RASSEGNA STAMPA
LUGLIO 2005
RadioTreSuite,
1.7.2005
I Creatori del presente
Andrea Camilleri
Sul
sito della trasmissione la registrazione della puntata
«Sono nato a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, e il
dialetto l'ho molto frequentato. La lingua che uso nei miei libri non è
la trascrizione del dialetto siciliano. È una reinvenzione del dialetto
ed è il recupero di una certa quantità di parole contadine,
che si sono perse nel tempo. Cataminarisi ("muoversi"), per esempio,
non viene adoperata nel linguaggio piccolo borghese che era il nostro:
era linguaggio contadino. Tante cose del linguaggio contadino io le immetto
all'interno del mio linguaggio, della mia scrittura. E questa è
una lezione che ho appreso da Pirandello. Nella sua meravigliosa traduzione
del "Ciclope" di Euripide in dialetto siciliano Pirandello fa un'operazione
strepitosa che è quella di usare due livelli di dialetto: uno è
il livello contadino del Ciclope, presentato proprio come un massaro: "Chiove,
figlio mio; me ne fotto". E l'altro è il linguaggio di Ulisse,
che ha viaggiato, ha fatto il militare a Cuneo come direbbe Totò,
e quindi parla così: "Scussate, non vorrei distrubbare ma...".
Ecco: questa è stata una lezione per me fortissima; in sostanza,
Catarella ha fatto il militare a Cuneo.»
Così parla di sé Andrea Camilleri, il Creatore del
presente di oggi.
Supereva Guide, 2.7.2005
Camilleri e Anacreonte
"La luna di carta" e "Crimini": overdose estiva per Camilleri
Come l’araba fenice, Montalbano risorge dalle sue ceneri e torna a vivere in “La luna di carta”. Ad onta forse di Camilleri stesso, ancorato al commissariato di Vigata quando i suoi interessi lo spingerebbero altrove, in altri contesti storici, verso altre realtà.
Più di una volta, l’autore aveva dichiarato la sua insofferenza verso il personaggio che lo portò alla ribalta e che rischiava di schiacciare la sua creatività. Vincoli d’affetto ed esigenze commerciali lo legano ora al suo primo personaggio, ma gli aficionados notano con tristezza come Montalbano stia invecchiando.
Ne sono prova il memento mori che angoscia il commissario ogni mattina, il canto del cigno della sua sessualità, messa a dura prova dalla contemporanea presenza sulla scena di due donne che racchiudono in sé il mistero dell’eterno femminino, l’una razionale e felina (la Gattoparda), l’altra misteriosa e tragica, la difficoltà nel rinunciare alle sue abitudini, la scansione più lenta del suo tempo e, per noi non ultima, l’allusione ad Anacreonte, il poeta della vecchiaia. (Non c’era stato un antico poeta greco che aviva scritto una poesia d’amuri per una cavallina di Tracia che appunto non sopportava le briglie? Ma non era il momento di pinsari alla poesia).
Queste donne rigurgitanti di vita, spumeggianti di passione sono accarezzate da Salvo non con l’entusiasmo del masculo latino, ma con la gioia contemplativa di chi sa impari le proprie forze. Questo diceva Anacreonte nel fr.88 D: “Puledra tracia, perché, pur sogguardandomi, mi rifuggi perfidamente?Ti sembra che io non sia vigoroso? Sappilo, ben saprei metterti il morso e con le redini farti girare attorno ai termini dell’ippodromo. Ora tu giochi tra pascoli e boschi, saltellando leggera. Non hai, infatti, un cavaliere esperto che ti monti.”
La superbia volitiva di Anacreonte non collima certo con i dubbi in cui Montalbano si dibatte: il riferimento al poeta greco è probabilmente dovuto a reminiscenze liceali.
Montalbano non è un corrotto, ma neppure un eroe: di fronte alla prospettiva di sgominare una banda di narcotrafficanti collegata alla politica, si ferma: ha fastidio e paura quando ricorda al suo vice Mimì: “Hai visto che cosa gli sta capitando a quei giudici di Mani Pulite? Gli viene rinfacciato che sono loro i responsabili dei suicidi e delle morti di infarto di alcuni imputati. Sul fatto che gli imputati erano corrotti e corruttori e si meritavano il carcere si sorvola: secondo queste anime belle il vero colpevole non è il colpevole che, in un momento di vergogna, si suicida, ma del giudice che l’ha fatto vergognare”.
Gli appuntamenti estivi con Camilleri non terminano con “La luna di carta”. Nella miscellanea “Crimini”, accanto ad altre firme famose, compare una storia ad equivoci di Camilleri, scritta in italiano, probabilmente riadattata da un canovaccio teatrale o cinematografico. Non è certo il racconto migliore che la sua brillante mente abbia partorito, ma è sempre una lettura piacevole.
Benedetta Colella
La Repubblica
(ed. di Palermo), 2.7.2005
La memoria
La doppia epopea di ingegneri e zolfatai
Voci che riemergono dal passato e si intrecciano con il presente. Parlano
lingue e dialetti diversi, protagonisti di due culture minerarie, in Sicilia
e nel Belgio, che cinquant´anni fa si sono incontrate e a volte anche
fuse. La belga Josette Gousseau, docente di letteratura francese all´Università
di Palermo, ha raccolto straordinarie testimonianze di quell´epopea
nel volume Dallo zolfo al carbone (Annali della facoltà di Lettere
e filosofia): storie di lavoratori siciliani delle miniere di zolfo reclutati
per le miniere di carbone in Belgio, con l´illusione che la fatica
e i pericoli fossero uguali o minori, e di coloro che da altre parti d´Europa
vennero in Sicilia a coordinare i lavori, scontrandosi con l´arretratezza
tecnologica con cui era gestita l´estrazione dello zolfo.
Certi personaggi, pur esistiti realmente, sembrano usciti da un romanzo,
come l´ingegnere minerario tedesco Friedrich Höfer che poi ritroveremo
nel Birraio di Preston di Andrea Camilleri (Sellerio, 1995). È interessante
seguire come nasce una figura letteraria a partire da fatti veri su cui
lo scrittore trama e ordisce la finzione. Il geologo nisseno Michele Curcuruto,
spulciando tra le carte dell´epoca, si è messo sulle tracce
del tecnico tedesco, delineandone un ritratto che è meno romantico
di quello letterario. L´ingegnere Höfer, originario della Westfalia,
arrivò a Grotte, importante bacino minerario zolfifero, verso la
seconda metà dell´Ottocento, nominato "Commissionar &
Agent in Grube Potzhorn" di una società zolfifera di Siegen che
aveva interessi in Sicilia. Qui dirigeva con polso fermo e pragmatismo
la miniera Stretto Cuvello, e portava avanti esperimenti sullo zolfo, sperando
nell´invenzione di un nuovo metodo di fonderlo.
Anche nella vita privata non si concedeva frivolezze e conduceva una
vita semplice e quasi spartana, come un naufrago sbalzato su un´isola
solitaria bruciata dal sole e infestata da insetti e briganti. Abitava
con la famiglia nella più bella casa di Grotte - il palazzo di pietra
a due piani resiste ancora nel centro storico e appartiene agli eredi degli
Höfer - ma arredata senza lusso, con le pareti nude, «perché
le carte», soleva dire «non sono buone ad altro che a dare
ricetto ad insetti fastidiosi». Nell´albero genealogico degli
Höfer (il cognome perderà la umlaut e diverrà Hoefer)
è annotato che si spense a Palermo il 5 maggio del 1898. Camilleri
ne fa un personaggio grottesco, ingigantendone la figura all´inverosimile,
«una vestia di centoventi chili di stazza, altezza quasi metri due»
che regge l´inizio del romanzo come un´architrave, un deus
ex machina per introdurre l´argomento dell´incendio del teatro
nell´immaginario paese siciliano di Vigàta. L´ingegnere
minerario "Fridolin Hoffer" dà anche l´impronta umoristica
al romanzo con l´esilarante felicità dello scienziato che
nell´incendio vede solo l´occasione tanto attesa per provare
il suo marchingegno per spegnere gli incendi. Messosi al comando di una
piccola squadra, parte immediatamente per il luogo del disastro, strombazzando
a più non posso, incurante del terrore che semina nella notte. Altrettanto
buffo è il ritratto di Hoffer in veste di genitore: l´omaccione
cerca di correggere «a timbulate» il figlioletto Gerd che spesso
e volentieri si lascia sopraffare da eccessi di sensibilità già
rivelatori di un animo di scrittore e poeta.
E giornalista e poeta diventerà Federico Hoefer, vivente attualmente
a Gela, nipote del vero Fridolin Höfer. Da lui sappiamo che il nonno
era tutt´altro che gigantesco, bensì magro e tuttavia tanto
forte da salvarsi da un assalto di briganti, lungo la strada tra Grotte
e Racalmuto, in una tenebrosa notte di Natale, spezzando il braccio a uno
di loro. Federico, Fefè per gli amici, è il punto di contatto
con Camilleri: i due hanno trascorso la giovinezza insieme a Porto Empedocle,
dove il padre di Fefè lavorava come ispettore per l´Ente Zolfi
Italiani: «Eravamo amici di ping pong e letteratura, appassionati
di poesia», racconta Federico, sfogliando l´album di fotografie
che lo ritrae con un Camilleri molto più magro di adesso e commovendosi
al ricordo.
Certamente Camilleri non poteva lasciarsi sfuggire la ghiottoneria
di personaggi così singolari, da imbastirci sopra una storia al
limite della farsa. Assolutamente reale e ancora vivo e vegeto è
Sebastiano Infantino, «caruso» di miniera, poi diventato avvocato.
Infantino si batte da anni perché la miniera Cozzo-Disi di Casteltermini
diventi un luogo di cultura aperto al pubblico. In questi giorni è
partito il piano di ristrutturazione.
Ma la voce più toccante appartiene all´intellettuale di
lingua francese Carmelo Virone. Nato in Belgio da un minatore di Favara,
tenta di comporre una poesia nella lingua del padre ma esprimendosi in
italiano - è poco più di un analfabeta, eppure vuole farlo
- perché lì è racchiusa la parte più vitale
della propria identità: «Lo so che scrivendo in italiano ho
poche parole non conosco le regole il verso dei versi ma così sono
come i poveri che hanno parole di poveri per dire fame disgrazia o far
capire ai loro figli senza aprire bocca l´amore che hanno. Come si
fa? Mai ho saputo scrivere quest´altra lingua la testa è piena
di nuvole…». Il pensiero corre agli emigranti di ogni tempo e ogni
luogo, con l´immancabile carico di speranza e disperazione. In attesa
di un tardivo, seppure improbabile, riscatto.
Rosalba Miceli
RaiSat, 2.7.2005
Primo piano
Una festa che dura un anno
RaiSat Extra propone "Visioni di Palio", un curioso ed affascinante
viaggio nel folklore e nelle tradizioni del Palio di Siena. Sedici scrittori
italiani, tutti rigorosamente non senesi [fra i quali Andrea Camilleri,
NdCFC], raccontano il Palio in compagnia di Senio Sensi, senese d.o.c.
e governatore per 8 anni della Nobile Contrada dell'Orso.
Diciassette monologhi dunque, ognuno dedicato ad un argomento differente,
per raccontare i molti aspetti e gli infiniti risvolti di una Festa antica
che dura tutto l’anno e che coinvolge una delle città più
belle d'Italia.
Alle 19:00 su: RaiSat Extra
Prossime programmazioni:
3/7/2005 0:20
3/7/2005 13:10
La Gazzetta
del Mezzogiorno, 3.7.2005
Un'antologia di racconti «noir». Curata dallo scrittore
pugliese Giancarlo De Cataldo
Ecco finalmente l'Italia unita Dai suoi crimini
A dispetto del titolo, Crimini, c'è anche ironia e divertimento
nell'antologia di racconti curata dal pugliese Giancarlo De Cataldo per
Einaudi e che raccoglie testi, oltre che di De Cataldo stesso, di Ammaniti,
Camilleri, Carlotto, Dazieri, De Silva, Faletti, Fois, Lucarelli, Manzini.
In particolare, si ride o sorride, con i racconti di Ammaniti e Manzini
(scritto a quattro mani) e di Faletti, entrambi ambientati nel mondo della
televisione. Nel primo, intitolato Sei il mio tesoro, un chirurgo plastico,
abitué della cocaina, sta per essere arrestato mentre sta eseguendo
un'operazione al seno di un'attrice di soap opera ed ha in tasca un sacchetto
di polvere bianca: non trova di meglio, per disfarsene, che nascondere
il sacchetto all'interno del seno dell'attrice. Lo sviluppo sarà
imprevedibile. Nel racconto di Faletti, L'ospite d'onore, ricco di calembours,
un giornalista cerca un divo della televisione misteriosamente scomparso
e scopre che la propria nipote sa dove si nasconde e di esserci pure andata
a letto. Un accordo tra zio e nipote avrà risvolti, la cui originalità
sta nella vis cabarettistica dell'autore. Se escludiamo i finali tragici,
si potrebbero definire entrambi i racconti comici, cosicché la loro
giusta cifra è quella tragicomica, che appartiene spesso anche a
molti crimini che succedono nella realtà, non solo nelle pagine
firmate da due scrittori brillanti come Ammaniti e Faletti. Ma ironia,
che in questi casi ha più che altro lo scopo di definire personaggi
sprezzanti delle convenzioni, alla Chandler per intenderci, la troviamo
anche nei racconti di Carlotto, Morte di un confidente, e di De Cataldo,
Il bambino rapito dalla Befana, i quali hanno in comune, pur nel diverso
contesto dei crimini che raccontano, un certo sguardo verso la mafia croata
che agisce in Italia. Per Carlotto nel suo nord-est, in cui la criminalità
croata ha una tradizione che risale ai tempi di Felice Maniero (da lui
partivano i traffici di armi che andavano ad alimentare la guerra di affrancamento
dai serbi da parte dei croati, privi all'epoca di un proprio esercito regolare),
per De Cataldo a Roma, in una prospettiva però di melting pot. Carlotto
racconta cosa può succedere a un informatore della polizia che non
si sia troppo preoccupato di prendere le necessarie misure cautelative;
De Cataldo registra le fasi concitate e rocambolesche del rapimento di
un bambino appetito, per ragioni diverse, da più delinquenti. L'ironia,
più nella situazione che presenta, non nella scrittura che rispetta
un codice di carattere sostanzialmente cronachistico, si trova anche nel
racconto di Camilleri, Troppi equivoci . In questo caso siamo a Palermo.
Un tecnico dei telefoni e una studiosa di letteratura ungherese, entrambi
con delusioni amorose alle spalle, si incontrano (a casa di lei, dove il
tecnico era stato chiamato a riparare un impianto telefonico), si piacciono
e si ritrovano a trascorrere insieme una serata al ristorante. Uno scambio
di identità provocato dal giovane tecnico per gioco costerà
alla coppia la vendetta della mafia, siciliana ovviamente, in questo caso.
Sarebbe il caso di dire qui: ironia della sorte. Se consideriamo che con
il racconto di Lucarelli, Il terzo sparo siamo a Bologna, con quello di
Sandrone Dazieri, L'ultima battuta, a Milano, più incerte le località
che fanno da scenario agli altri crimini dell'antologia, comunque siamo
in Italia, ci rendiamo conto della logica seguita dal curatore De Cataldo
per compilarla. Ovvero consegnare attraverso la penna di alcuni tra i nostri
più valenti scrittori di gialli, o meglio di noir, uno spaccato
del nostro Paese attraverso la metafora del crimine, a conferma di quella
che è la tesi letteraria più diffusa oggi. E cioè
che niente meglio del noir e dei suoi rappresentanti, pur nei diversi stili
che li caratterizzano, è in grado di raccontare l'Italia, investigare
nelle pieghe nascoste della società, far emergere le sue contraddizioni.
«Ne deriva - scrive De Cataldo nella prefazione all'antologia - un
ritratto della contemporaneità a tratti agghiacciante, eppure non
privo di qualche esile traccia di speranza. Il quadro di un orizzonte senza
punti fermi, dove navigare a vista cercando di non perdere la bussola.
