenza tra professore autoritario e autorevole, anche se lui non mostra di farci caso. Parla piano, medita le parole una ad una: «Qui conta ancora la persona, ecco, non sei una funzione. Magari ora è più consapevole. Di base c' è la considerazione che a un professore non viene mai negata, però non vuol dire: che in una città come Agrigento ci si sconosca tutti significa che possono farti pure a pezzi, il rispetto te lo devi guadagnare per quello che fai, ed è giusto così». Ci pensa un po' su, resta in silenzio, sillaba: «Quando ho cominciato c'era un consenso più vago, più neutro nei confronti degli insegnanti, ora la società è cresciuta e i ragazzi, le famiglie ti giudicano per quello che sei davvero». Peccato non ci sia ancora arrivata la scuola italiana, «ho consacrato la mia giovinezza allo studio, e ora? A casa ho tanti libri, collane che non si trovano più, testi che negli anni ho accumulato per le mie ricerche, e li ho pagati io. Già, il problema è sempre quello, lo stipendio. Oggi è come la notte in cui tutte le vacche sono nere, eppure non tutti gli insegnanti sono uguali, vale lo stesso delle altre professioni: ci sono dei medici che vorresti sempre avere a fianco e altri che nella vita ti auguri di non incontrare mai». Però chi lo merita ha l'affetto, il rispetto, la considerazione generale, «è l'unica cosa che ti fa andare avanti». Le lezioni non sono ancora iniziate, si parte il 22, e nell'atrio della scuola, accanto all'immancabile busto di Empedocle, gli studenti fanno il mercatino dei libri e salutano gli insegnanti di passaggio, «salve pressò». Nella biblioteca della scuola c'è un libro di poesie di Lo Dico, una è dedicata proprio a loro: «La mattina / davanti i cancelli di scuola / tornano i ragazzi dolci di sonno».
Gian Guido Vecchi
 
 

La Repubblica, 12.9.2003
A colloquio con Renzo Renzi
Processo a un film mai fatto
Il 12 settembre 1953 Guido Aristarco e Renzo Renzi furono denunciati per vilipendio delle forze armate, quindi arrestati e rinchiusi a Peschiera per un soggetto sull´occupazione italiana in Grecia.
La storia si intitolava "L´armata s´agapò" un nomignolo sfottò creato dagli inglesi
Lo scritto di Renzi fu ripreso da Camilleri quando scoppiò un caso analogo
Il "misfatto" venne consumato sulla rivista "Cinema nuovo" diretta da Aristarco

Immaginate un tranquillo mattino di settembre, il 12, per la precisione. E una casa della vecchia Bologna. Dove quel mattino del 1953, giusto cinquant´anni fa, verso le otto, si presenta un carabiniere, gentile, bene educato, ma pur sempre un carabiniere, latore di un ordine: Renzo Renzi, il critico cinematografico, l´aspirante sceneggiatore, il collaboratore di una giovane rivista che si chiama Cinema nuovo, deve presentarsi subito al locale comando dei carabinieri.
Dalla casa in cui passa le vacanze sull´Adriatico, Renzo Renzi, che oggi ha ottantadue anni, ricorda che lo sbalordimento per e l´inspiegabilità della visita del carabiniere erano tali che lui continuò a trattare. Non capisco, che sarà mai successo, passo domani, magari nel pomeriggio, prometteva... Il carabiniere, che pure aveva l´ordine di arresto in tasca, non lo esibì, non spiegò, ma alla fine lo convinse. Si ritrovarono insieme al Comando. Davanti agli ufficiali dei carabinieri l´ordine venne esibito. Lo stupefatto Renzo Renzi si ritrovò, come dice lui « in guardiola». E lo stesso stava succedendo nello medesimo momento anche al suo amico e direttore Guido Aristarco. L´accusa, che li coinvolgeva insieme - Aristarco in quanto direttore responsabile di Cinema Nuovo, Renzo Renzi in quanto estensore di un «pezzo» diventato l´oggetto dell´accusa -, era «vilipendio delle forze armate».
Poteva essere assurdo, potevano non crederci: ma l´articolo scritto da Renzo Renzi sulla base dei suoi ricordi e delle sue esperienze di guerra, quello che lui definisce nel ricordo come «una serie di appunti disordinati sull´occupazione italiana in Grecia, scritto per una rubrica in cui si facevano esempi di film non fatti», «una storia con un titolo suggerito dal modo in cui gli inglesi chiamavano l´esercito italiano, "L´armata S´agapò"» (s´agapò vuol dire ti amo), aveva irritato e turbato un vecchio generale in pensione che era corso a denunciare Renzi e Aristarco per «vilipendio delle forze armate».
E, stupore, si era scoperto che, nel 1953, due critici e studiosi di professione potevano vedere il processo, che riguardava un possibile soggetto cinematografico, avocato dai tribunali militari, in quanto sia Aristarco sia Renzi erano ancora in età da servizio militare, e avevano prestato servizio militare, come sottufficiale il primo come ufficiale il secondo. Conclusione? Carcere militare a Peschiera e tribunali militari.
Anche se ammette che l´arrivo a ciel sereno dell´accusa, del carcere e dell´imminente processo nell´Italia democristiana del 1953 non era proprio rassicurante, Renzo Renzi ricorda con divertimento l´improvviso ribaltamento dei ruoli che si produsse nel carcere di Peschiera: dove lui, «umile collaboratore del giornale», aveva, da ufficiale, certi piccoli privilegi, e il suo direttore, Guido Aristarco, da sottufficiale, aveva una serie di corvée da svolgere. Tra cui la pulizia delle camerate e il compito di portare il caffè mattutino proprio a Renzo Renzi. Il quale ricorda e descrive così il famoso soggetto incriminante: «Voleva essere un attacco all´educazione scolastica per una nuova serie di Cinema nuovo diretta da Adriano Baracco. Un attacco al modo convenzionale e retorico con cui, in un paese malato di retorica risorgimentale, veniva rappresentata la guerra. Una serie di appunti disordinati, come dicevo, sull´occupazione italiana in Grecia, scritti per una rubrica in cui si proponevano esempi di film non fatti - tanto che al mio seguì poi un articolo di Michelangelo Antonioni. Il titolo mi era stato suggerito dal modo in cui gli inglesi chiamavano l´esercito italiano. Un modo ironico ma tutto sommato gentile: perché gli inglesi vedevano la nostra occupazione come una cosa da operetta, sì, come un´occupazione non cruenta, soprattutto a confronto con i tedeschi e la loro spaventosa durezza. "S´agapò" vuol dire ti amo, e si riferiva uno stile militare molto più blando e più umano. In Grecia era stata molto popolare una canzone che si intitolava S´agapò, e che venne poi ripresa e cantata da Sofia Loren, che la portò alla notorietà internazionale. Anzi, confesso che ho in casa quel disco».
Forse i «disordinati appunti» che componevano «L´armata S´agapò» non erano così anodini come Renzi ricorda oggi. Descrivevano (cito qui la sintesi che ne ha fatto Andrea Camilleri in un suo articolo dedicato a Le soldatesse di Ugo Pirro, che qualche anno dopo avrebbe affrontato un argomento non dissimile), «un quadro non certo edificante del comportamento delle truppe italiane in Grecia, di come ufficiali di ogni grado e truppa si approfittassero delle condizioni di estrema indigenza della popolazione, di come le donne per sopravvivere, fossero costrette a prostituirsi, di come tra gli italiani sorgessero rivalità e conflitti per il possesso esclusivo di qualcuna di quelle donne e di come, di tanto in tanto, nascessero tra soldati e donne greche anche autentiche storie d´amore». Per Renzi, nel ricordo di oggi, era un necessario modo di rileggere la realtà della storia, che allora ignorava tutto quello che era recente e contemporaneo - e probabilmente scottante - per occuparsi solo di vicende risorgimentali. Per chi aveva denunciato Renzi e Aristarco si trattava di un´ingiuria al mito della patria italiana.
Dopo quarantacinque giorni di carcere militare e una veemente reazione della stampa, il processo, tra dramma e commedia, venne celebrato a Milano. A difendere Renzi e Aristarco furono Giacomo Delitala e Ettore Gallo, che divenne poi presidente della Corte Costituzionale, e che ricorda quel processo, durato una settimana e presieduto da un generale, non molto diverso da «un plotone d´esecuzione». Renzo Renzi ricorda che il pubblico, con suo grande sollievo, faceva il tifo per gli imputati.
Cosa le ha insegnato una vicenda che è diventata esemplare del clima codino e illibertario dell´Italia di quegli anni? «Mi ha indotto a perseverare, ma con maggiore attenzione». Qualche rimpianto? «Sì. Il fatto di non aver pronunciato una frase storica che sia entrata nei libri di testo a imperituro ricordo di una storia assurda».
Irene Bignardi
 
 

Diario, 12.9.2003
La concessione del telefono
La nostra inchiesta sull'affare Telekom Serbia
 
 

La Sicilia, 14.9.2003
Racalmuto, arrivano le stelle

Racalmuto. Grosse novità per la manifestazione di bellezza denominata «Stella del Mediterraneo» che dopo cinque edizioni che si sono svolte ad Aragona, cambia sede. Gli organizzatori sono riusciti a raggiungere un accordo con il sindaco di Racalmuto, Gigi Restivo, per ospitare la kermesse di bellezza femminile all'interno del teatro «Regina Margherita». Anche il direttore artistico, Andrea Camilleri, ha dato il suo benestare.
La manifestazione si terrà il 22 novembre e rappresenta un fuori programma del già ricco calendario del teatro racalmutese.
[...]
Gaetano Ravanà
 
 

La Sicilia, 17.9.2003
Vigata, il turismo è qui

Porto Empedocle. Il «professor» Tonino Guido, libero docente di turismo, è salito in cattedra in quel di Ischia. L'assessore comunale al Turismo di Porto Empedocle è stato nei giorni scorsi nella splendida e rinomata località di villeggiatura campana, sede ogni anno di un prestigioso happening.
Si è trattato del «Foreigner Film Festival», la manifestazione che valorizza tutti i paesi, le città e le regioni che hanno tratto giovamento dall'avere prestato i propri luoghi a rappresentazioni cimematografiche o televisive.
E chi meglio di Porto Empedocle, capace di accostare il nome Vigata alla storica e originaria denominazione, poteva raccontare la propria esperienza. L'esperienza di chi da giugno ha visto aumentare del 60% le presenze di turisti a spasso nelle vie del paese.
Guido è stato invitato da chi, grazie al patrocinio del ministero dei Beni culturali, ha organizzato un evento che dà lustro alle amministrazioni comunali chiamate a descrivere come sfruttano l'effetto traino delle fiction. Accanto al «professor» Guido erano seduti il sindaco di Ischia, Giuseppe Brandi, l'assessore al Turismo ischitano, Davide Conti, e soprattutto il deputato nazionale Gabriella Carlucci, che di spettacolo se ne intende. Tutti attenti ad ascoltare le parole di chi, grazie ad Andrea Camilleri, ha potuto aggiungere il nome Vigata a quello ufficiale del proprio paese.
ll Foreigner Film Festival intende dare un riconoscimento artistico a coloro i quali hanno favorito la promozione culturale di località italiane a volte piccole e sconosciute.
La trasferta campana dell'assessore Guido è servita anche a stabilire un contatto diretto con il regista delle fiction televisive grazie alle quali sono state trasposte alcune opere di Andrea Camilleri. Guido ha chiesto al regista Sironi di fare un salto a Porto Empedocle per valutare l'eventuale svolgimento di qualche scena nei luoghi originali del commissario Montalbano. Sironi ha detto «ni», garantendo però che un sopralluogo lo farà in tempi brevi. L'effetto Camilleri «tira» sempre, ma sempre e solo fuori da Vigata.
Francesco Di Mare
 
 

La Sicilia, 17.9.2003
Arriva l'elogio di Andrea Camilleri per studenti-attori di Pollina

Grande successo a Pollina per la seconda edizione della rassegna teatrale «Un teatro per la scuola - le scuole per il teatro». Gli studenti di ben 11 Istituti comprensivi dell'Isola sono stati i protagonisti delle rappresentazioni in scena nello splendido teatro plain air Pietrarosa di Pollina. Soddisfatto il sindaco di Pollina, Giuseppe Sarrica, che ha sottolineato la valenza educativa dell'iniziativa promossa dall'amministrazione. Al primo cittadino è arrivato il plauso personale dello scrittore Andrea Camilleri.
 
