RASSEGNA STAMPA
SETTEMBRE 2003
Ad Est, n.6, 1.9.2003
Lettera di Andrea Camilleri
Lettera scritta in occasione di un attentato compiuto contro il
teatro di Raffadali
Quando vengo d'estate al mio paese per trascorrere qualche giorno di
vacanza (per modo di dire) comincio naturalmente a comprare i quotidiani
dell'isola e a seguire i notiziari delle televisioni locali. Sono in un
certo senso rassegnato alla constatazione che i fatti negativi dei quali
verrò a conoscenza supereranno di gran lunga quelli positivi. Ma
una notizia mi ha particolarmente addolorato e cioè l'incendio non
casuale del palcoscenico del bellissimo teatro all'aperto di Raffadali.
La prima volta che lo vidi ne rimasi assai colpito per una ragione
molto semplice: si trattava di una struttura in muratura, non di un "arrangiamento"
qualsiasi in tubi innocenti: segno dell'importanza civile che la comunità
dava a un fatto sociale com'è il teatro. M'inorgoglii, da siciliano,
per i miei amici raffadalesi. E in quel teatro ho diretto due spettacoli
che sono rimasti nella mia memoria oltre che per i risultati ottenuti,
per l'amicizia, per la simpatia, la cortesia di cui venni, in quelle occasioni,
circondato. E in quel teatro lavorò anche il regista Pino Passalacqua,
gran galantuomo e amico fraterno. Spero che quel palcoscenico venga al
più presto ricostruito e valorizzato, a simbolo di una ritrovata
comunanza d'intenti.
Ulisse, 9.2003
“Mi piacque l’ambiguità di Vigàta”
Il paese delle mie storie è semifantastico. Vi si riconosce
Porto Empedocle, ma esso ha ormai assunto la forma triangolare della Sicilia
stessa.
Ci sono scrittori che sentono la necessità di ambientare la maggior
parte delle loro storie in un unico luogo semifantastico, una città,
una provincia. È come se si fossero autoeletti sindaci o governatori
dei loro personaggi. Dando loro in qualche modo dei confini, geografici
ed esistenziali, forse sentono di poterli tenere maggiormente sotto controllo.
Due casi per tutti: Faulkner e Garcìa Márquez. Ho detto che
sono luoghi semifantastici a ragion veduta: in realtà quella città
o quella provincia esistono sulla carta geografica come strutture toponomastiche
di base, ma le necessità narrative degli autori fanno sì
che i confini siano a geometria variabile, che le strade si ordinino in
un modo diverso, che un fiume che scorre ad est venga spostato a ovest,
che una collina da sud trovi la sua più giusta collocazione fantastica
a nord. Ne I vecchi e i giovani di Pirandello, Girgenti (ora Agrigento)
appare letteralmente terremotata: ad esempio, siccome Pirandello aveva
la necessità che due case si fronteggiassero, fece scomparire un
colle che nella realtà si frappone. Le vicende del mio primo romanzo,
Il corso delle cose, terminato nel 1968 ma pubblicato dieci anni dopo,
si svolgevano in un paese costiero del sud della Sicilia che non aveva
un nome. Ma chi tra i miei compaesani lo lesse riconobbe subito che si
trattava di Porto Empedocle, il mio paese natale. E del resto io non avevo
fatto niente per camuffarlo. Allora cominciò una specie di gioco
d’identificazione: qual era il nome vero di un personaggio che si nascondeva
dietro il nome inventato che io gli avevo dato? Qualcuno si riconobbe (forse
non a torto) e s’irritò. E questo malgrado io avessi scritto il
solito avvertimento e cioè che i nomi e i fatti non avevano alcun
rapporto con la realtà. La cosa mi seccò molto, mi ripromisi
di non correre più il rischio e così, quando scrissi il mio
secondo romanzo, Un filo di fumo, del 1980, volli ambientarlo in un paese,
Vigàta, che esisteva e nello stesso tempo non esisteva. Quel paese,
lo confesso, mi piacque, mi piacque quell’ambiguità, e decisi che,
possibilmente, tutti i miei romanzi futuri dovessero svolgersi a Vigàta.
Vigàta che era capace d’inglobare fatti e vicende d’altri paesi
siciliani pur restando sempre Porto Empedocle. Però, sposta il confine
oggi, spostalo un po’ più domani, è andato a finire che Vigàta
ha assunto la forma triangolare della Sicilia stessa. Con l’insperato successo
dei miei libri, il nome di Vigàta ora è conosciuto in Italia
e in buona parte del mondo. Ma c’è stata, se così si può
chiamare, una complicazione. Vale a dire una sorta di sdoppiamento di Vigàta.
Quando si trattò di girare i telefilm che avevano a protagonista
il commissario Montalbano, il produttore, il regista, lo scenografo, ritennero
che la splendida zona di Ragusa e dintorni fosse più adatta come
ambientazione. E non avevano tutti i torti. Il mio paesaggio empedoclino
era di memoria e nel corso degli anni aveva subìto molte e sostanziali
modifiche.
E così è accaduto che il successo dei telefilm ha fatto
conoscere una parte della Sicilia che invece è assente nei miei
romanzi. E ora esistono con pieno diritto due Vigàta: quella letteraria,
che continua ad avere come struttura portante la memoria della mia Porto
Empedocle, e quella della fiction televisiva, altrettanto valida e plausibile
nella sua realtà odierna.
Andrea Camilleri
“I liked Vigàta’s ambiguity”
The town where my stories are set is half-imaginary. It has something
of Porto Empedocle in it, but over time it has taken on the triangular
shape of Sicily.
Some writers feel the need to set their stories in a single, semi-imaginary
place, town or province, as if they were the self-elected mayors or governors
of their characters. Maybe they feel that establishing geographical and
existential boundaries helps to keep them under control. Two examples:
Faulkner and Garcia Marquez. I have deliberately called them semi-imaginary
places - the fact is that the town or province actually exists on the map
in its basic configuration, but the authors’ narrative needs cause boundaries
to be moved, changes in the layout of streets, a river flowing eastwards
to be diverted to the west, and a hill to be transferred from south to
an imaginary location north. In Pirandello’s The Old and the Young, Girgenti
(now Agrigento) is literally disrupted. For example, since Pirandello required
two houses to face each other, he caused the hill that rises between them
in real life, to disappear.
My first novel Il corso delle cose, which I finished writing in 1968
(though it was published ten years later) was set in an unnamed town on
the south coast of Sicily. When my fellow citizens read it, they immediately
recognised Porto Empedocle, my hometown. For that matter, I had done nothing
to disguise it. A sort of guessing game began - who were the real people
concealed behind the fictional names I had made up for them? Some people
recognised themselves (and sometimes they were right) and got angry, despite
my having written the usual warning that names and facts had nothing to
do with reality.
I was very annoyed and promised myself not to run a similar risk again,
so when I wrote my second novel Un filo di fumo in 1980, I set it in a
town called Vigata, real and inexistent at the same time. I confess I liked
the ambiguity of this town so much that I decided that in the future all
my novels, as far as possible, would take place in Vigàta. While
continuing to be Porto Empedocle, Vigàta was able to absorb facts
and events of other Sicilian towns. Gradually, by dint of extending its
boundaries, Vigàta ended up by taking on the triangular shape of
Sicily in its entirety. As my books became unexpectedly popular, the name
of Vigàta became known throughout Italy and indeed in a large part
of the world. However, a complication has cropped up, if it can be termed
such - Vigàta now has a double. When it came to shooting the TV
series based on the figure of Inspector Montalbano, everybody involved
- the producer, the director and the set designer - all judged the splendid
area of Ragusa and its surroundings to be a far more suitable setting.
And they weren’t far wrong. The landscape of my Empedocle only existed
in my memory and had greatly changed with the passing of the years.
So it happened that the success of the TV series has introduced the
public to a part of Sicily that does not feature in my novels. Now two
Vigàtas exist - the literary one, still based on my memories of
Porto Empedocle, and the one for the TV series, just as valid and plausible
in its present reality.
La provincia delle lettere
Qui sono nati Pirandello, Sciascia e Camilleri. Qui sorgono Girgenti,
Regalpetra e Vigàta che richiamano luoghi reali ormai profondamente
segnati dalla finzione letteraria.
Esistono luoghi nei quali si torna, anche se vi si mette piede per la
prima volta. Altri luoghi invece sempre sfuggono al tentativo di attraversarli
e comprenderli, restando comunque inesplorati. Ed esistono luoghi che si
sdoppiano e moltiplicano, come in un gioco di specchi, rimandando immagini
che somigliano al reale ma che tradiscono, confondono e ammaliano.
Se Jorge Luis Borges pubblicava nel 1967 Il libro degli esseri immaginari,
enciclopedia di finzioni ed esistenze letterarie, così per la provincia
di Agrigento si potrebbe disegnare un Atlante dei luoghi immaginari, parafrasando
lo scrittore argentino nato in un quartiere di Buenos Aires chiamato Palermo,
coincidenza che in qualche modo lo riconduce alla Sicilia. “Ignoriamo il
significato dell’universo, ma c’è qualcosa nella sua immagine che
concorda con l’immaginazione degli uomini”, scriveva allora lo stesso Borges.
Così forse si finisce per ignorare la geografia concreta e reale
di una provincia che corre lungo la costa del mare africano da Sciacca
a Licata, si addentra nelle vallate arse dell’interno verso Cammarata,
si inerpica sui boschi della Quisquina, si dispiega nel vuoto abbacinante
dei feudi smembrati e racchiude la sua luce in certe forme barocche delle
chiese di tufo giallo. Si può ignorare tutto questo, ma non si può
sfuggire a una geografia più leggera, più resistente.
Perché se quella delle strade, dei paesi, dei monumenti e delle
spiagge può essere la provincia del viaggiatore, del turista, di
chiunque la attraversi per caso o per scelta durante quello che Luigi Pirandello
chiamò “l’involontario soggiorno sulla terra”, ad essa se ne sovrappone
un’altra che per certi versi combacia e per altri si discosta dalla geografia
reale: una provincia letteraria che ha i suoi beadeker e le sue guide,
dai titoli strani e suggestivi: I vecchi e i giovani, Le parrocchie di
Regalpetra, Il re di Girgenti. Manuali per viaggiatori che possono percorrere
questo territorio dai confini dilatati e dilatabili senza spostarsi da
casa; vademecum che non si trovano sui consueti scaffali dedicati ai viaggi
ma in quelli occupati dalla narrativa italiana. Una provincia triangolare,
come a tre punte è la Sicilia che la contiene: “isola dentro l’isola”,
l’avrebbe definita Leonardo Sciascia che in questo sistema concentrico
di isole (“l’isola-provincia” dentro “l’isola-regione”, e così via
fino ad arrivare all’“isola-individuo”) ravvisava uno degli elementi fondanti
della sua “Sicilia come metafora”. Una provincia tutta di parole stampate,
di parole che parlano della realtà, fino a ridisegnarla e a riscriverla.
Un territorio che ha le sue capitali nella Girgenti di Luigi Pirandello,
nella Regalpetra di Leonardo Sciascia, nella Vigàta di Andrea Camilleri.
Certo, ci vuol poco a tentare il gioco delle corrispondenze. Così
Girgenti è Agrigento, Regalpetra è Racalmuto, Vigàta
è Porto Empedocle. Ma chi conosce i viaggi delle parole scritte
sui libri, sa che le cose funzionano diversamente. “Regalpetra, si capisce,
non esiste”, scriveva Sciascia nell’introduzione alle sue Parrocchie. Anzi:
“Esistono in Sicilia tanti paesi che a Regalpetra somigliano”. E uno di
questi paesi era Racalmuto, dove Sciascia era nato, “un paese che nella
mia immaginazione confina con Regalpetra”. Ecco, sta lì il trucco,
la mistificazione, il congegno che si trasforma in trappola affascinante
per l’intelligenza.
Agrigento nell’immaginazione di Pirandello “confina” con Girgenti e,
allo stesso modo, Porto Empedocle “confina” con la Vigàta di Camilleri.
Quasi uno spostamento di asse, forse di pochi atomi, anche meno, ma che
sulla lunga distanza - la distanza del tempo, la distanza tra scrittore
e lettore, tra reale e fantastico - stabilisce lo scarto tra geografie
immaginarie e geografie concrete. Eppure bisognerà riuscire a capire,
prima o poi, come tre scrittori abbiano scelto come luogo d’avvio del loro
“involontario soggiorno sulla terra” questo triangolo prima ancora geografico
che letterario, questo lembo di terra meridionale. Tre scrittori nati in
tre luoghi concreti che distano fra loro non più di venti chilometri
l’uno dall’altro; nello squarcio breve di poco più di mezzo secolo,
a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento.
Pirandello, Sciascia e Camilleri, autori che nel loro attaccamento alle
radici, ai colori e sapori originari riescono a parlare la lingua di tutte
le latitudini. Tanto da convincere Sciascia dell’assioma che “il massimo
della sicilianità coincida col massimo dell’universalità”.
E Pirandello come Sciascia, come Camilleri affonda in una provincia
distante dai grandi circuiti culturali ed editoriali, lontana dalle capitali
mondane, gravata da ritardi economici e storici. Una provincia che Andrea
Camilleri, nella sua adolescenza, sognando di scapparne via, descriveva
come “un sommergibile ffondato”. Allora, come è possibile? “Forse
proprio per questo”, sostiene il papà del commissario Montalbano.
“Forse perché in questo luogo la nostra personalità si è
formata rocciosamente, senza poter godere della carezza di altri rivoli,
di diverse correnti”.
Girgenti, Regalpetra, Vigàta. Luoghi vicini fra loro e contigui
sulle mappe tracciate in caratteri di piombo. Paesi che quasi si guardano
l’un l’altro, come le torri tozze e cupe alzate lungo le coste a fermare
gli assalti saraceni, ciascuna delle quali ne avvista altre due, a destra
e a sinistra, in un reticolo di sguardi lontani che circonda e tenta di
proteggere l’intera Sicilia.
Agrigento, Racalmuto, Porto Empedocle. Tre luoghi adiacenti, tre scrittori
legati da vincoli e parentele. Ma non solo di sangue, come quella fra la
famiglia materna di Andrea Camilleri e la famiglia di Luigi Pirandello,
ma affinità più forti e profonde perché scaturite
dal ceppo comune, dal comune sentire, da una caratteristica che Sciascia
ravvisava negli autori siciliani, uniti fra essi da eredità letterarie.
E se Pirandello riconosceva di avere un debito verso Giovanni Verga,
Sciascia lo ammetteva verso Pirandello e Camilleri verso Sciascia. È
come se le opere di questi autori andassero a comporre un grande libro
che parla delle stesse cose, mantenendo suono, voce e timbro propri. Ma
a voler scavare per cercare la vena comune, il filone aureo, qualcosa si
trova. È giallo come l’oro, ma demoniaco e ardente come lo zolfo.
Quello zolfo che unisce tre luoghi, tre scrittori. Nell’industria degli
zolfi commerciava Stefano Pirandello, il padre di Luigi, e l’allagamento
di una zolfatara provocò il disastro economico che travolse la famiglia
e la serenità della moglie dello scrittore, rendendola pazza, trasformando
la vita di Pirandello in un percorso di pena. Di zolfi viveva Porto Empedocle,
dei traffici e delle navi che quel minerale portavano in giro per il mondo:
cataste di lingotti gialli sulle banchine del porto dove Andrea Camilleri
iniziò a muoversi e a nuotare, sotto l’occhio del padre doganiere.
E di zolfare era tarlato il territorio di Racalmuto, in una zolfara lavoravano
il nonno e il padre di Sciascia, in una zolfara deserta si uccise a venticinque
anni suo fratello Giuseppe e all’epopea misera di quei minatori l’autore
de Il giorno della civetta dedicò parte del suo primo libro. Lo
zolfo, dunque. Che sa di intelligenza, di fatica, di energia, di dannazione,
di solitudine. Al punto che Sciascia affermava, a conclusione del suo Alfabeto
pirandelliano: “Senza l’avventura della zolfara non ci sarebbe stata l’avventura
dello scrivere, del raccontare: per Pirandello, Alessio di Giovanni, Rosso
di San Secondo, Nino Savarese, Francesco Lanza. E per noi”.
E così, seguendo lo zolfo, alla geografia piana se ne aggiunge
ancora un’altra: sotterranea, questa volta. Nascosta e invisibile, come
le vene di zolfo che percorrono la provincia, quasi una nervatura sommersa
e atavica. Ma anche questo non spiega perché qui, perché
proprio qui, tre scrittori abbiano intrapreso il loro percorso morale e
letterario. Forse perché casualmente appartengono allo stesso territorio,
alla stessa geografia reale. O forse no. Forse è il contrario. Forse
questa latitudine esiste solo nelle loro parole, in quello che hanno scritto
e descritto. Forse la “loro” provincia è quella vera. L’unica.
Gaetano Savatteri
La Repubblica
(ed.di Palermo), 2.9.2003
Il seminario
La comunicazione secondo Camilleri
Andrea Camilleri e Giovanni Russo inaugurano questo pomeriggio il seminario
della Scuola estiva di alta formazione di Cattolica Eraclea dal titolo
"Comunicazione e espressione. Linguaggi e tecniche". Alle 18, nell'aula
magna dell'istituto Ezio Contino di largo Pertini, Camilleri interviene
su "La concessione del telefono", mentre Giovanni Russo del "Corriere della
Sera" affronta il tema "L'informazione nel Mezzogiorno ieri e oggi". La
partecipazione è libera.
La Sicilia, 2.9.2003
Da oggi a Cattolica Eraclea
Seminario di giornalismo con 15 borse di studio
Cattolica Eraclea. Importante seminario di studi di giornalismo a Cattolica
Eraclea promosso dall'amministrazione comunale. Gli incontri si terranno
a partire dalle ore 18 di oggi, presso l'aula magna dell'istituto comprensivo
«Contino», fino al 5 settembre prossimo. Temi dell'incontro
della scuola estiva di alta formazione saranno «Comunicazione ed
espressione. Linguaggi e tecniche». Le prime due relazioni saranno
tenute, oggi, dallo scrittore e regista agrigentino Andrea Camilleri che
parlerà de «La concessione del telefono», e dal giornalista
del Corriere della Sera Giovanni Russo che tratterà «L'informazione
nel Mezzogiorno, ieri ed oggi». Domani sarà il turno di Costanza
Baracchini Biondi di Rai International che si soffermerà su «Cinquant'anni
di radio: dalle tre reti nazionali all'universo sonoro di oggi» e
di Stefano Malatesta (nella foto) di Repubblica che relazionerà
su «L'immagine della Sicilia fuori dalla Sicilia». Nino Borsellino
dell'università La Sapienza di Roma per giovedì ha in programma
di trattare «Parola ed immagine: trasformazioni della letteratura»,
mentre Maria Grazia Tolomeo discuterà su «Arte e comunicazione».
Venerdì la scuola estiva di giornalismo si chiuderà con le
relazioni di Benedetta Gentile dell'Ansa di Parigi, «C'è ancora
un ruolo per le agenzie di stampa ?» e con Vanna Vannuccini di Repubblica
«Comunicazione ed informazione: Il mestiere dell'inviato».