O di farlo, se proprio si deve, con un certo stile». Questo non è
valido solo per l'Italia di oggi. Segnaliamo, a riguardo, solo a titolo
di informazione, anche la bella antologia Fez, struzzi & manganelli,
a cura di Gian Franco Orsi, ed edita da Sonzogno, nella quale, come si
legge in copertina «I migliori giallisti italiani raccontano il ventennio
fascista».
AA.VV., «Crimini», a cura di Giancarlo De Cataldo, Einaudi
Stile libero ed., pagg. 385, euro15,50
Diego Zandel
DemocraziaLegalita.it
(24.6.2005)
Legalità, questione morale e centrosinistra
Il topino intrappolato
Lunedì 4 luglio 2005, alle ore 18.00, a Roma presso la Sala Congressi
di Lungotevere Flaminio 67, Andrea Camilleri, Franzo Grande Stevens, Sabina
Guzzanti, Achille Occhetto, Alfonso Pecoraro Scanio e Paolo Sylos Labini
presentano il nuovo libro di Elio Veltri. Coordina Marcelle Padovani, sarà
presente l'autore.
Sorrisi e canzoni TV,
7.2005
Montalbano ultimo atto
“Ho deciso di lasciare” dice Luca Zingaretti “perché un attore
deve saper uscire di scena”
Luca Zingaretti dice addio a Montalbano. E lo fa proprio in questi giorni.
Siamo sulle colline che circondano San Vito Lo Capo, in Sicilia, in provincia
di Trapani. Lo stesso scenario usato per ambientare «Cefalonia».
Sul set ancora una volta, l'ultima, Luca Zingaretti: «Eh sì,
questa volta è davvero l'ultima, almeno per me». Ma il commissario
Montalbano non può vivere senza Zingaretti. Il popolo delle estimatrici
e dei tanti fan insorgerebbe. «Questo non è dato sapere. Per
me è stata una bellissima esperienza. Mi ha regalato la popolarità,
mi ha fatto conoscere e apprezzare la Sicilia, ma come dice lo stesso Andrea
Camilleri, lo scrittore che ha inventato Montalbano, per un att re è
molto importante entrare in scena, ma è ancora più importante
uscirne. E io voglio farlo lasciando il mio personaggio all'apice del successo».
Intanto in Sicilia si stanno girando gli ultimi 4 episodi del ciclo
di Raiuno: «Giro di boa» e «Par condicio» si stanno
ultimando in questi giorni; dopo la pausa estiva sarà la volta di
«La strategia [Sic!, NdCFC] del ragno» e «Il gioco
delle tre carte».
Montalbano e i suoi collaboratori sono armati fino ai denti: ci dobbiamo
aspettare una svolta?
«Non proprio una svolta, ma in via del tutto eccezionale il mio
commissario partecipa a uno scontro a fuoco. In ballo c'è la vita
di una ragazza. In un altro episodio, dove al centro c'è un traffico
di organi, Montalbano, sfinito e provato da questa indagine, prova a rigenerarsi,
torna nella casa del padre, un sito meraviglioso in cima al mondo, che
abbraccia i mari della Sicilia. Qui, mostra tutta la sua fragilità.
È un uomo solo, con una vita sentimentale irrisolta. Nei libri e
nei racconti di Andrea Camilleri, Montalbano ha una decina di anni più
di me. Ha deciso di non avere punti fermi. Al centro della sua vita mette
solo se stesso. È un personaggio ruvido. La gente lo ama o lo odia.
Non ci sono mezzi termini».
Certo che ci vuole del coraggio a lasciare una figura come questa...
« Lo stesso che ha avuto Michele Placido quando lasciò
Cattani al tempo de "La Piovra". Sento il bisogno di fare altro. Dedicarmi
al cinema, per esempio, o tornare al teatro. Quando lasciai il teatro e
Luca Ronconi, anche in quel caso ero all'apice del successo, ma lo feci.
Quello che mi terrorizza è l'assicurazione che si sottoscrive per
la vita. Mi piace provare. Cercare di andare controcorrente. Del resto
anche quando accettai il progetto "Montalbano", tutti mi sconsigliarono».
E perché lei invece accettò?
«Camilleri era stato un mio docente all'Accademia d'arte drammatica.
Lo conoscevo bene e all'epoca avevo i suoi libri sul comodino. Sapevo già
che cosa pensava e come ragionava Montalbano. Mi sentivo i suoi panni addosso.
E poi sono convinto che il commissario sia l'uomo che le donne vorrebbero
accanto e l'uomo a cui gli uomini vorrebbero tanto somigliare».
Con chi ha preso la decisione di chiudere con la serie?
«Di solito, quando devo accettare o rifiutare un progetto, mi
consulto con la mia agente. Questa volta ho deciso da solo. Se avrò
sbagliato, saprò con chi prendermela».
Che cosa le ha lasciato il personaggio Montalbano?
«Sono quello che sono, in virtù delle cose che ho fatto,
delle esperienze che ho vissuto. Grazie a quel personaggio ho conquistato
l'affetto del pubblico, delle persone che dopo Montalbano mi hanno seguito
nelle altre imprese nel mondo dello spettacolo».
Intanto il film di Roberto Faenza «I giorni dell'abbandono»
potrebbe essere in gara a Venezia?
« Sì, con Roberto è stato un bell'incontro. Dopo
il film su don Puglisi, "Alla luce del sole", c'è questo, girato
con una strepitosa Margherita Buy e tratto da un libro di Elena Ferrante.
Vesto i panni di un uomo che abbandona la moglie e che a tratti è
veramente odioso. Ma il messaggio che passa è che si tratta di un
uomo come tanti, che purtroppo ha smesso di amare».
È la terza volta che lavora con Margherita Buy.
«Insieme abbiamo fatto anche teatro. Sul palcoscenico o sul set
lei è sempre la regina della situazione. Le voglio davvero bene
e forse non gliel'ho mai detto».
Ci anticipa come si chiude la serie?
«A quanto ne so, non c'è un finale a sorpresa, anche se
mi hanno detto che il regista Alberto Sironi ci sta lavorando. A me non
hanno ancora dato lo script dell'ultimo episodio. Di certo, so che Camilleri
ha scritto un racconto in cui prevede una sorta di chiusura. Il libro dovrebbe
uscire in autunno. Staremo a vedere».
Nicoletta Brambilla
Avvenire, 5.7.2005
Editoriale
La scomparsa del romanzo sul lavoro
[...]
È il trionfo della letteratura d'evasione, fatta passare per
ottima letteratura, e il caso di Camilleri è emblematico.
[...]
Giuseppe Bonura
La Sicilia, 5.7.2005
Il 17 concerto d'apertura della rassegna di Zafferana
Lucio Dalla «battezza» "Etna in scena"
[...]
Il 27 agosto, "Teatro degli Alchimisti" e "Teatro Lunara" di Catania,
per la regia di Giuseppe De Pasquale, in "Troppo traficu pì nenti",
opera tratta da "Molto rumore per nulla" di Shakespeare e rivisitata dallo
scrittore Camilleri. Sulla scena volti noti del teatro catanese, come Angelo
Tosto, Mimmo Mignemi, Filippo Brazzaventre e Alessandra Costanzo.
[...]
Grazia Calanna
Il Mattino,
5.7.2005
Napoli. Chi entra nell’Arena Flegrea non sa che cosa l’aspetta: Fiorello
ha sguinzagliato tra i seimila che gremiscono la struttura di Fuorigrotta
dei cameramen in incognito e così i volti degli spettatori vengono
ingranditi dai videowall sul palcoscenico mentre la voce di Mike Bongiorno
si rivolge direttamente a loro. Inutile guardarsi in giro e cercate mister
Allegria, è solo l’incipit del nuovo spettacolo dello showman siciliano,
«Volevo fare il ballerino...», al via da Napoli.
[...]
La gente mostra di gradire particolarmente il racconto del «dietro
le quinte», i piccoli segreti dei suoi personaggi. «È
vero, si scatena quando ricordo l’incontro, alle nove di mattina, con Andrea
Camilleri in un bar di via Asiago a Roma, dove lui abita e io faccio radio.
Lo scrittore ordinò una birra, io un caffè, poi iniziò
a fumare una sigaretta dopo un’altra. ”Non ha mai provato a smettere”,
gli chiesi? E lui, con la voce sicula di un Ignazio La Russa ma più
lenta: ”Una volta. Svenni”. Corsi in redazione da Baldini e urlai: ”Minchiaaa,
che personaggio”».
[...]
Federico Vacalebre
Adnkronos, 6.7.2005
Bologna: Luca Zingaretti ai Giardini Margherita per 'Ascom Estate'
Domani, alle 21, l'attore Luca Zingaretti sara' protagonista sul palco
dei Giardini Margherita di Bologna per 'Ascom estate', la rassegna di incontri
organizzata dall'associazione dei commercianti della citta'. L'interprete
del commissario Montalbano verra' intervistato dal direttore del 'Quotidiano
nazionale' Giancarlo Mazzucca e di Raitre Emilia Romagna, Fabrizio Binacchi,
che ne ripercorreranno la carriera e soprattutto indagheranno sulle sorti
del personaggio creato dalla penna di Andrea Camilleri.
Film.it, 6.7.2005
Addio Commissario
Luca Zingaretti abbandona per qualche mese la finzione di cinema e
tv per coltivare la sua nuova passione: i documentari
Prima di abbandonare per sempre il Commissario Montalbano, il personaggio
che lo ha reso popolare, Luca Zingaretti si gode il sole, il mare e la
gente della Sicilia. E’ ancora una volta la Trinacria (nome antico dell’isola),
con i suoi meravigliosi paesaggi, ad ospitare le riprese della serie tv
prodotta da Raifiction, liberamente ispirata ai libri di Andrea Camilleri
(Sellerio editore). Il regista Alberto Sironi ha scelto di girare negli
studi di Roma soltanto gli interni del commissariato, per il resto le location
si chiamano Scicli, Ragusa, San Vito lo Capo (cittadina in provincia di
Trapani, famosa per il couscous).
In questo momento si stanno ultimando le riprese dei primi due episodi,
intitolati ‘Giro di boa’ e ‘Par condicio’; dopo una breve pausa si riprenderà
a girare per realizzare gli altri due, ‘La strategia [Sic!, NdCFC] del
ragno’ e ‘ Il gioco delle tre carte’. Dopo ciò, Luca Zingaretti
ha detto basta. Nonostante sia una delle figure più amate dai telespettatori,
capace di rilanciare persino il mercato dei libri, perennemente in crisi:
spesso la prima tiratura di ogni nuovo ‘Montalbano’ è già
esaurita prima ancora di uscire. A settembre lo vedremo al cinema, con
Margherita Buy, ne "I giorni dell'abbandono", regia di Roberto Faenza,
e tra il 2006 e il 2007 si dedicherà al film su Carlo Urbani (il
medico italiano ucciso dalla Sars).
Eppure, come lui stesso ha dichiarato, il suo sogno non è quello
di interpretare piccoli grandi eroi (il prete anti-mafia don Puglisi, Cefalonia,
Urbani, lo stesso Montalbano). L’attore romano ha scoperto di recente di
avere una grande particolare passione: i documentari, genere poco considerato
in Italia ma degno di grande credito in tutto il resto del mondo. La sua
prima esperienza è stata quella di girarne uno per l’Amref (African
Medical and Research Foundation). Si intitola Gulu, come il nome del paesino
dell’Uganda protagonista del filmato, dove vita e tragedia sono diventati
sinonimi. Con i proventi è stato aperto un centro d'accoglienza.
Ne arriveranno altri, anche se di genere storico-sociologico.
Per il resto, che fine farà la serie tv che ha tenuto incollati
al video milioni di telespettatori? E il commissario, nè bello nè
eccezionalmente forte o intelligente, eppure straordinariamente affascinante?
Per il momento, queste domande sono destinate a non avere risposta. Per
concludere, una curiosità: il primo episodio della serie ‘Il commissario
Montalbano’, protagonista Luca Zingaretti, intitolato "Il ladro di merendine",
è stato trasmesso il 6 maggio del 1999 su Raidue. Lo seguirono in
media sei milioni e 531mila spettatori.
Rossana Cacace
La Provincia,
7.7.2005
TV
In autunno sugli schermi «48 Ore», Claudio Amendola,
Adriano Giannini e Claudia Gerini sono solo alcuni dei nomi per un cast
d'eccezione
Mimmo Mignemi: «Sarò un agente speciale nella nuova fiction
di Canale 5»
[...]
Mignemi, dopo l'approdo alla fiction, ancora cinema e teatro?
Riprendo il 20 luglio le prove di "Troppo traficu per nenti" ossia
il "Molto rumore per nulla" di Shakespeare, riduzione di Andrea Camilleri.
Girerò la Sicilia, l'Italia e in agosto sarò in Polonia con
questa opera al Festival internazionale Shakespeariano.
[...]
Marilena Giaimis
Il Gazzettino, 7.7.2005
È uscito in questi giorni, da Sellerio, il nuovo, atteso romanzo
di Andrea Camilleri, "Luna di carta": al centro c'è sempre il commissario
Montalbano mentre in Sicilia sono cominciate le riprese della nuova serie
dedicata al famoso poliziotto per la Rai.
Intanto Camilleri ha ricevuto la laurea Honoris Causa, dall'Università
di Pisa, in Sistemi e progetti di comunicazione.
Tema della sua Lectio magistralis per l'occasione?
«Sul disagio che provo essenzialmente a causa della trasformazione
della televisione da fabbrica del consenso in fabbrica del credere. Il
grande fisico e filosofo Werner Heisemberg, osservò, prima di me,
nel 1958, come una cosa sia credere per fede - in Dio, per esempio; un'
altra, ben diversa, il credere per comodo, come base di vita. Questo secondo
tipo è assai difficilmente removibile: anche quando ci si trova
di fronte ad elementi che dimostrano la totale infondatezza di tale credenza.
Ciò spiega perfettamente per me come, ad esempio, dopo il risultato
disastroso della guerra in Iraq e la scoperta che le armi di distruzione
di massa non esistevano, i promotori di questa guerra abbiano rivinto le
elezioni: Questo è il rischio che corriamo».
Per tanti, non è stato difficile credere all'esistenza di quelle
armi.
«La cosa terribile, vede, non è tanto essere stati, per
così dire, portati ad una fede, con certi argomenti: ma rimanere,
in questi argomenti, quando essi si sono dimostrati falsi».
Il ruolo della comunicazione, in tutto questo...?
«Oggi c'è una comunicazione globalizzata, univoca, unidirezionale.
A me capita di guardare sui satellitari le varie CNN, etc... in realtà
danno praticamente tutti le stesse notizie e nello stesso modo. Nei giornali
la situazione è diversa.. Il giornale, infatti, già all'atto
del suo nascere, ha uno zoccolo duro, un orizzonte di lettori su cui si
può contare che sono d'accordo sulla linea politica di quel giornale
e se, di volta in volta, non capiscono bene la linea politica o qualcos'altro,
possono rileggerselo; la televisione, invece, non può far tornare
indietro sulla notizia. Il giornale, inoltre - e persino quello di un partito
- può permettersi, ad un determinato punto, una certa autonomia,
perché così conquista più lettori; l'autonomia di
una televisione, invece, non acquista più telespettatori: li fa
perdere".
Quali altri dubbi le suscita la comunicazione globale?
«Un punto per me importante è questo: il vertiginoso allargamento
della comunicazione è stato salutato da tutti come il segno di una
finalmente raggiunta libertà d'informazione. Ma questo tipo di libertà
coincide con la possibilità d'approssimarsi a una verità
potabilmente limpida e priva di germi?».
Quando si accorse dei poteri nascosti, un po' occulti del mezzo televisivo?
«Quando cominciarono a venire usate le apparecchiature di registrazione
tv, a Roma. Bene, ogni domenica veniva trasmessa in diretta la santa messa;
un pomeriggio, passando davanti alla Cappella di via Teulada, vidi che
stavano registrando una messa e il fatto mi incuriosì e stupì
molto perchè si era di giovedì Mi informai ed un assistente
mi disse: "Stiamo registrando la messa che manderemo in onda domenica prossima".