 

Il cittadino, 17.9.2003
Il celebre Montalbano televisivo chiamato a interpretare Falcone in una fiction di viale Mazzini
La Rai sfida Mediaset con Zingaretti

Roma  Se Mediaset punta sulle biografie di personaggi famosi come la Magnani o Modugno per la fiction che verrà, la Rai si gioca tutto scendendo in campo con i volti più noti della tv: Fiorello, Gianni Morandi, Luca Zingaretti e Lino Banfi sono i quattro assi nella manica di Agostino Saccà, responsabile di RaiFiction. Per loro ci sono tanti progetti in cantiere.
[...]
Primo fra tutti la risposta di viale Mazzini alla fiction dedicata a Paolo Borsellino e interpretata da Giorgio Tirabassi. Niente doppioni questa volta, ma Luca Zingaretti presterà il volto a Giovanni Falcone. L'attore sarà il protagonista insieme a Sabrina Ferilli anche di Cefalonia.
[...]
In cantiere ci sono tanti titoli che Saccà snocciola: Giovanna Mezzogiorno vestirà la tonaca della monaca di Monza, Sabrina Ferilli è pronta a girare le due puntate di Al di là della frontiera, e poi si parla di Aita Garibaldi, Cime tempestose, Il cuore nel pozzo sulle Foibe e I romanzi storici di Camilleri.
Alessia Mattioli
 
 

La Sicilia, 18.9.2003
Camilleri: «Patteggiai il sei in matematica»
Tra gli ex allievi illustri del liceo «Empedocle» anche Luigi Pirandello e Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il liceo classico «Empedocle» di Agrigento annovera fra i suoi alunni tre fra i personaggi che, in un modo o nell'altro, hanno scritto pagine importanti di storia. Carlo Alberto Dalla Chiesa, Andrea Camilleri e Luigi Pirandello, infatti, si sono tutti e tre seduti su quei banchi di scuola. In comune pare avessero una grande vivacità. Racconta Andrea Camilleri: «Nel secondo semestre dell'ultimo anno, la mia pagella documenta un sette in condotta. Tempo fa sono tornato nel mio vecchio liceo e mi hanno fatto vedere il registro delle punizioni. La professoressa Vullo, di scienze, scrive che "a un tratto Camilleri si alza dal banco e recita ad alta voce un suo incomprensibile monologo". Il preside Lo Jacono mi assegnò tre giorni di sospensione».
Comunque, il rapporto di Camilleri con i docenti era dei migliori. «Ricordo eccellenti professori - prosegue lo scrittore -, come la De Mauro che, quando capì che ero negato per i numeri, fece con me un accordo: mi avrebbe dato il sei solo se avessi superato tutte le altre materie. E mantenne il patto. Poi c'era Carlo Greca, di filosofia, che ci fece capire i passaggi più difficili di Kant. E De Marino che ci insegnò il latino facendoci leggere passi allora proibiti di Marziale. Infine, il professore d'italiano Cassesa ci disse che, fatti i conti, con i soldi che gli dava lo Stato, lui non poteva farci più di sei lezioni all'anno. Commentando Dante, ci stregò. Terminata la sesta lezione, annunziò che non sarebbe andato avanti, a meno che noi non l'avessimo pagato facendogli trovare un pacchetto di orrende sigarette "Milit" a lezione. Accettammo, pretendendo però che non si concedesse alcuna pausa fino alla fine dell'ora. Solo anni dopo capii che si trattava di una sua geniale strategia per attirare la nostra attenzione».
Luigi Pirandello, invece, a giudicare dai voti che contemplavano un tre nelle versioni di latino, un quattro in matematica e persino un cinque in italiano scritto, non doveva essere molto bravo; eppure a iscriversi al ginnasio dell'«Empedocle» ci teneva tantissimo, come egli stesso raccontò in un frammento autobiografico dettato nell'estate 1893 all'amico Pio Spezi: «Mio padre è proprietario di una ricca miniera di zolfo; quindi avrebbe voluto che io mi dedicassi agli studi di commercio. Fui collocato perciò nelle scuole tecniche di Girgenti; ma tutti quei numeri, tutte quelle regole, tutto quel rigido ordine matematico ripugnavano al mio animo impaziente e avido di completa libertà. Avvenne perciò che, dopo compiuta la seconda classe tecnica ed essere riuscito, non so come né perché, a superare gli esami di luglio, dissi a mio padre che ero stato rimandato nell'aritmetica; non poter quindi recarmi con la famiglia in campagna ed essere costretto a passare le vacanze a Girgenti per istudiare e riparare il mancato esame. Mio padre lasciò correre; e il danaro, che doveva spendersi per la ipotetica lezione di matematica, serví invece per una vera lezione di lingua latina, perché io desideravo tanto di essere ammesso in ginnasio e anche di saltare la prima classe. Tutto andò bene, secondo i miei desideri e a ottobre riuscii a ottenere la regolare ammissione nella seconda classe ginnasiale. Il babbo non guardava tanto pel sottile in fatto dei miei studi: seppe che non perdevo un anno, fu contento, lontano le mille miglia dall'immaginare la mia marachella. Frequentai i primi due mesi nel ginnasio senza alcuna preoccupazione. Ma ben presto fui tradito da una circostanza da nulla. Se mio padre non si occupava molto pel minuto del progresso dei miei studii, doveva, purtroppo, firmare la pagella scolastica ogni due mesi. Ma io non ne avevo alcuna, perché al ginnasio non se ne davano, come alle tecniche; sicché... riuscii a passarla liscia, dopo il primo bimestre, inventando spudoratamente cervellotiche ragioni che il babbo, alla meglio, accettò per buone. Ma ben presto stava per iscadere il secondo bimestre: e innanzi all'idea di essere scoperto e giudicato da mio padre, affettuoso in genere, quanto terribile nell'ira, fui preso da un tale spavento, che, dopo aver proposto e scartato varie soluzioni, non trovai altro rimedio che fuggire da casa, fuggire da Girgenti».
F. L. G.
 
 

Il Messaggero, 19.9.2003
Lunedì alle 19 all’Auditorium (v. P. de Coubertin 30) Cinzia Tani e il suo Amori crudeli (Mondadori). Con Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Gabriele Vacis.
 
 

Il Resto del Carlino, 19.9.2003
Modena
Al Caffé Letterario di via S. Pietro 2 (tel. 059214375) sono aperte le iscrizioni per le prima Cena in giallo, in programma alle 20.30 di giovedì 25, per gustare ricette suggerite da grandi giallisti, in compagnia di uno scrittore. Franco Mimmi proporrà il suo romanzo Cavaliere di Grazie, mentre si assaggeranno piatti di cucina siciliana, in onore di Montalbano di Camilleri.
 
 

La Sicilia, 21.9.2003
Arriva il nuovo libro di Andrea Camilleri

Esce il 26 settembre prossimo, in tutte le librerie italiane, il nuovo libro dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri dal titolo: «La presa di Macallè». Un romanzo nel quale lo scrittore indaga la dimensione della violenza, attraverso l'ottica di un bambino che diventa un assassino. Il contesto? Il periodo fascista, e le tecnico psico-pedagogiche del sistema dittatoriale mussoliniano. La presa di Macallè, ambientato ai tempi della guerra in Abissinia, è un libro che sicuramente farà discutere, sia per i contenuti che per il modo nel quale Camilleri affronta il tema dell'infanzia violata di un bimbo, che la propaganda di regime trasforma in assassino. Un romanzo ambientato nella Sicilia del 1935, quando l'autore aveva appena 10 anni. Si tratta del primo romanzo nel quale l'autore non utilizza documenti dell'epoca, ma attinge ai ricordi dell'infanzia.
 
 

La Repubblica (ed.di Bologna), 21.9.2003
Festa Nazionale de l'Unità
I 100 anni di Simenon show di attori e autori
Si celebra il centenario della nascita di Georges Simenon stasera a "Casadeipensieri" alla Festa nazionale dell´Unità, giunta alle ultime due giornate di apertura. Il Palaconad ospita infatti alle 21 l´incontro "Georges Simenon: 100 anni. Giallo e società, in un´altra epoca" a cui partecipano Andrea Camilleri in videoconferenza, a cui Sergio Cofferati assegnerà la targa "Simenon 100 anni", Carlo Lucarelli, David Sassoli, Giorgio Comaschi, Valerio Calzolaio.
[...]
m.am.
 
 

Camilleri "targato" da Cofferati a Bologna

Domenica sera, 21 settembre 2003, Festa dell'Unità di Bologna, ore 21.
Sergio Cofferati: "Ciao, come stai?"
In videoconferenza dalla sua casa romana, Andrea Camilleri: "Abbastanza bene. Mi scuso per non aver potuto essere lì con voi."
Per prima cosa si è scusato, il Maestro, tradendo visibilmente una sincera commozione.
O, forse, il magone era più nostro...
Poi Cofferati, sorridendo compiaciuto, prendeva lo spunto dalle motivazioni del riconoscimento assegnato dalla "Casadeipensieri" (la "targa"), per invitarlo a ricordare e raccontare.
E Lui si è aperto, con divertita scioltezza, regalando a noi tutti del pubblico (almeno 300 persone, non pochi in piedi ai lati e in fondo alla sala Willy Brandt) il piacere di ascoltare in diretta, dalla sua voce, i personaggi, le storie, i giorni, lo spirito di una stagione memorabile: la produzione televisiva di "Maigret".
Straordinaria e indescrivibile la sua "presenza": riusciva a farci ignorare il tramite del mega schermo, irrimediabilmente sfocato e sbiadito per tutta la durata della web conference.
Troppi, anche nei pur lacunosi appunti, gli episodi proposti: tentiamo una schematica scaletta.
- Diego Fabbri ispiratore della serie televisiva.
- Angelo Romanò, per la II Rete RAI, approva i titoli selezionati.
- Diego Fabbri e Romildo Craveri lavorano alle sceneggiature.
Camilleri, delegato alla produzione, beneficia della totale visibilità sulla messa in opera. Fabbri si procura più copie del testo in edizioni economiche, e le "destruttura" in mucchietti di pagine corrispondenti alla rilettura televisiva. Quindi scrive le pagine di raccordo tra le diverse scene. Così, come in una bottega di orologiaio, osservando smontare e rimontare, Camilleri impara a riconoscere i meccanismi del romanzo giallo.
- Per i cultori del patrimonio genetico di Salvo Montalbano: "(imparai che...) il protagonista doveva avere le caratteristiche di una persona normale, del signore della porta accanto... doveva essere un poliziotto istituzionale: tutto lealtà e rispetto della legge, non formale, ma sostanziale...".
- La scelta degli attori: Cervi e la Pagnani, giudicata da Simenon "presumibilmente troppo bella, da giovane, per essere una credibile sposa del giovane Maigret...", presumibilmente un poliziotto troppo poveraccio per potersela permettere.
- Mario Landi, grande regista.
- Il successo dovuto all'incontro con il gusto del pubblico: in previsione di una futura campagna elettorale Camilleri veniva invitato a produrre nuovi episodi, perchè la fiction "placava gli animi...".
- Gino Cervi: "leggeva come nessun'altro i gobbi". "Riusciva a dare al suo personaggio una sottotraccia di riflessione: accendere lentamente la pipa o una lunga pausa gli servivano in realtà per leggere il gobbo...".
- Gino Cervi e Cesco Baseggio. Gobbi per due. Scena: interrogatorio, uno di fronte all'altro. "Uno non sapeva la parte, l'altro se l'era dimenticata...". "I due non si guardavano negli occhi, ma uno guardava a Cristo, l'altro a San Giovanni".
- Cofferati, in chiusura del collegamento, ricorda con nostalgia i venerdì di prosa in TV. Il Maestro: "quando arrivò l'altra TV, cominciò a vendere un prodotto più seguito del nostro. La TV rinunciò a fare la prosa...".
Terminata la videoconferenza, inizia il dibattito introdotto da Davide Ferrari, che ringraziamo ancora per la cortesia e le attenzioni riservate al CFC.
Il Professor Cesare Sughi presiede l'incontro con autorevole competenza. Puntualizza senza tregua ogni aspetto del tema, regalando al dio degli incisi ripetuti deliri di onnipotenza, come quando, al termine di una lunga digressione fitta di recursioni "annidate" una nell'altra, si perde per strada il senso della domanda finale...
Anche in questo caso proponiamo una sintetica eppur lacunosa scaletta, in ordine rigorosamente casuale.
- Le edizioni Adelphi e l'opera di nobilitazione culturale di Maigret.
- Tutti leggono Simenon ma la critica letteraria, sul centenario, tace.
- L'angoscia al fondo dell'opera del maestro belga.
- I giornalisti nell'opera di Simenon: un po' rompiscatole, un po' collaboratori. A beneficio dei rappresentanti della categoria (almeno due, se non di più) presenti e coinvolti nel dibattito.
- Il "giallo" oggetto di pregiudizio rispetto alla "vera" letteratura.
- La "dolcezza" in Maigret.
-Vengono citati con la debita, inevitabile, tosta dose di ironia, i seguenti quesiti nazional - popolari:
a) il giallo è di destra o di sinistra? ( e la piadina..?)
b) Simenon e la psicanalisi. Era Junghiano?
c) Maigret era un detective astuto?
Valerio Calzolaio. Ricco e dotto il suo contributo. Ci colpisce una osservazione: "... il giallo moderno nasce quando la componente criminale diventa strutturale nella società" (!!).
Forse prima c'erano più guerre...? Mah!
David Sassoli. Non solo molto fotogenico, ma molto professionale in ogni intervento.
Su Simenon tre punti:
- lo scrutatore del mondo circostante;
- il disagio e il malessere dell'uomo;
- la voglia di riscattare sè stesso.
Brillante più di tutti, non per niente assediato all'inizio e alla fine della serata da nugoli di fanciulle di ogni età, ceto, look, ecc. ecc., Carlo Lucarelli, titolare della battuta più accattivante e liberatoria del dibattito: "quando ci propongono la contrapposizione tra il giallo e la letteratura colta, noi ora rispondiamo: sì, è vero, noi giallisti non facciamo letteratura, ecchissenefrega, tenetevela!". Ovazione...
Franco e Luisa
 