Il comune di Cattolica Eraclea ha messo a concorso 15 borse di studio per
giovani universitari.
Enzo Minio
La Sicilia, 2.9.2003
Camilleri a Serradifalco con Albanese
Premiato pure il «barista» del commissario Montalbano
Andrea Camilleri cittadino emerito di Serradifalco in provincia di Caltanissetta.
Tra qualche giorno però, nella ridente cittadina nissena il «papà»
del commissario Montalbano non si presenterà da solo col suo carisma.
Accanto a se ci sarà infatti il «fido» Stefano Albanese,
il titolare del «Caffè Vigata» di via Roma a Porto Empedocle,
trasformato da alcuni mesi in «segreteria ufficiale» del noto
scrittore. Mentre a Camilleri verrà concessa la prestigiosa attestazione
di riconoscenza e amicizia, al commerciante verrà donata una targa
ricordo, visto che proprio attorno a un tavolo del suo bar, il sindaco
di Serradifalco, Bernardo Alaimo, ha chiesto a Camilleri se fosse intenzionato
a fare un salto nel paese che tra l'altro, conosce bene. Nel Comune in
provincia di Caltanissetta infatti, l'allora giovane scrittore e regista
teatrale, oggi fenomeno letterario, visse da sfollato alcuni mesi del tragico
dopo guerra siciliano. Giorni che a Serradifalco qualcuno continua a ricordare,
anche perché dei luoghi serradifalchesi Camilleri ha scattato molti
«flash», rappresentati nelle sue opere. E proprio per ringraziarlo
di quelle citazioni, il sindaco Alaimo ha inviato una lettera allo scrittore,
con la quale lo invita a farsi attribuire l'attestato di benemerenza. In
tutto ciò, a ottenere un'inattesa ribalta sarà anche il commerciante
empedoclino, il quale del suo bar in via Roma fatto una sorta di cult,
conosciuto ormai anche fuori dai confini regionali.
Francesco Di Mare
La Sicilia, 3.9.2003
«Turismo in costante crescita»
Gli amministratori comunali illustreranno al festival di Ischia il
«miracolo Vigata»
Porto Empedocle. Vigata «tira». Dopo alcune perplessità
all'inizio della stagione estiva, soprattutto da parte di alcuni albergatori,
il trend delle presenze turistiche rispetto allo scorso anno è in
netta ascesa. Il sindaco Paolo Ferrara e l'assessore al ramo Tonino Guido,
parlano di un «60% in più rapportato allo stesso periodo dello
scorso anno, quando in giro non si vedeva la massa di gente in cui ci s'imbatte
in questi giorni». Ferrara e Guido sprizzano gioia da tutti i pori,
quando raccontano di «piazza Kennedy gremita ogni sera da centinaia
di persone, contente per gli spettacoli che abbiamo organizzato. Ma è
l'effetto Vigata che ci rende felici per la decisione che nei mesi scorsi
abbiamo preso. Affiancare al nome vero del paese quello immaginario creato
da Andrea Camilleri è stata una grande intuizione che ci sta ripagando
di tutti gli sforzi fatti».
Oltre a piazza Kennedy trasformata in una bomboniera affollata quasi
ogni sera, gli amministratori comunali dicono che «gli alberghi locali
sono strapieni di gente venuta anche dall'estero per conoscere i luoghi
del papà del commissario Montalbano».
[...]
F. D. M.
Libertà,
3.9.2003
Cultura
Quadruppani: «La scrittura dà senso alla vita»
Intervista all'autore francese ospite di Carovane in vacanza in Sicilia
Serge Quadruppani, che sarà ospite di Carovane a Piacenza il
12 e 13 settembre, è nato a Tolone nel 1952 e vive tra Parigi e
Roma. Traduttore dall'americano e dall'italiano (in particolare ricordiamo
le sue traduzioni di Andrea Camilleri, Valerio Evangelisti e Sandrone Dazieri),
è a sua volta scrittore e saggista. In Italia Mondadori ha pubblicato
“14 colpi al cuore”, un'antologia di racconti inediti dei migliori giallisti
italiani, da lui curata, e i suoi romanzi “La breve estate dei Colchici”
e “L'assassina di Belleville”. Per una singolare coincidenza, abbiamo incontrato
Quadruppani in vacanza in Sicilia. Dalla terrazza del “Vecchio Baglio”
di San Vito Lo Capo, affacciata su quell'angolo di paradiso che è
la Riserva naturale dello Zingaro, lo scrittore francese ha accettato di
raccontarsi un po' ai lettori di Libertà. Che cosa la lega all'Italia?
«Io mi chiamo Quadruppani, mia madre si chiamava Gandolfi, tutti
i miei antenati erano italiani, ma a casa si parlava solo francese. Poi
è successo che quando sono arrivato in Italia per la prima volta
ho scoperto che quello che si mangiava qui da voi erano le stesse cose
che si mangiavano a casa mia. La lingua a casa era sparita, perché
c'era un grosso sforzo di integrazione, ma il cibo, che è la cosa
più vicino al cuore, soprattutto al cuore materno, era rimasto.
Per questo ho sentito subito un forte legame con l'Italia». E con
la Sicilia, dove sta trascorrendo le vacanze, ha un legame particolare?
«Vengo spesso in Sicilia perché mi sono innamorato di una
siciliana che vive a Roma e che spesso torna sull'isola, e l'impressione
che ho tratto è che la Sicilia sia una specie di continente a sé,
diverso dall'Italia». Questa conoscenza approfondita della Sicilia
e dei siciliani l'ha aiutata nel tradurre Camilleri e il “camillerese”?
«Ho conosciuto i libri di Camilleri per caso, vedendone uno in casa
della mia compagna a Roma. Il libro era “La stagione della caccia” e all'epoca
Camilleri non era ancora di moda: cominciava a vendersi bene, ma la stampa
ancora non ne parlava. Nonostante ci fossero molte parole che non capivo,
il libro mi è piaciuto molto, ho sentito un'allegria nel modo di
raccontare di questo scrittore che mi ha convinto subito. Per quanto riguarda
la lingua da lui usata devo dire che frequentando i siciliani ho scoperto
che tutti sostengono che la lingua di Camilleri non sia il vero siciliano,
eppure quando cerco di sapere qual è in realtà il termine
giusto, in “siciliano puro”, di un dato vocabolo usato da Camilleri, non
trovo mai due siciliani che siano d'accordo sulla risposta». Come
sceglie gli autori italiani da tradurre in Francia? «Seguo i miei
gusti. Per le edizioni Métailié sto curando una collana che
si chiama Italies, nella quale pubblico giovani romanzieri ben ancorati
in una regione d'Italia, come per esempio, per quanto riguarda il territorio
napoletano, Giuseppe Montesano, Maurizio Braucci e Michele Serio, autori
tra loro molto diversi ma molto interessanti». Tra gli autori italiani
da lei tradotti vi sono molti scrittori di noir. A cosa è dovuta
l'assoluta predominanza di questo genere a cui stiamo assistendo in Italia?
«In Italia sta succedendo quello che è successo in Francia
vent'anni fa, ossia la riscoperta del genere noir, un genere spesso sentito
dai suoi stessi autori come “maudit”, abbandonato e disprezzato. In realtà,
anche se ci sono sempre stati scrittori che si sentono aggrediti dalla
letteratura di genere e sostengono, nei loro discorsi accademici, che i
romanzi noir non siano vera letteratura, non è così. Basti
pensare che la “Série Noire” è stata creata da Marcel Duhamel,
un intellettuale molto raffinato, amico dei surrealisti, e che moltissimi
grandi scrittori francesi hanno elogiato ed elogiano il genere noir. Ora,
in Italia c'è voluto un po' più di tempo perché questo
genere venisse riscoperto, perché qui la cultura accademica è
ancora più forte che in Francia. E' talmente forte che, grazie a
un formidabile lavoro degli addetti stampa italiani, non si è mai
saputo, per esempio, che Daniel Pennac è nato e conosciuto nel suo
paese come scrittore di noir». Lei è autore di saggi, inchieste,
romanzi storici e romanzi senza etichette, ma c'è un genere che
preferisce agli altri? «Il genere noir è quello in cui ho
scritto di più, ma non mi capita mai di scegliere un genere piuttosto
che un altro: quando scrivo, scelgo di scrivere una storia, il genere viene
di conseguenza». Che cosa significa per lei scrivere? «Scrivere
è quello che so fare. La scrittura per me è anche un lavoro,
certo, ma è molto più di quello: per me la scrittura dà
un senso alla vita».
Caterina Caravaggi
La Repubblica
(ed.di Palermo), 5.9.2003
Romanzi, noir e saggi l´importante è leggere
In arrivo un bastimento carico di titoli
Finita la pausa estiva autori ed editori siciliani stanno per presentare
le novità
Sellerio e i Flaccovio, Kalòs e Novecento, c´è
solo l´imbarazzo della scelta
«Agosto: autore mio, non ti conosco». C´è chi,
nell´ambito dell´editoria, ha parodiato così un celebre
detto, titolo di un divertente libro di Achille Campanile. Ma, finita la
pausa estiva, le case editrici tornano finalmente alla carica, preannunciando
un autunno da trascorrere in poltrona, in compagnia di un buon libro.
Che ne dite, ad esempio, del nuovo romanzo storico di Andrea Camilleri,
"La presa di Macallè", che uscirà a fine settembre per i
tipi della Sellerio? Ma la casa editrice palermitana ha in cantiere tanti
altri titoli: a cominciare dal divertente e nostalgico libro di memorie
di Vincent Schiavelli, originario di Polizzi Generosa, indimenticabile
fantasma della metropolitana nel film "Ghost". Si intitola "Bruculinu America",
ed è il racconto ironico e divertito della vita dei siciliani di
Brooklyn. A seguire, il testo drammaturgico di Michele Perriera "Ritorno",
"Il viaggio di due oziosi apprendisti" di Wilkie Collins e Charles Dickens,
e poi "La vecchia colpa", un giallo dello scrittore e giornalista Gaetano
Savatteri ambientato a Palermo nel 1985. Tra ottobre e novembre dovrebbero
vedere la luce, sempre per i tipi della Sellerio, "La fedeltà de´
vassalli verso Dio" di Alfonso de´ Liguori, "L´avventura di
Winthrop" di Vernon Lee e "Non dirlo a nessuno" di Jaime Bayly.
Per quanto riguarda invece Enzo Sellerio, è prevista per la
fine di ottobre l´uscita, nella collana L´occhio di vetro,
de "Il matrimonio in Sicilia": la celebrazione del matrimonio nell´isola,
raccontata attraverso gli ottanta scatti in bianco e nero di Giuseppe Leone.
A introdurre le immagini, un testo di Salvatore S. Nigro. Tra gli ultimi
giorni di ottobre e i primi di novembre vedrà la luce, nella collana
La nuova memoria, l´autobiografia picaresca del palermitano Alessandro
Tasca: una sorta di anti-Gattopardo.
Passiamo a Dario Flaccovio: a novembre manderà in libreria "Duri
a morire", antologia noir che conterrà i racconti, tra gli altri,
di Luigi Bernardi, Serge Quadruppani, Nino Filastò, Giacomo Cacciatore,
Ugo Barbàra. Nello stesso giro di giorni, sono previste le uscite
dei romanzi "Io e Ivonne" del milanese Ernesto Villa e del palermitano
Ignazio Rafi, e di "Volto di pietra". Per quanto riguarda il primo, si
tratta di un noir scritto via Internet: gli autori ancora non si conoscono.
Avrà la prefazione di Andrea Pinketts e la postfazione di Gaetano
Savatteri. "Volto di pietra" è invece firmato da Sal Cappalonga:
pseudonimo dietro al quale si nascondono tre autori palermitani.
Si tratta di un romanzo collocabile tra i due genius loci del giallo
isolano: Camilleri e Piazzese. Passando dal poliziesco alla ricerca storica
e archeologica: "Pantellerian Ware", a cura di Sebastiano Tusa, uno studio
sul primo ritrovamento di ceramiche pantesche all´interno del relitto
di una nave affondata a largo di Scauri, "La Zisa e Palermo" di Michaela
Sposito, libro dedicato all´edificio del XII secolo, e infine "L´anfiteatro
romano di Catania" di Cesare Sposito: uno studio sull´anfiteatro
più importante dopo il Colosseo.
Sergio Flaccovio, invece, all´inizio di ottobre, manderà
in libreria l´edizione economica dei "Beati Paoli". Il volume costerà
diciotto euro e inaugurerà la nuova collana I tascabili Flaccovio:
il tutto a un secolo circa dalla prima edizione del capolavoro di Luigi
Natoli. Quasi pronto, invece, il sesto numero della rivista "Sicilia",
dedicato al teatro, arricchito dai testi di Dacia Maraini, Giovanni Raboni
e Mario Luzi e dai disegni di Bruno Caruso.
Di prossima uscita, poi, i saggi "Giovanni Biagio Amico", architetto
e trattatista del Settecento, di Antonella Mazzamuto, e "Diritti fondamentali
e multietnicità", a cura di Alfredo Galasso, e i cataloghi "Sicani
Elimi e Greci: storie di contatti e terre di frontiera", a cura di Francesca
Spatafora e Stefano Vassallo, e "Ebrei e Sicilia", a cura di Nicolò
Bucarla, Michele Luzzati e Angela Tarantino.
La casa editrice Kalòs annuncia l´uscita imminente del
libro fotografico "La Sicilia di Andrea Camilleri tra Vigàta e Montelusa",
con gli scatti di Giuseppe Leone, un´intervista ad Andrea Camilleri
e un saggio sulla sua opera; e inoltre un volume che propone un itinerario
tra i 41 oratori presenti a Palermo, serpottiani e non, a cura di Pierfrancesco
Palazzotto, e un saggio di Salvo Zarcone dedicato al rapporto tra letteratura
e cibo in Sicilia.
Di prossima uscita, per i tipi della Novecento, due testi teatrali
di autori del secolo scorso: "La principessa Zubarof" di Ronald Firbank,
con testo inglese a fronte, e "Alle radici delle stelle" di Dyuna Barnes,
raccolta di undici brevissimi atti unici. E ancora i saggi "Il lessico
del giardino" di Jerome Goudeau, evocazione storica e insieme poetica di
alcuni termini che fanno parte del glossario del giardino, e "La biblioteca
di Oscar Wilde", a cura di Rita Severi. Sempre con Novecento vedranno la
luce
sei volumi che fanno parte della collana Cronache teatrali di Silvio D´Amico,
e il terzo e il quarto tomo dell´antologia di scrittori francesi
dell´Ottocento in viaggio nel Mediterraneo intitolata "Presagio d´Oriente",
rispettivamente dedicati alla Turchia, a Costantinopoli, alla Siria e alla
Palestina.
Salvatore Ferlita
L´intervista
"Grazie a Montalbano lanciamo nuovi scrittori"
Nasce un´altra collana per giovani narratori
Da quasi sette anni Antonio Sellerio, figlio di Enzo e di Elvira Giorgianni,
si occupa di editoria. Alto, magro, rosso di capelli e dai modi gentili,
laureato in Economia e specialista in amministrazione d´Impresa,
Antonio in verità, assieme alla sorella Olivia, frequenta la casa
editrice dei genitori da quando è nato: «E´ come se
conoscessi questa realtà da sempre. Anche se, ora che ci lavoro,
mi accorgo di tante cose».
Ad esempio?
«Fare certe cose è più difficile di quanto pensassi,
anche se sapevo quale fosse il funzionamento generale della casa editrice».
C´è chi ha parlato, al suo arrivo, di una svolta manageriale.
«Certo, ho studiato economia, e non posso fare a meno di determinate
competenze che sono diverse da quelle accumulate dai miei genitori. Oggi
cerchiamo di essere più efficienti in alcuni campi, ma i cambiamenti
sono graduali, senza salti bruschi. La struttura della casa editrice è
rimasta pressoché invariata, come del resto non è mutato
il modo di proporre libri. Io non sono per le rivoluzioni o i rivolgimenti».
Da poco tempo è nata una vostra nuova collana.
«Si chiama "Il contesto", nome tipicamente sciasciano, ed è
una collana di narrativa contemporanea, creata con l´intento di individuare
una fascia di pubblico più giovane, al quale indirizzare dei testi
particolari».
La vostra attività è la dimostrazione che stampare libri
in Sicilia non è come coltivare fichidindia a Milano...
«Questa casa editrice è nata trent´anni fa dal nulla,
in un posto che allora era in periferia. Certo, non è stato facile:
i miei genitori sono stati in grado di farlo. E oggi, pur essendo di piccole
dimensioni, siamo in concorrenza con i grandi editori. Non sempre riusciamo
a spuntarla, ma abbiamo più volte dimostrato che ci si può
provare».
Il fenomeno Camilleri non ha rappresentato solo per voi una grossa
chance. La vendita dei suoi libri permette che altri ne vengano pubblicati.
«Anche questo è vero. Con Camilleri in catalogo ci possiamo
permettere di affrontare con coraggio alcune scelte difficili, cosa che
comunque abbiamo sempre fatto nella storia della nostra casa editrice.
A suo tempo, pubblicare Camilleri era una scommessa, che potevamo affrontare
grazie alla pubblicazione di altri libri».
A proposito di Camilleri, avete in mente di proporre un nuovo cd-rom
ispirato alle avventure del commissario Montalbano? Oppure sono previsti
nuovi prodotti multimediali?
«Il progetto del cd-rom ha avuto tre fortunati episodi. Non pensiamo
di continuare sulla stessa strada. Oltretutto, migliorare ulteriormente
quel prodotto significherebbe raddoppiare i costi. Il mercato non darebbe
una risposta tale da giustificare ulteriori investimenti. Però stiamo
cercando di fare un lavoro del genere anche in altri canali».
s.f.
La Repubblica
(ed.di Roma), 6.9.2003
Fontanone
Camilleri, Formica, Laganà una serata per aiutare Amref
La rassegna dell´estate romana del Fontanone del Gianicolo conclude
la serie d´appuntamenti dedicati al teatro d´impegno civile
con una serata unica, l´8 settembre, dedicata alla raccolta fondi
per Amref (Fondazione africana per la medicina e la ricerca) con un´attenzione
particolare all´acqua. Curata da Maria Luisa Bigai insieme con Maria
Teresa Pintus, Paxione, questo il titolo della serata, vedrà protagonisti
numerosi artisti, amici e sostenitori del Fontanone. Sul palco grande a
partire dalle 21 saliranno tra gli altri, Andrea Camilleri, Daniele Formica,
Valeria Ciangottini, Toni Garrani, Massimo Wertmuller e Rodolfo Laganà,
Massimo Bonetti, Francesca Draghetti de la Premiata Ditta, e Roberto Stocchi,
Alessandra Annunziata, Valeria Andreozzi, Carla Cassola, Vittorio Viviani
e Stefano Scartocci, Accademia Tp, Hafed Khalida, Laura de Marchi, Claudio
Contartese, Patrizia Barbieri, Giampiero Mazzone, Eliot Munaba, responsabile
progetti Amref per l´Uganda, Emanuela Ponzani e Riccardo Boni. Ogni
artista interverrà con un breve testo, una poesia, un intervento
musicale e tema conduttore sarà l´acqua e la lotta alla siccità.
