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RASSEGNA STAMPA

MARZO 2005

 
La Repubblica (ed. di Palermo), 1.3.2005
L'iniziativa. Appello bipartisan all'Ars
"Nello Statuto la parità uomo-donna"

Riprende stamattina, tra appelli e polemiche, il dibattito all'Ars sulla riforma dello Statuto siciliano. Ieri in 95 tra intellettuali, politici ed esponenti della società civile hanno firmato una appello chiedendo che sia inserito nel testo il principio della democrazia paritaria tra uomini e donne. Nomi di primo piano della politica [...] ma anche della cultura come Andrea Camilleri e Vincenzo Consolo.
[...]
L'appello per la democrazia paritaria chiede a "tutti i parlamentari regionali di operare una scelta di modernità, di innovazione e di democrazia inclusiva", inserendo nello Statuto un "principio fondativo" che garantisca "pari opportunità a donne e uomini nelle cariche elettive, nel governo e in tutti i luoghi di decisione. Il concorso paritario dei due punti di vista, maschile-femminile, nelle istituzioni è oggi condizione indispensabile per il rinnovamento della politica nei suoi contenuti". Temi che si caricano del peso di nomi di primo piano: dalle scrittrici Luisa Adorno, Silvana Grasso e Silvana La Spina [...] agli attori Ficarra e Picone [...] al fotografo Enzo Sellerio [...] agli scrittori Santo Piazzese, Fulvio Abbate, Roberto Alajmo, Giosuè Calaciura, Gioacchino Lanza Tomasi, Michele Perriera, Evelina Santangelo [...] al musicista Marco Betta [...].
g.s.
 
 

Il Messaggero, 1.3.2005
Scatta il “totonomine”: ci sono anche Camilleri e Strada

Con la morte di Mario Luzi, è scattato il “totonomine” per la prossima scelta che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi potrà compiere per nominare un nuovo senatore a vita. Sono almeno una dozzina i nomi “illustri” che hanno spesso campeggiato nei titoli e nei retroscena di quotidiani e settimanali. Si va, infatti, da leader storici di partito a giudici costituzionali, da uomini di letteratura a scienziati, da artisti a presentatori televisivi. Ma non mancano gli “outsider”, i candidati in qualche modo “alternativi” rispetto a scelte più tradizionali. Al mondo della scienza, appartengono le “candidature” di Carlo Rubbia e di Antonino Zichichi. Per restare nel campo della letteratura, sono affiorati a più riprese i nomi di Oriana Fallaci e di Andrea Camilleri. Anche la tv entra nelle voci del totonomine: con Mike Bongiorno, che fu “sponsorizzato” anche dal premier Silvio Berlusconi e il patron di “Miss Italia” Enzo Mirigliani. In testa alla classifica dei “papabili” campeggia un leader storico della sinistra italiana: Vittorio Foa. Ma si parla anche del rabbino capo emerito Elio Toaff e di Giuliano Vassalli. Fra gli esponenti politici figurano Marco Pannella ed Emma Bonino. Infine, altri due “candidati” illustri: il Nobel per la letteratura Dario Fo e il medico fondatore di “Emergency” Gino Strada. Per entrambi sono stati in passato scritti appelli e lettere aperte per sollecitare una scelta in tal senso dal Quirinale.
 
 

Corriere della sera, 1.3.2005 
I Bocciati
"La Tamaro, che delusione. E Camilleri non è granché"

Tempo di bilanci per Cesare Segre.
E, visto che per lui ogni bilancio letterario, ma anche politico-morale, del Novecento sembra oggi vietare la neutralità, Segre sceglie di fare (forse per la prima volta) anche qualche nome: "Non tanto per criticarli quanto piuttosto per esortarli". "A fare che?" "Ad allargare i propri orizzonti, a non rimanere incollati sempre agli stessi temi". A misurarsi, insomma, con l'etica.
[...]
Così come l'utilizzo di una "miscela" di lingua e dialetto non salva Camilleri: "Siamo lontanissimi da Gadda. Camilleri mette solo qua e là qualche parola in siciliano ma il risultato finale non è granché.
Mentre, al contrario, Consolo è riuscito a scrivere cose bellissime utilizzando quella stessa contaminazione".
[...]
Stefano Bucci
 
 

2.3.2005
E' stata rinviata a data da destinarsi la cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa in Comunicazione ad Andrea Camilleri da parte dell'Università Statale di Pisa.
 
 

Magazine (supplemento del Corriere della sera), 3.3.2005
Ma sulla mafia i siciliani illustri difendono Sciascia
Il filosofo Sgalambro ha acceso la polemica sul Corriere della Sera dicendo che lo scrittore non serve più e che quella della criminalità organizzata è l'unica economia reale dell'isola. Abbiamo chiesto ai suoi conterranei se sono d'accordo. Risposta: per niente. Con un'eccezione.

«Ero solo come un ombrello su una macchina da cucire». È il primo verso di una canzone che il filosofo Manlio Sgalambro ha scritto con Franco Battiato. Ma è anche la sensazione che potrebbe provare Sgalambro dopo aver sentito che cosa pensano molti siciliani illustri a proposito della sua intervista al Corriere della Sera sull'inattualità della lezione di Leonardo Sciascia e sulla mafia come unica economia reale della Sicilia. A parte lo scrittore Michele Perriera («Sciascia ha fatto il suo tempo, i mali della Sicilia si possono risolvere solo se ci si proietta nei mali mondiali»), gli altri, interpellati da Magazine, accettano ben poco delle ricette antimafia suggerite dal filosofo di Lentini. C'è chi lo insulta e chi gli suggerisce di evitare certe uscite. C'è chi sostiene che sia «fuori dal tempo e dallo spazio» e chi avverte che sono proprio quelli come Sgalambro che fanno male alla Sicilia. Pietro Calabrese, direttore di Panorama, è tra i più duri: «Non credo che Sgalambro abbia bisogno di pubblicità. Quindi sarebbe meglio se evitasse di dire certe stupidate». Lo scrittore Andrea Camilleri non è da meno. Lui contesta soprattutto la definizione che Sgalambro ha dato della mafia come «concetto astratto». «Non sapevo che le astrazioni girassero col kalashnikov a tracolla», dice il creatore del leggendario commissario Montalbano. «I filosofi, o presunti tali, dovrebbero misurare di più le parole. Quanto a Sciascia, figuriamoci se penso che sia superato. Per me lui è come l'elettrauto: lo leggo ogni volta che ho le batterie scariche». Secondo Anna Finocchiaro, responsabile dell'area giustizia Ds, la lezione dello scrittore di Racalmuto è più che attuale. «Un mio amico manager», racconta, «mi ha detto che dopo tre mesi che lavorava in Sicilia ha sentito la necessità di rileggere Sciascia. Per non perdersi». Addirittura? «Sì. Per questo Sgalambro mi ha fatto imbestialire. Nelle sue parole c'è un alto tasso di provocazione e di hidalgismo tipicamente siciliano, ma è anche molto naif il fatto che lui inviti i siciliani a rimboccarsi le maniche e a fare le cose meglio dei mafiosi. Non lo sa, Sgalambro, che in Sicilia non c'è il libero mercato?».
Proprio su questo punto insiste anche Gaetano Savatteri, giornalista del Tg5 e autore del libro "I Siciliani": "Sgalambro sarà un grande filosofo", dice, "ma sembra non rendersi conto che da noi molti imprenditori non riescono a lavorare solo perché c'è la mafia. Libero Grassi è stato un eretico perché pretendeva che si rispettassero le regole del capitalismo. E' morto solo, ammazzato, perché non voleva pagare il pizzo. Anche per questo Sciascia è attuale: la sua lettura della Sicilia omertosa vale ancora, malgrado non ci sia più il Don Mariano del "Giorno della civetta". Detto ciò... se a Sgalambro l'economia del pizzo sta bene, allora porti agli estremi la sua provocazione: legalizziamo e tassiamo l'intermediazione mafiosa! Regolamentiamo il lavoro degli assassini! Le uniche azioni a salire però saranno quelle delle pompe funebri".
Vittorio Zincone
 
 

Corriere Canadese, 3.3.2005
Comunità
Conferenza di Jana Vizmuller Zocco

Una conferenza su Andrea Camilleri: la cucina siciliana del Comm. Montalbano sarà presentata dalla Sicilian Cultural Society of Canada l'11 marzo alle 19:30 presso la Columbus Room del Columbus Centre.
Alla conferenza parteciperà la professoressa della York University Jana Vizmuller-Zocco.
Durante la serata sarà possibile assaggiare piatti tradizionali della cucina siciliana molto amati dal comm. Montalbano.
La Sicilia, le passioni, l'ironia, la cucina sono elementi presenti nel mondo di Montalbano e del suo autore, Andrea Camilleri che verranno analizzati durante la conferenza.
Per informazioni e per confermare la propria partecipazione telefonare alla segretaria Betty al 905-653-9295 o al presidente Roberto Bandiera 416-398-2180.
 
 

La Stampa, 4.3.2005
Al via su Rai Sat Extra il magazine "Buono a sapersi", satira su libri, eventi, autori
Gnocchi: la cultrua? Che ridere
"Il sorriso ti mette davanti al vero significato"

[...]
C'è anche lo spazio per gli scoop editorial-demenziali della serie"Chi scrive i libri di Enzo Biagi" oppure "E' vero che l'ultimo libro di Baricco viene venduto all'Ikea come tramezzo?". E non mancano ardite novità letterarie ("i cinque libri di Camilleri della settimana").
[...]
Raffaella Silipo
 
 

No Reply, 8.3.2005
Esce il 15 marzo per Ed. No Reply - Collana Velvet
Giallo Wave
Il principio del giallo: manuale pratico-teorico di narrativa
a cura di Federico Batini e Simone Giusti
Dal World Stage del Festival Arezzo Wave 2004 ad un manuale pratico-teorico di narrativa con i contributi di mostri sacri del giallo come Joe R. Lansdale e Nicoletta Vallorani e di musicisti come Boosta, Paola Turci, Piero Pelù.

Secondo libro del 2005 per l’attivissima casa editrice No Reply, che dopo il successo del libro di Aldo Nove ispirato a Fabrizio De Andrè passa ad un genere di narrativa diverso, ma sempre affascinante, il Giallo.
“Giallo Wave” (Velvet – No Reply) esce il prossimo 15 marzo e nasce da un concorso letterario e da un’originale scuola di scrittura creativa lanciati nell’ambito del World Stage del Festival Arezzo Wave in cui oltre settecento partecipanti/aspiranti scrittori “rispondevano” a quattro "incipit gialli" proposti da rispettivi quattro maestri del calibro di Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Marco Vichi e Diego Cajelli.
Il libro raccoglie quindi i racconti dei dodici vincitori, un’introduzione/racconto di Marco Vichi, un pugno di eccellenti consigli di mostri sacri come Joe R. Lansdale e autori di grande successo come Nicoletta Vallorani e si conclude con un manuale di scrittura creativa a cura di Federico Batini e Simone Giusti, significativamente intitolato "Il principio del giallo", dove vengono svelati i segreti della tecnica del narrare - temi, note stilistiche, dimensioni del racconto - suggerendo inoltre una serie di utili esercizi per dare corpo alla propria creatività: per chiunque voglia sapere come si scrive (e, perché no, come si legge!) un libro giallo.
All'iniziativa, hanno eccezionalmente partecipato "fuori concorso" anche diversi musicisti di fama internazionale: Boosta dei Subsonica, Cesare Basile, Piero Pelù, Paola Turci, Alex Cremonesi dei La Crus, Omar Pedrini dei Timoria, Giulio Casale, Luca Morino dei Mau Mau, Riccardo Sinigallia e Massimo Zamboni: basandosi sugli stessi incipit dei concorrenti, gli artisti ospiti hanno fuso ritmo narrativo e cadenze musicali per creare una serie di racconti brevi e sorprendenti.
 
 

I viaggi di Repubblica, 10.3.2005
Check-in. La valigia
Sergio Rubini
Fino a Capo Nord con lo zaino in spalla

[...]
Per questo ha lasciato la sua casa giovanissimo?
Volevo recitare e a 17 anni ho capito che lì non avrei mai potuto riuscirci. Ad aprirmi gli occhi è poi stato Andrea Camilleri all'Accademia d'arte drammatica. Un giorno, facendo lezione, disse che al suo paese sarebbe tornato quando avesse dimenticato quante colonne aveva il palazzo comunale. Soltanto allora mi sono reso conto che stavo fuggendo.
[...]
Diego Giuliani
 
 

Il Giorno, 11.3.2005
L’intervista -  Andrea Camilleri:”La legge? Una forma di controllo”
“Di tabacco si muore, lo so. Però ora fatemi accendere”

«Mi levarono u piaceri de futteri, erano arrivati a dire i bifolchi del Regno delle Due Sicilie quando misero la leva obbligatoria, che lo Stato gli levava i figli proprio quando erano diventati due belle braccia per lavorare. Ecco, co 'sta storia del fumo non solo ci stanno togliendo i piaceri, ma sono arrivati fin sotto le nostre lenzuola. Le sentenze non mi piace commentarle, però questa mi sembra il contorno normale a quell' allineamento filoamericano che abbiamo scelto. Siamo gli unici che hanno un divieto stretto come loro e siamo gli unici a essere andati in Iraq».
Lui, come dice il tormentone di Fiorello, davvero con le Camel ci sta fin da piccolo e solo adesso che ha superato gli ottanta è sceso da quota sessanta sigarette al dì a quota trenta, «un vero sfascio». Andrea Camilleri non è disposto a fare crociate pro-fumo, perché è contro ogni crociata, compresa quella anti, ovviamente, però appartiene all'invisibile setta i cui membri, ogni volta che si accendono una 'bionda', sono convinti di accendere la fiaccola della libertà.
Fuma da quando aveva i pantaloni corti.
«Da quando erano tempi più liberi e nessuno ci aveva detto che era un vizio. Però - aggiunge con la voce di un gufo con l'enfisema - mica ci voleva tanto anche allora a capire che, proprio bene, non faceva. Ecco, con tutto il rispetto per quel poveretto che è morto, quello s'è ammazzato volontariamente, nessuno l'aveva obbligato a fumare. Sarebbe un po' come se uno va sulla Torre di Pisa e si prende una storta a un piede e poi pretende di fare causa al comune. E che, non lo sapeva che la Torre di Pisa pende da una parte?».
La sera prima, Camilleri si era goduto in tivù un bel filmone di Howard Hawks, La furia umana, «e tutti fumavano come matti», roba che riproponeva anche una certa cultura. Però, un po' si può dire, s'ammazzavano anche come matti.
«Ma questi sono comportamenti umani - ribatte -, come tanti altri che hanno lati negativi. E' che non tollero un patronato del Potere nei miei riguardi. Non capisco perché debbano rompere le scatole più di quello che già facevano. Pensino al loro bene, che noi pensiamo al nostro!».
Però, Camilleri, non si può obbligare gli altri a respirare il nostro fumo...
«Certo che no! Io mi sono sempre limitato, davanti a chi gli dà fastidio, davanti ai nipotini che sono piccoli, a mia moglie quando sta poco bene. Allora c'ho la stanza dell'oppio, me ne vado nel mio studio e non rompo le scatole agli altri. Quello che non va è che te lo impongono per legge, con la scusa del fumo passivo. Ho letto da qualche parte che vogliono vietare il pop com ai cinema, per il rumore che fa il cellophane. Alla fine ci resterà solo la cocaina, non esiste, credo, la cocaina passiva...».
Però, Camilleri, mettersi al pari con chi è più avanti...
«No guardi:
VaI più un rutto del tuo pievano/ che l'America e la sua boria!
Dietro all'ultimo italiano c'è cento secoli di storia!
Parole di Curzio Malaparte. Io, di fronte a certe cose divento reazionario. Quello non è mettersi al pari, quello è allineamento culturale. Il divieto di fumare è come il canone letterario, allinearsi, disporsi in ranghi, allineati e coperti. Non ci sto. E' che ormai tentano di etichettare un sacco di comportamenti umani come malattie, sindromi di qualcosa e, se non ci riescono, tirano fuori la storia dei costi sociali. Alla fine anche essere uomini diventa per loro la sindrome di qualcosa che va corretta. E' un discorso che porta lontano, ma limitare la gamma dei comportamenti umani gli consente di controllarci meglio. Lo temevamo che volevano arrivare anche nella nostra sfera personale. Ecco, ci sono arrivati».
Nel telefono si sente la prima boccata di una nuova sigaretta che interrompe per un attimo la corrente delle parole che subito riparte: «Poi, guardi, è tutta solo un'operazione di facciata e basta. Quanti sono i morti ogni anno per i gas delle auto? Perché sulle macchine non ci scrivono “Proteggi i bambini: non fare loro respirare il tuo fumo, proprio i bambini che sui passeggini viaggiano ad altezza di tubo di scarico”. E' ipocrisia e una nuova forma di razzismo. E, poi, da giallista, è anche un bel business per le assicurazioni».
No, scusi: cioè?
«E certo! Quello muore anzi tempo e l'assicurazione dice 'Non pago, perche ho scoperto che fumava'. Chiaro, no?
Comunque loro con questa storia distraggono dai problemi veri. Questo è il Paese dove
c'è gente che ha mandato operai a morire ed è stata assolta. Questo è il Paese dove Cristo si è fermato a Eboli per non prendere la Salerno-Reggio Calabria».
Mario Spezi
 
