RASSEGNA STAMPA
GIUGNO 2005
Il Falcone Maltese,
Anno 2 n. 4, giugno-luglio 2005
Attualità
Le “All Stars” dei… Crimini
Un’antologia di Stile libero / Noir della Einaudi con molte star del
giallo italiano: Camilleri, Faletti, Carlotto, De Cataldo…
Il Falcone Maltese li è andati a sentire per voi
[…]
Andrea Camilleri risponde a Tatiana Batini
TB - Il grande pubblico ha conosciuto Camilleri attraverso Montalbano.
Ma è vero che inizia a non sopportare più questo personaggio?
AC - Vorrei ricordare che i miei primi romanzi non sono polizieschi.
la necessità di scrivere un romanzo giallo è nata da una
mia personalissima esigenza di disciplina nella scrittura. Era più
che altro un esercizio. Il primo romanzo “La forma dell'acqua” mi lasciò
insoddisfatto perché non ero riuscito a realizzare compiutamente
la figura del commissario protagonista, quindi ne scrissi un secondo, con
il quale intendevo chiudere definitivamente con il commissario Montalbano.
L’esercizio, per me, era terminato. È stato il successo di pubblico
a obbligarmi in un certo senso a continuare la serie. È certo che
scrivendo polizieschi ambientati al giorno d'oggi, mi è stato possibile
parlare anche di certi problemi socio-politici odierni, ma è pur
vero che è molto faticoso tenere in vita un
personaggio seriale senza cadere nella ripetitività. Naturalmente
sono grato a questo personaggio perché ha aperto la strada al successo
e alla conoscenza di altri miei libri non polizieschi, ma ad un certo punto
ho anche cominciato a stancarmi. E infatti non credo che il filone principale
del commissario Montalbano continuerà a lungo. So benissimo che
questa mia affermazione farà nascere la domanda: “come lo farai
morire?”. Non intendo rispondere perché non è detto che muoia
e non ho neanche la minima idea di come il personaggio sparirà dalla
pagina scritta.
Non credo che il successo di Montalbano incida sui miei scritti non
polizieschi: questi ultimi hanno uno zoccolo duro di lettori, alcuni dei
quali prescindono totalmente da Montalbano, quindi al massimo mi potrà
succedere quello che è successo a Simenon.
TB - Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un boom del giallo nella
letteratura, nel cinema, alla tv. Cosa ne pensa?
AC - Sinceramente credo che l'importanza che oggi ha assunto il romanzo
di indagine in tutti i campi (cinematografico, televisivo e letterario)
sia dovuta al fatto che dall'aneddoto enigmistico della scoperta del colpevole
si è passati a un esame più vario e approfondito della cornice
nella quale si svolge il reato. Questo ha permesso a molti scrittori di
“contrabbandare” attraverso il romanzo giallo una loro idea della società.
Una critica al mondo contemporaneo.
È chiaro che il lettore che vive lo stesso contesto, la stessa
realtà, la stessa situazione politica che viene narrata nel romanzo
si senta parte della storia, talvolta protagonista, talvolta comparsa,
ma pur sempre dentro qualcosa che conosce e che riconosce.
TB - Completando il concetto: dato che il giallo spopola in tv, al
cinema, in letteratura, si può parlare di un fenomeno di massa?
AC - Mi auguro di no, perché temo i fenomeni di massa in generale.
Spesso portano al livellamento tanto dei lettori quanto degli scrittori
o tanto degli spettacoli televisivi che del pubblico. E poi tutti i fenomeni
di massa hanno sempre breve durata ed io auguro lunga vita al romanzo giallo.
TB - Può anticipare qualcosa a proposito dei suoi progetti futuri,
letterari e non?
AC - Nella prossima estate uscirà il nono romanzo della serie
Montalbano che si intitola “La luna di carta”. Per il resto, come sempre
faccio, sto lavorando su vari progetti fino a quando uno di loro non piglierà
la rincorsa.
Anteprima
RAIUNO
Montalbano: braccia di ferro tra Rai e Zingaretti
Quattro nuove storie tratte dai romanzi di Andrea Camilieri con il
commissario di Vigata che per l'ultima volta avrà il volto di Luca
Zingaretti
Da tempo a Viale Mazzini si discute sul “caso Montalbano”. Zingaretti
non ha nascosto l'insofferenza per il personaggio che comincia a stargli
stretto e lamenta l'uso smodato che la Rai ne ha fatto con le repliche
dei vecchi episodi. Con quattro film e le repliche, la Rai si assicurò
ascolti record per ben quattordici serate. Zingaretti minacciava l'abbandono
della serie preoccupato per l'eccessiva visibilità. Poi, si è
convinto a girare quattro nuovi episodi con la promessa di non vedere riproposti
i vecchi fino alla messa in onda degli inediti.
Invece, la Rai ha deciso di mandare le repliche a breve scadenza. Zingaretti
si è mostrato contrariato. Intanto, prodotte dalla Palomar, sono
iniziate la riprese dei nuovi Montalbano.
In onda su Rai Uno nel 2006.
Federico Marchetti
Lire, 6.2005
Ecrivains. Portraits
Les maîtres
Nous suivons leurs héros depuis plusieurs années et ils confirment que leurs romans transcendent le genre. Dans tous les
cas, c'est la littérature qui gagne.
[...]
Andrea Camilleri
En littérature, le clan des Siciliens est une petite mafia qui dégaine la plume à la moindre occasion. A sa tête, un fringuant cavaliere né au pied de l'Etna en 1925: Andrea Camilleri qui truste les librairies transalpines avec un culot déconcertant. Sa spécialité? Le polar à la Simenon, dans les décors de Sciascia. Son histoire? Elle commence par la poésie, puis le jeune Camilleri se tourne vers le théâtre: il s'inscrit à l'Académie d'art dramatique de Rome, dont il sera aussitôt exclu parce qu'il fréquente trop assidûment le dortoir des filles. Cela ne l'empêchera pas d'entamer une carrière de metteur en scène, avant de sortir des coulisses pour revêtir sa casaque de romancier. Un rôle tardif, mais qui le rendra célébrissime grâce à ce héros-fétiche dont l'infaillibilité semble quasi pontificale: le commissaire Montalbano, né des amours de Maigret et de la rabelaisienne Gargamelle. Si les romans de Don Camilleri ont tant de succès, d'un bout à l'autre de la Botte, c'est parce qu'ils sont un cocktail d'intelligence, de suspense, et souvent de drôlerie. Avec, en prime, une merveilleuse truculence d'écriture. Car l'auteur de La concession du téléphone est l'inventeur d'une langue qui pétarade comme un triporteur: le «talien», mélange explosif de gouaille san-antoniesque, de rital macaronique et de patois d'Agrigente. Résultat: les traducteurs de Camilleri s'arrachent les cheveux pour lui faire passer les Alpes.
Quant aux décors préférés du maestro, ils ne changent guère: d'une plume malicieuse, il peint la vieille Sicile mafieuse qui, entre deux siestes et quelques balles perdues, barbote sur les eaux troubles de la combinazione. C'est dans cette jungle que s'illustre le roublard Montalbano. Cabotin, ronchon, fine gueule, ce commissaire de Vigàta - sorte de Palerme miniaturisée - a deux spécialités: les bonnes bouffes et les enquêtes aux petits oignons. «Une grande part de son succès, explique Camilleri, repose sur le fait qu'il n'a rien d'un surhomme. C'est un antihéros, un type très ordinaire qui pourrait être votre voisin de palier.» N'empêche, ce flic a un sacré flair. Il sait que toute filature policière commence sur le divan du docteur Freud. Il n'a donc pas son pareil pour sonder les âmes, afin de comprendre pourquoi les humains peuvent soudain flirter avec le diable.
Montalbano, on le retrouve dans Le tour de la bouée, flanqué d'une terrible gueule de bois. Il a mal dormi. On se dit qu'il a sans doute forcé sur les sardines grillées. Mais non, s'il est patraque, c'est parce qu'il vient d'apprendre que ses collègues de la police se sont comportés comme de vulgaires assassins, pendant le G8 de Gênes, en juillet 2001. Ecœuré, Montalbano a décidé de démissionner. Et pourtant il va reprendre du service à cause de ce cadavre déchiqueté qu'il découvre sur la mer, au cours de sa baignade. La suite? Une enquête à haut risque, sur un sujet particulièrement sensible: l'immigration clandestine. Avec tellement de morts sur le canal de Sicile «que bientôt on pourra aller à pied en Tunisie, en leur marchant dessus». On croise dans ce polar une belle brochette de pégreleux, des trafiquants d'enfants, des promoteurs pourris et un funeste balafré harnaché de colliers. De quoi aiguiser l'appétit de Montalbano, qui s'affûte joliment les dents sur cette sale affaire. Mais qui reste pourtant inconsolable, parce que sa trattoria favorite vient de fermer ses portes.En même temps, voici Le cours des choses, le tout premier roman de Camilleri, achevé en 1968 et déjà parfaitement ficelé. Nous sommes dans un bled sicilien gangrené par la mafia, en compagnie de l'adjudant Corbo - Montalbano, à l'époque, n'était pas encore en piste, mais les deux hommes se ressemblent comme deux gouttes de grappa. Tout commence par un fait divers: un paysan a déniché dans son champ le cadavre d'un berger, avec une paire de chaussures délicatement posées sur le torse... Là-bas, ce genre d'indice ne trompe pas et l'intrigue se dénoue tambour battant, pendant que que les vieux fantômes du fascisme s'ébrouent dans le bénitier paroissial. Du Camilleri pur jus, et un tableau clochemerlesque de cette Sicile féodale où la corruption se prélasse au soleil: comme si Pagnol et Giono écrivaient pour la Série noire. A.C.
Le tour de la bouée, traduit de l'italien par Serge Quadruppani 234 p., Fleuve noir, 18,50 euros
Le cours des choses, traduit de l'italien par Dominique Vittoz 166 p., Fayard, 15 euros
[...]
Christine Ferniot
La Sicilia, 6.6.2005
Caltanissetta - Mari espone il suo progetto per la riqualificazione di Settefarine
Enzo Mari, designer di fama mondiale e vincitore per tre volte de 'Il compasso d'oro' sarà a Gela il 18 giugno
a presentare il progetto preliminare ed il plastico sulla riqualificazione di Settefarine.
A Mari l'amministrazione comunale di Gela ha affidato il compito di riqualificare il quartiere simbolo dell'abusivismo
edilizio.
[...]
Il progetto sarà presentato nell'ambito della prima giornata di un convegno nazionale di architettura che si
svolgerà in città e che vedrà a Gela architetti di fama ma anche scrittori, tra cui Andrea Camilleri
[Camilleri non era presente, NdCFC].
[...]
M. C. G.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 7.6.2005
Olivia Sellerio canta da Expa i versi di Camilleri
È da oggi ufficialmente in distribuzione nazionale il disco d´esordio
di Accabbanna, il gruppo siculo-ligure guidato dalla vocalist palermitana
Olivia Sellerio e dal contrabbassista genovese Piero Leveratto. Dopo il
debutto estivo dello scorso anno ad Umbria Jazz (a Palermo si sono esibiti
nell´atrio di Palazzo Steri) e in attesa di partecipare il prossimo
luglio a Siena Jazz, Accabbanna (in siciliano da questa parte, ndr) sembra
essere divenuta la new thing del momento nel panorama musicale italiano
per l´originalità di un percorso che, in forme nuove, esplora
i possibili rapporti tra la tradizione popolare siciliana e i suoni e la
sensibilità improvvisativa del jazz.
Forse per trovare l´album nei negozi dell´isola bisognerà
attendere qualche giorno in più ma, intanto, il gruppo stasera alle
19,30 (ingresso libero) farà festa nell´atrio di Expa, la
galleria di architettura, grafiche e design di via Alloro 97 che in poco
tempo si è affermato come uno dei luoghi di aggregazione preferiti
dal pubblico palermitano. A sottolineare l´importanza dell´evento,
la band si presenterà al gran completo per proporre alcuni brani
con i due co-leader a fare da anfitrioni e con i siciliani Gaspare Palazzolo,
sax, Tobia Vaccaro, chitarre e violino, Mauro Schiavone, piano, Giovanni
Apprendi, percussioni, ed il prestigioso trombettista genovese Giampaolo
Casati.
L´album, in edizione cartonata digipack con testi in siciliano
e traduzione inglese di Warren Blumberg, gode della raffinata grafica che
contraddistingue le emissioni dell´etichetta Egea ed è arricchito
dalla suggestione narrativa di una dozzina di scatti firmati da Enzo Sellerio
e da note di copertina, mai come in questo caso davvero preziose e illuminanti,
nelle quali Elsa Guggino racconta con delizioso tono discorsivo, ma precisandone
con attenzione i riferimenti musicologici, l´avventura artistica
che ha portato Olivia Sellerio e la sua voce dalle iniziali frequentazioni
del Folkstudio alla passione per il canto jazz sotto la guida di Maria
Pia De Vito e Loredana Spata. Fino a giungere, adesso, al desiderio di
fondere in un´unica espressione globale esperienze apparentemente
assai distanti.
Le undici tracce dell´album, in prevalenza tradizionali come
"Cantu di la Vicaria", "Spartenza" e "Quannu moru" (quest´ultima
della grande Rosa Balistreri), nascono dall´elaborazione di temi,
parole e suoni ricavati dai testi etnomusicologici del Favara e di Salomone
Marino e da registrazioni storiche curate dal Folkstudio di Palermo: materiali
che poi sono stati elaborati dal gusto e dalla competenza di Leveratto,
contrabbassista, compositore ed arrangiatore di grande esperienza e spessore.
Presenti anche due brani strumentali e, inoltre, "Latri di passu", dall´insolito
mood brasiliano, in cui la musica scritta dalla stessa Sellerio si avvale
delle parole di Andrea Camilleri.
Gigi Razete
Il Quotidiano
della Calabria, 7.6.2005
"La mossa del cavallo" diventa un'opera teatrale
Da Camilleri al palco
Recitare ciò che è narrato. Un esperimento tutt'altro
che facile quello in cui si cimenteranno giovedì sera i componenti
del "Gruppottanta" quando in un sicuramente gremito Cinema Teatro Italia,
alle 20:30, alzerà il sipario su "La mossa del cavallo".
La rappresentazione presentata dalla III circoscrizione di Cosenza
e dal Gruppoottanta, sarà la narrazione scenica dell'omonimo libro
di Andrea Camilleri, il cui romanzo è stato tradotto magistralmente
in opera teatrale dal talento e dall'estro del regista Ennio Scalercio.
"Ne La mossa del cavallo metto l'accento sul rovesciamento dei ruoli
(il testimone che viene fatto passare per colpevole); insisto su un gioco
delle parti che mi sembra essere sempre più consueto nell'Italia
d'oggi." Queste le parole di Andrea Camilleri, sintesi perfetta del senso
profondo del suo scritto. "La mossa del cavallo", forse l'opera più
politica dello scrittore di Porto Empedocle, è un coinvolgente romanzo
storico-politico che trae spunto da un reale fatto di cronaca: l'assassinio
di un prete corrotto. Protagonista, un "siciliano che parla genovese",
un giovane finanziere, Giovanni Bovara, siculo di nascita, ma genovese
d'adozione, testimone dell'uccisione del prete, che poche ore dopo aver
reso la sua deposizione viene arrestato e accusato proprio dell'omicidio
denunciato, finendo con l' impattare contro lo spesso muro di omertà
che circonda il fenomeno mafioso. Ambientata tra il 1 settembre e il 15
ottobre 1877, la storia può contare sulle due maggiori gemme che
la narrativa dello scrittore, noto ai più per i suoi racconti sul,
reso famoso dalla serie televisiva, Commissario Montalbano, abbia mai messo
in mostra: la caratterizzazione dei personaggi e l'abilità linguistica.
"La mossa del cavallo" prolifera infatti di caratteri irresistibili,
persino quelli delineati con un abbozzo o poche righe. Inoltre l'accostamento
del dialetto genovese, ostico per chi non è di quelle parti, con
quello siciliano, più agevole per il lettore fedele di Camilleri,
sono gli ingredienti che fanno del testo una lettura che si divora.
C'è da giurare che i sapori della cucina, gli odori dei luoghi
e della vegetazione, descritti con grande perizia da Camilleri, che riesce
a calarci in una Sicilia calda e soleggiata della quale riusciamo persino
a sentire il calore del sole sulla pelle ed il frinire delle cicale, con
altrettanta arte saranno rappresentati da chi giovedì sera calcherà
il palco del Cinema Teatro Italia.
Le premesse per trascorrere una piacevole serata ci sono tutte: attori
per "hobby" ma di decennale esperienza, regista dalla stoffa indiscutibile,
novità della rappresentazione, testo inimitabile.
Uno spettacolo, dunque, da non perdere.
Francesca Cannataro
Il Mattino,
8.6.2005
Il binomio metaforico «donna-luna» usato nella poesia,
nella letteratura, nell’immaginario occidentale? Secondo Andrea Camilleri
viene dagli arabi, e non dai provenzali. Partecipando ieri alla Farnesina
alla conferenza stampa di presentazione di «Sabir:
Circolo Mediterraneo di Conversazione», curato da Isabella Camera
D’Afflitto e voluto dal Ministero degli Affari Esteri con la Commissione
Europea, gli Enti Locali siciliani e l’Università di Catania (dal
23 al 26 giugno a Ragusa, Modica e Scicli) lo scrittore siciliano parla
dei legami che sin dall’anno mille hanno legato la cultura araba a quella
italiana. Curiosa coincidenza, il suo prossimo libro, il nono della serie
del commissario Montalbano, in uscita il 23 giugno con Sellerio, si intitola
Luna di carta. Camilleri, che cosa racconta il suo nuovo romanzo? «Montalbano
è alle prese con due donne. Due donne diverse e intriganti: lo impegneranno
per un bel po’». Vuol dire che tradisce Livia, la sua eterna fidanzata?
«Assolutamente no, ci mancherebbe! Sono due personaggi che si trovano
dentro a una indagine che Montalbano conduce». Come si chiamano?
«Non lo so, l’ho dimenticato». Sta scrivendo qualcosa di nuovo?
«No. Intendo riposarmi; d’altronde, per me Montalbano è come
la carne gettata ai lupi di un romanzo di avventure russo letto quando
era ragazzo, Come divenni calmucco». Carne per i lupi? «Già.
Nel romanzo c’è una slitta inseguita dai lupi, chi la guida, furbo,
getta alle spalle pezzi di carne congelata conservati dentro un sacco.
I lupi si fermano a mangiare e la slitta può proseguire. Ecco: i
racconti sono come la carne per il lupo Montalbano, ogni tanto gli scrivo
un racconto per tenerlo buono e permettermi di continuare a scrivere e
fare altro». Come le Conversazioni Mediterranee? «Un’iniziativa
entusiasmante, che animerà a fine mese l’area maggiormente barocca
della Sicilia e che più di tutte resistette alle invasioni saracene.
Le Conversazioni si sono date un nome bellissimo, quel ”Sabir” che letteralmente
significa ”lingua mista costituita da vocaboli francesi, italiani e arabi
e strutturata in un sistema grammaticale molto elementare, parlata fino
al XIX secolo nei porti mediterranei”. Una specie di esperanto marinaresco,
commerciale. Lingua franca parlata da marinai, pescatori, pirati, armatori
sbarcati sulle sponde mediterranee». Una lingua poco conosciuta...
«Mi piacerebbe moltissimo trovare fonti scritte in questa lingua.
Mi chiedo: come si diceva "mare"? E "barca"? "Un quintale", come suonava?
