RASSEGNA STAMPA
MARZO 2005
La Repubblica (ed.
di Palermo), 1.3.2005
L'iniziativa. Appello bipartisan all'Ars
"Nello Statuto la parità uomo-donna"
Riprende stamattina, tra appelli e polemiche, il dibattito all'Ars sulla
riforma dello Statuto siciliano. Ieri in 95 tra intellettuali, politici
ed esponenti della società civile hanno firmato una appello chiedendo
che sia inserito nel testo il principio della democrazia paritaria tra
uomini e donne. Nomi di primo piano della politica [...] ma anche della
cultura come Andrea Camilleri e Vincenzo Consolo.
[...]
L'appello per la democrazia paritaria chiede a "tutti i parlamentari
regionali di operare una scelta di modernità, di innovazione e di
democrazia inclusiva", inserendo nello Statuto un "principio fondativo"
che garantisca "pari opportunità a donne e uomini nelle cariche
elettive, nel governo e in tutti i luoghi di decisione. Il concorso paritario
dei due punti di vista, maschile-femminile, nelle istituzioni è
oggi condizione indispensabile per il rinnovamento della politica nei suoi
contenuti". Temi che si caricano del peso di nomi di primo piano: dalle
scrittrici Luisa Adorno, Silvana Grasso e Silvana La Spina [...] agli attori
Ficarra e Picone [...] al fotografo Enzo Sellerio [...] agli scrittori
Santo Piazzese, Fulvio Abbate, Roberto Alajmo, Giosuè Calaciura,
Gioacchino Lanza Tomasi, Michele Perriera, Evelina Santangelo [...] al
musicista Marco Betta [...].
g.s.
Il Messaggero,
1.3.2005
Scatta il “totonomine”: ci sono anche Camilleri e Strada
Con la morte di Mario Luzi, è scattato il “totonomine” per la
prossima scelta che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
potrà compiere per nominare un nuovo senatore a vita. Sono almeno
una dozzina i nomi “illustri” che hanno spesso campeggiato nei titoli e
nei retroscena di quotidiani e settimanali. Si va, infatti, da leader storici
di partito a giudici costituzionali, da uomini di letteratura a scienziati,
da artisti a presentatori televisivi. Ma non mancano gli “outsider”, i
candidati in qualche modo “alternativi” rispetto a scelte più tradizionali.
Al mondo della scienza, appartengono le “candidature” di Carlo Rubbia e
di Antonino Zichichi. Per restare nel campo della letteratura, sono affiorati
a più riprese i nomi di Oriana Fallaci e di Andrea Camilleri. Anche
la tv entra nelle voci del totonomine: con Mike Bongiorno, che fu “sponsorizzato”
anche dal premier Silvio Berlusconi e il patron di “Miss Italia” Enzo Mirigliani.
In testa alla classifica dei “papabili” campeggia un leader storico della
sinistra italiana: Vittorio Foa. Ma si parla anche del rabbino capo emerito
Elio Toaff e di Giuliano Vassalli. Fra gli esponenti politici figurano
Marco Pannella ed Emma Bonino. Infine, altri due “candidati” illustri:
il Nobel per la letteratura Dario Fo e il medico fondatore di “Emergency”
Gino Strada. Per entrambi sono stati in passato scritti appelli e lettere
aperte per sollecitare una scelta in tal senso dal Quirinale.
Corriere della sera,
1.3.2005
I Bocciati
"La Tamaro, che delusione. E Camilleri non è granché"
Tempo di bilanci per Cesare Segre.
E, visto che per lui ogni bilancio letterario, ma anche politico-morale,
del Novecento sembra oggi vietare la neutralità, Segre sceglie di
fare (forse per la prima volta) anche qualche nome: "Non tanto per criticarli
quanto piuttosto per esortarli". "A fare che?" "Ad allargare i propri orizzonti,
a non rimanere incollati sempre agli stessi temi". A misurarsi, insomma,
con l'etica.
[...]
Così come l'utilizzo di una "miscela" di lingua e dialetto non
salva Camilleri: "Siamo lontanissimi da Gadda. Camilleri mette solo qua
e là qualche parola in siciliano ma il risultato finale non è
granché.
Mentre, al contrario, Consolo è riuscito a scrivere cose bellissime
utilizzando quella stessa contaminazione".
[...]
Stefano Bucci
2.3.2005
E' stata rinviata a data da destinarsi la cerimonia di conferimento
della Laurea Honoris Causa in Comunicazione ad Andrea Camilleri
da parte dell'Università
Statale di Pisa.
Magazine (supplemento del Corriere
della sera), 3.3.2005
Ma sulla mafia i siciliani illustri difendono Sciascia
Il filosofo Sgalambro ha acceso la polemica sul Corriere della Sera
dicendo che lo scrittore non serve più e che quella della criminalità
organizzata è l'unica economia reale dell'isola. Abbiamo chiesto
ai suoi conterranei se sono d'accordo. Risposta: per niente. Con un'eccezione.