Controllai poi se per caso avessero avvertito i telespettatori che si trattava
di una messa in differita. Non fu così e mi chiesi allora come potesse
avvenire il miracolo della transustanziazione... in differita! Vede, allora
pensavamo che la televisione ci desse, quasi in diretta, una cronaca fedele
di un dato di fatto. Anche se si trattò solo di uno spregiudicato
uso del tempo, più che di manipolazione vera e propria, il principio
usato mi suscitò e mi suscita ancora oggi un mare di perplessità».
Come ci si può difendere dalle manipolazioni mediatiche?
«Beh, intanto sapendo che il processo di manipolazione - quella
cosciente - si compie già per esempio, da come viene data la notizia.
I telegiornali sono come delle copertine per cui una notizia viene percepita
come importante se è in questa copertina o no; se è accompagnata
dalle immagini oppure no. Il fatto stesso che non abbia immagini, in genere,
intende farla percepire come "poco importante", mentre magari è
estremamente più importante di notizie date persino in apertura
del tg; dallo spazio dato alla notizia; dall'ordine in cui viene posta
una testimonianza rispetto ad un'altra: l'ultima rimane più impressa
e, ci faccia caso, viene data al partito di governo. C'è, insomma,
una quantità di sottocodici di comunicazione che sono talvolta più
importanti e potenti del codici stessi».
Si sente una regia occulta, insomma?
«Se ne avverte molta, molta».
E quanto spesso...?
«Quotidianamente, guardi, io non voglio essere esagerato ma la
distorsione delle notizie è all'ordine del giorno. E faccio un esempio
recente, notizia: "Cade un nostro elicottero a Nassiriya", così
data e già è una notizia errata.. Perchè 1) l'elicottero
era partito da Kuwait City e diretto a Nassiriya ed è solo per un
caso che è caduto non lontano da Nassiriya: ma siccome il nome di
Nassiriya riporta subito alla mente il coinvolgimento dei nostri soldati
2) commento: "probabilmente abbattuto a causa di una tempesta di sabbia".
Si intervista il generale comandante che dice: "La visibilità era
perfetta non c'erano tempeste di sabbia", mentre il militare sta parlando
sotto - parlo del Tg2 - continua a scorrere una scritta che dice: "Elicottero
abbattuto da una tempesta di sabbia" mentre il primo responsabile sta affermando
esattamente l'opposto di quello che compare. E hanno continuato, anche
dopo questa dichiarazione a insistere perentoriamente che il velivolo era
stato abbattuto da una tempesta di sabbia che non c'era mai stata. Allora,
come si fa a scoprire la finalità di un fatto simile? Forse può
darsi che si tratti - il che è ancora più terrorizzante,
confesso - di imbecillità pure, ma allora occorre veramente spaventarsi
eh?... perchè dietro un fatto del genere io preferisco un disegno
che non la stupidità».
Come possiamo regolarci, dunque, per cercare di mantenerci spettatori
vigili, accorti in tutto questo?
«Riflettendo con la propria testa Vede, una volta, quando il
colonnello Bernacca faceva le previsioni del tempo e, annunciava "tempo
sereno per il weekend", molta gente, per prudenza e saggezza, si portava
comunque dietro l'ombrello. Ecco, io credo che ogni volta che per esempio
apriamo la televisione e seguiamo il telegiornale, dovremmo portare con
noi l'ombrello della ragione... Le notizie ti vengono date molto rapidamente
e tu non hai tempo di riflettere; si rende allora necessario, anzi indispensabile,
elaborare personalmente quella notizia, provare a metabolizzarla perchè
altrimenti il grande rischio è che si finisce col credere a quanto
è stato detto e mostrato. E temo che accada il più delle
volte. Altra cosa: ci sono delitti di cui si parla per giorni e giorni
- con "Porta a porta" che addirittura riunisce le compagnie di giro apposite
- poi spariscono nel nulla... lei non ha più possibilità
di sapere com'è finita. Si potrebbe fare un giornale dal titolo:
"Com'è andata a finire"».
E ci sono le notizie, importanti, che nemmeno vengono date?
«Certo, che non ce le dicono; oppure... Ce lo dicono a modo loro...
Io porto sempre come caso emblematico quando, sempre nel '58, venne approvata
la legge Merlin, sul primo canale, Ugo Zatterin diede la notizie parlando
per due minuti senza mai adoperare una sola volta le parole prostituta,
prostituzione, case chiuse, case di tolleranza e nessuno, tranne pochissimi
che ne avevano letto sul giornale, capì qualcosa. Era stato usato
un sottocodice per rendere incomprensibile ai più la notizia».
La tv recente, che ne pensa in sintesi?
«Lavora sullo slogan gridato. Basta guardare certe puntate di
"Ballarò" piuttosto che di "Porta a porta". È uno scontro
di galli. Tutto questo è contagioso. Si dice che la tv sia uno specchio
nella società: ma perché non diciamo che può essere
vero anche il contrario?».
Come vede questo anno pre-elettorale nei media italiani?
«Temo l'esaltazione della parte peggiore, più rissosa,
più estremistica della partita enfatizzata, oltretutto, da questa
cassa di risonanza che è la televisione. Temo sia un anno duro di
ulteriore abbassamento di civiltà del nostro Paese».
Quale tv preferisce, invece?
«La tv - ma direi la comunicazione in generale - che mostrano
interesse per l'altro, che mettono al centro l'uomo - e non l'evento come,
per esempio, una volta i programmi di Zavoli. Ci sono ogni tanto anche
oggi delle gemme, delle storie vere di persone non straordinarie, normali,
che mi colpiscono molto».
Un esempio di tv che non c'è, in questo momento?
«Mi chiedo, perchè oggi ma non ci sia mai una comunicazione
vera, - non un'inchiesta, genere, oltretutto, in tv sono seguito da pochi
- sull'importanza oggi in Italia dei giovani che si dedicano al volontariato.
Non è forse positivo questo fenomeno? Come vivono, cosa pensano,
come vedono il mondo... questi ragazzi?».
E cos'altro?
«Una vera reale libera molteplicità dell'informazione:
se lei va guardare, per esempio, Tg 1 e Tg2 sono quasi eguali solo che
il Tg2 è più attento ai fatterelli di cronaca, cronaca rosa,
possibilmente».
Umberto Rondi
Il Resto
del Carlino, 8.7.2005
Camilleri
Ecco il maresciallo Brancato, la prima volta dei carabinieri
Roma - Camilleri tradisce la polizia per i carabinieri. Per una volta
lo scrittore siciliano racconta ''un'indagine inedita'' - così recita
in copertina il nuovo libro della Mondadori - che ha per protagonista il
maresciallo Antonio Brancato, comandante della stazione dei carabinieri
di Belcolle, piccolo paese dell'entroterra siciliano.
Il nuovo personaggio, nato quale strenna per il Calendario dell'Arma
del 2005, ora esce in volume. Come per il commissario Montalbano, si tratta
di un racconto tutto inventato, ma fino a un certo punto, perché
Camilleri ha un realismo che si lega a costumi e figure della sua Sicilia,
reinventate per l'occasione.
Si trattava, in questo caso, di presentare il ruolo sociale dei carabinieri,
investigatori, poliziotti, amici, consiglieri e padri di famiglia, tanto
che al maresciallo Brancato si rivolge la signora Matranga ''fimmina risoluta
e di parola imperativa'', afflitta da un problema serio: suo figlio Marcuzzo
di 12 anni ''ogni mattina inveci di andari alla scola, sinni va a spasso
campagne campagne e non sente nè prighiere nè vastonate''.
E il maresciallo che fa? ''Parlò a Marcuzzo, sempre più atterrito
e sudatizzo, per una decina di minuti. Alla fine il dodicino solennemente
giurò di non fare piu' assenze e la signora Matranga s'addichiarò
soddisfatta''.
Sono 12 capitoli, uno per ogni mese in cui si articola la vicenda,
in questo paesino su un monte sopra Cefalù, col mare all'orizzonte,
ma gelido e nevoso d'inverno, come freddi e riservati sono i suoi abitanti
montanari, che Brancato ci ha messo cinque anni per guadagnarsi la loro
fiducia. Tanto che ora lo cercano tutti, per qualsiasi cosa, ma lui sa
che spesso è quella apparentemente più sciocca a portare
qualcosa di nuovo e inaspettato.
Capital - Trovacinema,
8.7.2005
Luigi Lo Cascio ospite di Capital Tribune, su Radio Capital
'Cento passi' per arrivare a Peppino
''Da solo mi faccio compagnia''
[...]
Ti sei trasferito da Palermo a Roma per entrare all'Accademia Silvio
d'Amico. Hai avuto Andrea Camilleri come insegnante?
"Solo come supplente purtroppo. Quando ho fatto l’accademia io lui
insegnava ai registi. Ma le volte in cui è entrato nella nostra
aula ci ha sempre incantati. E’ uno straordinario narratore. Anche se lo
incontri per strada, in cinque minuti ti racconta cinque storie. Io e Emma
Dante poi eravamo gli unici siciliani della classe. Ci ha fatto l’onore
di farci leggere alcuni suoi brani, catturando la platea con quel linguaggio
straordinario che non era ancora esploso come fenomeno letterario."
[...]
Giulia Santerini
La Repubblica
(ed. di Palermo), 9.7.2005
Gli studi sul modello cuffarista
[...]
Un'ultima considerazione. Nessuno dei tre nodi accennati ha mai ricevuto
attenzione nei circuiti nazionali della comunicazione di sinistra. Ora,
e quanto diciamo è assai lontano da intenzioni ironiche, si tratta
di nodi che nessuna intervista a Camilleri, peraltro sempre accattivante
e stimolante, riuscirà a intaccare.
A meno che non si decida di affidare le indagini sulle criticità
ora ricostruite al commissario Montalbano. Nell'intima convinzione che
sia il solo marchio utilizzabile e vendibile della cultura siciliana. Con
le immancabili liti, in questo caso, per chi dovrà affiancarlo nel
ruolo del vice commissario Augello.
Mario Centorrino
La Domenica di Repubblica,
10.7.2005
L'incontro. Memorie siciliane
Andrea
Camilleri. I piatti della nonna dentro Montalbano
I profumi, i sapori, l'atmosfera e i segreti della cucina della casa
di campagna a Porto Empedocle sono entrati nelle pagine dei suoi libri
e non per semplice caso. Ogni squisitezza del ricettario di nonna Elvira
ha la sua storia, anche i mitici arancini del commissario Montalbano arrivano
da lì. Svelare i misteri dei piatti della cuoca-generalessa significa
ritornare all'infanzia e alla prima conoscenza della sua indimenticabile
Sicilia
Sebastiano Messina
Il Gazzettino, 10.7.2005
[...]
Tutti a caccia dell'inedito di Andrea Camilleri, il noto scrittore
siciliano che, a sorpresa, su internet viene spesso offeso come "noioso
e retrogrado" dai suoi conterranei più giovani che - si stenta a
crederlo, ma è così - inneggiano a portavoce della Sicilia
letteraria Melissa P.
Ebbene, tornando al grande maestro, ecco pubblicato per Mondadori un
suo racconto lungo, 71 pagine, in cui compare un nuovo personaggio, il
maresciallo Antonio Brancato, da cinque anni in forze alla stazione dei
carabinieri di Belcolle, sulle colline di Cefalù, un isolato paesino
siciliano dagli inverni freddi e qualche volta nevosi. In forze non solo
per le sue capacità nell'arma, ma anche per quelle di consulente
della piccola comunità, a lui talmente legata che Lascio il finale
ai milioni di fans di Camilleri.
[...]
Lorenza Stroppa
Corriere della sera, 10.7.2005
La pagella
Le conseguenze del cliché
Andrea Camilleri, "Privo di titolo", Sellerio, Pagine 296, euro 11
Camilleri cambia con facilità il suo registro narrativo, anche se non rinuncia alla cantilena della propria scrittura, ridotta purtroppo a un cliché ripetitivo. Peccato, perché se una volta tanto avesse rinunciato al suo pastiche linguistico, ci avrebbe dato un libro alla Sciascia. Lo sfondo storico ricostruisce la storia dell'«unico martire fascista siciliano». È, come spesso accade, una storia manipolata che ha due vittime innocenti. La prima è il fascista ucciso per sbaglio da un suo camerata. La seconda, il presunto carnefice comunista che in realtà non ha ucciso nessuno. Ma l'abilità degli «omini d' ordine» e di quelli «d' onore» riesce a edificare una frottola perfettamente funzionante e mirabilmente smontata da Camilleri. Questa la parte più interessante del libro. Ne segue un'altra meno incisiva su una beffa giocata dai gerarchi fascisti contro il duce.
Giorgio De Rienzo
PuraLanaDiVetro, 10.7.2005
Assieme Luna di Carta, l’ultima indagine del commissario Montalbano esce in edizione economica anche la prima indagine.
La prima indagine di Montalbano: ritorno alle origini
Montalbano è una figura conosciuta nel bel paese. Ci sono romanzi e serie televisive che hanno raccontato molto sulla sua vita e inchieste. Quando si racconta a più riprese di un personaggio poi si ha l’impressione di sapere tutto ma ci si sbaglia quasi sempre. Come afferma Camilleri stesso, il suo commissario ha sempre delle sorprese da offrire, anche per lui ed implicitamente afferma che entrambi ci riservernno ancora sorprese.
Questa estate Camilleri è presente con l’ultima fatica, Luca di Carta (Sellerio) dove possiamo leggere la sua ultima indagine e nel mentre Mondadori ripropone in edizione economica tre racconti che riportano le sue prime tre indagini fuori dalla consueta Vigàta costruendo la giovinezza del personaggio sempre con la stessa folcloristica narrazione che ha fatto il successo e costruito il suo essere mediterraneo.
Di primo acchito i libri di Camilleri sono difficili perché profondamente intrisi di termini specifici del dialetto siciliano, ma prendendoci un po’ l’orecchio, viene messa in luce la Sicilia tutta con le sue bellezze, i suoi paradossi divertenti e drammatici allo stesso tempo seguendo una avvincente storia poliziesca.
Da leggere. Sempre.
QN Quotidiano Nazionale.it,
13.7.2005
Nuovi vizi e nuove virtù
Camilleri, il goloso "Ma il vero peccato è l'indifferenza"
Con questa intervista ad Andrea Camilleri inizia una serie di conversazioni
con personaggi della cultura e dell'arte, riguardo ai "peccati capitali".
Nella nostra epoca, nella nostra società, sono ancora "peccati"
quelli indicati dalla tradizione cattolica e cioè accidia, ira,
superbia, gola, invidia, avarizia e lussuria? Resistono o sono stati sostituiti
da altri? Hanno cambiato la loro natura? Alcuni, addirittura, sono diventati
delle virtù?
Posizionato ai vertici della classifica dei libri più venduti
con ben tre titoli, Andrea Camilleri è in partenza per un periodo
di riposo tra campagna e mare di Toscana, sicuro che la schiera dei suoi
ammiratori quest'estate avrà di che leggere. Dunque iniziamo subito
con i "sette peccati capitali".
Ce n'è qualcuno che la riguarda da vicino?
"La gola: è il mio peccato preferito e purtroppo oggi si è
tramutato in un peccato più sottile e assai meno soddisfacente,
un peccato di memoria. Infatti posso solo ricordare certi cibi, certe abbondanze...
il medico mi ha proibito tutto ciò. Per esempio devo mangiare senza
sale: ma come si fa, una cosa senza sale si dice "scipita", quindi non
attraente. Quando qualcosa è di fondamentale importanza è
"il sale della terra"... sì, il piacere della gola ci è stato
avvelenato. Da una parte c'è la medicina con i grassi, i colesteroli,
le calorie, e dall'altra, mentre mangi, alla televisione vedi la gente
che muore di fame ed è inevitabile provare una forma di disagio.
Però è un gran bel peccato. Oltretutto, come ben comprendiamo
ad esempio nel film "Il pranzo di Babette", lo stare a tavola, il mangiare
assieme, è un modo per superare i rancori, per pacificare e pacificarsi.