Mi incuriosisce tantissimo». Lei, Camilleri, la lingua per le «carni
gettate ai lupi» se l’è costruita con grande successo. «E
mi ritengo fortunato perché ha avuto cittadinanza: almeno, quella
italiana. Ovviamente non è traducibile, ma non conoscendo altre
lingue oltre l’italiano non posso apprezzare, o disprezzare, le traduzioni
per esempio in giapponese. Quelle in francese, in spagnolo, in inglese
mi sembrano buone». Che sogno ha per il Mediterraneo? «Vorrei
che il Mediterraneo diventasse un lago. Inizialmente era luogo di unione,
oggi è il contrario. Per questo motivo, qualunque tentativo di togliere
paletti o fili spinati che impediscono quella unione, sono assolutamente
importanti. Queste "Conversazioni" sono semplicemente una occasione di
incontro: ci si riunisce e si parla. La nostra vera ricchezza è
lo scambio culturale: almeno, la cultura non soffre dei patemi dell’economia.
È politica super partes per conoscere il vero volto di una civiltà,
e non i suoi lati estremistici». Un esempio? «Le cito una poesia
di Ibn Hamdìs, il maggiore dei poeti arabi di Sicilia, del 1050
circa. ”Ti vedo che stai navigando, fra le procelle, un mare / immenso,
ove non si è sicuri dagli infortuni (...) Ma più che valicare
il mare, secondo me, son più dure / le cose che ti costrinsero a
passarlo”. Veda, anche allora, come oggi, cose dure costringevano i due
popoli che abitavano sulle opposte sponde a passare il mare in cerca di
libertà, di lavoro, di dignità. Sarebbe bello pensare un
giorno al Mediterraneo come a un quieto lago la cui gente, usando una immagine
di Giulio Salvadori, poeta, divisa la mattina per andare al lavoro, si
raccolga la sera lungo le sue rive come a uno stesso focolare, sotto una
stessa lampada».
Maria Tiziana Lemme
La Sicilia, 8.6.2005
Viaggio letterario nel Mediterraneo
Roma. Alla ricerca delle rotte del “mare bianco”, l'al-Bahr al-Abyad,
come lo chiamano gli arabi, cioè il mar Mediterraneo, in un intreccio
di culture e di luoghi. Un incontro tra scrittori e uomini di cultura della
sponda Sud e della sponda Nord per creare “Sabir,
circolo mediterraneo di conversazione”. L'intenzione è di dare
vita ad un forum permanente attraverso un ambizioso progetto culturale
presentato ieri mattina nella sala “Mappamondo” del Ministero degli Affari
Esteri.
Una sorta di festival della letteratura mediterranea che si terrà
dal 23 al 26 giugno in tre citta' barocche della Sicilia divenute patrimonio
dell'Unesco: Ragusa, Modica e Scicli. Un dialogo tra intellettuali di 28
Paesi diversi che vivono e operano lungo le coste del Mare Nostrum attraverso
una serie di manifestazioni ed eventi, dagli incontri nelle piazze e negli
angoli suggestivi con i poeti alle mostre e i concorsi di pittura, per
arrivare a delle rappresentazioni teatrali, proiezioni di documentari e
perfino all'inaugurazione di un museo della storia locale e di una pinacoteca.
Storie e miti del Mediterraneo da conoscere e raccontare.
A presentare l'iniziativa sono stati ieri mattina il sottosegretario
di Stato agli esteri, on. Peppe Drago, l'assessore regionale al turismo,
Fabio Granata, lo scrittore Andrea Camilleri, il preside della facoltà
di lettere dell'ateneo di Catania, il direttore scientifico di Sabir, Isabella
Camera D'Afflitto. «Nell'anno del Grand Tour e del Viaggio letterario
- spiega Granata - l'idea di un festival che ponga la Sicilia al centro
di un'area geopolitica strategicamente importante, va oltre l'evento culturale
e rappresenta un tassello fondamentale in attesa del 2010, quando il Mediterraneo
diventerà area di libero scambio. Per questa ragione sento di attribuire
grande importanza all'iniziativa nata da un'intuizione elaborata dal Ministero
degli Esteri».
A Roma, per la presentazione, c'erano anche i rappresentanti degli
enti locali che ospiteranno la manifestazione. Tra questi il sindaco di
Modica, Piero Torchi: «E' un appuntamento di straordinaria importanza
e valenza. E' uno degli appuntamenti culturali più importanti in
Europa per questo fine 2005. E' anche la consapevolezza della centralità
del nostro territorio che si pone al centro del Mediterraneo in prossimità
della scadenza del 2010 e diventa non più periferia d'Italia ma
diventa riferimento strategico del Mediterraneo e della integrazione tra
i popoli. Un fatto di assoluta e straordinaria importanza che vede Modica
e questo territorio protagonista. E' un'idea che è partita dal territorio.
Questo è un fatto che ha una sua valenza significativa trovando
l'adesione della Commissione Europea e che ha avuto anche l'adesione del
Ministero degli Esteri. Questa importante iniziativa porta la novità
di essere partita dal territorio e noi ne siamo protagonisti».
Nel corso della conferenza stampa l'on. Granata ha annunciato che l'8
luglio Modica sarà protagonista della “festa regionale della consapevolezza
culturale” che culminerà con un concerto di Noa. Il “Sabir” era
la lingua franca del Mediterraneo, un incrocio di più lingue tutte
fuse in un'una. Ed in questo senso la manifestazione culturale si propone
di far incontrare e dialogare in maniera articolata e periodica gli intellettuali.
Michele Barbagallo
La Repubblica
(ed. di Palermo), 8.6.2005
Oggi, per il 191esimo anniversario della fondazione dell´Arma,
s´inaugura una mostra con materiale che arriva dai comandi di tutta
l´Isola
Due secoli di storia siciliana raccontati dai carabinieri
Cartoline, manifesti documenti e oggetti esposti nella caserma Bonsignore
La cerimonia alle 11. "Immagini della memoria" resterà per una
settimana
A far tradire ad Andrea Camilleri, almeno per una volta, il commissario
di polizia Salvo Montalbano ci sono riusciti solo loro. Non era un´impresa
da poco. Per l´edizione 2005 dello storico calendario dell´Arma
dei Carabinieri distribuito in un milione e mezzo di copie e diventato
ormai oggetto di culto per i collezionisti lo scrittore di Porto Empedocle
si è inventato il personaggio del maresciallo Antonio Brancato,
comandante della stazione dei carabinieri dell´immaginaria cittadina
siciliana di Belcolle e protagonista del racconto "Il medaglione". Sviluppato
in dodici capitoli, uno per mese, e illustrato dalle tavole del pittore
Sergio Ceccotti.
Saranno esposti anche le prime edizioni dei calendari dell´Arma
dei carabinieri all´interno della mostra "Immagini della memoria"
che attraversa la storia delle legioni siciliane dei carabinieri. L´esposizione
prenderà il via oggi, alle 19, presso la caserma Bonsignore di corso
Vittorio Emanuele, sede del comando territoriale dell´Arma, in occasione
della cerimonia di celebrazione del centonovantunesimo anniversario della
fondazione dell´Arma dei carabinieri.
[…]
Giovanni Di Stefano
La Repubblica, 10.6.2005
Zingaretti: lascio il commissario
In Sicilia sul set della fiction diretta da Alberto Sironi
L´attore: "Girerò altri due episodi a ottobre e abbandonerò
la serie"
"Devo molto all´eroe di Camilleri, ma è tempo di cambiare"
"Per un attore l´importante è entrare in scena, ma ancora
più importante è uscirne"
San Vito Lo Capo (Trapani) - La casa dei contadini è di pietra,
sopra la montagna di Custonaci, aspra, bellissima, si domina tutto il panorama.
Più in là la riserva dello Zingaro, il mare è fermo.
Alberi di gelso e di fico, gerani, nei recinti capre, mucche e cavalli;
su un tavolaccio una bottiglia di vino, una pentola. «Commissario,
commissario. Sono passati di qui: la minestra è ancora calda».
Gli uomini di Montalbano non fanno in tempo a finire la frase, il bandito
Sella apre il fuoco dall´alto. Una sparatoria furiosa, l´eco
dei colpi rimbalza da un costone di roccia all´alto. Quando il regista
Alberto Sironi dà lo stop, gli spari sono ancora nell´aria,
come un effetto speciale naturale. Se per Montalbano, ferito, alle prese
con uno dei casi più orrendi e dolorosi della sua carriera, un traffico
di bambini, questo (come il titolo del romanzo di Andrea Camilleri) è
il Giro di boa, lo anche per il suo interprete, Luca Zingaretti. «Dopo
Par condicio e Giro di boa, in autunno mi aspettano gli ultimi due episodi
della serie», annuncia l´attore «Tutte le cose belle
finiscono, anche Montalbano. Come dice Camilleri: "Per un attore l´importante
è entrare in scena, ma è ancora più importante uscire
di scena"».
Zingaretti, lei deve molto a Montalbano.
«È vero. Magari farò la figura del naif ma non
credevo, quando abbiamo iniziato, che sarebbe andata così bene.
Quando seppi che un produttore cercava il protagonista corsi a comprare
i libri, tra l´altro Camilleri era stato mio insegnante. Rimasi fulminato:
era un personaggio ricco, scritto benissimo. Ma il percorso lo abbiamo
fatto tutto, fino alla fine: cos´altro potrei dare a Montalbano?
A ottobre gireremo La strategia [Sic!, NdCFC] del ragno e Il gioco
delle tre carte, poi basta».
Cosa succederà della serie?
«Non so se il personaggio continuerà a vivere con un altro
attore, io ho voglia di vivere altre esperienze. Se non lo faccio adesso,
nel pieno della maturità artistica, non lo farò mai più.
Lascio nel momento in cui mi sento comodo nel personaggio, al massimo livello.
Certo, è un rischio. Lo stesso che ho corso quando andai a fare
il provino per Montalbano, con gli amici che mi dicevano: "Non lo fare,
perché ce lo rovini". Non assomigliavo al personaggio creato da
Camilleri. Adesso lettori e spettatori lo immaginano come me, con la mia
faccia».
Nel "Giro di boa" anche Montalbano è stanco.
«Sì, ha dovuto impugnare un´arma, una delle rare
volte, ed è stato ferito. Ma soprattutto soffre per le ferite che
non riesce a curare. L´indagine sulla pedofilia, sul traffico di
bambini, è come se lo avesse svuotato: ha bisogna di ripulirsi.
Abbiamo immaginato che si vada a rifugiare in una casa su montagna, dove
potersi ritrovare. È un uomo solo, uno degli aspetti affascinanti
del personaggio».
Alla fine ha una vita privata irrisolta.
«È vero, dal punto di vista affettivo è irrisolto.
Nei libri di Camilleri ha una decina di anni più di me, è
uno che ha deciso di vivere la sua vita senza punti fermi. Ama Livia che
è lontana, anzi, forse la ama proprio per questo. Anche nel rapporto
col suo braccio destro, Mimì Augello, non riesce a fidarsi completamente.
Però gli dispiace se va via. Quello di non saper esprimere i sentimenti
è uno degli aspetti che ispirano tenerezza. Poi sì, è
egocentrico: o gli sei amico o lo detesti».
Ci vuole coraggio a lasciare un personaggio come questo. Potrebbe continuare
a interpretarlo, facendo altro.
«Non sarebbe la stessa cosa. Ciclicamente, nella mia vita, devo
voltare pagina. È successo col teatro, quando stavo nella compagnia
di Luca Ronconi. Rinnovarsi è l´unico modo per capire dove
puoi arrivare, metterti alla prova. Ora vorrei provare con un genere che
adoro, il documentario. Con la mia ex moglie Margherita abbiamo girato
una serie di conversazioni con Suso Cecchi d´Amico, realizzate con
Rai Cinema. Bellissimo. Non volevo più lasciare la moviola».
Dica la verità, vuole tornare al cinema?
«Non ho mai sofferto di complessi d´inferiorità
nei confronti del cinema, il mio filmetto all´anno l´ho sempre
fatto, ho fatto televisione al top, tutta la fiction era di qualità
cinematografica».
L´incontro con Roberto Faenza, che le ha affidato il ruolo di
don Puglisi, è stato importante?
«Sì. È un regista magnifico: vuole che un attore
tiri fuori il suo punto di vista, si confronti, e poi lo guida. Ho girato
con lui anche I giorni dell´abbandono, dal libro di Elena Ferrante,
che potrebbe andare alla Mostra di Venezia, con una strepitosa Margherita
Buy. Il romanzo racconta di una donna lasciata dal marito, la sfida era
non dare a quest´uomo la patente dello stronzo. È semplicemente
un uomo che ha smesso di amare. Un attore non si deve avvicinare al personaggio
con atteggiamento moralistico. Non deve giudicare».
Ma saper interpretare.
«Sì, aderire al personaggio. Poi quello che penso lo tengo
per me, ognuno nella vita ha motivazioni intime. Dopo Vite strozzate qualcuno
mi ha detto: "Lo sa che alla fine mi dispiaceva che l´infame muore?".
Ecco, bisognerebbe tener conto dei buchi neri. Io ne tengo conto, anche
nella vita. Mi sento in empatia con gli altri, e sento le persone negative.
Avverto la negatività come un cattivo odore».
Montalbano cosa le ha lasciato?
«Come Don Puglisi, Perlasca, mi ha fatto riflettere su me stesso,
sulla vita. Quando ho iniziato, non sapevo di dover fare una serie, poi
è arrivato il successo, la consapevolezza. Se prima mi chiamavano
commissario per strada, adesso sono Zingaretti. Sono cresciuto. Lascio
Montalbano, come quando finisce un amore. Non è colpa di nessuno.
Il personaggio non dà segni di stanchezza, sono io che sento di
dover scendere dalla barca. Anche se Camilleri ogni tanto ci prova a farlo
fuori».
In che senso?
«Beh, gli fa venire un infarto in acqua, ormai è la seconda
volta che gli sparano».
Progetti?
«A ottobre gli ultimi due Montalbano, poi ho un futuro da inventare».
Silvia Fumarola
La serie del commissario Montalbano con la regia di Alberto Sironi,
tratta dai libri di Andrea Camilleri (Sellerio editore) debutta nel 1999
su RaiDue con Il ladro di merendine e la Voce del violino, seguita da 7
milioni di spettatori (25% di share). È prodotta da Carlo degli
Esposti per Raifction, curatissima nella sceneggiatura (Camilleri, Francesco
Bruni), nella scenografia (Luciano Ricceri), nella fotografia di Stefano
Ricciotti. Si grida al miracolo: è cinema in tv. Nel cast con Zingaretti
Cesare Bocci, Peppino Mazzotta, Davide Lo Verde, Angelo Russo è
l´irresistibile Catarella. Katharina Bohm è Livia. Arrivano
La forma dell´acqua e Il cane di terracotta. La serie (La gita a
Tindari e Tocco d´artista) è promossa su RaiUno: sfiora i
10 milioni di spettatori, (oltre 8 in replica). I lettori di Camilleri
applaudono, chi non conosce i libri corre a comprarli. È boom di
turisti sui luoghi di Montalbano: l´immaginaria Vigàta viene
individuata da Ricceri nella zona di Marina di Ragusa. Meta di pellegrinaggi:
la tonnara di Scopello, Ragusa, San Vito Lo Capo.
(s.f.)
Scirocco, maggio-giugno 2005
Palermo
WWW.VIGATA.ORG
Libri e computers appartengono a due mondi comunicativi distanti. La
freddezza di uno schermo non può sostituire il piacere tattile che
si prova sfogliando una pagina, profumo di carta e d'inchiostro che fluiscono
nella materialità difficilmente riscontrabile nei bite di un pc.
Accade, però, che la telematica incontri la letteratura. Accade,
per esempio, che alcuni ragazzi impiegati presso un'azienda di telecomunicazioni
scoprano uno scrittore siciliano come Camilleri e creino un sito internet
a lui dedicato, divenendo un punto di riferimento internazionale.
Abbiamo incontrato uno di questi, Filippo Lupo, Presidente del Camilleri
Fans Club.
Come nasce questa iniziativa del sito, www.vigata.org?
L'idea nasce assolutamente in maniera non pianificata, quasi casuale.
Nel 1996, ho letto il libro di Camilleri, "La stagione della caccia", consigliatomi
da un amico. Non conoscevo Camilleri, nonostante Montalbano fosse già
abbastanza noto; mi è piaciuto molto e ne ho fatto argomento di
conversazione con amici appassionati come me, che tra l'altro sono anche
colleghi di lavoro con i quali scambio abitualmente opinioni su musica
e libri. Ebbene, il mio entusiasmo li ha contagiati.
Uno di questi, un giorno ha spedito una mail con l'intestazione "Camilleri
fan club" a tutti gli altri per puro divertimento, e, solo qualche mese
dopo, un secondo del gruppo ha creato in embrione quello che poi è
diventato il sito ufficiale in rete.
Con la creazione del sito, abbiamo cominciato a ricevere apprezzamenti
dalla gente che ci contattava tramite i motori di ricerca, più avanti
abbiamo migliorato grazie all'approfondimento delle notizie e la creazione
di una mailing list in grado di attirare contatti - tuttora parte viva
di quello che chiamiamo club - mentre il sito ha iniziato a rappresentare
una sorta di archivio sempre più completo con documenti, foto, approfondimenti,
biografie.
Le biografie riguardano solo Camilleri, oppure altri scrittori?
Il sito è dedicato a Camilleri, ovviamente, nonostante molta
gente pensi si tratti del sito di Montalbano, che per i fans purosangue
è solo uno degli aspetti letterari di Camilleri.
Cerchiamo di inserire nel sito tutto quello che riguarda lo scrittore,
non solo l'aspetto strettamente legato ai romanzi, ma anche la sua attività
di regista o l'esperienza di produttore alla Rai.
Poi, però, ci sono varie sezioni particolari, come quella che
chiamiamo "altri autori". Cioè, in maniera del tutto arbitraria
e con scelte personali, suggeriamo degli scrittori che per un motivo o
per un altro ci hanno interessato, ci sono piaciuti, ci sono sembrati validi
e quindi pensiamo sia giusto contribuire alla loro conoscenza presso i
lettori. Lo facciamo trarnite l'indicazione del link del loro sito, quando
lo possiedono, o creando pagine nelle quali inseriamo qualche informazione
che, in alcuni casi, diventano quasi un mini sito, riconosciuto dagli autori
stessi come il loro sito non ufficiale, ma comunque completo. Scrittori
come Marcello Fois, Giancarlo De Cataldo, Gianrico Carofiglio, ad esempio,
indicano il nostro sito come il più valido per le informazioni che
li riguardano.
I contatti che avete con il sito provengono da tutta Italia?
Abbiamo iscritti nella mailing list e nel fan club provenienti da tutto
il mondo. Ad esempio, una delle socie storiche, una delle più attive,
è una canadese, insegnante di linguistica all'Università
di Toronto che grazie al nostro club ha partecipato, come relatrice, ad
un convegno su Camilleri organizzato dall'Università nel 2000.
Poi riceviamo contatti non necessariamente di fan, ma anche di "addetti
ai lavori". Per esempio siamo stati contattati da traduttori stranieri
delle opere di Camilleri, come uno scrittore norvegese che ha chiesto informazioni
sul significato di alcuni termini dialettali in italiano, che poi ha tradotto
citandoci e ringraziandoci, oltre ai contatti che gli editori stranieri
chiedono con gli editori italiani o direttamente con lo scrittore.
Siamo anche abbastanza citati da studiosi e ricercatori che ci contattano
per avere materiale per relazioni da presentare in convegni specialistici
e questa è una delle cose che più ci inorgoglisce.
Grazie al contatto con Sellerio, dal quale è nato il cd-rom
su Montalbano, curato da noi in alcune parti redazionali come il dizionario
vigatese-italiano, abbiamo potuto svolgere delle attività originali,
coinvolgendo tutta la mailing list e lavorandoci anche in privato per il
poco tempo a disposizione, fatica ricompensata da belle soddisfazioni.