«Ero solo come un ombrello su una macchina da cucire». È
il primo verso di una canzone che il filosofo Manlio Sgalambro ha scritto
con Franco Battiato. Ma è anche la sensazione che potrebbe provare
Sgalambro dopo aver sentito che cosa pensano molti siciliani illustri a
proposito della sua intervista al Corriere della Sera sull'inattualità
della lezione di Leonardo Sciascia e sulla mafia come unica economia reale
della Sicilia. A parte lo scrittore Michele Perriera («Sciascia ha
fatto il suo tempo, i mali della Sicilia si possono risolvere solo se ci
si proietta nei mali mondiali»), gli altri, interpellati da Magazine,
accettano ben poco delle ricette antimafia suggerite dal filosofo di Lentini.
C'è chi lo insulta e chi gli suggerisce di evitare certe uscite.
C'è chi sostiene che sia «fuori dal tempo e dallo spazio»
e chi avverte che sono proprio quelli come Sgalambro che fanno male alla
Sicilia. Pietro Calabrese, direttore di Panorama, è tra i più
duri: «Non credo che Sgalambro abbia bisogno di pubblicità.
Quindi
sarebbe meglio se evitasse di dire certe stupidate». Lo scrittore
Andrea Camilleri non è da meno. Lui contesta soprattutto la definizione
che Sgalambro ha dato della mafia come «concetto astratto».
«Non sapevo che le astrazioni girassero col kalashnikov a tracolla»,
dice il creatore del leggendario commissario Montalbano. «I filosofi,
o presunti tali, dovrebbero misurare di più le parole. Quanto a
Sciascia, figuriamoci se penso che sia superato. Per me lui è come
l'elettrauto: lo leggo ogni volta che ho le batterie scariche». Secondo
Anna Finocchiaro, responsabile dell'area giustizia Ds, la lezione dello
scrittore di Racalmuto è più che attuale. «Un mio amico
manager», racconta, «mi ha detto che dopo tre mesi che lavorava
in Sicilia ha sentito la necessità di rileggere Sciascia. Per non
perdersi». Addirittura? «Sì. Per questo Sgalambro mi
ha fatto imbestialire. Nelle sue parole c'è un alto tasso di provocazione
e di hidalgismo tipicamente siciliano, ma è anche molto naif il
fatto che lui inviti i siciliani a rimboccarsi le maniche e a fare le cose
meglio dei mafiosi. Non lo sa, Sgalambro, che in Sicilia non c'è
il libero mercato?».
Proprio su questo punto insiste anche Gaetano Savatteri, giornalista
del Tg5 e autore del libro "I Siciliani": "Sgalambro sarà un grande
filosofo", dice, "ma sembra non rendersi conto che da noi molti imprenditori
non riescono a lavorare solo perché c'è la mafia. Libero
Grassi è stato un eretico perché pretendeva che si rispettassero
le regole del capitalismo. E' morto solo, ammazzato, perché non
voleva pagare il pizzo. Anche per questo Sciascia è attuale: la
sua lettura della Sicilia omertosa vale ancora, malgrado non ci sia più
il Don Mariano del "Giorno della civetta". Detto ciò... se a Sgalambro
l'economia del pizzo sta bene, allora porti agli estremi la sua provocazione:
legalizziamo e tassiamo l'intermediazione mafiosa! Regolamentiamo il lavoro
degli assassini! Le uniche azioni a salire però saranno quelle delle
pompe funebri".
Vittorio Zincone
Corriere Canadese,
3.3.2005
Comunità
Conferenza di Jana Vizmuller Zocco
Una conferenza su Andrea Camilleri: la cucina siciliana del Comm. Montalbano
sarà presentata dalla Sicilian Cultural Society of Canada l'11 marzo
alle 19:30 presso la Columbus Room del Columbus Centre.
Alla conferenza parteciperà la professoressa della York University
Jana Vizmuller-Zocco.
Durante la serata sarà possibile assaggiare piatti tradizionali
della cucina siciliana molto amati dal comm. Montalbano.
La Sicilia, le passioni, l'ironia, la cucina sono elementi presenti
nel mondo di Montalbano e del suo autore, Andrea Camilleri che verranno
analizzati durante la conferenza.
Per informazioni e per confermare la propria partecipazione telefonare
alla segretaria Betty al 905-653-9295 o al presidente Roberto Bandiera
416-398-2180.
La Stampa, 4.3.2005
Al via su Rai Sat Extra il magazine "Buono a sapersi", satira su libri,
eventi, autori
Gnocchi: la cultrua? Che ridere
"Il sorriso ti mette davanti al vero significato"
[...]
C'è anche lo spazio per gli scoop editorial-demenziali della
serie"Chi scrive i libri di Enzo Biagi" oppure "E' vero che l'ultimo libro
di Baricco viene venduto all'Ikea come tramezzo?". E non mancano ardite
novità letterarie ("i cinque libri di Camilleri della settimana").