No, la gola, cum grano salis - vede, torniamo ancora al sale - non è
un peccato".
Se posso permettermi, però qualcuno dice che lei pecchi anche
di avarizia, che sia insomma piuttosto interessato al denaro.
"E' una malignità: non sono nè avaro nè avido,
non sono affatto attaccato al denaro. Nonostante i soldi che la scrittura
mi ha portato non ho cambiato nulla nella mia vita; non ho contratti esosi,
mi è capitato anche di regalare, a certi editori, miei racconti;
e sono disposto a perdere tutto quello che ho se ne vale la pena".
E siccome è un signore, non dice Camilleri delle donazioni benefiche
che fa regolarmente, l'ultima delle quali per comperare alcuni pulmini
per il trasporto dei disabili nell'agrigentino. Ma torniamo all'avarizia,
il creatore del commissario Montalbano prosegue: "Considero, al contrario,
l'avarizia un peccato imperdonabile, non la tollero. L'avarizia rispetto
al denaro implica quasi sempre avarizia di sentimenti, di parole, di conforto,
è il tenere tutto per sè, è la negazione dell'uomo
come alterità e quindi è il peggiore dei peccati".
Passiamo alla lussuria. Lei ha sempre ammesso che le donne le piacciono
molto...
"Il piacere carnale non è un peccato, ma la lussuria è
una cosa diversa. Me lo spiegò il vescovo Piccioni di Livorno quando
all'età di 32 anni, dovendomi sposare, fui prima cresimato da lui.
Gli confessai, appunto, che le donne mi piacevano e molto. Lui mi chiese:
"Sei lussurioso?". Non capii cosa intendesse e allora mi spiegò:
"Si è lussuriosi quando il soddisfacimento del proprio desiderio
porta a considerare il partner come oggetto di piacere". Compresi con chiarezza:
il peccato sta nella degradazione dell'altro, ma quando c'è rispetto,
condivisione, allora non c'è peccato".
E dell'accidia che cosa dice? Molti non conoscono neppure più
il significato della parola: indifferenza, noia, mancanza di volontà.
Esiste? Resiste?
"Certo che oggi si debba darne una interpretazione diversa da quella
tradizionale. Una volta significava la contemplazione del proprio ombelico,
oggi più che personale credo che sia un peccato sociale o addirittura
politico. Significa "non partecipazione". L'accidia di cui pecca la nostra
società viene riscattata da tutti quei giovani e quegli adulti che
formano l'esercito dei volontari italiani. Ma nonostane questa grossa partecipazione
essi sono pur sempre una minoranza. La maggioranza cade nell'accidia perchè
si disinteressa di ciò che avviene intorno".
Ira.
"L'ira è un vero peccato. E' la perdita del controllo raziocinante
dell'individuo su se stesso. infatti si dice "si abbandona all'ira". E'
il momento in cui dal confronto basato sulla ragione, si cade nella violenza,
sia pure fatta solo di parole. Quindi è un peccato contro la natura
dell'uomo, sia cristianamente che laicamente. Ma oggigiorno c'è
anche un'altra versione: è l'ira finta, quella allestita come recita,
rappresentazione, nelle risse televisive, nel dibattito politico. E questa
è anche peggiore di quella genuina".
Vediamo adesso la superbia.
"Non la eleverei al rango di peccato capitale. La superbia è
degli imbecilli, è una superfetazione del sè, se è
peccato è peccato noiosissimo. Muove o alla derisione del superbo
stesso o al tentativo di emulazione da parte di un altro imbecille. Montaigne
ha scritto che per quanto in alto si salga, ci si siede sempre sul proprio...
sedere".
C'è rimasta infine l'invidia.
"Proprio non la conosco. Non è un merito, intendiamoci, sono
nato così e mi ritengo fortunato: non ho mai invidiato il succcesso
degli altri neppure quando io ero uno sconosciuto. E credo di essere stato
ripagato perchè adesso io stesso non credo di essere invidiato così
tanto come si potrebbe presupporre. Però in generale, riguardo all'invidia
si deve dire che l'italiano, e anche il siciliano, non sono precisi perchè
bisognerebbe distinguere tra l'invidia cattiva, quella che implica sentimenti
negativi verso chi possiede una cosa che si desidera anche per noi, e l'invidia
positiva, il voler ottenere anche noi ciò che ha un altro che magari
ammiriamo. Questa ultima invidia non è certo un peccato, anzi può
essere una molla, uno stimolo, per far bene".
Rossella Martina
La Repubblica - Almanacco
dei libri, 16.7.2005
"Luna di carta" l'ultima indagine del commissario creato da Andrea
Camilleri
Montalbano e l'Italia sudicia
Diciamo la verità: Camilleri è una speranza per tutti
quanti, per gli scrittori che a cinquant'anni ancora arrancano in una condizione
di semianonimato e anche per chi non scrive e lentamente invecchia con
la preoccupazione di diventare inutile e forse un po’ appannato nel cervello.
Andrea Camilleri è lì, splendido ottantenne, a rincuorarci,
a garantirci che nella terza età possono accadere cose meravigliose,
che non dobbiamo temere la bocciofila o la sedia a dondolo. Ogni volta
che arriva in libreria un suo romanzo è come un’iniezione di fiducia
e di Gerovital per chi inizia a tremare di fronte ai fantasmi della decadenza
psicofisica. Leggiamo e siamo felici di scoprire quanta energia, quale
capacità di costruzione e di analisi, che freschezza c'è
ancora nell'inventore di Montalbano.
Come Tiziano o Huston, Camilleri è botticella stagionata ad
arte che fa ottimo vino, il più gustoso e dissetante, niente a che
spartire con le bottigliette di plastica o il tetrapak dei narratori da
un sorso e via, un'ubriacata e via. Anche stavolta ci fa girare piacevolmente
la testa con una storia che non riusciamo a mollare neppure per un minuto.
Al centro del giallo "La luna di carta" c'è il cadavere di un informatore
farmaceutico sparato in faccia su una poltrona di casa sua , con la patta
dei pantaloni aperta e il pendaglio all'aria. Intorno a questo tipo - un
tipaccio, scopriremo cammin facendo - ruota una giostra di personaggi più
o meno loschi: senatori ex democristiani schierati con Forza Italia, amanti
scatenate, cocainomani schiattati, sorelle morbose, biscazzieri, mafiosi,
testimoni falsi, sparatori.
E' un gomitolo sudicio, dove sesso, droga e politica si intrecciano
fino al groviglio: e il gatto che gioca con quel gomitolo, il nostro caro
Montalbano, rischia ogni momento di caderci dentro, risucchiato dalle moine
di femmine fatali, dal caos delle mezze verità e mezze menzogne.
Ma Montalbano è un uomo retto e un commissario pieno di intuito
e tra gli artigli a poco a poco si ritrova il filo giusto per dipanare
la matassa. Sa che bisogna pensare sempre al peggio, che dietro a ogni
verità ce n'è sempre un'altra, ancora più orrenda,
e dietro un'altra ancora, fino al cuore scuro dell'esistenza, dove nascono
i vermi e le passioni più mostruose. Mai accontentarsi, mai fermarsi
a metà strada.
Anche di notte, nei sogni, Montalbano continua a domandare, a grattare
il primo strato di rogna. E mentre cerca la tana dell'assassino, scopre
il desolato paesaggio del nostro paese, sempre più corrotto, o forse
corrotto come sempre. I potenti di oggi, avanzi di Mani Pulite, mele marcissime,
trafficoni sempre agganciati al carro del vincente, governano senza vergognarsi
di niente, e sotto al loro tavolo cresce una muta di piccoli sciacalli,
educati a rosicchiare gli ossi che cadano.
Non è una bella Italia quella che ci racconta Camilleri, è
un paese che ha imparato in fretta la lezione della truffa e del soldo
facile. La forza letteraria dello scrittore siciliano sta soprattutto nella
vivacità dei dialoghi, tutti azzeccati, spiritosi o ambigui, rapidi
o puntigliosi. Si capisce che Camilleri è stato per lungo tempo
regista di teatro: sa come condurre una conversazione, quando spalancare
un'anta e quando chiudere un cassetto. E noi lo seguiamo col fiato grosso,
vogliamo sapere qual è il segreto che regge la giostra, come andrà
a finire questa inchiesta.
Come andrà a finire: ecco la forza della letteratura poliziesca,
ciò che la rende così amata dai lettori, così simile
alla vita. Brancoliamo per duecentocinquanta pagine, per tutta la vita,
sperando che all'ultima riga, all'ultimo secondo, tutto sia finalmente
chiaro.
Marco Lodoli
La Repubblica
(ed. di Palermo), 17.7.2005
Anatomia di un successo
Gianfranco Marrone è l´autore di un saggio che analizza
l´umanità del personaggio. Roberto Scarpetti e Annalisa Strano
spiegano perché piace
Che un semiologo si scomodasse per analizzare, con gli strumenti della
sua scienza, le ragioni del successo televisivo del commissario di Vigàta
Salvo Montalbano, neanche lo stesso Andrea Camilleri, con la sua fervida
e irrefrenabile fantasia, l´avrebbe mai immaginato. E così,
dopo l´arcinota fenomenologia di Mike Bongiorno, a opera di un Umberto
Eco più caustico e acuto che mai, ci ha pensato Gianfranco Marrone
ad avvalersi di alcune chiavi di lettura semiotiche per effettuare una
ricognizione circostanziata del caso Montalbano, in una prospettiva sincronica
e diacronica.
Ne è venuto fuori il saggio dal titolo "Montalbano. Affermazione
e trasformazione di un eroe mediatico" (Rai Eri, pagine 340, 17 euro),
che verrà presentato martedì sera a Mondello, alle 20, in
viale dell´Olimpo 3. E di un vero e proprio olimpo si può
senza dubbio parlare, a proposito dell´eroe camilleriano: un olimpo
cartaceo e mediatico, in cui il volto letterario di Montalbano, vagamente
tratteggiato da Camilleri nei suoi romanzi, ora si confonde con le fattezze
mediatiche di Luca Zingaretti, ora col sembiante parodico di Sergio Friscia,
per non parlare del commissario baffuto e coi capelli in aria del cd-rom.
Insomma, ci si trova di fronte a un "caso" dalle proporzioni elefantiache,
che ha inevitabilmente catalizzato l´attenzione morbosa degli studiosi,
intenti a sviscerare con ogni mezzo il fenomeno, per risalire una volta
per tutte alle ragioni di questa colossale, spiazzante affermazione. Ragioni
che Gianfranco Marrone, presidente dell´Associazione italiana di
studi semiotici, ha individuato in alcuni fattori: tra questi, i tratti
caratteriali di Zingaretti, scorbutico, solitario e però capace
di esprimere una notevole carica di umanità; la composizione della
squadra, fatta di comprimari uno diverso dall´altro, e però
tutti quanti in adorazione di un capo dai facili malumori e dalla sommersa
benevolenza; la teatralità, già messa in luce da Nino Borsellino,
in riferimento ai romanzi di Camilleri, e qui tirata in ballo nel gioco
della finzione inscenato dallo stesso Zingaretti; il metodo investigativo,
che non si basa sulle deduzioni, ma che si nutre invece di intuizioni.
A questo proposito, Marrone scrive le pagine più interessanti
del suo libro: sono quasi sempre due, nota il semiologo, i piani narrativi
che danno forma a ogni singolo episodio: quello fatto dagli indizi che
mettono fuori strada, e quello in cui vanno a confluire le messinscene
di Montalbano, approntate per escludere le false piste. Come dire, nelle
storie del nostro commissario, c´è una struttura, sulla quale
però va a poggiarsi una sovrastruttura che mette le cose a posto.
Altri tre ingredienti fondamentali, nell´economia del successo della
serie televisiva, sono la marginalità della mafia, la sfera del
privato del commissario, che fa di Montalbano una sorta di Giano bifronte:
da una parte, infatti, la figura istituzionale, che indaga e si indigna;
dall´altra, il suo volto famigliare, intimo, tutto circoscritto nel
micro-universo della casa di Marinella, coi piatti succulenti, ammanniti
dalla fedelissima Adelina, e il fantasma di Livia, evocato ogni volta che
la circostanza lo richiede. E poi la magia dei luoghi che fanno da scenario,
in forza però di una distorsione geografica: al posto della Sicilia
occidentale, teatro delle vicende narrate da Camilleri nei suoi libri,
troviamo infatti la parte orientale dell´Isola, coi suoi muretti
a secco, i carrubi e le masserie ben tenute.
Ma se l´analisi forse fin troppo accurata di Gianfranco Marrone
non dovesse bastarvi, potrebbero venire in soccorso Roberto Scarpetti e
Annalisa Strano, autori del libro "Commissario Montalbano: indagine su
un successo" (editrice Zona, pagine 160, 16 euro). Si tratta di una puntuale
ricostruzione della storia della fiction televisiva e del profilo del commissario
di Vigàta, in cui i numeri del successo, nella misura di nove milioni
di spettatori, le caratteristiche del formato, quasi cinematografico, la
minuziosa ricostruzione in moviola di tre episodi della serie, si coniugano
con le interviste agli sceneggiatori, al regista, al produttore e allo
stesso Andrea Camilleri. Sono tanti, alla fine, gli elementi individuati
alla base dello straordinario successo: dalla statura di Montalbano, un
eroe a tutto tondo, un uomo solitario e fascinoso, uno dei più bei
personaggi che siano mai stati concepiti dalla letteratura poliziesca,
alla malia dei luoghi; dal montaggio degli episodi alla dimensione scenografica
dei romanzi. Un aspetto interessante che viene fuori dal testo di Scarpetti
e di Strano è quello relativo al rapporto, sempre ambiguo, tra la
letteratura e la televisione: nel caso del commissario Montalbano, infatti,
è stata la prima a venire in soccorso della seconda, e non viceversa.
«Nel senso che - spiega il produttore Carlo Degli Esposti - il numero
dei lettori che di anno in anno si aggiungevano dietro alle spalle di Andrea
Camilleri scrittore, e il numero degli spettatori si sono autoalimentati
a vicenda: tra l´altro, è uno dei pochi casi in cui i lettori
sono superiori al pubblico televisivo». Per una volta, almeno, la
parola scritta non si è lasciata surclassare dall´immagine
televisiva, sempre più invadente ed epidermica.
Salvatore Ferlita
L´anticipazione
E nel prossimo giallo Salvo si scopre doppio
Lo ha ammesso una volta Andrea Camilleri, nel corso di un´intervista:
Salvo Montalbano, di romanzo in romanzo, rischia di diventare sempre più
ingombrante. Quasi ossessivo. Da qui, dunque, le tentazioni di farlo fuori,
definitivamente. Se poi, oltre al personaggio cartaceo, ci si mette pure
quello mediatico, le cose si complicano ulteriormente. E Camilleri, dunque,
che fa? Nel prossimo romanzo, con al centro il commissario di Vigàta,
che sarà il decimo della serie, i lettori a un certo punto si troveranno
di fronte a due Montalbano: la creatura romanzesca, ormai invecchiata,
quasi paffuta, sfatta verrebbe da dire, e quella televisiva, con la prestanza
di un Luca Zingaretti perennemente in forma.
Montalbano "uno e due", verrebbe da dire citando Pirandello. E in questo
gioco alla Stevenson, Camilleri sembra del tutto a suo agio, prendendo
atto della realtà quale essa è, tenendo conto del successo
di pubblico della fiction televisiva ispirata al suo personaggio, e divertendosi
a mescolare le carte, a partorire finzione dalla finzione. Alla base di
tutto questo ragionamento, ci sta il primo capitolo ancora in fieri del
prossimo romanzo di Camilleri, che dovrebbe intitolarsi "Riccardino". L´incipit
della nuova storia ci presenta sempre un Montalbano a letto, alle prese
coi suoi incubi, intento a escogitare l´escogitabile, al fine di
appisolarsi.
A infastidire ulteriormente il sonno del commissario, una telefonata
alle cinque del mattino, fatta per sbaglio da un certo Riccardino: "Ma
come? Te lo scordasti l´appuntamento? Siamo già tutti qua,
davanti al bar Aurora, ci manchi solo tu!". Montalbano, preso dai turchi,
risponde: "Aspettatemi. Tra deci minuti arrivo". Il fatto è però
che il commissario di Vigàta non aveva nessun appuntamento: una
menzogna a fin di bene, pensò girandosi dall´altra parte.