 

La Sicilia, 21.9.2003
Teatro
Il cartellone del «Regina Margherita»

Racalmuto. E' stato presentato il nuovo cartellone del Teatro «Regina Margerita» di Racalmuto, per la stagione 2003-2004. Dieci gli appuntamenti tra prosa, musica e teatro comico. «La nuova stagione - dice Giuseppe Dipasquale vice direttore artistico - si propone un ritorno al teatro di prosa cosiddetto classico. Grande autori in cartellone Pirandello, Brancati, Molière e Shakespeare, sul palcoscenico sfileranno compagnie di alto profilo artistico e professionale». Gli spettacoli avranno inizio a metà del prossimo mese di dicembre. Per la prosa Ida Carrara in «La Signora Lèuca» di Andrea Camilleri-Giuseppe Dipasquale liberamente ispirato alla novella di Pirandello. Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini in «La Misanthròpe» di Molière per la regia di Mariano Rigillo
Per la musica lirica sono previsti i concerti dell'associazione spettacolo Cultura all'Opera e dell'Asc «Sicilia lirica» ed inoltre Vincenzo La Scola con «Canta l'opera» con Tom Sinatra e infine Pino Ingrosso con «Serenate sincere» con Nando Di Modugno e Daniela Guercia.
Per i Grandi comici sono previsti gli spettacoli di Francesca Reggiani in «Scherzi d'amore» di Anton Cechov con Rolando Ravello.
Tra le iniziative dello scorso anno, oltre ad una mini stagione da febbraio a maggio, ricordiamo la scuola dei mestieri teatrali, una palestra per le future maestranze del teatro, 120 domande dei candidati, e dopo una accurata selezione sono stati ammessi al primo anno di corso che inizierà ad ottobre 25 aspiranti allievi. Ed ancora il Premio di drammaturgia intitolato a Leonardo Sciascia, i cui termini di scadenza sono stati prorogati al 31 dicembre prossimo.
Contento naturalmente il sindaco Gigi Restivo. «Abbiamo allestito - dice - un cartellone coi fiocchi. Ci saranno anche diverse manifestazioni fuori cartellone».
G. R.
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 21.9.2003
Il cartellone
Racalmuto ricomincia con un testo di Camilleri

Ci sarà Ida Carrara, con un testo di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, Mariano Rigillo con "Il misantropo" di Molière e per due volte Tiziana Lodato con "Don Giovanni in Sicilia" di Brancati e "Molto rumore per nulla" di Shakespeare. Sono alcuni dei protagonisti della nuova stagione del teatro Regina Margherita di Racalmuto, diretto da Camilleri e Dipasquale e riaperto lo scorso inverno dopo una lunga chiusura. In programma anche Francesca Reggiani in "Scherzi d´amore" di Cechov e un recital di Vincenzo La Scola.
 
 

Il Corriere della sera (ed. di Roma), 21.9.2003
Il libro
Sette storie di rapporti crudeli: quando si uccide chi si ama

L’amore che uccide. Cinzia Tani nel suo libro («Amori crudeli», Mondadori) affronta sette casi emblematici nei quali l’intensità del rapporto fra un uomo e una donna conduce ineluttabilmente alla morte violenta. Sette storie di cronaca accadute in altrettanti paesi del mondo nel corso del Novecento. Dalla travolgente relazione extraconiugale di Giulia Tasca, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, al morboso legame che unisce Julie Scully e Georgios Skiadopoulos. L’autrice ricostruisce con estrema cura l’infanzia dei protagonisti e offre chiavi di lettura per spiegare i gesti di follia. Alla presentazione del libro, presente l’autrice, partecipano Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli e Gabriele Vacis.
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA, via Pietro de Coubertin 30, domani alle 19
 
 

Avvenire, 21.9.2003
A Casa Verga un museo degli scrittori

La casa dello scrittore Giovanni Verga diventerà un Museo della letteratura contemporanea siciliana, e ogni sala sarà dedicata a un diverso autore: da Sciascia a Consolo, da Bufalino a Camilleri. Lo ha annunciato l'assessore alle Politiche culturali della Provincia di Catania, Gesualdo Campo, intervendo alla presentazione del libro "Al confine della ragione" di Melo Freni, nell'ambito del Prix Italia in corso di svolgimento a Catania. «Il progetto è condiviso dall'assessore regionale ai Beni culturali, Fabio Granata - ha sottolineato Campo - e arricchirà l'offerta culturale di una città alla quale la Provincia di Catania contribuisce considerevolmente con le esposizioni ospitate alle Ciminiere come i Musei del cinema e dello sbarco in Sicilia del 1943.
 
 

Spazio InWind, 22.9.2003
"Amori crudeli". Il mistero dell'animo umano tra amore e morte
Roma, Auditorium Parco della Musica
Presentazione del libro "Amori Crudeli" di Cinzia Tani

Perché si uccide chi si ama? A questa domanda hanno cercato di rispondere Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Gabriele Vagis, intervenuti a Roma alla presentazione del libro di Cinzia Tani "Amori Crudeli" edito da Mondadori. A fare da scenografia alla presentazione l'elegantissimo ristorante all'interno del Parco della Musica e ad omaggiare la scrittrice, tra i presenti, Giancarlo Magalli, Maria Rosaria Omaggio, Luciano De Crescenzo e Tinto Brass. Ecco gli interventi degli ospiti.
Andrea Camilleri
C'é un giudizio all'interno del titolo. Prima di leggerlo pensavo ci fosse una crudeltà tipo 'impero dei sensi': sono rimasto un po' deluso, un po' no. Ma ho ritrovato la Tani di sempre. Questo libro è una antologia di alcuni delitti, il primo commesso nel 1911 e l'ultimo nel 1999: 7 delitti che coprono il '900. Durante il '900 sono accaduti bellissimi delitti: perché la Tani ha scelto alcuni delitti e non altri? Perché sono 7 casi esemplari. Il primo dato che emerge è che i delitti sono della nostra civiltà, e il luoghi in cui sono ambientati sono sempre un punto terminale, un punto di non ritorno di una situazione iniziata in luoghi diversi. La Tani ha fatto una ricostruzione sociale  minuziosa: c'é una 'anatomia' della famiglia dalla quale discendono i protagonisti della storia narrata. Ma la ricostruzione non è basata solo sui fatti: c'è lo sgorgare di alcune situazioni psicologiche.  Il secondo dato è che non esiste una palettatura di classi sociali, anzi, c'è lo scambio d'amore tra classi sociali diverse. Il terzo dato è l'analisi lucida di qualcosa che lucido non è. I delitti non nascondono un mistero, e riflettono invece il cambiamento di un secolo: il rapporto uomo-donna rimane immutato, ma cambia il contesto e la reazione degli altri. Il libro è praticamente una storia dell'evoluzione del comportamento.
Carlo Lucarelli
Il libro è un racconto sul mistero dell'animo umano e del rapporto tra amore e morte. E' una 'compilation' che raccoglie temi ed eventi che spacca col bisturi la società, e analizza il rapporto tra amore e morte. Il libro appartiene ai cosiddetti "true crime": le cose vere sono belle, sono personaggi in carne ed ossa con la loro fisica concretezza.
Gabriele Vagis
Il libro ci dipinge assassini che non riescono ad adattarsi alla convenzionalità del sentimento. Sono madri che non provano piacere ad allattare, e la Tani di fronte a questi personaggi è riuscita a metterci compassione.
Cinzia Tani
I delitti passionali sono diversi dagli altri delitti, perché le persone che uccidono soffrono doppiamente. Sono colpevoli di assassinio e colpevoli di aver eliminato la persona più cara. Sono amori esagerati, da 'sindrome di Otello': le cosiddette 'gelosie deliranti'. Questi assassini non sono però criminali, ma sono persone che cercano con l'omicidio di sbloccare una situazione dolorosa. Sono delitti non premeditati, quasi da 'alchimia del male'. C'è una differenza nei delitti passionali tra uomo e donna. La donna che uccide, uccide perché la rivale è vera. L'uomo che uccide, ha solo il sospetto di un rivale, oppure  uccide perché è stato abbandonato (e qui entra in gioco la perdita di identità e del ruolo virile). Anche le armi utilizzate sono diverse tra uomo e donna: l'uomo usa più il coltello, un simbolo fallico. Come vengono giudicati questi assassini? Tempi fa l'uomo che uccideva una donna trovata in flagrante era considerato un delitto colposo; mentre l'adulterio femminile era considerato un adulterio per l'intera società.
Ilario Pisanu e Danilo Montaldo
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 23.9.2003
Sabato e domenica forum alla facoltà di Lettere per lanciare il progetto
Dai girotondi ai laboratori si riaffacciano i movimenti
Il presidente dell´Arci: "Partiamo dal basso"
Aderiscono intellettuali come Elvira Sellerio e Camilleri