 

l’Unità, 11.3.2005
Una notte degli imbrogli e un finto martire: Camilleri indaga

Camilleri non mistifica ma demistifica, non monta ma smonta, non costruisce ma decostruisce. Decostruisce da romanziere attento alla storia, non da studioso accademico. Camilleri si ispira alla storia, per raccontare delle storie, con il suo stile ironico-critico. Da romanziere ha diritto a reinventare una vicenda, ma questo non gli impedisce di coglierne l´essenza.
Se non si inquadra nell´ottica giusta, non si comprende il papà del commissario Montalbano, soprattutto quando è autore di romanzi storici, quali l´ultimo: “Privo di titolo”, edito da Sellerio (pagine 320, euro 11,00), nelle librerie il 17 marzo. Un libro ambientato nel periodo del fascismo, che già fa discutere. Ed è la storia di «un eroe immaginario in un paese immaginario». Un romanzo ispirato alla vicenda di Luigi Gattuso, detto Gigino, «unico martire fascista» che Camilleri ha scoperto esser «stato ammazzato dai suoi per errore». Se dapprima viene incolpato un giovane muratore socialista, in seguito il suo avvocato riuscirà a dimostrare che non fu lui a sparare il colpo mortale.
Un caso controverso dunque ispira la trama di questo nuovo libro di Camilleri, che crea polemiche, e sul quale vi sono versioni differenti da quella dello scrittore di Porto Empedocle. Che però, non ha scritto un saggio storico, ma un romanzo. Un romanzo nel quale questa vicenda si interseca con il racconto di Mussolinia, la città che doveva essere eretta in onore di Mussolini vicino a Caltagirone (la patria di Don Luigi Sturzo), ma della quale fu posta solo la prima pietra. Mussolinia non fu mai costruita, tranne che artificiosamente nel fotomontaggio mostrato al Duce. Camilleri racconta il tutto con un linguaggio ironico e graffiante, con il suo stile sui generis ed inconfondibile.
Ma qual è complessivamente l´operazione culturale dello scrittore di Porto Empedocle? Lo spiega con chiarezza uno dei più acuti critici della storia della letteratura italiana, Silvano Nigro, docente alla Normale di Pisa. Nigro scrive in uno sciasciano risvolto di copertina che: «Camilleri indaga sulla mistificazione: e smonta, dal didentro, un "monumento" di mendacità, di santificazione e manganellante propaganda, costruito e recitato in drappi neri attorno alla memoria del presunto "unico martire fascista siciliano". La narrazione trascorre dai registri della malizia burlesca a quelli della moralità tragica(...)». È un Camilleri , quello dei romanzi storici, che va compreso nell´ottica della critica demistificatrice. Nel gioco sottile e raffinato tra finzione e verità, che manzonianamente racconta e smaschera. Con l´occhio attento del romanziere che sa guardare le cose, mosso da uno spirito critico e non dogmatico. Come ben interpreta e chiarisce Nigro: «Con un sentimento di magnanima pietà, al di sopra delle parti, rivolto alle due vittime diversamente innocenti della messinscena di verità. Innocente e tormentato è il comunista che dell´omicidio si autoaccusa, ed è accusato. Incolpevole è il defunto fascista, che ovviamente è estraneo alla postuma cospirazione politica; ed è defraudato, nella sua deserta solitudine, della dignità di "semplice morto privo di titolo", ammazzato (per sbaglio) da un altro fascista». Questa è la cornice storico-filosofica, cultural-letteraria per comprendere il nuovo libro di Camilleri. Nigro argomenta: «Tutto comincia nel 1921, con una notte degli imbrogli che Camilleri ripassa alla moviola, cinematograficamente, per rallentarla e di volta in volta rileggerla nel fermo immagine. Tutto si scheggia nel tempo spezzato delle testimonianze vere e false, e si ricompone nell´impostura cui danno mano frottolai, intimiditi ipocriti, "òmini d´ordine" e "òmini d´onore". La "santità" della vittima cresce con la politica del manganello e dell´olio di ricino; e con il montare dell´orda fascista che, come sempre accade nelle dittature, vorrebbe una magistratura allineata».
La questione giustizia, da Montalbano ai romanzi storici, è una riflessione costante nell´opera camilleriana. Nigro continua: «E intanto siamo già al 1930. E alla bricconata della controbeffa, che ridicolizza e lascia nudo nelle sue velleità di duce, operaio dell´inaugurazione e della prima pietra, il baccalare sommo della suprema beffa storica». Si perché: «I gerarchi di Caltagirone offrono e intestano a Mussolini una stupefacente città turrita, che esiste solo nella realtà illusoria di un fotomontaggio. E al fotomontaggio, la controbeffa aggiunge il mare trasportato di peso nell´entroterra: con ornamento di barche e reti messe ad asciugare. Se il monumento mendace è cresciuto su se stesso e si è gonfiato sulle nuvole, fino a diventare strutturata urbanistica di torri aeree, basta lo specillo di un narratore perché la bolla virtuale esploda». E la scrittura sciascianamente illumina e disincanta, critica e decostruisce, svela e palesa. Non a caso Nigro chiosa: «E dello spacconeggiar della storia faccia letteratura». Quella letteratura che nel suo svelare, senza pretese dogmatiche, aiuta a riflettere sulla storia, ed anche sulla realtà contemporanea.
Salvo Fallica
 
 

11.3.2005
Camilleri, Montalbano, la cucina siciliana dalla Sicilian Cultural Society of Canada

Piu` di ottanta persone si sono trovate al Columbus Centre di Toronto l’11 marzo 2005 per dare omaggio al grande scrittore di Porto Empedocle, Andrea Camilleri e alla sua esubertante creativita` letteraria simboleggiata dal commissario di polizia Salvo Montalbano. Nel discorso introduttivo, il presidente della SCS Roberto Bandiera ha descritto le attivita` culturali della societa` che sono varie e ben accolte dal folto pubblico. Betty Lepore, la organizzatrice della serata, ha inquadrato l’importanza del cibo nei romanzi dello scrittore empedoclino, presentando i libri da cui sono stati letti dei brani scelti che descrivono la golosita` del commissario ma anche la sua conoscenza del buon cibo e le sue idiosincrasie alimentari. A leggere i brani scelti sono stati Gianna Quaglieri, una studentessa della York University, Ugo Lepore, Enzo di Mauro, il prof. Salvatore Bancheri dell’Universita` di Toronto, Orazio Zocco, e lo stesso Roberto Bandiera. Dopo questo simpatico assaggio della lingua di Andrea Camilleri, la professoressa Jana Vizmuller-Zocco della York University, con l’aiuto tecnologico di Ugo Lepore, ha offerto una breve biografia dello scrittore, soffermandosi sul fatto che egli e` un uomo di teatro e come tale sa fare il “tragediatore”. Le sue opere includono non solo i romanzi gialli, ma anche altri lavori, sopratutto i libri di grande respiro storico. I gialli con il protagonista Salvo Montalbano sono quelli che continuano a riscuote il successo del pubblico, anche se non mancano polemiche che vedono lo scrittore come colui che vende troppo e dunque non puo` pubblicare lavori validi. Sono state poi suggerite varie risposte alla domanda “Perche’ Camilleri indugia con le descrizioni del modo di mangiare e le ricette nei romanzi gialli che per definizione devono presentare azioni veloci che portano a una soluzione del caso?”. Prima di tutto, Camilleri dice che fa mangiare al personaggio quello che non puo` piu` mangiare lui stesso, e allora c’e` una specie di compensazione letteraria. Inoltre, Montalbano mangia da solo (echi di Kafka) e solo cosi` riesce a distaccarsi dalla realta` criminale fatta di violenze e soprusi di ogni tipo. Per di piu`, Montalbano, da “sbirro” nato, anche mangiando fa l’indagine: e si chiede per esempio, se ci si sente o no sapore di prezzemolo? Il commissario perde la mamma da piccolo, e mangiando bene vuole riempire questa lacuna, fatta piu` grande dal fatto che la sua fidanzata Livia non solo non sa cucinare, ma non abita vicino. L’insistenza sulle ricette siciliane tradizionali e` una risposta camilleriana alla massiccia influenza anglo-americana che penetra nella cultura e nella lingua italiana.
Le indigestioni fanno pure parte della tensione esistenziale del commissario.
Ringraziando pubblicamente Filippo Lupo, presidente del Camilleri Fans Club, e citando Gian Paolo Biasin, Jana Vizmuller-Zocco ha chiuso il discorso dicendo che la letteratura rende il legame tra il cibo e la vita piu` forte, e il suo essere “invenzione” porta a un nutrimento spirituale.
Il pubblico e` stato invitato poi a degustare pietanze (cucinate seguendo le ricette di Camilleri) preparate dalle signore Lepore, Passalacqua, di Mauro, Vivona, Camarda. Gli antipasti, serviti sulla tavola di zona “Vigata”, includevano la caponata, le alici; i due primi piatti (serviti nella zona “Montelusa”), la pasta ‘ncasciata e la pasta alla Norma, hanno fatto leccare le dita dei presenti, cosi` come i secondi piatti, tra cui gli involtini di carne. Tra i dolci (zona “Tindari”) non potevano mancare i cannoli, la cassata siciliana e il cuscus alla dolce.
Il tutto preparato “come Dio comanda” e apprezzato da tutti i presenti. Ecco un altro esempio di un’attivita` culturale che la Sicilian Cultural Society sa presentare cosi` bene.
Jana
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.3.2005
Con "Senza titolo" [Sic!, NdCFC] (Sellerio) Camilleri torna al racconto storico
Un romanzo alla moviola il nuovo Camilleri

Realtà e finzione letteraria si inseguono spesso nelle pagine di Andrea Camilleri. Si confondono, si alternano. Per poi alla fine amalgamarsi in un impasto tragicomico, farsesco. I suoi romanzi storici, ambientati in un brumoso Ottocento quanto mai contiguo alla nostra realtà politica, sono lì a testimoniarlo, dalla "Bolla di componenda" alla "Concessione del telefono". E in questo filone si inserisce anche l´ultimo libro dell´autore empedoclino, Privo di titolo (Sellerio, 296 pagine, 11 euro, da giovedì in libreria), ambientato questa volta nel secolo scorso. Sono gli anni in cui va forte l´olio di ricino. Gli anni in cui una manganellata non la si nega a nessuno, specie se "rosso".
A dare la stura alla fantasia di Camilleri due fatti di cronaca, che in questi giorni sono rimbalzati da un giornale all´altro, ancor prima che il romanzo venisse fuori.
Da un lato, la morte di Luigi Gattuso, detto Gigino, attivista fascista di Caltanissetta ucciso a 18 anni il 24 aprile 1921, e la conseguente condanna del presunto assassino, il comunista nisseno Michele Ferrara; dall´altro, la colossale beffa di Mussolinia, la città fantasma dedicata al duce e mai eretta. Ci sono insomma tutti gli ingredienti per trasformare il romanzo di Camilleri in un caso politico e ideologico. Ma atteniamoci al racconto del padre del commissario Montalbano.
Un racconto impeccabile nel montaggio: ad apertura, una sorta di premessa, che prende le mosse dai ricordi dell´autore, e precisamente dalla «grande adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta» il 21 aprile del 1941. Adunata alla quale partecipa il giovane Camilleri. Poi si passa alla presentazione dei personaggi della vicenda narrata, da Calogero Grattuso (nella realtà Gigino Gattuso) a Michele Lopardo (al secolo Michele Ferrara) a Antonio Impallomèni (Santi Cammarata). Dalla galleria dei ritratti si passa al «fermo immagine», ossia alla moviola di montaggio, che «serve a bloccare un fotogramma» e a «studiare ogni particolare che vi è impresso», come spiega lo stesso autore.
Si tratta di un vero e proprio pezzo di bravura, nel quale il Camilleri regista e uomo di teatro ricostruisce e smonta con abilità straordinaria il fattaccio, cioè la rissa che poi degenerò causando la morte di Grattuso. La dinamica della zuffa prende corpo lentamente, e pagina dopo pagina la scena viene occupata da tutti gli attori, che sono quattro: Grattuso, in compagnia dei camerati Impallomèni e Titazio Sandri, e Lopardo. Prima le pedate e le bastonate, poi gli spari. E ci scappa il morto, subito elevato agli onori dell´altare fascista. I suoi funerali sembrano quasi la festa del patrono, e l´odio in camicia nera monta sino al parossismo: «Non ci potrà mai essere concordia fino a quando gli assassini comunisti saranno liberi di esistere e d´ammazzare», proferisce il barone Talè di Santo Stefano davanti al "tabbuto", che «pare galleggiare supra un mare di bandiere, gagliardetti, cappelli e vastoni gettati ´n terra o persi nel fui fui generale».
Il compagno Michele Lopardo, sbattuto subito in cella, non si capacita: non era sua intenzione ammazzare Gattuso, i due colpi da lui esplosi dovevano solo allontanare gli aggressori. I quali dal canto loro forniscono una diversa versione dei fatti: gli sporchi comunisti avevano dato l´abbrivio alla rissa, e le cose erano degenerate. Il tenente dei carabinieri Pellegrini, che assomiglia alla lontana al commissario Montalbano, vuole fare chiarezza, in mezzo alla giungla della burocrazia isolana e alle violente ebollizioni di un movimento antibolscevico che sta per essere trasformato in partito. A questo punto Camilleri inframmezza il racconto con referti, rapporti, lettere, fonogrammi, verbali, trascrizioni di interrogatori, necrologi, articoli della stampa di allora: il ritmo leggiadro della scansione narrativa fa venire in mente quello impeccabile della "Concessione del telefono".
Le dichiarazioni dei vari testimoni non coincidono, e nella falla della ricostruzione ufficiale Camilleri inietta il veleno della sua penna, rileggendo tutta la storia da un´altra specola. Ed ecco il risultato: la vicenda si ribalta, e la storia dell´unico mito del fascismo rivoluzionario nisseno e della Sicilia intera si trasforma in una spregevole impostura, in una «solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente». 
Molto simile a un´altra clamorosa falsificazione che in quel giro di anni si consuma in Sicilia, e nella fattispecie nel bosco di Santo Pietro a pochi chilometri da Caltagirone: l´ascesa di Mussolinia, la città forestale dedicata al duce che in teoria, una volta realizzata, avrebbe dovuto accogliere «duemilacinquecento famiglie di viddrani», e che in pratica non fu mai costruita, se non nella finzione di un fotomontaggio. «Gigino ? conclude Camilleri ? fu il protomartire di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accomodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere». E Mussolinia fu la prova di come quella "realtà stracangiata" fosse solo una beffa, una bolla pronta ad esplodere. Ma su tutto, domina nelle pagine di Camilleri un´amara parafrasi cristologica: quella che investe Michele Lopardo, martire vero nella pantomima del fanatismo.
Salvatore Ferlita
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 12.3.2005
Ugo Dighero fa il Pierino alla Verdi