L´ingresso in via Garibaldi è di 10 euro. Info: 06.5809690.
Geraldine Schwarz
Corriere della sera,
7.9.2003
Camilleri superstar degli scaffali
Classifiche
Il re di cuori per i lettori italiani è Camilleri. E' lui l'autore
che ha venduto di più nei sei mesi presi qui in esame, anche se
«Il giro di boa» è giallo ma non pura evasione. Segue
Faletti, ed è ancora giallo, come giallo è Ken Follett. Ma
la voglia di ridere dev'esser stata tanta, se quattro autori su dieci nella
Top ten sono, appunto, comici.
Da segnalare il successo di Ammaniti, con un romanzo che s'avvia a
diventare un long seller, e la riconferma di Coelho. (Classifiche Demoskopea)
Foreigner
Film Festival, 9.2003
Premio "Pithecusa" alla fiction TV "Commissario Montalbano"
Quest’anno il Premio "Pithecusa" per la Fiction Tv che ha maggiormente
valorizzato località italiane negli anni 2002/2003 è stato
assegnato alla serie televisiva "Il Commissario Montalbano". Un riconoscimento
a coloro che con passione e dedizione hanno inteso mettere in luce l'identità
di un luogo, suscitando interesse e suggestioni, tanto da promuovere un'inedita
specie di turismo culturale. I luoghi delle riprese da Ibla, patrimonio
dell’umanità, a Marina di Ragusa, da Scopello a Scicli, da Modica
a Punta Secca sono entrati a far parte di un percorso artistico-culturale
ben definito. Il produttore Carlo Degli Esposti e il regista Alberto Sironi
ritireranno personalmente il premio in occasione della serata finale prevista
per il 13 Settembre ore 20.00 alla Torre di Guevara di Ischia.
Il Nuovo, 8.9.2003
Quando il giallo è tricolore
Successo dei giallisti italiani: da Camilleri a Faletti, da Lucarelli
ad Ammaniti, le penne noir conquistano i lettori
MILANO - Indagini letterarie. Quale sarà l’autore noir più
venduto della stagione? Scommettiamo sarà un italiano. Gli scaffali
delle librerie si riempiono sempre più di romanzi gialli di autori
tricolore e il pubblico sembra gradire. Dalle 500.000 copie di Io uccido
di Giorgio Falettti, l’ex Vito Catozzo di Drive-in, alle oltre 350.000
di Io non ho paura di Nicolò Ammaniti, al crescente successo di
Carlo Lucarelli, alle innumerevoli traduzioni nel mondo delle avventure
del commissario Montalbano di Andrea Camilleri, la letteratura noir nostrana
sta attraversando un periodo molto felice tanto che i libri sembra non
bastino più.
In questi giorni saranno pubblicati in dvd con una buona dose di extra,
i primi due episodi della serie tv dedicata al commissario di Vigàta,
si tratta de La forma dell’acqua e Il cane di terracotta. Arricchiti dal
backstage, dalle interviste agli attori, all’autore e dai provini per la
scelta del cast, saranno in vendita al prezzo di 10,50 euro. I dvd arrivano
all’indomani del successo editoriale de Il giro di boa (Sellerio
pp 269 euro 10) l’ultima fatica letteraria di Andrea Camilleri, in cui
il commissario più famoso d’Italia si trova a dover fare i conti
con gli avvenimenti del G8 di Genova e con l’intenzione di dimettersi.
Per vedere sullo schermo le nuove vicende di Salvo e compagni, però,
si dovrà attendere la stagione 2004/2005.
“Il romanzo giallo - ha scritto Leonardo Sciascia - è la migliore
gabbia in cui uno scrittore possa mettersi, perché ci sono delle
regole, per esempio che non puoi barare sul rapporto logico, temporale
- spaziale del racconto”. Di romanzi gabbia se ne intende anche Giorgio
Faletti che dopo essersi fatto conoscere come attore comico per partecipazioni
a trasmissioni come Drive-in e Fantastico e aver ottenuto un secondo posto
al Festival di Sanremo con la canzone Signor Tenente, ha scritto una storia
di 700 pagine ambientata a Montecarlo, che comincia con l’annuncio di un
serial killer ad un disk jokey della radio del Principato: “Io uccido”.
Il libro (Baldini e Castoldi pp 681 euro 17) che ha ottenuto grande
successo di pubblico e critica diventerà presto un film prodotto
da Aurelio De Laurentis. Il produttore campano dopo il successo di Natale
sul Nilo (28 milioni di euro al botteghino) si tuffa in una nuova avventura
cinematografica. Il cinema appassiona anche Nicolò Ammaniti, il
suo romanzo noir Io non ho paura (Einaudi pp 220 euro 9) oltre ad essere
diventato un film di successo per la regia di Gabriele Salvatores, è
stato tradotto in oltre 16 paesi. L’autore ha di recente dichiarato come
in principio avrebbe voluto girare lui stesso la pellicola e non ha escluso
in futuro di passare dietro la macchina da presa.
Se Faletti è stato il caso editoriale dell’anno, mentre Camilleri
si conferma tra gli scrittori più amati, un’altra penna del brivido
si fa strada, è quella di Carlo Lucarelli, il suo ultimo libro Il
lato sinistro del cuore (Einaudi pp 370 euro 14) è una raccolta
di racconti in grado di mescolare vari generi letterari. Dotata di uno
stile seducente, la narrazione riesce a cambiare continuamente registro,
spiazzando e nello stesso tempo incuriosendo il lettore. Autore di romanzi
come L’isola dell’Angelo caduto, Lupo mannaro, Carta bianca, Laura da Rimini,
Almost blue diventato un film per la regia di Alex Infascelli, lo scrittore
è conduttore anche della trasmissione in onda su Rai tre Blue notte
in cui ricostruisce casi di cronaca.
La notte, molti lettori amanti del brivido non si accontentano di leggere
ma desiderano sperimentare in prima persona le emozioni delle storie, nascono
così le cene con delitto, organizzate dalla galleria del mistero
di Napoli Il pozzo e il pendolo, che realizza appuntamenti all’insegna
del crimine per tutte le età. Oltre ad essere una biblioteca del
brivido, la galleria è anche un teatro dove vengono rappresentate
le opere di giallisti famosi. Alle cene partecipano 30 o 35 persone per
volta, ci sono sei indagati che ricevono il copione, gli investigatori
e il narratore che conduce il gioco. Durante la cena, i commensali formulano
domande agli indagati e tra un pasto e l’altro, l’indagine prende forma,
fino a quando non sono individuati i colpevoli.
“In tutti i racconti - ha scritto Carlo Lucarelli nella prefazione
al suo ultimo libro - ho cercato di fare l’unica cosa che uno scrittore
di romanzi o racconti che sia, deve fare quando scrive: raccontare una
storia che gli piace nel migliore modo possibile e con le parole più
belle che sa”.
Ernesto Capasso
Il Messaggero
8.9.2003
Pirandello, Sciascia, Camilleri: è il “Mistero buffo siciliano”
Mistero buffo siciliano al Nuovo Teatro Magellano per Sapore
di Ostia (lungomare Duilio; domani, ore 21,30; ingresso gratuito). Uno
spettacolo tra musica, teatro e poesia presentato dall’Accademia teatrale
di Sicilia. La Sicilia amara e dolce. La Sicilia che fa piangere e ridere.
La Sicilia dei grandi scrittori agrigentini Andrea Camilleri, Luigi Pirandello,
Leonardo Sciascia. Ed è la Sicilia che raccontano i musicisti, anche
loro agrigentini, dell’Accademia Tradizioni Popolari, costola della più
nota Accademia teatrale di Sicilia. Mistero buffo siciliano è lo
spettacolo che da tanti anni portano in giro, anche all’estero. Per la
prima volta a Roma. E’ un “girotondo” di musica, momenti di teatro e di
poesia, con i musicisti-attori Lucia Alessi, Raimondo Moncada (voce solista,
flauti etnici), Filippo Alessi (percussioni), Alfonso Gueli (fisarmonica,
chitarra), Leonardo Mauro (chitarra), Francesco Romano (chitarra). «Mistero
buffo siciliano - spiega Moncada, cantante e compositore - è un
viaggio tra presente e passato nella sicilianità, attraverso il
ricco patrimonio delle tradizioni popolari e gli scritti di grandi autori
contemporanei come Andrea Camilleri».
Il Messaggero
9.9.2003
Festa di Rinascita
Alle ore 21, Dibattito su "Roma capitale di pace" con Maura Cossutta,
Alessio D'Amato, Enrico Gasbarra, Walter Veltroni e Andrea Camilleri. Alle
22, nello spazio cinema, proiezione de "L'appartamento spagnolo". Ex Mercati
Generali, via Ostiense, tel 0657301952.
La Sicilia, 10.9.2003
Enna, copiare Camilleri «ha fin di scherno»
Una pagina de «La concessione del telefono» - uno dei più
gradevoli racconti di Andrea Camilleri - diventa «corpo di reato».
Accade a Enna, a margine di una controversia intentata da anni da un funzionario
dell'Apt, Angelo Trebastoni, contro la stessa Azienda. Trebastoni ha contestato
il concorso per il posto di direttore al quale egli stesso (già
incaricato) aspirava; classificato al quinto posto, ha fatto vari ricorsi.
L'Azienda ha resistito rilevando che i criteri contestati dal ricorrente
erano stati predisposti da lui stesso, ma questo è altro discorso.
L'ultima sentenza ha accolto formalmente il ricorso del funzionario, ma
ha statuito pure che la nomina del direttore è un atto fiduciario
dell'azienda. Nell'attesa delle prevedibili decisioni dell'Apt, il funzionario
ha chiesto al presidente la nomina e un ufficio con mobili adeguati al
grado. E l'ha fatto ricopiando dal libro di Camilleri alcuni passi dell'istanza
con cui il commerciante Filippo Genuardi di Vigata sollecitava al prefetto
Vittorio Parascianno di Montelusa la concessione della linea telefonica:
«Temerariamente mi azzardai a scriverLe per sottoporre alla magnifica
generosità, alla larga comprensione e alla paterna benevolenza della
S. V. Ill.ma la richiesta...», «impetrando la Sua Augusta Parola»
e «scusandomi per il disturbo arrecato alle Sue Alte funzioni».
Il presidente dell'Apt, Cataldo Salerno nell'uso di formule linguistico
relazionali ottocentesche ha visto «toni di scherno e di dileggio».
Conclusione: il funzionario dovrà dare spiegazioni per iscritto.
La questione è stata sottoposta anche alla Procura perché
valuti eventuali reati.
Il Tirreno, 10.9.2003
Montalbano, è arrivato il commissario arancione
Riccardo Agostini
La Repubblica
(ed.di Palermo), 12.9.2003
L'anteprima
Camilleri, viaggio nell'isola dei suoi gialli
«Il posto solito era la spiaggetta di Puntasecca, una corta lingua
di sabbia sotto una collina di marna bianca, quasi inaccessibile via terra,
o meglio accessibile solo per Montalbano e Gegè che fin dalle elementari
avevano scoperto un sentiero già difficoltoso a farselo a piedi».
Eccola la spiaggia di Capo Rossello a Porto Empedocle, raccontata ne "Il
cane di terracotta", la cui descrizione letteraria adesso cammina parallelamente
alle immagini di Giuseppe Leone nel libro "La Sicilia di Andrea Camilleri
- Tra Vigàta e Montelusa", curato da Salvatore Ferlita, con un testo
di Paolo Nifosì e pubblicato dalle edizioni Kalòs (118 pagine,
20 euro).
Tra luoghi veri e angoli di Sicilia inventata due volte - prima dalla
penna di Camilleri e poi dalla trasposizione televisiva - il libro delinea
così una nuova geografia dell´Isola, dove la realtà
cade nelle maglie di una visione da fata Morgana. E il gioco del vero e
del falso continua per tutte le pagine: e così, «tampasiannu
e discurrennu» con Camilleri, si sfogliano le pagine dell´isola
che non c´è, ma che esiste realmente. Ed è lo stesso
Camilleri a far da cicerone ai luoghi dei suoi libri, conversando amabilmente
con amici e fan al bar del paese, firmando autografi dalle prime ore del
mattino tra un sorso di birra e l´immancabile sigaretta tra le labbra.
E che in barba alle dissuasive scritte da necrologio apparse sui pacchetti
dice: «Ne fumo tre pacchetti e me ne fotto». Da una foto a
un frammento di romanzo, il viaggio nella Sicilia di Camilleri è
un modo per ripercorrere luoghi conosciuti senza averli mai visti, e a
questa defaillance tra ciò che si conosce solamente dalle narrazioni
televisive e letterarie corrono in aiuto le immagini di Giuseppe Leone,
che dà l´opportunità di conoscere le volute barocche
di Ragusa e Modica, spiagge bianche, paesaggi assolati e rigogliosi e antiche
dimore nobiliari.
E a proposito della lingua di Camilleri, il suo elemento di peculiare
riconoscibilità e fortuna, Ferlita la pone in parallelo con quella
della traduzione di Euripide in siciliano fatta da Luigi Pirandello nel
1918. Somiglianze notevoli, per cui Ulisse e Catarella scoprono di avere
molti punti in comune.
Paolo Nicita
Corriere della sera,
12.9.2003
Scuola media superiore
«Ma nel liceo di Pirandello la cattedra è ancora rispettata»
«Un tempo c'era un consenso più vago Ora ti giudicano
per quello che sei davvero» «Nel '65 chi vinceva il concorso
era guardato come un Domineddio»
Andrea Camilleri era sul vivace (condotta: sette) ma se la cavava, Carlo
Alberto Dalla Chiesa pure. Piuttosto, a risalire nel tempo, quello un po'
zuccone era tale Pirandello Luigi da Girgenti, nel registro si legge «Pirandelli»
perché il parroco del Caos (appunto) aveva sbagliato l'iscrizione
all'anagrafe: un bel tre nelle versioni di latino, un ragionevole quattro
in matematica e, udite udite, cinque in italiano scritto, i professori
dell'anno scolastico 1879/80 avevano capito tutto, nella medesima seconda
ginnasiale «Giuseppe Sala», in italiano, aveva dieci, da morir
dal ridere. Così è (se vi pare), i ragazzi dei corsi di recupero
possono stare sereni, anche negli anni successivi Pirandello beccheggiava
intorno al sei. Ma l'essenziale è che lo scrittore non se la legò
al dito, anzi, «stava già a Roma ma volle che il figlio Stefano
frequentasse lo stesso liceo», spiega orgoglioso il professor Biagio
Milano, aria energica da insegnante di educazione fisica e passione da
storico, è stato lui a rimettere in sesto l'archivio della «sua»
scuola, trasferita per i bombardamenti del '43, «tutti gli insegnanti
della zona sognano di finire la loro carriera qui». Perché
il liceo Empedocle, ad Agrigento, è un'istituzione nata con l'unità
d' Italia, nel 1861, allora si chiamava Scinà e dal 1901 è
dedicato al filosofo greco che fu la gloria dell'antica Akragas. E allora
per forza che qui è un po' diverso, al bar sorridono deferenti,
«buongiorno, professore!», il preside Giuseppe Patti ha dignità
e cortesia antiche, vestito blu, cravatta impeccabile, sfila con delicatezza
gli occhiali da lettura e riassume: «Un professore è sempre
un professore, è la sola cosa che fa piacere, il rispetto tutto
sommato tiene: lo stipendio no, ma il rispetto sì». Basta
entrare in una classe, una classe qualsiasi, e non ci si crede. Davanti
c'è il Caos con il pino di Pirandello sul «mare color del
vino», a sinistra il tempio della Concordia e la valle degli dèi,
a destra il profilo di Porto Empedocle, la Vigata del commissario Montalbano.
Aria, acqua, terra, fuoco: tra luce e mare gli ulivi saraceni sembrano
modellati dai quattro elementi di Empedocle. Il filosofo guarda severo
da un quadro sopra la scrivania, il preside sorride, «beh, sì,
è molto bello, noi ormai ci siamo abituati». È un clima
che se non altro risparmia dalle sindromi vagamente depressive di altri
colleghi, specie nelle grandi città del Nord. Certo, pure qui è
cambiato: «Nel '65 furono assegnate 150 cattedre in tutta Italia,
un concorso durissimo che aveva pure il tema in latino, ad Agrigento passammo
in tre ed era una cosa grandiosa, ti guardavano come Domineddio»,
sorride il professor Onofrio Lo Dico, studente degli anni Cinquanta che
all'Empedocle insegna latino e italiano da trentasei anni. È un
poeta che Leonardo Sciascia pubblicò nella sua collana, i «Quaderni
di Galleria». Allo scrittore di Racalmuto, come a Elio Vittorini,
il professor Lo Dico ha dedicato pure dei saggi critici, «ma in quel
periodo non lo frequentai, aveva una personalità molto forte e volevo
esserne libero». Esile, lo sguardo profondo e mite, Lo Dico è
un uomo che fa capire la differenza tra professore autoritario e autorevole,
anche se lui non mostra di farci caso. Parla piano, medita le parole una
ad una: «Qui conta ancora la persona, ecco, non sei una funzione.
Magari ora è più consapevole. Di base c' è la considerazione
che a un professore non viene mai negata, però non vuol dire: che
in una città come Agrigento ci si sconosca tutti significa che possono
farti pure a pezzi, il rispetto te lo devi guadagnare per quello che fai,
ed è giusto così». Ci pensa un po' su, resta in silenzio,
sillaba: «Quando ho cominciato c'era un consenso più vago,
più neutro nei confronti degli insegnanti, ora la società
è cresciuta e i ragazzi, le famiglie ti giudicano per quello che
sei davvero». Peccato non ci sia ancora arrivata la scuola italiana,
«ho consacrato la mia giovinezza allo studio, e ora? A casa ho tanti
libri, collane che non si trovano più, testi che negli anni ho accumulato
per le mie ricerche, e li ho pagati io. Già, il problema è
sempre quello, lo stipendio. Oggi è come la notte in cui tutte le
vacche sono nere, eppure non tutti gli insegnanti sono uguali, vale lo
stesso delle altre professioni: ci sono dei medici che vorresti sempre
avere a fianco e altri che nella vita ti auguri di non incontrare mai».
Però chi lo merita ha l'affetto, il rispetto, la considerazione
generale, «è l'unica cosa che ti fa andare avanti».
Le lezioni non sono ancora iniziate, si parte il 22, e nell'atrio della
scuola, accanto all'immancabile busto di Empedocle, gli studenti fanno
il mercatino dei libri e salutano gli insegnanti di passaggio, «salve
pressò». Nella biblioteca della scuola c'è un libro
di poesie di Lo Dico, una è dedicata proprio a loro: «La mattina
/ davanti i cancelli di scuola / tornano i ragazzi dolci di sonno».