Camilleri cosa pensa del sito, vi conosce?
Camilleri ci conosce, anche se per questioni logistiche, visto che
lui vive a Roma, non possiamo vederci frequentemente. Cerchiamo di raggiungerlo
quando lui è in Sicilia o quando qualcuno va a Roma. Comunque abbiamo
diversi uomini, quelli che noi chiamiamo "diligati", che seguono lo scrittore
nelle manifestazioni di presentazione di libri o vari eventi pubblici.
L’anno scorso, per esempio, ha ricevuto un premio a Vigevano e si è
creata una task- force lombarda che lo ha seguito.
Lui stesso ci segnala a chi è interessato. Ci è capitato
di ricevere contatti da gente che, volendo parlare con lui, è stata
poi dirottata sul nostro sito.
Il nucleo storico, il direttivo del Club, è formato da progettisti
software in una azienda di telecomunicazioni, da non addetti ai lavori
nel campo della letteratura, come ci dice lo stesso Filippo, da laureati
in matematica, tecnici e periti informatici, capaci però di creare,
sarà anche per babbìo, come loro stessi ammettono,
uno strumento-sintesi tra la passione per la letteratura e l'utilizzo di
Internet.
"Perché viviamo su Internet, anche se poi cerchiamo di materializzarci
ogni volta per organizzare presentazioni di libri non necessariamente di
Camilleri, cene sociali e schiticchi vari."
Eleonora Bommarito
La Repubblica, 11.6.2005
La mappa degli scrittori siciliani dimenticati
Venti e passa anni fa un critico letterario non siciliano tentò, con un articolo su un quotidiano del nord, di tracciare una sua affettuosa mappa degli autori siciliani del Novecento, o meglio degli autori italiani nati nell' Isola. Partito da Messina e tributato il doveroso omaggio a Stefano D' Arrigo, proseguì per Catania scordandosi di Bartolo Cattafi e qui arrivato innalzò due bandierine coi nomi di Brancati e Patti dimenticandosi di Aniante; tra Caltanissetta ed Enna segnò una crocetta col nome di Savarese ma omise di metterne almeno un'altra col nome di Francesco Lanza. Peccati non tanto veniali, riscattati, torno a ripeterlo, da un senso profondo di stima e considerazione che trapelava ad ogni rigo. La mappa che invece da tempo va disegnando Salvatore Ferlita ha la nascosta (ma poi non tanto) ambizione di proporsi come esaustiva. NEL 2004 Ferlita ha pubblicato una raccolta di suoi scritti sulla letteratura isolana contemporanea intitolata "Altri siciliani". Basta sfogliare il volume per spiegarsi subito il titolo.
Nessun saggio è, infatti, dedicato ai grandi nomi, da Sciascia a Bufalino, da Bonaviri a Consolo, a Ferlita interessano appunto gli altri, quelli che stanno sorgendo all'orizzonte letterario con forza, autorità e una fisionomia sempre più definita, oppure gli apolidi come Riotta o i siciliani d' adozione come Alessandra Lavagnino (a quest' ultima categoria si potrebbe aggiungere Luisa Adorno). Coerentemente, per quanto riguarda la poesia, non ci sono i nomi di Quasimodo o di Piccolo, ma quelli di De Vita, Isgrò e Maria Attanasio. Ma già nella sua prefazione a quel libro Ferlita adopera, sia pure di sfuggita, la parola "mappa". Una mappa che l'autore sapeva allora ancora incompleta, perché il territorio letterario siciliano è ricco di fiumi carsici, di fonti d' acqua ora potabile ora amara nascoste da folte vegetazioni, da limpidi o limacciosi laghetti resi invisibili da particolari conformazioni del terreno. Una mappa che può essere disegnata solo da chi è animato da un'autentica passione e da una necessità di conoscenza che non si lascia mettere fuori strada o ingannare dai cartografi che l'hanno preceduto. Questo nuovo libro invece s' intitola "I soliti ignoti" (come il famoso film) e nel sottotitolo viene specificato che si tratta di saggi sulla letteratura siciliana "sommersa" del Novecento. Insomma, qui Ferlita svela appieno il suo proposito: la sua mappa si arricchisce, ora intende indicare ai cercatori di tesori le strade meno percorse, meno battute, le trazzere, i viottoli che portano ad altre trovature per le quali è già di gran valore il piacere stesso della scoperta. Ma perché "sommersa"? Va subito precisato che tra i quattordici autori che Ferlita prende in esame non ce n' è uno che abbia dovuto patire eccessivamente per veder pubblicati i suoi scritti o che non abbia ottenuto seri e ampi riconoscimenti. Faccio qualche esempio. Angelo Fiore esordisce con un libro di racconti in una collana diretta da Bilenchi e Luzi che certo non erano di gusto facile e in seguito vince il prestigioso e ricco premio Marzotto. Romualdo Romano vince il premio Hemingway col suo primo romanzo e viene stampato da Mondadori. Mino Blunda viene rivelato dall' ambitissimo premio Pirandello e incoronato da una giuria di altissimo prestigio. "Principio sì giolivo ben conduce", direbbe Sciascia citando Boiardo. Invece principi tanto giolivi talvolta non conducono bene, anzi portano dritto dritto a quelle sabbie mobili dentro le quali il malcapitato affonda lentamente, ma implacabilmente. Fino a essere del tutto sommerso. Perché? I casi della sopravvenuta disattenzione a Fiume e ad Attardi si possono in un certo senso spiegare anche se non giustificare: si tratta infatti di due artisti di fama internazionale che hanno scritto ciascuno un solo libro, o poco più. Il loro potente peso di maestri della pittura (ma sono stati anche scultori) ha finito con lo schiacciare, col porre in ombra la loro unica escursione, sia pure di tutto rispetto, nel campo della narrativa. Ma gli altri? Non credo che ci sia nessuno in grado di spiegare per quali fatti, per quali combinazioni, per quali circostanze uno scrittore abbia più fortuna di un altro di pari valore. La bilancia che regola il successo di uno scrittore obbedisce a imperscrutabili leggi proprie: certe volte basta un moscerino che si posa su un piatto a farlo decisamente pendere, certe altre volte quello stesso piatto non si muove neanche se ci si mette sopra una cattedrale. Tra parentesi: mi sembrano del tutto campate in aria le certezze di alcuni accademici e critici i quali pensano che un best seller si possa furbescamente costruire in laboratorio. Vitale, che è stato a lungo presidente della più grande casa editrice statunitense, diceva che romanzi ai quali avevano pronosticato uno strepitoso successo venivano accolti con suprema indifferenza e altri sui quali non avrebbero scommesso un centesimo ottenevano un consenso vasto e inaspettato. Chiusa la parentesi. Forse una spia per spiegare, almeno in parte, il perché della sommersione la si può trovare negli aggettivi, nelle frasi che Ferlita adopera per quasi tutti gli autori presi in esame. Mino Blunda è «sfuggente e appartato», così «geloso del suo eremitaggio esistenziale e topografico da risultare quasi invisibile, evanescente». Angelo Fiore è «schivo e appartato». Anche Samonà è definito «appartato». Romualdo Romano sopraffatto dall' uggia e dalla noia. Sebastiano Addamo che ha vissuto in «deliberato isolamento». Antonio Russello, «scrittore appartato» che «non fece mai nulla per attirare su di sé l'attenzione degli altri». Lo sdegno e l'orgoglio di Edoardo Cacciatore e la sua difficoltà nell' istaurare rapporti. Bartolo Cattafi, «inquieto sbirciante sconosciuto», come il poeta disse di se stesso. Ripellino, «una sorta di alieno». Bastano questi dati caratteriali a spiegare il fenomeno? Se non lo spiegano del tutto, certamente hanno concorso a crearlo. In questi nostri giorni nei quali sembra persino superata la battuta shakespeariana che tutto il mondo è teatro e ogni uomo è attore, superata perché oggi viviamo in un mondo che non sai più distinguere se sia reale o virtuale, il dignitoso appartarsi, il pensoso silenzio, la non esibita e gridata coscienza di sé, creano una cappa d' isolamento, d' invisibilità. Ma la colpa (perché proprio di questo si tratta: di una colpa) della dimenticanza o della disattenzione o della disaffezione o dell'esclusione non è certo di questi autori, ma di quei critici e recensori ormai quasi tutti votati alla ricerca frenetica della novità, pronti ad estasiarsi per il libro scandalistico di una esordiente minorenne o per un romanzetto qualsiasi purché non italiano ma che fa notizia. Il libro di Salvatore Ferlita è quindi a un tempo una sorta di dovuto risarcimento e un appassionato invito all' attenzione. Sono saggi critici acuti e lucidi, che pilotano il lettore all' incontro con ogni autore con una guida esperta ed affabile. Perché oltretutto Ferlita scrive in un modo che si fa volentieri leggere, anche una considerazione complessa viene da lui dipanata con la sicurezza e la leggerezza (nel senso di Calvino) di chi conosce profondamente la materia che sta trattando. Il critico Ferlita ha due doni rari: quello dell'eleganza e quello della chiarezza.
Andrea Camilleri
Il Quotidiano
della Calabria, 11.6.2005
Esperimento riuscito per gli attori cosentini sul palco del Cinema Teatro Italia
I “narr’attori” del Gruppottanta
La “ Mossa del Cavallo”. Dal romanzo al palcoscenico
Su il sipario, giù le luci ed ecco sul palco i “narr’attori”.
Un esperimento ben riuscito quello messo in “atto” dai componenti del Gruppottanta, che giovedì sera sul palco del Cinema Teatro Italia, per l’ennesima volta, si sono messi in gioco sperimentando, come si apprende dalle note di regia del maestro Ennio Scalercio, “una tecnica di rappresentazione scenica basata sull’estraneamento brechtiano spinto agli estremi”.
La compagnia storica, di esperienza trentennale, che rappresenta un importante spaccato culturale e artistico della città di Cosenza, si è trasformata per l’occasione in narratore “unico”.
Una continua “rottura della finzione scenica”, ha consentito, infatti, agli attori di far scorrere sul palco le pagine del testo, nella sua forma narrativa originale, de “ La mossa del Cavallo”.
Il libro di Camilleri, un’opera di autentico e puro valore letterario riscontrabile tanto nella ricercatezza linguistica quanto nel pungente e arguto messaggio leggibile tra le righe, ma chiaro come il luccichio di una pepita d’oro in mezzo ad una montagna di carbone, si è dunque, grazie alla perizia e all’esperienza degli attori del Gruppottanta e al genio del regista Ennio Scalercio, materializzato sul palco.
La “Mossa del Cavallo” è sicuramente il testo più forte, in termini del messaggio promulgato, del Camilleri, la mafia locale si intreccia con la politica, gli affari e la piccola delinquenza.
La cronaca ci ha, in questi anni, mostrato la stretta connessione tra economia, malavita e politica, così, seppur datato 1877, il romanzo potrebbe essere, con poche varianti, collocato ai nostri giorni.
La lontananza cronologica del racconto è forse solo un espediente utilizzato dall’autore per poter parlare più liberamente e quasi “senza peli sulla lingua”, di uno dei “problemi” più radicati nella cultura meridionale, la “mafia” così come solo un siciliano la può avvertire.
Ma cosa è in realtà la mafia? Si tratta di un atteggiamento, di una malattia dell’animo umano, che, in determinate condizioni economiche e culturali, attecchisce diventando una vera e propria malattia sociale?
Tra le diverse origini del termine mafia, sembra che le ipotesi più attendibili siano quelle che lo fanno risalire a due vocaboli di origine araba: Mu'afah (protezione ) o Mahyas (garantire qualcuno da qualcosa). Come fenomeno, ebbe origine in una particolare zona della Sicilia, compresa tra Palermo, Trapani e Agrigento, dove, fin dal tempo dei Normanni, si era diffuso il latifondo.
Dopo qualche anno, assumeva il carattere di associazione per delinquere con l'uso incontrastato della violenza, e si andò affermando il principio fondamentale del codice mafioso, in base al quale la vera legge è quella degli "amici degli amici", la legge dello stato non serve.
Si perché lo stato viene, a volte, vissuto come una realtà troppo lontana rispetto ai problemi della quotidianità cui più facilmente si può sopperire con l’illegalità.
Uno stato quindi che paradossalmente diventa “nemico”, amico solo nel caso in cui ad essere al potere è uno degli “amici degli amici”.
Quello della mafia è una realtà, dunque, che affonda le sue radici in epoche più lontane di quanto la “persona comune” possa immaginare, così radicato nella cultura meridionale che è sinonimo di “quotidianità”, di “contemporaneità” e paradossalmente di “normalità” per cui, in virtù di ciò, se ne ignorano le origini così distanti nel tempo.
La mafia non interessa solo pochi uomini, è soprattutto una mentalità, un modo di intendere la vita, che induce l'individuo a rapportarsi con gli altri in un certo modo, un male insomma in mezzo al quale irrompe, per fortuna prepotentemente, un barlume di speranza.
Questo viene reso sapientemente nel testo del Camilleri, dove ogni singolo personaggio ricopre un ruolo fondamentale nell’economia del contesto testuale ai fini della trasmissione e conseguente ricezione del messaggio che si vuole divulgare.
Il romanzo del Camilleri è pertanto il frutto di un approfondito e minuzioso lavoro di ricerca e presenta una ricchezza e una varietà formale di sicuro interesse.
Un esperimento arduo dunque, al di là delle evidenti difficoltà dettate anche dall’argomento trattato nel testo, quello in cui si sono abilmente cimentati gli attori del Gruppottanta in un affollatissimo Cinema Teatro Italia.
Uno studio durato molti mesi nei quali i componenti del gruppo hanno dovuto sviscerare un testo per molti versi ostico, tanto dal punto di vista linguistico quanto da quello della trama.
Nel romanzo dello scrittore siciliano, infatti, è messa in evidenza l'importanza della comunicazione e del linguaggio.
Le diverse culture ed i diversi modi di pensare vengono diversificati dai vari dialetti, veri e propri ostacoli comunicativi, non solo per le ovvie differenze linguistiche tra un dialetto del nord ed uno del sud, ma anche per gli inconciliabili contenuti culturali e morali ad essi associati.
Sul palco del Cinema Teatro Italia, in una serata in cui l’emozione era visibile un po’ sui volti di tutti, veterani e non, soprattutto per la novità della rappresentazione, si sono avvicendati i numerosi personaggi già abilmente delineati nello scritto del Camilleri, ma che rappresentati scenicamente hanno avuto il merito di rendere più energico, e di far vivere più intensamente, il messaggio insito nel testo stesso.
Ogni personaggio era dunque importante ed essenziale, un tassello in più per far comprendere la corruzione materiale e morale dilagante, ieri come oggi, a tutti i livelli sociali: dal poliziotto corrotto, all’uomo d’onore, dall’invisibile onorevole, tale grazie all’aiuto del “boss”, al prete “lussurioso”, passando per l’avvocato al servizio del “signorotto”, per arrivare alla vedova “inconsolabile” e al killer spietato e privo d’anima, in mezzo a tutto ciò pochi baluardi di onestà e purezza d’animo uno per tutti l’Intentende della Guardia di Finanza Giovanni Bovara, ingegnoso nel rendere “pan per focaccia”, se vogliamo un po’ il motore della trama intorno a cui si affollano tutti i protagonisti.
Personaggi che ancora di più rendono pregnante il messaggio del testo nella parte finale, nel Catalogo dei sogni, in cui l’inconscio diventa specchio di una realtà difficile da digerire, soprattutto da parte di chi, per rendere giustizia, deve attendere di poter effettuare la prossima “mossa”.
Francesca Cannataro
Il Messaggero,
14.6.2005
Roma
Serata senzafiltro
Alle ore 20.30, Michele Santoro presenta "Serata senzafiltro". Partecipano
Sabina Guzzanti, autrice di "Reperto Raiot" (libro e dvd BURsenzafiltro),
Saverio Lodato e Marco Travaglio autori di "Intoccabili" (BUR Futuro Passato).
Intervengono, tra gli altri, Andrea Camilleri e Giuliana Sgrena. Ingresso
libero fino a esaurimento posti. Teatro Ambra Jovinelli, via G. Pepe 31.
[Andrea Camilleri non era presente, NdCFC]
Altrove, n.6 - Storie, 15.6.2005
La gana di contar storie
Intervista ad Andrea Camilleri
Andrea Camilleri è il creatore del fenomeno letterario “Il commissario Montalbano”, il personaggio che lo ha reso lo scrittore più amato e invidiato del Paese, soprattutto per un motivo: perché i suoi libri sono divertenti.
Molti critici non glielo riescono proprio a perdonare.
Ma come si crea un personaggio come Montalbano? Come si racconta una storia di successo?
Movente e scelta dell’ambientazione sono note. Camilleri ce li ha descritti nella postfazione e nella prefazione del suo primo romanzo: “Il corso delle cose”, scritto nel 1968, pubblicato dieci anni dopo e distribuito a livello nazionale solo nel 1998. “Dopo tanti anni passati come regista di teatro, televisione, radio a contare storie d’altri con parole d’altri, mi venne irresistibile gana di contare una storia mia con parole mie” (postfazione). “L’autore, avendo immaginato una storia di fantasia, non ha saputo fare altro calarla para para nelle case e nelle strade che conosce, pure sapendo di poter incappare in qualche sventurata coincidenza” (prefazione).
I dettagli glieli abbiamo chiesti direttamente.
Camilleri, come arriva a scegliere quale storia raccontare?
Ognuno di noi lo fa in modo diverso e personale. Io parto da due o tre idee che mi vengono in mente, evito di appuntarmele per iscritto ma le fisso mentalmente, le lascio nella mia memoria ma ci torno su, pensando e rielaborando, arricchendo e modificando. Solitamente tra questi due o tre temi, uno prende la rincorsa sugli altri e si fa scegliere da me. A quel punto scarto gli altri e mi metto a lavorare su quello.
E’ così da 37 anni, dai tempi de “Il corso delle cose”?
Beh, ovviamente a scrivere ci si fa la mano. Una volta mi era molto più difficile trovare le migliori soluzioni per ciò che volevo dire, per rendere al meglio quello che avevo in mente. Ora, il problema è non farlo diventare troppo facile, in questo senso l’uso del computer è un rischio.
E’ uno strumento troppo comodo?
No, troppo veloce. Quando utilizzavo la macchina da scrivere se sbagliavo dovevo buttare il foglio e ricominciare. Il computer invece ti permette di cancellare tutto in un attimo. La macchina da scrivere mi costringeva a riflettere, scrivere al computer, invece, è come guidare una macchina troppo veloce. Facilmente prende la mano. Per questo ora ho il problema di ricrearmi i tempi della riflessione. Quando facevo teatro ero costretto a correre ma oggi che me lo posso permettere, cerco di riflettere con calma, preferisco la lentezza.
Come rientra in tutto questo l’uso del siciliano? Le parole dialettali vengono fuori spontaneamente o le utilizza in maniera più razionale?
Io mi metto a scrivere, più spesso in italiano, poi aspetto l’illuminazione per tradurle in siciliano e renderle più espressive.
In effetti, lei ricorre al dialetto proprio per aggiungere maggiore espressività al testo e l’effetto funziona con tutti i lettori, non solo con i siciliani. Come ci riesce?
E’ una cosa a cui tengo molto. Ho fatto molto teatro e ho prodotto le commedie televisive di Eduardo De Filippo. Per renderle più comprensibili, Eduardo cambiava alcune parole in napoletano stretto con altre, con un suono più vicino all’italiano. Questa tecnica mi è rimasta dentro da allora, anche se a quei tempi non mi immaginavo scrittore. Quando ho iniziato a scrivere l’ho riutilizzata. Solitamente faccio sette o otto revisioni del testo, da solo, o aiutandomi con alcuni superstiti amici siciliani, a cui chiedo sinonimi che ho dimenticato. Poi rileggo a voce alta per rendermi conto del ritmo della scrittura. Quando ho terminato il romanzo lo leggo a mia moglie che non è siciliana. Le chiedo osservazioni e cerco di cogliere il grado di comprensione del testo. Se le difficoltà di comprensione sono eccessive modifico. A volte, comunque, prediligo l’espressività a favore della facilità di comprensione.