Sarà l´attore Ugo Dighero a fare da voce recitante oggi pomeriggio nel concerto intitolato "Favole al tramonto", con l´orchestra Verdi diretta da Fabrizio Dorsi. Personaggio televisivo in ascesa - ha lavorato nella fiction di "Medico di famiglia" e in programmi di target giovanile ("Avanzi", "Mai dire gol" con la Gialappa´s Band), oltre che attore di prosa nei lavori di Stefano Benni, con qualche esperienza nel teatro musicale (come il recente Candide di Leonard Bernstein a Genova) - Dighero rimpiazza il comico Massimo Boldi, che ha dato improvvisamente forfait per non mancare alla cerimonia del Premio Saint Vincent di Aosta. Due le favole in programma, per il ciclo pomeridiano del "Crescendo in Musica".
In apertura c´è “Magarìa2 con le musiche del compositore siciliano Marco Betta e il testo dello scrittore Andrea Camilleri. La vicenda, tratta da un racconto del "padre" del commissario Mantalbano, è quella di una bambina di 6 anni (Lullina) capace di scomparire al suono di una frase magica. Una volta che la piccola svanisce (e il nonno, ignorando la parola-chiave, non riesce a farla ritornare) tutto sembra compromesso, ma alla fine dopo molte vicissitudini arriva fortunatamente il lieto fine. “Magarìa” (che in dialetto siciliano significa appunto magìa) fu eseguìta in occasione del Carnevale di Ravenna nel 2001 e ora viene riproposta con una nuova strumentazione.
In chiusura risuona invece il popolarissimo “Pierino e il lupo” di Prokof´ev: ormai un must nelle stagioni classiche per bambini, che nella parte del narratore sfoggia sempre più spesso attori, comici e personaggi di richiamo.
Auditorium, largo Mahler, ore 15.30, biglietti 6.50/13.50 euro, info e prenotazioni 02.83389201
Luigi Di Fronzo
 
 

ANSA, 12.3.2005
G8: Bolzaneto, PM depositano memoria di oltre 500 pagine

Genova - Trattamento inumano e degradante in violazione dell'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
Cosi' i pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno definito gli insulti, il sadismo, i calci, i pugni e le botte, che hanno rasentato la vera e propria tortura, subiti dagli arrestati che sono transitati nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del luglio 2001.
I pm hanno tuttavia contestato agli indagati, poliziotti, medici, guardie carcerarie, carabinieri, come scelta ''prudenziale'', la violazione dell'art. 3 della Convenzione dei diritti umani e non la tortura ''per la durata del trattamento rapportata al tempo di permanenza dei detenuti presso la struttura''.
Il ''j'accuse'' e' contenuto in una memoria di 534 pagine depositata e illustrata oggi al gup Maurizio De Matteis, nel corso dell'udienza preliminare per i fatti di Bolzaneto, per cui sono stati chiesti 47 rinvii a giudizio. Sono 15 dirigenti e agenti della polizia, 16 dirigenti e agenti della polizia penitenziaria, tra cui il generale Oronzo Doria, 11 carabinieri e 5 medici, di cui 3 donne.
I magistrati hanno ricordato ''il taglio di ciocche di capelli a Taline Ender, Massimiliano Spingi, e Sanchez Chicarro, lo strappo della mano a Giuseppe Azzolina, il capo fatto infilare nel wc alla turca a Ester Percivati, l'umiliazione di Marco Bistacchia costretto a mettersi carponi e ad abbaiare come un cane e il pestaggio di Mohamed Tabbach, persona con un arto artificiale''.
E' stato anche rievocato l'episodio umiliante imposto ad Hinrrichs Meyer Thorsten, costretto a indossare un cappellino rosso con la falce e un pene al posto del martello, con il quale e' stato costretto a girare nel piazzale senza poterlo togliere.
Per sottolineare lo stato dei detenuti nella caserma, la pubblica accusa ha citato anche un brano del libro ''Un anno di Costituzione italiana: art.13'' di Andrea Camilleri, il quale parlando delle torture in Iraq, sottolinea che ''l'occhio immediatamente ti cadeva non sull'ebete e sadica soddisfazione del torturatore, ma su chi veniva torturato riducendolo a cosa, a oggetto, ad armalo: manichino per addestramento.., ex omo ora cane al guinzaglio... non piu' omo ma solo un pezzo di carne trimante offerto alla vucca spalancata di un cane''.
[...]
 
 

La Stampa - ttL, 12.3.2005
A Cesenatico
Il giallo nella letteratura italiana del '900

L'annuale corso di aggiornamento rivolto agli insegnanti di lettere delle scuole superiori (e organizzato da Casa Moretti) ha per il 2005 come tema:"Il giallo nella letteratura italiana del '900". il seminario si terrà il 10 marzo a Cesenatico, nel Museo della Marineria. Relazioni di Enzo Cremante su Carlo Emilio Gadda, di Marco Sangiorgi su Giorgio Scerbanenco, di Arnaldo Bruni su Leonardo Sciascia, di Elvio Guagnini su Andrea Camilleri e di Andrea Battistini su Giuseppe Pontiggia. In serata incontro con gli scrittori Eraldo Baldini, Carlo Lucarelli e Loriano Macchiavelli. Per ulteriori informazioni: 0547/79279, www.casamoretti.it
 
 

Giornale di Sicilia, 13.3.2005
L'anteprima. Sarà in vendita da giovedì, ma ha già scatenato polemiche il suo nuovo libro ispirato al delitto di gigino Gattuso, militante fascista
Camilleri ritorna col "giallo" del martire
La vittima freddata a diciotto anni nella Caltanissetta degli anni Venti, durante una rissa col comunista Michele Ferrara condannato, ma poi prosciolto in appello

Palermo. Il nuovo libro di Camilleri ha provocato polemiche ancora prima di essere disposto sugli scaffali delle librerie. Ci arriverà giovedì (“Privo di titolo”, Sellerio, pp. 296, 11 euro) e potete scommettere che «il vivamaria» continuerà. L'ultima fatica dello scrittore di Porto Empedocle appartiene al filone storico e prende le mosse da un episodio della storia siciliana: l'uccisione a Caltanissetta del diciottenne Gigino Gattuso «unico mito del fascismo rivoluzionario dell'intera Sicilia», come ricorda un articolo apparso sul “il Secolo d'Italia” - il quotidiano di An - che ha contestato (col romanzo ancora in rotativa) la ricostruzione che ne fa Camilleri.
Gigino Gattuso venne ammazzato a colpi di pistola il 24 aprile del 1921 nel corso di una rissa. Gattuso era in compagnia di due amici, camerati come lui, quando incrociarono il muratore comunista Michele Ferrara. Dopo offese e ingiurie si passò alle vie di fatto. E alle pistolettate, una delle quali troncò l'esistenza di Gigino. Chi fu l'assassino? Ferrara ebbe in primo grado una condanna per omicidio volontario che in appello sfumò in un'assoluzione per legittima difesa con l'assistenza di un grande avvocato agrigentino, Calogero Cigna, assicuratagli dai compagni di partito. Su quel fatto le versioni furono e restano divergenti: per i fascisti Gattuso venne ammazzato da un comunista (ciò consentì di farne un martire a cui è dedicata, tutt'ora, una strada a Caltanissetta e anche un vicolo a Palermo nella zona di piazza Olivella), la sinistra invece sostenne che Gigino fu assassinato involontariamente da un suo amico camerata nella furia della rissa; del resto l'assoluzione dell'imputato «salvò capra e cavoli: rimise in libertà il presunto assassino ma non consentì le indagini sul vero assassino». Da qui quel manifesto anonimo (da cui prende titolo il romanzo) che poneva un interrogativo: «Un fascista ammazzato da un altro fascista può essere chiamato martire fascista? Oppure è un semplice morto ammazzato privo di titolo?».
Camilleri, con la sua cifra stilistica inconfondibile, su quel «fattaccio» costruisce il romanzo, attraversato da molti personaggi e documenti, che smonta pezzo dopo pezzo, come al ralenty, la versione ufficiale. Nelle pagine trova spazio anche un altro episodio di storia siciliana, una beffa: la fondazione di Mussolinia, una città dedicata al Duce nei pressi di Caltagirone, ma esistita solo in una specie di fotomontaggio.
La vicenda che ha per protagonista Gattuso serve al papà di Montalbano non tanto a smascherare un'impostura, quanto a raccontare l'ingranaggio della mistificazione che scatta (complici giornali, investigatori e giudici) solo per compiacere a regime che deve celebrare se stesso. Lo stesso Camilleri, alla fine del libro, dopo avere precisato che la sua opera non ha alcuna volontà denigratoria nei confronti di Gigino Gattuso, spiega il senso dei suo lavoro: «Gigino fu il protomartire di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza alcun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente. E il comunista Michele Ferrara (nel romanzo il personaggio ha il nome di Michele Lopardo ndr) che passò per assassino, patì incolpevole una via crucis, un vero martirio di arresti e confino, fame e umiliazione, per anni e anni».
Ma evidentemente Camilleri, che deve tutte le notizie sul «caso» a un libro del giornalista Walter Guttadauria «e non finirò mai di ringrazialo», ha toccato una ferita ancora insospettabilmente aperta se l'11 febbraio scorso “il Secolo d'Italia", quotidiano di Alleanza nazionale, a nove colonne titola «Un infortunio di Camilleri». Mentre “l'Unità” di due giorni fa parla di «Una notte di imbrogli e un finto martire». Il «vivamaria» è appena iniziato.
Giancarlo Macaluso
 

"Lillino e quella sicaretta eternamente in vucca"
Per gentile concessione della casa editrice Sellerio pubblichiamo in anteprima uno stralcio del romanzo di Andrea Camilleri che inquadra la figura di Gigino Grattuso (Gattuso nella realtà), martire fascista.

Lillino Grattuso era un dìciottino che faciva la terza liceo. Di bona famiglia e di bona ducazione, vistiva cchiù a modo che liganti, la sicaretta eternamente in vucca, la taliata mauziusa, un surriseddru di superiorità sulle labbra. Non si potiva propio diri un picciotto simpatico. A scola, i sò compagni lo scansavano e a malgrado che non studiava, i professori lo promuovevano l'istisso, soprattutto per rispetto alla famiglia.
Fascista, per una specie di continua mattana di giovinanza era sempre primo nelle manifestazioni della «Lega antibolscevica», fondata da un picciotto tanticchia cchiù granni di lui, il baronello Federico Talè di Santo Stefano, manifestazioni che finivano a pagnittuna, timpulate, vastoniate, coltellate e sputazzate negli scontri con gli odiati rossi. I quali rossi, nel sittembiro avanti avevano conquistato la maggioranza in municipio e avivano fatto eleggere come vicesinnaco il capo degli zolfatari, Agostino Cassar. La facenna aviva squasi fatto nesciri pazzi di raggia per la sconfitta Federico Talè di Santo Stefano e i sò leghisti, Addolorato Mancuso e i sò fascisti, Arcangelo Lopane e i sò nazionalisti.
Si erano messi tutti assieme per le elezioni, avivano girato casa casa per convinciri i borgisi del prìcolo che erano i rossi, avivano spinnuto soldi e sudore, ma non ce l'avivano fatta contro quella feccia dell'umanità che erano i surfatari, i ferrovieri, i muratori, i viddrani di campagna. La vrigogna della sconfitta viniva aggravata dal fatto che questa gentaglia, quanno per una manifestazione si trovava a passare, bandiere rosse in testa, davanti al civico 88 di via Roma, indovi avivano sede comune fascisti, leghisti e nazionalisti, immancabilmente isava il vrazzo destro col pugno chiuso, sovrapponendogli, all'altezza del bicipite, il palmo della mano mancina. Il tutto accompagnato da un subissante coro di frisca e pìrita.
Il che era puntualmente capitato macari sabato 23 d'aprili e il baronello Talè di Santo Stefano si era arraggiato tanto che gli era vinuto un attacco, era caduto narrè dritto come un vastoni di scopa, l'occhi sbarracati e arrivoltati, la vàvira bianchizza che gli nisciva dalla vucca.
Con una semprici taliata, Nino, Titazio e Lillino avivano addeciso di lavare l'offisa alla prima occasione. Quanno quella sira del 24 Lillino arrivò alla taverna, ci attrovò solo a Titazio. «E Nino?». «Sì vede che stasera la signora Adelina ha bisogno del contropelo» fece Titazio. Lillino si era appena assittato che propio in quel momento cinco pirsone si fermarono davanti alla porta. «Che facciamo? L'aspittamu fora o intanto trasemu?» spiò uno. «Trasemu» arrispunnì un altro. E accusati Lillino e Titazio vittiro in faccia i cinco che intanto pigliavano posto a un tavolo granni. Erano Savaturi Jacolino, Pepè Biancheri, Totò Cumella, Ciccio Spampinato, Cataldo Farruggia, tutti muratori, tutti cornuti socialisti. La squatra, al completo, del capomastro Michele Lopardo. «Che vi porto?» spiò ai muratori il patrone della Santa Petronilla. «Ora nenti» fece Totò Cumella. «Stiamo aspittanno a Michele» gli spiegò Ciccio Spampinato. «Amuninni» disse a voce vascia Lillino. Titazio lo taliò strammato. «E perché? Questi qua non pare abbiano l'intenzione di fare casino». «Amuninni» ripetè Lillino susennosi e avviannosi verso la porta. Titazio agguantò il vastone da pecoraro dal quale non si separava mai e lo seguì. Niscirono all'aperto, faciva gìà scuro, il lampione allato alla porta era stato addrumato. «Vuoi spiegarmi che ti ha preso?». «L'hai capito a chi stavano aspettando quelli là?». «Certo, aspettavano Michele Lopardo. E allora?». «Se ci sappiamo fare e arrinisciamo a intercettarlo da solo, mentre sta vinendo qua, i sò cumpagnuzzi l'aspitteranno per un pezzo» disse Lillino tirando fora dalla sacchetta il pugno di ferro che si portava sempre appresso. Nino Impallomeni in quel momento arrivò di corsa. 
 
 

La Stampa, 13.3.2005
Esce “Privo di titolo”, storia (ispirata alla realtà) di un delitto nella Sicilia del fascismo squadrista: sullo sfondo lo scontento politico dell’isola
Camilleri -  Il martire sbagliato