Gian Guido Vecchi
La Repubblica,
12.9.2003
A colloquio con Renzo Renzi
Processo a un film mai fatto
Il 12 settembre 1953 Guido Aristarco e Renzo Renzi furono denunciati
per vilipendio delle forze armate, quindi arrestati e rinchiusi a Peschiera
per un soggetto sull´occupazione italiana in Grecia.
La storia si intitolava "L´armata s´agapò" un nomignolo
sfottò creato dagli inglesi
Lo scritto di Renzi fu ripreso da Camilleri quando scoppiò un
caso analogo
Il "misfatto" venne consumato sulla rivista "Cinema nuovo" diretta
da Aristarco
Immaginate un tranquillo mattino di settembre, il 12, per la precisione.
E una casa della vecchia Bologna. Dove quel mattino del 1953, giusto cinquant´anni
fa, verso le otto, si presenta un carabiniere, gentile, bene educato, ma
pur sempre un carabiniere, latore di un ordine: Renzo Renzi, il critico
cinematografico, l´aspirante sceneggiatore, il collaboratore di una
giovane rivista che si chiama Cinema nuovo, deve presentarsi subito al
locale comando dei carabinieri.
Dalla casa in cui passa le vacanze sull´Adriatico, Renzo Renzi,
che oggi ha ottantadue anni, ricorda che lo sbalordimento per e l´inspiegabilità
della visita del carabiniere erano tali che lui continuò a trattare.
Non capisco, che sarà mai successo, passo domani, magari nel pomeriggio,
prometteva... Il carabiniere, che pure aveva l´ordine di arresto
in tasca, non lo esibì, non spiegò, ma alla fine lo convinse.
Si ritrovarono insieme al Comando. Davanti agli ufficiali dei carabinieri
l´ordine venne esibito. Lo stupefatto Renzo Renzi si ritrovò,
come dice lui « in guardiola». E lo stesso stava succedendo
nello medesimo momento anche al suo amico e direttore Guido Aristarco.
L´accusa, che li coinvolgeva insieme - Aristarco in quanto direttore
responsabile di Cinema Nuovo, Renzo Renzi in quanto estensore di un «pezzo»
diventato l´oggetto dell´accusa -, era «vilipendio delle
forze armate».
Poteva essere assurdo, potevano non crederci: ma l´articolo scritto
da Renzo Renzi sulla base dei suoi ricordi e delle sue esperienze di guerra,
quello che lui definisce nel ricordo come «una serie di appunti disordinati
sull´occupazione italiana in Grecia, scritto per una rubrica in cui
si facevano esempi di film non fatti», «una storia con un titolo
suggerito dal modo in cui gli inglesi chiamavano l´esercito italiano,
"L´armata S´agapò"» (s´agapò vuol
dire ti amo), aveva irritato e turbato un vecchio generale in pensione
che era corso a denunciare Renzi e Aristarco per «vilipendio delle
forze armate».
E, stupore, si era scoperto che, nel 1953, due critici e studiosi di
professione potevano vedere il processo, che riguardava un possibile soggetto
cinematografico, avocato dai tribunali militari, in quanto sia Aristarco
sia Renzi erano ancora in età da servizio militare, e avevano prestato
servizio militare, come sottufficiale il primo come ufficiale il secondo.
Conclusione? Carcere militare a Peschiera e tribunali militari.
Anche se ammette che l´arrivo a ciel sereno dell´accusa,
del carcere e dell´imminente processo nell´Italia democristiana
del 1953 non era proprio rassicurante, Renzo Renzi ricorda con divertimento
l´improvviso ribaltamento dei ruoli che si produsse nel carcere di
Peschiera: dove lui, «umile collaboratore del giornale», aveva,
da ufficiale, certi piccoli privilegi, e il suo direttore, Guido Aristarco,
da sottufficiale, aveva una serie di corvée da svolgere. Tra cui
la pulizia delle camerate e il compito di portare il caffè mattutino
proprio a Renzo Renzi. Il quale ricorda e descrive così il famoso
soggetto incriminante: «Voleva essere un attacco all´educazione
scolastica per una nuova serie di Cinema nuovo diretta da Adriano Baracco.
Un attacco al modo convenzionale e retorico con cui, in un paese malato
di retorica risorgimentale, veniva rappresentata la guerra. Una serie di
appunti disordinati, come dicevo, sull´occupazione italiana in Grecia,
scritti per una rubrica in cui si proponevano esempi di film non fatti
- tanto che al mio seguì poi un articolo di Michelangelo Antonioni.
Il titolo mi era stato suggerito dal modo in cui gli inglesi chiamavano
l´esercito italiano. Un modo ironico ma tutto sommato gentile: perché
gli inglesi vedevano la nostra occupazione come una cosa da operetta, sì,
come un´occupazione non cruenta, soprattutto a confronto con i tedeschi
e la loro spaventosa durezza. "S´agapò" vuol dire ti amo,
e si riferiva uno stile militare molto più blando e più umano.
In Grecia era stata molto popolare una canzone che si intitolava S´agapò,
e che venne poi ripresa e cantata da Sofia Loren, che la portò alla
notorietà internazionale. Anzi, confesso che ho in casa quel disco».
Forse i «disordinati appunti» che componevano «L´armata
S´agapò» non erano così anodini come Renzi ricorda
oggi. Descrivevano (cito qui la sintesi che ne ha fatto Andrea Camilleri
in un suo articolo dedicato a Le soldatesse di Ugo Pirro, che qualche anno
dopo avrebbe affrontato un argomento non dissimile), «un quadro non
certo edificante del comportamento delle truppe italiane in Grecia, di
come ufficiali di ogni grado e truppa si approfittassero delle condizioni
di estrema indigenza della popolazione, di come le donne per sopravvivere,
fossero costrette a prostituirsi, di come tra gli italiani sorgessero rivalità
e conflitti per il possesso esclusivo di qualcuna di quelle donne e di
come, di tanto in tanto, nascessero tra soldati e donne greche anche autentiche
storie d´amore». Per Renzi, nel ricordo di oggi, era un necessario
modo di rileggere la realtà della storia, che allora ignorava tutto
quello che era recente e contemporaneo - e probabilmente scottante - per
occuparsi solo di vicende risorgimentali. Per chi aveva denunciato Renzi
e Aristarco si trattava di un´ingiuria al mito della patria italiana.
Dopo quarantacinque giorni di carcere militare e una veemente reazione
della stampa, il processo, tra dramma e commedia, venne celebrato a Milano.
A difendere Renzi e Aristarco furono Giacomo Delitala e Ettore Gallo, che
divenne poi presidente della Corte Costituzionale, e che ricorda quel processo,
durato una settimana e presieduto da un generale, non molto diverso da
«un plotone d´esecuzione». Renzo Renzi ricorda che il
pubblico, con suo grande sollievo, faceva il tifo per gli imputati.
Cosa le ha insegnato una vicenda che è diventata esemplare del
clima codino e illibertario dell´Italia di quegli anni? «Mi
ha indotto a perseverare, ma con maggiore attenzione». Qualche rimpianto?
«Sì. Il fatto di non aver pronunciato una frase storica che
sia entrata nei libri di testo a imperituro ricordo di una storia assurda».
Irene Bignardi
Diario, 12.9.2003
La concessione del telefono
La nostra inchiesta sull'affare Telekom Serbia
La Sicilia, 14.9.2003
Racalmuto, arrivano le stelle
Racalmuto. Grosse novità per la manifestazione di bellezza denominata
«Stella del Mediterraneo» che dopo cinque edizioni che si sono
svolte ad Aragona, cambia sede. Gli organizzatori sono riusciti a raggiungere
un accordo con il sindaco di Racalmuto, Gigi Restivo, per ospitare la kermesse
di bellezza femminile all'interno del teatro «Regina Margherita».
Anche il direttore artistico, Andrea Camilleri, ha dato il suo benestare.
La manifestazione si terrà il 22 novembre e rappresenta un fuori
programma del già ricco calendario del teatro racalmutese.
[...]
Gaetano Ravanà
La Sicilia, 17.9.2003
Vigata, il turismo è qui
Porto Empedocle. Il «professor» Tonino Guido, libero docente
di turismo, è salito in cattedra in quel di Ischia. L'assessore
comunale al Turismo di Porto Empedocle è stato nei giorni scorsi
nella splendida e rinomata località di villeggiatura campana, sede
ogni anno di un prestigioso happening.
Si è trattato del «Foreigner Film Festival», la
manifestazione che valorizza tutti i paesi, le città e le regioni
che hanno tratto giovamento dall'avere prestato i propri luoghi a rappresentazioni
cimematografiche o televisive.
E chi meglio di Porto Empedocle, capace di accostare il nome Vigata
alla storica e originaria denominazione, poteva raccontare la propria esperienza.
L'esperienza di chi da giugno ha visto aumentare del 60% le presenze di
turisti a spasso nelle vie del paese.
Guido è stato invitato da chi, grazie al patrocinio del ministero
dei Beni culturali, ha organizzato un evento che dà lustro alle
amministrazioni comunali chiamate a descrivere come sfruttano l'effetto
traino delle fiction. Accanto al «professor» Guido erano seduti
il sindaco di Ischia, Giuseppe Brandi, l'assessore al Turismo ischitano,
Davide Conti, e soprattutto il deputato nazionale Gabriella Carlucci, che
di spettacolo se ne intende. Tutti attenti ad ascoltare le parole di chi,
grazie ad Andrea Camilleri, ha potuto aggiungere il nome Vigata a quello
ufficiale del proprio paese.
ll Foreigner Film Festival intende dare un riconoscimento artistico
a coloro i quali hanno favorito la promozione culturale di località
italiane a volte piccole e sconosciute.
La trasferta campana dell'assessore Guido è servita anche a
stabilire un contatto diretto con il regista delle fiction televisive grazie
alle quali sono state trasposte alcune opere di Andrea Camilleri. Guido
ha chiesto al regista Sironi di fare un salto a Porto Empedocle per valutare
l'eventuale svolgimento di qualche scena nei luoghi originali del commissario
Montalbano. Sironi ha detto «ni», garantendo però che
un sopralluogo lo farà in tempi brevi. L'effetto Camilleri «tira»
sempre, ma sempre e solo fuori da Vigata.
Francesco Di Mare
La Sicilia, 17.9.2003
Arriva l'elogio di Andrea Camilleri per studenti-attori di Pollina
Grande successo a Pollina per la seconda edizione della rassegna teatrale
«Un teatro per la scuola - le scuole per il teatro». Gli studenti
di ben 11 Istituti comprensivi dell'Isola sono stati i protagonisti delle
rappresentazioni in scena nello splendido teatro plain air Pietrarosa di
Pollina. Soddisfatto il sindaco di Pollina, Giuseppe Sarrica, che ha sottolineato
la valenza educativa dell'iniziativa promossa dall'amministrazione. Al
primo cittadino è arrivato il plauso personale dello scrittore Andrea
Camilleri.
Il cittadino, 17.9.2003
Il celebre Montalbano televisivo chiamato a interpretare Falcone in
una fiction di viale Mazzini
La Rai sfida Mediaset con Zingaretti
Roma Se Mediaset punta sulle biografie di personaggi famosi come
la Magnani o Modugno per la fiction che verrà, la Rai si gioca tutto
scendendo in campo con i volti più noti della tv: Fiorello, Gianni
Morandi, Luca Zingaretti e Lino Banfi sono i quattro assi nella manica
di Agostino Saccà, responsabile di RaiFiction. Per loro ci sono
tanti progetti in cantiere.
[...]
Primo fra tutti la risposta di viale Mazzini alla fiction dedicata
a Paolo Borsellino e interpretata da Giorgio Tirabassi. Niente doppioni
questa volta, ma Luca Zingaretti presterà il volto a Giovanni Falcone.
L'attore sarà il protagonista insieme a Sabrina Ferilli anche di
Cefalonia.
[...]
In cantiere ci sono tanti titoli che Saccà snocciola: Giovanna
Mezzogiorno vestirà la tonaca della monaca di Monza, Sabrina Ferilli
è pronta a girare le due puntate di Al di là della frontiera,
e poi si parla di Aita Garibaldi, Cime tempestose, Il cuore nel pozzo sulle
Foibe e I romanzi storici di Camilleri.
Alessia Mattioli
La Sicilia, 18.9.2003
Camilleri: «Patteggiai il sei in matematica»
Tra gli ex allievi illustri del liceo «Empedocle» anche
Luigi Pirandello e Carlo Alberto Dalla Chiesa
Il liceo classico «Empedocle» di Agrigento annovera fra
i suoi alunni tre fra i personaggi che, in un modo o nell'altro, hanno
scritto pagine importanti di storia. Carlo Alberto Dalla Chiesa, Andrea
Camilleri e Luigi Pirandello, infatti, si sono tutti e tre seduti su quei
banchi di scuola. In comune pare avessero una grande vivacità. Racconta
Andrea Camilleri: «Nel secondo semestre dell'ultimo anno, la mia
pagella documenta un sette in condotta. Tempo fa sono tornato nel mio vecchio
liceo e mi hanno fatto vedere il registro delle punizioni. La professoressa
Vullo, di scienze, scrive che "a un tratto Camilleri si alza dal banco
e recita ad alta voce un suo incomprensibile monologo". Il preside Lo Jacono
mi assegnò tre giorni di sospensione».
Comunque, il rapporto di Camilleri con i docenti era dei migliori.
«Ricordo eccellenti professori - prosegue lo scrittore -, come la
De Mauro che, quando capì che ero negato per i numeri, fece con
me un accordo: mi avrebbe dato il sei solo se avessi superato tutte le
altre materie. E mantenne il patto. Poi c'era Carlo Greca, di filosofia,
che ci fece capire i passaggi più difficili di Kant. E De Marino
che ci insegnò il latino facendoci leggere passi allora proibiti
di Marziale. Infine, il professore d'italiano Cassesa ci disse che, fatti
i conti, con i soldi che gli dava lo Stato, lui non poteva farci più
di sei lezioni all'anno. Commentando Dante, ci stregò. Terminata
la sesta lezione, annunziò che non sarebbe andato avanti, a meno
che noi non l'avessimo pagato facendogli trovare un pacchetto di orrende
sigarette "Milit" a lezione. Accettammo, pretendendo però che non
si concedesse alcuna pausa fino alla fine dell'ora. Solo anni dopo capii
che si trattava di una sua geniale strategia per attirare la nostra attenzione».
Luigi Pirandello, invece, a giudicare dai voti che contemplavano un
tre nelle versioni di latino, un quattro in matematica e persino un cinque
in italiano scritto, non doveva essere molto bravo; eppure a iscriversi
al ginnasio dell'«Empedocle» ci teneva tantissimo, come egli
stesso raccontò in un frammento autobiografico dettato nell'estate
1893 all'amico Pio Spezi: «Mio padre è proprietario di una
ricca miniera di zolfo; quindi avrebbe voluto che io mi dedicassi agli
studi di commercio. Fui collocato perciò nelle scuole tecniche di
Girgenti; ma tutti quei numeri, tutte quelle regole, tutto quel rigido
ordine matematico ripugnavano al mio animo impaziente e avido di completa
libertà. Avvenne perciò che, dopo compiuta la seconda classe
tecnica ed essere riuscito, non so come né perché, a superare
gli esami di luglio, dissi a mio padre che ero stato rimandato nell'aritmetica;
non poter quindi recarmi con la famiglia in campagna ed essere costretto
a passare le vacanze a Girgenti per istudiare e riparare il mancato esame.
Mio padre lasciò correre; e il danaro, che doveva spendersi per
la ipotetica lezione di matematica, serví invece per una vera lezione
di lingua latina, perché io desideravo tanto di essere ammesso in
ginnasio e anche di saltare la prima classe. Tutto andò bene, secondo
i miei desideri e a ottobre riuscii a ottenere la regolare ammissione nella
seconda classe ginnasiale. Il babbo non guardava tanto pel sottile in fatto
dei miei studi: seppe che non perdevo un anno, fu contento, lontano le
mille miglia dall'immaginare la mia marachella. Frequentai i primi due
mesi nel ginnasio senza alcuna preoccupazione. Ma ben presto fui tradito
da una circostanza da nulla. Se mio padre non si occupava molto pel minuto
del progresso dei miei studii, doveva, purtroppo, firmare la pagella scolastica
ogni due mesi. Ma io non ne avevo alcuna, perché al ginnasio non
se ne davano, come alle tecniche; sicché... riuscii a passarla liscia,
dopo il primo bimestre, inventando spudoratamente cervellotiche ragioni
che il babbo, alla meglio, accettò per buone. Ma ben presto stava
per iscadere il secondo bimestre: e innanzi all'idea di essere scoperto
e giudicato da mio padre, affettuoso in genere, quanto terribile nell'ira,
fui preso da un tale spavento, che, dopo aver proposto e scartato varie
soluzioni, non trovai altro rimedio che fuggire da casa, fuggire da Girgenti».
F. L. G.
Il Messaggero,
19.9.2003
Lunedì alle 19 all’Auditorium (v. P. de Coubertin 30) Cinzia
Tani e il suo Amori crudeli (Mondadori). Con Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli,
Gabriele Vacis.
Il Resto
del Carlino, 19.9.2003
Modena
Al Caffé Letterario di via S. Pietro 2 (tel. 059214375) sono
aperte le iscrizioni per le prima Cena in giallo, in programma alle 20.30
di giovedì 25, per gustare ricette suggerite da grandi giallisti,
in compagnia di uno scrittore. Franco Mimmi proporrà il suo romanzo
Cavaliere di Grazie, mentre si assaggeranno piatti di cucina siciliana,
in onore di Montalbano di Camilleri.
La Sicilia, 21.9.2003
Arriva il nuovo libro di Andrea Camilleri
Esce il 26 settembre prossimo, in tutte le librerie italiane, il nuovo
libro dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri dal titolo: «La
presa di Macallè». Un romanzo nel quale lo scrittore indaga
la dimensione della violenza, attraverso l'ottica di un bambino che diventa
un assassino. Il contesto? Il periodo fascista, e le tecnico psico-pedagogiche
del sistema dittatoriale mussoliniano. La presa di Macallè, ambientato
ai tempi della guerra in Abissinia, è un libro che sicuramente farà
discutere, sia per i contenuti che per il modo nel quale Camilleri affronta
il tema dell'infanzia violata di un bimbo, che la propaganda di regime
trasforma in assassino. Un romanzo ambientato nella Sicilia del 1935, quando
l'autore aveva appena 10 anni. Si tratta del primo romanzo nel quale l'autore
non utilizza documenti dell'epoca, ma attinge ai ricordi dell'infanzia.
La Repubblica
(ed.di Bologna), 21.9.2003
Festa Nazionale de
l'Unità
I 100 anni di Simenon show di attori e autori
Si celebra il centenario della nascita di Georges Simenon stasera a
"Casadeipensieri" alla Festa nazionale dell´Unità, giunta
alle ultime due giornate di apertura. Il Palaconad ospita infatti alle
21 l´incontro "Georges Simenon: 100 anni. Giallo e società,
in un´altra epoca" a cui partecipano Andrea Camilleri in videoconferenza,
a cui Sergio Cofferati assegnerà la targa "Simenon 100 anni", Carlo
Lucarelli, David Sassoli, Giorgio Comaschi, Valerio Calzolaio.