Che tipo di dialetto ha utilizzato?
Un dialetto non parlato. Ho attinto al dialetto piccolo borghese, che non è dialetto siciliano e a Pirandello che ha la parlata di Girgenti che è diversa dal catanese, ma ho immesso anche parole di quest’ultimo. Poi utilizzo parole della parlata contadina. Così finisce che anche molti miei amici mi chiedano “ma che dialetto usi?” Per esempio io utilizzo spesso la parola “cataminarsi” (dimenarsi) una parola contadina che oggi non si usa più. Il mio è un ibrido che provoca una strana sensazione di antico. Che farà impazzire i traduttori… Mi verrebbe da dire “problemi loro”. Ci sono traduttori molto attenti e seri che mi mandano fax chilometrici con ipotesi di traduzioni, altri ci perdono meno tempo. Non esiste una metodologia unica.
Lei che ammette di aver appreso molto dall’aver lavorato in televisione, pensa che anche la televisione di oggi produrrà degli scrittori?
La televisione di oggi non è certo costruita per produrre dei romanzieri, al contrario, sta operando una regressione culturale pericolosa. La televisione è sempre stata una fabbrica del consenso, ma ora è diventata una “fabbrica del credere”, che è un’altra cosa. Crea fedi di comodo, più difficili da estirpare.
Meglio passare ad altro. Le descrizioni dei pasti di Montalbano sono memorabili. Molti si ritrovano con l’acquolina in bocca senza nemmeno aver compreso gli ingredienti del piatto, scritti in dialetto siciliano.
Esistono ottimi libri di cucina siciliana che mi aiutano. Piatti che richiedevano una preparazione lunghissima, per esempio, per fare degli arancini buoni servono due giorni. Nei libri mi sono rifatto spesso alle ricette di mia nonna ma nei prossimi ne troverete meno. Non che abbia esaurito il materiale, ma il medico mi ha proibito di tutto e certe ricette, solo a scriverle, mi fanno salire il colesterolo…
Le recensioni, invece, cosa le fanno salire?
Mah! Ormai sono abituato alle critiche, ho fatto trent’anni di teatro e sulle mie regie ho sentito di tutto. Il critico teatrale stava due ore in sala a vedere lo spettacolo, lo vedevo, chi mi garantisce che il critico letterario abbia letto tutto il mio romanzo? Quando leggo certe recensioni mi cascano le braccia, perché si capisce che hanno letto solo alcune pagine. Io, comunque, evito di rispondere, meglio restare in silenzio. Poi non vengono perdonate alcune scelte: l’ultimo mio libro “Privo di titolo”, si occupa del ventennio fascista, è andato in testa alle classifiche ma praticamente non ha avuto recensioni sulla stampa. Anche le favole sul “Cavaliere” pubblicate da Micromega e poi dal “Corriere della sera” hanno avuto il loro effetto negativo. Ma io non mi pento, ne scriverei delle altre.
M.B.
TeleradioErre,
15.6.2005
'Festambiente Sud', Monte Sant´Angelo capitale del Mediterraneo
dal 21 al 24 luglio
Festambiente Sud - Pane olio e meridione. E' stata denominata così
la grande iniziativa di Legambiente che si terrà a Monte Sant'Angelo
(Fg) dal 21 al 24 luglio prossimi.
[...]
Tra i numerosi ospiti invitati, lo scrittore Andrea Camilleri.
[...]
Saverio Serlenga
Il Venerdì,
17.6.2005
Puntata numero nove per l'eroe di Andrea Camilleri. Che, però,
sul commissario ha un'idea...
Ho deciso: presto Montalbano morirà. In un duello con me,
il suo creatore
Allora, in principio nel giallo era Carlo Emilio Gadda. Poi?
«Non solo lui. C'erano anche Scerbanenco e Sciascia».
Ma non riuscirono a sdoganare il genere.
«Sì, era un genere-genere. Poi è successo che dei
mascalzoni americani che si chiamavano Dashiell Hammett, e Raymond Chandler
hanno deciso di trasformarlo in un'altra cosa, dando più importanza
al contesto che alla trama».
E non hanno dovuto vincere nessuna resistenza?
«Chandler per scrivere la frase: "Attraversò la strada,
arrivò al marciapiede opposto e l'ombra del telone sul bar gli tagliò
la faccia in due", ci mise cinque anni. Fino allora gliela censuravano
considerandola troppo letteraria».
Poi il fenomeno è approdato in Europa, ma non ancora in Italia.
«Trasferitosi in Europa sono arrivati i grossi calibri, tipo
Dürrenmatt, Simenon e il romanzo giallo ha smesso di essere un enigma.
Da quel momento conoscere il nome dell'assassino non è stato più
un imperativo».
Perché era più interessante il contesto?
«Sì, l'ambiente, la società. Oggi se vuoi avere
un'idea di cosa è la Marsiglia multietnica devi leggere Jean-Claude
lzzo, più di qualsiasi saggio».
Forse il successo del genere dipende anche dal fatto che viviamo in
un'epoca dominata dalle immagini e un gíallo è una delle
poche strutture narrative che ancora regge.
«Oggi siamo abituati ai racconti a puntate. Qualsiasi cosa, anche
la politica, è a puntate. Ho letto che l'attenzione dei bambini
giapponesi ha un'autonomia di circa un quarto d'ora, secondo i ritmi televisivi
della pubblicità. Anche noi siamo abituati così.
La struttura del giallo credo attiri l'attenzione del lettore perché
non gira attorno, non va molto in profondità, si muove su una linea
orizzontale con tanti segmenti».
Lei con i suoi gialli è entrato nella prestigiosa collana dei
Meridiani, quella che celebra i grandi della letteratura.
Che effetto le ha fatto?
«Nessuno, a parte una certa emozione. Non mi ritengo un classico,
vivo nel presente e non nel futuro».
Ma quando ha scritto il primo Montalbano, La forma dell'acqua,
pensava di chiudere con un solo romanzo?
«No, con due, perché il primo non mi era riuscito bene,
il personaggio restava sfumato. Con il secondo pensai
di avere portato Montalbano al disegno compiuto, e quindi potevo chiuderla
lì.
Ma Elvira Sellerio mi chiese se ero pazzo: Montalbano non solo vendeva,
ma era balzato da 100 mila copie a 800 rnila in un anno, in più
si portava dietro gli altri miei romanzi: Il birraio di Preston,
La
stagione della caccia. "Madonna santa come si fa?", mi sono detto.
Il personaggio, tra l'altro, cominciava a vivere per i fatti suoi, era
invadente. Capitava che mentre scrivevo altro pensavo: "Montalbano potrebbe..."
quindi ho continuato».
Ed è arrivato al nono libro. Sta per uscire La luna di carta.
Cosa ci aspetta?
«Mi sono divertito a mettere il nostro commissario fra due donne
terribili per vedere come se la cavava, e lo fa piuttosto male. Comunque
Montalbano non posso continuarlo all'infinito».
Lo manderà in pensione?
«No. E le spiego perché.
Lo stesso problema lo avevano Jean-Claude lzzo, con il suo detective
Fabio Montale, e Manuel Vázquez-Montalbán con Pepe Carvalho.
Il primo mi disse: "Lo metto ferito su una barca, magari passa un peschereccio
e lo salva" e poi Jean-Claude è morto.
Anche con Manolo sappiamo come è andata a finire. Quindi farei
cadere il discorso.
In ogni caso Montalbano non andrà in pensione e non morirà
violentemente ma, dopo un'ultima sfida con me, scomparirà. E accadrà
presto».
Il racconto che pubblica in Crimini è molto diverso.
«È un soggetto cinematografico. Più che altro è
un'idea che si dà agli sceneggiatori e al regista. Ho raccontato
di due
persone che, per uno scherzo stupido, si trovano coinvolte in situazioni
che, con effetto domino, sfociano nel tragico».
Romanzo o soggetto, le regole del giallo sono sempre uguali.
«Sì, sono una gabbia, ma una volta che le conosci bene,
come tutte le gabbie diventano forme di libertà».
Qual è la regola principale?
«La totale adesione alla realtà. Infatti preferisco scrivere
i romanzi storici nei quali a un certo punto posso fare salti logici e
temporali. Cose che il giallo mi vieta. Tutto deve avere una sua logica,
temporale e spaziale. Una vera camurrìa».
Brunella Schisa
Il boom del giallo (tutti i particolari in cronaca)
In un decennio i polizieschi made in Italy sono cresciuti del 1700
per cento. E quella che era considerata letteratura di serie B ora sbanca
in libreria. Cos'è successo? Indaghiamo
Roma. Per bibliofili e antiquari non è una notizia. Per i profani
sì, e sorprendente: prime edizioni introvabili di vecchi gialli
possono valere sul mercato più di romanzi famosi o leggendarie raccolte
di poesia. Possibile? Un vecchio Chandler o Simenon che battono all’asta
Proust, Joyce o Montale? Succede. La ragione? I polizieschi d’annata sono
una rarità perché, al momento della pubblicazione, erano
considerati libri usa e getta. Una volta consumati, il lettore li mollava
alle bancarelle oppure direttamente nella spazzatura. In qualche caso,
perciò, gli sparuti esemplari rimasti sono più concupiti
di tante altre preziosità.
Sembra passato un secolo da allora. Da quando gialli, noir e thriller
venivano ghettizzati in quella subcultura che i francesi chiamano littérature
de gare, letteratura da stazione, opuscoletti corredati da cruciverba,
quiz a premi e vignette genere «L'angolo dei buonumore». Questi
libri hanno da tempo, abbandonato (o quasi) stazioni ed edicole per sbarcare
e sbancare, in libreria.
In Italia, Andrea Camilleri, Giorgio Faletti o Carlo Lucarelli divorano
le vette delle classifiche. Ed è come se avessero buttato giù
una diga. A questo punto, siamo alla ma rea noir: durante il decennio 1994-2004,
il numero dei gialli made in Italy approdati nelle librerie si è
moltiplicato del 1700 per cento (il 470, per gli stranieri). Cifre inimmaginabili.
Certo, il poliziesco all'italiana non è nato ieri (si pensi ai bestseller
di Giorgio Scerbanenco negli anni Sessanta, o a Fruttero e Lucentini nei
Settanta) ora però il fenomeno (e il business) s'è fatto
davvero grosso.
A fotografare questa nuova realtà arriva in libreria “Crimini”,
raccolta in cui Einaudi Stile libero mette per la prima volta insieme racconti
inediti dei big di casa nostra: Andrea Camilleri, Niccolò
Ammaniti, Carlo Lucarelli, Giorgio Faletti, Massimo Carlotto, Giancarlo
De Cataldo, Marcello Fois, Sandrone Dazieri, Diego De Silva, Antonio Manzini.
«Un giro d'Italia in nero» lo definisce, nell'introduzione,
il curatore De Cataldo.
La prima impressione che si ricava dall'antologia (e dal neo-noir italiano
così come si è sviluppato dai primi anni Novanta) è
che nella scrittura gialla si sia trovato un nuovo grimaldello per raccontare,
pedinare, i volti di un Paese. Dal Nordest di Carlotto alla Sicilia di
Camilleri, dalla Sardegna di Fois alla Bologna di Lucarelli.
Insomma, quest’Italia con la faccia mogia, declinante, in recessione,
crivellata da mille paure, dalla caduta del potere d'acquisto all'immigrazione
clandestina, dalle merci cinesi ai grandi crac aziendali, quest'Italia
resta, malgrado tutto, ancora un posto avvincente per un narratore? «Altroché»
dice Massimo Carlotto «emergono nuove culture criminali difficili
da decifrare, gli industriali fuggono dal Nordest. Gli spunti di ispirazione
si sprecano».
Carlo Lucarelli confessa, però, di aver scritto il suo racconto
“Il terzo sparo”, sulla spinta di una certa frustrazione: «Negli
ultimi tempi, lavorando per cinema e tv ho notato una crescente pruderie
a raccontare storie davvero noir, vale a dire poco rassicuranti. Magari
con poliziotti corrottissimi come protagonisti. Ecco, io invece volevo
riparlarne». In effetti, da Don Matteo al Maresciallo Rocca, in tv
è ormai tutto un ingorgo di gialletti al rosolio: «A parte
l'eccezione Montalbano, vediamo trame light, violenza edulcorata,
le istituzioni mai messe in crisi, rese problematiche. Nessun accenno di
critica sociale» dice Sandrone Dazieri. «Il colpevole? È,
sempre un matto. E si crea un clima finto, irreale. Prodotti per famiglie».
Prima serata oblige. Anche la rappresentazione delle Forze dell'ordine
non brilla per inventiva: se non siamo tornati al Vittorio De Sica, galante
maresciallo partenopeo di “Pane amore e fantasia”, poco ci manca.
«In complesso» continua Lucarelli «si rimuove tutto
quanto potrebbe risultare inquietante». Quell'elemento perturbante
che, appunto, traccia la frontiera tra noir e giallo classico d'investigazione,
normalmente incatenato all'ingranaggio «crimine/indagine/soluzione».
Pur non considerandosi scrittore noir, Niccolò Ammaniti si dice
stufo di ispettori e detective privati: «Preferisco leggere e scrivere
di chi è nei casini. Anime nere. Patologie. Perversioni. Situazioni
estreme». Precisa Antonio Manzini, autore con lui del racconto “Sei
il mio tesoro”: «Ci piace di più il cupo Simenon dei libri
senza Maigret». E forse pure il Camilleri senza Montalbano? «Non
si tratta di dare giudizi» spiega Ammaniti, «è solo
che io non scriverei così, non riuscirei a portare avanti un personaggio
seriale: ne voglio sempre uno nuovo».
Un uomo nuovo si sentì Giorgio Faletti quando, nel 2002, Baldini
& Castoldi gli annunciò che avrebbe pubblicato il suo primo
thriller “Io uccido” (oltre un milione di copie vendute): «Alla notizia
sarei corso a comprarne una macchina nuova. A prescindere da come sarebbe
andato il libro. Il successo è arrivato inaspettato. La strada,
in qualche modo, era stata già spianata da altri giallisti prima
di me». Come si sente uno che, da comico, s'è visto trasformato
nel Wilbur Smith italiano? «Innanzitutto penso che si possano scovare
affinità fra umorismo e suspense: in entrambi i casi devi cercare
l'effetto, la risata o lo spavento, devi giocare a scacchi con il pubblico,
cercando di portarlo dove vuoi tu senza farti scoprire. Il giallo è
stato un modo per reinventarmi, correre rischi, tornare a sentirmi debuttante.
Ma il successo può paralizzarti, congelarti nel terrore di perderlo.
In certi casi è opportuno rinunciarci». Tornerà al
cabaret? Non lo sa. Ha tante idee che gli frullano in testa.
Sul boom del noir, Marcello Fois osserva: «Fino agli anni Settanta,
la cultura italiana era rimasta dentro canoni rigidi. La linea Moravia-Morante-Pasolini.
A un'idea di autore che non si preoccupava di avere lettori. Ora, malgrado
nel nostro Paese si continui a leggere poco, l'aria è cambiata».
Che qualcosa fosse cambiato lo capì anche Diego De Silva quando,
nel 2002, il maestro Giuseppe Pontiggia disse del suo libro “Voglio guardare”
che «restituiva l'incomprensibilità delle cose come i grandi
classici». Nel noir, De
Silva non riconosce tanto un genere, «quanto una possibilità
di spiazzare, guardare cose e personalità in maniera sbilenca e
scavarci dentro. Una letteratura non dichiarativa: nel mio primo romanzo
(del 2001, ndr) non ho mai usato le parole Napoli, camorra, o baby killer.
Eppure parlavo di quello».
Ma nel Paese dei grandi misteri irrisolti, cosa sono, allora, gialli
e noir: sublimazione di una realtà troppe volto incapace di individuare
i colpevoli? «Tutto il contrario» dice Giancarlo De Cataldo.
«Credo il vero punto di svolta sia stato la morte di Pier Paolo Pasolini.
Il vuoto lasciato dall'ultimo grande intellettuale che interveniva. Che
diceva: "Io so i nomi dei responsabili ma non ho le prove". Gli italiani
sanno tutto, anche in assenza di certificazione giudiziaria. Si può
guadagnare l'impunità ma è impossibile nascondere il fatto».
Detto da uno scrittore che di professione fa il magistrato...
«L'aspetto interessante del noir italiano» dice Massimo
Carlotto «è che, tra loro, gli autori non solo si leggono,
ma dialogano. Pur con scritture, idee, percorsi individuali diversissimi.
De Cataldo pensa, ad esempio, che una verità istituzionale, giudiziaria,
sia tutto sommato possibile. Io non ci credo affatto. Questo Paese ha perso
il senso della verità. Non abbiamo a che fare con una realtà
noir, opposta a una realtà bianca. Piuttosto con una dominante grigia.
E così ribattezzerei il genere letterario».
Scherza, ma serio, il sardo Marcello Fois: «In Italia siamo tutti
colpevoli. Dalle mie parti la verità non esiste. Ognuno ha la sua.
Si dice: "Cento teste, cento cappelli". E però tra la verità
personale, soggettiva, e quella giudiziaria si apre quella terra di nessuno
in cui va ad arare il noir».
«Sulla questione della verità io e i colleghi di “Blu
Notte” (la trasmissione di RaiTre sui misteri italiani, ndr) ci poniamo
forse come frontiera tra De Cataldo e Carlotto» interviene Carlo
Lucarelli «resta ferma la necessità che, da qualche parte,
la "verità vera" ci sia. E che non bisogna smettere di tornare sui
casi in cui non è stata trovata».
Marco Cicala
l'Unità, 17.6.2005
Camilleri, due donne e una luna di carta
«Quann’era picciliddro, una volta sò patre, per babbiarlo,
gli aveva contato che la luna ’n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva
sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto. E ora,
maturo, sperto, omo di ciriveddru e d’intuito, aviva nuovamente criduto
come un picciliddro a dù fimmine…, che gli avivano contato che la
luna era fatta di carta». Rieccolo Salvo Montalbano alle prese con
un nuovo, difficile, caso, ne “La luna di carta”, l’atteso nuovo romanzo
di Andrea Camilleri, edito da Sellerio, nelle librerie il 23 giugno. Rieccolo,
dicevamo, alle prese con due donne «forti» e «insidiose»
che cercano di fargli credere che la luna è fatta di carta. Una
metafora che spiega in maniera essenziale, il percorso di finzione che
il commissario più celebre d’Italia dovrà smascherare per
raggiungere la verità. Ancora una volta il concetto filosofico di
disvelamento della verità, torna ad essere centrale in un testo
di Andrea Camilleri. Questa volta non un romanzo storico, ma un giallo.
Un «classico» giallo alla Montalbano. Un libro sui generis,
nel quale l’autore, muovendosi fra filosofia e psicologia, struttura una
trama complessa, articolata, ricca di colpi di scena. Con il commissario,
invecchiato, ma sempre protagonista. Con l’ironia critica di Camilleri
ad illuminare il percorso di smascheramento della verità, poiché
è in questo concetto filosofico che vi è una delle caratteristiche
essenziali della sua intera opera narrativa. Ed il romanzo, è un
segno della ricerca della pluralità delle verità, nella quale
Montalbano non si perde, poiché nel relativismo si muove bene, con
la sua gerarchia di valori democratici, fondati sul criterio di giustizia
equa e di rispetto dell’umanità. Così Montalbano, anche in
una storia dalla trama torbida, come “La luna di carta”, non si smarrisce
nella «palude stigia», non si disorienta. Nonostante due belle
donne, diverse per stile estetico e comportamentale, ma entrambe forti
e decise, lo tentino e lo sviino. Volte a delineare un percorso di trappole,
di finzioni, che Montalbano dovrà svelare. Svelare, per capire cosa
si nasconde dietro l’uccisione di un informatore medico-scientifico, Angelo
Pardo. «...Il quale Angelo sinni stava sprofunnato nella pultruna.