Intanto, non si sa come né perché, Riccardino viene ucciso
e Montalbano si reca sul posto del delitto. Al suo arrivo, prende l´abbrivio
il seguente dialogo: "Talè! Talè! ‘U commissariu arrivò".
"Montalbano è!" "Cu? Montalbanu? Chiddru di la televisioni?". "No,
chiddru veru". A Montalbano gli vinni una violenta botta di nirbuso".
s.f.
La curiosità
Prende il via oggi la manifestazione "Le Madonie e l´Arma"
I testi del calendario in mostra a Petralia
«Belcolle pariva un paisi grazioso... a forma di barca, con la
prua stritta e fina verso i quasi 2 mila metri di Pizzo Carbonara e la
poppa chiatta e larga verso il lontanissimo mare di Cefalù, una
barca assurdamente arenata supra una montagna verde di boschi e di pascoli».
Da Vigata a Belcolle, dal commissario Montalbano al maresciallo dei carabinieri.
Così Andrea Camilleri, nel testo preparato per il calendario dell´Arma
dei carabinieri 2005, descrive e racconta le vicende di un maresciallo
di provincia che opera in uno dei paesini abbarbicati tra le vette delle
Madonie.
A Petralia Sottana in occasione della presentazione del calendario,
ma principalmente per rendere omaggio alla Benemerita è stata promossa
una settimana di mostre, convegni e concerti. Un secolo e mezzo di storia
dell´Arma dei carabinieri sulle Madonie attraverso foto d´epoca,
cimeli, quadri e divise messe a disposizione dal comando generale dell´Arma
e dal coordinatore provinciale dell´Associazione nazionale carabinieri
Ignazio Buzzi. «La manifestazione "Le Madonie e l´Arma" è
un´idea nata - spiega Luca d´Amore, capitano della compagnia
dei carabinieri di Petralia Sottana - dal calendario dell´Arma che
quest´anno, attraverso le tavole riprodotte da Sergio Ceccotti e
i racconti di Andrea Camilleri, si è ispirato per certi versi al
territorio delle Madonie».
Oggi alle 17 nei locali del cine-teatro Grifeo di Petralia Sottana,
alla presenza di Sergio Ceccotti, sarà inaugurata la mostra sul
tema "Identità visiva, istituzione e territorio, le Madonie raccontate
attraverso documenti storici". Il 20 luglio il Convento dei padri riformati
ospiterà il convegno: "I carabinieri con il loro territorio", parteciperanno,
il procuratore di Termini Imerese Alberto Di Pisa, il presidente del Tribunale
Leonardo Guarnotta e il prefetto Giosuè Marino. L´epilogo
della manifestazione il 24 luglio con l´esibizione della fanfara
del 12esimo battaglione carabinieri Sicilia. La manifestazione è
organizzata in collaborazione con l´Arma dei Carabinieri, la Provincia
di Palermo, l´Ente Parco e i Comuni di Petralia Sottana e Castellana,
la direzione artistica è stata affidata all´architetto Sandro
Giacomarra.
Ivan Mocciaro
Stilos, 19.7-15.8.2005
Recensioni. Andrea Camilleri, “La luna di carta”
Più avarie e meno peripezie
Montalbano, un uomo cambiato
Se il lettore si chiederà perché Angelo Pardo, la vittima
di turno, anziché lettere non riceva dalla sua amante email o sms,
come sarebbe naturale oggi attendersi – ciò che fa del resto lo
stesso Pardo, giacché utilizza un computer per archiviare dati segretissimi
– non dovrà pensare a un Camilleri poco versato in new tech
(perché proprio stavolta dà prova di solide conoscenze –
se non bastasse la presenza originaria del centralinista del commissariato,
Catarella, esperto sia pure camp di informatica), ma aspetterà
il finale, quando sono giustappunto le lettere, nonché il luogo
dove sono nascoste e il procedimento, a rivelarne e qualificarne il ruolo.
Nulla in “La luna di carta” è un eccipiente: neppure quanto resta
irrelato o ciò che è taciuto, com’è il rutilante e
quotidiano rinvio, apparentemente estraneo alla vicenda, dell’appuntamento
che il questore dà a Montalbano. Uno snodo centrale in forma di
basso continuo, seppure tenuto in understatement.
Quanti che siano i giorni dell’indagine, il questore rimanda l’incontro
al solo scopo di tenere il commissario sull’avviso di una convocazione
incombente, che non potrà non tradursi appunto in un avviso o un
richiamo. Quale? Camilleri non lo dice, senonché alla fine apprendiamo
che l’appuntamento viene rinviato a data da destinarsi, cioè annullato.
Non solo Camilleri tace le ragioni del rinvio e l’argomento della convocazione,
ma vuole che Montalbano non sappia né se ne chieda il perché:
risoluzione invero singolare messa in capo a un raisonneur col maglio.
Dobbiamo chiedercelo noi, dopo però avere sgombrato il campo da
un equivoco cui inducono un’intervista dello stesso Camilleri e il risvolto
nonché l’immagine di copertina: la noce del racconto non è
la medietà di Montalbano tra due donne belle e infingarde, tentatrici
e diaboliche, femmes sans merci e poste a forma di decusse. Quantunque
l’intreccio indichi con smaccata evidenza, quasi una reiterazione, che
l’indagine primaria sia quella che conduce Montalbano e che riguarda Elena
e Michela, a tenere il quadro è piuttosto l’inchiesta che si svolge
in secondo piano, nel chiaroscuro di una inespressa trama di morti per
overdose, di un’inchiesta nazionale su ditte farmaceutiche truffatrici,
di un traffico di droga che porta alla grande mafia.
Camilleri preterisce il compito di chiamare sulla scena gli attori
principali e spinge sulla ribalta i comprimari facendone i protagonisti
apparenti. Un gioco a nascondere insomma, di spirito visibilmente sciasciano,
un truffé di antifona e antifrasi per contenere il non detto,
tanto più mascherato quanto più urgente e sentito. Alle spalle
di un Montalbano mai così déraciné, smemorato,
lento di riflessi, un Oblomov blasé e atarassico, si muove
un Leviatano impalpabile e minaccioso, un mostro che nessuna forza può
osare affrontare in campo aperto. E così l’estenuato ed esausto
Montalbano, risospinto tra una querula erinni e una baccante chioccia,
indagando sul perché un uomo si lasci uccidere con il suo membro
fiacco in esposizione e un filo di mutanda muliebre in bocca, sfiora e
non tocca il bubbone vero e inesploso. Messa percià la mano nella
bocca della verità, si ritrare appena in tempo perché il
blocco di potere dominante neutralizzi la minaccia venuta all’ordine costituito.
E’ solo allora, quando delle morti eccellenti di un sottosegretario e di
un senatore si puà offrire una causa non in collusione con la ragione
di stato, che il questore annulla l’appuntamento con Montalbano. Per tutto
il tempo dell’indagine lo ha tenuto in arsi, credendo che bastasse la minaccia
di una convocazione e confidando nella sua perspicacia per allontanarlo
dai terreni minati e privati degli uomini di stato perspicui e cospicui
che sui loro vizi pretendono silenzio e impunità. Ma il questore
non sa che Montalbano è davvero fuori dalla zona off limits: quando
i suoi uomini lo vanno informando della serie di decessi oscuri avvenuti
a Vigàta non reagisce come il lettore, che ha immediata percezione
del legame tra la morte “passionale” dell’informatore scientifico e quelle
inspiegabili degli uomini illustri. Camilleri gabba il questore col relegare
Montalbano nel candore dell’inavvertenza, ma per fare ciò lo rende
dimidiato: al punto che se gli dicono che la vittima faceva l’”informatore”
pensa davvero a un confidente, preda dunque di un ésprit de l’escalier
che gli annebbia la ragione e lo porta a capire tutto in ritardo. Un
Montalbano in contraggenio: si ostina a non riferire al magistrato, provoca
il suicidio di una donna per strapparle la verità con fare inquisitorio,
non intuisce il motivo delle quotidiane convocazioni in questura, dà
del tu a una donna indagata e per poco non ne fa un’altra Ingrid, dimentica
di essere un poliziotto davanti alla bellezza dell’altra, compie ripetute
violazioni domiciliari con assoluta disinvoltura: una misleanza insomma,
ma da nicodemico.Che se arriva alla svolta del caso è appunto per
caso, com’è già successo in altre indagini, pensiamo a “La
pazienza del ragno”: per rivedere paesaggi agresti cari al suo cuore stillante
di “ultracinquantino” percorre in auto una provinciale e scopre che la
stazione di servizio servita a Elena per procurarsi un alibi era chiusa
il giorno del delitto.
Si badi: non sono supposizioni nostre quelle che ingradiamo sullo stato
di tenuta del commissatio. E’ lo stesso Camilleri costretto a dargli una
mano raggiungendolo nei suoi momenti di più acuta svagatezza e confusione:
facendogli ora il punto dell’indagine, ricordandogli i passi da compiere
e finendo per scrivergli addirittura una lettera firmata a suo nome per
ricordargli i nodi dell’inchiesta. Un Montalbano irriconoscibile e un Camilleri
che sperimenta nuove strutture narratologiche adottando in lunghe riprese
lo strumento della metalessi con cui, alla maniera di Manzoni, si apparta
con il lettore e lo aggiorna: a volte, ma per brevissimi tratti, in assenza
anche di Montalbano, ciò che costituisce un fatto assolutamente
nuovo perchénon c’è mai sata indagine nella quale una scena
si sia svolta senza Montalbano e soprattutto senza che il lettore non stesse
sempre a braccetto del commissario vivendo sviluppi e intoppi alla stessa
maniera e con lo stesso spirito. In questa ultima vicenda invece il lettore
ne sa quasi più del commissario perché informato direttamente
da Camilleri, il quale si può rivolgere a Montalbano con espressioni
del tipo: “Ricordati che vuole che le telefoni” oppure “Le vogliamo adoperare
le parole giuste, si o no?”.
Le “parole giuste” sono quelle che Camilleri non pronuncia: il governo
copre i misfatti dei suoi dignitari e si serve dei propri apparati per
mantenere il primato e il prepotere, pronto a soffocare ogni voce
di contrasto. Montalbano arriva alla verità e si ferma. Di più:
suggerisce egli stesso, in un gurgite antinomistico e anomistico, la soluzione
conveniente. Allineandosi così agli investigatori di “La scomparsa
di Patò” o ai personaggi di “La concessione del telefono”, dove
l’idea che la luna sia di carta se è un precetto da professare
non è però un imbonimento da credere.
Gianni Bonina
Stilos, 19.7-15.8.2005
Testi esclusivi
Schede segnaletiche degli sbirri più sbirri
Figure e figuri del mondo poliziesco in una galleria divertita e appassionata
di uno scrittore che fa il magistrato e che conosce bene gli ambienti della
malavita e dei piedipiatti: quelli della letteratura
[…]
SALVO MONTALBANO. Paternità: Andrea Camilleri. Un tipaccio adorabile.
In una terra che stravede per i “piacioni”, delira per gli affabili truffatori
con l’eterno sorriso sulle labbra e al ballottaggio per la Crocefissione
vota immancabilmente Barabba. Caratterialmente irritabile e scostante,
con l’andar del tempo si fa sempre più nirbuso. Se ne catafotte
dei superiori e maltratta i subalterni. Disprezza i pennivendoli prezzolati
e si leva la soddisfazione di sbattere in galera, con equanime acrimonia,
insospettabili e povericristi, muovendo dal presupposto che nessuno è
innocente, colpevoli lo siamo un po’ tutti, e qualcuno, per sovrappiù,
risulta decisamente antipatico. Da qualche tempo è impegnato in
una personalissima (ma non solitaria) crociata contro l’odiosa legge Cozzi-Pini
che ha dato dignità culturale alla strisciante (?) xenofobia dei
governanti. (Letture consigliate: “Il ladro di merendine”, “La luna di
carta”, Sellerio)
[…]
Giancarlo De Cataldo
Nove da Firenze,
21.7.2005
"L’Amiata dei nostri nonni" presentata da Camilleri
Amiata - Verrà presentato al Parco Faunistico dell’Amiata venerdì
29 luglio alle 18 (con servizio navetta e merenda tradizionale) il libro
di Mariella Groppi e Antonella Sabatini, edito da Effigi, “Novelle fatte
a mano. I nonni raccontano… dall’Amiata alla Maremma”, presentazione di
Andrea Camilleri, il quale sarà presente per l'occasione.
Scritto dalle due maestre di scuola elementare, che hanno raccolto
le testimonianze di settantenni e ottantenni di Selvena, Marroneto, Castell’Azzara
e Bagnolo, il libro, riccamente illustrato con foto e disegni, raccoglie
oltre sessanta novelle, che le autrici dedicano ai nonni che ce le hanno
tramandate.
Di gran prestigio la firma in calce alla presentazione del libro: Andrea
Camilleri, il noto giallista padre del commissario Montalbano che ha trascorso
molte delle sue estati a Bagnolo. Scrive Camilleri: “Le ‘Novelle fatte
a mano’ sono una raccolta di fiabe, di raccontini, di modi di dire, di
proverbi che rappresentano una sorta di quintessenza della cultura popolare
contadina dei luoghi dove le autrici vivono e operano, cultura destinata
a scomparire sotto i colpi di maglio dell’omologazione globale. Il valore
della loro raccolta è dunque quello della conservazione della memoria,
direi meglio della testimonianza a futura memoria, se la memoria avrà
ancora un futuro”.
Camilleri raccomanda ancora il libro perché – continua – “è
di una agevole, sorridente e divertente lettura” e loda la scelta delle
autrici di conservare le novelle nel dialetto in cui sono state narrate.
Il dialetto – dice – è come il sale in un piatto splendidamente
cucinato, è ciò che dà sapore e gusto alla lettura
di questi raccontini.
Lo sforzo di Mariella e Antonella è stato quello di ricreare
un tempo passato: “Nelle lunghe serate d’inverno, – scrivono nella “Premessa”
– in un passato che sembra tanto lontano, le famiglie si riunivano intorno
al focolare, insieme a parenti e vicini di casa. ‘era infatti la tradizione
di andare a veglia […]. Tradizione dei tempi passati in cui non esisteva
la televisione e gli svaghi erano veramente pochi. […] Era allora che i
nonni, attorniati da bambini e adulti, cominciavano a raccontare novelle
di principi e principesse, draghi e maghi…”. Ed è questa l’atmosfera
che questo bellissimo libro ricrea, venendo a completare le opere di questo
tipo che lo scorso anno sono state date alle stampe da Gilia Pandolci per
Roccalbegna e da Lucio Niccolai per l’Amiata in generale.
La Repubblica, 21.7.2005
In libreria il meglio dell'Italia del poliziesco guidata da Montalbano
alle prese con la morte
Crimini, misteri e misfatti la premiata ditta Camilleri & C
Il commissario Bordelli, ex militanti, mafiosi, vigilantes tra cospirazioni,
arbitri uccisi e lo strano caso di Edgar Poe
LA LUNA E IL COMMISSARIO
Stiamo invecchiando con il commissario Montalbano. E questo ci fa un
po' star male. Lo vediamo alle prese con due donne che lo affascinano e
lo confondono e con un pensiero che gli è entrato in testa una mattina
in quei minuti di dormiveglia prima di alzarsi dal letto: "Quanno viene
il jorno della tò morti...". Montalbano pensa alla sua morte e indaga
su una morte avvenuta in circostanze torbide con la vittima trovata in
una posizione inequivocabile. I suoi modi bruschi nel portare avanti la
seconda indagine, il suo mestiere, fanno un passo indietro di fronte alla
prima e mostrano tutta l'umanità del più riuscito personaggio
della narrativa italiana degli ultimi dieci anni.
Andrea Camilleri, La luna di carta (Sellerio, 11 euro).
[...]