L´idea nasce fuori dai partiti e non ha, almeno per ora, fini elettorali. È ambiziosa, perché riprende la sfida democratica dei girotondi e dei movimenti e la rilancia in una dimensione regionale. L´obiettivo è quello di dare voce alla società siciliana promuovendo una rete di «laboratori municipali», mettendo assieme tutti quei pezzi che chiedono di vivere in una Sicilia meno silenziosa e più partecipe, con un volto diverso da quello raccontato dalle indagini sulla criminalità e dall´intreccio tra mafia e politica. A prendersi la briga di tentare il nuovo esperimento di coesione sociale, a proporsi come pungolo della società civile, è l´Arci siciliana, che promuove due giornate di confronto sabato e domenica prossimi, alla facoltà di Lettere, sul tema "Intrecci solidali per un´altra Sicilia possibile". Sono 40 gli interventi previsti al forum: un´adesione già massiccia, giunta anche da personalità della cultura come Vincenzo Consolo, Leo Gullotta, Andrea Camilleri, Elvira Sellerio. Segno, per i promotori, che il bisogno di creatività in politica esiste.
[...]
Non saranno solo siciliani i contributi al dibattito di sabato (dalle 10 alle 20) e domenica (dalle 9,30 alle 14). Tra i relatori ci sono Luigi Ciotti, presidente di "Libera", Paolo Nerozzi della segreteria nazionale Cgil, Francesco Amodio dei Cobas di Roma, Tom Benetollo, presidente nazionale Arci, Haidi Giuliani, la madre del ragazzo morto durante il G8 di Genova, Anna Tizzo della rivista "Carta", Ferdinando Siringo del Movi. E ancora: Carmelo Di Liberto, segretario regionale Cgil, Antonio Riolo dell´Auser, Salvatore Granata di Legambiente dei Nebrodi, Gaetano Giunta del parco letterario Horcynus Orca di Messina. E i segretari di Margherita, Ds, Rifondazione e Primavera siciliana.
Antonella Romano
 
 

La Provincia pavese, 25.9.2003
«E' una parodia della potenza mussoliniana senza alcun riferimento attuale»
Camilleri racconta «La presa di Macallè»
"Non lo sembra, ma è il mio libro meno politico"

ROMA. «Questo che sembra il mio libro più politico forse, al contrario, è il meno politico». La definizione è di Andrea Camilleri che così racconta «La presa di Macallè» il suo nuovo romanzo che esce domani in libreria per Sellerio. Narra degli anni della pubertà e dell'adolescenza di Michilino, impregnato di un cattolicesimo miope negli anni della conquista dell'Abissinia, in una famiglia difficile, tra esperienze sessuali traumatiche. Una miscela che ne farà in poco tempo un omicida. Eppure per l'ambientazione nel periodo fascista di cui l'autore tratteggia principalmente il machismo e l'imperialismo e per tante altre caratteristiche, «La presa di Macallè» (una delle città abissine conquistate) sembra volersi gettare proprio nell' agone non solo della politica, ma della polemica addirittura.
Ma allora perchè scegliere proprio quegli anni? «A me viene una spinta, un input a scrivere un romanzo e lo scrivo, non c'è stata una scelta ragionata tra questa ambientazione e un'altra, che so, in epoca garibaldina. Solo in parte è una parodia della potenza fisica mussoliniana, nè c'è alcuna attinenza con il momento politico attuale, visto che l'ho scritto due anni fa, subito dopo «Il Re di Girgenti». Volevo raccontare una storia che avesse per oggetto l'imprinting sull'uomo: il periodo fascista è stato un momento di questo genere, in cui la nostra testa riceveva una formazione di un certo tipo. E' un periodo di cui ho fatto parte, anche se il libro non è autobiografico, e che conosco bene.».
 
 

La Provincia, 25.9.2003
Editoria. Domani
In arrivo il nuovo romanzo di Camilleri

ROMA — «Questo che sembra il mio libro più politico forse, al contrario, è il meno politico». La definizione è di Andrea Camilleri che così racconta La presa di Macalle (Sellerio, 10 euro) il suo nuovo romanzo, da domani in libreria. La presa di Macalle narra degli anni della pubertà e dell’adolescenza di Michilino, impregnato di un cattolicesimo miope negli anni della conquista dell’Abissinia, in una famiglia difficile, tra esperienze sessuali traumatiche. Una miscela che ne farà in poco tempo un omicida. Per l’ambientazione nel periodo fascista di cui l’autore tratteggia principalmente il machismo e l’imperialismo e per tante altre caratteristiche, La presa di Macalle (una delle città abissine conquistate) sembra volersi gettare proprio nell’agone della polemica. «Macalle — spiega lo scrittore siciliano — non è un romanzo realistico ma è metaforico», caratteristica che costituisce una profonda «differenza tra questo e i libri che lo hanno preceduto».
 
 

Avvenire, 25.9.2003
La polemica
Faletti il maggior scrittore italiano, Lucarelli e Camilleri star... Ma col successo del poliziesco in cui conta solo la trama, letteratura e lingua
Ma i gialli sono romanzi?

Qualcuno ha scritto di recente che la fortuna del giallo italiano cominciò nel 1972, con la pubblicazione della Donna della domenica di Fruttero & Lucentini, «che entrò nella vita degli italiani». Secondo noi c'è una data assai più importante: il 1961. Quell'anno Leonardo Sciascia pubblicò Il giorno della civetta, che è un giallo politico, morale, letterario, e di denuncia (come si diceva allora). Il merito della Donna della domenica è di non essere un giallo canonico. Il suo imperdonabile demerito, a nostro avviso, è di avere oscurato la narrativa di Franco Lucentini (cioè il suo capolavoro Notizie degli scavi) in favore di una narrativa tendenzialmente commerciale. E non è importante che Lucentini fosse consenziente. Comunque, sarà anche vero che lo slancio del giallo italiano iniziò nel 1972, ma è anche vero che in quella data il nostro romanzo-romanzo subì una scoppola dal quale non si è più ripreso. Il colpo di grazia lo diede Il nome della rosa (altro giallo epocale) che mise «una pietra tombale su tutta la narrativa precedente», come scrisse Pampaloni. Il fenomenale successo del giallo di qualsivoglia contenuto comincia dunque tra i Settanta e gli Ottanta. Come abbiamo già scritto in altra sede, chi conserva un minimo di memoria storica ricorda benissimo il proliferare di scrittori che miravano al mercato senza nessun complesso di inferiorità, dato che la cultura imperante era intrisa di valori pragmatici: più vendi e più hai ragione. Lasciata indietro la sterile e fragorosa neoavanguardia, messi quasi a tacere i narratori «tradizionali», la narrativa italiana era tutto un tripudio di storie giovanilistiche a capocchia, e molta critica le scambiò per un nuovo modo di porsi di fronte alla realtà. Sicché da un giorno all'altro spuntarono in seguito, come funghi dopo la pioggia, scrittori che diventavano subito preda dei miti giornalistici: minimalisti, splatter, Cannibali coi denti e senza denti, stephenkinghiani, liberostilisti, americanofili rimbambiti, fer nandapivaneschi con la mania del cocktail party al veleno (per la simpatica Pivano, si sa, se uno scrittore americano ha divorziato almeno tre volte è, ipso facto, un grande scrittore), giallisti lividi, neristi indefessi, criminalisti sadici, eccetera. Finalmente in Italia ritornava il «gusto di raccontare», come asserivano i cronisti, che ambivano a pubblicare le loro storiacce. E infatti tra una cronaca nera e un romanzo noir (lo ripetiamo) non c'erano differenze di livello ma solo di lunghezza e di confezione editoriale. Tra l'altro, chi scrive questa nota ricorda il mostruoso successo di uno scartafaccio di Frassica, che oscurò e dileggiò tutti gli altri romanzi seri che si trovavano sul banco dei librai. Si era nella metà degli anni Ottanta ed era cominciata la risibile epoca degli scrittori comici, o comici scrittori, che in questo momento stanno furoreggiando sui teleschermi, alla faccia di chi crede ancora nella Letteratura con la maiuscola. (A proposito, le barzellette di Totti si apprestano a prendere il posto di Pirandello). La Paraletteratura era diventata, dalla sera alla mattina, Letteratura. A questa strabiliante metamorfosi hanno contribuito una miriade di critici ebbri. Le cause sono molteplici, ma una ci pare essenziale: la generazione del Sessantotto era ascetica, nel senso che schifava la narrativa. Molti studenti fuori corso di quella generazione, crescendo, diventarono giornalisti culturali e perfino direttori, e siccome in precedenza avevano letto solo barbosissimi libri di economia e di ideologia militante, si buttarono a capofitto sulle «storie» per recuperare il tempo perduto, ma non avendo le basi, come si dice, fecero di ogni erba un fascio (e talora un Fascio mediatico). Non abbiamo nulla contro la Paraletteratura, sia chiaro, purché resti un nobile passatempo. Ma quando la Paraletteratura viene fatta passare per Letteratura, come sta succedendo da qualche anno, allora siamo allo spaccio di droga mentale pesante. La cosa non è seria, ma grave. (Non è stato forse scritto che il buon Faletti è «il maggior scrittore italiano di oggi»? Qualcuno è anche capace di crederlo). Che si sappia, la lezione di Sciascia non è stata ripresa da nessuno, se non per inconsapevoli operazioni parodiche (Camilleri), e purtroppo neanche la più modesta lezione di Fruttero & Lucentini. E un motivo c'è. In questi anni il linguaggio letterario è stato soppiantato dal linguaggio massmediatico e fumettistico, e qualsiasi libro che non abbia i crismi di una corriva leggibilità è condannato al macero, o al silenzio preventivo. E non è un caso se Lucarelli & Compagni (tanto per non fare nomi) sono le nuove star della narrativa. In fatto di stile, non hanno nulla da dire, e lo dicono. Basta confrontare una loro pagina con una pagina «gialla» di un vero scrittore (che so?, Soldati, Malerba, Pontiggia, eccetera) per capire che siamo entrati in un altro sistema linguistico, quello del plot fine a se stesso. La Letteratura è soprattutto una riflessione sul linguaggio dell'affabulazione, ma per gli autori lucarelliani (ehm) l'ultima cosa che conta è proprio il linguaggio, che quasi quasi diventa un peso. Se il fine di ogni giallo è il meccanismo del gioco a rimpiattino tra colpevole e detective, tutti gli altri elementi della narrazione passano in secondo piano, a cominciare dal concetto di colpa. E che il giallo sia un genere alienato e alienante lo dimostra un semplice fatto: la vittima è un pretesto. Ovverosia, la vittima, anziché essere il fulcro della storia (con la sua psicologia, il suo passato, le sue passioni, il suo ambiente, i suoi ideali, eccetera) è relegata ai margini del progetto letterario. Con conseguenze incalcolabili. O meglio si possono calcolare benissimo: quei gialli (o noir, o horror, eccetera) sono omologhi e complici della società dello spettacolo. E una delle principali caratteristiche di questa società del capitalismo scristianizzato è l'indifferenza per le vittime. Il degrado dell'uomo civile occidental e comincia dalla scomparsa del senso di colpa, cioè del sentimento del peccato. Naturalmente abbiamo parlato dei gialli di consumo. Ci sono, per fortuna, anche gialli letterari, che ridicolarizzano i primi. Purtroppo le mele buone soccombono alle mele marce.
Giuseppe Bonura
 
 

La Repubblica, 25.9.2003
Tra le novità in libreria torna l'Irlanda di Roddy Doyle e "Pompei" di Robert Harris, un parallelo con l'11 settembre
Storia di un'infanzia fascista
Il nuovo romanzo di Camilleri
Ma anche una sfida tra Dio e il diavolo, lo Spinoza di Strauss e la beffa di Grunberg pubblicata sotto pseudonimo