Nel più recente e aggiornato dei libri di storia dedicati alla violenza squadristica che segnò l'ascesa al potere di Mussolini (Mimmo Franzinelli, "Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-1922", Mondadori, Milano 2003) la presenza della Sicilia è decisamente marginale. L'epicentro dello scontro fu al Nord, in Emilia-Romagna, in tutti i luoghi in cui puntualmente, dopo il 25 aprile 1945, sarebbe scattata la vendetta di chi quella violenza aveva subito. Solo alle pagine 322 e 324 ci si imbatte in queste due scarne note di cronaca: «24 aprile 1922. A Caltanissetta i fascisti incendiano il circolo ferrovieri; negli scontri è colpito mortalmente da una rivoltellata lo studente diciottenne Luigi Gattuso»; «28 aprile 1922. Panico e morti ai funerali del fascista Gattuso. A Caltanissetta le esequie del giovane Gattuso sono turbate da una sparatoria: nella ressa che ne segue muoiono tre persone; devastate per ritorsione le sedi sovversive socialiste». Tutto qui. Per gli storici.
Poi è intervenuto Andrea Camilleri con il suo nuovo romanzo "Privo di titolo" (pp. 296, €11), in uscita da Sellerio il 17 marzo. E di colpo il giovane Gattuso, il suo presunto assassino (il muratore socialista Michele Ferrara), i fascisti siciliani, gli antifascisti, carabinieri, poliziotti, pretori, tutti i protagonisti di quella lontana vicenda, insomma, hanno preso ad animarsi, a uscire dalla dimensione puramente cartacea in cui era stata imprigionata la loro esistenza.
«Verso la metà d'aprile del 1941 il professore di cultura militare del ginnasio liceo "Empedocle" di Girgenti, avvocato Francesco Mormino, principiò a firriare classi classi per spiegare a noi alunni (io allora andavo in prima liceo) il comu e il pirchì della grande adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta il 21 di quello stesso mese. Il professore ci spiegò che ci saremmo dovuti recare a Caltanissetta per rendere omaggio all' unico martire fascista siciliano, Gigino Gattuso, del cui sacrificio  supremo ricorreva il ventennale». Il racconto di Camilleri comincia così, con un piccolo brano autobiografico. Subito dopo, però, i ricordi si allontanano dal registro della memoria e acquistano le cadenze narrative del romanzo; gli stessi personaggi storici cambiano nome (il giovane fascista si chiama Lillino Grattuso, «un diciottino che faciva la terza liceo. Di bona famiglia e di bona educazione, vistiva cchiù a modo che liganti, la sicaretta eternamente in vucca, la taliata maliziusa, un surriseddro di superiorità sulle labbra»; il presunto assassino Michele Lopardo, «vintinovino, maritato e patre di dù figli nichi, si è fatta la guerra e doppo, congedato e tornato in paìsi, ha ripigliato il travaglio sò di capomuratore, apprezzato e onesto»), i documenti che l'autore cita (rapporti di polizia, carteggi, sentenze, fonogrammi, articoli di giornali) smarriscono il loro statuto di fonti di archivio per diventare parte integrante della trama, segmenti strategici della narrazione.
Il passaggio dalla storia al romanzo è folgorante: i disordini al funerale di Gattuso - citati da Franzinelli - diventano una scena di massa, una bolgia nella cui descrizione, alla fine, sono gli spunti comici a prevalere: «I portatori in cammisa nìvura abbannunano la guardia al feretro e ammuttano, i portatori di labari e gagliardetti li gettano 'n terra e ammuttano, ammuttano le Autorità, ammuttano le Madri, ammuttano le guardie civiche in alta tenuta, ammuttano gli scolari, ammuttano i maestri, ammuttano gli studenti, ammuttano i professori, ammutta la banda comunale, ammuttano i combattenti, ammuttano i reduci, ammuttano i fascisti, ammuttano i nazionalisti, ammuttano i liberali, ammuttano i popolari, ammuttano i borgisi, ammuttano i civili, ammutta la gente vascia, ammuttano i carritteri, ammuttano i viddrani, ammuttano gli impiegati e ammutta chi t'ammutta un foresteri, tale Pomodoro Giovanni, viene impicciato contro un muro e scrafazzato come l'ortaggio omonimo».
Ma la storia non scompare. II romanzo attraversa senza reticenze tutti i «nodi» storiografici più significativi relativi alle origini del fascismo, soprattutto per quanto si riferisce alle sue specificità meridionali. Già nella contrapposizione tra il giovane studente e il muratore è fortissima l'accentuazione dell'impronta classista che il confronto tra fascismo e antifascismo assunse nel Sud. Così come nel tumulto di piazza seguito ai funerali e in altre pagine è possibile distinguere nitidamente le varie componenti politiche e istituzionali confluite nel «fascio», con particolare riferimento all'egemonia assunta dal movimento dai nazionalisti e dagli ex combattenti (all'inizio i fascisti veri e propri erano una sparuta minoranza).
Non solo; gli stessi propositi eversivi e rivoluzionari che animarono il fascismo agrario e lo squadrismo dei ras della pianura padana, in Sicilia si stemperarono subito in un esplicito richiamo alla legalità, alla pura e semplice restaurazione dell'ordine: fu una scelta che coinvolse l'intera classe dirigente dell'isola che abbandonò senza rimpianti uno Stato liberale giudicato ormai troppo imbelle per tutelare i propri interessi. E nel romanzo lo Stato liberale c'è, al solito rappresentato da Camilleri non nel suo profilo istituzionale ma direttamente negli uomini in carne e ossa che in nome di quelle istituzioni agivano; se ne respira così la crisi profonda, lo smarrimento di un senso del dovere che in Sicilia, per ovvie ragioni, era ancora più marcato che nel resto d'Italia, la connivenza esplicita con gli squadristi senza la quale mai il fascismo sarebbe riuscito a sfondare militarmente.
Certamente non tutti i magistrati erano pronti ad assolvere i fascisti assassini, non sempre le forze dell'ordine assistevano indifferenti o complici alle stragi e alle violenze, e ci furono servitori dello Stato che cercarono di fare fino in fondo il proprio dovere. Qualche anno fa, un libro di Luigi Monardo Faccini, "Un poliziotto per bene", aveva richiamato l'attenzione degli storici sulla figura affascinante dell'Ispettore Generale di polizia Vincenzo Trani, plenipotenziario in Lunigiana per l’allora presidente del Consiglio Bonomi, intervenuto nelle indagini sui «fatti di Sarzana» (gli scontri a fuoco in cui, il 21 luglio 1921, morirono 4 fascisti), che smontò interamente la versione degli incidenti data dagli squadristi e sostenuta da Mussolini. Nel romanzo di CamilIeri ci sono due carabinieri, il maresciallo Gaspare Tinebra e il tenente Giancarlo Pellegritti, che non si fidano dell'evidenza, intuiscono la rete di complicità che le Autorità stanno tessendo per nascondere la verità, si muovono animati solo dal senso del dovere e sostenuti dal loro fiuto di poliziotti, fino ad arrivare a una verità amara per i fascisti e fatta propria dai giudici che assolsero il muratore socialista: a sparare non era stato lui, ma un altro fascista che nella concitazione della colluttazione aveva colpito per sbaglio il suo camerata. E un martire fascista ammazzato da un altro fascista che martire è?
Sempre al confine tra realtà storica e invenzione letteraria vorrei richiamare l'attenzione su uno dei personaggi principali del romanzo, quello dell'amico fidato di Lillino Grattuso, pure lui coinvolto nella sparatoria, lo squadrista Tito Tazio Sandri, un «vintino che era arrivato in paìsi dalla natìa Cremona... scioperato per vocazione, manisco, sempre pronto all'azzuffatina, a Cremona... in seguito a una violenta sciarriata in una taverna, aviva spiduto allo spitale, cchiù morto che vivo, un sò compagnuzzo di vivuta». Pochi mesi dopo la morte di Lillino, nell'ottobre del 1922, non da Cremona ma da Pesaro, effettivamente arrivò a Caltanissetta Raffaello Riccardi; lo squadrista era ricercato dalla giustizia per l'assassinio del comunista Giuseppe Valenti. Nella città siciliana trovò le protezioni giuste e collaborò con il capomafia Calogero Vizzini «nell'inquadramento dei lavoratori delle zolfare nei sindacati fascisti» (Franzinelli). Fu l'inizio di una strepitosa scalata che lo vide deputato, consigliere nazionale, sottosegretario e infine ministro. Chissà che Camilleri non riprenda il suo Sandri, facendolo diventare Riccardi e regalandoci così un altro romanzo questa volta dedicato direttamente al fascismo-regime.
Giovanni De Luna
 
 

La Repubblica, 13.3.2005
Genova, memoriale della procura contro i 47 imputati
In caserma no global costretti ad abbaiare, altri marchiati sul viso
I magistrati chiudono il documento citando un brano di Camilleri
"G8, a Bolzaneto trattamento inumano"
Seicento pagine dei pm contro gli agenti: "Sarà difficile dimenticare"

[...]
Per lasciare un documento storico, oltreché giudiziario, perché "queste pagine brutte difficilmente potranno essere dimenticate", i magistrati concludono la loro ricostruzione con le parole che Andrea Camilleri ha scritto per l'agenda di Magistratura Democratica. Il commissario Montalbano, guarda in tv le immagini delle torture inflitte ai prigionieri di Abu Ghraib e ricorda con angoscia un caso simile accaduto a Genova: "Certo tra i du' fatti di sicuro non c'era rapporto o raffronto possibile... ma almeno una cosa in comune l'avivano avuta... non capivano, quegli omini in divisa, che mentre tintavano d'arridurre i progionieri a cose, erano loro stessi che si cangiavano in cose, robot, in macchine di violenza".
[...]
Massimo Calandri, Marco Preve
 
 

ANSA, 14.3.2005
Immigrazione: petizioni popolari, al via raccolta firme
Parte campagna europea, un milione di firme entro ottobre

Roma - Partira' ad aprile la raccolta firme di due petizioni popolari europee in tema di immigrazione. La prima si riferisce alla ratifica della convenzione dell'Onu sui diritti dei migranti e delle loro famiglie; la seconda, alla cittadinanza europea di residenza.
Nel comitato promotore della campagna, chiamata 'Diritti senza confini' - che punta a raggiungere entro il prossimo ottobre un milione di firme - ci sono, fra gli altri, Gianni Amelio, Paolo Beni, Andrea Camilleri, Christopher Heine, Paolo Serventi Longhi, Guglielmo Loy, Giampaolo Patta, Lidia Menapace, Citto Maselli, Bruno Trentin, Antonio Tabucchi, Vauro.
Sulla prima petizione, il comitato promotore fa sapere che la convenzione Onu sui diritti dei migranti e' stata adottata nel 1990, e' entrata in vigore nel 2003 ma e non e' stata sinora sottoscritta da alcun stato europeo. La petizione chiede al Governo e al Parlamento italiano, nonche' agli altri paesi europei, di avviare le procedure per la ratifica, adeguando le diverse legislazioni ad uno standard comune che preveda una protezione minima di tutti i migranti, compresi quelli irregolari.
La seconda petizione, rivolta al Parlamento europeo, punta ad inserire nel Trattato costituzionale il principio della cittadinanza civile di residenza europea, superando la definizione di cittadinanza europea come sommatoria delle nazionalita' dei diversi stati membri ed estendendola invece a tutti coloro che risiedono stabilmente nell'Unione europea, pur avendo la nazionalita' di paesi terzi.
Entrambe le petizioni saranno sostenute con iniziative in tutta Europa.
 
 

16.3.2005
Nuovo racconto di Andrea Camilleri per un'antologia

Da un'idea di Giancarlo De Cataldo, è prevista per maggio/giugno 2005 la pubblicazione di Crimini (Einaudi Stile Libero Big), antologia di racconti giallo/noir in forma di soggetto cinematografico.
Tra gli autori Andrea Camilleri (Troppi equivoci, che sarà poi sceneggiato e diretto da Rocco Mortelliti), Giancarlo De Cataldo (Il bambino rapito dalla Befana), Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Niccolò Ammaniti, Diego De Silva, Giorgio Faletti.
 
 

Il Mattino, 16.3.2005
Il nuovo romanzo
Camilleri e l’imbroglio del fascismo

Andrea Camilleri è uno scrittore che si diverte. Unica garanzia per far divertire anche il lettore. Si diverte a inventare la Storia, quella con la maiuscola, intrecciandola alla storia con la minuscola. È quanto avviene anche per «Privo di titolo», il nuovo romanzo pubblicato da Sellerio (pagg. 296, euro 11) che sarà nelle librerie domani. È il Camilleri della Vigàta del passato, quella, per capirci, senza il commissario Montalbano. In breve la vicenda: al centro dell’intreccio c’è il «martire fascista» Gigino Gattuso, ucciso da un bolscevico nel 1921. Camilleri ricostruisce la vicenda a modo suo. Da autentico deus ex machina mescola letteralmente le carte, producendo come già fece per «La scomparsa di Patò», finti giornali, falsi atti ufficiali e materiale vario. La vicenda del fascista, che alla fine si scopre «privo di titolo», un semplice morto ammazzato, s’intreccia con quella della illusoria città di Mussolinia, fotomontaggio della peggior specie propagandistica. Camilleri, cominciamo dall’inizio, come è nato questo romanzo? «Lo suggerisco nelle prime pagine del libro, quando descrivo l’adunata del 1941 e lo strano incontro che feci con l’”assassino” di Gattuso. Avevo letto, quando stavo scrivendo «Il birraio di Preston», un libro di un giornalista di Caltanissetta che raccontava in modo molto documentato gli avvenimenti della provincia di quel periodo del Novecento. Molte pagine erano dedicate al ”martire fascista”. Allora stavo anche leggendo Sciascia che parlava di Mussolinia. L’idea è rimasta lì, fino a quando non ho trovato la struttura da dare al romanzo». E l’ha trovata mischiando racconto e falsi documenti. Una forma a metà strada tra «La scomparsa di Patò» e i suoi romanzi storici. «Proprio così. Devo dire che inventare dei falsi mi dà molto piacere. Lo faccio in modo sfacciato, da romanziere. Ma in fondo anche molti storici sono dei narratori». I suoi lettori si dividono tra quelli che preferiscono Montalbano e quelli che amano i romanzi storici. A lei che effetto fa questa divisione? «Io mi rivolgo a un solo tipo di lettore, quello che sa stare al gioco misterioso del vero e del falso, della realtà e della finzione. Moltalbano mi dà la possibilità di occuparmi di episodi di attualità. Per i romanzi storici mi sono concentrato sulla Sicilia post-unitaria, laddove si annida il germe dei mali che ancora viviamo». E qual è questo germe? «Il modo in cui il Sud è stato considerato e trattato al momento dell’Unità, cioè come una colonia, con la distruzione della sua economia e del suo esercito. Non sono contro l’Unità d’Italia, sia chiaro. Non vorrei passare per un secessionista all’incontrario. Noi siciliani abbiamo già dato, con il separatismo dopo la seconda guerra mondiale. Ma il male italiano comincia da lì». La storia di «Privo di titolo» ha dei parallelismi con il presente? «Certamente. Il romanzo racconta di grandi falsificazioni. E oggi distinguere tra realtà virtuale e realtà vera è diventato sempre più difficile. Le faccio un esempio clamoroso: la guerra in Iraq. Ci avevano detto che era un atto dovuto, preventivo, perché Saddam aveva delle armi di distruzione di massa. Poi è stato accertato che queste armi non c’erano, ma si è continuato a propagandare e a credere che quella in Iraq fosse una guerra giusta. È diventato un atto di fede, tanto che George W. Bush, che ha raccontato questa gigantesca frottola, è stato rieletto. Bisognerebbe ricordare, in questi casi, una frase di Stanislaw Jerzy Lec, che le cito a memoria: se una menzogna diventa d’uso comune non significa che non sia più una menzogna».
Pietro Treccagnoli
 
 

La Sicilia, 17.3.2005

Il falso martire fascista
Walter Guttadauria racconta come una vecchia vicenda nissena ha ispirato l'ultimo romanzo di Camilleri