Il colpo che l’aviva ammazzato gli aviva macari asportato mezza faccia.
Era in cammisa e jeans. La lampo dei jeans era aperta, lo stigliolo gli
pinniva tra le gambe».
Questa la scena del delitto scoperta dal commissario Montalbano. Che
avrà il suo bel da fare, per capire le cause dell’omicidio. Sviato
dalle due protagoniste femminili del romanzo. Michela Pardo, la sorella
dell’informatore medico-scientifico. Che la prosa di Camilleri delinea
così: «Una quasi quarantina, a prima vista una superstite
figlia di Maria, occhi vasci darrè l’occhiali, capelli col tuppo,
mano stritte sulla borsetta, insaccata in un vistitazzo largo e grigio
che non lassava accapire quello che c’era sutta, ma le gambe, a malgrado
delle calze spesse e delle scarpe senza tacco, erano lunghe e belle».
Una bellezza nascosta. Che a tratti si scopre: «E, facenno la domanda,
finalmente lo taliò. Montalbano sintì dintra di lui una specie
di vampata. Era un paro d’occhi preciso ’ntifico a un lago viola e funnutu
nel quale sarebbe parso a tutti i mascoli bellissima cosa tuffarsi e annigare
in quelle acque. Meno male che l’occhi la signorina Michela li tiniva quasi
sempre vasci». Compito non facile per Montalbano, non affogare in
quegli occhi, dimenticandosi dell’indagine. Non bastasse la bellezza nascosta
di Michela, ecco spuntare la bellezza provocante di Elena Sclafani, amante
di Angelo Pardo. Bellezza che Camilleri tratteggia così: «La
porta si raprì e comparse una trentina biunna e bella in un assurdo
chimono, labbra imbronciate di un rosso foco pur senza un filo di trucco,
occhi cilestri assunnati. Si era susuta dal letto per veniri a rapriri,
e del letto portava ancora un sciauro penetrante. Il commissario si sentì
leggermente a disagio, oltretutto, a malgrado che era scavusa, era cchiù
alta di lui». Queste due donne, che Camilleri scandaglia psicologicamente,
si alternano nel romanzo, sgambettandosi a vicenda, accusandosi, creando
esche e trappole per il commissario. Ne vien fuori un libro originale,
che ha ritmo ed efficacia narrativa. Nel quale Camilleri sviluppa anche
una indagine psicologica di Salvo Montalbano, alle prese con la vecchiaia.
Un’analisi che l’acuto critico e studioso della letteratura Silvano Nigro,
sintetizza così nel bel risvolto di copertina: «Il commissario
interloquisce con l’incipiente vecchiaia. Ricalibra le sue negligenze.
Escogita ripari alla ruggine degli anni. Impara a convivere con l’ossessione
della morte (un orologio biologico che batte l’ora grave) e dà udienza
ai passi ciechi che conducono al mistero di una casa “morta” (alla Faulkner):
nella quale, attorno a un cadavere oscenamente atteggiato, si impaludano
e covano le acque putride di passioni irritabili e scenografiche; insieme
al fondiglio di un’oscenità politica, che lascia emergere cadaveri
eccellenti e prospere viziosità». Sì, perché
indagando Montalbano scopre che l’informatore medico, non si limitava al
suo lavoro, ma forniva droga a personaggi importanti. Chiosa Nigro: «La
trama è torbida, in questo romanzo che la palude stigia (facsimile
della morte civile) fa solidarizzare con una politica governativa drogata
di ordinaria anormalità». Una storia inventata, quella di
Camilleri, di pura fantasia letteraria, nella quale non mancano spunti
di riflessione critica sulla realtà contemporanea. Una storia che
non sarà l’ultima incentrata su Montalbano, perché il suo
papà, da quanto trapela, sta già lavorando ad un nuovo romanzo.
Ma come dice un detto popolare: «’na cosa a vota», «una
cosa alla volta» ovviamente…
Salvo Fallica
Le soir, supplemento
settimanale «Les livres du Soir», 17.6.2003
Disilluso, sull'orlo delle dimissioni, il commissario Montalbano
si ribella
Il primo e l'ultimo romanzo di Andrea Camilleri escono simultaneamente
in francese, mostrando un autore più che mai amaro e in collera.
Due Camilleri prima dell'estate, ecco di che offrirsi qualche momento
di piacere.
L'uscita simultanea di questi due libri da parte di due editori differenti
è tanto più interessante poiché l'uno è il
primissimo testo dell'autore italiano e il secondo la più recente
avventura del commissario Montalbano.
Finito nel 1968, nell'epoca in cui Camilleri era produttore per la
televisione e stimato regista per il teatro, «Il corso delle cose»
si svolge negli anni 50 in una piccola città della Sicilia nella
quale un uomo assolutamente non interessante e banale si fa sparare adosso,
proprio davanti casa sua. Il maresciallo Corbo dirigerà l'inchiesta
con una conoscenza acuta della natura umana. In questo primo romanzo, rifiutato
da tutti poi pubblicato senza successo dieci anni dopo, Camilleri si dimostra
già efficace, spiritoso, affascinato dalla natura umana, la cultura
siciliana e la letteratura.
E' però con «Il giro di boa», suo ultimogenito in
francese, che ci tocca veramente. Già da un pò di tempo,
il commissario Montalbano aveva qualche difficoltà a svolgere il
suo ruolo di sbirro in un'Italia dove giovani manifestanti possono farsi
ammazzare dalla polizia sotto l'occhio delle telecamere. Questa volta,
sicuramente, darà le dimissioni.
Disgustato, Montalbano prende appuntamento con il suo superiore per
annunciargli la sua partenza. Nulla, e neanche la sua fidanzata Livia,
potrà fargli cambiare parere.
Intanto, secondo la sua buona abitudine, se ne va a nuotare in quel
mare che tanto ama e che viene praticamente a lambire le fondamenta della
sua casa. Tutto è calmo, perfetto... fino al momento in cui urta
un altro nuotatore. Sorpreso, Montalbano non tarda ad esserlo doppiamente
quando si rende conto che si tratta di un cadavere in pietoso stato. Dimissioni
o no, il poliziotto decide di portare il morto fino alla spiaggia e si
tuffa così in una nuova avventura.
Tutti gli appassionati di Camilleri lo sanno, questi si ispira spesso
a fatti reali per immaginare le avventure attribuite al suo commissario
brontolone e buongustaio. Ma questa volta, l'attualità ha tinto
di grigio molto scuro l'umore dell'autore che, senza perdere per questo
il suo umorismo, ci trascina in un racconto molto amaro attorno alla situazione
degli innumerevoli immigrati clandestini che sbarcano sulle coste della
Sicilia con la speranza di iniziare una nuova vita nella ridente Europa.
Ben più che il cadavere sconosciuto, quello che spingerà
Montalbano a ritardare le dimissioni sarà l'incontro fugace con
un ragazzino. Questi fa parte di un gruppo di rifugiati arrestati dalla
polizia dalla quale riesce a fuggire. Montalbano non avrà con lui
che un breve faccia a faccia ma questo lo segnerà per sempre.
Cupo, grave, «Il giro di boa» preme là dove fa male
e si rimane sconvolti dall'episodio nel quale Montalbano prende dei rischi
insensati per mettere fuori combattimento una banda di negrieri.
Da «Il corso delle cose» a «Il giro di boa»,
Andrea Camilleri non ha cessato di testimoniare dello stato del mondo attraverso
gialli scritti in una lingua detonante e nutriti di una profonda umanità.
Ma con quest'ultimo racconto, il suo eroe si ribella contro il corso delle
cose e decide di seguire il percosso forzato per, anzichè fare il
giro della boa, scagliarsi dritto in avanti, costi quel che costi.
Roman - Le cours des choses, Andrea Camilleri, traduit de l'italien
par Dominique Vittoz, Fayard, 168 p., 15 euros
Roman - Le tour de la bouée, Andrea Camilleri, traduit de l'italien
par Serge Quadruppani, Fleuve noir, 236 p., 18,50 euros
Jean-Marie Wynants (traduzione a cura di Don Peppone)
Tutti
i colori del giallo, 18.6.2005
Si aprono questa settimana su Radiodue gli speciali viaggi nella memoria
di "Tutti i colori nel giallo" che prevede per il periodo estivo una serie
di incontri speciali in cui di volta in volta alcuni celebri personaggi
racconteranno inedite curiosità sul loro passato viaggiando attraverso
i loro personali ricordi. La serie degli incontri prevede 4 puntate intere
dedicate a Andrea Camilleri (il 18, 19, 25 e 26 giugno) e poi a seguire
gli incontri con Ken Follet, Stuart Kaminsky, Jeffery Deaver, Ludovico
Einaudi, Julia Navarro, Piero Soria, Dennis Lehane, etc: Andrea Camilleri
in particolare leggerà in diretta il finale del "Re di Girgenti"
commentandolo e svelando per l'occasione anche il suo amore particolare
per "La storia della colonna infame" di Manzoni e addentrandosi nei segreti
del suo ultimo romanzo storico "Privo di titolo". Fra gli episodi curiosi
che Camilleri rievocherà ci sono: il suo primo incontro da bambino
con Luigi Pirandello, l'incontro con il generale americano Patton e il
fotografo Robert Capa durante la Guerra, il primo incontro con Vittorini
che gli pubblicò la prima poesia, la volta in cui lo scrittore Stefano
d'Arrigo rapì sua madre e la spacciò per sua, ma anche episodi
divertenti della sua infanzia come quello "dell'accipe", sorta di piccolo
totem di legno che i ragazzini in collegio ricevevano quando non parlavano
bene italiano e si esprimevano con termini siciliani. Fin da piccolo Camilleri
aveva infatti mostrato un'incredibile passione per le parole e le ricerche
linguistiche ed era sempre riuscito a gabbare i professori dell'istituto
che lo trovavano con l'accipe in mano; nel suo essere un ragazzino libero
e scapestrato Camilleri arrivò persino a falsificare la sua pagella,
costringendo suo padre (che scoprì subito il trucco) a coprirla
con un intero barattolo di inchiostro. E a "tutti i colori del giallo"
lo scrittore siciliano racconterà anche della sua passione per il
jazz, ipotizzerà persino una risposta ideale da dare a un marziano
che voglia intervistarlo sullo stato della nostra terra, si improvviserà
guida e cicerone di alcuni posti poco visitati della Sicilia e svelerà
il ruolo di lettori e consulenti svolto dai suoi famigliari, svelando in
particolare quello di attenta redattrice di sua moglie e rivelando che
solo la presenza in casa dei nipoti gli permette di scrivere tranquillamente,
al contrario del silenzio e dell'isolamento che in genere bloccano la sua
creatività. Un Camilleri inedito, divertito e appassionato che stupirà
sicuramente gli ascoltatori di Radiodue.
Assud, 18.6.2005
Catania. Presentato il cartellone 2005/06 del Teatro Stabile
Catania - Vigàta, e il suo universo intriso di paradigmatica “sicilitudine”, approdano sul palcoscenico del
Teatro Stabile di Catania.
Spettacolo inaugurale della nuova stagione sarà, in novembre, "La concessione del telefono", riduzione
scenica di un romanzo di culto, operata dall’autore Andrea Camilleri insieme a Giuseppe Dipasquale, a sua volta
artefice della regia. Le scene sono di Antonio Fiorentino, i costumi di Angela Gallaro. Nei ruoli principali autentici
beniamini del pubblico: Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio, insieme a
Giampaolo Poddighe, Pietro Montandon, Angelo Tosto.
[...]
G.S.
Adnkronos, 18.6.2005
Gastronomia: le ricette di Montalbano dedicate ai piatti tipici
della Sicilia
Roma - Libri e cibo, ovvero buona letteratura e buona cucina. Basta
scegliere uno scrittore bravo come Andrea Camilleri, alcune delle pagine
piu' riuscite dei suoi romanzi, in particolare quelle in cui l'ispettore
[Sic!, NdCFC] Montalbano, si lascia andare a gustosi tour enogastronomici
per avere la descrizione di molti piatti tipici della Sicilia e la creazione
di molte ricette. Molte di queste pagine di Camilleri decicate alla ''bonta'''
dell'isola saranno declamate dall' attore Enrico Lo Verso giovedi' prossimo
nel terzo degli incontri ''Magno cum Gaudio'' che si svolgono a Frascati,
nei pressi di Roma, al ristorante Cacciani. L' iniziativa, 'Magno cum Gaudio'
nata come un divertissement si e' rapidamente trasformata in un evento
cultural-gastronomico.
Yahoo! Notizie,
20.6.2005
"Stilos" diventa testata indipendente
Dal 21 giugno Stilos esce dal quotidiano La Sicilia e diventa una testata
indipendente. Cambia veste, pagine e collocazione: un quindicinale (in
edicola il martedì) a diffusione nazionale, con 24 pagine al costo
di un euro. A sette anni dalla nascita, il magazine nato con La Sicilia
compie un salto importante. Stilos uscirà nelle edicole italiane
e del Canton Ticino con una rinnovata veste grafica più mossa e
vicina a una vera e propria rivista letteraria. Nuova veste, nuovi contenuti:
largo spazio alle recensioni, alle interviste, ai racconti d'autore scritti
appositamente per il giornale, alle rubriche fisse affidate a scrittori
e critici, alle inchieste e ai reportage con firme famose e inedite. Nel
primo numero: il primo capitolo del prossimo romanzo di Camilleri su Montalbano;
racconti di Salvatore Mannuzzu e Tullio Avoledo; interviste a Ernesto Ferrero,
Nanni Balestrini, Julian Fellowes; uno speciale su Jules Verne nel centenario
della morte con un'intervista a Valerio Evangelisti; conversazioni e incontri
con la nuova scena letteraria italiana: Tommaso Pincio, Giuseppe Culicchia,
Laura Pariani, Franz Krauspenhaar, Giulia Carcasi, Clara Nubile, Lucia
Vastano; un breve saggio di Vincenzo Consolo su Stendhal e Sciascia; un
articolo di Raffaele La Capria sulle riviste letterarie; un'inchiesta di
Enzo Golino - che continua i suoi studi sui rapporti tra linguaggio, potere
e società - sulla parola "DiciamoÉ"; le rubriche fisse di
Andrea Carraro, Benedetta Centovalli, Arnaldo Colasanti, Sossio Giametta,
Aurelio Grimaldi, Idolina Landolfi, Walter Pedullà, Vanni Ronsisvalle
e Giulio Mozzi; recensioni, segnalazioni, schede di approfondimento sulle
novità librarie, saggi e articoli di critici militanti.
Informazioni Editoriali s.p.a
Stilos, 21.6.2005
Camilleri
Montalbano incontra il suo doppio
Il primo capitolo del futuro romanzo
Il testo
Sarà “Riccardino” il prossimo titolo
Poteva venire solo a Camilleri l’idea di prendere attto della realtà
qual è: di un Montalbano creatura di carta e di un altro Montalbano
creatura mediatica, entrambi speculari e coevi. Nella realtà
è proprio così: abbiamo un commissario con le fattezze e
i modi di Zingaretti e un Montalbano con le fattezze che il suo autore
ha immaginato, più simile alla figura di Montalbán che non
a quella di un attore televisivo. Così, il prossimo romanzo della
serie del famoso poliziotto avrà anche questo tema a rovello, espresso
proprio all’inizio del libro di cui pubblichiamo il primo capitolo ancora
in fieri. Camilleri ci sta lavorando, dicendolo “futurissimo”, e pensa
già di intitolarlo “Riccardino”, dal nomignolo della vittima di
cui si ha conto nelle prime pagine. Un titolo che, come dice Camilleri
a Stilos, è del tutto fuori dal suo calco.
L’Autore
Il narratore parla come i personaggi
Andrea Camilleri deve il successo dei suoi libri perlopiù alla
novità prorompente introdotta dal suo stile. Uno stile che con l’uso
del dialetto agrigentino non segna la rottura di uno statuto linguistico
ma il portato più fresco delle istanze postmoderne: di una lingua
masscult che si afferma non perché siciliana ma perché popolare.
La novità più schietta è nel rivolgimento che Camilleri
compie nella scrittura narrativa, fino ad oggi architettata in modo che
le diegesi non si mischiasse con la mimesi: il narratore ha la sua lingua
e i suoi personaggi ne hanno una loro distinta. E se è successo
che i personaggi abbiano finito per parlare la lingua dell’autore, con
Camilleri è avvenuto il contrario: è il narratore che parla
la lingua dei personaggi sicchè la diegesi si piega alle ragioni
della mimesi. Una rivoluzione.
Il dottore Montalbano 1 e 2 quello vero e quello della tivù
La Stampa, 21.6.2005
Stringente meccanismo poliziesco
"Stava accomenzando a perdiri la memoria. Signo indiscutibile di vicchiaia”.
Il commissario Montalbano è sempre vivo nella fantasia e nella penna
di Andrea Camilleri, tuttavia il nuovo incalzante romanzo – "La luna di
carta", da Sellerio (215 pagine, 11 euro) – lo presenta con i segni dell’età,
o meglio con le preoccupazioni di chi teme di aver lasciato il territorio
della giovinezza. “Che è capitato?! E’ capitato che hai varcato
il confine invisibile da un’età all’altra”. E cosa succede in questi
casi? “Tanto per fari un esempio: fino a un certo jorno della tò
vita, sciddrichi, cadi, ti susi e non ti sei fatto niente, invece po’ arriva
il jorno che sciddrichi, cadi e non ti puoi cchiù susiri pirchì
ti sei rotto il femore”.
La storia poliziesca di questa volta è fra le più stringenti,
e anche seducenti, abitata com’è da due donne che per motivi opposti
agitano l’animo e l’eros del commissario. Una, Michela, è la sorella
della vittima: ”Una superstite figlia di Maria ... insaccata in un vestito
largo e grigio che non lassava accapire quello che c’era sutta”, ma in
possesso di uno sguardo che sconvolge: “Lo taliò. Montalbano sintì
dintra di lui una specie di vampata”. L’altra, Elena, è l’amante
della vittima, giovane disinibita: “Si susì, sollevò in alto
il giacchittinu, fice un giro completo su se stessa… le so mutandine erano
ancora più minuscole di un tanga” (il brano che pubblichiamo in
anteprima in questa pagina è proprio uno dei dialoghi tra Montalbano
e Elena, dal capitolo otto).
Quanto alla vittima, è un informatore per case farmaceutiche
che viene trovato sparato, in "inquivocabile" posa erotica. L’indagine
di Montalbano ne scopre passo passo gli anfratti di una vita esagerata,
attraverso indizi che si accumulano come i mattoni di una casa, alla
fine svelando la natura di un legame che il lettore ha forse sospettato
inconsapevolmente. Per certi aspetti, "La luna di carta" si mette in luce
come il poliziesco più poliziesco di Camilleri e Montalbano, un
meccanismo giallo classico e perfetto, dove il commissario fa anche clamorose
“minchiate”, però è bellissimo a sfruttare, negli interrogatori
delle due donne, i meandri della psiche, aggrediti a colpi di insinuanti
“furfanterie”.
Il piacere del lettore fedele è di ritrovare un mondo che conosce,
(e per il lettore nuovo è il piacere di scoprirlo): ecco Catarella,
che storpia i nomi, ecco Augello in ambasce per il figlioletto; ecco la
famiglia Sinagra, immagine della mafia; ecco Livia, la fidanzata lontana.