[...]
Raffaella Silipo
No Reply, 8.3.2005
Esce il 15 marzo per Ed. No Reply - Collana Velvet
Giallo Wave
Il principio del giallo: manuale pratico-teorico di narrativa
a cura di Federico Batini e Simone Giusti
Dal World Stage del Festival Arezzo Wave 2004 ad un manuale pratico-teorico
di narrativa con i contributi di mostri sacri del giallo come Joe R. Lansdale
e Nicoletta Vallorani e di musicisti come Boosta, Paola Turci, Piero Pelù.
Secondo libro del 2005 per l’attivissima casa editrice No Reply, che
dopo il successo del libro di Aldo Nove ispirato a Fabrizio De Andrè
passa ad un genere di narrativa diverso, ma sempre affascinante, il Giallo.
“Giallo Wave” (Velvet – No Reply) esce il prossimo 15 marzo e nasce
da un concorso letterario e da un’originale scuola di scrittura creativa
lanciati nell’ambito del World Stage del Festival Arezzo Wave in cui oltre
settecento partecipanti/aspiranti scrittori “rispondevano” a quattro "incipit
gialli" proposti da rispettivi quattro maestri del calibro di Andrea Camilleri,
Carlo Lucarelli, Marco Vichi e Diego Cajelli.
Il libro raccoglie quindi i racconti dei dodici vincitori, un’introduzione/racconto
di Marco Vichi, un pugno di eccellenti consigli di mostri sacri come Joe
R. Lansdale e autori di grande successo come Nicoletta Vallorani e si conclude
con un manuale di scrittura creativa a cura di Federico Batini e Simone
Giusti, significativamente intitolato "Il principio del giallo", dove vengono
svelati i segreti della tecnica del narrare - temi, note stilistiche, dimensioni
del racconto - suggerendo inoltre una serie di utili esercizi per dare
corpo alla propria creatività: per chiunque voglia sapere come si
scrive (e, perché no, come si legge!) un libro giallo.
All'iniziativa, hanno eccezionalmente partecipato "fuori concorso"
anche diversi musicisti di fama internazionale: Boosta dei Subsonica, Cesare
Basile, Piero Pelù, Paola Turci, Alex Cremonesi dei La Crus, Omar
Pedrini dei Timoria, Giulio Casale, Luca Morino dei Mau Mau, Riccardo Sinigallia
e Massimo Zamboni: basandosi sugli stessi incipit dei concorrenti, gli
artisti ospiti hanno fuso ritmo narrativo e cadenze musicali per creare
una serie di racconti brevi e sorprendenti.
I viaggi di Repubblica,
10.3.2005
Check-in. La valigia
Sergio Rubini
Fino a Capo Nord con lo zaino in spalla
[...]
Per questo ha lasciato la sua casa giovanissimo?
Volevo recitare e a 17 anni ho capito che lì non avrei mai potuto
riuscirci. Ad aprirmi gli occhi è poi stato Andrea Camilleri all'Accademia
d'arte drammatica. Un giorno, facendo lezione, disse che al suo paese sarebbe
tornato quando avesse dimenticato quante colonne aveva il palazzo comunale.
Soltanto allora mi sono reso conto che stavo fuggendo.
[...]
Diego Giuliani
Il Giorno, 11.3.2005
L’intervista - Andrea Camilleri:”La legge? Una forma di controllo”
“Di tabacco si muore, lo so. Però ora fatemi accendere”
«Mi levarono u piaceri de futteri, erano arrivati a dire
i bifolchi del Regno delle Due Sicilie quando misero la leva obbligatoria,
che lo Stato gli levava i figli proprio quando erano diventati due belle
braccia per lavorare. Ecco, co 'sta storia del fumo non solo ci stanno
togliendo i piaceri, ma sono arrivati fin sotto le nostre lenzuola. Le
sentenze non mi piace commentarle, però questa mi sembra il contorno
normale a quell' allineamento filoamericano che abbiamo scelto. Siamo gli
unici che hanno un divieto stretto come loro e siamo gli unici a essere
andati in Iraq».
Lui, come dice il tormentone di Fiorello, davvero con le Camel ci sta
fin da piccolo e solo adesso che ha superato gli ottanta è sceso
da quota sessanta sigarette al dì a quota trenta, «un vero
sfascio». Andrea Camilleri non è disposto a fare crociate
pro-fumo, perché è contro ogni crociata, compresa quella
anti, ovviamente, però appartiene all'invisibile setta i cui membri,
ogni volta che si accendono una 'bionda', sono convinti di accendere la
fiaccola della libertà.
Fuma da quando aveva i pantaloni corti.
«Da quando erano tempi più liberi e nessuno ci aveva detto
che era un vizio. Però - aggiunge con la voce di un gufo con l'enfisema
- mica ci voleva tanto anche allora a capire che, proprio bene, non faceva.