Aveva appena compiuto 18 anni Luigi Luciano Gattuso (affettuosamente chiamato da tutti Gigino) quando la sua breve vita si concluse a Caltanissetta in circostanze che, nonostante un processo ed una sentenza (che individuò nell'operaio Michele Ferrara l'autore del delitto), suscitarono non poche perplessità. La giovane vittima fu poi dichiarata «martire» dai fascisti ed alla sua memoria fu dedicato un monumento (un fascio littorio in marmo, scolpito dallo scultore Meschino, che fu inaugurato il 21 aprile del 1928), scomparso dopo la liberazione, in corso Vittorio Emanuele ed una via cittadina, che ha mantenuto intatto il suo nome.
Da uno spunto di storia nissena prende le mosse il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, «Privo di titolo», edito da Sellerio, in uscita oggi nelle librerie di tutta Italia. Il fatto reale è, naturalmente, solo lo spunto su cui lo scrittore di Porto Empedocle costruisce la sua ultima (in ordine di tempo) fatica letteraria, lavorando per «addizione» intorno all'idea, modificando naturalmente i nomi (il giovane Gigino diviene nella finzione letteraria Lillino Grattuso mentre il capomastro Michele Ferrara diviene Michele Lopardo) ed aggiungendo personaggi, congetture, pensieri che ricostruiscono gli umori del tempo con lo stile e le invenzioni linguistiche che hanno reso famoso Camilleri.
Ma lo spunto viene dal libro del giornalista Walter Guttadauria «Fattacci di gente di provincia», edito da Lussografica e pubblicato nel 1993 nella collana «Momenti e figure di storia nissena», diretta da Sergio Mangiavillano. «Il caso di Gattuso - dice Walter Guttadauria - rientra in una selezione da me fatta per questo volume, dove raccolsi 10 casi di cronaca che, pur essendosi verificati a Caltanissetta o nei paesi della provincia nissena, ebbero risonanza anche al di fuori dell'ambito regionale».
Nel libro di Guttadauria nulla è lasciato al caso nella scrupolosa narrazione dell'episodio di Gattuso, come del resto degli altri nove casi. «Ho tenuto ad impostare il discorso - precisa il giornalista - con l'attenzione soprattutto del cronista, basandomi solo sulle fonti documentarie: atti processuali, stampa dell'epoca ma anche, dove è stato possibile reperirle, fonti orali».
Da qui la precisione nell'elencazione dei fatti, raccontati con l'occhio attento del giornalista che ricostruisce passo per passo la vicenda sulla base delle varie deposizioni (da quella di Ferrara a quelle dei testimoni), dei verbali e degli atti processuali, ivi incluse le arringhe degli avvocati di entrambe le parti e delle cronache giornalistiche dell'epoca sulla sentenza che riconobbe in Ferrara il colpevole, ma solo per legittima difesa, della morte di Gattuso».
«Ho conosciuto Camilleri apprezzandolo come autore - dice ancora Walter Guttadauria - e gli inviai nel 1997 copia del libro 'Fattacci di gente di provincia', domandandomi se mai qualcuna delle vicende lì narrate potesse ispirargli qualcosa; in quell'occasione gli inviai anche una biografia di Giovanni Mulè-Bertòlo, lo storico nisseno cui si era già ispirato Camilleri per 'Il birraio di Preston', con l'immaginario rogo del teatro Margherita a seguito di una serie di disordini cittadini: di quell'opera quasi 'imposta' dall'allora prefetto Fortuzzi parla appunto il Mulè-Bertòlo».
«Quando Camilleri mi ha telefonato per ringraziarmi - prosegue Guttadauria - mi disse che fin dal primo momento era rimasto colpito dalla vicenda di Gattuso perché ne conservava vaga memoria poiché in gioventù aveva preso parte ad adunate di commemorazione a Caltanissetta. Da lì la sua curiosità nella scoperta dei fatti legati all'accaduto, di cui lui, ripeto, aveva memorie lontane e non dirette».
«Camilleri l'ho incontrato per la prima volta a Racalmuto - dice il giornalista nisseno - durante i lavori per il ripristino del teatro Margherita, mentre la scorsa estate sono andato a trovarlo nella sua casa di Porto Empedocle; in quell'occasione mi disse che il libro, ispirato al 'caso' Gattuso era ormai finito».
Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri segue l'evoluzione dei fatti sulle carte processuali citate da Walter Guttadauria ma trasforma naturalmente la prospettiva della narrazione; il dubbio, in realtà, che giustizia non fosse davvero stata fatta già allora serpeggiò in molte coscienze, poiché la sentenza parve essere stata, per così dire, di compromesso: rimise in libertà Ferrara e nello stesso tempo chiuse definitivamente un'inchiesta che avrebbe probabilmente potuto condurre ad un'altra verità, forse più «scomoda». «Per tutta la vicenda - dice Walter Guttadauria - un colpevole c'è, secondo gli atti del processo, quelli sui quali io ho lavorato, che portarono alla fine alla sentenza del novembre del 1924. La questione è se possa essere stata una sentenza di comodo, alla luce di ciò che emerse durante il processo, al termine del quale restarono comunque scontente entrambe le parti».
Vi fu - è utile precisarlo - un solo processo che si esaurì in Corte d'Assise, al quale il Ferrara fu sottoposto dopo tre anni di carcere, e vi dunque una sola sentenza, contro la quale nessuno si appellò benché, come detto, scontentasse entrambe le fazioni politiche cui appartenevano la vittima e l'autore del delitto».
«Ed anche questa - prosegue Guttadauria - è una cosa strana: se la sentenza scontentò le due parti ci si potrebbe domandare oggi come mai nessuna delle due, l'accusa e la difesa, fece appello. Forse perché alla fin fine la sentenza chiuse definitivamente una vicenda che avrebbe potuto rivelare, con un supplemento di indagini, altre verità?».
Oggi si parla ancora di questa vicenda, anche se non certo con gli stessi toni di ottantaquattro anni fa, quando alcune infelici esortazioni durante i funerali del giovane ucciso furono le scintille fatali che bastarono a far esplodere quella che era già una polveriera di sentimenti contrapposti tra due schieramenti politici in lotta serrata senza esclusione di colpi, trasformando in quel pomeriggio dell'aprile del 1921 la città di Caltanissetta in teatro di gravi disordini nella ressa creatasi durante il funerale, con la piazza gremita di folla.
Anche in quella circostanza vi furono comunque altre vittime, aggiungendo dramma a dramma in un clima non certo sereno.
Caltanissetta è passata da allora attraverso tante trasformazioni, vere e proprie «ere» che ne hanno cambiato sensibilmente il ruolo, il tessuto urbanistico, il volto. Ma è stata e rimane una città tollerante, dove nessuno ha mai pensato di cambiare nomi alle strade nel susseguirsi delle amministrazioni che hanno governato il capoluogo, dagli anni della Democrazia Cristiana ai governi di sinistra, di destra e di centro-sinistra. Lo stesso sindaco di Caltanissetta Salvatore Messana ha precisato che non è mai stato intendimento dell'amministrazione di centro-sinistra da lui guidata di cancellare o trasformare il nome di strade cittadine.
La via intitolata al giovane Gigino Gattuso, che prima del luttuoso avvenimento si chiamava via Arco Arena, è ancora lì a testimoniare che la storia non si può riscrivere, che nelle contrapposizioni ideologiche (come nelle guerre) non ci sono buoni e cattivi ma semmai si può evitare di far sì che si ripetano ancora vicende come quella. Cosa rimane, dunque, oggi di quell'episodio nella memoria collettiva dei cittadini nisseni del 2005? «Sono passati appunto 84 anni da quel fatto - conclude Walter Guttadauria - e credo che testimoni diretti non ce ne siano più. Vorrei chiarire, al di là della retorica e delle possibili speculazioni di colore politico, che in effetti ritengo che Gigino Gattuso sia stato solo una vittima del clima sociale e politico del tempo e delle circostanze».
Rosamaria Li Vecchi
 
 

Il Messaggero, 19.3.2005
I libri più venduti
“Privo di titolo” di Camilleri inseguito da ”Memoria e identità” di Giovanni Paolo II

Continua il momento magico di Piperno con Le peggiori intenzioni (Mondadori € 17.00), ma questa settimana, troviamo al primo posto della classifica il libro di Giovanni Paolo II, Memoria e identità (Rizzoli € 16.00) e il nuovissimo di Andrea Camilleri Privo di titolo (Sellerio € 11.00).
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a cura di Domenico Di Cesare
Classifica redatta in collaborazione con la Libreria Gulliver (gulliver.rieti@tiscali.it)
 
 

Corriere Romagna, 19.3.2005
Moretti in Giallo 

Casa Moretti dedica una giornata al fascino della scrittura del giallo. “Il Giallo nella letteratura italiana del ’900" è il seminario di studi che si svolgerà per l’intera giornata di oggi nella sala conferenze del museo della Marineria di Cesenatico. Al mattino a partire dalle 9,30, è previsto un convegno con esperti e studiosi del genere. Renzo Cremante (università di Pavia) parla di Carlo Emilio Gadda, Marco Sangiorgi, autore del volume Il giallo italiano come nuovo romanzo sociale (Longo Ravenna), racconta di Giorgio Scerbanenco, Arnaldo Bruni (università di Ginevra) di Leonardo Sciascia. Si prosegue al pomeriggio a partire dalle 15,30 con Elvio Guagnini (università di Trieste) che racconta la scrittura di Andrea Camilleri, e con Andrea Battistini (università di Bologna) che introduce quella di Giuseppe Pontiggia. Seguirà un dibattito.Anche la serata continua all’insegna del giallo, in compagnia di tre autori noti ai lettori del genere. Alle 21 sono infatti ospiti Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Loriano Macchiavelli. La giornata vale pure come corso di aggiornamento per i docenti di Lettere delle scuole superiori riconosciuto dal Provveditorato agli studi di Forlì-Cesena. A chi lo richiede verrà consegnato un attestato.
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cla.ro.
 
 

Il Piccolo di Trieste, 20.3.2005
Camilleri e l'omicidio di Lillino, ucciso dai suoi amici fascisti
 
 

Guide di SuperEva, 20.3.2005
Tendenze
Conoscersi in rete
Nuove tendenze e nuovi modi per fare amicizie in rete

Un tempo conoscere nuove persone era più difficile: ci si iscriveva in palestra, si frequentava il cineforum o un circolo di amanti della canasta. Oggi Internet ha reso tutto più facile grazie ai Social Network.
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Personalmente sono ancora una sostenitrice delle community basate sulle mailing list, community, che tuttavia, sono cadute oggi un pò in desuetudine, sostituite dall’immediatezza dei forum e dei Social Network.
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Un'altra ML storica è quella dei fans di Andrea Camilleri (https://www.vigata.org/) che si riuniscono per discutere dei libri del Sommo (e non solo).
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La Sicilia, 20.3.2005
Mappa dei luoghi del cinema

La Sicilia, tra mito e realtà, bellezza, dramma e levità dell'esistere, ha ispirato da sempre l'arte di numerosi registi divenendo inoltre, in circa 1300 produzioni, privilegiato set cinematografico. Una terra incantatrice, dalle mille meravigliose sfaccettature, che non smette di stupire chi cerca di carpirne l'anima. Una terra che può essere conosciuta dunque seguendo diversi percorsi: tra storia, arte, cultura, paesaggio e costume, il percorso cinematografico dischiude immagini nuove, prospettive diverse non solo al turista, ma a chiunque voglia guardare con occhi nuovi la propria terra. Il prof. Francesco Ortisi, studioso e appassionato di cinema e teatro (ha pubblicato "Ciak, si gira!" Romeo Editore e scritto il monologo teatrale "Sulla Soglia, frammenti di un discorso su Simone Weil" in programma al Teatro Stabile di Catania, con Galatea Ranzi, regia di Marco Andriolo) ha ricomposto la sua passione per il cinema e la Sicilia in un'iniziativa interessante e originale, la creazione di uno strumento agevole che possa far da guida in questo viaggio tra i luoghi affascinanti e spesso poco conosciuti dei set cinematografici.
Una "movie map" dunque, in cui è possibile individuare i luoghi e avere maggiori notizie su circa 31 tra i più famosi film girati, da "La terra trema" e "Il Gattopardo" di Visconti a "Salvatore Giuliano" di Francesco Rosi, da "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi alla saga del "Padrino" di Francio Ford Coppola, a "Nuovo Cinema Paradiso" di Tornatore, a "Il Postino" di Troisi, fino ai più recenti "Malèna" e "I cento passi" di Marco Tullio Giordana". Per ciò che riguarda la fiction, il pensiero corre immediato ai film per la TV su "Il commissario Montalbano" di Andrea Camilleri e ai numerosi luoghi in cui sono ambientati. Immaginifici nei nomi (Vigàta in provincia di Montelusa, Fiacca, Fela…) posseggono tuttavia concretezza geografica (Porto Empedocle, Agrigento, Sciacca, Gela), spaziando inoltre tra varie città dell'altopiano ibleo.
Tra città d'arte e borghi nascosti è interessante notare infine come anche l'Etna, con i suoi "vulcanici" scenari, le isole di Pantelleria, Ustica, Lampedusa, Favignana e antiche masserie, si siano spesso trasformati in naturali e affascinanti scenari.
Maria Elisabetta Giarratana
 
 

Laterza23.3.2005
John Dickie
Cosa nostra
Storia della mafia siciliana

Ne discutono con l'autore Andrea Camilleri e Giancarlo Caselli
Coordina Gaetano Savatteri
Roma, mercoledì 23 marzo 2005 ore 18:00
Centro convegni Ex-novo, via Monte Zebio 9


Andrea Camilleri con Paolo Flores d'Arcais e Giancarlo Caselli - Foto di Marcellino Radogna
 
 

Il Secolo XIX, 23.3.2005
Le tentazioni di Montalbano

Il cruccio di Camilleri, da qualche tempo, è dare una svolta alla vita di Salvo Montallbano. Il commissario dei suoi romanzi, interpretato da Luca Zingaretti nella fiction televisiva di grande successo, ha superato la cinquantina, è percorso da inquietudini esistenziali e ha una vita sentimentale ancora precaria. Il suo rapporto con Livia, che vive a Boccadasse e che di tanto in tanto vola da lui a Vigata, è fatto di tenerezze ma anche di incomprensioni e di silenzi talvolta imbarazzati . E poi c'è quella valchiria di Ingrid, l'amica che cala dalle nebbie del Nord e si installa nella sua casa lambita dal mare, la quale lascia immaginare, ma solo immaginare, uno svago erotico per il solitario commissario. I lettori maschi che hanno "tifato" per un rapporto non platonico tra Montalbano e Ingrid, lontano dagli occhi di Livia, sono probabilmente la stragrande maggioranza. Il Montalbano fedifrago, sia pur per una notte, piace a un esercito di appassionati frequentatori delle storie poliziesche di Camilleri. “È vero, ho ricevuto tantissime testimonianze, lettere, email e messaggini - conferma divertito Andrea Camilleri - ci sono moltissimi lettori che non accettano l'idea di un siciliano che si neghi ai richiami del sesso. Soprattutto in Sicilia, dove il brancatismo ha solide radici.
E nella prossima avventura Camilleri sottoporrà per davvero a dura prova la fedeltà di Salvo. Metterà sulla sua strada due donne forti e terribili, entrambe possibili assassine. Ed una, in particolare, lo tenterà parecchio. Il libro si intitola "La luna di carta" e uscirà tra un paio di mesi. Sarà il nono della fortunata serie. Con il decimo, successivo libro Camilleri farà calare il sipario sul commissario che ha rischiato per l'autore di diventare un serial killer di altri personaggi. “Quando mi accingevo a raccontare altre storie, ecco che mi si parava davanti Montalbano, deciso a non farsi soppiantare da nessuno e a impormi la sua personalità” ha raccontato lo scrittore di Porto Empedocle. Che ha visto le storie del suo commissario tradotte nelle lingue più disparate. Persino in giapponese. Chissà come avranno tradotto in quella lingua le espressioni del dialetto siciliano usate da Camilleri per recuperare parole contadine che si sono perse nel tempo. Come "cataminarisi", ad esempio, che sta per "muoversi". “Non ne ho proprio idea - ride lo scrittore - e la cosa incuriosisce anche me. In Francia, in Spagna, in Germania ho degli amici che mi relazionano sulla qualità delle traduzioni. Ma ciò che hanno fatto di Montalbano in Estremo Oriente è un proprio un enigma”.
Da alcuni giorni è in libreria il nuovo romanzo di Camilleri "Privo di titolo". Prende le mosse da un episodio della storia siciliana: l'uccisione a Caltanissetta del diciottenne Gigino Gattuso. Fu ammazzato a colpi di pistola il 24 aprile del 1921 nel corso di una rissa tra tre camerati, tra cui lo stesso Gattuso, e un muratore comunista. La vittima divenne un martire fascista e a lui è dedicata tuttora una strada a Caltanissetta e un vicolo a Palermo. Chi fu l'assassino? Secondo l'estrema destra il muratore, il "bolscevico" (versione diventata ufficiale), secondo la sinistra un suo amico camerata che lo aveva colpito involontariamente. Lo scrittore siciliano smonta pezzo per pezzo la verità ufficiale facendo parlare personaggi e documenti e si serve dell'episodio per mostrare come si può costruire una solenne mistificazione. Il "Secolo d'Italia" ha reagito denunciando "l'infortunio di Camilleri", l'Unità ha ironizzato invece sul "finto martire". “Quando si saranno placate le polemiche, e spero presto, - dice lo scrittore - si parlerà solo del romanzo e dell'altro episodio di storia siciliana, esemplare di come il potere può costruire una realtà virtuale per celebrare se stesso: la fondazione di Mussolina, una città dedicata al Duce nei pressi di Caltagirone , ma esistita solo grazie ad un fotomontaggio eseguito per placare le insistenze di Mussolini che chiedeva notizie sull'avanzamento dei lavori”.
Camilleri, il "giallo" o thriller è diventato lo strumento narrativo più frequentato. Come lo spiega?
"E' lo strumento ideale per diffondere idee e spunti che diversamente, sarebbe più difficile diffondere. Nel libro "Giro di boa" , ad esempio, con Montalbano protagonista mi servo dello schema del giallo per raccontare fatti inerenti il G8 di Genova. Pensi che proprio per quel contributo sono stato invitato a partecipare ad una assemblea del sindacato di polizia, cosa che mi ha molto gratificato."
Anche l'editoria italiana sembra afflitta da monocultura da best seller. Non si corre il rischio di abbassare la qualità delle proposte e di danneggiare i giovani autori?
"Non credo. Nel mercato italiano c'è bisogno di sfornare libri che abbiano acquirenti e lettori. Giova all'intero settore, anche perché da noi si legge poco. E avere tanti lettori non vuol dire necessariamente abbassare il livello. Non dimentichiamo che il nostro è un piccolo mercato esposto alle incursioni di scrittori popolari come Dan Brown e Stephen King che guidano sempre le classifiche di vendita ad ogni loro uscita."
A proposito di Dan Brown, ha letto "Il Codice da Vinci"?
"Non ci sono riuscito. Sono arrivato a metà, poi l'ho mollato. È una sciocchezza dal punto di vista storico e culturale."
Milan Kundera teme che l'oblio corroda il grande romanzo. Quello che richiede più tempo e consente all'oblio, appunto, di allestire il suo cantiere. Lei che pensa?
"Il romanzo con la erre maiuscola non corre questo pericolo. Lavora, lentamente, nella memoria del lettore. Se leggi "Il Gattopardo" non lo scordi più, come se leggi, da adulto però, i "Promessi sposi"."
Che rapporto ha con la morte?
"La trovo disdicevole, citando una celebre battuta. Ma l'aspetto con serenità."
Del caso di Terri Schiavo, la donna americana in coma tenuta in vita per 15 anni e alla quale hanno staccato il tubo che la alimentava che pensa?
"Sono favorevole all'eutanasia ma trovo atroce farla morire in questo modo. È una tortura intollerabile."
Per quale opera vorrebbe essere ricordato?
""Il Re di Girgenti" che racconta un episodio accaduto a Girgenti nel 1718 nel trapasso dalla dominazione sabauda a quella austriaca in Sicilia. Il popolo ebbe ragione della guarnigione sabauda e proclamò re un contadino di nome Zosimo. Il quale poi, tradito dai nobili del luogo, finì i suoi giorni sul patibolo."
Il suo prossimo libro, Montalbano a parte?
"Sarà un romanzo storico, basato su un fatto accaduto ad Agrigento nel 1945: l'arcivescovo Peruzzo, di Alessandria, che s'opponeva al latifondo e fu assassinato da alcuni ex frati."
Renzo Raffaelli
 
 

La Stampa, 24.3.2005
Camilleri e Caselli, nella Sicilia dei boss
Lo scrittore e il giudice hanno presentato a Roma il volume dello storico inglese John Dickie su “Cosa nostra”.