Andrea Camilleri lascia il commissario Montalbano in crisi di identità e depresso e si concentra su un romanzo completamente diverso. Si intitola La presa di Macallè (Sellerio, 10 euro), esce domani. Un bambino a dieci anni viene violentato, smontato e rimontato dalla propaganda fascista. In piena guerra di Abissinia è impossibile per un bambino resistere alla potenza della macchina retorica mussoliniana. Ed è possibile che su una psiche ridotta a brandelli si impiantino pulsioni assassine. Ambientato in un microcosmo siciliano, con il solito linguaggio alla Camilleri, il libro ha un grande merito: forse era da Tempo di uccidere di Ennio Flaiano che qualcuno non raccontava, da una prospettiva così personale, di quando eravamo noi italiani a fare le guerre di occupazione. Prima di passare alla storia come "italiani brava gente".
[...]
Dario Olivero
 
 

La Stampa, 26.9.2003
Camilleri
Il piccilidro che uccide
Lo scrittore parla del suo nuovo romanzo: una storia paradossale ai tempi della guerra d'Abissinia

Com'è possibile che un bambino (un futuro uomo) desideri ammazzare altri esseri umani? Quali meccanismi psicologici scattano in lui, quale esplosivo mix di educazione al fanatismo e di valori devianti è alla base dell’aberrazione? Non è (anche se potrebbe esserlo) una riflessione sulle tragedie dei nostri giorni, Medio Oriente e dintorni: è la domanda martellante che ha assillato a lungo Andrea Camilleri, e che ha preso forma narrativa nel suo nuovo romanzo, in uscita da Sellerio. Si intitola La presa di Macallè (pp. 288, e 10) e racconta la storia di un bambino che nell’Italia (la Sicilia, Vigàta) del 1935, ai tempi della guerra d’Abissinia, ossessionato dai convergenti dettami dell’indottrinamento cattolico e fascista si trasforma «abbastanza agevolmente» in assassino.
Lontanissimo movente dell’elaborazione romanzesca, un’esperienza personale dell’autore. «A dieci anni», confida Camilleri, «di nascosto da miei - ero cresciuto in una famiglia passivamente fascista - scrissi una lettera a Mussolini per chiedergli di partire volontario in Abissinia. La mia massima aspirazione era quella di uccidere degli abissini... Avevo dimenticato di indicare il mio indirizzo, così la risposta arrivò a Porto Empedocle (dovevano avere ricavato la città di partenza dal timbro postale) al segretario dell’Opera Nazionale Balilla, che era il fratello minore di Pirandello, il professor Innocenzo. La lettera del Duce la conservò lui, mannaggia!, altrimenti l’avrei tenuta incorniciata, come documento della mia imbecillità infantile. Il Duce mi spiegava che ero troppo piccolo, che dovevo crescere, ma che non sarebbero mancate le occasioni di servire in armi la patria».
A Camilleri l’occasione mancò, ma a Michelino, il piccolo protagonista del romanzo, figlio del camerata Giugiù che caccia di casa la moglie quando la sorprende a tradirlo con il parroco, al «piccilidro» Michelino che di anni ne ha soltanto sei, una delirante opportunità di provare la sua integrità fascista si presenta ben presto. A Vigàta una mascherata pubblica, organizzata con i balilla e le piccole italiane, festeggia rumorosamente la presa della città di Macallè. «Una vigliaccata», commenta il sarto comunista Maraventano. E nella mente di Michelino scatta la voglia di vendetta: per il Duce, per la Patria, per la Religione. Al catechismo Mussolini gli è stato presentato come l’uomo della Provvidenza, come una figura quasi divina mandata dal Padreterno per salvare l’Italia, per farla grande e prospera. È un tragico desiderio di giustizia che muove il bambino. E lo porta a uccidere.
La vittima è il figlio del sarto, suo coetaneo. Agghiacciante il modo. «Tutti noi», ricorda Camilleri, «avevamo a quell’epoca un moschetto per le esercitazioni (”libro e moschetto, fascista perfetto”), con la baionetta che non era innescata ma incorporata sulla canna, e aveva sulla punta una pallina di metallo per evitare che ci infilzassimo. Ma qualcuno riusciva a togliere la protezione, e questa lama di 20 centimetri diventava un’arma micidiale». Michelino ha due baionette, una con la pallina e una, che tiene nascosta, a cui l’ha sfilata. Con questa si avvicina al suo compagno, quando sono soli, conficcandogliela nella nuca.
Del delitto viene accusato il padre del morto, che verrà processato e giustiziato. Meglio così, ragiona Michelino, che con un colpo solo ha eliminato due comunisti. Nessun pentimento, nessun rimorso, solo il bisogno di ribadire continuamente a se stesso la bontà della sua azione: «Un comunista non è un omo, ma un armàlo e perciò se s’ammazza non si fa piccato». E tutti quelli a cui con noncuranza propone la questione - il padre, il parroco - glielo confermano: no, un comunista non è un essere umano, è un animale.
Sembra una storia inverosimile, e infatti lo è. Vuole esserlo. «Michelino è un mostro», come dice il suo autore: ragiona come un bambino ma è sessualmente iperdotato. Tanto da cadere vittima delle voglie pedofile del sofistico professor Gorgerino, che con abili discorsi lo introduce alla «ginnastica degli spartani» («i fascisti ai tempi dei Greci») e lo brutalizza «in loco spartano» per festeggiare ogni volta le nuove conquiste delle vittoriose truppe italiane: questa per Macallè, quest’altra per Tacazzè, e poi via con Adigrat, Amba Alagi, Amba Aradam, Axum. Intanto la cugina Marietta, più grande di lui, lo ammaestra all’altro versante delle «cose vastase», dolcemente, senza neppure farglielo capire. «È un romanzo paradossale, non un romanzo politico, anche se si parla di fascismo e di uso politico della religione», spiega Camilleri. «Bisogna leggerlo in chiave metaforica. Se avessi scelto un protagonista già in età puberale, tutto sarebbe sembrato più plausibile, l’effetto sarebbe stato realistico, e ai miei fini non avrebbe più funzionato. A me interessava vedere come si crea un fanatico».
La conclusione della storia, che ovviamente non raccontiamo, ricorda un po’ un episodio di un vecchio film con Ugo Tognazzi, I mostri. La cugina Marietta si installa nella casa di Michelino, diventa l’amante del padre, e agli occhi del bambino, sempre più, viene equivocamente a occupare il posto lasciato vuoto dalla mamma. Finché tutte le ossessioni e le sementi nefaste sparse nella piccola mente germoglieranno convergendo nella grottesca immagine di Gesù che appare al bambino in estasi, e in un delirio di «tu sei mio!», «io sono tuo!» chiude il romanzo. Non il suo lavoro nella coscienza 
dei lettori.
Maurizio Assalto
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 26.9.2003
Esce il nuovo libro. Lo scrittore: "Non leggetemi in chiave politica"
Tutti in fila per Camilleri

Esce oggi "La presa di Macallè" (Sellerio editore), il nuovo, attesissimo romanzo storico di Andrea Camilleri. E per contenere la calata dei lettori, già pronti a razziare scaffali e ripiani, i librai palermitani si sono ben attrezzati, prenotando in anticipo centinaia di copie del romanzo. A cominciare da Sergio Flaccovio: «Rispetto a un titolo di medio successo, per intenderci, noi di solito prenotiamo il nuovo Camilleri almeno per sette volte. È questa, pressappoco, la proporzione». Lia Vicari, della libreria Feltrinelli, così commenta l´attesa spasmodica che monta alcune ore prima dell´uscita: «In un giorno noi abbiamo venduto anche centocinquanta copie di uno dei tanti romanzi di Camilleri. È un autore destinato al grosso pubblico, e c´è chi lo compra pur sapendo che non potrà leggerlo subito. Noi ci siamo equipaggiati adeguatamente: potrei dire, riguardo al numero di copie che in precedenza si sono vendute e che sicuramente si venderanno, che Camilleri vale quanto Harry Potter». La libreria Kalòs ha per ora prenotato duecento copie: «Un bel numero, è vero. Ma Camilleri ci ha ormai abituato a queste cifre. Non è possibile fare un paragone con altri scrittori. C´è, nella vendita, una distanza siderale che li separa».
"La presa di Macallè" è ambientato a Vigàta in pieno periodo fascista, durante la guerra d´Abissinia, e racconta la storia di un bambino che viene educato alla violenza e all´assassinio. Una sorta di anti-romanzo di formazione, per niente consolatorio. Si tratta, in sostanza, di un Camilleri nuovo, dunque, completamente diverso, che turberà non poco il lettore. Si capisce quindi il perché di tanta attesa, da parte dei «camilleriani» affezionati, e soprattutto da parte di quei critici che ancora attendono lo scrittore al varco.
Dal canto suo, Andrea Camilleri così commenta l´evento: «Io non ho delle aspettative particolari, riguardo al mio nuovo romanzo. Vorrei solo che non fosse letto in chiave politica, contingente. Significherebbe tirare per i capelli tutto il libro». 
«"La presa di Macallè" - continua lo scrittore - rispetto ai precedenti romanzi storici, è diverso: non ho fatto uso di fonti, documenti, dal momento che parlo di un periodo in cui c´ero. Ma attenzione: non è affatto materia autobiografica. E non si tratta di un "instant-book": non è un libro che ho scritto per dire oggi la mia sul fascismo, per prendere una posizione netta. Il romanzo l´ho scritto due anni fa, senza soluzione di continuità con il "Re di Girgenti". Tutto qui».
Salvatore Ferlita
 
 

Avvenire, 26.9.2003
Camilleri
Lascia Montalbano per un bambino nel fascismo

Lo scrittore Andrea Camilleri abbandona momentaneamente il suo personaggio più popolare, il commissario di Vigata Salvo Montalbano e si concede una pausa con la storia recente, quella legata al fascismo. Il nuovo romanzo di Camilleri, intitolato «La presa di Macallè» (288 pagine, 10 euro) è ambientato nella Sicilia del 1935 durante la guerra in Abissinia, esce oggi da Sellerio e come di consueto avrà una prima tiratura altissima, di oltre 100mila copie. «L'idea di scrivere questo libro - spiega Camilleri in un'intervista a "Famiglia cristiana" - è nata dalla domanda: perché io, bambino di dieci anni, che vivevo in una famiglia passivamente fascista, avevo di nascosto scritto una lettera a Mussolini chiedendo di partire volontario per la guerra in Abissinia? Quale meccanismo scattò in me per avere un solo desiderio: ammazzare il nemico, un abissino?». Il protagonista del romanzo è Michelino, 6 anni, un bambino violato, che la martellante propaganda fascista degli anni Trenta trasforma in un assassino. Ma è un assassino innocente, fa intendere Camilleri, perché il bimbo è privato della possibilità di sviluppare la sua autonomia critica. Camilleri mette in discussione anche l'integralismo religioso. «La presa di Macallè» non è autobiografico. Sino ad ora i romanzi storici dell'autore siciliano erano tutti ambientati tra Sette e Ottocento.
 
 

Avvenire, 26.9.2003
Polemiche culturali
Ha successo ma non è vera letteratura: tre repliche alle tesi di Bonura
Chi ha ucciso il giallo italiano?

«Ma i gialli sono romanzi»? Il dubbio era stato posto ieri dallo scrittore Giuseppe Bonura, che argomentava che i «maggiori» scrittori italiani sarebbero oggi dei giallisti, facendo l'esempio di Faletti, Lucarelli o Camilleri, che però a suo parere badano alla trama e non a lingua e letteratura. Affermava Bonura che i gialli rischiano di fare scomparire la distinzione fra bene e male, la pietà per le vittime, omologhi in questo agli horror, in una società scristianizzata. Oggi a Bonura rispondono lo scrittore e giornalista Piero Colaprico, l'esperto di gialli Luca Crovi, il critico letterario Fulvio Panzeri, che in vario modo affermano che può essere il giallo una forma letteraria e non solo un genere, purché i gialli siano ben scritti, esprimano la realtà storica, non dimentichino l'anima. Purché non siano cioè un sottogenere.