Senza contare allusioni e punzecchiature politiche, che cospargono il testo
come granchiolini sul bagnasciuga.
Alberto Papuzzi
Montalbano e la fìmmina selvaggia
In anteprima un dialogo dal nuovo romanzo di Andrea Camilleri con il
famoso commissario: «La luna di carta», da giovedì in
libreria
Quanno tornò in salotto, lei ancora non c’era. Arrivò
cinco minuti appresso col cafè. Si era fatta una ràpita doccia
e si era infilata una specie di giacchittuni che le arrivava a mezza coscia.
E basta. Era a pedi nudi. Le gambe, longhe di natura sò, niscenno
fora da quel giacchittuni rosso, parivano interminabili. Gambe nervose,
vivaci, da ballerina o da atleta. E il bello era, di questo Montalbano
se ne fece immediatamente pirsuaso, che in Elena non c’era nisciun intento,
nisciun tentativo di seduzione. Non ci trovava nenti di sconveniente a
starsene accussì davanti a un omo che canosceva appena. Come se
gli stava liggendo nel pinsero, Elena disse: «Sto bene con lei. Mi
trovo a mio agio. Eppure non dovrebbe essere così». «Già»
fece il commissario. Macari lui s’attrovava bene. Troppo. E non era cosa.
Fu Elena ancora una volta a tornare all’argomento. «Allora? Queste
domande?». «Oltre alla macchina, Angelo le ha fatto altri regali?».
«Sì e anche questi abbastanza costosi. Gioielli. Se vuole,
vado di là, li prendo e glieli faccio vedere». «Non
c’è bisogno, grazie. Suo marito lo sapeva?». «Dei regali?
Sì. D’altra parte, un anello avrei potuto nasconderlo, ma una macchina
come quella...». «Perché?». Lei capì a
volo. Era di un’intelligenza pericolosa. «Lei non ha mai fatto regali
alla sua donna?». Montalbano s’infastidì. Livia non doviva
trasirci manco per sbaglio nelle sordide, meschine storie sulle quali indagava.
«Trascura un particolare». «Quale?». Volle essiri,
apposta, offensivo. «Che quei regali erano un modo di pagare le sue
prestazioni». Aviva messo in conto tutte le possibili reazioni della
fìmmina, non che Elena si mittiva a ridere. «Forse Angelo
sovrastimava le mie prestazioni, come dice lei. Mi creda, non sono una
fuoriclasse». «E allora torno a domandarle perché».
«Commissario, c’è una spiegazione ed è molto semplice.
Questi regali me li ha fatti negli ultimi tre mesi, cominciando dalla macchina.
Mi pare che l’altra volta le dissi che in Angelo era subentrato negli ultimi
tempi... insomma, si era innamorato di me. Non voleva perdermi».
«E lei?». «Mi pare di averle detto anche questo. Più
diventava possessivo e più io tendevo ad allontanarmi. Non sopporto
le briglie, tra l’altro». Non c’era stato un antico poeta greco che
aviva scritto una poesia d’amuri per una cavallina di Tracia che appunto
non sopportava le briglie? Ma non era il momento di pinsari alla poesia.
Quasi controvoglia, il commissario infilò una mano in sacchetta,
tirò fora le tri littre che si era portate appresso, le posò
sul tavolinetto. Elena le taliò, le riconobbe, non dette il minimo
segno di turbamento, le lassò dov’erano. «Le ha trovate nell’appartamento
di Angelo?». «No». «E dove?». «Nascoste
nel portabagagli della Mercedes». Di colpo, tre rughe: una sulla
fronte, dù ai lati della vucca. Per la prima volta parse sinceramente
strammata. «Perché nascoste?». «Mah, non saprei.
Potrei azzardare una spiegazione. Forse Angelo non voleva che le leggesse
la sorella, sa, per certi particolari che potevano metterlo in imbarazzo».
«Ma che dice, commissario?! Tra quei due c’era una confidenza totale!».
«Senta, lasciamo perdere i perché e i percome. Io le ho trovate
dentro a una busta telata nascosta sotto il tappetino del portabagagli.
Le cose stanno così. Ma la domanda è un’altra e lei lo sa».
«Commissario, quelle lettere le ho scritte praticamente sotto dettatura».
«Di chi?». «Di Angelo». Ma che cridiva quella fìmmina?
Che potiva fargli ammuccare la prima minchiata che le passava per la testa?
Si susì di scatto, arraggiato. «Domattina alle nove l’aspetto
in commissariato». Si susì macari Elena. Era addivintata giarna,
la fronti lucita di sudore. Montalbano s’addunò che trimava leggermente.
«No, per favore, in commissariato no». Tiniva la testa vascia,
i pugni inserrati, le vrazza stise lungo il corpo, una picciliddra troppo
crisciuta che si scantava di un castigo. «Non la mangiamo in commissariato,
sa?». «No, no, per carità, no». Una vuciddra sottili
sottili che si cangiò in piccoli singhiozzi. Ma non avrebbe mai
finito di strammarlo quella picciotta? Che c’era di tanto tirribili nel
dovirsi prisintare in commissariato? Come si fa appunto con i picciliddri,
le mise una mano sutta al mento, le isò la testa. Elena tiniva l’occhi
inserrati, ma la faccia era vagnata di lacrime. «Va bene, niente
commissariato, ma non mi racconti storie assurde». Tornò ad
assittarsi. Lei ristò addritta, ma si avvicinò a Montalbano,
gli si mise davanti fino a quasi toccargli le ginocchia con le gambe. Che
si aspittava? Che lui le spiava qualichi cosa in cangio di non averla obbligata
ad andare in commissariato? Improviso gli arrivò il sciauro della
pelle di lei, dava uno stordimento leggio. Si scantò di se stesso.
«Torni al posto» disse severo, sintendosi improvvisamente addivintare
un preside di scola. Elena ubbidì. Assittata, si tirò con
le dù mano il giacchittuni nel vano tentativo di cummigliarisi tanticchia
le cosce. Ma, appena lassata, la stoffa risalì e fu pejo.
Andrea Camilleri
Nandropausa #8
- Libri letti e consigliati da Wu Ming, 21.6.2005
Andrea Camilleri, Privo di titolo, Sellerio, Palermo 2005, pagg.
296, € 11
Su Nandropausa #5, sfidando l'opinione di molti, definimmo "La presa
di Macallè" il miglior romanzo di Camilleri. In realtà no,
lo definimmo "capolavoro", ma nel frattempo è diventata parola-tabù,
pare non sia fine dire che un romanzo italiano è "la migliore opera
di un artista" (Zingarelli, def. 1), "opera eccellente nel suo genere"
(Zingarelli def. 2), "manufatto eseguito da un operaio o da un artigiano
per dimostrare il grado di abilità raggiunto[...]" (Zingarelli,
def. 3).
Perdipiù, a tanti quel libro non piacque: troppo duro, nero
nero, scabroso, scritto in una lingua irta di spuntoni. Libro acre, di
un maturo che pareva acerbo, e ai lati della lingua sentivi pizzicore.
Metteva insieme fascismo e sessualità dei bambini, fallocrazia e
pedagogia "spartana", carne e metallo (come nel ciclo western di Evangelisti)...
Reich e Collodi. Il cazzo duro di Michilino è un rovesciamento del
naso lungo di Pinocchio: è enfio delle bugie altrui, corpo cavernoso
irrorato col sangue sparso dal regime, non a caso Michilino si eccita della
propria fede fascistissima e ha nerbute erezioni ascoltando i discorsi
del Duce alla radio. Delle donne gli frega quel poco, si chiava la cugina
più grande ma non sente quasi niente. Intanto, lo prende nel culo
dal precettore. Il tutto sullo sfondo della guerra d'Abissinia, quella
degli attacchi coi gas tossici, degli sterminii. Chiaro che 'sta roba sia
parsa eccessiva agli spettatori delle fiction montalbaniane con Zingaretti.
Molti, poi, non hanno capito che quel romanzo parlava di oggi. Usare la
narrativa per strappare o almeno "smagliare" il tessuto di balle e mezze
verità dei poteri, dare sepoltura ai miti marciti in terra sconsacrata.
"Privo di titolo" (romanzo che ha fatto incazzare diversi esponenti di
AN) è il capitolo successivo, l'indagine continua. Negli ultimi
decenni, l'immagine del fascismo come figlio dell'Italietta che tira a
campare, regimetto velleitario in fondo meno peggio di altri che gli furono
coevi, e a tratti persino meritevole di gratitudine (le bonifiche etc.)
è servita a rendere opaco il quadro, a sminuire i crimini contro
l'umanità perpetrati da Mussolini e i suoi scherani. Se il fascismo
era ridicolo e kitsch, con quella mania dell'antica romanità, suvvìa,
non poteva essere tanto pericoloso, questa è materia da barzellette.
Il Duce era soprattutto uno che gli piaceva la gnocca e aveva trovato un
modo per farsene a vagoni, poi ha dato retta a Hitler e s'è fatto
strascinare in una cosa più grande di lui, ma vabbe', chi è
senza peccato scagli la prima pietra, c'era mica bisogno d'infierire a
quel modo, in Piazzale Loreto...
Camilleri ha la capacità di infilare la penna nelle pieghe della
quotidianità fascista, e dimostrare in modo impietoso che queste
sono abnormi cazzate. La cialtroneria e il velleitarismo, il kitsch e la
mancanza di senso del ridicolo sono elementi tipici di ogni regime, e più
in generale del populismo all'italiana. E' la nostra borghesia a essere
cialtrona, ignorante, velleitaria e kitsch. Tutto ciò non ridimensiona
affatto le vessazioni, i soprusi, la violenza criminale: rende anzi il
tutto più odioso. Quale migliore esempio del culto per il "primo
martire fascista" Gattuso/Grattuso? La turpe realtà di una spedizione
squadristica viene rovesciata nella costruzione mitica a cui partecipano
tutti i poteri costituiti, l'aggressore diventa vittima, la vera vittima
diventa capro espiatorio, e parte l'orgia kitsch di processioni, parate,
vaneggiamenti toponomastici, monumenti inaugurati. La vicenda s'incrocia
con quella di Mussolinia, città mai esistita se non in fotomontaggi,
della quale il Duce posa la prima (e unica) pietra, durante una visita
in Sicilia fatta in prescia e di malavoglia. In realtà Achille Starace
(segretario del PNF e definito dallo stesso Duce "un cretino ubbidiente")
raccomandava alla stampa di non usare mai l'espressione "la posa della
prima pietra", tipica dell'Italia prefascista: il fascismo non posa la
prima pietra, ma dà "il primo colpo di piccone: annunzio dinamico
e concreto" (disposizione del 24 settembre 1938).
Bene, ecco il nostro annunzio dinamico e concreto: questo di Camilleri
è un gran bel colpo di piccone, e da solo manda in pezzi l'edificio
del "martirio fascista".
WM1
Non credevo che Camilleri sarebbe riuscito a fare un bis altrettanto
potente. Invece dopo "La presa di Macallè" ci regala un altro squarcio
sulla Sicilia degli anni Venti, se possibile ancor più esilarante
e violento. Ripescare storie di quella terra e di quel periodo - il fascismo
colto alle origini, nel passaggio da movimento a partito, e dall'opposizione
al governo - ha un senso ben preciso ed evidente. Quella terra quasi africana,
dove iniziano le carriere di gerarchetti ridicoli e arraffoni, pronti alla
scalata ai ranghi del regime, non è altro che l'Italia di oggi.
Una nazione da operetta con il finale tragico (ma non serio), fottuta da
un tipetto pelato e dalla sua corte di scherani cialtroni, con la stolta
complicità di mezzo paese e forse più. E' la storia che si
ripete in farsa. Leggendo "Privo di titolo" è facile ridere forte
e ridere amaro. Ma soprattutto si volta l'ultima pagina con la sensazione
che per impedire certe coazioni a ripetere c'è ancora uno sforzo
improbo da compiere. Qualcosa di talmente radicale da estirpare appunto
una radice antica e profonda, ben salda nel dna culturale di questo paese.
Ci vuole il coraggio di voltarsi indietro e da quel baratro riesumare storie
dimenticate, piccole o grandi, che sbattano in faccia al presente la sua
miseria. Camilleri è uno di quelli che ci riesce, con una leggerezza
e un'ironia rare (soprattutto perché sono tempi in cui è
difficile mantenere l'una e l'altra). E regolarmente ci lascia con la voglia
di leggere il suo prossimo romanzo.
WM4
Per non lasciarmi andare a lodi sperticate dirò subito quello
che non mi è piaciuto del tutto nell’ultimo Camilleri. Mentre "La
presa di Macallè" piegava la lingua camilleriana a esigenze introspettive,
psicanalitiche, profonde e carnali, e rendeva alla perfezione una delle
preoccupazioni del libro - il ghetto dell'universo infantile, che è
costruzione ideologica degli adulti, è un luogo eminentemente tragico
-, il metasiciliano di queste pagine appare alle volte limitato, quasi
stereotipato. Ma queste sono stantìe preoccupazioni da addetto ai
lavori: è che la vicenda di "Privo di titolo" è tutta pubblica,
e Camilleri è in grado come sempre di inanellare una sfilza di caratteri
e personaggi vividi ed esemplari. Nella notte del senso che questo paese
sta attraversando, le scelte dell'ultimo Camilleri appaiono in netta controtendenza.
L'idiozia, la violenza, la mistificazione che regnano sovrane nella Sicilia
del ventennio parlano, ancora una volta e con tutta evidenza, dell'oggi.
WM5
La Repubblica
(ed. di Palermo), 21.6.2005
"A Palermo un'altra Albachiara"
La canzone. «Ho voluto dedicare "C´è chi dice no"
al giudice Borsellino a cui è intestato il velodromo. Dovrebbero
essere tanti quelli capaci di dire i giusti no»
L´amore. «Ho sempre sentito un grande affetto quando vengo
in questa città»
Già venduti 27 mila biglietti per il concerto. «Che posso
dirvi? Soltanto grazie»
I lettori di "Repubblica" intervistano Vasco Rossi. Domande ne sono
arrivate tantissime e, grazie all´ufficio stampa del rocker emiliano,
siamo riuscite a girarle al Blasco che ha risposto a tutti. Ecco, dunque,
le curiosità dei fan. L´intervista a 360 gradi nella quale
Vasco Rossi non si risparmia. In attesa del grande concerto di sabato al
velodromo che ha fatto già registrare il tutto esaurito da un bel
po´ di settimane.
Salve, volevo sapere quali libri legge e quali sono i suoi autori
preferiti. Inoltre conosce Andrea Camilleri? Ha letto qualche suo libro?
(Mario La Mantia del Camilleri Fans Club)
«Mi piace molto leggere e leggo molto anche ora che sono in tour.
Ultimamente mi sono innamorato di Proust. Ho affrontato la lettura della
"Ricerca del tempo perduto" pensando di non riuscire ad arrivare al secondo
capitolo e invece ne sono stato catturato completamente e lo sto divorando.
Conosco il commissario Montalbano di Camilleri, e chi non lo conosce? Ma
ultimamente sono più impegnato a riprendere i classici della letteratura
russa, americana, francese, che ai tempi della scuola non potevi apprezzare
perché erano letture che ti imponevano i professori. Mi ha molto
divertito ultimamente una dichiarazione di Camilleri, ha detto che vuole
battere le 33 lauree honoris causa di Eco. Molto simpatico».
[...]
Il Tempo, 22.6.2005
Camilleri sponsor del Mediterraneo
Da domani in Sicilia un «Circolo di Conversazione» culturale
tra 28 Paesi
Il Mediterraneo, simbolo di unione culturale, unica garanzia per una
civile e pacifica convivenza tra i popoli bagnati appunto dal mare nostrum.
Idea, questa, intelligente e colta, come la sua realizzazione presentata
da Andrea Camilleri. Il "papà" del commissario Montalbano si è
proposto come eccellente interprete dell’iniziativa Sabir: Circolo Mediterraneo
di Conversazione, promossa dalla Commissione europea, dalla Regione Siciliana,
con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e il supporto dell’Ateneo
catanese. Luoghi deputati alla manifestazione: Ragusa, Modica e Scicli,
una sorta di "triangolo barocco" in Val di Noto, ideale punto d’incontro
di poeti, scrittori e intellettuali di diverse nazionalità che,
attraverso un proficuo "conversare", dimostreranno quanto lo stesso Camilleri
ha sintetizzato: «L’economia è fugace, la vera ricchezza è
la cultura, lo scambio culturale. L’economia divide i popoli, mentre la
cultura li unisce». E ha proseguito: «Il Mediterraneo non è
un mare, ma un grande lago e noi dobbiamo conoscere chi c’è sulla
sponda opposta, per renderci consapevoli degli innumerevoli punti di contatto
tra le lingue e le culture. La poesia italiana e siciliana hanno un comun
denominatore nella poesia araba che ha suggerito molte metaforizzazioni
tra cui quella del rapporto luna-donna amata». E in questi giorni,
fresco di stampa, il nostro Autore ci ha regalato il racconto "Troppi equivoci",
contenuto nell’antologia Crimini, pubblicata da Einaudi, e un’altra avvincente
storia del ben noto e mai retrivo Montalbano, "La luna di carta" (Sellerio,
pp. 214, 11€). Una vicenda, quest’ultima, che assume i colori di un
poliziesco a sfondo erotico con un protagonista già in odore di
"vecchiaia". Il percorso narrativo agile e perfettamente compiuto, offre
al lettore divertimento per la felice costruzione del "caso" in questione
e riflessioni su un’umanità spesso vittima e carnefice di se stessa
contemporaneamente. Tornando all’incontro in terra di Sicilia, da domani
al 26 giugno, il Circolo di Conversazione vedrà ventotto paesi mediterranei
e della Nuova Europa allargata partecipare a venticinque incontri i cui
temi principali saranno i diritti umani e l’importanza della figura femminile
nel contesto storico e civile del Mare Bianco, come è definito dagli
Arabi. Ed è forse pertinente in questa sede, per chi volesse curiosare
nella propria memoria visiva, ripercorrere le coste dell’Albania, Algeria,
Arabia Saudita, Bosnia-Erzegovina, Cipro, Croazia, Egitto, Estonia, Gibilterra,
Iraq, Israele, Lettonia, Libano, Libia, Siria, Lituania, Macedonia, Malta,
Marocco, Portogallo, Serbia, Siria, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Tunisia,
Turchia. E dell’Italia. Anche se ne manca qualcuna, già queste rivelano
l’importanza del calendario degli eventi organizzati. L’archeologo Paolo
Matthiae, Salvatore Bono, storico dei paesi afro-asiatici e lo scrittore
Stefano Malatesta rappresenteranno l’Italia. Ma la lista dei partecipanti
è lunga, tra questi, lo scrittore egiziano Edwar al-Kharrat, l’intellettuale
siriano Farouk Mardam-Bey, la scrittrice libanese Hoda Barakat e lo scrittore
libico Ibrahim al-Koni. In programma conferenze, concerti e tavole rotonde,
tra cui una sulla presenza della donna nella comunicazione: Aisha Gheddafi
(figlia del leader libico), "converserà" con alcune delle più
autorevoli giornaliste come Monica Maggioni (fresca autrice di un libro
di sue memorie come inviata di guerra in Iraq), Yasemin Taskin, Lucia Baresi,
Mimosa Martini, Rula Jebreal e Nacera Benali.