[...]
m.am.
Camilleri "targato" da Cofferati a Bologna
Domenica sera, 21 settembre 2003, Festa dell'Unità di Bologna,
ore 21.
Sergio Cofferati: "Ciao, come stai?"
In videoconferenza dalla sua casa romana, Andrea Camilleri: "Abbastanza
bene. Mi scuso per non aver potuto essere lì con voi."
Per prima cosa si è scusato, il Maestro, tradendo visibilmente
una sincera commozione.
O, forse, il magone era più nostro...
Poi Cofferati, sorridendo compiaciuto, prendeva lo spunto dalle motivazioni
del riconoscimento assegnato dalla "Casadeipensieri" (la "targa"), per
invitarlo a ricordare e raccontare.
E Lui si è aperto, con divertita scioltezza, regalando a noi
tutti del pubblico (almeno 300 persone, non pochi in piedi ai lati e in
fondo alla sala Willy Brandt) il piacere di ascoltare in diretta, dalla
sua voce, i personaggi, le storie, i giorni, lo spirito di una stagione
memorabile: la produzione televisiva di "Maigret".
Straordinaria e indescrivibile la sua "presenza": riusciva a farci
ignorare il tramite del mega schermo, irrimediabilmente sfocato e sbiadito
per tutta la durata della web conference.
Troppi, anche nei pur lacunosi appunti, gli episodi proposti: tentiamo
una schematica scaletta.
- Diego Fabbri ispiratore della serie televisiva.
- Angelo Romanò, per la II Rete RAI, approva i titoli selezionati.
- Diego Fabbri e Romildo Craveri lavorano alle sceneggiature.
Camilleri, delegato alla produzione, beneficia della totale visibilità
sulla messa in opera. Fabbri si procura più copie del testo in edizioni
economiche, e le "destruttura" in mucchietti di pagine corrispondenti alla
rilettura televisiva. Quindi scrive le pagine di raccordo tra le diverse
scene. Così, come in una bottega di orologiaio, osservando smontare
e rimontare, Camilleri impara a riconoscere i meccanismi del romanzo giallo.
- Per i cultori del patrimonio genetico di Salvo Montalbano: "(imparai
che...) il protagonista doveva avere le caratteristiche di una persona
normale, del signore della porta accanto... doveva essere un poliziotto
istituzionale: tutto lealtà e rispetto della legge, non formale,
ma sostanziale...".
- La scelta degli attori: Cervi e la Pagnani, giudicata da Simenon
"presumibilmente troppo bella, da giovane, per essere una credibile sposa
del giovane Maigret...", presumibilmente un poliziotto troppo poveraccio
per potersela permettere.
- Mario Landi, grande regista.
- Il successo dovuto all'incontro con il gusto del pubblico: in previsione
di una futura campagna elettorale Camilleri veniva invitato a produrre
nuovi episodi, perchè la fiction "placava gli animi...".
- Gino Cervi: "leggeva come nessun'altro i gobbi". "Riusciva a dare
al suo personaggio una sottotraccia di riflessione: accendere lentamente
la pipa o una lunga pausa gli servivano in realtà per leggere il
gobbo...".
- Gino Cervi e Cesco Baseggio. Gobbi per due. Scena: interrogatorio,
uno di fronte all'altro. "Uno non sapeva la parte, l'altro se l'era dimenticata...".
"I due non si guardavano negli occhi, ma uno guardava a Cristo, l'altro
a San Giovanni".
- Cofferati, in chiusura del collegamento, ricorda con nostalgia i
venerdì di prosa in TV. Il Maestro: "quando arrivò l'altra
TV, cominciò a vendere un prodotto più seguito del nostro.
La TV rinunciò a fare la prosa...".
Terminata la videoconferenza, inizia il dibattito introdotto da Davide
Ferrari, che ringraziamo ancora per la cortesia e le attenzioni riservate
al CFC.
Il Professor Cesare Sughi presiede l'incontro con autorevole competenza.
Puntualizza senza tregua ogni aspetto del tema, regalando al dio degli
incisi ripetuti deliri di onnipotenza, come quando, al termine di una lunga
digressione fitta di recursioni "annidate" una nell'altra, si perde per
strada il senso della domanda finale...
Anche in questo caso proponiamo una sintetica eppur lacunosa scaletta,
in ordine rigorosamente casuale.
- Le edizioni Adelphi e l'opera di nobilitazione culturale di Maigret.
- Tutti leggono Simenon ma la critica letteraria, sul centenario, tace.
- L'angoscia al fondo dell'opera del maestro belga.
- I giornalisti nell'opera di Simenon: un po' rompiscatole, un po'
collaboratori. A beneficio dei rappresentanti della categoria (almeno due,
se non di più) presenti e coinvolti nel dibattito.
- Il "giallo" oggetto di pregiudizio rispetto alla "vera" letteratura.
- La "dolcezza" in Maigret.
-Vengono citati con la debita, inevitabile, tosta dose di ironia, i
seguenti quesiti nazional - popolari:
a) il giallo è di destra o di sinistra? ( e la piadina..?)
b) Simenon e la psicanalisi. Era Junghiano?
c) Maigret era un detective astuto?
Valerio
Calzolaio. Ricco e dotto il suo contributo. Ci colpisce una osservazione:
"... il giallo moderno nasce quando la componente criminale diventa strutturale
nella società" (!!).
Forse prima c'erano più guerre...? Mah!
David
Sassoli. Non solo molto fotogenico, ma molto professionale in ogni
intervento.
Su Simenon tre punti:
- lo scrutatore del mondo circostante;
- il disagio e il malessere dell'uomo;
- la voglia di riscattare sè stesso.
Brillante più di tutti, non per niente assediato all'inizio
e alla fine della serata da nugoli di fanciulle di ogni età, ceto,
look, ecc. ecc., Carlo Lucarelli, titolare della battuta più accattivante
e liberatoria del dibattito: "quando ci propongono la contrapposizione
tra il giallo e la letteratura colta, noi ora rispondiamo: sì, è
vero, noi giallisti non facciamo letteratura, ecchissenefrega, tenetevela!".
Ovazione...
Franco e Luisa
La Sicilia, 21.9.2003
Teatro
Il cartellone del «Regina Margherita»
Racalmuto. E' stato presentato il nuovo cartellone del Teatro «Regina
Margerita» di Racalmuto, per la stagione 2003-2004. Dieci gli appuntamenti
tra prosa, musica e teatro comico. «La nuova stagione - dice Giuseppe
Dipasquale vice direttore artistico - si propone un ritorno al teatro di
prosa cosiddetto classico. Grande autori in cartellone Pirandello, Brancati,
Molière e Shakespeare, sul palcoscenico sfileranno compagnie di
alto profilo artistico e professionale». Gli spettacoli avranno inizio
a metà del prossimo mese di dicembre. Per la prosa Ida Carrara in
«La Signora Lèuca» di Andrea Camilleri-Giuseppe Dipasquale
liberamente ispirato alla novella di Pirandello. Mariano Rigillo e Anna
Teresa Rossini in «La Misanthròpe» di Molière
per la regia di Mariano Rigillo
Per la musica lirica sono previsti i concerti dell'associazione spettacolo
Cultura all'Opera e dell'Asc «Sicilia lirica» ed inoltre Vincenzo
La Scola con «Canta l'opera» con Tom Sinatra e infine Pino
Ingrosso con «Serenate sincere» con Nando Di Modugno e Daniela
Guercia.
Per i Grandi comici sono previsti gli spettacoli di Francesca Reggiani
in «Scherzi d'amore» di Anton Cechov con Rolando Ravello.
Tra le iniziative dello scorso anno, oltre ad una mini stagione da
febbraio a maggio, ricordiamo la scuola dei mestieri teatrali, una palestra
per le future maestranze del teatro, 120 domande dei candidati, e dopo
una accurata selezione sono stati ammessi al primo anno di corso che inizierà
ad ottobre 25 aspiranti allievi. Ed ancora il Premio di drammaturgia intitolato
a Leonardo Sciascia, i cui termini di scadenza sono stati prorogati al
31 dicembre prossimo.
Contento naturalmente il sindaco Gigi Restivo. «Abbiamo allestito
- dice - un cartellone coi fiocchi. Ci saranno anche diverse manifestazioni
fuori cartellone».
G. R.
La Repubblica
(ed.di Palermo), 21.9.2003
Il cartellone
Racalmuto ricomincia con un testo di Camilleri
Ci sarà Ida Carrara, con un testo di Andrea Camilleri e Giuseppe
Dipasquale, Mariano Rigillo con "Il misantropo" di Molière e per
due volte Tiziana Lodato con "Don Giovanni in Sicilia" di Brancati e "Molto
rumore per nulla" di Shakespeare. Sono alcuni dei protagonisti della nuova
stagione del teatro Regina Margherita di Racalmuto, diretto da Camilleri
e Dipasquale e riaperto lo scorso inverno dopo una lunga chiusura. In programma
anche Francesca Reggiani in "Scherzi d´amore" di Cechov e un recital
di Vincenzo La Scola.
Il Corriere della sera
(ed. di Roma), 21.9.2003
Il libro
Sette storie di rapporti crudeli: quando si uccide chi si ama
L’amore che uccide. Cinzia Tani nel suo libro («Amori crudeli»,
Mondadori) affronta sette casi emblematici nei quali l’intensità
del rapporto fra un uomo e una donna conduce ineluttabilmente alla morte
violenta. Sette storie di cronaca accadute in altrettanti paesi del mondo
nel corso del Novecento. Dalla travolgente relazione extraconiugale di
Giulia Tasca, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, al morboso legame che
unisce Julie Scully e Georgios Skiadopoulos. L’autrice ricostruisce con
estrema cura l’infanzia dei protagonisti e offre chiavi di lettura per
spiegare i gesti di follia. Alla presentazione del libro, presente l’autrice,
partecipano Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli e Gabriele Vacis.
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA, via Pietro de Coubertin 30, domani alle
19
Avvenire, 21.9.2003
A Casa Verga un museo degli scrittori
La casa dello scrittore Giovanni Verga diventerà un Museo della
letteratura contemporanea siciliana, e ogni sala sarà dedicata a
un diverso autore: da Sciascia a Consolo, da Bufalino a Camilleri. Lo ha
annunciato l'assessore alle Politiche culturali della Provincia di Catania,
Gesualdo Campo, intervendo alla presentazione del libro "Al confine della
ragione" di Melo Freni, nell'ambito del Prix Italia in corso di svolgimento
a Catania. «Il progetto è condiviso dall'assessore regionale
ai Beni culturali, Fabio Granata - ha sottolineato Campo - e arricchirà
l'offerta culturale di una città alla quale la Provincia di Catania
contribuisce considerevolmente con le esposizioni ospitate alle Ciminiere
come i Musei del cinema e dello sbarco in Sicilia del 1943.
Spazio InWind,
22.9.2003
"Amori crudeli". Il mistero dell'animo umano tra amore e morte
Roma, Auditorium Parco della Musica
Presentazione del libro "Amori Crudeli" di Cinzia Tani
Perché si uccide chi si ama? A questa domanda hanno cercato di
rispondere Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Gabriele Vagis, intervenuti
a Roma alla presentazione del libro di Cinzia Tani "Amori Crudeli" edito
da Mondadori. A fare da scenografia alla presentazione l'elegantissimo
ristorante all'interno del Parco della Musica e ad omaggiare la scrittrice,
tra i presenti, Giancarlo Magalli, Maria Rosaria Omaggio, Luciano De Crescenzo
e Tinto Brass. Ecco gli interventi degli ospiti.
Andrea Camilleri
C'é un giudizio all'interno del titolo. Prima di leggerlo pensavo
ci fosse una crudeltà tipo 'impero dei sensi': sono rimasto un po'
deluso, un po' no. Ma ho ritrovato la Tani di sempre. Questo libro è
una antologia di alcuni delitti, il primo commesso nel 1911 e l'ultimo
nel 1999: 7 delitti che coprono il '900. Durante il '900 sono accaduti
bellissimi delitti: perché la Tani ha scelto alcuni delitti e non
altri? Perché sono 7 casi esemplari. Il primo dato che emerge è
che i delitti sono della nostra civiltà, e il luoghi in cui sono
ambientati sono sempre un punto terminale, un punto di non ritorno di una
situazione iniziata in luoghi diversi. La Tani ha fatto una ricostruzione
sociale minuziosa: c'é una 'anatomia' della famiglia dalla
quale discendono i protagonisti della storia narrata. Ma la ricostruzione
non è basata solo sui fatti: c'è lo sgorgare di alcune situazioni
psicologiche. Il secondo dato è che non esiste una palettatura
di classi sociali, anzi, c'è lo scambio d'amore tra classi sociali
diverse. Il terzo dato è l'analisi lucida di qualcosa che lucido
non è. I delitti non nascondono un mistero, e riflettono invece
il cambiamento di un secolo: il rapporto uomo-donna rimane immutato, ma
cambia il contesto e la reazione degli altri. Il libro è praticamente
una storia dell'evoluzione del comportamento.
Carlo Lucarelli
Il libro è un racconto sul mistero dell'animo umano e del rapporto
tra amore e morte. E' una 'compilation' che raccoglie temi ed eventi che
spacca col bisturi la società, e analizza il rapporto tra amore
e morte. Il libro appartiene ai cosiddetti "true crime": le cose vere sono
belle, sono personaggi in carne ed ossa con la loro fisica concretezza.
Gabriele Vagis
Il libro ci dipinge assassini che non riescono ad adattarsi alla convenzionalità
del sentimento. Sono madri che non provano piacere ad allattare, e la Tani
di fronte a questi personaggi è riuscita a metterci compassione.
Cinzia Tani
I delitti passionali sono diversi dagli altri delitti, perché
le persone che uccidono soffrono doppiamente. Sono colpevoli di assassinio
e colpevoli di aver eliminato la persona più cara. Sono amori esagerati,
da 'sindrome di Otello': le cosiddette 'gelosie deliranti'. Questi assassini
non sono però criminali, ma sono persone che cercano con l'omicidio
di sbloccare una situazione dolorosa. Sono delitti non premeditati, quasi
da 'alchimia del male'. C'è una differenza nei delitti passionali
tra uomo e donna. La donna che uccide, uccide perché la rivale è
vera. L'uomo che uccide, ha solo il sospetto di un rivale, oppure
uccide perché è stato abbandonato (e qui entra in gioco la
perdita di identità e del ruolo virile). Anche le armi utilizzate
sono diverse tra uomo e donna: l'uomo usa più il coltello, un simbolo
fallico. Come vengono giudicati questi assassini? Tempi fa l'uomo che uccideva
una donna trovata in flagrante era considerato un delitto colposo; mentre
l'adulterio femminile era considerato un adulterio per l'intera società.
Ilario Pisanu e Danilo Montaldo
La Repubblica
(ed.di Palermo), 23.9.2003
Sabato e domenica forum alla facoltà di Lettere per lanciare
il progetto
Dai girotondi ai laboratori si riaffacciano i movimenti
Il presidente dell´Arci: "Partiamo dal basso"
Aderiscono intellettuali come Elvira Sellerio e Camilleri
L´idea nasce fuori dai partiti e non ha, almeno per ora, fini
elettorali. È ambiziosa, perché riprende la sfida democratica
dei girotondi e dei movimenti e la rilancia in una dimensione regionale.
L´obiettivo è quello di dare voce alla società siciliana
promuovendo una rete di «laboratori municipali», mettendo assieme
tutti quei pezzi che chiedono di vivere in una Sicilia meno silenziosa
e più partecipe, con un volto diverso da quello raccontato dalle
indagini sulla criminalità e dall´intreccio tra mafia e politica.
A prendersi la briga di tentare il nuovo esperimento di coesione sociale,
a proporsi come pungolo della società civile, è l´Arci
siciliana, che promuove due giornate di confronto sabato e domenica prossimi,
alla facoltà di Lettere, sul tema "Intrecci solidali per un´altra
Sicilia possibile". Sono 40 gli interventi previsti al forum: un´adesione
già massiccia, giunta anche da personalità della cultura
come Vincenzo Consolo, Leo Gullotta, Andrea Camilleri, Elvira Sellerio.
Segno, per i promotori, che il bisogno di creatività in politica
esiste.
[...]
Non saranno solo siciliani i contributi al dibattito di sabato (dalle
10 alle 20) e domenica (dalle 9,30 alle 14). Tra i relatori ci sono Luigi
Ciotti, presidente di "Libera", Paolo Nerozzi della segreteria nazionale
Cgil, Francesco Amodio dei Cobas di Roma, Tom Benetollo, presidente nazionale
Arci, Haidi Giuliani, la madre del ragazzo morto durante il G8 di Genova,
Anna Tizzo della rivista "Carta", Ferdinando Siringo del Movi. E ancora:
Carmelo Di Liberto, segretario regionale Cgil, Antonio Riolo dell´Auser,
Salvatore Granata di Legambiente dei Nebrodi, Gaetano Giunta del parco
letterario Horcynus Orca di Messina. E i segretari di Margherita, Ds, Rifondazione
e Primavera siciliana.
Antonella Romano
La
Provincia pavese, 25.9.2003
«E' una parodia della potenza mussoliniana senza alcun riferimento
attuale»
Camilleri racconta «La presa di Macallè»
"Non lo sembra, ma è il mio libro meno politico"
ROMA. «Questo che sembra il mio libro più politico forse,
al contrario, è il meno politico». La definizione è
di Andrea Camilleri che così racconta «La presa di Macallè»
il suo nuovo romanzo che esce domani in libreria per Sellerio. Narra degli
anni della pubertà e dell'adolescenza di Michilino, impregnato di
un cattolicesimo miope negli anni della conquista dell'Abissinia, in una
famiglia difficile, tra esperienze sessuali traumatiche. Una miscela che
ne farà in poco tempo un omicida. Eppure per l'ambientazione nel
periodo fascista di cui l'autore tratteggia principalmente il machismo
e l'imperialismo e per tante altre caratteristiche, «La presa di
Macallè» (una delle città abissine conquistate) sembra
volersi gettare proprio nell' agone non solo della politica, ma della polemica
addirittura.
Ma allora perchè scegliere proprio quegli anni? «A me
viene una spinta, un input a scrivere un romanzo e lo scrivo, non c'è
stata una scelta ragionata tra questa ambientazione e un'altra, che so,
in epoca garibaldina. Solo in parte è una parodia della potenza
fisica mussoliniana, nè c'è alcuna attinenza con il momento
politico attuale, visto che l'ho scritto due anni fa, subito dopo «Il
Re di Girgenti». Volevo raccontare una storia che avesse per oggetto
l'imprinting sull'uomo: il periodo fascista è stato un momento di
questo genere, in cui la nostra testa riceveva una formazione di un certo
tipo. E' un periodo di cui ho fatto parte, anche se il libro non è
autobiografico, e che conosco bene.».