Colaprico: una forma d'indagine sulla realtà
«Molti "sottolibri" ma almeno noi autori cerchiamo di sporcarci le mani»

A un giallo si chiede di meno, a un giallista si perdona di più. L'aspettativa del lettore è restare inchiodato alla pagina, godere di un po' di suspense, di qualche colpo di scena intelligente. Quando il giallo è scritto da uno che sa scrivere e pensare, può regalare inedite riflessioni, un diverso uso del linguaggio, descrizioni più precise del mondo circostante. Questo posso ammetterlo, ma da lettore (non solo da autore), ho cercato e continuo a cercare nei gialli e nei libri seri (uso apposta quest'aggettivo sbagliato) qualcosa che può farmi capire meglio le cose, emozionandomi, affascinandomi, dandomi nuovi argomenti. In poche parole: ho sempre cercato libri; e non sottolibri.
E sono queste, a mio parere, le due categorie da analizzare, senza far finta di avere oggi, davanti agli occhi, una letteratura alta e sfortunata commercialmente e un mediocre sottogenere redditizio. Mi piacerebbe vedere, nelle classifiche dei titoli più venduti, dando magari più ampia facoltà di giudizio ai critici, questa definizione. Esemplifico a mio gusto. Va dove ti porta il cuore, sottolibro. Non ti muovere, sottolibro. City, sottolibro. E, allora sì, Io uccido, sottolibro. Altrimenti, perché, tra i best sellers all'italiana prendersela solo con Giorgio Faletti e salvare a priori i frullati tragicomicosentimentali? Magari fossero solo i gialli a "non funzionare", ad essere furbastri e vuoti, e non anche i presunti e sedicenti "romanzi letterari".
Facciamoci la domanda cruciale: quale autore italiano ci fa correre oggi in libreria? Ognuno trovi una risposta, se l'ha. Si sono lette tantissime buone pagine. Personalmente, da Veronesi a Del Giudice, a Onofri a Morazzoni. Ma poi, alla fine, e mi auguro che nessuno di costoro si offenda, non ho trovato nulla che possa stare alla pari dei contemporanei Marìas o Coetzee, o dei sudamericani degli anni Settanta e Ottanta. Vorrei sbagliarmi, ma con Buzzati, Calvino, Sciascia, il Testori giovane, qualcosa di Del Buono, Arbasino e Scerbanenco (eh già, proprio lui, il giallista), finiscono, si spera momentaneamente, i nostri grandi libri. Qui e là, ci sono buoni libri. Poi libri. Ma quanti i "sottolibri".
Una sempre più vasta giuria popolare, e di critica, ci assolve e persino ci premia. Imputare al giallo di essere malsano (sintetizzo così la violenza degna di un protagonista del noir con cui Giuseppe Bonura si è espresso ieri su queste colonne), è oggi battaglia di retroguardia. Se alcuni giallisti aumentano di credito, reddito e copie, e altri autori "alti" no, la ragione sta essenzialmente in una maggiore e migliore creatività. Camilleri ha "inventato" un linguaggio alla siciliana che ha divertito molto. Lucarelli ha riproposto, nei suoi primi gialli, per me i migliori, i temi del fascismo. Come scriveva una lettrice ad Augias ("Repubblica", 24 settembre 2002), il giallo ormai è anche una «forma d'indagine e ricerca sociale sull'Italia degli ultimi cinquant'anni».
Se gli scaffali delle librerie vengono, con piena legittimità, occupati da noi, forse dipenderà dal fatto che stiamo facendo, o cercando di fare, quanto molti autori del "romanzo letterario" evitano: e cioè, sporcarci le mani con le realtà, e non con i minimalismi da ombelico. Cercando un linguaggio, non solo una trama. Studiando la lingua, non solo il tipo d'arma. Rileggendo Sciascia, ma come lui non ne nascono tanti in un secolo.
Piero Colaprico

Crovi: un genere che ha espresso i conflitti della vita moderna
«Ma prendersela con i polizieschi è lo sport preferito di critici e letterati»

Sparare a zero sul fenomeno "giallo italiano" è da sempre stato lo sport preferito dei critici e dei letterati. Così, negli anni Trenta, mentre cominciavano a germogliare con successo i semi della nostra narrativa di suspense nazionale con autori come Varaldo, De Angelis, Mariotti, Scerbanenco, critici come Alberto Savinio scrivevano che «il giallo italiano è assurdo per ipotesi. Prima di tutto è un'imitazione e porta addosso tutte le pene di questa infelicissima condizione; Oltre a ciò manca al "giallo" italiano, "et pour cause' il romanticismo crimininalesco del giallo anglosassone. Le nostre città tutt'altro che tentacolari e rinettate dal sole non "fanno quadro" al giallo né può "fargli ambiente" la nostra brava borghesia. Dove sono i mostri della criminalità, dove i re del delitto?». Dal canto loro Varaldo e De Angelis rispondevano già all'epoca a quelle critiche costruendo serrati plot ambientati in due metropoli reali come Roma e Milano, regalandoci uno splendido ritratto di costume dell'epoca assieme a due personaggi singolari come i commissari Ascanio Bonichi e De Vincenzi. In particolare De Angelis, sentendosi accerchiato da studiosi che sostenevano che il giallo non era da considerare una forma alta di letteratura ma anzi era un genere capace di «corrompere i costumi morali dei lettori» replicava che scrivere romanzi polizieschi non solo non era nocivo e pericoloso per i lettori ma che anzi equivaleva allo «scrivere in versi» e che «il romanzo poliziesco era il frutto rosso di sangue della nostra epoca. È il frutto, il fiore, la pianta che il terreno poteva dare. Nulla è più vivo e aggressivo della morte, oggi. Nel romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo: persino i cadaveri che sono, anzi i veri protagonisti dell'avventura.
Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può essere l'assassino o l'assassinato». E in quelle parole ci sembra di sentire l'eco di Gilberth Keith Chesterton che a sua volta aveva sostenuto che «il giallo è l'unica forma di letteratura popolare che esprima la poesia della vita moderna». La polemica fra difensori ed accusatori del fenomeno "giallo italiano" è proseguita nel tempo, riaccendendosi sempre immancabilmente ogni qualvolta i nostri romanzi di genere ritornavano in classifica.
Il successo di Camilleri accese un fuoco sotto la seggiola di Eugenio Scalfari, che un paio di anni fa in un corsivo intitolato «Il giallo ha ucciso il romanzo» sosteneva che negli ultimi anni gli autori di gialli e noir italiani avevano sostituito «l'analisi psicologica dei personaggi con una serrata sequenza di fatti, gli esterni (paesaggi, vedute, ambienti di città e paesi) sono stati di fatto aboliti. Il linguaggio si è ristretto a pochi tratti essenziali e a un numero di parole sufficiente al racconto cronachistico, sfumature, metafore, risonanze semantiche, parole evocative sono state sacrificate alla rapidità necessaria ad incalzare il lettore e tenerlo avvinto pagina dopo pagina allo svolgimento delle vicende narrative». La polemica suscitò un vespaio, ma in realtà a smontare l'asserto scalfariano bastava la presenza sul mercato degli ultimi romanzi di Carlotto, Camilleri, Baldini, Lucarelli, Piazzese, Pinketts (tanto per citare solo quelli che all'epoca erano in libreria) in cui venivano indagati nel profondo i costumi e i malcostumi del nostro paese con una profonda attenzione alle psicologie dei personaggi, all'identità delle città in cui vivevano e alle problematiche sociali che stavano travagliando all'epoca l'Italia.
Luca Crovi

Panzeri: questi "noir" sono proprio senz'anima
«Troppi effetti speciali: dov'è finita la lezione di Mauriac e Bernanos?»

Credo che non sia stata così negativa la riscoperta del "giallo" come struttura letteraria, soprattutto il suo "sdoganamento" rispetto all'idea del semplice romanzo di consumo. La riscoperta che è avvenuta negli anni Ottanta di autori come Giorgio Scerbanenco o di Cornell Woolrich o anche di un grande svizzero come Glauser, oltre ai complessi romanzi di Patrizia Highsmith e la rivalutazione delle loro figure come quelle di scrittori a pieno titoli è stata salutare. La loro opera veniva vista non solo come "romanzo di consumo" o "romanzo di genere" a se stante, ma come una diversa modalità di affrontare la letteratura. Tutto nasceva da una rivalutazione in chiave postmoderna.
Ora a vent'anni di distanza da quel processo di integrazione si registra un dato opposto, che fa riflettere. Il "giallo" o il "noir" sembrano diventati le uniche possibilità di scrittura romanzesca, mettendo in secondo piano tutto il lavoro di ricerca dei narratori (anche ottimi) che abbiamo in Italia. Anche questo di tipo di assolutizzazione ha i suoi rischi. E sono molti. Infatti si rischia un impoverimento del linguaggio e dello stile (anche se buoni narratori di romanzi gialli non mancano, tra le nuove leve si ricordano Marco Vichi con la Firenze del suo Commissario Bordelli e Valerio Varesi, con Parma al centro delle indagini del Commissario Soneri), ma soprattutto una letteratura legata agli "effetti speciali" di chiara derivazione televisiva e cinematografica. Per non parlare poi delle trame, dove la violenza non è più indagata come avveniva nei grandi romanzi francesi di Bernanos e di Mauriac, veri e propri gialli dell'anima, come una lunga meditazione sul rapporto tra bene e male, ma è fine a se stessa, sempre più efferata e tesa a colpire l'immaginazione del lettore, più che a farlo riflettere sui temi della colpa e della coscienza individuale.
In questo Bonura ha ragione: ma credo che non sia la rivalutazione del giallo a dover essere messa in discussione, bensì il suo essere diventato, ancora una volta, "romanzo di consumo". Il limbo da cui era stato salvato un genere "nobile" che tanto ha dato alla letteratura mondiale, si sta ripresentando, perché non sono state recepite le lezioni della tradizione: Chesterton, il Gadda del Pasticciaccio, tutto Sciascia, ma anche I racconti del Maresciallo di Soldati e aggiungerei anche un Testori rimasto inedito per trent'anni, quello di Nebbia al Giambellino, perfetto "noir" dell'anima che risente molto della lezione di Bernanos. Il "giallo", nel momento in cui sta vivendo la sua stagione d'oro in libreria, rischia di perdere la sua anima vera. Senza un'attenzione al tema della moralità, è solo una macchina. Di consumo editoriale.
Fulvio Panzeri
 
 

Corriere della sera, cronaca di Milano, 26.9.2003
L'incontro
I nuovi giallisti ricordano Scerbanenco

Serata di omaggio a Giorgio Scerbanenco a La Feltrinelli di corso Buenos Aires 33 (ore 18.30, tel. 02.20.23.361), per l'uscita del libro «Non rimanere soli» (Garzanti), che l'autore di «Milano calibro 9», scomparso nel '69, concepì nel 1943 come un'educazione sentimentale sullo sfondo della guerra. Come spiega Tecla Dozio, «anima» della Libreria del Giallo e ospite come esperta: «Questo fu probabilmente un libro di passaggio verso lo Scerbanenco più "nero", quello che raccontava la Milano di allora ma dà l'impressione di raccontare cronache di oggi». Insieme alla Dozio, anche Gianni Canova e la vedova di Scerbanenco, Nunzia Monanni, oltre a un nome della nuova narrativa gialla milanese, Piero Colaprico.
«Leggeremo brani di Scerbanenco - spiega Dozio - e io porterò alcune pagine in cui Fois, Lucarelli, Camilleri e altri giallisti parlano di lui. Un erede di Scerbanenco oggi? Per il lato oscuro dei suoi personaggi, penserei a Sandrone Dazieri, mentre per lo sfondo, la città, penso a Colaprico, che infatti lo ebbe come modello».
Ida Bozzi
 
 

Gazzetta del Sud, 27.9.2003
«La presa di Macallè» di Camilleri
Come nasce il fanatismo