Eugenio Zacchi
La Repubblica
(ed. di Palermo), 23.6.2005
Esce oggi in libreria "La luna di carta", l´ultimo romanzo dello
scrittore di Porto Empedocle con il celebre commissario ancora protagonista
Montalbano, un antieroe nella palude
Delitti eccellenti e donne subdole: è il ritorno di Camilleri
Dopo avere letto il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, "La luna di carta"
(Sellerio, 266 pagine, 11 euro, da oggi in libreria), con al centro ancora
una volta le avventure del commissario Salvo Montalbano, viene alla mente
un passaggio, fondamentale, della "Voce del violino": quello che fa riferimento
alla vicenda di Edipo, protagonista, suo malgrado, di «una bella
storia gialla». Dalla tragedia, infatti, lo scrittore di Porto Empedocle
era riuscito a ricavare una sorta di paradigma indiziario esemplare, in
forza del quale ogni investigazione, in fin dei conti, può rivelarsi
alla stregua di uno sprofondamento nei meandri più impenetrabili
della coscienza. Per averne una prova, basta rileggere "La pazienza del
ragno" (2004), dove ad avere la meglio, alla fine di una storia di torbidi
interessi, era proprio la catarsi, tipica del teatro greco.
Col nuovo romanzo, Camilleri si spinge ancora più in avanti,
costringendo il suo antieroe a misurarsi pericolosamente con l´horror
vacui. Un antieroe, va detto, sempre più consapevole del fatto che
la vecchiaia avanzi minacciosa e subdola, e quasi rassegnato a cedere le
armi. Montalbano, da qualche tempo, è diventato più fragile,
il suo fianco ora è definitivamente esposto alle incursioni della
paura e dell´angoscia, la sua memoria si inceppa e fa i capricci.
Ma c´è soprattutto un pensiero ricorrente, che si affaccia
al risveglio, e che terrorizza il commissario e sadicamente lo tortura:
"Quanno viene il jorno della tò morti…". La signora nera e ossuta,
armata di falce, e incappucciata fa visita al commissario di Vigàta,
alle prime luci dell´alba, per far tintinnare il suo inquietante
"memento". Montalbano cerca di correre ai ripari, sistemando sul comodino
una sveglia, il cui scatto della molla gli consente di non lasciarsi sorprendere.
A farsi cogliere alla sprovvista dalla morte è invece Angelo Pardo,
un informatore medico-scientifico, il cui cadavere viene rinvenuto orrendamente
mutilato e oscenamente atteggiato. Una fine oltraggiosa, la sua, con un
carico di mistero a tutta prima impenetrabile. A complicare la faccenda,
ci pensano due donne: Michela, la sorella del morto, apprensiva e asfissiante
sino all´inverosimile, dal fascino sinistro e inquietante, e Elena,
l´amante, sinuosa come una "gattoparda", bella e intelligente, sempre
in agguato sulla sua preda. Tra l´incudine della prima, pronta a
fare carte false pur di non infangare la memoria del fratello, e il martello
della seconda, sensuale a tal punto da far sudare pure una statua, il commissario
Montalbano non ha vita facile. Per non parlare poi di alcuni cadaveri eccellenti,
quelli di un ministro e di un avvocato molto in vista, appartenenti all´area
politica della maggioranza, rispettivamente stroncati da due infarti, per
la cronaca, e invece uccisi da due partite di cocaina tagliata male.
Ci sono, come al solito, due vicende parallele, che scorrono all´interno
del romanzo, e che sono destinate a incrociarsi. Nel frattempo, Montalbano
si trova costretto a fare i conti con strani codici, nascosti nel computer
di Angelo Pardo, e con lettere minatorie probabilmente apocrife; con le
reticenze di Michela, introversa e timida apparentemente, ma capace di
sfuriate, cui dà la stura quasi sotto possessione, e le vicissitudini
di Elena, provata dalla droga e dalla vita. Questa volta il caso è
davvero complesso, l´indagine maledettamente complicata, un vero
e proprio "gnommaro", per dirla con Gadda. E non è facile, in una
situazione del genere, distinguere la verità dalla menzogna, leggere
tra le righe delle diaboliche apparenze. Da qui, il titolo del romanzo:
Quann´era
picciliddro - ricorda Montalbano - una volta so patre, per babbiarlo, gli
aviva contato che la luna ‘n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva
sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva cridutu. E ora,
maturo, sperto, omo di ciriveddro e d´intuito, aviva nuovamente criduto
come un picciliddro a dù femmine, una morta e l´altra viva,
che gli avivano contato che la luna era fatta di carta.
Ma quando Montalbano capisce che non è cartacea la luna, quando
si trova faccia a faccia con la verità, lo spettacolo che gli staglia
di fronte è quasi insostenibile. Inaccettabile. Il lago viola e
profondo degli occhi di Michela, nel quale tutti i maschi vorrebbero tuffarsi,
si trasforma in un´immonda palude, nelle sabbie mobili di una vita
famigliare torbida, in cui l´amore può trasformarsi, empiamente,
in incesto (e qui torna Edipo). In cui l´innocenza più sfacciata
può celare, sinistramente, minacciose zone d´ombra. Montalbano,
consapevole dei guasti che la vecchiaia si diverte a disseminare sul suo
corpo e sul suo animo, si specchia nelle acque limacciose di questo sudicio
stagno, e l´immagine riflessa quasi lo atterrisce. C´è,
sempre, nelle pagine di Camilleri, una compassione simenoniana, una sorta
di stizzita pietà per le vittime, spesso indifese anche se apparentemente
armate sino ai denti. Ma insieme, c´è anche lo sgomento, per
aver intrapreso un viaggio dritto all´inferno, in quella terra desolata
da cui ben pochi riescono a fare ritorno.
Salvatore Ferlita
.com, 23.6.2005
Camilleri giudica le notizie in tv
Da oggi in libreria c'è "La luna di carta", la nuova avventura
del commissario Montalbano
Oggi esce il nuovo romanzo di Andrea Camilleri "La luna di carta": una
nuova avventura del commissario Montalbano. Proprio in questo periodo,
poi, in Sicilia si sta girando la nuova serie dedicata al medesimo personaggio
e pochi giorni fa il popolarissimo scrittore siciliano ha ricevuto la laurea
specialistica ed interfacoltà Honoris Causa, dall'Università
di Pisa, in Sistemi e progetti di comunicazione.
Su cosa è stata incentrata la sua Lectio magistralis?
Sulla manifestazione di un disagio: essenzialmente dovuto alla trasformazione
della televisione da fabbrica del consenso in fabbrica del credere. Il
grande fisico e filosofo Werner Heisemberg, osservò, prima di me,
nel 1958, come una cosa sia il credere per fede, per esempio in Dio; un'altra,
ben diversa, il credere per comodo, come base di vita. Questo secondo tipo
è assai difficilmente removibile: anche quando ci si trova di fronte
ad elementi che dimostrano la totale infondatezza di tale credenza. Ciò
spiega perfettamente per me come, ad esempio, dopo il risultato disastroso
della guerra in Iraq e la scoperta che le armi di distruzione di massa
non esistevano, i promotori di questa guerra abbiano rivinto le elezioni:
Questo è il rischio che corriamo.
Molti ci hanno creduto davvero a quelle armi?
Vede, la cosa terribile non è tanto per così dire essere
stati, con certi argomenti, portati ad una fede: ma rimanere, in questi
argomenti, quando essi si sono dimostrati falsi.
Il ruolo della comunicazione, in tutto questo?
Fondamentale! Questo vertiginoso allargamento della comunicazione è
stato salutato da tutti come il segno di una finalmente raggiunta libertà
d'informazione. Ma questo tipo di libertà coincide con la possibilità
d'approssimarsi a una verità potabilmente limpida e priva di germi?
Oggi c'è una comunicazione globalizzata, univoca, unidirezionale.
A me capita di guardare sui satellitari le varie CNN, etc... in realtà
danno praticamente tutti le stesse notizie e nello stesso modo; nei giornali
la situazione è diversa... Il giornale, infatti, già all'atto
del suo nascere, ha uno zoccolo duro, un orizzonte di lettori su cui può
contare che sono d'accordo sulla linea politica di quel giornale e se,
di volta in volta, non capiscono bene la linea politica o qualcos'altro,
possono rileggerselo; la televisione, invece, non può far tornare
indietro sulla notizia, non si può "rileggere". Il giornale, inoltre
- e persino quello di un partito - può permettersi, ad un determinato
punto, una certa autonomia, perché così conquista più
lettori; l'autonomia di una televisione, invece, non acquista più
telespettatori: li fa perdere.
Quando si accorse dei poteri nascosti, occulti del mezzo televisivo?
Quando cominciarono a venire usate le apparecchiature di registrazione
tv, a Roma. Bene, ogni domenica veniva trasmessa in diretta la santa messa;
un pomeriggio, passando davanti alla Cappella di via Teulada, vidi che
stavano registrando una messa e il fatto mi incuriosì e stupì
molto perché si era di giovedì; mi informai ed un assistente
mi disse: «Stiamo registrando la messa che manderemo in onda domenica
prossima». Controllai, poi, se per caso avessero avvertito i telespettatori
che si trattava di una messa in differita. Non fu così e mi chiesi
allora come potesse avvenire il miracolo della transustantazione... in
differita!
Cosa pensa di quelle notizie "gialle" da cui si è come martellati
per una settimana e poi spariscono?
Si potrebbe fare un giornale dal titolo: "Com'è andata a finire".
Ci sono notizie, non di rado importanti, che nemmeno vengono date...
Certo, che non ce le dicono; oppure ci danno le notizie, diciamo così,
a modo loro... Io porto sempre come caso emblematico quando, sempre nel
'58, venne approvata la legge Merlin, sul primo canale, Ugo Zatterin diede
la notizie parlando per due minuti senza mai adoperare una sola volta le
parole prostituta, prostituzione, case chiuse. Era stato usato un sottocodice
per rendere incomprensibile ai più la notizia.
La tv recente, invece?
Lavora sullo slogan gridato. Basta guardare certe puntate di "Ballarò"
piuttosto che di "Porta a porta". E' uno scontro di galli. Tutto questo
è contagioso. Si dice che la tv sia uno specchio nella società:
ma perché non diciamo che può essere vero anche il contrario?
Umberto Rondi
La Repubblica
(ed. di Bologna), 23.6.2005
Le rassegne
Joyce tra lolite, postini, comici e gli Usa oggi
Il festival
"Le parole dello schermo" è il contenitore di un gran numero
di rassegne tracciate da diversi curatori.
[...]
Cesare Sughi ha curato, da un´idea di Andrea Camilleri (che la
espone in una videointervista) «I postini di James M. Cain»:
"Le dernier tournant" di Chenal, "Il postino suona sempre due volte" di
Garnett e il remake di Rafelson, e "Ossessione" di Visconti.
[...]
Stefano Benni «Lo scandalo e lo schermo»: "Lolita" e "Arancia
meccanica" di Kubrick, "Il diavolo in corpo" di Autant-Lara.
[...]
In «Tutto il giallo viene per nuocere» Carlo Lucarelli
ha riunito "Rebecca" di Hitchcock, "La maschera di scimmia" di Samantha
Lang e "Il grande sonno" di Hawks.
[...]
In piazza Maggiore, alle 22, verranno proiettati "L´anno scorso"
a Marienbad di Resnais, presentato da Alain Robbe-Grillet il 28; "Lolita"
di Kubrick presentato da Benni il 29; "Blade Runner" il 1° luglio presentato
da Cofferati. Il 30 Ciprì e Maresco non fanno cinema ma spettacolo
(musica, immagini, teatro) con "Viva Palermo e Santa Rosalia".
Yahoo! Notizie,
23.6.2005
La "Coalizione" in difesa della cultura italiana
È nata ieri la "Coalizione
italiana per la diversità culturale" promossa da Siae, Accademia
di Santa Cecilia, Associazione autori cinematografici e Istituto per gli
studi filosofici. Lo scopo di questa associazione è impedire che
la Wto estenda ai prodotti culturali tutte le regole che impediscano misure
protezionistiche (dazi, quote e aiuti di Stato) altrimenti lo strapotere
degli Stati Uniti metterebbe in crisi anche i nostri film, libri, dischi
e video. Tra i testimonial che hanno presentato l'iniziativa, Ettore Scola,
Carla Fracci, Andrea Camilleri e Ennio Morricone. Se l'iniziativa non avesse
buon esito verrebbero aboliti il canone Rai, gli aiuti all'editoria e il
fondo unico per lo spettacolo.
Informazioni Editoriali s.p.a
Il Riformista,
23.6.2005
L'editoria italiana è pluralista: la cinquina Camilleri è Sellerio, non Mondadori
Thriller Magazine,
24.6.2005
Montalbano: un mito!
E' uscito per I Miti della Mondadori "La prima indagine di Montalbano"
Andrea Camilleri non smette mai di stupire i suoi lettori e i suoi fans,
infatti, mentre tutti attendono con ansia l'ormai prossima uscita del romanzo
"La Luna di Carta", la Mondadori ripropone "La prima indagine di Montalbano"
in versione economica nella collana I Miti.
Così tutti coloro che ancora non lo avessero letto possono godersi
questo libro sotto l'ombrellone, in attesa di leggere la nuova avventura
del commissario.
"La prima indagine di Montalbano" raccoglie tre racconti lunghi in
cui il protagonista non si trova a indagare su fatti di sangue, ma su alcune
vicende particolari. Il racconto che dà il titolo all'opera fa scoprire
al lettore alcuni aspetti inediti di un Montalbano giovane e alla sua prima
indagine.
Proprio per questo il libro è consigliato anche a tutti coloro
che credono di conoscere tutto del loro eroe, ma che resteranno sicuramente
stupiti da alcune rivelazioni sul suo passato.
Chiara Bertazzoni
Bol.com, 25.6.2005
Il medaglione
Sarà in libreria il 5 luglio 2005 "Il medaglione" (Mondadori,
collana Piccola Biblioteca Oscar, Euro 6,50), ristampa del racconto pubblicato
sul Calendario 2005 dell'Arma dei Carabinieri.
La Sicilia, 26.6.2005
Una vita dalla finestra sul mare di Porto Empedocle
Narra la leggenda che la malgascia andasse alla ricerca di naufraghi,
lungo la costa, nelle notti di tempesta, «quasi come una crocerossina
che al fronte raccoglie i feriti». Agitava una luce rossa in cima
agli scogli, quando c'era burrasca, in modo da richiamare l'attenzione
di qualche sventurato che si trovava in balia del mare. Poi la malgascia
recuperava il corpo del naufrago finito su qualche spiaggia; si dedicava
con molta cura e particolari attenzioni al recupero fisico dello sfortunato
e infine si cimentava nella sua arte preferita: la seduzione. E riservava
quindi allo sconosciuto una morte ben più dolce: quella dovuta allo
«sfinimento d'amore», stretta al suo corpo fino all'esalazione
dell'ultimo sospiro di piacere.
«Forse è per questo - racconta nel suo nuovo libro di
mare lo scrittore empedoclino Alfonso Gaglio - che ancora oggi, navigando
in quel tratto di costa, pare udire le grida di quei naufraghi che avevano
sperato nella salvezza e che invece avevano perso la vita in tutt'altro
modo».
Il mare, quindi, sempre e soltanto portatore di storie e di leggende
misteriose; a volte liete, ma in gran parte tragiche. Episodi di vita che
l'anziano autore ha raccolto e trascritto a modo suo, in tanti anni di
frequentazione con l'ambiente marinaro empedoclino quando, nelle sere d'inverno,
seduto su una sedia di paglia al «Circolo dei marinai», ascoltava,
immerso nelle nuvole di fumo delle pipe, le vicende più o meno fantasiose
dei tanti marittimi imbarcati sulle navi di mezzo mondo. Storie di dragunere
e di misteriosi cimiteri sotto il mare; di sirene ammaliatrici e di strane
correnti sottomarine che fanno diventare l'acqua colore del sangue o del
vino. Senza contare la famosa leggenda di quel ragazzo che col suo zufolo
suonava al mare nelle notti di luna piena e richiamava in questo modo una
moltitudine di pesci che finivano provvidenzialmente solo nelle reti dei
pescherecci empedoclini. Una sorta di «canto del mare» come
l'ha definito Andrea Camilleri «che di volta in volta si fa elegia,
inno aperto e spiegato».
Adesso tutte queste storie, grazie alla lodevole iniziativa editoriale
dell'assessore alla Cultura e vice sindaco del Comune di Porto Empedocle,
Massimo Firetto, sono diventate un libro di racconti dal titolo «Racconti
di mare», edito in collaborazione con l'Aics. In esso Alfonso Gaglio,
a 82 anni compiuti, racconta le imprese sui mari dei tanti capitani empedoclini;
i Castelli, i Costa, i Martello, i Di Mare, i Marullo, i Sciangula e molti
altri ancora, che con i loro pescherecci e l'estenuante lavoro sono riusciti
a dare impulso, con la pesca, all'economia del paese.
Avrebbe comunque meritato un'edizione migliore, sia dal punto di vista
grafico - editoriale che di diffusione (che purtroppo è esclusivamente
locale) questo pregevole libro di ricordi al quale Gaglio ha lavorato per
anni, chiuso nel silenzio del suo studio al sesto piano di un palazzone
che si affaccia sul molo.
Da quella finestra aperta, la stessa che graficamente è riprodotta
sullo schizzo acquerellato di copertina, l'anziano scrittore, compagno
negli anni adolescenziali di Camilleri, ha scrutato per quasi tutta la
vita il mare empedoclino.
Ad esempio, osservando ogni sera dalla finestra di casa l'arrivo della
motonave dalle Pelagie è balenata l'idea di presentare ufficialmente
questo nuovo libro di racconti sulla Paolo Veronese, nel salone passeggeri,
durante la sosta al porto, in attesa della partenza notturna.
In fondo, anche questa motonave è parte integrante del panorama
privato di Alfonso Gaglio e soprattutto delle sue suggestive e affascinanti
storie di mare. Ma non è tutto. Ci sono ancora tante altre vicende
empedocline che oggi meritano di essere raccontare.
Seduto al Caffè sul corso principale, con indosso il suo inseparabile
soprabito bianco Alfonso Gaglio ha confidato agli amici di aver iniziato
una nuova avventura letteraria. Infatti, dopo i «Racconti di mare»
ora sta lavorando ai «Racconti di terra» coadiuvato in questo
dall'amico Carmelo Graci che in fatto di flanerie la sa lunga, quasi quanto
Gaglio in fatto di storie marinare.
«Si addormentò e sognò le lunghe spiagge dorate
- è scritto nel racconto (autobiografico?) dal titolo «Il
piroscafo se ne va» - Ora viveva tutte le notti lungo quella costa
e nel sogno udiva il fragore dei frangenti e vedeva le barche che li fendevano.
Mentre dormiva sentiva l'odore del mare recato al mattino dal vento di
terra…».
Lorenzo Rosso
La Repubblica (ed.
di Roma), 27.6.2005
Roma - L'edificio di Moretti. Lunga storia e triste sorte della
Casa delle Armi
Ritrovati un anno fa nuovi mosaici colorati dopo lunghi anni di degrado
È una sorta di tempio laico del provvisorio, la Casa delle Armi
al Foro italico. Un luogo di paradossi adatto per un raccontino di Andrea
Camilleri quando soavemente descrive mondi in cui l'eternità passa
e si esprime per l'indefinito.
[...]
Francesca Giuliani
Le
parole dello schermo - Primo Festival Internazionale di cinema e letteratura
- Bologna, 28 giugno - 1 luglio 2005
All'interno del Festival alcune sezioni tematiche, articolate in incontri
e proiezioni.
Nell'ambito di "I postini di James M. Cain", martedì 28 giugno
alle ore 20:30, al Lumière 2, il curatore Cesare Sughi presenta
I
postini di Camilleri, video intervista esclusiva con Andrea Camilleri.
Una seconda video intervista esclusiva con Andrea Camilleri, dal titolo
Il
Gattopardo, giovedì 30 giugno alle ore 22:00 in Piazza Maggiore.