Ecco, con tutto il rispetto per quel poveretto che è morto, quello
s'è ammazzato volontariamente, nessuno l'aveva obbligato a fumare.
Sarebbe un po' come se uno va sulla Torre di Pisa e si prende una storta
a un piede e poi pretende di fare causa al comune. E che, non lo sapeva
che la Torre di Pisa pende da una parte?».
La sera prima, Camilleri si era goduto in tivù un bel filmone
di Howard Hawks, La furia umana, «e tutti fumavano come matti»,
roba che riproponeva anche una certa cultura. Però, un po' si può
dire, s'ammazzavano anche come matti.
«Ma questi sono comportamenti umani - ribatte -, come tanti altri
che hanno lati negativi. E' che non tollero un patronato del Potere nei
miei riguardi. Non capisco perché debbano rompere le scatole più
di quello che già facevano. Pensino al loro bene, che noi pensiamo
al nostro!».
Però, Camilleri, non si può obbligare gli altri a respirare
il nostro fumo...
«Certo che no! Io mi sono sempre limitato, davanti a chi gli
dà fastidio, davanti ai nipotini che sono piccoli, a mia moglie
quando sta poco bene. Allora c'ho la stanza dell'oppio, me ne vado nel
mio studio e non rompo le scatole agli altri. Quello che non va è
che te lo impongono per legge, con la scusa del fumo passivo. Ho letto
da qualche parte che vogliono vietare il pop com ai cinema, per il rumore
che fa il cellophane. Alla fine ci resterà solo la cocaina, non
esiste, credo, la cocaina passiva...».
Però, Camilleri, mettersi al pari con chi è più
avanti...
«No guardi:
VaI più un rutto del tuo pievano/ che l'America e la sua
boria!
Dietro all'ultimo italiano c'è cento secoli di storia!
Parole di Curzio Malaparte. Io, di fronte a certe cose divento reazionario.
Quello non è mettersi al pari, quello è allineamento culturale.
Il divieto di fumare è come il canone letterario, allinearsi, disporsi
in ranghi, allineati e coperti. Non ci sto. E' che ormai tentano di etichettare
un sacco di comportamenti umani come malattie, sindromi di qualcosa e,
se non ci riescono, tirano fuori la storia dei costi sociali. Alla fine
anche essere uomini diventa per loro la sindrome di qualcosa che va corretta.
E' un discorso che porta lontano, ma limitare la gamma dei comportamenti
umani gli consente di controllarci meglio. Lo temevamo che volevano arrivare
anche nella nostra sfera personale. Ecco, ci sono arrivati».
Nel telefono si sente la prima boccata di una nuova sigaretta che interrompe
per un attimo la corrente delle parole che subito riparte: «Poi,
guardi, è tutta solo un'operazione di facciata e basta. Quanti sono
i morti ogni anno per i gas delle auto? Perché sulle macchine non
ci scrivono “Proteggi i bambini: non fare loro respirare il tuo fumo, proprio
i bambini che sui passeggini viaggiano ad altezza di tubo di scarico”.
E' ipocrisia e una nuova forma di razzismo. E, poi, da giallista, è
anche un bel business per le assicurazioni».
No, scusi: cioè?
«E certo! Quello muore anzi tempo e l'assicurazione dice 'Non
pago, perche ho scoperto che fumava'. Chiaro, no?
Comunque loro con questa storia distraggono dai problemi veri. Questo
è il Paese dove
c'è gente che ha mandato operai a morire ed è stata assolta.
Questo è il Paese dove Cristo si è fermato a Eboli per non
prendere la Salerno-Reggio Calabria».
Mario Spezi
l’Unità, 11.3.2005
Una notte degli imbrogli e un finto martire: Camilleri indaga
Camilleri non mistifica ma demistifica, non monta ma smonta, non costruisce
ma decostruisce. Decostruisce da romanziere attento alla storia, non da
studioso accademico. Camilleri si ispira alla storia, per raccontare delle
storie, con il suo stile ironico-critico. Da romanziere ha diritto a reinventare
una vicenda, ma questo non gli impedisce di coglierne l´essenza.
Se non si inquadra nell´ottica giusta, non si comprende il papà
del commissario Montalbano, soprattutto quando è autore di romanzi
storici, quali l´ultimo: “Privo di titolo”, edito da Sellerio (pagine
320, euro 11,00), nelle librerie il 17 marzo. Un libro ambientato nel periodo
del fascismo, che già fa discutere. Ed è la storia di «un
eroe immaginario in un paese immaginario». Un romanzo ispirato alla
vicenda di Luigi Gattuso, detto Gigino, «unico martire fascista»
che Camilleri ha scoperto esser «stato ammazzato dai suoi per errore».
Se dapprima viene incolpato un giovane muratore socialista, in seguito
il suo avvocato riuscirà a dimostrare che non fu lui a sparare il
colpo mortale.