Dario Olivero
StradaNove, 21.7.2005
La luna di carta, Andrea Camilleri
Il ritorno di Montalbano
In Sicilia, si usa dire: "Crederesti a tutto, anche che la luna è
fatta di carta o che magari non è tonda ma quadrata". Un modo per
indicare l'ingenuità che caratterizza l'infanzia, anche se a volte,
come vuole mostrarci Camilleri, pure gli adulti possono essere "babbiati".
"La luna di carta", l'ultimo libro di dell'autore, segna il ritorno
del commissario Montalbano, che si troverà di fronte a un delitto
apparentemente passionale. Un delitto che riesce a riesce a distrarre il
commissario dalla continua ossessione della morte, scandita dal ticchettìo
di una sveglia.
A Vigata avviene un omicidio. Angelo Pardo viene trovato con il volto
sfigurato da un colpo di pistola, e il sesso di fuori. Nell'indagine vengono
sospettate due donne, figure forti e allo stesso tempo diverse: una l'amante
dell'ucciso, l'altra la sorella, legata a quest'ultimo da un amore morboso.
Contemporaneamente, vengono trovati cadaveri eccellenti, uccisi da
miscugli di droga. Ecco allora che l'indagine si allarga: passione, droga,
mafia, tre componenti per un giallo perfetto.
Ancora una volta, Andrea Camilleri riesce a catturare il lettore con
una trama torbida che porterà a un finale sconvolgente. E nonostante
troviamo un Montalbano che rischia di annegare nelle ossessioni dell'età,
lo seguiremo nella sua indagine tra le ipocrisie di un paese che solo Camilleri
sa descrivere.
Giovanna Crisà
Unimagazine.it,
25.7.2005
Luna di carta
Non c’è pace per il commissario Montalbano!
Il passare del tempo e l’avanzare dell’età, lo riempiono di
angoscia e di pensieri inquietanti, come se non bastasse è costretto
a cambiare le sue abitudini mattutine, ricorrendo all'uso di una sveglia,
lui, acerrimo nemico di ogni forma di tecnologia, perchè a quanto
pare il suo orologio biologico perde colpi.
Così, per non concedersi a queste cupe riflessioni, decide di
buttarsi a capofitto sul lavoro.
Indagare su un terribile omicidio alla periferia di Vigata. Un omicidio
che, a prima vista presenta tutti i requisiti di delitto passionale. Ma
il commissario non ne è tanto convinto.
La vittima è Angelo Pardo, un informatore scientifico che viene
trovato morto con un colpo di proiettile in faccia e in una posa oscena.
La vita dell'ucciso, man mano che si prosegue con le indagini, rivela sempre
nuovi dettagli; ex medico radiato dall’ordine, legatissimo da un affetto
quasi morboso alla sorella Michela, intrecciava da tempo una relazione
con una donna sposata molto giovane e avvenente, Elena.
Così Montalbano si trova a dover indagare tra queste due donne,
tanto pudica e seria l’una, quanto provocante
e spregiudicata l’altra, capaci di distrarlo, ma solo per un attimo,
dal pensiero costante della fidanzata Livia.
Il titolo prende il nome da un episodio dell'infanzia di Montalbano:
"Quann'era picciliddro, una volta so patre, per babbiarlo, gli aveva contato
che la luna 'n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia
in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto". E ora, uomo maturo,
rischia di commettere lo stesso errore cadendo nella trappola delle due
donne che si stanno prendendo gioco di lui.
La "Luna di Carta" è il nuovo romanzo di Andrea Camilleri.
La lingua è sempre la stessa, quella che lui stesso definisce
"una reinvenzione del dialetto siciliano", dei personaggi storici non manca
nessuno, da Mimì, ormai diventato padre, a Catarella, il poliziotto
un pò imbranato ma molto simpatico, all'immancabile Livia, eterna
fidanzata del commissario. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per un
altro romanzo di successo, che difatti è già al primo posto
nelle classifiche.
Neanche stavolta lo scrittore siciliano ci ha delusi!
Alessandra Maratea
AltraTV, 25.7.2005
«Con Montalbano, per non perdere la guerra con la mafia»
A Pisa incontro con Camilleri
"Meglio la scrittura che la regia"
Il team di Altratv, grazie al lavoro dei giovani ficcanaso del gruppo
studentesco “DavideControGolia” di Pisa, ha intervistato Andrea Camilleri
a Pisa in occasione del conferimento della laurea specialistica honoris
causa in sistemi e progetti di comunicazione.
Salve prof.re Camilleri e grazie per lo spazio che ci concede. Dopo
la laurea honoris causa ricevuta a Milano nel 2002, adesso questa a Pisa…
"Non batterò mai Umberto Eco che ne ha una trentina. Io solo
due, appena."
Come è scritto nel suo sito lei non è riuscito causa
guerra a conseguire il diploma …
"No, me lo hanno dato per scrutinio"
Ah, gliel’ hanno dato per scrutinio…
Non per esami, la cosa più terribile era che ai nostri tempi
gli esami, quelli di terza liceo, erano di tutte le materie, non solo di
alcune materie, quindi era un esame spaventoso, che dovevamo tenere alla
fine del giugno del ’43.. Arrivarono le truppe alleate a Lampedusa alla
fine di Maggio, quindi i professori ci dissero “bhè arrivederci”
e ci promossero per scrutinio, quindi io questo esame terribile non lo
ho mai vissuto."
Visto che lei ha lavorato sia nella regia che nella scrittura, come
studenti di comunicazione saremmo interessati a sapere quale preferisce
a livello di comunicazione…
"La scrittura."
Ha risposto con estrema decisione…
"Non c’è dubbio, perché fare il regista significa interpretare
le parole degli altri al meglio, ma sono sempre parole degli altri. Quando
ti metti a scrivere, scrivi parole tue. Io non mi metterei mai in scena,
penso che un autore sia un pessimo regista di se stesso…"
Anche se nei suoi libri qualcosa di lei traspare..
"Si, però parlo di regia vera e propria. Per esempio mi hanno
chiesto di intervenire su Montalbano. Io intervengo sulla sceneggiatura,
ma non materialmente perché non c’è maggiore rottura di scatole
per un regista che avere l’autore a mezzo metro di distanza, perché
magari l’autore si fissa su un dettaglio, su un particolare che non è
cinematografico, rimane troppo legato"
Ma proprio riguardo a Montalbano, lei ha detto che tramite lui è
riuscito a rendere un’idea di Stato che garantisce e tutela, ma che però
non è tale per i siciliani… Montalbano è destinato a perdere?
"No, no, non credo che Montalbano e la sua visione di Stato siano destinati
a perdere. E’ una guerra difficile quella con la mafia, ma perché
diciamo che siamo destinati a perdere? Se quello che fa la mafia la maggioranza
degli italiani non lo condivide non vedo perché siamo destinati
a perdere."
Basta non condividerlo?
"Sì, soprattutto se aiuti i siciliani a non far condividere..
Molti dicono “fatti loro, insomma noi che c’entriamo?” Invece c’entriamo,
sono fatti di tutti."
Lei riesce a comunicare nei suoi libri mediante un mix di italiano
e dialetto siciliano, quindi reputa sia possibile comunicare tramite le
differenze?
"Soprattutto attraverso le differenze. Solo se si ha però la
voglia di vedere perché si è differenti. Allora la differenza
è già un modo di attirare l’attenzione, l’interesse. Se capisci
l’identico, l’uguale a te… Non hai bisogno di tante scoperte."
La ringraziamo per la disponibilità, siamo molto contenti che
il nostro primo laureato sia lei!
"Grazie di cuore."
Aurelio Coppolino
l'Unità, 25.7.2005
Petros Markaris: Il multiculturale sono io
[...]
Chi sono i parenti europei di Charitos?
"Montalbano è sicuramente uno dei genitori. L’altro genitore, forse, è Maigret."
Roberta Chiti
Il Mattino,
26.7.2005
Francesco Paolantoni
«Io, tra Camilleri e il televarietà»
In «Che fine ha fatto il mio io?» che debutta a Villa Bruno
è un cinquantenne in crisi
A teatro in Sicilia, poi su Raitre
[...]
E subito dopo l’estate, l’attore si ritufferà nel lavoro a ritmi
intensissimi: «Mi trasferirò in Sicilia per lavorare a una
commedia importante per lo Stabile di Catania che andrà in scena
a novembre», annuncia infatti. Di che si tratta? Di uno spettacolo
tratto da un libro di Camilleri, «La concessione del telefono»,
di cui Paolantoni sarà il protagonista. Al suo fianco un cast di
attori siciliani, tra cui Tuccio Musumeci. La regia sarà di Giuseppe
Di Pasquale. «È un testo stupendo - spiega l’attore - ambientato
nell'Ottocento, parte dai problemi per la concessione di una linea telefonica
per parlare dell'ottusità della burocrazia. Ma a Napoli non arriverà
prima del 2006-2007».
[...]
Stefano Prestisimone
l'Unità, 27.7.2005
Ecco il testo della proposta firmata da un primo gruppo di intellettuali
per candidare un esponente della società civile alle “primarie”
Un candidato della Società
Le primarie possono essere un momento di democrazia, cioè di
potere restituito ai cittadini, oppure di manipolazione del consenso da
parte degli apparati.
E infine possono essere innocue, inutili, quindi deprimenti. Quale
di queste possibilità, dipende dai dettagli.
Due, soprattutto (per quanto riguarda le primarie autunnali del centro-sinistra).
Che la campagna elettorale si svolga in autentica par condicio. Il che
si può ottenere in un solo modo: con l’impegno solenne e istituzionalizzato
di una campagna fatta esclusivamente per confronti - televisivi, sui giornali,
nei teatri e nelle piazze - ai quali partecipano tutti i candidati alla
candidatura. Altrimenti, la disparità di risorse, finanziarie, organizzative
e di esposizione mediatica, incide sciaguratamente sulla libera decisione
dei votanti. Una campagna costretta in questa dimensione egualitaria avrebbe
l’ulteriore vantaggio democratico di costringere i candidati ad argomentare,
e null’altro. Non conterebbero i creativi pubblicitari, ma solo l’efficacia
del ragionare in pubblico e in contraddittorio.
Secondo “dettaglio”: che non vi siano solo candidati degli schieramenti
partitici. Che vi sia almeno un candidato vero della “società civile”
(uso un termine approssimativo e magari fuorviante, ma sono certo che ci
capiamo perfettamente). Altrimenti tutto si ridurrà alla conta di
quanto pesi lo schieramento Ds-Margherita rispetto a quello bertinottiano.
E troppi cittadini resteranno a casa. Né vale l’obiezione che un
tale candidato non avrebbe chance di battere Prodi. Neanche gli altri (di
partito), infatti. Ma il senso delle primarie è quello di coinvolgere
tutto il potenziale attivo del centro-sinistra, dunque anche i tantissimi
cittadini senza tessera che hanno partecipato alla stagione dei “movimenti”,
offrendo loro di manifestare attraverso un nome le diverse anime e intensità
della democrazia e del riformismo italiani. Del resto, senza questa partecipazione
piena, che solo le due condizioni richiamate possono assicurare, la stessa
legittimazione di Prodi in quanto leader popolare ne sarebbe menomata (e
Prodi, anziché leader dello schieramento, ne sarebbe solo il candidato:
il che è ben diverso). Ecco perché pensiamo che individuare
un candidato della società civile non sia frammentare ulteriormente
il panorama del centro-sinistra, ma rendere un servizio essenziale all’unità
dei cittadini per sconfiggere il berlusconismo.
P.S. Potremmo anche fare un nome. Ma quello che conta è il principio,
e se e quanto consenso troverà. Le adesioni - individuali e di circoli
e associazioni - possono essere inviate a: primarie@infinito.it.
Carlo Bernardini, Andrea Camilleri, Sandrone Dazieri, Domenico De
Masi, Paolo Flores d'Arcais, don Andrea Gallo, Lidia Ravera, Marco Travaglio,
Gianni Vattimo
La Stampa, 28.7.2005
Il caso Caselli
Una
legge contra personam
Andrea Camilleri
LibriAlice, 28.7.2005
Nuovo record per Camilleri
A solo un mese dall'uscita in libreria (23 giugno) "La luna di carta"
di Andrea Camilleri, edito da Sellerio ha raggiunto le 450.000 copie vendute.
Questo nono romanzo del commissario Montalbano, dal momento dell'uscita
saldamente in testa a tutte le classifiche di vendita, consente di stabilire
un un nuovo primato per un autore che il pubblico ama sempre di più.
News, 28.7-4.8.2005
Poteri – L’intervista. Parla il padre del commissario più famoso
d’Italia
Camilleri. È un paese di bugiardi: la politica secondo Montalbano
Dalla Rai, dove ha lavorato per 34 anni, alla Chiesa. Da Prodi a Fini,
che preferisce a Berlusconi perché non usa un vocabolario “a parole
variabili”. In vacanza fra i boschi dell’Amiata, il numero uno dei nostri
scrittori si confessa. E spara a zero su tutti, a destra e a sinistra.
“Mi vanto di poche cose, una di queste è di aver firmato in tempi
non sospetti il manifesto di Bobbio in cui si invitava a non votare Berlusconi.
Anche se detesto dire ‘ve l’avevo detto’: le Cassandre sono una rottura
di palle infinita”.
Se ne sta davanti al suo PC, nel paesino di Bagnolo di Santa Fiora,
tra i boschi del Monte Amiata. Legge Sjöwall e Wahlöo, una coppia
di giallisti svedesi dei primi anni Sessanta. E aspetta il regalo che l’editore
tedesco Klaus Wagenbach gli farà a settembre per gli 80 anni: una
raccolta dei suoi scritti politici, disponibili, purtroppo e curiosamente,
solo in Germania. Attende e fuma, lasciando a metà i mozziconi,
novanta sigarette al giorno. “Sarebbe forse stato meglio che il governo,
dopo avermi informato che il fumo uccide, rinunciasse al monopolio. Dico,
cosa fai, ti prendi una percentuale pure sulla mia morte?”.
Geniale, cattivo, ironico. Visto che non potremo gustarci il suo libello,
Andrea Camilleri, il più apprezzato scrittore italiano del dopoguerra,
delinea la sua personale, e tragica, visione della politica italiana. “Quando
parlavo di regime, Paolo Mieli e Pigi Battista se la prendevano con me.
Ora però stanno facendo una legge per sottrarre la procura antimafia
a Giancarlo Caselli, la cui colpa è quella di aver combattuto le
Br e la mafia. Un uomo che invece io considero il più grande risarcimento
alla Sicilia per l’Unità d’Italia. E che cos’è dunque un
regime se non uno stato che fa leggi ad personam? Leggi come le cosiddete
salva-Previti e le altre, tutte ad hoc”.
D’accordo, ma regime non è una parola un po’ forte? “I regimi
si evolvono. Oggi ti tagliano le comunicazioni e sei finito. Si ricorda
l’editto in Bulgaria su Biagi e Santoro? È stato puntualmente eseguito.
Se non fosse stato eseguito, potevano dire Camilleri delira. Invece ha
resistito tutto. Questo è un regime che definirei strisciante, grazie
al fatto che gli italiani hanno memoria labile”. Cioè? “Berlusconi
aveva detto che nel momento in cui si fosse parlato di Rai sarebbe uscito
dal Consiglio dei ministri. Ora è lì a decidere chi deve
guidarla”.
Lei ha lavorato 34 anni in Rai… “Ho vissuto la lottizzazione vera sotto
Bernabei, però era scoperta. Ora la Rai non esiste, è schiacciata
da Mediaset, avendo commesso l’errore di seguire le trasmissioni private.
Faccio un esempio. Io facevo con Roberta Carlotto i venerdì della
prosa. Quando ho presentato ‘Finale di partita’ di Beckett con Renato Rascel
e Adolfo Celi ci sono stati 800mila spettatori. Pensavo a una cifra spaventosa
per un pubblico di teatro, mi dissero che era poco. Allora capii che c’era
qualcosa che non funzionava: e infatti via il teatro, ed ecco il varietà,
l’abbassamento del livello culturale”.