Roma. L'occasione è la presentazione del libro "Cosa Nostra" dello storico inglese John Dickie (edizioni Laterza) ma l'evento è rappresentato dalla contemporanea presenza, nella sala del Centro convegni Exnovo, di Andrea Camilleri e Giancarlo Caselli. I due non fanno mistero di volersi bene, hanno in comune la Sicilia - Camilleri per esserci nato ed essersi rotta la testa sulle contraddizioni di quella terra, il procuratore Caselli per aver cercato di cambiarne la storia accorrendo a Palermo sull' eco delle terribili stragi del '92 - e il medesimo nemico che, appunto, risponde al nome di «Cosa Nostra».
II libro di Dickie è una storia della mafia siciliana, ma una storia lieve come un racconto, «come un romanzo» per dirla con il papà di Montalbano che agli storici inglesi riconosce il merito di farsi «mediatori» tra i fatti e i lettori e di preferire una esposizione che non ha paura di apparire semplice e chiara, al contrario dei contorsionismi di certi «autori italiani o tedeschi». Anche a costo di critiche, come quelle toccate a Croce - ritenuto appunto «troppo facile» - deriso nella famosa vignetta che lo descriveva curvo a scrivere con alle spalle il grande Hegel che ironizzava: «Ciò che più ammiro in lei, maestro, è il senso della storiella». Questo per dire quanto gli sia piaciuto il passo narrativo di Dickie, presente in sala e consenziente sul fatto di aver «voluto affrontare una materia complicata, spesso incomprensibile fuori dell'Italia e a volte agli stessi italiani, in modo che potesse essere accettata e compresa da un pubblico sempre meno disposto al dovere della lettura».
Giancarlo Caselli ha ripercorso, quasi a memoria, il tratto di storia che lo ha riguardato da vicino: dalla Palermo dei veleni al maxiprocesso, ai tentativi di delegittimare Falcone, Borsellino e il pool antimafia, alle stragi e alle indagini successive che, inevitabilmente, hanno impattato sul problema di mafia e politica. Caselli non ha mai pronunciato il nome di Andreotti, ma a quella vicenda si è riferito quando ha detto di trovarsi «sotto procedimento disciplinare al Csm» per aver scritto la verità, e cioè che una prescrizione non è un'assoluzione, anzi certifica che «il reato è stato commesso». Perché «questa rimozione» sul tema della mafia? Caselli affida la risposta alle parole del pentito Tommaso Buscetta che, a Giovanni Falcone interessato all'intreccio politico-mafioso rispondeva: «Non è il momento di parlarne, l'Italia non è ancora pronta».
Ha chiuso l'incontro ancora Camilleri, che - provocato dal giornalista e scrittore Gaetano Savatteri - ha raccontato il suo incontro col mafioso siculo-americano Nick Gentile, in Sicilia conosciuto come “zu Cola”. Il boss, a Roma, riconosce Camilleri per averlo visto una sola volta tanti anni prima, allo stesso modo aveva riconosciuto –un ventennio dopo l’”increscioso inconveniente”- un mafioso di Detroit che gli aveva rubato il portafogli e che, nel frattempo aveva fatto carriera. E, racconta Camilleri, non lo perdonò, seppure ricorrendo all’ironia: ”Vabbè, Frankie, ma ora ridammi il portafoglio”. “Una faccia –insistette con Camilleri- la vedo una volta e non me la scordo più”.
Francesco La Licata
 
 

Supereva Guide, 24.3.2005
Camilleri “privo di titolo”
Una vicenda incredibile, ma vera

Ma che titolo è “Privo di titolo”?!
Un gioco di parole troppo semplice accompagna il nuovo romanzo di Andrea Camilleri. Se ad essere privo di titolo è il rissoso giovanotto sulla cui morte la pletora fascista ha ricamato tanto da farne un martire, non si può negare che anche l’ultima fatica del popolare autore siciliano abbia un che di indefinito, di non concluso, di lavorio in fieri.
Camilleri ha rintuzzato le armi che gli sono proprie, fondendole in maniera incisiva, anche se caotica: ricordi di infanzia (come ne “Il gioco della mosca”), dissoluzione del narratore attraverso la sovrapposizione di documenti ufficiali e ufficiosi (come, con risultati più convincenti, ne “La scomparsa di Patò”), smitizzazione del fascismo (come in “La presa di Macallè”), vedove allegre e anziane maestre, nel corpo handicappate e nella mente lucidissime (come nel ciclo di Montalbano), incomprensioni tra polizia e carabinieri (come in “La concessione del telefono”) etc.
Eppure, questo non è un libro d’attesa; si sente, come ormai da qualche tempo, che una insoddisfazione politica e sociale muove la penna dello scrittore: la proverbiale ironia che lo ha reso famoso compare in rari ed indimenticabili squarci, ma non permea l’intero romanzo, come se fosse soffocata dall’angoscia di (ri)vivere situazioni che la Storia sembrava avere archiviato per sempre.
Ancora una volta, il protagonista è il fascismo, con quella violenza fatta di manganello e olio di ricino, prima, e di minacce e ritorsioni ipocrite poi.
C’è una rissa in paese, voluta e suscitata dalla gioventù bruciata dell’epoca, che si disse fascista per avvalorare il proprio ferino impulso alla violenza. Uno dei più facinorosi, Gigino Gattuso, viene ucciso: la sua morte è salutata come un martirio e il delinquente diventa eroe, il vero assassino viene protetto, un innocente, un comunista, viene incolpato dell’omicidio e alla verità nessuno pare interessato, né la polizia né il governo né la cittadinanza, tesi tutti ad inchinarsi ad una interpretazione di comodo.
Non c’è nessun Montalbano, stavolta, nessun eroe pronto a rischiare carriera e vita per il trionfo della giustizia: l’azione corre stanca, rassegnata, mal fusa con l’altro filone del romanzo, che narra la visita di Mussolini in Sicilia e la creazione di una città fantasma a lui intitolata e mai esistita, Mussolinia.
E tutto è vero. Quello che sembrava grottesco è confermato dalle fonti, quello che sembrava esagerato è testualmente riprodotto!
Lo stesso Camilleri, a conclusione del romanzo, chioserà la vicenda con queste amare parole in perfetto italiano: “Gigino fu il protomartire (tanti altri ne avremmo visti negli anni a venire) di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza nessun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente”.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti nella nostra brancaleonesca spedizione in Iraq non mi sembra per niente casuale.
Benedetta Colella
 
 

Il Venerdì di Repubblica, 25.3.2005
Italia. Non me ne frego
Il mio libro? Parla del passato: ci sono il G8 e Berlusconi
«Privo di titolo», l'ultimo lavoro di Camilleri, è ambientato sotto il fascismo. Ma, spiega lo scrittore, fa riflettere su un «regime» diverso, fatto di media e attacchi ai giudici. Che, intanto, si fanno aiutare dal commissario Montalbano

«Qualche giorno fa i giornali hanno riportato la notizia dei rinvio a giudizio di 47 poliziotti per i fatti del G8. La requisitoria dei magistrati termina con una lunghissima citazione letteraria di Salvo Montalbano. Un narratore di fantasia, quando vede usato quello che ha scritto, pensa che qualcuno lo ha capito e lo sta applicando. Ed è forse il maggiore riconoscimento per uno scrittore. Più di ogni critica letteraria». A parlare è Andrea Camilleri mentre esce il suo ultimo romanzo dal titolo quantomeno inusuale: Privo di titolo. Non è una nuova inchiesta del commissario Montalbano, rientra nell'altro filone prediletto dallo scrittore siciliano insieme al giallo, il libro ispirato a fatti storici del passato, ma con l'intenzione di far pensare al presente.
L'ambientazione, gli anni del fascismo, ha suscitato polemiche ancor prima che il romanzo fosse arrivato in libreria. Ad attaccarlo è stato, in particolare, Il Secolo d’Italia, quotidiano di An.
«Ma se non lo avevano ancora letto, come hanno fatto a polemizzare con me? Per partito preso?».
Da cosa prende esattamente spunto il libro?
«Due fatti: la vicenda di Luigi Gattuso, martire fascista ammazzato per sbaglio dai suoi, e la storia di Mussolinia, città immaginaria, che doveva essere costruita (vicino a Caltagirone) per celebrare il Duce, e invece fu solo un inganno, un artificioso fotomontaggio. Una beffa a Mussolini. Sono questi i fatti realmente accaduti, a cui mi sono liberamente rifatto. Che me li giochi in maniera fantastica fa parte del mio mestiere di raccontatore. Ed è tipico della letteratura, o si vuol censurare anche la letteratura?».
La storia di Gattuso, da cui lei prende spunto, è poco nota...
«Il "martire" fascista Gigino Gattuso fu ucciso a 18 anni, nel 1921, dai suoi compagni per sbaglio. Non da un muratore comunista. La sentenza definitiva – del '24, con il fascismo saldamente al potere, dopo l' assassinio Matteotti – dice che Ferrara, cioè a dire il comunista accusato di aver ucciso Gattuso, ha agito in stato di legittima difesa, e pertanto va rimesso in libertà, e gli va restituita anche l'arma illegalmente detenuta. Una di quelle sentenze che salvano capra e cavoli: non accetta la tesi della difesa, che a sparare sia stato un fascista, ma nello stesso tempo rimette in libertà il presunto assassino, riconoscendogli il diritto alla difesa. Si volle mettere a tacere una verità scomoda. Nessuno fece ricorso in Cassazione, né i fascisti né i comunisti».
Che considerazioni ha tratto da tutto l'affaire?
«Mi sono chiesto il significato di quel verdetto. Dalle carte emerge la storia di un martire fascista per lo meno ambiguo. Non un eroe, ma una vittima, ucciso per sbaglio dai suoi. Verso di lui mostro comprensione umana. Così come verso il giovane muratore comunista, Michele Ferrara, che non ha ucciso nessuno. E che ci ha rimesso anche lui la vita, perché durante il periodo fascista non ebbe più un momento di pace. Lo arrestavano e lo rilasciavano un giorno su due».
Insomma la storia di due sventure.
«Giustamente, il giornalista siciliano Walter Guttadauria, che ha ricostruito la vicenda, parla di un processo con due vittime: il fascista che muore e lo pseudo-assassino comunista».
Perché intitolare il romanzo Privo di titolo?
«Si deve avere pietà davanti a un'atroce situazione, in cui l'assassino crede di avere ucciso. È un reo confesso, perché non sa di non averlo ammazzato lui Gattuso. Ed il giovane Gattuso è morto ammazzato. Se questa cosa non la tratti con umana comprensione, come vuoi trattarla? Rischi di essere di parte, cosa che io non faccio. Da qui il titolo: Privo di titolo, vale a dire super partes».
Il racconto ha uno sfondo reale e insieme virtuale.
«Si intreccia con la vicenda di Mussolinia, la città mai costruita in onore del Duce. Ho ambientato la vicenda del martire fascista che non lo è, nella città immaginaria. Una realtà virtuale spacciata e creduta per reale. Ma in tutti i miei romanzi storici parlo di un'altra epoca per fare luce sul mondo attuale. Almeno ci provo».
Con quale obiettivo?
«In particolare, mi interessa capire e raccontare come si possano creare le "fabbriche del credere". La propaganda fascista era strutturata sul sistema di comunicazione, sul controllo gerarchico, ma anche sulla volontà dei popolo di credere a qualcosa. Oggi le fabbriche del credere passano attraverso i media, le televisioni. Allora un certo dittatore possiede armi di distruzione di massa, poi si scopre che le armi non c'erano. Eppure, svelata la menzogna, è troppo tardi, perché la fabbrica del credere è diventata fede».
Ma così non si espone alle critiche di essere un apocalittico?
«Chiariamo anche questo equivoco. Quando firmai il manifesto di Bobbio, di Pizzorusso, con cui, prima delle elezioni, invitavamo gli italiani a non votare Silvio Berlusconi, tanto da destra quanto da sinistra ci hanno detto che eravamo gente che non capiva. E ci dicevano: non c'è dittatura. Certo non si tratta di dittatura classica, con i militari al potere. Ma della dittatura della maggioranza. Della quale si è accorto anche Romano Prodi, che non è certo un estremista di sinistra».
La iscriveranno d'ufficio a quelli che gridano al regime?
«In Italia il regime c'è. Soft, moderno, sofisticato, ma c'è. Al punto che se fai una critica ti dipingono come un apocalittico. Tendono a irriderti se dici che vi è il conflitto di interessi. Allora dico chiaramente: c'è una limitazione nell'informazione, Berlusconi controlla la televisione, e cerca di influire su tutti i media. L'attacco alla magistratura è un tentativo di limitazione dello spazio e della funzione delle altre istituzioni».
Privo di titolo sembra richiamare l'ottica manzoniana: occuparsi di un periodo storico per leggere la realtà contemporanea?
«Questa è la mia ambizione. Non so se ce la faccio a tradurla in risultato effettivo. Spero di riuscirci. Ma ci sono dei buoni segnali. Come la citazione di Salvo Montalbano utilizzata dai magistrati nella requisitoria sui fatti del G8».
Nel libro ha usato, ancor di più che neì gialli di Montalbano, tecniche cinematografiche.
«Sì, per esempio quella del fermo immagine: un personaggio entra in un vicolo, e ne racconto minutamente la scena. Come alla moviola, nel calcio, si va a rivedere una azione di gioco importante. Anch'io, così, cerco di vedere se c'è stato o no un movimento fondamentale per il racconto».
La critica di certo, ma i lettori. coglieranno la raffinatezza?
«Chissà. Ma forse non è cosi rilevante, vostro onore...».
Salvo Fallica
 
 

La Sicilia, 25.3.2005
Lettere
Sono passati 80 anni e si può fare la storia di Mussolinia

Sono passati 80 anni e si può fare la storia di Mussolinia. Serenamente, al di sopra dei preconcetti. Con documenti probatori e con fotografie. E non con le favole infarcite da "sentiti dire", utilizzate oggi anche da taluni mostri sacri che ritengono di montare scoop miliardari. Si aggiunga che la vera storia della città-giardino, dedicata a Mussolini, fondata nel borgo Santo Pietro di Caltagirone il 12 maggio 1924, ha dovuto fare i conti con i partiti politici del dopoguerra, senza che altri avessero il coraggio di intervenire per dare un contributo serio alla sua storia.
Mussolinia non fu una "città fantasma", come taluni l'hanno definita, ma un progetto urbanistico innovativo che prevedeva l'inserimento del verde, a parte la ruffiana dedica politica. Ci fu un grave malinteso iniziale. Mussolini ed i suoi collaboratori ritennero che si trattasse di un ulteriore omaggio che Caltagirone faceva al Duce. Mentre i calatini pensavano che, dopo l'avvio del progetto, l'opera venisse sovvenzionata dal governo. Un malinteso imperdonabile che costò caro a Caltagirone. Restano note nella cronaca di quei giorni le esultanze e i sogni di ricchezza del cav. Crescimone (ricco proprietario locale), titolare della fabbrica di calce idraulica , il nuovo tipo di prodotto che doveva sostituire il cemento.
Le invidie e l'umore ipercritico, fecero il resto. Dunque, la presunta "burla" non si regge, dal momento in cui una gran massa di calatini fecero a gara per ingraziarsi il leader di successo. Dalla stampa del tempo si può ricavare un lungo elenco di entusiasti. I soliti furbi del periodo postbellico ed i pennaioli che offrono merce pseudostorica a caro prezzo, approfittando del clima politico pavido e dell'ostracismo dei media, hanno storicizzato fatti privi di documentazione. Ma il tempo è galantuomo e consente finalmente un giudizio positivo anche sul risanamento delle paludi Pontine.
E' di questi giorni l'uscita del nuovo libro di Andrea Camilleri "Senza titolo", in cui si rievocano i fatti di Mussolinia, mettendo in berlina quel capo di governo morto e sepolto da tempo. Il popolare scrittore è caduto in errori storici che non fanno sorridere nemmeno i vecchi antifascisti. A parte l'ibridismo linguistico, forzato e ripetuto, che non vogliamo discutere in questa sede. Lo sceneggiatore Camilleri si è lasciato prendere la mano da impolverati effetti teatrali decadenti ricavati dalle chiacchiere dei saloni da barba. Ma non parliamo di storia, perché la Storia è una cosa seria.
E' passata molta acqua sotto i ponti, sono cambiate molte posizioni politiche, interi regimi dispotici sono crollati. Alcuni, dall'oggi al domani, come per prodigio. Si può fare, dunque, anche la storia di Mussolinia. A condizione di documentare con scritti e con immagini un capitolo storico tutto da riscoprire. E non manca questo materiale. In sintesi, si può affermare: non è vero che Mussolini fu fischiato. Mancano tutte le prove. La nuova città gli fu dedicata con entusiasmo, ma non fu mai "sognata" dall'interessato. Anzi il Duce si irritò quando, alla posa della prima pietra, il segretario locale del Pnf gli sussurrò che il comune aveva preparato un bellissimo e costoso pranzo in suo onore. Ma ne abbiamo parlato nei precedenti articoli.
Salvatore Cosentino
 