Un caso controverso dunque ispira la trama di questo nuovo libro di
Camilleri, che crea polemiche, e sul quale vi sono versioni differenti
da quella dello scrittore di Porto Empedocle. Che però, non ha scritto
un saggio storico, ma un romanzo. Un romanzo nel quale questa vicenda si
interseca con il racconto di Mussolinia, la città che doveva essere
eretta in onore di Mussolini vicino a Caltagirone (la patria di Don Luigi
Sturzo), ma della quale fu posta solo la prima pietra. Mussolinia non fu
mai costruita, tranne che artificiosamente nel fotomontaggio mostrato al
Duce. Camilleri racconta il tutto con un linguaggio ironico e graffiante,
con il suo stile sui generis ed inconfondibile.
Ma qual è complessivamente l´operazione culturale dello
scrittore di Porto Empedocle? Lo spiega con chiarezza uno dei più
acuti critici della storia della letteratura italiana, Silvano Nigro, docente
alla Normale di Pisa. Nigro scrive in uno sciasciano risvolto di copertina
che: «Camilleri indaga sulla mistificazione: e smonta, dal didentro,
un "monumento" di mendacità, di santificazione e manganellante propaganda,
costruito e recitato in drappi neri attorno alla memoria del presunto "unico
martire fascista siciliano". La narrazione trascorre dai registri della
malizia burlesca a quelli della moralità tragica(...)». È
un Camilleri , quello dei romanzi storici, che va compreso nell´ottica
della critica demistificatrice. Nel gioco sottile e raffinato tra finzione
e verità, che manzonianamente racconta e smaschera. Con l´occhio
attento del romanziere che sa guardare le cose, mosso da uno spirito critico
e non dogmatico. Come ben interpreta e chiarisce Nigro: «Con un sentimento
di magnanima pietà, al di sopra delle parti, rivolto alle due vittime
diversamente innocenti della messinscena di verità. Innocente e
tormentato è il comunista che dell´omicidio si autoaccusa,
ed è accusato. Incolpevole è il defunto fascista, che ovviamente
è estraneo alla postuma cospirazione politica; ed è defraudato,
nella sua deserta solitudine, della dignità di "semplice morto privo
di titolo", ammazzato (per sbaglio) da un altro fascista». Questa
è la cornice storico-filosofica, cultural-letteraria per comprendere
il nuovo libro di Camilleri. Nigro argomenta: «Tutto comincia nel
1921, con una notte degli imbrogli che Camilleri ripassa alla moviola,
cinematograficamente, per rallentarla e di volta in volta rileggerla nel
fermo immagine. Tutto si scheggia nel tempo spezzato delle testimonianze
vere e false, e si ricompone nell´impostura cui danno mano frottolai,
intimiditi ipocriti, "òmini d´ordine" e "òmini d´onore".
La "santità" della vittima cresce con la politica del manganello
e dell´olio di ricino; e con il montare dell´orda fascista
che, come sempre accade nelle dittature, vorrebbe una magistratura allineata».
La questione giustizia, da Montalbano ai romanzi storici, è
una riflessione costante nell´opera camilleriana. Nigro continua:
«E intanto siamo già al 1930. E alla bricconata della controbeffa,
che ridicolizza e lascia nudo nelle sue velleità di duce, operaio
dell´inaugurazione e della prima pietra, il baccalare sommo della
suprema beffa storica». Si perché: «I gerarchi di Caltagirone
offrono e intestano a Mussolini una stupefacente città turrita,
che esiste solo nella realtà illusoria di un fotomontaggio. E al
fotomontaggio, la controbeffa aggiunge il mare trasportato di peso nell´entroterra:
con ornamento di barche e reti messe ad asciugare. Se il monumento mendace
è cresciuto su se stesso e si è gonfiato sulle nuvole, fino
a diventare strutturata urbanistica di torri aeree, basta lo specillo di
un narratore perché la bolla virtuale esploda». E la scrittura
sciascianamente illumina e disincanta, critica e decostruisce, svela e
palesa. Non a caso Nigro chiosa: «E dello spacconeggiar della storia
faccia letteratura». Quella letteratura che nel suo svelare, senza
pretese dogmatiche, aiuta a riflettere sulla storia, ed anche sulla realtà
contemporanea.