La Provincia,
25.9.2003
Editoria. Domani
In arrivo il nuovo romanzo di Camilleri
ROMA — «Questo che sembra il mio libro più politico forse,
al contrario, è il meno politico». La definizione è
di Andrea Camilleri che così racconta La presa di Macalle (Sellerio,
10 euro) il suo nuovo romanzo, da domani in libreria. La presa di Macalle
narra degli anni della pubertà e dell’adolescenza di Michilino,
impregnato di un cattolicesimo miope negli anni della conquista dell’Abissinia,
in una famiglia difficile, tra esperienze sessuali traumatiche. Una miscela
che ne farà in poco tempo un omicida. Per l’ambientazione nel periodo
fascista di cui l’autore tratteggia principalmente il machismo e l’imperialismo
e per tante altre caratteristiche, La presa di Macalle (una delle città
abissine conquistate) sembra volersi gettare proprio nell’agone della polemica.
«Macalle — spiega lo scrittore siciliano — non è un romanzo
realistico ma è metaforico», caratteristica che costituisce
una profonda «differenza tra questo e i libri che lo hanno preceduto».
Avvenire, 25.9.2003
La polemica
Faletti il maggior scrittore italiano, Lucarelli e Camilleri star...
Ma col successo del poliziesco in cui conta solo la trama, letteratura
e lingua
Ma i gialli sono romanzi?
Qualcuno ha scritto di recente che la fortuna del giallo italiano cominciò
nel 1972, con la pubblicazione della Donna della domenica di Fruttero &
Lucentini, «che entrò nella vita degli italiani». Secondo
noi c'è una data assai più importante: il 1961. Quell'anno
Leonardo Sciascia pubblicò Il giorno della civetta, che è
un giallo politico, morale, letterario, e di denuncia (come si diceva allora).
Il merito della Donna della domenica è di non essere un giallo canonico.
Il suo imperdonabile demerito, a nostro avviso, è di avere oscurato
la narrativa di Franco Lucentini (cioè il suo capolavoro Notizie
degli scavi) in favore di una narrativa tendenzialmente commerciale. E
non è importante che Lucentini fosse consenziente. Comunque, sarà
anche vero che lo slancio del giallo italiano iniziò nel 1972, ma
è anche vero che in quella data il nostro romanzo-romanzo subì
una scoppola dal quale non si è più ripreso. Il colpo di
grazia lo diede Il nome della rosa (altro giallo epocale) che mise «una
pietra tombale su tutta la narrativa precedente», come scrisse Pampaloni.
Il fenomenale successo del giallo di qualsivoglia contenuto comincia dunque
tra i Settanta e gli Ottanta. Come abbiamo già scritto in altra
sede, chi conserva un minimo di memoria storica ricorda benissimo il proliferare
di scrittori che miravano al mercato senza nessun complesso di inferiorità,
dato che la cultura imperante era intrisa di valori pragmatici: più
vendi e più hai ragione. Lasciata indietro la sterile e fragorosa
neoavanguardia, messi quasi a tacere i narratori «tradizionali»,
la narrativa italiana era tutto un tripudio di storie giovanilistiche a
capocchia, e molta critica le scambiò per un nuovo modo di porsi
di fronte alla realtà. Sicché da un giorno all'altro spuntarono
in seguito, come funghi dopo la pioggia, scrittori che diventavano subito
preda dei miti giornalistici: minimalisti, splatter, Cannibali coi denti
e senza denti, stephenkinghiani, liberostilisti, americanofili rimbambiti,
fer nandapivaneschi con la mania del cocktail party al veleno (per la simpatica
Pivano, si sa, se uno scrittore americano ha divorziato almeno tre volte
è, ipso facto, un grande scrittore), giallisti lividi, neristi indefessi,
criminalisti sadici, eccetera. Finalmente in Italia ritornava il «gusto
di raccontare», come asserivano i cronisti, che ambivano a pubblicare
le loro storiacce. E infatti tra una cronaca nera e un romanzo noir (lo
ripetiamo) non c'erano differenze di livello ma solo di lunghezza e di
confezione editoriale. Tra l'altro, chi scrive questa nota ricorda il mostruoso
successo di uno scartafaccio di Frassica, che oscurò e dileggiò
tutti gli altri romanzi seri che si trovavano sul banco dei librai. Si
era nella metà degli anni Ottanta ed era cominciata la risibile
epoca degli scrittori comici, o comici scrittori, che in questo momento
stanno furoreggiando sui teleschermi, alla faccia di chi crede ancora nella
Letteratura con la maiuscola. (A proposito, le barzellette di Totti si
apprestano a prendere il posto di Pirandello). La Paraletteratura era diventata,
dalla sera alla mattina, Letteratura. A questa strabiliante metamorfosi
hanno contribuito una miriade di critici ebbri. Le cause sono molteplici,
ma una ci pare essenziale: la generazione del Sessantotto era ascetica,
nel senso che schifava la narrativa. Molti studenti fuori corso di quella
generazione, crescendo, diventarono giornalisti culturali e perfino direttori,
e siccome in precedenza avevano letto solo barbosissimi libri di economia
e di ideologia militante, si buttarono a capofitto sulle «storie»
per recuperare il tempo perduto, ma non avendo le basi, come si dice, fecero
di ogni erba un fascio (e talora un Fascio mediatico). Non abbiamo nulla
contro la Paraletteratura, sia chiaro, purché resti un nobile passatempo.
Ma quando la Paraletteratura viene fatta passare per Letteratura, come
sta succedendo da qualche anno, allora siamo allo spaccio di droga mentale
pesante. La cosa non è seria, ma grave. (Non è stato forse
scritto che il buon Faletti è «il maggior scrittore italiano
di oggi»? Qualcuno è anche capace di crederlo). Che si sappia,
la lezione di Sciascia non è stata ripresa da nessuno, se non per
inconsapevoli operazioni parodiche (Camilleri), e purtroppo neanche la
più modesta lezione di Fruttero & Lucentini. E un motivo c'è.
In questi anni il linguaggio letterario è stato soppiantato dal
linguaggio massmediatico e fumettistico, e qualsiasi libro che non abbia
i crismi di una corriva leggibilità è condannato al macero,
o al silenzio preventivo. E non è un caso se Lucarelli & Compagni
(tanto per non fare nomi) sono le nuove star della narrativa. In fatto
di stile, non hanno nulla da dire, e lo dicono. Basta confrontare una loro
pagina con una pagina «gialla» di un vero scrittore (che so?,
Soldati, Malerba, Pontiggia, eccetera) per capire che siamo entrati in
un altro sistema linguistico, quello del plot fine a se stesso. La Letteratura
è soprattutto una riflessione sul linguaggio dell'affabulazione,
ma per gli autori lucarelliani (ehm) l'ultima cosa che conta è proprio
il linguaggio, che quasi quasi diventa un peso. Se il fine di ogni giallo
è il meccanismo del gioco a rimpiattino tra colpevole e detective,
tutti gli altri elementi della narrazione passano in secondo piano, a cominciare
dal concetto di colpa. E che il giallo sia un genere alienato e alienante
lo dimostra un semplice fatto: la vittima è un pretesto. Ovverosia,
la vittima, anziché essere il fulcro della storia (con la sua psicologia,
il suo passato, le sue passioni, il suo ambiente, i suoi ideali, eccetera)
è relegata ai margini del progetto letterario. Con conseguenze incalcolabili.
O meglio si possono calcolare benissimo: quei gialli (o noir, o horror,
eccetera) sono omologhi e complici della società dello spettacolo.
E una delle principali caratteristiche di questa società del capitalismo
scristianizzato è l'indifferenza per le vittime. Il degrado dell'uomo
civile occidental e comincia dalla scomparsa del senso di colpa, cioè
del sentimento del peccato. Naturalmente abbiamo parlato dei gialli di
consumo. Ci sono, per fortuna, anche gialli letterari, che ridicolarizzano
i primi. Purtroppo le mele buone soccombono alle mele marce.
Giuseppe Bonura
La Repubblica,
25.9.2003
Tra le novità in libreria torna l'Irlanda di Roddy Doyle e "Pompei"
di Robert Harris, un parallelo con l'11 settembre
Storia di un'infanzia fascista
Il nuovo romanzo di Camilleri
Ma anche una sfida tra Dio e il diavolo, lo Spinoza di Strauss e la
beffa di Grunberg pubblicata sotto pseudonimo
Andrea Camilleri lascia il commissario Montalbano in crisi di identità
e depresso e si concentra su un romanzo completamente diverso. Si intitola
La presa di Macallè (Sellerio, 10 euro), esce domani. Un bambino
a dieci anni viene violentato, smontato e rimontato dalla propaganda fascista.
In piena guerra di Abissinia è impossibile per un bambino resistere
alla potenza della macchina retorica mussoliniana. Ed è possibile
che su una psiche ridotta a brandelli si impiantino pulsioni assassine.
Ambientato in un microcosmo siciliano, con il solito linguaggio alla Camilleri,
il libro ha un grande merito: forse era da Tempo di uccidere di Ennio Flaiano
che qualcuno non raccontava, da una prospettiva così personale,
di quando eravamo noi italiani a fare le guerre di occupazione. Prima di
passare alla storia come "italiani brava gente".
[...]
Dario Olivero
La Stampa, 26.9.2003
Camilleri
Il piccilidro che uccide
Lo scrittore parla del suo nuovo romanzo: una storia paradossale ai
tempi della guerra d'Abissinia
Com'è possibile che un bambino (un futuro uomo) desideri ammazzare
altri esseri umani? Quali meccanismi psicologici scattano in lui, quale
esplosivo mix di educazione al fanatismo e di valori devianti è
alla base dell’aberrazione? Non è (anche se potrebbe esserlo) una
riflessione sulle tragedie dei nostri giorni, Medio Oriente e dintorni:
è la domanda martellante che ha assillato a lungo Andrea Camilleri,
e che ha preso forma narrativa nel suo nuovo romanzo, in uscita da Sellerio.
Si intitola La presa di Macallè (pp. 288, e 10) e racconta la storia
di un bambino che nell’Italia (la Sicilia, Vigàta) del 1935, ai
tempi della guerra d’Abissinia, ossessionato dai convergenti dettami dell’indottrinamento
cattolico e fascista si trasforma «abbastanza agevolmente»
in assassino.
Lontanissimo movente dell’elaborazione romanzesca, un’esperienza personale
dell’autore. «A dieci anni», confida Camilleri, «di nascosto
da miei - ero cresciuto in una famiglia passivamente fascista - scrissi
una lettera a Mussolini per chiedergli di partire volontario in Abissinia.
La mia massima aspirazione era quella di uccidere degli abissini... Avevo
dimenticato di indicare il mio indirizzo, così la risposta arrivò
a Porto Empedocle (dovevano avere ricavato la città di partenza
dal timbro postale) al segretario dell’Opera Nazionale Balilla, che era
il fratello minore di Pirandello, il professor Innocenzo. La lettera del
Duce la conservò lui, mannaggia!, altrimenti l’avrei tenuta incorniciata,
come documento della mia imbecillità infantile. Il Duce mi spiegava
che ero troppo piccolo, che dovevo crescere, ma che non sarebbero mancate
le occasioni di servire in armi la patria».
A Camilleri l’occasione mancò, ma a Michelino, il piccolo protagonista
del romanzo, figlio del camerata Giugiù che caccia di casa la moglie
quando la sorprende a tradirlo con il parroco, al «piccilidro»
Michelino che di anni ne ha soltanto sei, una delirante opportunità
di provare la sua integrità fascista si presenta ben presto. A Vigàta
una mascherata pubblica, organizzata con i balilla e le piccole italiane,
festeggia rumorosamente la presa della città di Macallè.
«Una vigliaccata», commenta il sarto comunista Maraventano.
E nella mente di Michelino scatta la voglia di vendetta: per il Duce, per
la Patria, per la Religione. Al catechismo Mussolini gli è stato
presentato come l’uomo della Provvidenza, come una figura quasi divina
mandata dal Padreterno per salvare l’Italia, per farla grande e prospera.
È un tragico desiderio di giustizia che muove il bambino. E lo porta
a uccidere.
La vittima è il figlio del sarto, suo coetaneo. Agghiacciante
il modo. «Tutti noi», ricorda Camilleri, «avevamo a quell’epoca
un moschetto per le esercitazioni (”libro e moschetto, fascista perfetto”),
con la baionetta che non era innescata ma incorporata sulla canna, e aveva
sulla punta una pallina di metallo per evitare che ci infilzassimo. Ma
qualcuno riusciva a togliere la protezione, e questa lama di 20 centimetri
diventava un’arma micidiale». Michelino ha due baionette, una con
la pallina e una, che tiene nascosta, a cui l’ha sfilata. Con questa si
avvicina al suo compagno, quando sono soli, conficcandogliela nella nuca.
Del delitto viene accusato il padre del morto, che verrà processato
e giustiziato. Meglio così, ragiona Michelino, che con un colpo
solo ha eliminato due comunisti. Nessun pentimento, nessun rimorso, solo
il bisogno di ribadire continuamente a se stesso la bontà della
sua azione: «Un comunista non è un omo, ma un armàlo
e perciò se s’ammazza non si fa piccato». E tutti quelli a
cui con noncuranza propone la questione - il padre, il parroco - glielo
confermano: no, un comunista non è un essere umano, è un
animale.
Sembra una storia inverosimile, e infatti lo è. Vuole esserlo.
«Michelino è un mostro», come dice il suo autore: ragiona
come un bambino ma è sessualmente iperdotato. Tanto da cadere vittima
delle voglie pedofile del sofistico professor Gorgerino, che con abili
discorsi lo introduce alla «ginnastica degli spartani» («i
fascisti ai tempi dei Greci») e lo brutalizza «in loco spartano»
per festeggiare ogni volta le nuove conquiste delle vittoriose truppe italiane:
questa per Macallè, quest’altra per Tacazzè, e poi via con
Adigrat, Amba Alagi, Amba Aradam, Axum. Intanto la cugina Marietta, più
grande di lui, lo ammaestra all’altro versante delle «cose vastase»,
dolcemente, senza neppure farglielo capire. «È un romanzo
paradossale, non un romanzo politico, anche se si parla di fascismo e di
uso politico della religione», spiega Camilleri. «Bisogna leggerlo
in chiave metaforica. Se avessi scelto un protagonista già in età
puberale, tutto sarebbe sembrato più plausibile, l’effetto sarebbe
stato realistico, e ai miei fini non avrebbe più funzionato. A me
interessava vedere come si crea un fanatico».
La conclusione della storia, che ovviamente non raccontiamo, ricorda
un po’ un episodio di un vecchio film con Ugo Tognazzi, I mostri. La cugina
Marietta si installa nella casa di Michelino, diventa l’amante del padre,
e agli occhi del bambino, sempre più, viene equivocamente a occupare
il posto lasciato vuoto dalla mamma. Finché tutte le ossessioni
e le sementi nefaste sparse nella piccola mente germoglieranno convergendo
nella grottesca immagine di Gesù che appare al bambino in estasi,
e in un delirio di «tu sei mio!», «io sono tuo!»
chiude il romanzo. Non il suo lavoro nella coscienza
dei lettori.
Maurizio Assalto
La Repubblica
(ed.di Palermo), 26.9.2003
Esce il nuovo libro. Lo scrittore: "Non leggetemi in chiave politica"
Tutti in fila per Camilleri
Esce oggi "La presa di Macallè" (Sellerio editore), il nuovo,
attesissimo romanzo storico di Andrea Camilleri. E per contenere la calata
dei lettori, già pronti a razziare scaffali e ripiani, i librai
palermitani si sono ben attrezzati, prenotando in anticipo centinaia di
copie del romanzo. A cominciare da Sergio Flaccovio: «Rispetto a
un titolo di medio successo, per intenderci, noi di solito prenotiamo il
nuovo Camilleri almeno per sette volte. È questa, pressappoco, la
proporzione». Lia Vicari, della libreria Feltrinelli, così
commenta l´attesa spasmodica che monta alcune ore prima dell´uscita:
«In un giorno noi abbiamo venduto anche centocinquanta copie di uno
dei tanti romanzi di Camilleri. È un autore destinato al grosso
pubblico, e c´è chi lo compra pur sapendo che non potrà
leggerlo subito. Noi ci siamo equipaggiati adeguatamente: potrei dire,
riguardo al numero di copie che in precedenza si sono vendute e che sicuramente
si venderanno, che Camilleri vale quanto Harry Potter». La libreria
Kalòs ha per ora prenotato duecento copie: «Un bel numero,
è vero. Ma Camilleri ci ha ormai abituato a queste cifre. Non è
possibile fare un paragone con altri scrittori. C´è, nella
vendita, una distanza siderale che li separa».
"La presa di Macallè" è ambientato a Vigàta in
pieno periodo fascista, durante la guerra d´Abissinia, e racconta
la storia di un bambino che viene educato alla violenza e all´assassinio.
Una sorta di anti-romanzo di formazione, per niente consolatorio. Si tratta,
in sostanza, di un Camilleri nuovo, dunque, completamente diverso, che
turberà non poco il lettore. Si capisce quindi il perché
di tanta attesa, da parte dei «camilleriani» affezionati, e
soprattutto da parte di quei critici che ancora attendono lo scrittore
al varco.
Dal canto suo, Andrea Camilleri così commenta l´evento:
«Io non ho delle aspettative particolari, riguardo al mio nuovo romanzo.
Vorrei solo che non fosse letto in chiave politica, contingente. Significherebbe
tirare per i capelli tutto il libro».
«"La presa di Macallè" - continua lo scrittore - rispetto
ai precedenti romanzi storici, è diverso: non ho fatto uso di fonti,
documenti, dal momento che parlo di un periodo in cui c´ero. Ma attenzione:
non è affatto materia autobiografica. E non si tratta di un "instant-book":
non è un libro che ho scritto per dire oggi la mia sul fascismo,
per prendere una posizione netta. Il romanzo l´ho scritto due anni
fa, senza soluzione di continuità con il "Re di Girgenti". Tutto
qui».
Salvatore Ferlita
Avvenire, 26.9.2003
Camilleri
Lascia Montalbano per un bambino nel fascismo
Lo scrittore Andrea Camilleri abbandona momentaneamente il suo personaggio
più popolare, il commissario di Vigata Salvo Montalbano e si concede
una pausa con la storia recente, quella legata al fascismo. Il nuovo romanzo
di Camilleri, intitolato «La presa di Macallè» (288
pagine, 10 euro) è ambientato nella Sicilia del 1935 durante la
guerra in Abissinia, esce oggi da Sellerio e come di consueto avrà
una prima tiratura altissima, di oltre 100mila copie. «L'idea di
scrivere questo libro - spiega Camilleri in un'intervista a "Famiglia cristiana"
- è nata dalla domanda: perché io, bambino di dieci anni,
che vivevo in una famiglia passivamente fascista, avevo di nascosto scritto
una lettera a Mussolini chiedendo di partire volontario per la guerra in
Abissinia? Quale meccanismo scattò in me per avere un solo desiderio:
ammazzare il nemico, un abissino?». Il protagonista del romanzo è
Michelino, 6 anni, un bambino violato, che la martellante propaganda fascista
degli anni Trenta trasforma in un assassino. Ma è un assassino innocente,
fa intendere Camilleri, perché il bimbo è privato della possibilità
di sviluppare la sua autonomia critica. Camilleri mette in discussione
anche l'integralismo religioso. «La presa di Macallè»
non è autobiografico. Sino ad ora i romanzi storici dell'autore
siciliano erano tutti ambientati tra Sette e Ottocento.