 

La Sicilia, 25.3.2005
«Montalbano», casting affollato

Siracusa. Si sono svolti ieri nei locali del museo del cinema di via Alagona, i provini per il nuovo casting del «Commissario Montalbano». Per la fiction di Rai Uno, si sono presentate circa 200 persone tra ragazzi e ragazze che, tutti emozionati aspettavano il loro turno per il provino. «Ho già fatto la comparsa nel 1999 in "Malena" - racconta Fabio La Delfa - la mia esperienza è stata positiva e mi piacerebbe rifarla». Dello stesso parere è anche Salvo Lombardo, già attore teatrale in una compagnia siracusana. «Mi piacerebbe recitare in questa fiction, non solo per provare una nuova esperienza, ma anche per capire meglio come si sviluppa un film». Maria, insegnante trentaseienne ha voglia di provare nuove esperienze. «Non voglio assolutamente lasciare il mio lavoro, però mi piacerebbe provare a recitare. Penso sia un'esperienza da fare, credo che possa arricchirmi anche culturalmente. Mi piacerebbe anche poter raccontare quest'esperienza ai miei alunni, spiegando loro come si sviluppa un film nelle sue varie fasi».
La fiction Rai del Commissario Montalbano, è tratta dai romanzi di Andrea Camilleri, scrittore agrigentino amato in tutta Italia. I racconti camilleriani riescono mirabilmente a raccontare la Sicilia e i siciliani. Lo scrittore, nei romanzi, usa una lingua "mista" ovvero un impasto di italiano e dialetto siculo orecchiabile e divertente. Il suo commissario, interpretato da Luca Zingaretti, creato sullo stampo sciasciano, è di origine catanese ma, si trova ad operare a Vigata, una località inventata che rappresenta la Sicilia più tipica. Adesso oltre a nuovi volti, si cercano anche nuove location della serie. Voci non ufficiali sostengono che uno dei nuovi possibili luoghi possa essere la tonnara di Santa Panagia nella nostra città.
Sicuramente notizie più certe si avranno a settembre, quando i personaggi della serie saranno i protagonisti di una settimana di mostre fotografiche e dibattiti nella nostra città. I romanzi di Camilleri, così come i film, hanno sempre avuto un grosso successo, forse per la storia brillante, forse per la parlata particolare o forse perché Montalbano è semplicemente un uomo comune.
Silvestra Sorbera
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 25.3.2005
Si pente Giusy, la donna boss
La sorella di Vitale sta raccontando i segreti di Partinico

[...]
Quando Giusy Vitale venne arrestata per la prima volta, nel 1998, con l'accusa di associazione mafiosa, i magistrati parlarono di lei utilizzando un concetto coniato da Andrea Camilleri con il titolo di un suo romanzo: "In sintesi si potrebbe concludere che Cosa nostra ha la forma dell'acqua, in quanto, come l'acqua, assume la forma del contenitore in cui viene versata".
E Giusy aveva dato forma e impronta alla sua Cosa nostra.
[...]
Enrico Bellavia, Salvo Palazzolo
 
 

Giornale di Brescia, 26.3.2005
Libri
Quando la politica innalza martiri sulla messinscena della realtà virtuale
Andrea Camilleri con «Privo di titolo» torna felicemente sul filone storico

La storia è vera: Lillino Gattuso, studente dell’ultimo anno del liceo di Caltanisetta, fu per molti anni considerato l’unico «martire fascista» della Sicilia. Anche se quasi tutti sapevano che era sì morto la sera del 24 aprile 1921, dopo una rissa con un capolega comunista, ma «sparato» dalla Smith & Wesson di un suo camerata. La storia è un pretesto: un fascista ammazzato da un altro fascista può essere chiamato «martire»? Oppure è un semplice morto ammazzato «privo di titolo»? Dalla vicenda (con aneddoti personali in premessa e in conclusione) Andrea Camilleri coglie spunto per uno dei suoi indimenticabili affreschi siciliani. Dopo la poco felice «Presa di Macallè», riecco il Camilleri «storico», dunque, quello che ci ha regalato «Il birraio di Preston», la «Concessione del telefono», «La mossa del cavallo», «La scomparsa di Patò»... Per citarne solo alcuni. In questo filone ricco e genuino si inserisce «Privo di titolo». Storico lo spunto, romanzesco lo svolgimento, tanto che l’autore modifica i nomi di vittima e protagonisti, ricollocandoli nella sua Vigàta. Ma il clima del fascismo nascente emerge con forza e vivacità, andandosi ad adagiare sulla costante «siciliana». Camilleri si diverte (e ci diverte) nell’analisi dettagliata e smagata della messinscena della verità. Smontandola. Teatrale, persino filmico (con tanto di descrizione dei personaggi, fermo immagine e rallenty) il racconto dell’agguato e dell’intricata matassa d’avvenimenti in quella serata tragicomica. Documentale (con il ricorso a lettere, manifesti, scritte e ritagli di giornale) la parte riservata agli snodi principali della storia. Vivacemente narrata l’inchiesta. Che s’ingarbuglia, perché se i Regi Carabinieri, più fedeli al loro radicamento popolare, cercano di scoprire come sono andate veramente le cose, la Regia Questura (più sensibile all’aria che tira) nasconde prove, modifica versioni, inventa testimonianze. In campo entra pesantemente la propaganda politica, in cerca di sbocchi consoni alla temperie del momento. Le autorità quando non manovrano, «assecondano». E di ridondanza in ridondanza, la banalità della violenza che portò alla morte del povero Lillino acquista echi epici, si arricchisce di fasci littori, di monumenti, di lapidi messe su vie, piazze, e scuole. Ad imperitura memoria, naturalmente. Non che interessi l’Ideale (come si diceva allora), ma molto più concretamente il potere. Non importa la realtà, ma la facciata. Esattamente come nell’incredibile vicenda di Mussolinia, città-modello progettata in tutta fretta per la visita del Duce, dimenticata dopo la posa della prima pietra e rimessa in scena con fotomontaggi ad uso del Capo che chiedeva come fosse finita. Il giovane Lillino morto ammazzato, il capolega comunista alla fine assolto per legittima difesa, finiscono entrambi con «l’esistenza stritolata dall’ingranaggio di una realtà virtuale voluta dal regime». Difficile uscire indenni dallo scontro fra quel che è e quel che si vuol fare apparire.
Claudio Baroni
 
 

Il Gazzettino, 29.3.2005
Se si può fabbricare ...

Se si può fabbricare «una santità», convincendo «tutto il popolo» a radunarsi per celebrare la promessa «di maravigliose cose», come aveva raccontato Boccaccio, perché stupirsi se un «semplice morto» si trasforma in «martire»? O meglio, perché sorprendersi davanti ad una «realtà stracangiata dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere», una realtà capace di "trasfigurare" un «ammazzato privo di titolo» in una vittima della «cospirazione bolescevica»?
Andrea Camilleri sorride amaro tra le pagine del suo nuovo "Privo di titolo" appena pubblicato da Sellerio (11 euro). In fondo, c'è ben poco da ridere mentre si prova a sgretolare, pezzo dopo pezzo, un monumento di mistificazione costruito e recitato attorno alla memoria del presunto "unico martire fascista siciliano". Che martire proprio non fu. Anzi, il diciottenne Lillino Gattuso, "caduto" nella notte del 1921 in via Arco Arena, in realtà fu ucciso da uno dei suoi due camerati, coi quali, in un momento di "euforia manganellesca", aveva deciso di tendere un agguato ad un muratore comunista. Una notte degli "imbrogli" che Camilleri scruta alla moviola ripassando movimenti, percorsi e pensieri, fiammate di pistola, rumori, sguardi spaventati. Nel mezzo, poliziotti corrotti, politici ipocriti, vecchiette dall'orecchio finissimo, uomini onesti, ricconi ricattati, e parole tronfie che cantano l'inno di un regime che esige anche l'ennesimo tributo, ossia la città giardino "Mussolinia". E in un collage stilistico che mescola pagine di narrazione a verbali, documenti, deposizioni (esilaranti), lettere e resoconti di giornale, Camilleri dipinge il quadro di un desolante microcosmo tenuto in scacco dal padrone di turno e dai suoi scherani, alimentato dalla complicità dei fifoni e dei voltagabbana e combattuto con la forza degli ideali e un pizzico di sana ingenuità.
"Privo di titolo" e gli ultimi gialli con Montalbano rivelano un Camilleri sempre più indignato.
«È vero. Personalmente, ritengo sia mio compito intervenire in qualche modo. E anche se si può fare ben poco, penso sia importante far presente, ricordare».
Perché proprio questa storia?
«Mi sono imbattuto nella vicenda e nel libro del giornalista Walter Guttadauria ("Fattacci di gente di provincia" ed. Lussografica, Caltanissetta '93). Il punto di partenza, autentico, è quello di me ragazzino all'adunata del '41 (nel ventennale «del sacrificio supremo» di Gigino Gattuso «ammazzato a revorbarate da un sanguinario comunista»). Poi ho cominciato a leggere, sia la storia di Mussolinia che quella del processo, e mi sono trovato di fronte a due realtà virtuali diventate autentiche».
Come accade anche oggi?
«È lei a tirare queste conclusioni... Ma il rischio che corriamo è proprio questo, di vivere momenti di realtà tragici che però sono virtuali, assolutamente inesistenti. Quanto ci siamo spaventati per le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein?».
Tutto parte da quest'idea di mistificazione...
«Che non è nuova, sia chiaro, basti pensare a Boccaccio».
Lei scrive che Gigino fu il «protomartire di realtà stracangiata dalla volontà politica». Quanto c'è dell'Italia di oggi?
«Mah, l'impressione che si ricava, arrivati ad un certo punto, è che alcuni dati della conduzione politica italiana restino immutabili. Dal 1860 ai giorni nostri».
Non è una bella cosa.
«No, non è una bella cosa, ma a mio avviso gli italiani sono migliori della loro politica, perché riescono comunque ad andare avanti, a risolvere, a procedere nella loro storia».
Però l'Italia dimentica in fretta.
«Sì, si dimentica tutto con una rapidità estrema. In tutti i campi. Nella narrativa, ad esempio, vedo come grandi autori sono scomparsi nell'atto stesso di esalare l'ultimo respiro. E con loro scompariva pure tutta l'opera, fatte pochissime eccezioni».
Ad esempio? Per chi le spiace di più?
«Mi spiace molto per Moravia, di cui oggi veramente non si parla più. E lo stesso avviene a teatro, con la pittura. Insomma, gli italiani sono anche bella gente, ma con la memoria corta».
In "Privo di titolo" lei torna alla struttura narrativa del "Birraio di Preston" e della "Concessione del telefono", ma il tono è molto più amaro.
«Sì, per forza. Diciamo che sono molto più rispettoso, perché qui ci sono due vittime, il ragazzo che muore ammazzato e il presunto assassino la cui vita viene rovinata dai fascisti. E questo merita un altro sguardo. "Privo di titolo" ha avuto un lungo "confezionamento" mentale. Non riuscivo a trovare la struttura giusta. Finché non mi sono risolto ad alternare pagine di narrativa e pagine di documenti...».
Si diverte a "lavorarli"?
«È bellissimo. Falsificarli è straordinario. Recensendo i miei romanzi storici, lo storico Giovanni De Luna ha detto che in fondo io sono fortunato, perché i romanzieri possono costruire i documenti falsi. Che è poi la tentazione di ogni storico».
Le lettere del Barone Talé di Santo Stefano sono esilaranti...
«Poveraccio, le circostanze sfavorevoli gli impedivano di partecipare alla marcia su Roma. Ma ne ho conosciuti, nella mia infanzia, di fascisti come il barone Talè».
E com'erano?
«Ricordo un omone grasso che risultava aver partecipato alla marcia su Roma, ma in realtà non ci era mai andato. L'unica cosa che mostrava orgogliosamente era una curiosa foto dove compariva insieme a Mussolini. Una di quelle facce che spuntano in terza fila, tutte sorridenti...».
In "Privo di titolo" si agita lo spauracchio comunista, anzi "bolscevico".
«Adesso è uno spauracchio che fa ridere...».
Però lo si agita spesso.
«Sa come si dice? Che è difficile sradicare una cosa alla quale si vuole credere. I romani adoperano un'espressione bellissima: "ce sta con la fede". Difficile convincere con la ragione se c'è «a fede» dall'altra parte».
Nei suoi romanzi c'è sempre un fondo morale che scuote la coscienza.
«È un fatto personale, un mio modo di vedere le cose. Può essere un limite oppure no, ma è come mi metto di fronte alle cose».
Camilleri, chiudiamo con Montalbano. Non vorrà mica ucciderlo, vero?
«No, no. Oltretutto, i romanzieri chi hanno manifestato l'intenzione di liberarsi del proprio personaggio ci hanno lasciato la pelle: il personaggio più forte di loro. Quindi, anche per scaramanzia, mi rifiuto categoricamente di farlo morire. Troverò una soluzione».
Lo sa che le donne detestano Livia?
«A chi lo dice! Pensi alle siciliane. La detestano perché estranea...».
Anche rompiscatole.
«È un buon corrispettivo di Montalbano. È che le donne non perdonano a Salvo neanche la stretta fedeltà. In realtà questa fedeltà è una metafora della sua fedeltà alla vita, agli ideali, ai valori».
Meno male che qualcuno li ha.
«Speriamo che vengano trovati da tutti, perché lì stanno, lì da qualche parte. Basta andarli a cercare: sono cose che non muoiono mai, l'importante è non dimenticarli o coprirli di sterco».
Chiara Pavan
 
 

Thriller Magazine, 30.3.2005
La prima indagine di Montalbano

Ogni volta che esce un nuovo libro di Andrea Camilleri le aspettative sono sempre piuttosto alte, aspettative che l'autore cerca sempre di non deludere.
L'ultimo libro di Camilleri ha ancora una volta come protagonista il commissario Montalbano, di cui ci viene raccontata una parte di passato.
La forma scelta dall'autore per quest'opera è quella del racconto: il libro è infatti composto da tre racconti lunghi che ci raccontano altrettante avventure del nostro commissario.
L'indagine centrale, che dà il titolo al libro, è la prima svolta da Montalbano e per questo contiene elementi nuovi, e sconosciuti al lettore, della vita del protagonista. Come e quando Montalbano è arrivato a Vigata? Com'era da giovane? Chi era allora la sua fidanzata? Tutte domande che trovano una risposta. Il lettore si trova un po' smarrito davanti a un ambiente che non conosce e popolato da personaggi a lui non familiari, ma poi viene condotto verso la scoperta di quello che è il mondo di Montalbano. Particolarmente bella è la nascita del rapporto di stima e simpatia, che sfocerà poi in amicizia, di Montalbano con Fazio.
Un tratto comune alle tre storie è che in nessuna Montalbano si trova a indagare su fatti di sangue, ma su vicende che riescono comunque a tenere viva l'attenzione del lettore. In particolare il primo racconto è incentrato su un tema purtroppo molto attuale di questi tempi: il fanatismo.
Senza però scendere nello specifico degli argomenti trattati, una caratteristica del libro è che, sicuramente, rispetto ai romanzi , i racconti risultano meno incisivi.
Come nei precedenti "Un mese con Montalbano", "Gli arancini di Montalbano" e "La paura di Montalbano", la forma narrativa del racconto non permette all'autore di esprimersi al meglio. Per questioni di brevità, l'impressione è quella di una struttura meno approfondita e intrigante, leggermente più sbrigativa.
"La prima indagine di Montalbano" resta comunque un'opera molto godibile e piacevole, consigliata a chi ancora non conosce Camilleri per avvicinarvisi, e ai suoi affezionati lettori per approfondirne e completarne la conoscenza.
Chiara Bertazzoni
 
 

Famiglia Cristiana, 30.3.2005
Attualità / Intervista
Confessioni di un italiano
Dopo Montalbano, Perlasca e don Puglisi, Luca Zingaretti interpreta un eroe del martirio di Cefalonia. Ed è l occasione per parlare di sé, dei suoi progetti futuri e dei valori in cui crede.