Salvo Fallica
11.3.2005
Camilleri, Montalbano, la cucina siciliana dalla Sicilian Cultural Society of Canada
Piu` di ottanta persone si sono trovate al Columbus Centre di Toronto l’11 marzo 2005
per dare omaggio al grande scrittore di Porto Empedocle, Andrea Camilleri e alla sua
esubertante creativita` letteraria simboleggiata dal commissario di polizia Salvo
Montalbano. Nel discorso introduttivo, il presidente della SCS Roberto Bandiera ha
descritto le attivita` culturali della societa` che sono varie e ben accolte dal folto
pubblico. Betty Lepore, la organizzatrice della serata, ha inquadrato l’importanza del
cibo nei romanzi dello scrittore empedoclino, presentando i libri da cui sono stati letti
dei brani scelti che descrivono la golosita` del commissario ma anche la sua conoscenza
del buon cibo e le sue idiosincrasie alimentari. A leggere i brani scelti sono stati
Gianna Quaglieri, una studentessa della York University, Ugo Lepore, Enzo di Mauro, il
prof. Salvatore Bancheri dell’Universita` di Toronto, Orazio Zocco, e lo stesso Roberto
Bandiera. Dopo questo simpatico assaggio della lingua di Andrea Camilleri, la
professoressa Jana Vizmuller-Zocco della York University, con l’aiuto tecnologico di Ugo
Lepore, ha offerto una breve biografia dello scrittore, soffermandosi sul fatto che egli
e` un uomo di teatro e come tale sa fare il “tragediatore”. Le sue opere includono non
solo i romanzi gialli, ma anche altri lavori, sopratutto i libri di grande respiro
storico. I gialli con il protagonista Salvo Montalbano sono quelli che continuano a
riscuote il successo del pubblico, anche se non mancano polemiche che vedono lo scrittore
come colui che vende troppo e dunque non puo` pubblicare lavori validi. Sono state poi
suggerite varie risposte alla domanda “Perche’ Camilleri indugia con le descrizioni del
modo di mangiare e le ricette nei romanzi gialli che per definizione devono presentare
azioni veloci che portano a una soluzione del caso?”. Prima di tutto, Camilleri dice che
fa mangiare al personaggio quello che non puo` piu` mangiare lui stesso, e allora c’e` una
specie di compensazione letteraria. Inoltre, Montalbano mangia da solo (echi di Kafka) e
solo cosi` riesce a distaccarsi dalla realta` criminale fatta di violenze e soprusi di
ogni tipo. Per di piu`, Montalbano, da “sbirro” nato, anche mangiando fa l’indagine: e si
chiede per esempio, se ci si sente o no sapore di prezzemolo? Il commissario perde la
mamma da piccolo, e mangiando bene vuole riempire questa lacuna, fatta piu` grande dal
fatto che la sua fidanzata Livia non solo non sa cucinare, ma non abita vicino.
L’insistenza sulle ricette siciliane tradizionali e` una risposta camilleriana alla
massiccia influenza anglo-americana che penetra nella cultura e nella lingua italiana.
Le indigestioni fanno pure parte della tensione esistenziale del commissario.
Ringraziando pubblicamente Filippo Lupo, presidente del Camilleri Fans Club, e citando
Gian Paolo Biasin, Jana Vizmuller-Zocco ha chiuso il discorso dicendo che la letteratura
rende il legame tra il cibo e la vita piu` forte, e il suo essere “invenzione” porta a un
nutrimento spirituale.
Il pubblico e` stato invitato poi a degustare pietanze (cucinate seguendo le ricette
di Camilleri) preparate dalle signore Lepore, Passalacqua, di Mauro, Vivona, Camarda. Gli
antipasti, serviti sulla tavola di zona “Vigata”, includevano la caponata, le alici; i due
primi piatti (serviti nella zona “Montelusa”), la pasta ‘ncasciata e la pasta alla Norma,
hanno fatto leccare le dita dei presenti, cosi` come i secondi piatti, tra cui gli
involtini di carne. Tra i dolci (zona “Tindari”) non potevano mancare i cannoli, la
cassata siciliana e il cuscus alla dolce.
Il tutto preparato “come Dio comanda” e apprezzato da tutti i presenti. Ecco un altro
esempio di un’attivita` culturale che la Sicilian Cultural Society sa presentare cosi`
bene.
Jana
La Repubblica
(ed. di Palermo), 12.3.2005
Con "Senza titolo" [Sic!, NdCFC] (Sellerio) Camilleri torna
al racconto storico
Un romanzo alla moviola il nuovo Camilleri
Realtà e finzione letteraria si inseguono spesso nelle pagine
di Andrea Camilleri. Si confondono, si alternano. Per poi alla fine amalgamarsi
in un impasto tragicomico, farsesco. I suoi romanzi storici, ambientati
in un brumoso Ottocento quanto mai contiguo alla nostra realtà politica,
sono lì a testimoniarlo, dalla "Bolla di componenda" alla "Concessione
del telefono". E in questo filone si inserisce anche l´ultimo libro
dell´autore empedoclino, Privo di titolo (Sellerio, 296 pagine, 11
euro, da giovedì in libreria), ambientato questa volta nel secolo
scorso. Sono gli anni in cui va forte l´olio di ricino. Gli anni
in cui una manganellata non la si nega a nessuno, specie se "rosso".
A dare la stura alla fantasia di Camilleri due fatti di cronaca, che
in questi giorni sono rimbalzati da un giornale all´altro, ancor
prima che il romanzo venisse fuori.