Avvenire, 26.9.2003
Polemiche culturali
Ha successo ma non è vera letteratura: tre repliche alle tesi
di Bonura
Chi ha ucciso il giallo italiano?
«Ma i gialli sono romanzi»? Il dubbio era stato posto ieri
dallo scrittore Giuseppe Bonura, che argomentava che i «maggiori»
scrittori italiani sarebbero oggi dei giallisti, facendo l'esempio di Faletti,
Lucarelli o Camilleri, che però a suo parere badano alla trama e
non a lingua e letteratura. Affermava Bonura che i gialli rischiano di
fare scomparire la distinzione fra bene e male, la pietà per le
vittime, omologhi in questo agli horror, in una società scristianizzata.
Oggi a Bonura rispondono lo scrittore e giornalista Piero Colaprico, l'esperto
di gialli Luca Crovi, il critico letterario Fulvio Panzeri, che in vario
modo affermano che può essere il giallo una forma letteraria e non
solo un genere, purché i gialli siano ben scritti, esprimano la
realtà storica, non dimentichino l'anima. Purché non siano
cioè un sottogenere.
Colaprico: una forma d'indagine sulla realtà
«Molti "sottolibri" ma almeno noi autori cerchiamo di sporcarci
le mani»
A un giallo si chiede di meno, a un giallista si perdona di più.
L'aspettativa del lettore è restare inchiodato alla pagina, godere
di un po' di suspense, di qualche colpo di scena intelligente. Quando il
giallo è scritto da uno che sa scrivere e pensare, può regalare
inedite riflessioni, un diverso uso del linguaggio, descrizioni più
precise del mondo circostante. Questo posso ammetterlo, ma da lettore (non
solo da autore), ho cercato e continuo a cercare nei gialli e nei libri
seri (uso apposta quest'aggettivo sbagliato) qualcosa che può farmi
capire meglio le cose, emozionandomi, affascinandomi, dandomi nuovi argomenti.
In poche parole: ho sempre cercato libri; e non sottolibri.
E sono queste, a mio parere, le due categorie da analizzare, senza
far finta di avere oggi, davanti agli occhi, una letteratura alta e sfortunata
commercialmente e un mediocre sottogenere redditizio. Mi piacerebbe vedere,
nelle classifiche dei titoli più venduti, dando magari più
ampia facoltà di giudizio ai critici, questa definizione. Esemplifico
a mio gusto. Va dove ti porta il cuore, sottolibro. Non ti muovere, sottolibro.
City, sottolibro. E, allora sì, Io uccido, sottolibro. Altrimenti,
perché, tra i best sellers all'italiana prendersela solo con Giorgio
Faletti e salvare a priori i frullati tragicomicosentimentali? Magari fossero
solo i gialli a "non funzionare", ad essere furbastri e vuoti, e non anche
i presunti e sedicenti "romanzi letterari".
Facciamoci la domanda cruciale: quale autore italiano ci fa correre
oggi in libreria? Ognuno trovi una risposta, se l'ha. Si sono lette tantissime
buone pagine. Personalmente, da Veronesi a Del Giudice, a Onofri a Morazzoni.
Ma poi, alla fine, e mi auguro che nessuno di costoro si offenda, non ho
trovato nulla che possa stare alla pari dei contemporanei Marìas
o Coetzee, o dei sudamericani degli anni Settanta e Ottanta. Vorrei sbagliarmi,
ma con Buzzati, Calvino, Sciascia, il Testori giovane, qualcosa di Del
Buono, Arbasino e Scerbanenco (eh già, proprio lui, il giallista),
finiscono, si spera momentaneamente, i nostri grandi libri. Qui e là,
ci sono buoni libri. Poi libri. Ma quanti i "sottolibri".
Una sempre più vasta giuria popolare, e di critica, ci assolve
e persino ci premia. Imputare al giallo di essere malsano (sintetizzo così
la violenza degna di un protagonista del noir con cui Giuseppe Bonura si
è espresso ieri su queste colonne), è oggi battaglia di retroguardia.
Se alcuni giallisti aumentano di credito, reddito e copie, e altri autori
"alti" no, la ragione sta essenzialmente in una maggiore e migliore creatività.
Camilleri ha "inventato" un linguaggio alla siciliana che ha divertito
molto. Lucarelli ha riproposto, nei suoi primi gialli, per me i migliori,
i temi del fascismo. Come scriveva una lettrice ad Augias ("Repubblica",
24 settembre 2002), il giallo ormai è anche una «forma d'indagine
e ricerca sociale sull'Italia degli ultimi cinquant'anni».
Se gli scaffali delle librerie vengono, con piena legittimità,
occupati da noi, forse dipenderà dal fatto che stiamo facendo, o
cercando di fare, quanto molti autori del "romanzo letterario" evitano:
e cioè, sporcarci le mani con le realtà, e non con i minimalismi
da ombelico. Cercando un linguaggio, non solo una trama. Studiando la lingua,
non solo il tipo d'arma. Rileggendo Sciascia, ma come lui non ne nascono
tanti in un secolo.
Piero Colaprico
Crovi: un genere che ha espresso i conflitti della vita moderna
«Ma prendersela con i polizieschi è lo sport preferito
di critici e letterati»
Sparare a zero sul fenomeno "giallo italiano" è da sempre stato
lo sport preferito dei critici e dei letterati. Così, negli anni
Trenta, mentre cominciavano a germogliare con successo i semi della nostra
narrativa di suspense nazionale con autori come Varaldo, De Angelis, Mariotti,
Scerbanenco, critici come Alberto Savinio scrivevano che «il giallo
italiano è assurdo per ipotesi. Prima di tutto è un'imitazione
e porta addosso tutte le pene di questa infelicissima condizione; Oltre
a ciò manca al "giallo" italiano, "et pour cause' il romanticismo
crimininalesco del giallo anglosassone. Le nostre città tutt'altro
che tentacolari e rinettate dal sole non "fanno quadro" al giallo né
può "fargli ambiente" la nostra brava borghesia. Dove sono i mostri
della criminalità, dove i re del delitto?». Dal canto loro
Varaldo e De Angelis rispondevano già all'epoca a quelle critiche
costruendo serrati plot ambientati in due metropoli reali come Roma e Milano,
regalandoci uno splendido ritratto di costume dell'epoca assieme a due
personaggi singolari come i commissari Ascanio Bonichi e De Vincenzi. In
particolare De Angelis, sentendosi accerchiato da studiosi che sostenevano
che il giallo non era da considerare una forma alta di letteratura ma anzi
era un genere capace di «corrompere i costumi morali dei lettori»
replicava che scrivere romanzi polizieschi non solo non era nocivo e pericoloso
per i lettori ma che anzi equivaleva allo «scrivere in versi»
e che «il romanzo poliziesco era il frutto rosso di sangue della
nostra epoca. È il frutto, il fiore, la pianta che il terreno poteva
dare. Nulla è più vivo e aggressivo della morte, oggi. Nel
romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo:
persino i cadaveri che sono, anzi i veri protagonisti dell'avventura.
Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può
essere l'assassino o l'assassinato». E in quelle parole ci sembra
di sentire l'eco di Gilberth Keith Chesterton che a sua volta aveva sostenuto
che «il giallo è l'unica forma di letteratura popolare che
esprima la poesia della vita moderna». La polemica fra difensori
ed accusatori del fenomeno "giallo italiano" è proseguita nel tempo,
riaccendendosi sempre immancabilmente ogni qualvolta i nostri romanzi di
genere ritornavano in classifica.
Il successo di Camilleri accese un fuoco sotto la seggiola di Eugenio
Scalfari, che un paio di anni fa in un corsivo intitolato «Il giallo
ha ucciso il romanzo» sosteneva che negli ultimi anni gli autori
di gialli e noir italiani avevano sostituito «l'analisi psicologica
dei personaggi con una serrata sequenza di fatti, gli esterni (paesaggi,
vedute, ambienti di città e paesi) sono stati di fatto aboliti.
Il linguaggio si è ristretto a pochi tratti essenziali e a un numero
di parole sufficiente al racconto cronachistico, sfumature, metafore, risonanze
semantiche, parole evocative sono state sacrificate alla rapidità
necessaria ad incalzare il lettore e tenerlo avvinto pagina dopo pagina
allo svolgimento delle vicende narrative». La polemica suscitò
un vespaio, ma in realtà a smontare l'asserto scalfariano bastava
la presenza sul mercato degli ultimi romanzi di Carlotto, Camilleri, Baldini,
Lucarelli, Piazzese, Pinketts (tanto per citare solo quelli che all'epoca
erano in libreria) in cui venivano indagati nel profondo i costumi e i
malcostumi del nostro paese con una profonda attenzione alle psicologie
dei personaggi, all'identità delle città in cui vivevano
e alle problematiche sociali che stavano travagliando all'epoca l'Italia.
Luca Crovi
Panzeri: questi "noir" sono proprio senz'anima
«Troppi effetti speciali: dov'è finita la lezione di Mauriac
e Bernanos?»
Credo che non sia stata così negativa la riscoperta del "giallo"
come struttura letteraria, soprattutto il suo "sdoganamento" rispetto all'idea
del semplice romanzo di consumo. La riscoperta che è avvenuta negli
anni Ottanta di autori come Giorgio Scerbanenco o di Cornell Woolrich o
anche di un grande svizzero come Glauser, oltre ai complessi romanzi di
Patrizia Highsmith e la rivalutazione delle loro figure come quelle di
scrittori a pieno titoli è stata salutare. La loro opera veniva
vista non solo come "romanzo di consumo" o "romanzo di genere" a se stante,
ma come una diversa modalità di affrontare la letteratura. Tutto
nasceva da una rivalutazione in chiave postmoderna.
Ora a vent'anni di distanza da quel processo di integrazione si registra
un dato opposto, che fa riflettere. Il "giallo" o il "noir" sembrano diventati
le uniche possibilità di scrittura romanzesca, mettendo in secondo
piano tutto il lavoro di ricerca dei narratori (anche ottimi) che abbiamo
in Italia. Anche questo di tipo di assolutizzazione ha i suoi rischi. E
sono molti. Infatti si rischia un impoverimento del linguaggio e dello
stile (anche se buoni narratori di romanzi gialli non mancano, tra le nuove
leve si ricordano Marco Vichi con la Firenze del suo Commissario Bordelli
e Valerio Varesi, con Parma al centro delle indagini del Commissario Soneri),
ma soprattutto una letteratura legata agli "effetti speciali" di chiara
derivazione televisiva e cinematografica. Per non parlare poi delle trame,
dove la violenza non è più indagata come avveniva nei grandi
romanzi francesi di Bernanos e di Mauriac, veri e propri gialli dell'anima,
come una lunga meditazione sul rapporto tra bene e male, ma è fine
a se stessa, sempre più efferata e tesa a colpire l'immaginazione
del lettore, più che a farlo riflettere sui temi della colpa e della
coscienza individuale.
In questo Bonura ha ragione: ma credo che non sia la rivalutazione
del giallo a dover essere messa in discussione, bensì il suo essere
diventato, ancora una volta, "romanzo di consumo". Il limbo da cui era
stato salvato un genere "nobile" che tanto ha dato alla letteratura mondiale,
si sta ripresentando, perché non sono state recepite le lezioni
della tradizione: Chesterton, il Gadda del Pasticciaccio, tutto Sciascia,
ma anche I racconti del Maresciallo di Soldati e aggiungerei anche un Testori
rimasto inedito per trent'anni, quello di Nebbia al Giambellino, perfetto
"noir" dell'anima che risente molto della lezione di Bernanos. Il "giallo",
nel momento in cui sta vivendo la sua stagione d'oro in libreria, rischia
di perdere la sua anima vera. Senza un'attenzione al tema della moralità,
è solo una macchina. Di consumo editoriale.
Fulvio Panzeri
Corriere della sera,
cronaca di Milano, 26.9.2003
L'incontro
I nuovi giallisti ricordano Scerbanenco
Serata di omaggio a Giorgio Scerbanenco a La Feltrinelli di corso Buenos
Aires 33 (ore 18.30, tel. 02.20.23.361), per l'uscita del libro «Non
rimanere soli» (Garzanti), che l'autore di «Milano calibro
9», scomparso nel '69, concepì nel 1943 come un'educazione
sentimentale sullo sfondo della guerra. Come spiega Tecla Dozio, «anima»
della Libreria del Giallo e ospite come esperta: «Questo fu probabilmente
un libro di passaggio verso lo Scerbanenco più "nero", quello che
raccontava la Milano di allora ma dà l'impressione di raccontare
cronache di oggi». Insieme alla Dozio, anche Gianni Canova e la vedova
di Scerbanenco, Nunzia Monanni, oltre a un nome della nuova narrativa gialla
milanese, Piero Colaprico.
«Leggeremo brani di Scerbanenco - spiega Dozio - e io porterò
alcune pagine in cui Fois, Lucarelli, Camilleri e altri giallisti parlano
di lui. Un erede di Scerbanenco oggi? Per il lato oscuro dei suoi personaggi,
penserei a Sandrone Dazieri, mentre per lo sfondo, la città, penso
a Colaprico, che infatti lo ebbe come modello».
Ida Bozzi
Gazzetta del Sud,
27.9.2003
«La presa di Macallè» di Camilleri
Come nasce il fanatismo
È un libro alle radici di ogni fanatismo, che analizza in un
bambino il depositarsi delle prime nozioni, il modo in cui queste per una
serie di circostanze diventano germi, fino a quando il loro confronto con
la realtà si addensa in esperienza. A questo punto è già
imboccata una strada sbilenca, che distorce e conduce alle forme insane
dell'integralismo, del fanatismo di qualunque natura. «La presa di
Macallè» (Sellerio; pp. 275 – 10 euro), il libro meno politico
di Andrea Camilleri, come egli stesso ha precisato, è la descrizione
dettagliata di questo processo psicologico. Nel suo divenire psicanalitico.
Il protagonista del libro, il piccolo Michilino, per sensibilità
personale, per abnegazione e per le influenze familiari ed extrafamiliari
in cui cresce, è «in nuce» l'individuo campione per
diventare un miope esaltato. Già capace di qualunque orrore pur
restando intimamente candido, in una fissità che convoglia tutta
la sua attenzione ad un panteismo che si è fabbricato con scarse
indicazioni, nessun spirito critico o termine di confronto e soprattutto
molti, inspiegati, divieti. Si smette ad un certo punto di condividere
il suo estremismo crescente e le strade tra il protagonista e il lettore
inevitabilmente divergono. È al punto di biforcazione che si materializza
l'inedita trovata narrativa di Camilleri: il lettore, come una mente imprigionata
in un corpo che rifiuta, vorrebbe liberarsi del ragazzino non riconoscendosi
più nel suo modo di pensare e di agire. Ma non può farlo
se non chiudendo il libro e rifiutando il gioco, rinunciandovi; se vuole
proseguire deve restare nei panni di Michilino nei quali si trova a disagio;
deve camminare nelle sue scarpe strette. L'idillio è finito. Macallè,
come Amba Aradam, come Adigrat e tante altre, è una delle caduche
conquiste africane della parentesi colonizzatrice fascista. È in
quegli anni che Michilino, priapico figlio del camerata Giugiù,
consuma la propria infanzia e pubertà a Vigata, tra la madre che
riceve sacramenti troppo poco mistici dal prete, un professore pedofilo
che cela e giustifica la propria passione dietro i costumi spartani, vedove
e cugine ai suoi occhi pericolosamente assetate di sesso che rischiano
di trascinare anche lui nel gorgo materialistico e annichilente. In anni
di etica virilità, di fulgide gesta, in impavidi eroismi, Michilino,
seviziato, solitario, sballonzolato, si aggrappa istericamente ad una unica
certezza che sfocia in un atteggiamento oggi definito terroristico. E ammazza
il Male assoluto: il comunista.
Marco Neri
Il Piccolo, 27.9.2003
Quando l'amore veste i panni della morte
La Repubblica
(ed.di Roma), 28.9.2003
Vacanze romane
I
gatti di Angela
Andrea Camilleri
Famiglia
Cristiana, 28.9.2003
Il libro
La storia coi calzoni corti
In La presa di Macallè, Andrea Camilleri racconta a sorpresa
la storia dell’indottrinamento di un bambino in epoca fascista.
Negli anni Trenta la dittatura fascista consolidava il consenso. Tra
adunate e premilitari, la retorica colpiva anche i bambini, educati al
culto della forza, dell’ordine e della disciplina. Per giustificare la
conquista dell’Abissinia, il regime instillava anche nei più piccoli
l’odio nei confronti degli etiopi, nemici selvaggi da civilizzare.
Nella Sicilia di quegli anni è ambientato il nuovo, sorprendente
libro di Andrea Camilleri: La presa di Macallè, un paradossale e
avvincente romanzo storico che esce in questi giorni. Si tratta dell’ennesimo
cambiamento di genere operato da Camilleri, che dopo le inchieste di Montalbano,
i gialli a sfondo psicologico e i romanzi storici ambientati tra Sette
e Ottocento, passa alla nostra storia recente.
La trama del romanzo è inventata e i personaggi sono di fantasia,
ma il contesto storico è reale. Camilleri non ha utilizzato documenti
ufficiali, ma ha attinto dall’album dei ricordi personali (anche se il
romanzo non è autobiografico).
«L’idea di scrivere questo libro», spiega Camilleri, «è
nata dalla domanda: perché io, bambino di dieci anni, che vivevo
in una famiglia passivamente fascista, avevo di nascosto scritto una lettera
a Mussolini chiedendo di partire volontario per la guerra in Abissinia?».
Il protagonista è Michelino, 6 anni, che la propaganda, le circostanze
della vita e i cattivi maestri trasformano in un assassino. L’elenco dei
cattivi maestri è lungo: l’insegnante pedofilo, capo dell’Opera
Balilla; il padre razzista; la cugina ossessionata dal sesso, e il prete
del paese, simpatizzante fascista.
Per un verso, dunque, il piccolo Michele sarà spinto a confondere
Cristo con il Duce e a coniugare fanatismo politico e integralismo religioso.
Dall’altra parte, invece, la propaganda razzista del padre e del regime
condurranno il bambino a odiare il santo del paese, perché di colore
e quindi "abissino".
La scelta di un protagonista così giovane è un’altra
novità. «Il racconto», spiega Camilleri, «è
nell’ottica del bambino. È come se riprendessi la scena con una
telecamera dal basso. Inevitabilmente, il bambino è più immediato
e coglie i passaggi di una vicenda in maniera diretta».