È un libro alle radici di ogni fanatismo, che analizza in un bambino il depositarsi delle prime nozioni, il modo in cui queste per una serie di circostanze diventano germi, fino a quando il loro confronto con la realtà si addensa in esperienza. A questo punto è già imboccata una strada sbilenca, che distorce e conduce alle forme insane dell'integralismo, del fanatismo di qualunque natura. «La presa di Macallè» (Sellerio; pp. 275 – 10 euro), il libro meno politico di Andrea Camilleri, come egli stesso ha precisato, è la descrizione dettagliata di questo processo psicologico. Nel suo divenire psicanalitico. Il protagonista del libro, il piccolo Michilino, per sensibilità personale, per abnegazione e per le influenze familiari ed extrafamiliari in cui cresce, è «in nuce» l'individuo campione per diventare un miope esaltato. Già capace di qualunque orrore pur restando intimamente candido, in una fissità che convoglia tutta la sua attenzione ad un panteismo che si è fabbricato con scarse indicazioni, nessun spirito critico o termine di confronto e soprattutto molti, inspiegati, divieti. Si smette ad un certo punto di condividere il suo estremismo crescente e le strade tra il protagonista e il lettore inevitabilmente divergono. È al punto di biforcazione che si materializza l'inedita trovata narrativa di Camilleri: il lettore, come una mente imprigionata in un corpo che rifiuta, vorrebbe liberarsi del ragazzino non riconoscendosi più nel suo modo di pensare e di agire. Ma non può farlo se non chiudendo il libro e rifiutando il gioco, rinunciandovi; se vuole proseguire deve restare nei panni di Michilino nei quali si trova a disagio; deve camminare nelle sue scarpe strette. L'idillio è finito. Macallè, come Amba Aradam, come Adigrat e tante altre, è una delle caduche conquiste africane della parentesi colonizzatrice fascista. È in quegli anni che Michilino, priapico figlio del camerata Giugiù, consuma la propria infanzia e pubertà a Vigata, tra la madre che riceve sacramenti troppo poco mistici dal prete, un professore pedofilo che cela e giustifica la propria passione dietro i costumi spartani, vedove e cugine ai suoi occhi pericolosamente assetate di sesso che rischiano di trascinare anche lui nel gorgo materialistico e annichilente. In anni di etica virilità, di fulgide gesta, in impavidi eroismi, Michilino, seviziato, solitario, sballonzolato, si aggrappa istericamente ad una unica certezza che sfocia in un atteggiamento oggi definito terroristico. E ammazza il Male assoluto: il comunista.
Marco Neri
 
 

Il Piccolo, 27.9.2003
Quando l'amore veste i panni della morte
 
 

La Repubblica (ed.di Roma), 28.9.2003
Vacanze romane
I gatti di Angela
Andrea Camilleri
 
 

Famiglia Cristiana, 28.9.2003
Il libro
La storia coi calzoni corti
In La presa di Macallè, Andrea Camilleri racconta a sorpresa la storia dell’indottrinamento di un bambino in epoca fascista.

Negli anni Trenta la dittatura fascista consolidava il consenso. Tra adunate e premilitari, la retorica colpiva anche i bambini, educati al culto della forza, dell’ordine e della disciplina. Per giustificare la conquista dell’Abissinia, il regime instillava anche nei più piccoli l’odio nei confronti degli etiopi, nemici selvaggi da civilizzare.
Nella Sicilia di quegli anni è ambientato il nuovo, sorprendente libro di Andrea Camilleri: La presa di Macallè, un paradossale e avvincente romanzo storico che esce in questi giorni. Si tratta dell’ennesimo cambiamento di genere operato da Camilleri, che dopo le inchieste di Montalbano, i gialli a sfondo psicologico e i romanzi storici ambientati tra Sette e Ottocento, passa alla nostra storia recente.
La trama del romanzo è inventata e i personaggi sono di fantasia, ma il contesto storico è reale. Camilleri non ha utilizzato documenti ufficiali, ma ha attinto dall’album dei ricordi personali (anche se il romanzo non è autobiografico).
«L’idea di scrivere questo libro», spiega Camilleri, «è nata dalla domanda: perché io, bambino di dieci anni, che vivevo in una famiglia passivamente fascista, avevo di nascosto scritto una lettera a Mussolini chiedendo di partire volontario per la guerra in Abissinia?».
Il protagonista è Michelino, 6 anni, che la propaganda, le circostanze della vita e i cattivi maestri trasformano in un assassino. L’elenco dei cattivi maestri è lungo: l’insegnante pedofilo, capo dell’Opera Balilla; il padre razzista; la cugina ossessionata dal sesso, e il prete del paese, simpatizzante fascista.
Per un verso, dunque, il piccolo Michele sarà spinto a confondere Cristo con il Duce e a coniugare fanatismo politico e integralismo religioso.
Dall’altra parte, invece, la propaganda razzista del padre e del regime condurranno il bambino a odiare il santo del paese, perché di colore e quindi "abissino".
La scelta di un protagonista così giovane è un’altra novità. «Il racconto», spiega Camilleri, «è nell’ottica del bambino. È come se riprendessi la scena con una telecamera dal basso. Inevitabilmente, il bambino è più immediato e coglie i passaggi di una vicenda in maniera diretta».
Pietro Scaglione
 
 

BresciaOggi / L'Arena, 28.9.2003
È il suo romanzo appena uscito: «il meno politico»
Camilleri spiega la Presa di Macallè

«Questo che sembra il mio libro più politico forse, al contrario, è il meno politico». La definizione è di Andrea Camilleri che così racconta La presa di Macallè (Sellerio, pp.275, 10 euro) il suo nuovo romanzo appena uscito in libreria. La presa di Macallè narra degli anni della pubertà e dell’adolescenza di Michilino, impregnato di un cattolicesimo miope negli anni della conquista dell’Abissinia, in una famiglia difficile, tra esperienze sessuali traumatiche. Una miscela che ne farà in poco tempo un omicida.
Eppure per l’ambientazione nel periodo fascista di cui l’autore tratteggia principalmente il machismo e l’imperialismo e per tante altre caratteristiche, La presa di Macallè (una delle città abissine conquistate) sembra volersi gettare proprio nell’agone non solo della politica, ma della polemica addirittura. Ma non è così: «Macallè - spiega lo scrittore siciliano - non è un romanzo realistico ma è metaforico», caratteristica che costituisce una profonda «differenza tra questo ed i libri che lo hanno preceduto».
Ma allora perché scegliere proprio quegli anni? «A me - risponde - viene una spinta, un input a scrivere un romanzo e lo scrivo, non c’è stata una scelta ragionata tra questa ambientazione e un’altra, che so, in epoca garibaldina. Solo in parte La presa di Macallè è una parodia della potenza fisica mussoliniana, né c’è alcuna attinenza con il momento politico attuale, visto che l’ho scritto due anni fa, subito dopo Il Re di Girgenti. Questo libro investe un problema più grosso, quello definito da Konrad Lorenz come imprinting . Volevo raccontare una storia che avesse per oggetto l’imprinting sull’uomo: il periodo fascista è stato un momento di questo genere, in cui la nostra testa riceveva una formazione di un certo tipo. È un periodo di cui ho fatto parte, anche se il libro non è autobiografico, e che conosco bene. Ma tali esperienze, tali imprinting accadono spesso e in tutto il mondo, per diversi motivi».
La presa di Macallè è la storia di un bambino, Michilino. Come scelta stilistica dice di essersi avvalso del paradosso. «Ma anche - aggiunge - della metafora. Il protagonista, Michilino, da un certo punto di vista è un uomo completo e maturo, da un altro rimane innocente e candido». Fin troppo maturo visto che ha un eccesso di virilità. Ha un significato questa sua caratteristica fisica? «È una proiezione dell’inconscia violenza del bambino stesso; non è una facile ironia né altro. Mai come in questo libro la presenza di Gadda è stata tanto forte, ma non come elemento linguistico bensì narrativo. Penso a quella straordinaria, parodistica e tragica analisi del fascismo in Italia che è Eros e Priapo».
La vedova Sucato, il professore pedofilo Gorgerino, patre Burruano, Marietta: il dato sessuale è quanto mai forte. Perché? «Parto da lontano. Per noi l’Islam ha regole di vita che alla nostra cultura appaiono molto limitative ma che certamente non sono avvertite come tali dai musulmani. Dal momento che ogni cultura ha le sue mi sono chiesto: quali sono quelle della religione cattolica? Sicuramente quelle sessuali, che spesso diventano le più ossessive. Quindi in questo romanzo ho voluto sottolineare in modo volutamente eccessivo le ’cose vastase’ che equivalgono ad altre regole in altre religioni.
Questa del sesso fu per noi la regola più assoluta all’epoca, la più martellante. La sua trasgressione, nel momento in cui fascismo e religione si identificarono, significò commettere un peccato religioso ed anche laico. Ci furono fortunate eccezioni ma generalmente l’educazione cattolica si identificò perfettamente con l’educazione fascista».
Un esempio? «La propaganda del regime allo scopo di aumentare la procreazione. Ci atterrì un medico palermitano che mi sembra divenne vicesegretario nazionale del partito, Alfredo Cucco. Pubblicava libri terroristici basati su una inesistente scientificità in cui sosteneva, ad esempio, che la masturbazione e il coitus interruptus facevano diventare ciechi o impedivano di avere figli».
Il Giro di boa si è attirato molte critiche, avverrà lo stesso anche per La presa di Macallè ? «Mi aspetto moltissime critiche, specie da quelli che non hanno saputo leggere i miei libri precedenti... figurarsi questo».
Francesco De Filippo
 
 

La Nazione, 28.9.2003
Pistoia
Tradotto in tedesco il Camilleri pubblicato dalla «Libreria dell'Orso»

Dopo il successo editoriale dello scorso inverno nelle edizioni della «Libreria dell'Orso», Cecè Collura, creatura minore di Andrea Camilleri e amico del più noto commissario Salvo Montalbano, arriva sugli scaffali delle librerie tedesche (Andrea Camilleri, Die Ermittlungen des Commissario Collura, pagg. 96, euro 10,90). Lo pubblica Wagenbach, prestigioso editore, nella traduzione di Moshe Kahn. Il volume include un'intervista allo scrittore siciliano.
 
 

La Repubblica (ed.di Palermo), 28.9.2003
Il saggio di Onofri "La modernità infelice"
Da Pirandello a Sciascia, il rapporto degli scrittori con il secolo scorso
Cent´anni di sicilitudine nell´isola lontana dal Novecento
Il grande escluso è Camilleri "È parente di Eco"
"Borgese è riuscito a leggere lo scontro fra Oriente e Occidente attingendo al passato mentre le pagine di Verga sono un laboratorio linguistico impensabile al Nord"
L´impermeabilità alla lezione di Freud, di Marx e degli altri padri del pensiero ha contribuito a creare una letteratura fertile e originale "Altrimenti la lussuria di Brancati sarebbe stata una parodia"