A seguire, Viva Palermo e Santa Rosalia, spettacolo di musica, immagini
e teatro per la regia di Ciprì & Maresco, con Mimmo Cuticchio
e Franco Scaldati, e le musiche dal vivo di Enrico Rava e Salvatore Bonafede.
Avevo annunciato, tempo fa, la programmazione di due video interviste
al Sommo nell'ambito del Festival di letteratura e cinema "Le parole dello
schermo" che ha avuto luogo a Bologna dal 28 giugno al 1 luglio 2005.
Delle due interviste, la seconda, in ordine di calendario, è
saltata, nel senso che non è stata proiettata.
Per ora ignoro i motivi del bidone, ma sto indagando.
La prima è stata proiettata, come previsto, il 28 giugno in
apertura della rassegna "I postini di James M. Cain", rassegna che è
stata ideata dal Sommo in collaborazione con Cesare Sughi.
Cesare presenta la rassegna e il primo dei film di cui si compone:
"Le dernier tournant".
Chiudendo la sua introduzione, aggiunge frettolosamente: "... ah, già,
prima del film verrà proiettata una video intervista ad Andrea Camilleri,
che non ha potuto essere presente."
Si spengono le luci in sala e parte il fimato.
Panico.
Cerco di prendere appunti incurante del buio.
Io già faccio fatica a rileggere i miei appunti scritti in piena
luce, figuriamoci!
Il risultato, come previsto, sono quattro scarabocchi dalle innegabili
suggestioni espressioniste astratte, ma assolutamente inutili a ricostruire
nei dettagli l'intervento del Sommo.
Intervento molto interessante, anche perchè non avevo mai letto,
o sentito, il Sommo parlare di Cain.
Sono già in contatto con la cineteca di Bologna per richiedere
una copia, o per avere la possibilità di fare una trascrizione del
reperto.
In caso di insuccesso, vedrò di ragguagliarvi a memoria.
Franco
Thriller Magazine,
29.6.2005
La luna di carta
E' uscito il 23 giugno, dopo l'attesa da parte di tutti gli appassionati,
La luna di carta il nuovo romanzo di Andrea Camilleri con protagonista
l'ormai celebre commissario Montalbano.
Si è così giunti al nono volume delle avventure del commissario,
che alcune indiscrezioni dicono essere il penultimo della serie: pare infatti
che l'autore abbia deciso di chiudere, con il prossimo romanzo, il ciclo
dei romanzi di Montalbano.
Al di là, però, di queste affermazioni più o meno
confermate da Camilleri, è interessante approfondire alcuni punti
di La luna di carta, che riserva diversi piani di lettura e perciò
può essere apprezzato sia dal distratto lettore occasionale sia
dall'attentissimo e critico lettore fedele.
Innanzitutto la storia: essa è il primo livello di lettura.
Il lettore si lascia facilmente coinvolgere dall'indagine, che vede Montalbano
intento a indagare sull'omicidio di un uomo, trovato ucciso con un colpo
di arma da fuoco in faccia. Si intersecano la pista dell'omicidio passionale,
del traffico di droga e del regolamento di conti.
Camilleri riece a costruire una trama avvincente, di piacevole lettura,
coinvolgente, anche se, forse, meno brillante di altre per quanto riguarda
la parte dell'indagine.
Oltre alla trama vera e propria, però, il lettore attento gode
di altre tematiche che l'autore inserisce nell'intreccio: è qui
che subentrano gli altri piani di lettura.
Primo fra tutti è quello che riguarda il personaggio Montalbano,
che torna alla grande e in splendida forma, anche se cambiato e in continua
evoluzione. Anche se il commissario non è fragile e provato, come
nella sua ultima avventura, è comunque molto cambiato, pur restando
fedele a se stesso. Montalbano è invecchiato e invecchia e, soprattutto,
inizia a rendersene conto. Perciò gli capita spesso di pensare al
futuro e alla morte, di cui ha una grande paura; di riflettere sui rapporti
con le persone, coi suoi amici e con Livia.
Certo il commissario conserva sempre i lati caratteristici del suo
carattere: è incostante nell'umore, facile agli scatti d'ira, attento
alle parole e ai dettagli nell'indagine; nello stesso tempo, però,
di tanto in tanto, la memoria lo tradisce, si lascia andare alla nostalgia
per Ingrid lontana, abbraccia Catarella e chiama Livia solo per dirle che
la ama.
Forse in tutti questi particolari della vita del commissario si potrebbero
vedere alcuni punti autobiografici in comune con l'autore; forse Camilleri
ha voluto inserire alcuni suoi pensieri, alcune emozioni che lui stesso
vive.
Al di là comunque di questa eventualità emerge sicuramente,
e qui si entra in un livello di lettura un po' più nascosto, il
rapporto conflittuale tra autore e personaggio: un personaggio a cui Camilleri
è sicuramente legato, ma che sta diventando troppo ingombrante,
come dichiara lo stesso autore. Nonostante ciò non è così
semplice farlo uscire di scena e così viene presentato in ottima
forma, ma con alcuni punti deboli, che in passato non c'erano o erano semplicemente
ben nascosti.
Partendo da questi piccoli spunti si potrebbe disquisire su altre sfumature,
su ogni singolo personaggio introdotto nella storia, sulla lingua sempre
originale con cui il libro è scritto, ma si reputa che la cosa migliore
sia che ciascuno legga il libro e possa trovare in esso qualche aspetto
interessante.
Sicuramente, ancora una volta, Andrea Camilleri non delude e torna
con un libro che lo riconferma come uno dei migliori giallisti italiani
del momento.
Chiara Bertazzoni
La Repubblica
(ed. di Palermo), 29.6.2005
I libri
L'Isola in nero scopre altri eroi
L´ultimo Montalbano, che sornione si affaccia dalla sua "luna
di carta"; il maresciallo Antonio Brancato, venuto fuori dal calendario
dei carabinieri e accolto da Camilleri in un libricino che è in
uscita per i tipi della Mondadori (Il medaglione, 6,50 euro); il nuovo
romanzo del giovane scrittore isolano Roberto Mistretta, "Sordide note
infernali" (Todaro editore, pagine 248, 14 euro), tenuto a battesimo da
Santo Piazzese, autore della prefazione.
Bastano queste buone nuove editoriali perché la Sicilia confermi
la sua ambigua e inquietante natura di Isola in nero. Una terra in cui,
a fronte della diminuzione dei veri morti ammazzati, si assiste alla moltiplicazione
quasi ossessiva dei delitti di carta. Basti pensare per un attimo ai romanzi
di autori come Santo Piazzese, Piergiorgio Di Cara, Valentina Gebbia, Domenico
Cacopardo, Gaetano Savatteri, capitanati dall´instancabile Andrea
Camilleri, il quale, fresco dell´uscita della nuova avventura di
Montalbano, sta per riempire gli scaffali delle librerie con un racconto
che ha come protagonista il maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato.
Il maresciallo, che in realtà ha già fatto bella mostra di
sé nel calendario dell´Arma di quest´anno, è
da cinque anni il comandante della stazione dei carabinieri di Belcolle,
un paese siciliano quasi da cartolina, ed è benvoluto e rispettato
dalla gente del posto, di cui sa vita, morte e miracoli. O almeno così
pensa: cosa nasconde infatti il settantenne Ciccino Barbaro? Per quale
motivo non vuole che nessuno, dopo la morte della moglie, si avvicini alla
sua isolata casa di campagna? Il maresciallo Brancato riuscirà a
far luce sul mistero.
Roberto Mistretta, invece, si è inventato una storia con tanto
di serial killer, ambientata in un´area della Sicilia difficilmente
individuabile in una carta geografica, come ha scritto Piazzese nella prefazione,
ma facilmente identificabile: si tratta della Montavalle, che corrisponde
pressappoco al Vallone di Mussomeli. Ed è forse per la prima volta
che in Sicilia sia in azione un assassino seriale che, nelle pagine di
Mistretta, deve però fare i conti con Angelo Duncan, commissario
coriaceo e atrabiliare.
Salvatore Ferlita
Gli oscuri intrecci di una fuga di notizie
Il giallo e il noir, in Italia e altrove, stanno sempre più
cambiando pelle: messi infatti di lato i buoni e sani omicidi di un tempo,
ad avere la meglio sono oggi i luoghi, le atmosfere, i contesti metropolitani.
Oppure, a fare bella mostra di sé troviamo quell´intrico di
interessi politici, mafiosi, la selva oscura del potere, quasi sempre illegale,
la rete nazionale o internazionale di connivenze. Per avere una conferma
di ciò, basti leggere il romanzo d´esordio di Christine von
Borries, "Fuga di notizie" (Guanda, 191 pagine, 14 euro), che verrà
presentato oggi pomeriggio alle 18,30 alla libreria Kalòs (via XX
Settembre 56/b) da Giuseppe Traina.
Si tratta di un poliziesco di indagine (sociale e insieme psicologica),
come l´ha adeguatamente definito Andrea Camilleri nella postfazione,
scritto da un pubblico ministero nata a Barcellona nel 1965, ma che esercita
la sua professione a Palermo. Un romanzo che capovolge l´impianto
tradizionale del giallo: nessun morto ammazzato, infatti, ma un attentato,
posto al centro della vicenda, che dà la stura a una rocambolesca
avventura, al centro della quale troviamo Irene Bettini, giovane direttrice
dell´ufficio decimo del Sisde, ossia l´enorme archivio computerizzato
dell´organizzazione, dove viene immagazzinata qualsiasi notizia.
A movimentarle la vita ci pensa Roberto Taddei, bel tenebroso, dal fascino
discreto ma irresistibile, direttore dell´ufficio sesto, quello che
per intenderci ha il compito di far luce su gruppi e uomini di spicco,
del mondo della politica, della finanza, dell´imprenditoria, che
in qualche modo nel loro cammino incrociano la criminalità organizzata.
Taddei, che in passato si è occupato di inchieste scomode, sta indagando
su una fuga di notizie girate da un parlamentare alla mafia, e per questo
motivo vuol essere addottrinato sul funzionamento dell´archivio,
sulla modalità di consultazione e di accesso ai dati. Irene, sempre
più attratta dal suo interlocutore, si mostra all´altezza
del compito, e Taddei non si lascia sfuggire nemmeno un dettaglio.
C´è del marcio, si capisce subito, nei meandri dell´archivio:
una sorta di tela velenosa, ordita però da un bel po´ di ragni,
e più ci si avvicina a essa, più si rischia di tirare le
cuoia. Ne sa qualcosa Taddei, mandato quasi al creatore da un colpo di
pistola esploso a bruciapelo. Tocca a Irene, afflitta ma nello stesso tempo
indignata, portare avanti le indagini. E non sarà un´impresa
facile.
Christine von Borries ha una naturale propensione al racconto, che
fila liscio dall´inizio alla fine, senza incepparsi. "Fuga di notizie"
è un´ulteriore conferma del fatto che il giallo e il noir
oggi riescono sempre meglio a illuminare quelle zone d´ombra in cui
la politica e il malaffare pericolosamente convergono.
s.f.
l'Unità, 30.6.2005
Piazza Bella Piazza
E' in edicola "Piazza Bella Piazza" (per le edizioni congiunte de l'Unità,
il Manifesto, Liberazione e Carta), prezzo 6,90, un libro, a cura di Paola
Staccioli, riguardante "due decenni di lotte sociali e politiche nei racconti
di quindici scrittori italiani": Giovanni Alimonti, Nanni Balestrini, Andrea
Camilleri, Massimo Carlotto, Geraldina Colotti, Erri De Luca, Daniela Frascati,
Ermanno Gallo, Elena Gianini Belotti, Gianfranco Manfredi, Alessandro Pera,
Ivo Scanner, Paola Staccioli, Stefano Tassinari e Roberto Tumminelli.
Oggi, 6.7.2005
Montalbano mi somiglia: è duro e testardo come un mulo
Fedele a se stesso, monogamo da quarantasei anni e comunista: l’inventore
del poliziotto più famoso d’Italia si considera un modello quasi
estinto. «Perché sono rimasto tutto d’un pezzo», dice.
La stessa virtù del personaggio che ha inventato. E che gli ha fatto
vendere dieci milioni di copie
Roma, giugno.
Andrea Camilleri alias Montalbano scrive i suoi best-seller su una
sedia da barbiere con le rotelle, mentre due dispettosi nipotini, Silvia
e Francesco, di 6 e 10 anni, gli strattonano i pantaloni sotto la vecchia
scrivania di legno, maestosa come il ponte di una nave. Qui un piccolo
computer illumina una statua di San Calogero detto Calò, protettore
del grano e di Agrigento (Camilleri è nato a Porto Empedocle, pochi
chilometri dal capoluogo siciliano).
Nasce nella più normale quotidianità, la saga del poliziotto
più famoso d’Italia, quel Salvo Montalbano commissario di Vigàta
cui Luca Zingaretti ha prestato il volto nello sceneggiato per la televisione
e che, edito da Sellerio, da qualche giorno è arrivato in libreria
con la sua nona indagine, "La luna di carta".
Niente esotismi per il nostro giallista più tradotto nel mondo,
che ha sforato i dieci milioni di copie vendute in più di cento
Paesi ma diversamente dal grande Simenon, «papà» di
Maigret, per concentrarsi non ha bisogno di un barcone sciaguattante sulle
rive della Senna, né dell’atollo sudafricano che ispira il re dell’avventura
Wilbur Smith. Qui Prati, quartiere della Roma degli uffici, dove telefoni
e campanello suonano e risponde lui, l’inventore di Montalbano, qualcosa
come: «Camilleri sooono!».
«Non sento la sacralità della scrittura», scherza
l’ironico autore siciliano, che il prossimo 6 settembre compirà
ottant’anni. «Mia moglie Rosetta dice che assomiglio a un corrispondente
di guerra, abituato come sono a lavorare nella confusione, insensibile
a guai e baccano. La verità è che, come il mio monogamo eroe
(che ama solo la sua Livia), anch’io adoro le abitudini. Non potrei lavorare
lontano dalla mia consorte, dai miei tre figli e quattro nipoti. Sono un
coerente, forse l’ultimo sopravvissuto in un mondo dove chi è fedele
a se stesso viene scambiato per un cretino. E allora, proprio perché
è così, io che sono un duro, remo al contrario. E resisto
all’estinzione come la capra girgentana tipica delle mie parti, quella
con le corna attorcigliate ormai ridotta a pochi esemplari. In barba ai
tanti distinguo politici del momento, io, per esempio, dico ai quattro
venti che sono un comunista tutto d’un pezzo, di quelli che con Lenin crede
ancora nella necessità di collettivizzare i mezzi di produzione
come fase indispensabile del processo di crescita dell’umanità:
prima di arrivare al piacevole benessere socialista. L’esperimento marxista
nell’ex Unione Sovietica venne distrutto da Stalin. Ha trionfato in Cina,
dove dando una ciotola di riso a tutti Mao aiutò il suo popolo a
rialzare la testa, restituendogli l’orgoglio che tra mille accidenti e
contraddizioni [la questione dei diritti umani resta una spina nel fianco
del colosso giallo, ndr] l’ha condotto fino al trionfo attuale. Del resto,
io sono un artista: il mio comunismo nasce prima di tutto da una forte
sensibilità verso l’ingiustizia. Che, io che sono ateo, condivido
con Gesù Cristo.
«Ma la mia coerenza più sentita, da buon siciliano, la
dedico a santa madre donna. Le faccio omaggio anche ne "La luna di carta",
il mio ultimo giallo dove Montalbano “ammucca” (cioè abbocca) a
trappole e depistaggi incrociati orditi da due fascinose femmine dal carattere
fortissimo e diversissimo, la bella Elena e la repressa Michela dagli occhi
di brace, la prima amante, la seconda sorella della vittima del racconto,
l’informatore farmaceutico Angelo Pardo, ucciso in una casa alla periferia
di Vigàta. Per motivi opposti, le due vogliono far credere al mio
malcapitato commissario che la “luna è di carta”, cioè convincerlo
di qualcosa che non esiste. Metodico come sempre, il mio eroe si perde
nel buio del cuore femminile, che causa la monogamia conosce poco ma lo
intriga.
«Come una mosca nella tela del ragno, si dibatte, combatte e
con la sola forza della ragione riesce a sciogliere qualche enigma. Sarà
che sono un po’ arabe, sarà che un po’ come tutti noi siciliani
hanno sopportato il peso di tredici dominazioni, le nostre donne hanno
una personalità sfuggente e prismatica, il frutto di secoli di incroci.
Questi ne hanno rinvigorito il sangue e sfaccettato l’anima disincantata.
Silenziose, comunicano con la sola forza dello sguardo e restano, sostanzialmente,
un mistero. Sono sposato da quarantasei anni con la stessa signora, la
mia principale consigliera, il mio giudice più severo. Rosetta è
l’unica a cui affido le bozze dei miei libri prima di girarli all’editore.
Non è siciliana ma romana (seppure educata a Milano), la mia consorte
che in casa governa come una matriarca del profondo Sud. Ne ricordo tante,
nella mia infanzia meravigliosa di coccolato figlio unico dedito alle monellerie.
Prima fra tutte non dimentico la mia mitica nonna materna Elvira, la regina
della famiglia, morta a 84 anni di… felicità. Non è uno scherzo:
la mamma di mia mamma Carmela non era mai stata a Roma e, quando arrivò,
chiese di poter ammirare Villa Adriana. Io e mia moglie la accontentammo.
Quando si trovò tra quelle colonne grondanti di storia, la nonna
mormorò “Tutto questo è troppo bello”, si accasciò
e morì della morte più fantastica che uno si possa augurare,
scoppiando di gioia. Grandiosa fino all’ultimo, la mia nonna fu una allegra
progressista. Quante risate ci siamo fatte, quando mi leggeva "Alice nel
Paese delle meraviglie", un libro insolito nel Sud della mia infanzia.
Che spasso il Cappellaio Matto e il Gatto senza Ghigno, il Ghigno senza
Gatto.
«Con la nonna non mi annoiavo mai, e non vedevo l’ora che venisse
l’estate per raggiungere la nostra casa di campagna a San Giuseppuzzu tra
i mandorli e gli olivi. Lì potevo scorrazzare con i figli dei carrettieri
e dei pescatori, gli stessi che seguivo le tante volte che disertavo la
scuola (come me le suonava mia mamma!), ragazzi che invidiavo perché
avevano meno obblighi di me che ero figlio dell’orrenda piccola borghesia
e mi sentivo meno libero. A mio padre Giuseppe, funzionario della capitaneria
di porto di Porto Empedocle, devo l’emozione delle nostre pesche al largo,
con la lampara. Nelle notti senza luna, i pesci accorrevano come falene,
attirati dalla nostra piccola lampada ad acetilene. Li friggevamo nella
padella ma faticavano a cuocere perché erano ancora vivi e si arrotolavano.
Come Montalbano anch’io sono ghiotto di triglie e linguate (le sogliole),
ma quei selvaggi sapori di una volta non riesco a ritrovarli, neanche nei
miei libri».
Gabriella Montali
Sorrisi e canzoni TV,
30.6.2005
Ecco il cd del buonumore firmato Fiorello
C'è [...] lo scrittore siciliano Andrea Camilleri con i suoi
impagabili «consigli per i fumatori». «Gli abbiamo fatto
fumare di tutto, perfino la fiaccola del tedoforo con la quale faceva gli
anelli olimpici di fumo» raccontano tra le risate. Loro sono Rosario
Fiorello e Marco Baldini, binomio imbattibile della stagione radiofonica
appena conclusa con lo spassoso e seguitissimo «Viva Radiodue»,
180 puntate in onda dal lunedì al venerdì dal 18 ottobre
al 27 maggio. Ora una gustosa selezione di oltre un'ora di risate garantite
è stata racchiusa nel Cd «Viva Radio2», in vendita con
«Sorrisi» a 12,90 euro a partire dal 27/6.
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Cinzia Marongiu
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