Pietro Scaglione
BresciaOggi / L'Arena,
28.9.2003
È il suo romanzo appena uscito: «il meno politico»
Camilleri spiega la Presa di Macallè
«Questo che sembra il mio libro più politico forse, al
contrario, è il meno politico». La definizione è di
Andrea Camilleri che così racconta La presa di Macallè (Sellerio,
pp.275, 10 euro) il suo nuovo romanzo appena uscito in libreria. La presa
di Macallè narra degli anni della pubertà e dell’adolescenza
di Michilino, impregnato di un cattolicesimo miope negli anni della conquista
dell’Abissinia, in una famiglia difficile, tra esperienze sessuali traumatiche.
Una miscela che ne farà in poco tempo un omicida.
Eppure per l’ambientazione nel periodo fascista di cui l’autore tratteggia
principalmente il machismo e l’imperialismo e per tante altre caratteristiche,
La presa di Macallè (una delle città abissine conquistate)
sembra volersi gettare proprio nell’agone non solo della politica, ma della
polemica addirittura. Ma non è così: «Macallè
- spiega lo scrittore siciliano - non è un romanzo realistico ma
è metaforico», caratteristica che costituisce una profonda
«differenza tra questo ed i libri che lo hanno preceduto».
Ma allora perché scegliere proprio quegli anni? «A me
- risponde - viene una spinta, un input a scrivere un romanzo e lo scrivo,
non c’è stata una scelta ragionata tra questa ambientazione e un’altra,
che so, in epoca garibaldina. Solo in parte La presa di Macallè
è una parodia della potenza fisica mussoliniana, né c’è
alcuna attinenza con il momento politico attuale, visto che l’ho scritto
due anni fa, subito dopo Il Re di Girgenti. Questo libro investe un problema
più grosso, quello definito da Konrad Lorenz come imprinting . Volevo
raccontare una storia che avesse per oggetto l’imprinting sull’uomo: il
periodo fascista è stato un momento di questo genere, in cui la
nostra testa riceveva una formazione di un certo tipo. È un periodo
di cui ho fatto parte, anche se il libro non è autobiografico, e
che conosco bene. Ma tali esperienze, tali imprinting accadono spesso e
in tutto il mondo, per diversi motivi».
La presa di Macallè è la storia di un bambino, Michilino.
Come scelta stilistica dice di essersi avvalso del paradosso. «Ma
anche - aggiunge - della metafora. Il protagonista, Michilino, da un certo
punto di vista è un uomo completo e maturo, da un altro rimane innocente
e candido». Fin troppo maturo visto che ha un eccesso di virilità.
Ha un significato questa sua caratteristica fisica? «È una
proiezione dell’inconscia violenza del bambino stesso; non è una
facile ironia né altro. Mai come in questo libro la presenza di
Gadda è stata tanto forte, ma non come elemento linguistico bensì
narrativo. Penso a quella straordinaria, parodistica e tragica analisi
del fascismo in Italia che è Eros e Priapo».
La vedova Sucato, il professore pedofilo Gorgerino, patre Burruano,
Marietta: il dato sessuale è quanto mai forte. Perché? «Parto
da lontano. Per noi l’Islam ha regole di vita che alla nostra cultura appaiono
molto limitative ma che certamente non sono avvertite come tali dai musulmani.
Dal momento che ogni cultura ha le sue mi sono chiesto: quali sono quelle
della religione cattolica? Sicuramente quelle sessuali, che spesso diventano
le più ossessive. Quindi in questo romanzo ho voluto sottolineare
in modo volutamente eccessivo le ’cose vastase’ che equivalgono ad altre
regole in altre religioni.
Questa del sesso fu per noi la regola più assoluta all’epoca,
la più martellante. La sua trasgressione, nel momento in cui fascismo
e religione si identificarono, significò commettere un peccato religioso
ed anche laico. Ci furono fortunate eccezioni ma generalmente l’educazione
cattolica si identificò perfettamente con l’educazione fascista».
Un esempio? «La propaganda del regime allo scopo di aumentare
la procreazione. Ci atterrì un medico palermitano che mi sembra
divenne vicesegretario nazionale del partito, Alfredo Cucco. Pubblicava
libri terroristici basati su una inesistente scientificità in cui
sosteneva, ad esempio, che la masturbazione e il coitus interruptus facevano
diventare ciechi o impedivano di avere figli».
Il Giro di boa si è attirato molte critiche, avverrà
lo stesso anche per La presa di Macallè ? «Mi aspetto moltissime
critiche, specie da quelli che non hanno saputo leggere i miei libri precedenti...
figurarsi questo».
Francesco De Filippo
La Nazione,
28.9.2003
Pistoia
Tradotto in tedesco il Camilleri pubblicato dalla «Libreria
dell'Orso»
Dopo il successo editoriale dello scorso inverno nelle edizioni della
«Libreria dell'Orso», Cecè Collura, creatura minore
di Andrea Camilleri e amico del più noto commissario Salvo Montalbano,
arriva sugli scaffali delle librerie tedesche (Andrea Camilleri, Die Ermittlungen
des Commissario Collura, pagg. 96, euro 10,90). Lo pubblica Wagenbach,
prestigioso editore, nella traduzione di Moshe Kahn. Il volume include
un'intervista allo scrittore siciliano.
La Repubblica
(ed.di Palermo), 28.9.2003
Il saggio di Onofri "La modernità infelice"
Da Pirandello a Sciascia, il rapporto degli scrittori con il secolo
scorso
Cent´anni di sicilitudine nell´isola lontana dal Novecento
Il grande escluso è Camilleri "È parente di Eco"
"Borgese è riuscito a leggere lo scontro fra Oriente e Occidente
attingendo al passato mentre le pagine di Verga sono un laboratorio linguistico
impensabile al Nord"
L´impermeabilità alla lezione di Freud, di Marx e degli
altri padri del pensiero ha contribuito a creare una letteratura fertile
e originale "Altrimenti la lussuria di Brancati sarebbe stata una parodia"
"La modernità infelice" (edizioni Avagnano, 192 pagine, 13 euro)
è il nuovo saggio che il critico Massimo Onofri dedica alla letteratura
siciliana del Novecento. Il libro è stato presentato ieri a Grotte
nell´ambito del premio "Racalmare", da Vincenzo Consolo, Nino De
Vita e Domenico Cacopardo.
Gli scrittori siciliani del Novecento hanno avuto un rapporto difficile
con la modernità, è questa è stata probabilmente la
loro salvezza, perché invece di scimmiottare i padri spirituali
che hanno influenzato il pensiero di tutto il secolo - Marx, Freud, Nietzesche,
Levy Strauss - hanno costruito una loro grandiosa specificità. Una
voce diversa dal coro della letteratura corrente, un pessimismo accorato
in contrasto con lo stridulo ottimismo imperante. È la tesi che
il critico Massimo Onofri sostiene nel suo saggio "La modernità
infelice". Vediamone le motivazioni.
Qual è il messaggio più significativo che lei trae dalla
lettura di questo labirintico romanzo novecentesco che è la somma
delle opere dei siciliani?
«Pirandello, Borgese, Brancati, Tomasi, De Roberto, Sciascia,
Consolo, Bufalino, ricostruiscono la controstoria di oltre un secolo italiano.
Un punto di vista diverso da quello imperante, impregnato di un´alta
temperatura civile. Prendiamo il Nord degli Scapigliati: sono autori virtuosi,
ma letti in chiave ideologica sotto lo stile non c´è nulla.
I protagonisti dei loro libri sono i nipotini del promesso sposo Renzo
Tramaglino che sposano la figlia del padrone. Una sorta di veltronismo
ante litteram. Gli Scapigliati sfoggiano lussuosi vestiti ma non percepiscono
né i cambiamenti, né le stagnazioni. I siciliani invece devastano
la visione modernista della storia e con il loro pessimismo di fondo colgono
le complessità dei mutamenti sociali e politici. Rivelando capacità
di chiaroveggenza anticipano perfino l´arrivo di un Bossi».
L´antimodernismo non diventa una sorta di palla al piede che
finisce con il condizionarli lo stesso, seppure da un lato opposto?
«Più che un antimodernismo tout court gli autori siciliani
rappresentano una sorta di non rassegnata accettazione della modernità.
Ma il loro pessimismo non è statico. Diciamo che - sulla scia di
Leopardi, sotto le cui ali spesso si riparano - sollevano utopie proiettandole
nel futuro».
Non ci dica che nel pessimismo di Consolo coglie spiragli?
«Eppure è così. Anche se il suo pessimismo è
ormai radicale coltiva la speranza flebile di una contro-società,
alternativa all´attuale. E attraverso una esasperata ricerca linguistica
diventa scrittore politico. Inventa un suo italiano per negare le affascinazioni
linguistiche pubblicitarie berlusconiane».
La ricerca linguista è un´ossessione di molti autori isolani.
C´è un motivo?
«L´insularità sicuramente. In genere i siciliani
oltre a essere testimoni dei tempi, esprimono una grande tensione linguistica.
La pagina verghiana è anche un grande laboratorio linguistico che
al Nord nemmeno se lo sognano».
Nel Novecento psicologia e sociologia irrompono nel mondo letterario.
Ma di tutto ciò c´è poca traccia nei "nostri". Per
lei è un bene. Perché?
«I siciliani mancano volutamente l´appuntamento con i geni
del secolo. E meno male. Se Brancati avesse incrociato Freud sarebbe stato
scrittore modesto. Le sue esplorazioni negli abissi della lussuria sarebbero
state una parodia. I romanzieri che sono ricorsi alle categorie psicanalitiche
sono scolastici».
Svevo non ha prodotto parodie.
«Svevo, Saba e Moravia, che ha riletto Freud in modo smaliziato,
sono le eccezioni. Gli altri hanno solo scritto mediocrità».
E Pirandello?
«È sicuramente il più novecentesco di tutti. L´autore
agrigentino è stato molto di più della cultura tedesca e
francese da lui assimilata. Gli strumenti della filosofia e dell´introspezione
sono una sorta di armatura che nasconde la sua grande ispirazione. Ma non
dimentichiamo il Pirandello de "I vecchi e i giovani", un romanzo di spessore
universale».
Lei rivaluta Patti e Borgese. Su quali basi?
«Patti non è un Brancati minore. Si muove sul crinale
del nichilismo novecentesco. Ne è prova la misoginia con cui aggredisce
i suoi personaggi femminili, la carne che precipita, la corsa verso il
nulla. Borgese è stato capace di leggere lo scontro tra Occidente
e Oriente attingendo al passato. Per spiegare Stalin ha utilizzato Plutarco.
Non male».
Perché nella sua galleria non c´è Camilleri?
«Non ci sono nemmeno Vittorini e Fiore. Vittorini manca perché
è l´unico che ha cercato un rapporto con la modernità.
Anche se non l´ha trovata mai».
E Camilleri?
«Non l´ho incontrato studiando la Sicilia. Appartiene a
tutt´altra anagrafe. Camilleri sulla scia di Eco sviluppa un´idea
di letteratura come manipolazione di passioni fredde, come gioco; molto
più funzionale al mercato. Non è polemica ma constatazione
storica».
Tano Gullo
Il
Tirreno, 29.9.2003
Santa Fiora merita un po' di vita
La Repubblica,
30.9.2003
Escono in un volume tre testi dello scrittore per la scena. Tra i quali
"Molto rumore per nulla" in dialetto
Camilleri: nel mio teatro c´è Shakespeare siciliano
Nel libro adattamenti di "Il birraio di Preston" e "La cattura" da
Pirandello
ROMA - «Autore di teatro? Ma lei lo sa che l´unico mio testo
pensato come copione io lo gettai via dal finestrino d´un treno?».
Andrea Camilleri non è un uomo, è una miniera di storie,
e si schermisce mentre in coincidenza con l´ultimo suo romanzo "La
presa di Macallè", s´annuncia altrettanto in libreria, da
domani, il volume "Teatro" edito da Arnaldo Lombardi di Palermo, una raccolta
contenente tre rielaborazioni (da un suo romanzo, da Shakespeare e da Pirandello)
intitolate Il birraio di Preston (1999), Troppu trafficu ppi nenti (2000)
e La cattura (2001), opere condivise col regista Giuseppe Dipasquale che
le ha messe in scena e ora le propone nella collana "Gioielli discreti".
Camilleri, ora che escono i suoi adattamenti teatrali lei minimizza
l´inclinazione di drammaturgo. Come mai?
«Molta della mia vita è stata segnata da un atto unico
che scrissi nel ´48, Giudizio a mezzanotte, che mi valse il Premio
Firenze, con in giuria Silvio D´Amico, Salvini, Squarzina. Nel viaggio
di ritorno rilessi però il testo, lo trovai una scopiazzatura delle
mode dell´epoca, di Sartre, e lo frullai via dal treno. Il contatto
con D´Amico mi valse comunque una candidatura al corso d´allievo
regista all´Accademia, e l´ingresso determinò tante
altre mie esperienze».
La regia poteva favorire la creatività teatrale. E invece?...
«Invece io non riesco a scrivere di primo acchito per il teatro.
Sono come paralizzato dai dialoghi. Curioso, perché nei romanzi
faccio prima parlare i personaggi e poi li faccio entrare nella vicenda».
In pratica lei è autore di commedie solo mettendo a punto riduzioni
o trasposizioni?
«È così. Per Il birraio di Preston sono partito
dalla struttura preesistente di un romanzo mio. Per Troppu trafficu ppi
nenti c´è stato il divertimento di attribuire a Shakespeare
origini siciliane rimodellando in messinese il suo Molto rumore per nulla.
E fu Turi Ferro a propormi di teatralizzare il racconto La cattura di Pirandello».
Lei autore prolifico e solitario in letteratura, firma però
sempre assieme a Dipasquale questi lavori per la scena...
«Lo so che è un mistero, la firma a quattro mani. Diciamo
che fra noi c´è un battistrada e uno che segue, e di volta
in volta cambia».
È opportuno che lo spettatore conosca già il suo romanzo,
o Shakespeare e Pirandello?
«Non è necessario. Nella conversione si perdono e si acquistano
cose. Per il palcoscenico si inventa di più, e si spiegano meglio
i passaggi temporali».
Scaturiscono sempre ritratti fatali o ammonitori della Sicilia?
«Sì. Anche se in due testi c´è l´800,
e se Shakespeare è senza epoca, viene fuori una Sicilia inconfondibile,
con ironia, forza dei sentimenti nel carattere. Più che mai nella
Cattura dove il mondo dei sequestratori diventerà la famiglia».
Come si regola per la lingua, per il dialetto?
«Il pubblico in platea ha diritto a capire, non può tornare
indietro e rileggere. Quindi attenuo le cadenze, e uso il catanese più
che il mio girgentano. La pubblicazione dei copioni permette ora di decifrare
tutto, come i libretti nella lirica. La memoria è importante. Lo
dico io che non vado più a teatro per nostalgia».
Rodolfo Di Giammarco
Supereva Guide,
30.9.2003
"La presa di Macallè" e la caduta di un idolo
Camilleri, addio!
Annunciato già da luglio, pubblicizzato come imminente alla fine di agosto, solo oggi l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri è approdato nelle librerie della mia città.
E la prima copia di “La presa di Macallè” è stata mia, che ho vissuto la spasmodica attesa del nuovo romanzo con un’ansia degna di migliore causa.
L’ho finito per forza, lottando contro il disgusto e l’indignazione che insorgevano ad ogni pagina: stavolta si è passato il segno! Adesso viene da invocare una censura per salvaguardare le menti di giovani e meno giovani.
Nigro, che ne ha firmato l’introduzione, ha un bell’ammantare il tutto con il comodo appellativo di grottesco, nobilitandolo come una priapata innocua, come una denuncia al fascismo e al cattolicesimo.
Lo spunto c’è, ed è valido: un bambino, perso dietro i falsi miti imperial-fascisti e nel demagogico catechismo cristiano, si fortifica in errati ideali di distruzione e morte.
Ma a me, che non sono un Catone, la storia intera è sembrata un’istigazione alla pedofilia, che considero il crimine più esecrabile al mondo, l’unico che meriterebbe la reintroduzione della pena di morte.
Ecco cosa ha concepito la fantasia perversa di Camilleri (e prego i minorenni di soprassedere a questa pagina): un bambino di sei anni (sic!), munito di genitali sproporzionati, assiste ogni notte alle “lotte” che sul letto si dichiarano i propri genitori.
Genitori molto poco siciliani, dal momento che il padre ha una relazione con la creata e la madre non nega i propri favori al parroco del paese, in sospetto di pedofilia per l’interesse suscitatogli dagli attributi virili (?) del bambino.
Nel paese, quest’anima innocente si imbatte nei più abietti personaggi: una vedova che per gioco si fa masturbare dall’inconsapevole ragazzino, in presenza della madre di lui, un maestro che celebra ogni vittoria italiana in Abissinia (da qui il titolo) con uno stupro al suo alunno, un ragioniere che, nel buio di un cinematografo per ragazzi, insidia i ragazzini, un compagno precoce che possiede sconci calendari da barbiere e conseguenti tentazioni sessuali e, non ultima, una laida cugina di sedici anni che lo induce ad avere con lei rapporti completi (a sei anni, ripeto! altro che grottesco, Nigro caro!) per poi ripiegare sul più maturo zio.
Il seienne, già munito di baionetta quasi funzionante e di temperino ben appuntito, ossessionato dall’immagine distorta delle sofferenze di Gesù, si improvvisa serial Killer, uccidendo o ferendo gravemente un compagno di classe figlio di comunisti (genia da estinguere, secondo il credo fascista e cattolico), il ragioniere pedofilo, un tredicenne che voleva intimorirlo, la cugina libidinosa e il padre mandrillo, ultimando la sua breve vita in un rogo da lui stesso appiccato ad maiorem gloriam Dei.
La verve linguistica, l’acutezza della polemica e della critica contro il mondo fascista e le sue collusioni con la Chiesa, il susseguirsi di colpi di scena non compensano il tono totalmente diseducativo e socialmente pericoloso.
Nessuno tocchi i bambini, neanche Camilleri!
Benedetta Colella
La Repubblica,
30.9.2003
Incontro con il regista e attore Sergio Rubini: mentre sta girando
il suo nuovo film "L´amore ritorna" esce "Mio cognato" con Lo Cascio.
Che ricorda il "Sorpasso"...
"Un malato vi guarirà"
Nanni Moretti è un punto di riferimento Da lontano è
un faro che indica una strada
[...]
«Camilleri era mio insegnante all´accademia. Disse una
volta che quando era andato via dal suo paese aveva deciso che sarebbe
tornato solo quando avesse dimenticato il numero delle colonne che sostenevano
la facciata del Comune. Io pensai allora che la stessa cosa fosse indispensabile
anche per me. I primi anni a Roma ho vissuto cercando il più possibile
di dimenticare. Poi ho incontrato Starnone: una luce nella mia carriera».
[...]
Paolo D´Agostini
Il
Tirreno, 30.9.2003
Alle radici del fanatismo
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