Per Camilleri invece la Rai diventa una scuola di scrittura. Producendo
i Maigret di Simenon con Gino Cervi, apprende i segreti del grande scrittore
francese, l’uomo che, insieme a Friedrich Dürrenmatt, l’ha ispirato
più di tutti. “C’era Diego Fabbri, lo sceneggiatore, che strappava
le pagine dai libri di Maigret, dividendole per personaggio, per ambienti,
poi stendeva e raccordava il tutto. Come un perfetto orologiaio.
Ecco, ho scoperto Simenon attraverso i suoi ingranaggi principali, dall’interno”.
Certo, Montalbano non è Maigret, invecchia. Ma, assicura Camilleri,
come Maigret, non morirà mai. Del resto, neppure Camilleri è
Simenon: non ha rituali di scrittura, non si immedesima nei personaggi,
trae spunto per le sue storie da notizie di cronaca o da annali. Però
un punto in comune i due scrittori ce l’hanno: gli strani sogni. Simenon
sognava tutte le notti un lago, una montagna. Lui, invece, ha fatto sogni
a puntate, come un telefilm. “È durato quattro anni, ero il più
grande basso del mondo, cantavo con la Callas e la regia di Luchino Visconti”.
Forse le sarebbe piaciuto farlo? “Quando mai, sono stonato come una campana”.
Non canta ma gioca, lì, a Bagnolo. Scrive e gioca con i nipotini.
E ci scherza su. “Sì, ho bisogno del caos per mettere giù
un romanzo. Non del silenzio e della solitudine. Se fossi qui ad ascoltare
il canto degli uccellini mi suiciderei”. A proposito di caos, proprio alla
Rai c’è nell’ultimo periodo molta confusione. Se avessero proposto
a lei di dirigerla? “Avrei rifiutato, ci vuole uno spirito manageriale
che non ho”. E se glielo proponesse il centrosinistra? “Nooo! La sinistra
non capisce niente di tv, non è riuscita nemmeno a farsene
una piccola. Troppo distacco, a parte i capaci come Umberto Eco e Vincenzo
Vita”.
Perché tanto astio verso questo governo? “Faccio una premessa.
Sono un comunista coerente, ma mi hanno persuaso a calci nella schiena
della bontà della democrazia. Bene, ci credo: ma tu non mi puoi
cambiare le regole da un momento all’altro. Va bene un governo di destra,
ma questo non è un governo di destra. Se Fini fosse presidente del
Consiglio, avrei meno disagio, perché adopera il mio vocabolario.
Invece Berlusconi usa un vocabolario che ha solo lui e ha parole variabili,
cioè che possono essere facilmente fraintese. Come dice lui? ‘Sono
stato frainteso’”.
Dove sbaglia, allora, la sinistra? “Nel vocabolario, appunto. Si comporta
come se avesse davanti Fini, invece c’è un marziano, uno che usa
un’altra lingua. E allora invoco le piazze, i girotondi, mica le armi.
La piazzaè democrazia di pensiero. La sinistra potrebbe almeno incidere
in maniera extraparlamentare. Un nuovo Aventino, ad esempio. Allora, col
fascismo, fu un errore, ma oggi no. Perché non avviene quotidianamente?
Sono sempre assenti…”.
Quale può essere la figura vincente di questa sinistra? “Prodi,
l’unico che possa mettere insieme da Bertinotti a Rutelli. Io sono assolutamente,
come si dice, che poi hanno cambiato il nome, ulivista? Ma politicamente
per la sinistra ci vorrebbe un’alluvione di Firenze ogni quindici giorni:
se non c’è niente da costruire non si muove”.
E poi c’è la Chiesa, con cui non ha un bel rapporto. “Non sono
credente, ma ho rispetto per chi crede. Però la Chiesa è
diversa, come ho scritto ne ‘La bolla di componenda’: in Sicilia c’era
un documento ufficiale in cui si compravano preventivamente le indulgenze,
per omicidi, tradimenti, reati di ogni genere. È quanto di più
immorale si possa immaginare. La Chiesa ci tiene a sovranità limitata:
lo si è visto anche al referendum. Potevano dire: andate e votate
no. Invece dice: astenetevi. E la gente non va alle urne”.
Ma oggi a impedire di governare in tranquilllità più
che la Chiesa c’è l’emergenza islamica. “L’unica soluzione è
che il mondo si metta al tavolo e finalmente metta d’accordo Israele e
Palestina, eliminando così le radici del terrorismo. Invece siamo
andati in Iraq e abbiamo aperto un vaso di Pandora”.
Edoardo Montolli
L'uomo dei record
L’ultima delle trenta lingue in cui è stato tradotto è
il coreano. Anzi l’arabo. Andrea Camilleri è infatti stato contattato
dall’ambasciatore italiano in Tunisia che lo ha avvertito di aver fatto
una personale traduzione a un imam di una tribù nomade de “Il corso
delle cose”, del 1978: basterebbe questo per capire la portata del fenomeno.
Camilleri è l’unico ad avere fino a cinque libri in classifica,
e il suo ultimo romanzo “La luna di carta” (pubblicato da Sellerio come
quasi tutta la sua opera) ha venduto in un mese 450mila copie. In generale
i romanzi di Montalbano vendono qualcosa in più di quelli storici,
fra cui prevale “Il birraio di Preston”. Il successo per Camilleri arriva
alla fine degli anni Novanta: le vendite di 60mila copie a libro, già
molto più che soddisfacenti, si impennano grazie al tamtam dei lettori
e arrivano a 890-900mila copie. Ma lui non cambia e ancora oggi tre giorni
la settimana li impiega per rispondere alle lettere dei fan. Compresi quelli
che lo rimproverano per i suoi attacchi al “partito di maggioranza”.
Corriere della sera -
Magazine, 28.7.2005
Montalbano e il caso dell'informatore medico-scientifico
Un informatore medico-scientifico, quelli che prima si chiamavano rappresentanti
farmaceutici, viene trovato morto a casa sua, sparato in faccia. Un particolare
del ritrovamento fa pensare a un delitto passionale. Il commissario Montalbano
indaga. Al centro dell'inchiesta (La luna di carta, il titolo) ci sono
due donne, molto avvenenti. Una è la sorella dell'ucciso, dallo
sguardo che provoca vampate nel poliziotto più amato dagli italiani
(Livia, l'eterna fidanzata, è a Genova): «Era un paro d'occhi
preciso 'ntifico a un lago viola e funnuto nel quale sarebbe parso a tutti
i mascoli bellissima cosa tuffarsi e annigare in quelle acque». Anche
il personale, e non solo lo sguardo, della signorina Michela è tale
da turbare il commissario, malgrado la donna lo nasconda e mortifichi sotto
abiti austeri: «Michela indossava una specie di vestaglia ampia e
sformata, che un nodo largo e lento cangiava in una specie di cammisone
da carzarata».
L'altra donna era l'amante del morto ammazzato. Una splendida ragazza
che il commissario paragona più volte a un animale selvaggio e che
ha un passato e anche un presente (è sposata con un uomo più
vecchio di lei, impotente conclamato, che non ha problemi nei confronti
del tradimento coniugale a condizione di essere dettagliatamente informato
dalla viva voce della moglie di tutti gli sviluppi delle relazioni extramatrimoniali).
Stretto tra queste due donne, il commissario procede nel suo lavoro ma
il suo stile brillante di una volta non è più lo stesso.
Pensieri di morte sorprendono a tradimento Montalbano al momento del risveglio
nella sua bella casa sul mare. Improvvise amnesie rivelano buchi neri nella
sua un tempo prodigiosa memoria. Un episodio da nulla, l'incontro con un
compagno di ginnasio del quale non rammenta più il nome, le fattezze,
le imprese compiute assieme, getta il commissario in una grande prostrazione:
«Ma non si rendono conto questi che pretendono d'essiri raccanosciuti
doppo quarant'anni che il tempo supra la loro faccia ha fatto il travaglio
sò? Che quaranta inverni, come dice il poeta, hanno scavato trincee
profonde nel campo di quella che fu adorabile giovinezza?».
Tra la malinconia di un sonetto di Shakespeare e la nera dannazione
di un romanzo di Faulkner, e avvertendo nel momento estremo della
narrazione che la vera tragedia è umile e parla a bassa voce, il
maestro Camilleri trova la rotta sicura al suo racconto tenendo fermo
il timone nella traversata di acque cupe e tempestose.
Intanto Mimi Augello è diventato un papà apprensivo,
sempre in ansia per il piccolo Salvo, le trattorie frequentate dal commissario
si mantengono squisite e alcuni politici vigatesi, legati al partito al
governo attualmente in Italia, ci danno dentro con la cocaina.
Che dire ancora che non abbiamo già detto di Andrea Camilleri,
della sua bravura, della sua misura, della sua ironia, della sua simpatia,
della sua finezza, della sua bellezza?
Antonio D'Orrico
Corriere della sera -
Magazine, 28.7.2005
Intervista a Fiorello
[...]
Fiorello: "Sì, nello show faccio il maestro Camilleri che fuma,
alla fine si accende una sigaretta grossa come un candelotto di dinamite.
Camilleri abita in via Asiago, proprio dove faccio la trasmissione Viva
Radiodue, una mattina gli ho lasicato un bigliettino: Maestro, perchè
non viene all'ultima puntata così ci facciamo una fumata assieme?
Non poteva. Devo ritirare una laurea honoris causa, mi ha detto.
Lui era regista teatrale, una volta si ruppe la macchina del fumo,
fondamentale per la scena che dovevano fare. Panico nella compagnia, fra
i tecnici. Calma, disse il maestro Camilleri, che problema c'è?
Mi metto io dietro le quinte a fumare! Un grandissimo.".
Antonio D'Orrico
La Repubblica
(ed. di Palermo), 28.7.2005
L'intervista
Fernanda Pivano "Questa Sicilia così aristocratica e disprezzata"
A Fernanda Pivano, andrà un riconoscimento speciale nell´ambito
del premio letterario Tomasi di Lampedusa. L´abbiamo intervistata.
Dopo Abraham Yehoshua e Tahar Ben Jelloun, il premio letterario "Tomasi
di Lampedusa" è andato quest´anno a Claudio Magris, autore
del romanzo "Alla cieca". La cerimonia di consegna avrà luogo a
Santa Margherita Belice il 6 agosto, giorno in cui verrà attribuito
un riconoscimenti speciale a Fernanda Pivano, per aver contribuito, come
si legge nella motivazione, «a diffondere in Italia con le sue traduzioni
la letteratura dei maggiori scrittori americani». Alla grande traduttrice
di Hemingway e di Kerouac abbiamo chiesto cosa si prova a ricevere un premio
alla carriera.
«Un premio alla carriera è sempre molto melanconico, dal
momento che costringe per forza di cose a un bilancio, nel mio caso a un
lungo consuntivo. Devo ammettere che sono proprio vecchia: ecco, l´ho
detto. È un riconoscimento che mi mette nelle condizioni di guardare
al passato e di misurare il tempo trascorso».
Si tratta di un premio che le arriva dalla Sicilia: quali sono gli
scrittori isolani che lei ha amato, quelli che ha letto con vera passione?
«Vediamo un po´: in Sicilia avete avuto Leonardo Sciascia,
che ormai è un classico. Lui è riuscito a inventare non solo
i gialli ambientati nell´Isola, ma soprattutto un modo di scrivere,
che riportava finalmente la lingua alla sua realtà. Questo aspetto
mi ha molto interessato. È stato Sciascia poi a sdoganare definitivamente
l´immagine della Sicilia: non scordiamocelo questo. Certo, oggi avete
Vincenzo Consolo, che però non amo: lui è uno che usa il
passato remoto, quando scrive. Ecco: uno che fa uso del passato remoto
non è mio amico, è solo un professore. C´è poi
Andrea Camilleri, che è uno scrittore popolare, un vero e proprio
fenomeno del popolo. Io non leggo i suoi romanzi, ma solo perché
non ho tempo. Sono sicura che si tratta di libri bellissimi, piacevoli.
Le masse popolari non sono mica cretine, intendiamoci».
Non dimentichiamo però che la Sicilia ha dato i natali a Giuseppe
Tomasi di Lampedusa…
«Come no: lui ha saputo impregnare le sue pagine del senso languido
di una aristocrazia dannata alla sparizione, all´annientamento. "Il
Gattopardo" è l´ultimo inno all´aristocrazia: ecco perché
mi piacque tanto e subito. Claudia Cardinale, nel film di Visconti, era
una ragazzetta che non c´entrava proprio niente con il significato
vero del romanzo. Sembrava la dattilografa di turno. Quello di Tomasi di
Lampedusa, scherzi a parte, è stato un romanzo vero, arioso. Uno
dei più belli della letteratura italiana».
E dei poeti isolani, invece, chi ricorda?
«C´è stato Lucio Piccolo, e poi Salvatore Quasimodo,
però stiamo parlando di autori europei, mondiali, tanto sono stati
grandi».
Ed Elio Vittorini? Lui era animato dalla sua stessa passione per la
letteratura americana…
«Certo, lui amava gli scrittori che io ho prediletto, ma non
c´era soltanto questo. "Conversazioni in Sicilia" è un fior
di libro moderno, molto sperimentale. Vittorini ha subìto l´influsso
della letteratura spagnola, e forse per questo le sue pagine sono ancora
molto belle».
Cosa ricorda del suo ultimo viaggio fatto in Sicilia?
«L´ultimo viaggio l´ho fatto tanto tempo fa. Ricordo
che alloggiavo in un albergo delizioso, Villa Igea. C´era un piccolissimo
ma molto attivo giardino tropicale, e poi le stanze si affacciavano sul
mare. Ogni camera aveva la sua terrazza, sull´azzurro delle onde.
La Sicilia era per me soprattutto zagara e mare. Adesso racconto una cosa
divertente: naturalmente, un giorno sono andata a visitare i mosaici di
Monreale, e in strada, mentre passeggiavo, osservavo i davanzali dei balconi.
E cosa vado a vedere? Arance di plastica. Poco dopo, vedo avanzare verso
di me uno di quei deliziosi carretti istoriati, e anche lì sopra
c´erano arance di plastica. Allora ho pensato che il mondo era proprio
finito: vedere quella valle, piena di arance vere, e poi trovarsi davanti
a quelle finte… Non sapevo cosa pensare».
A cosa associa lei il nome e l´immagine della Sicilia?
«Li associo a gente distinta, pulita, a persone che hanno un
modo di non comunicare con noi continentali che è motivato, condivisibile,
dal momento che noi spesso li disprezziamo senza neanche conoscerli. E
quando dico queste cose, i nordici mi guardano con gli occhi storti. Voi
siciliani avete la cultura più antica di tutta l´Italia: la
Magna Grecia l´avete inventata voi, c´è poco da fare.
Potete vantare una storia architettonica importantissima. Non capisco come
possa ancora aver luogo il disprezzo spontaneo per questa terra e per i
suoi abitanti, un disprezzo non determinato da nessun elemento. È
la presunzione di questi cafoni del Nord, veri bifolchi. Tutto quello che
è aristocrazia, viene dal Sud».
Salvatore Ferlita
La Sicilia, 29.7.2005
L'ottantesimo compleanno dello scrittore
Il Comune di «Vigata» va in crisi ma la Provincia salva
la festa a Camilleri
Porto Empedcle. Sono tutti pronti a fare la festa ad Andrea Camilleri.
Non una festa qualsiasi per suggellare degnamente il suo miliardesimo libro
venduto, ma quella per l'ottantesimo compleanno dello scrittore originario
di Porto Empedocle, ma ormai cittadino del mondo.
In vista della ricorrenza fissata per il prossimo 6 settembre cominciano
a emergere le possibili iniziative culturali e di spettacolo utili a rendere
ancor più importante l'evento. Un evento che da strettamente privato,
vista la caratura del personaggio rischia di assumere i connotati di un
vero e proprio evento mediatico.
Le case editrici Sellerio e Mondadori - da sempre vicine al papà
del commissario Montalbano - sono da mesi in pre-allarme per organizzare
un happening in grado di fare del compleanno di Camilleri una sorta di
show capace di smuovere sponsor non solo italiani. In questo momento però
è Vigata, ovvero Porto Empedocle paese natale dello scrittore a
proporsi come punto di riferimento per fare da sfondo naturale per il «Camilleri
Day».