Da un lato, la morte di Luigi Gattuso, detto Gigino, attivista fascista
di Caltanissetta ucciso a 18 anni il 24 aprile 1921, e la conseguente condanna
del presunto assassino, il comunista nisseno Michele Ferrara; dall´altro,
la colossale beffa di Mussolinia, la città fantasma dedicata al
duce e mai eretta. Ci sono insomma tutti gli ingredienti per trasformare
il romanzo di Camilleri in un caso politico e ideologico. Ma atteniamoci
al racconto del padre del commissario Montalbano.
Un racconto impeccabile nel montaggio: ad apertura, una sorta di premessa,
che prende le mosse dai ricordi dell´autore, e precisamente dalla
«grande adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta»
il 21 aprile del 1941. Adunata alla quale partecipa il giovane Camilleri.
Poi si passa alla presentazione dei personaggi della vicenda narrata, da
Calogero Grattuso (nella realtà Gigino Gattuso) a Michele Lopardo
(al secolo Michele Ferrara) a Antonio Impallomèni (Santi Cammarata).
Dalla galleria dei ritratti si passa al «fermo immagine», ossia
alla moviola di montaggio, che «serve a bloccare un fotogramma»
e a «studiare ogni particolare che vi è impresso», come
spiega lo stesso autore.
Si tratta di un vero e proprio pezzo di bravura, nel quale il Camilleri
regista e uomo di teatro ricostruisce e smonta con abilità straordinaria
il fattaccio, cioè la rissa che poi degenerò causando la
morte di Grattuso. La dinamica della zuffa prende corpo lentamente, e pagina
dopo pagina la scena viene occupata da tutti gli attori, che sono quattro:
Grattuso, in compagnia dei camerati Impallomèni e Titazio Sandri,
e Lopardo. Prima le pedate e le bastonate, poi gli spari. E ci scappa il
morto, subito elevato agli onori dell´altare fascista. I suoi funerali
sembrano quasi la festa del patrono, e l´odio in camicia nera monta
sino al parossismo: «Non ci potrà mai essere concordia fino
a quando gli assassini comunisti saranno liberi di esistere e d´ammazzare»,
proferisce il barone Talè di Santo Stefano davanti al "tabbuto",
che «pare galleggiare supra un mare di bandiere, gagliardetti, cappelli
e vastoni gettati ´n terra o persi nel fui fui generale».
Il compagno Michele Lopardo, sbattuto subito in cella, non si capacita:
non era sua intenzione ammazzare Gattuso, i due colpi da lui esplosi dovevano
solo allontanare gli aggressori. I quali dal canto loro forniscono una
diversa versione dei fatti: gli sporchi comunisti avevano dato l´abbrivio
alla rissa, e le cose erano degenerate. Il tenente dei carabinieri Pellegrini,
che assomiglia alla lontana al commissario Montalbano, vuole fare chiarezza,
in mezzo alla giungla della burocrazia isolana e alle violente ebollizioni
di un movimento antibolscevico che sta per essere trasformato in partito.
A questo punto Camilleri inframmezza il racconto con referti, rapporti,
lettere, fonogrammi, verbali, trascrizioni di interrogatori, necrologi,
articoli della stampa di allora: il ritmo leggiadro della scansione narrativa
fa venire in mente quello impeccabile della "Concessione del telefono".
Le dichiarazioni dei vari testimoni non coincidono, e nella falla della
ricostruzione ufficiale Camilleri inietta il veleno della sua penna, rileggendo
tutta la storia da un´altra specola. Ed ecco il risultato: la vicenda
si ribalta, e la storia dell´unico mito del fascismo rivoluzionario
nisseno e della Sicilia intera si trasforma in una spregevole impostura,
in una «solenne mistificazione che sostituiva la realtà con
una realtà virtuale, inesistente».
Molto simile a un´altra clamorosa falsificazione che in quel
giro di anni si consuma in Sicilia, e nella fattispecie nel bosco di Santo
Pietro a pochi chilometri da Caltagirone: l´ascesa di Mussolinia,
la città forestale dedicata al duce che in teoria, una volta realizzata,
avrebbe dovuto accogliere «duemilacinquecento famiglie di viddrani»,
e che in pratica non fu mai costruita, se non nella finzione di un fotomontaggio.
«Gigino ? conclude Camilleri ? fu il protomartire di una realtà
stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accomodati
a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata
dal potere». E Mussolinia fu la prova di come quella "realtà
stracangiata" fosse solo una beffa, una bolla pronta ad esplodere. Ma su
tutto, domina nelle pagine di Camilleri un´amara parafrasi cristologica:
quella che investe Michele Lopardo, martire vero nella pantomima del fanatismo.
Salvatore Ferlita
La Repubblica
(ed. di Milano), 12.3.2005
Ugo Dighero fa il Pierino alla Verdi
Sarà l´attore Ugo Dighero a fare da voce recitante oggi
pomeriggio nel concerto intitolato "Favole al tramonto", con l´orchestra
Verdi diretta da Fabrizio Dorsi. Personaggio televisivo in ascesa - ha
lavorato nella fiction di "Medico di famiglia" e in programmi di target
giovanile ("Avanzi", "Mai dire gol" con la Gialappa´s Band), oltre
che attore di prosa nei lavori di Stefano Benni, con qualche esperienza
nel teatro musicale (come il recente Candide di Leonard Bernstein a Genova)
- Dighero rimpiazza il comico Massimo Boldi, che ha dato improvvisamente
forfait per non mancare alla cerimonia del Premio Saint Vincent di Aosta.