"La modernità infelice" (edizioni Avagnano, 192 pagine, 13 euro) è il nuovo saggio che il critico Massimo Onofri dedica alla letteratura siciliana del Novecento. Il libro è stato presentato ieri a Grotte nell´ambito del premio "Racalmare", da Vincenzo Consolo, Nino De Vita e Domenico Cacopardo.
Gli scrittori siciliani del Novecento hanno avuto un rapporto difficile con la modernità, è questa è stata probabilmente la loro salvezza, perché invece di scimmiottare i padri spirituali che hanno influenzato il pensiero di tutto il secolo - Marx, Freud, Nietzesche, Levy Strauss - hanno costruito una loro grandiosa specificità. Una voce diversa dal coro della letteratura corrente, un pessimismo accorato in contrasto con lo stridulo ottimismo imperante. È la tesi che il critico Massimo Onofri sostiene nel suo saggio "La modernità infelice". Vediamone le motivazioni.
Qual è il messaggio più significativo che lei trae dalla lettura di questo labirintico romanzo novecentesco che è la somma delle opere dei siciliani?
«Pirandello, Borgese, Brancati, Tomasi, De Roberto, Sciascia, Consolo, Bufalino, ricostruiscono la controstoria di oltre un secolo italiano. Un punto di vista diverso da quello imperante, impregnato di un´alta temperatura civile. Prendiamo il Nord degli Scapigliati: sono autori virtuosi, ma letti in chiave ideologica sotto lo stile non c´è nulla. I protagonisti dei loro libri sono i nipotini del promesso sposo Renzo Tramaglino che sposano la figlia del padrone. Una sorta di veltronismo ante litteram. Gli Scapigliati sfoggiano lussuosi vestiti ma non percepiscono né i cambiamenti, né le stagnazioni. I siciliani invece devastano la visione modernista della storia e con il loro pessimismo di fondo colgono le complessità dei mutamenti sociali e politici. Rivelando capacità di chiaroveggenza anticipano perfino l´arrivo di un Bossi».
L´antimodernismo non diventa una sorta di palla al piede che finisce con il condizionarli lo stesso, seppure da un lato opposto?
«Più che un antimodernismo tout court gli autori siciliani rappresentano una sorta di non rassegnata accettazione della modernità. Ma il loro pessimismo non è statico. Diciamo che - sulla scia di Leopardi, sotto le cui ali spesso si riparano - sollevano utopie proiettandole nel futuro».
Non ci dica che nel pessimismo di Consolo coglie spiragli?
«Eppure è così. Anche se il suo pessimismo è ormai radicale coltiva la speranza flebile di una contro-società, alternativa all´attuale. E attraverso una esasperata ricerca linguistica diventa scrittore politico. Inventa un suo italiano per negare le affascinazioni linguistiche pubblicitarie berlusconiane».
La ricerca linguista è un´ossessione di molti autori isolani. C´è un motivo?
«L´insularità sicuramente. In genere i siciliani oltre a essere testimoni dei tempi, esprimono una grande tensione linguistica. La pagina verghiana è anche un grande laboratorio linguistico che al Nord nemmeno se lo sognano».
Nel Novecento psicologia e sociologia irrompono nel mondo letterario. Ma di tutto ciò c´è poca traccia nei "nostri". Per lei è un bene. Perché?
«I siciliani mancano volutamente l´appuntamento con i geni del secolo. E meno male. Se Brancati avesse incrociato Freud sarebbe stato scrittore modesto. Le sue esplorazioni negli abissi della lussuria sarebbero state una parodia. I romanzieri che sono ricorsi alle categorie psicanalitiche sono scolastici».
Svevo non ha prodotto parodie.
«Svevo, Saba e Moravia, che ha riletto Freud in modo smaliziato, sono le eccezioni. Gli altri hanno solo scritto mediocrità».
E Pirandello?
«È sicuramente il più novecentesco di tutti. L´autore agrigentino è stato molto di più della cultura tedesca e francese da lui assimilata. Gli strumenti della filosofia e dell´introspezione sono una sorta di armatura che nasconde la sua grande ispirazione. Ma non dimentichiamo il Pirandello de "I vecchi e i giovani", un romanzo di spessore universale».
Lei rivaluta Patti e Borgese. Su quali basi?
«Patti non è un Brancati minore. Si muove sul crinale del nichilismo novecentesco. Ne è prova la misoginia con cui aggredisce i suoi personaggi femminili, la carne che precipita, la corsa verso il nulla. Borgese è stato capace di leggere lo scontro tra Occidente e Oriente attingendo al passato. Per spiegare Stalin ha utilizzato Plutarco. Non male».
Perché nella sua galleria non c´è Camilleri?
«Non ci sono nemmeno Vittorini e Fiore. Vittorini manca perché è l´unico che ha cercato un rapporto con la modernità. Anche se non l´ha trovata mai».
E Camilleri?
«Non l´ho incontrato studiando la Sicilia. Appartiene a tutt´altra anagrafe. Camilleri sulla scia di Eco sviluppa un´idea di letteratura come manipolazione di passioni fredde, come gioco; molto più funzionale al mercato. Non è polemica ma constatazione storica».
Tano Gullo
 
 

Il Tirreno, 29.9.2003
Santa Fiora merita un po' di vita
 
 

La Repubblica, 30.9.2003
Escono in un volume tre testi dello scrittore per la scena. Tra i quali "Molto rumore per nulla" in dialetto
Camilleri: nel mio teatro c´è Shakespeare siciliano
Nel libro adattamenti di "Il birraio di Preston" e "La cattura" da Pirandello

ROMA - «Autore di teatro? Ma lei lo sa che l´unico mio testo pensato come copione io lo gettai via dal finestrino d´un treno?». Andrea Camilleri non è un uomo, è una miniera di storie, e si schermisce mentre in coincidenza con l´ultimo suo romanzo "La presa di Macallè", s´annuncia altrettanto in libreria, da domani, il volume "Teatro" edito da Arnaldo Lombardi di Palermo, una raccolta contenente tre rielaborazioni (da un suo romanzo, da Shakespeare e da Pirandello) intitolate Il birraio di Preston (1999), Troppu trafficu ppi nenti (2000) e La cattura (2001), opere condivise col regista Giuseppe Dipasquale che le ha messe in scena e ora le propone nella collana "Gioielli discreti".
Camilleri, ora che escono i suoi adattamenti teatrali lei minimizza l´inclinazione di drammaturgo. Come mai?
«Molta della mia vita è stata segnata da un atto unico che scrissi nel ´48, Giudizio a mezzanotte, che mi valse il Premio Firenze, con in giuria Silvio D´Amico, Salvini, Squarzina. Nel viaggio di ritorno rilessi però il testo, lo trovai una scopiazzatura delle mode dell´epoca, di Sartre, e lo frullai via dal treno. Il contatto con D´Amico mi valse comunque una candidatura al corso d´allievo regista all´Accademia, e l´ingresso determinò tante altre mie esperienze».
La regia poteva favorire la creatività teatrale. E invece?...
«Invece io non riesco a scrivere di primo acchito per il teatro. Sono come paralizzato dai dialoghi. Curioso, perché nei romanzi faccio prima parlare i personaggi e poi li faccio entrare nella vicenda».
In pratica lei è autore di commedie solo mettendo a punto riduzioni o trasposizioni?
«È così. Per Il birraio di Preston sono partito dalla struttura preesistente di un romanzo mio. Per Troppu trafficu ppi nenti c´è stato il divertimento di attribuire a Shakespeare origini siciliane rimodellando in messinese il suo Molto rumore per nulla. E fu Turi Ferro a propormi di teatralizzare il racconto La cattura di Pirandello».
Lei autore prolifico e solitario in letteratura, firma però sempre assieme a Dipasquale questi lavori per la scena...
«Lo so che è un mistero, la firma a quattro mani. Diciamo che fra noi c´è un battistrada e uno che segue, e di volta in volta cambia».
È opportuno che lo spettatore conosca già il suo romanzo, o Shakespeare e Pirandello?
«Non è necessario. Nella conversione si perdono e si acquistano cose. Per il palcoscenico si inventa di più, e si spiegano meglio i passaggi temporali».
Scaturiscono sempre ritratti fatali o ammonitori della Sicilia?
«Sì. Anche se in due testi c´è l´800, e se Shakespeare è senza epoca, viene fuori una Sicilia inconfondibile, con ironia, forza dei sentimenti nel carattere. Più che mai nella Cattura dove il mondo dei sequestratori diventerà la famiglia».
Come si regola per la lingua, per il dialetto?
«Il pubblico in platea ha diritto a capire, non può tornare indietro e rileggere. Quindi attenuo le cadenze, e uso il catanese più che il mio girgentano. La pubblicazione dei copioni permette ora di decifrare tutto, come i libretti nella lirica. La memoria è importante. Lo dico io che non vado più a teatro per nostalgia».
Rodolfo Di Giammarco
 
 

Supereva Guide, 30.9.2003
"La presa di Macallè" e la caduta di un idolo
Camilleri, addio!

Annunciato già da luglio, pubblicizzato come imminente alla fine di agosto, solo oggi l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri è approdato nelle librerie della mia città.
E la prima copia di “La presa di Macallè” è stata mia, che ho vissuto la spasmodica attesa del nuovo romanzo con un’ansia degna di migliore causa.
L’ho finito per forza, lottando contro il disgusto e l’indignazione che insorgevano ad ogni pagina: stavolta si è passato il segno! Adesso viene da invocare una censura per salvaguardare le menti di giovani e meno giovani.
Nigro, che ne ha firmato l’introduzione, ha un bell’ammantare il tutto con il comodo appellativo di grottesco, nobilitandolo come una priapata innocua, come una denuncia al fascismo e al cattolicesimo.
Lo spunto c’è, ed è valido: un bambino, perso dietro i falsi miti imperial-fascisti e nel demagogico catechismo cristiano, si fortifica in errati ideali di distruzione e morte.
Ma a me, che non sono un Catone, la storia intera è sembrata un’istigazione alla pedofilia, che considero il crimine più esecrabile al mondo, l’unico che meriterebbe la reintroduzione della pena di morte.
Ecco cosa ha concepito la fantasia perversa di Camilleri (e prego i minorenni di soprassedere a questa pagina): un bambino di sei anni (sic!), munito di genitali sproporzionati, assiste ogni notte alle “lotte” che sul letto si dichiarano i propri genitori.
Genitori molto poco siciliani, dal momento che il padre ha una relazione con la creata e la madre non nega i propri favori al parroco del paese, in sospetto di pedofilia per l’interesse suscitatogli dagli attributi virili (?) del bambino.
Nel paese, quest’anima innocente si imbatte nei più abietti personaggi: una vedova che per gioco si fa masturbare dall’inconsapevole ragazzino, in presenza della madre di lui, un maestro che celebra ogni vittoria italiana in Abissinia (da qui il titolo) con uno stupro al suo alunno, un ragioniere che, nel buio di un cinematografo per ragazzi, insidia i ragazzini, un compagno precoce che possiede sconci calendari da barbiere e conseguenti tentazioni sessuali e, non ultima, una laida cugina di sedici anni che lo induce ad avere con lei rapporti completi (a sei anni, ripeto! altro che grottesco, Nigro caro!) per poi ripiegare sul più maturo zio.
Il seienne, già munito di baionetta quasi funzionante e di temperino ben appuntito, ossessionato dall’immagine distorta delle sofferenze di Gesù, si improvvisa serial Killer, uccidendo o ferendo gravemente un compagno di classe figlio di comunisti (genia da estinguere, secondo il credo fascista e cattolico), il ragioniere pedofilo, un tredicenne che voleva intimorirlo, la cugina libidinosa e il padre mandrillo, ultimando la sua breve vita in un rogo da lui stesso appiccato ad maiorem gloriam Dei.
La verve linguistica, l’acutezza della polemica e della critica contro il mondo fascista e le sue collusioni con la Chiesa, il susseguirsi di colpi di scena non compensano il tono totalmente diseducativo e socialmente pericoloso.
Nessuno tocchi i bambini, neanche Camilleri!
Benedetta Colella
 
 

La Repubblica, 30.9.2003
Incontro con il regista e attore Sergio Rubini: mentre sta girando il suo nuovo film "L´amore ritorna" esce "Mio cognato" con Lo Cascio. Che ricorda il "Sorpasso"...
"Un malato vi guarirà"
Nanni Moretti è un punto di riferimento Da lontano è un faro che indica una strada

[...]
«Camilleri era mio insegnante all´accademia. Disse una volta che quando era andato via dal suo paese aveva deciso che sarebbe tornato solo quando avesse dimenticato il numero delle colonne che sostenevano la facciata del Comune. Io pensai allora che la stessa cosa fosse indispensabile anche per me. I primi anni a Roma ho vissuto cercando il più possibile di dimenticare. Poi ho incontrato Starnone: una luce nella mia carriera».
[...]
Paolo D´Agostini
 
 

Il Tirreno, 30.9.2003
Alle radici del fanatismo
 
 
 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011