[...]
E Montalbano? Sembra il personaggio che le è più congeniale.
«Si sbaglia, Montalbano in fondo è una maschera, un personaggio che si crea mettendo, mettendo mettendo, senza levare niente. E il privilegio della maschera è che te la puoi togliere quando vuoi. Nessuno mi confonde con lui quando giro Puglisi o Perlasca».
Ma quando si rimetterà la maschera di Montalbano?
«Sto andando in Sicilia a girare due episodi, o forse quattro. Poi smetto».
Come dicono i fumatori incalliti?
«No, smetto davvero. Credo sia giusto andarsene tra gli applausi. Per un attore l’entrata in scena è difficile, ma è ancora più difficile uscire di scena tra gli applausi. Per questo gli attori mediocri ma di mestiere rimediano con la "botta di tacco", che istintivamente fa scattare l’applauso. Ma l’attore elegante non vi ricorre mai. Ecco, io vorrei uscire dai romanzi di Camilleri senza botta di tacco».
Francesco Anfossi
 
 

Italia Oggi, 30.3.2005
Risvolti
Scrittori d'Italia

Tra i critici letterari che sono anche docenti universitari, Francesco De Nicola è tra i meno accademici e più spregiudicati, oltre a essere tra i più creativi. Basti pensare allo straordinario saggio "Dal best seller all'oblio" (Marietti 1992) dedicato al recupero dei tanti scrittori che la macchina editoriale ha emarginato dopo aver regalato loro un momento di gloria. Più tradizionale e inquadrato il libro appena uscito dall'editore De Ferrari di Genova, "Letteratura italiana contemporanea", completo di breve antologia poetica a cura di Francesca Corvi. un occhio di riguardo va agli autori liguri, con un capitolo tutto per loro (giustamente, dato che liguri sono l'autore e l'editore, e specialmente perché lo sono Sbarbaro e Montale), ma lo studio è comunque di altissimo livello, oltre che di affascinante lettura. notevole il capitolo intitolato "Per una definizione della letteratura italiana contemporanea". A proposito di contemporaneità e scrittura De Nicola scrive: "All'origine del successo di Camilleri è stata dunque soprattutto la sua originale invenzione di linguaggio, ma anche la forte componente di essenzialità e di visibilità del suo narrare, qualità di diretta derivazione dalla sua lunga esperienza di linguaggio televisivo, dal quale evidentemente ha trasferito sulle pagine i modelli della più efficace comunicazione..."
 
 

La Repubblica (ed. di Bologna), 31.3.2005
La storia
Patrizio Gattuso lancia il guanto a Camilleri per l´avo Gigino
"Ne ha offeso la memoria" E lo scrittore: "Cose da fascisti"

Patrizio Gattuso giura che non finisce qui. Dopo un intervento in consiglio comunale per difendere la memoria del suo avo Gigino, adesso minaccia misure legali contro chi ha osato ridicolizzarla.
Contro chi ha messo in discussione che, nel 1921 a Caltanissetta, Gigino Gattuso, proselito di Mussolini, fu ucciso da un consigliere comunale socialista attivista della lega bolscevica.
Questo è quanto hanno sempre narrato le voci di popolo e la storiografia fascista siciliana. Ma, a distanza di 84 anni dal fatto c´è stato qualcuno che si è preso la briga di raccogliere pile di documenti e di scrivere un libro per dimostrare che, in realtà, Gattuso morì freddato dal fuoco amico di un altro camerata, smontando così «la leggenda dell´unico martire fascista siciliano». Questo qualcuno, verso cui sono indirizzate le ire di Patrizio, non è uno qualunque. E Andrea Camilleri, conterraneo ben più celebre del nostro consigliere comunale di Alleanza nazionale.
Lo scrittore siciliano, dalla sua casa di Roma, sbuffa. E suggerisce: «Dica all´esimio consigliere di leggersi bene gli atti della revisione del processo». E poi: «Mi vuole denunciare? Faccia pure». Ma il primo round di questo botta e risposta a distanza risale al 14 febbraio, un mese prima dell´uscita in libreria del romanzo storico di Camilleri «Senza titolo», edito da Sellerio.
In quella data, nel corso di un consiglio comunale al vetriolo a causa delle polemiche tra centro destra e la giunta che aveva scelto di celebrare il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe non nella data istituzionale, Patrizio Gattuso colse la palla al balzo per commemorare pubblicamente il suo avo martire. E, ancor prima di aver letto il libro, accusò lo scrittore di raccontare il falso. «Avevo avuto notizia del romanzo da un articolo di un settimanale che ne anticipava il contenuto - racconta Gattuso -, si può immaginare la mia rabbia e quella della mia famiglia quando abbiamo scoperto che Camilleri trasformava la fine tragica del nostro avo, se pur cambiando un po´ il nome (lo scrittore lo chiama Lillino Grattuso, ndr) in una fine quasi grottesca. Ucciso per sbaglio, per colpa del buio, dal colpo di un altro camerata. E´ semplicemente un falso».
Gattuso ammette anche che «sicuramente il fascio ha strumentalizzato in qualche modo questa morte, facendo di Gigino un martire, un eroe». Ma, al contempo, il consigliere bolognese di Alleanza Nazionale sostiene che «la revisione del processo parla chiaro: seppure per legittima difesa, fu il consigliere comunale comunista a sparare il colpo fatale». Quella testa dura di Camilleri, invece, si ostina a dire che non è così. Che, anzi, «la revisione fu un processo di comodo, fatto nel ´24, in pieno fascismo, e una lettura attenta degli atti mostra tutte le falle». E ancora: «Che il povero consigliere comunista fu perseguitato. Incarcerato ingiustamente». Un po´ di rispetto, dunque, anche per la sua di memoria. Nel frattempo, a Caltanissetta, l´uscita del libro ha provocato un mezzo terremoto. «Privo di titolo» è stato presentato in diverse tavole rotonde e c´è stato anche chi ha chiesto al sindaco di cambiare l´intestazione di una via dedicata a Gigino.
Un brutto colpo per la famiglia Gattuso che, come spiega Patrizio, «ha sempre vissuto questo ricordo con discrezione e in forma privata, evitando persino di commemorare pubblicamente l´anniversario della sua morte perché cadeva a ridosso del 25 aprile». «E adesso, dopo tanti anni - prosegue Gattuso - il signor Camilleri si mette d´impegno per scomodare l´anima di un ragazzo ammazzato a 18 anni e minare la tranquillità della nostra famiglia. Davanti a tutto questo, non possiamo tacere». Così Patrizio Gattuso sta meditando il da farsi: «Ho già consultato alcuni legali per chiedere come è possibile agire».
Andrea Camilleri, dal canto suo, non fa una piega. E con calma serafica replica: «Facesse quello che crede. Ho scritto tanti romanzi storici, a volte andando contro le versioni della storia ufficiale. Eppure nessuno ha mai polemizzato» E conclude: «L´esimio consigliere mi ha attaccato pubblicamente prima ancora di aver letto il libro. Cosa vuole che dica, cose da fascisti».
Amelia Esposito
 
 

Avui, 31.3.2005
Narrativa. Andrea Camilleri sense Montalbano
Univers Camilleri
Camilleri no és només Montalbano, encara que degui una part del seu èxit a l'entranyable comissari
Andrea Camilleri,L'Òpera de Vigata. Traducció Pau Vidal. Edicions 62. Barcelona, 2005. 
L'Òpera de Vigata, traduïda per Pau Vidal i publicada per Edicions 62, és una novel·la del sicilià Andrea Camilleri en què prescindeix del personatge del comissari Salvo Montalbano, si bé la trama també té lloc a Sicília i el llenguatge local pren protagonisme.

Un mal dia, a Filippo Genuardi se li acut preguntar a la Prefectura de Montelusa què ha de fer per obtenir una línia de telèfon i a partir d'aquí es veu involucrat en un seguit de malentesos (La concessió del telèfon, Edicions 62). Quan Santo Alfonso de Liguori arriba a Vigata, ningú el coneix o això és el que es creuen els vigatencs, però la seva arribada a la vila va acompanyada d'una sèrie de morts inexplicables (L'estació de la caça, Edicions 62). La família Barbabianca es troba en un bon embolic per culpa dels negocis fraudulents del pare; els fills intenten salvar la situació com poden, tot esperant un miracle que finalment es produeix (Un fil de fum, Edicions 62). Durant la representació de la Passió de Crist, un Divendres Sant, el comptable Antonio Patò, que hi feia el paper de Judes, desapareix sense deixar rastre (La desaparición de Patò, Destino). Vito reparteix el seu temps donant menjar a les gallines, ficant-se al llit amb la dona d'un conegut i intentant no barrejar-se en els afers de la màfia, però un dia es troba amb una pila de gallines mortes, dos assassins a la porta i l'inefable mariscal Corbo trepitjant-li els talons (El curs de les coses, Edicions 62). A Vigata s'ha d'inaugurar el nou teatre, però el prefecte de Caltanissetta, el florentí Eugenio Bortuzzi, imposa l'òpera El cerveser de Preston, de Luigi Ricci; els vigatencs s'ho prenen molt malament i a sobre la soprano desafina el dia de l'estrena (L'Òpera de Vigata).
LA SICÍLIA SURREALISTA
Ja ho veuen. Camilleri no és només Montalbano, encara que degui una part destacada del seu èxit a l'entranyable comissari nascut a Catània, assignat a la comissaria de Vigata, domiciliat a Marinella i promès a Livia, genovesa i geniüda. La ploma del mestre sicilià alterna les peripècies que el popular comissari viu en els notres dies amb minúscules odissees de pa sucat amb oli esdevingudes a la Sicília de finals del segle XIX i dels anys 60 del segle XX. Una Sicília de pobres diables atrapats per les circumstàncies, que van fent la viu-viu amb l'ombra omnipresent de la màfia i de la incomprensió de l'Estat italià al qual l'illa s'ha unit de no gaire bona gana. Una Sicília plena de situacions surrealistes, que a vegades freguen l'astracanada, però, ¿qui diu que la vida sigui racional? Una Sicília habitada per marits banyuts, burgesos no tan íntegres com sembla, pobres pescadors que viuen amuntegats en cataus, intermediaris de mala casta que només reconeixen un senyor, i no és ni l'Estat ni el Papa, i de tant en tant, un policia amb dos dits de front (el mariscal Corbo o el delegat Puglisi) que no sempre aconsegueix que la cega Justícia vagi pel camí recte. I també dones enamorades de qui no toca, secretaris que fan el possible per no convertir-se en l'ase dels cops, terroristes clandestins inflamats d'esperit mazzinià, curts de gambals arrossegats pels seus instints més primaris i funcionaris amb perilloses relacions que confonen el govern amb l'abús formen part de l'univers Camilleri. Una galàxia que, volum a volum, va descobrint nous planetes com L'Òpera de Vigata, un llibre que els lectors en castellà ja coneixien (va ser publicat per Destino el 1999) i que ara arriba en català. Per fi.
Per fi perquè de tota la sèrie de novel·les històriques de Camilleri, aquesta és potser la més complexa i reeixida. Igual que les seves companyes de gènere, el mestre sicilià la construeix amb grans dosis d'ironia, no només en les situacions sinó també en el llenguatge, cosa que pot dur algun lector a confondre la sarcàstica crítica social que conté amb l'astracanada. I això seria una llàstima. Perquè si bé és cert que Camilleri carrega les tintes i estira alguns episodis fins als esperpents dignes de Valle-Inclán, no ho és menys que alguns dels drames humans que hi passen no desmereixerien la més honesta de les tragèdies gregues.
I també per la feina idiomàtica que ha fet l'autor -a base d'aprofitar diversos registres del sicilià i de crear idiolectes que tenen un pes destacat en la caracterització de molts personatges- i que el traductor, Pau Vidal (traductor habitual de les novel·les de la saga Montalbano) ha optat per respectar al màxim, buscant en el mapa dialectal català les variants que li podien anar més bé.
Al llarg de 24 capítols (vet aquí un altre joc de Camilleri, iniciar-los amb una primera frase idèntica, o gairebé, extreta d'obres tan diverses com el Manifest del Partit Comunista, de Marx i Engels, Moby Dick, de Melville, Els dimonis, de Dostoievski, Farenheit 451, de Bradbury i Clea, de Durrell), col·locats en una successió que no té per què ser definitiva, l'autor pinta un autèntic fresc humà: des de la carnal Agatina fins a la indolent Giagia, des del temible Don Memè fins a l'encara més temible Paolino Fiannaca, des de l'irascible Lollò Sciacchitano fins als honestos Niní Prestia i Pippino Mazzaglia, des de l'immoral Nando Traquandi fins a l'infame Liborio Villarroel. I, per sobre de tots, l'esplèndid delegat Puglisi, un personatge que, igual que el mariscal Corbo, serveix a Camilleri com a esbòs de Montalbano (atribueix colors a les olors i contesta bruscament als subordinats quan no li interessa explicar què fa ni on va, com fa el comissari), i que l'autor tracta amb tant d'afecte com al nostre benvolgut Salvo.
A part del que he dit més amunt, no els puc explicar l'argument perquè donar-los pistes sobre el que passa em sembla un error: desmunta una maquinària de rellotgeria finament enfilada peça a peça i els nega el plaer de la sorpresa (que a vegades els farà riure, com durant la conferència etílica del director d'institut Carnazza, i altres els farà ràbia, no em facin dir quan). Però els voldria emplaçar a llegir L'Òpera de Vigata. I no m'adreço als fans del mestre sicilià, que sé que no se la deixaran perdre, sinó als altres. Als que els agrada Montalbano, però encara no s'han rendit a l'atractiu d'Andrea Camilleri. No se'n penediran. Quan una cosa és bona, és bona. I aquesta ho és.
Alba Alsina
 
 

La Sicilia, 31.3.2005
Raggiunto accordo tra assessorato regionale al turismo e casa di produzione della fiction tv
Siracusa scenario delle avventure di Montalbano

Raggiunto l'accordo per la coproduzione dei nuovi quattro episodi del serial televisivo "Il commissario Montalbano". L'intesa è tra l'assessore regionale al turismo Fabio Granata e Carlo Degli Esposti responsabile della casa di produzione della fiction tv. E' inoltre in fase di approfondimento il progetto della costruzione di Vigata, il luogo immaginario ove Camilleri ambienta le vicende di Montalbano a Porto Empedocle, costruzione che potrebbe coinvolgere l'antica tonnara di Santa Panagia. Tra maggio e ottobre saranno girati i nuovi quattro episodi che vedranno, per la prima volta e per scelta della produzione, Ortigia come una delle location principali nell'attuale serie. In settembre, inoltre, la città ospiterà la "settimana di Montalbano" con la presenza di Luca Zingaretti e dell'«inventore» del personaggio del commissario Andrea Camilleri.
Intanto si lavora al progetto Vigata che potrebbe trovare nella tonnara di Santa Panagia il luogo ideale, attraverso l'impiego dei fondi comunitari già impegnati dall'assessorato di Granata per il restauro. "L'idea, per la quale ho impegnato alcune somme - afferma Granata - è quella di una utilizzazione del sito innovativa e produttiva, anche dal punto di vista occupazionale, sottraendolo all'attuale degrado". Del resto, la tonnara, "ci prova" già da un po' a percorrere la strada del successo nello spettacolo. Tempo fa, infatti, la soprintendenza e lo stesso Granata, all'epoca assessore ai Beni culturali, lanciò l'idea di realizzare un teatro, sullo stile di quello greco, destinato a manifestazioni musicali e di altre discipline artistiche, di notevole grandezza per l'accoglienza anche di diverse migliaia di spettatori.
Tornando alla fiction, un altro progetto coinvolge Palazzo Vermexio, anch'esso sulla strada della ribalta cinematografica, il quale dovrebbe dare ospitalità alla nuova sede del commissariato di Montalbano.
g. i.
 

 


 
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