Qualche settimana fa l'amministrazione comunale empedoclina si disse
pronta a organizzare una maxi festa in onore del suo illustre concittadino.
Big della cultura, dello spettacolo, dell'editoria e forse anche della
politica erano già stati allertati sulla possibilità di fare
un salto a Porto Empedocle per festeggiare l'anziano scrittore. Quando
il progetto sembrava che potesse andare in porto agevolmente una crisi
in seno alla maggioranza che sosteneva il sindaco Paolo Ferrara ha spezzato
le gambe al progetto. Un sogno sfumato che ha fatto subito aumentare i
giustificati appetiti delle case editrici intenzionate ad acciuffare in
extremis quello che «rischia» di diventare l'evento culturale
dell'anno.
«Caduti» il sindaco, il consiglio comunale e la Giunta
assessoriale di Vigata, a tentare di salvare il sogno della festa in onore
di Camilleri si sta impegnando la Provincia regionale di Agrigento e in
particolare l'assessore alla Pubblica Istruzione, Calogero Firetto. L'ente
provinciale si sta attivando per far arrivare a Vigata il gruppo di produttori
e attori della Rai che ha reso il Commissario Montalbano un cult non solo
nel campo dei libri. Insieme alla «banda Degli Esposti» potrebbero
arrivare altri scrittori di caratura internazionale chiamati a confrontarsi
in pubblica piazza con il collega neo ottantenne. Un progetto ambizioso
che pare sia comunque fattibile spalmando le iniziative in programma non
solo nell'arco di una giornata.
E Vigata può vantare uno sponsor illustre: Camilleri. Proprio
ai primi di settembre tornerà infatti nel paese natìo per
vivere tra le altre cose la festa di San Calogero. Una festa nella festa
dunque per il Santo e per l'indiscusso Re della letteratura contemporanea.
Da molti anni Camilleri non è testimone della suggestiva manifestazione
religioso-popolare che coinvolge migliaia di persone non solo del centro
marinaro. Da molto tempo non vede lanciare i panini dai balconi e chi lo
conosce ha saputo che lo scrittore intende far coincidere il proprio compleanno
con il periodo di ferie da trascorrere nella sua Vigata. Per questo sta
ritardando il ritorno nella propria casa dietro al municipio, programmando
tutto in funzione del compleanno da vivere col sottofondo dei «tammurinari»
al seguito del Santo nero.
Dunque, quasi certamente l'evento mediatico culturale dell'estate 2005
dovrebbe tenersi a Porto Empedocle, località spesso ignorata da
tutti gli operatori culturali nazionali e internazionali, pur avendo dato
i natali a un fenomeno letterario che a dispetto dell'imminente scoccare
dell'ottantesimo anno di vita dimostra grande freschezza.
Francesco Di Mare
ANSA, 30.7.2005
Camilleri, Montalbano invecchiato batte tutti i record
Roma - Giunto al romanzo numero 9, che si somma ai quattro libri di
racconti e alle serie televisive, il commissario Salvo Montalbano, apparentemente
acciaccato, invecchiato, disilluso, a dispetto del suo (presunto) declino
fisico e' piu' in forma che mai. E questo ultimo, nono, ''La luna di carta'',
stabilmente in vetta alle classifiche, rischia di battere un nuovo record
di vendite.
Da quando e' in libreria, la fine di giugno, ne sono state stampate
450 mila copie. ''Montalbano non e' ancora usurato: e' singolare - commenta
a sua volta sorpreso Andrea Camilleri - E' un curioso fenomeno, e' il libro
che sta vendendo piu' di tutti gli altri. Ho notato - continua - che da
'Il giro di boa' per ogni romanzo aumenta il numero dei lettori, in una
cifra di 20/30 mila a libro''.
Questo nonostante il problema della serialita' di un personaggio sia
strettamente connesso al rischio della ripetitivita'. ''Infatti. Cerco
sempre di variare. Apparentemente non e' cambiato granche', in realta'
il commissario procede, invecchia con il lettore. Bisogna considerare che
il primo Montalbano e' uscito nel 1994, undici anni fa, e questi undici
anni io li ho fatti pesare tutti, come forse pesano ai lettori. Montalbano
invecchia con il lettore''.
Forse e' questo uno dei segreti della longevita' del personaggio vigatese:
''E' diventato un po' come Maigret - spiega lo scrittore siciliano - che
conta 72 romanzi piu' i racconti. Forse non avrebbe resistito tanto a lungo
in Italia. I capolavori in quel caso sono una decina, non di piu'. Simenon
- distingue Camilleri - diceva che scriveva di Maigret fischiettando. Io
no, anzi e' sempre piu' faticoso, non tanto per le invenzioni da apportare,
quanto per rendere plausibile il continuo evolvere del personaggio''.
Cosa e' cambiato in Montalbano in questi anni? ''Beh, ho messo sull'avviso
il lettore: Montalbano non ha la stessa lucidita' e ironia di un tempo,
comincia a essere stanco. E' una situazione curiosa: nelle prime indagini
faceva di tutto per non avere alleati alla pari, ora rimpiange le assenze
di Augello. Certo, se gli capita un caso... ma se riesce a evitarlo, lo
fa". Ed e' questa una delle caratteristiche che lo rende attraente? ''Forse
si'. Mi scrivono: 'Ma che significa questo?' 'Che e', stanco?', 'Mica lo
fai morire?' Ecco, a questo punto la domanda e' scontata ma inevitabile:
Che fine fara' il Commissario? Ormai il suo destino non dipende piu' soltanto
da me, un personaggio cosi' vecchio ha i suoi margini di autonomia. Io
credo che non morira' e che non andra' in pensione. Ho pubblicato sul primo
numero del periodico Stilos il primo capitolo di un romanzo in fieri, dove
Montalbano e' scambiato per il suo personaggio televisivo, e non gli piace.
Credo che finira' per chiedere conto a Camilleri di questo''.
Non sarebbe la prima volta che un personaggio colloquia con il proprio
autore: ''E' vero, proprio tra Simenon e Maigret c'e' stato un rapporto
diretto. Potrei scrivere un romanzo 'terminale' e tenerlo nel cassetto,
sarebbe un asso nella manica e forse una forma di ricatto nei confronti
di Montalbano''.
'La luna di carta' e' il meno politico tra gli ultimi romanzi del commissario.
E' una scelta che va incontro ai gusti dei lettori? ''No. Credo che se
avessi insistito a politicizzare questo romanzo sarebbe scattata la noia,
perché le cose che dovevo dire le ho dette. Comunque sono del parere
che cio' che scrivo non cambi l'idea politica del lettore. Una scrittrice
disse tempo fa che poteva spostare un milione di voti, io non credo sia
possibile. Nemmeno la lettura dei Vangeli puo' farlo.
Puo' spingere ad aprire un dibattito, ma non di piu'. In questo senso,
mi fa piacere che la sentenza di rinvio a giudizio per i poliziotti del
G8 di Genova termini con frasi di Montalbano. Comunque, non credo sia sbagliato
mettere il mio punto di vista in un romanzo di Montalbano, mi viene naturale
e fa parte del personaggio''.
La Stampa
- ttL, 30.7.2005
Il crimine su commissione paga poco
La compilation estiva dei famosi di turno spetta quest'anno a un drappello
di nomi tra i più celebrati dell'italico giallismo. L'operazione
può essere tanto appetibile per i lettori quanto in sé discutibile,
come ogni raccolta mirata a incrementare le entrate editoriali più
che a mettere in evidenza nuovi fermenti. Questi Crimini su commissione,
in effetti, non rivelano nulla di più di quanto già non conoscessimo
sulla bravura - o sul mestiere - dei nomi che compaiono in lista, ai quali
va aggiunto quello dell'esordiente Antonio Manzini, tenuto a battesimo
- e per mano - dal sempre irriverente Ammaniti. Il loro racconto a quattro
mani e due teste risalta infatti per quel gusto tra il macabro e il grottesco
che fece incasellare il Niccolò degli esordi tra le file dei «cannibali».
La storia riempie gli spazi del dubbio realistico con una serie di caratterizzazioni
isteriche, su tutte quella del protagonista, chirurgo estetico di fama
e supremo cocainomane, che nasconde il suo tesoro - nel senso di droga
- in una tetta in via di espansione artificiale dell'attricetta capitata
sotto i suoi ferri. Il risultato, più che noir, è di matrice
surreale, scritto col piglio degli entusiasmi goliardici dell'ormai titolato
Ammaniti, che presta le sue ispirazioni a Manzini o viceversa, il percorso
è troppo breve per determinare distinzioni. Per quanto concerne
gli altri testi, ci ritroviamo a passeggiare in una dimensione godibile
ma sovente accademica, che non rivela nuovi sbocchi e che conferma la solidità
di certi autori limitatamente alla proposta offerta dall'occasione. Tra
i momenti migliori annoveriamo Diego De Silva, che con «Il covo di
Teresa» mette in piedi una vicenda psicologica credibile e intensa
tra l'anziana protagonista e il giovane terrorista che si è rifugiato
nel suo alloggio. Crudo e realistico come sempre, Massimo Carlotto non
mostra pietà per nessuno nella sua «Morte di un confidente»,
rivelandosi sempre più vicino al noir «di strada» americano,
con una velocità narrativa ormai quasi perfetta nella sua spontaneità
di scrittura. Grazioso e virato a un'atmosfera fantasmatica è «L'ospite
d'onore» di Faletti, dove però l'eco del cabarettista che
l'autore fu mitiga in negativo gli effetti curiosi e paradossali della
vicenda. Più malinconica che criminosa «L'ultima battuta»
di Dazieri, mentre il padre di lor tutti - Camilleri - sembra godersela
un mondo a sperimentare giochi enigmistici più che narrativi, con
risultati da lettura amena e distensiva, un po' marginali. L'investigazione
classica mirata al dettaglio di Marcello Fois si legge come un lucido omaggio
al genere, dove la scoperta del colpevole risulta quasi un gioco di prestigio
dello scrittore. La fiaba noir di De Cataldo - «Il bambino rapito
dalla Befana» - si perde, forse, in un buonismo un po' esibito per
risultare credibile, mentre Carlo Lucarelli ci dimostra come le vie della
giustizia siano infinite, in un testo veloce ed essenziale - «Il
terzo sparo» - ma anche qui ritroviamo più l'esercizio di
stile che il lampo di nuove ispirazioni. Una buona lettura da ombrellone,
in sostanza, in cui si scopre però che il noir antologico fa il
verso a se stesso, poiché se individualmente gli autori possiedono
un loro carisma talvolta già consolidato, presi in gruppo rischiano
di mitigare i risultati in un temino d'occasione, per quanto con grazia
e stile. Ma forse è il naturale rischio di saturazione che si avverte
di fronte a ogni foto di gruppo antologica, quando manca lo spazio per
l'approfondimento delle ispirazioni individuali.
Sergio Pent
Lo specchio di carta, 7.2005
Andrea Camilleri - La luna di carta
Dopo avere letto il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, La luna di carta (Sellerio, 266 pagine, 11 euro, da oggi in libreria), con al centro ancora una volta le avventure del commissario Salvo Montalbano, viene alla mente un passaggio, fondamentale, della Voce del violino: quello che fa riferimento alla vicenda di Edipo, protagonista, suo malgrado, di “una bella storia gialla”.
Dalla tragedia, infatti, lo scrittore di Porto Empedocle era riuscito a ricavare una sorta di paradigma indiziario esemplare, in forza del quale ogni investigazione, in fin dei conti, può rivelarsi alla stregua di uno sprofondamento nei meandri più impenetrabili della coscienza. Per averne una prova, basta rileggere La pazienza del ragno (2004), dove ad avere la meglio, alla fine di una storia di torbidi interessi, era proprio la catarsi, tipica del teatro greco.
Col nuovo romanzo, Camilleri si spinge ancora più in avanti, costringendo il suo antieroe a misurarsi pericolosamente con l’horror vacui. Un antieroe, va detto, sempre più consapevole del fatto che la vecchiaia avanzi minacciosa e subdola, e quasi rassegnato a cedere le armi. Montalbano, da qualche tempo, è diventato più fragile, il suo fianco ora è definitivamente esposto alle incursioni della paura e dell’angoscia, la sua memoria si inceppa e fa i capricci.
Ma c’è soprattutto un pensiero ricorrente, che si affaccia al risveglio, e che terrorizza il commissario e sadicamente lo tortura: “Quanno viene il jorno della tò morti…”. La signora nera e ossuta, armata di falce, e incappucciata fa visita al commissario di Vigàta, alle prime luci dell’alba, per far tintinnare il suo inquietante “memento”. Montalbano cerca di correre ai ripari, sistemando sul comodino una sveglia, il cui scatto della molla gli consente di non lasciarsi sorprendere.
A farsi cogliere alla sprovvista dalla morte è invece Angelo Pardo, un informatore medico-scientifico, il cui cadavere viene rinvenuto orrendamente mutilato e oscenamente atteggiato. Una fine oltraggiosa, la sua, con un carico di mistero a tutta prima impenetrabile. A complicare la faccenda, ci pensano due donne: Michela, la sorella del morto, apprensiva e asfissiante sino all’inverosimile, dal fascino sinistro e inquietante, e Elena, l’amante, sinuosa come una “gattoparda”, bella e intelligente, sempre in agguato sulla sua preda. Tra l’incudine della prima, pronta a fare carte false pur di non infangare la memoria del fratello, e il martello della seconda, sensuale a tal punto da far sudare pure una statua, il commissario Montalbano non ha vita facile.
Per non parlare poi di alcuni cadaveri eccellenti, quelli di un ministro e di un avvocato molto in vista, appartenenti all’area politica della maggioranza, rispettivamente stroncati da due infarti, per la cronaca, e invece uccisi da due partite di cocaina tagliata male. Ci sono, come al solito, due vicende parallele, che scorrono all’interno del romanzo, e che sono destinate a incrociarsi. Nel frattempo, Montalbano si trova costretto a fare i conti con strani codici, nascosti nel computer di Angelo Pardo, e con lettere minatorie probabilmente apocrife; con le reticenze di Michela, introversa e timida apparentemente, ma capace di sfuriate, cui dà la stura quasi sotto possessione, e le vicissitudini di Elena, provata dalla droga e dalla vita.
Questa volta il caso è davvero complesso, l’indagine maledettamente complicata, un vero e proprio “gnommaro”, per dirla con Gadda. E non è facile, in una situazione del genere, distinguere la verità dalla menzogna, leggere tra le righe delle diaboliche apparenze. Da qui, il titolo del romanzo:
Quann’era picciliddro – ricorda Montalbano – una volta so patre, per babbiarlo, gli aviva contato che la luna ‘n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva cridutu. E ora, maturo, sperto, omo di ciriveddro e d’intuito, aviva nuovamente criduto come un picciliddro a dù femmine, una morta e l’altra viva, che gli avivano contato che la luna era fatta di carta.
Ma quando Montalbano capisce che non è cartacea la luna, quando si trova faccia a faccia con la verità, lo spettacolo che gli staglia di fronte è quasi insostenibile. Inaccettabile. Il lago viola e profondo degli occhi di Michela, nel quale tutti i maschi vorrebbero tuffarsi, si trasforma in un’immonda palude, nelle sabbie mobili di una vita famigliare torbida, in cui l’amore può trasformarsi, empiamente, in incesto (e qui torna Edipo). In cui l’innocenza più sfacciata può celare, sinistramente, minacciose zone d’ombra.
Montalbano, consapevole dei guasti che la vecchiaia si diverte a disseminare sul suo corpo e sul suo animo, si specchia nelle acque limacciose di questo sudicio stagno, e l’immagine riflessa quasi lo atterrisce. C’è, sempre, nelle pagine di Camilleri, una compassione simenoniana, una sorta di stizzita pietà per le vittime, spesso indifese anche se apparentemente armate sino ai denti. Ma insieme, c’è anche lo sgomento, per aver intrapreso un viaggio dritto all’inferno, in quella terra desolata da cui ben pochi riescono a fare ritorno.
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