Due le favole in programma, per il ciclo pomeridiano del "Crescendo in
Musica".
In apertura c´è “Magarìa2 con le musiche del compositore
siciliano Marco Betta e il testo dello scrittore Andrea Camilleri. La vicenda,
tratta da un racconto del "padre" del commissario Mantalbano, è
quella di una bambina di 6 anni (Lullina) capace di scomparire al suono
di una frase magica. Una volta che la piccola svanisce (e il nonno, ignorando
la parola-chiave, non riesce a farla ritornare) tutto sembra compromesso,
ma alla fine dopo molte vicissitudini arriva fortunatamente il lieto fine.
“Magarìa” (che in dialetto siciliano significa appunto magìa)
fu eseguìta in occasione del Carnevale di Ravenna nel 2001 e ora
viene riproposta con una nuova strumentazione.
In chiusura risuona invece il popolarissimo “Pierino e il lupo” di
Prokof´ev: ormai un must nelle stagioni classiche per bambini, che
nella parte del narratore sfoggia sempre più spesso attori, comici
e personaggi di richiamo.
Auditorium, largo Mahler, ore 15.30, biglietti 6.50/13.50 euro, info
e prenotazioni 02.83389201
Luigi Di Fronzo
ANSA, 12.3.2005
G8: Bolzaneto, PM depositano memoria di oltre 500 pagine
Genova - Trattamento inumano e degradante in violazione dell'art. 3
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali.
Cosi' i pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno definito
gli insulti, il sadismo, i calci, i pugni e le botte, che hanno rasentato
la vera e propria tortura, subiti dagli arrestati che sono transitati nella
caserma di Bolzaneto durante il G8 del luglio 2001.
I pm hanno tuttavia contestato agli indagati, poliziotti, medici, guardie
carcerarie, carabinieri, come scelta ''prudenziale'', la violazione dell'art.
3 della Convenzione dei diritti umani e non la tortura ''per la durata
del trattamento rapportata al tempo di permanenza dei detenuti presso la
struttura''.
Il ''j'accuse'' e' contenuto in una memoria di 534 pagine depositata
e illustrata oggi al gup Maurizio De Matteis, nel corso dell'udienza preliminare
per i fatti di Bolzaneto, per cui sono stati chiesti 47 rinvii a giudizio.
Sono 15 dirigenti e agenti della polizia, 16 dirigenti e agenti della polizia
penitenziaria, tra cui il generale Oronzo Doria, 11 carabinieri e 5 medici,
di cui 3 donne.
I magistrati hanno ricordato ''il taglio di ciocche di capelli a Taline
Ender, Massimiliano Spingi, e Sanchez Chicarro, lo strappo della mano a
Giuseppe Azzolina, il capo fatto infilare nel wc alla turca a Ester Percivati,
l'umiliazione di Marco Bistacchia costretto a mettersi carponi e ad abbaiare
come un cane e il pestaggio di Mohamed Tabbach, persona con un arto artificiale''.
E' stato anche rievocato l'episodio umiliante imposto ad Hinrrichs
Meyer Thorsten, costretto a indossare un cappellino rosso con la falce
e un pene al posto del martello, con il quale e' stato costretto a girare
nel piazzale senza poterlo togliere.
Per sottolineare lo stato dei detenuti nella caserma, la pubblica accusa
ha citato anche un brano del libro ''Un anno di Costituzione italiana:
art.13'' di Andrea Camilleri, il quale parlando delle torture in Iraq,
sottolinea che ''l'occhio immediatamente ti cadeva non sull'ebete e sadica
soddisfazione del torturatore, ma su chi veniva torturato riducendolo a
cosa, a oggetto, ad armalo: manichino per addestramento.., ex omo ora cane
al guinzaglio... non piu' omo ma solo un pezzo di carne trimante offerto
alla vucca spalancata di un cane''.
[...]
La Stampa
- ttL, 12.3.2005
A Cesenatico
Il giallo nella letteratura italiana del '900
L'annuale corso di aggiornamento rivolto agli insegnanti di lettere
delle scuole superiori (e organizzato da Casa Moretti) ha per il 2005 come
tema:"Il giallo nella letteratura italiana del '900". il seminario si terrà
il 10 marzo a Cesenatico, nel Museo della Marineria. Relazioni di Enzo
Cremante su Carlo Emilio Gadda, di Marco Sangiorgi su Giorgio Scerbanenco,
di Arnaldo Bruni su Leonardo Sciascia, di Elvio Guagnini su Andrea Camilleri
e di Andrea Battistini su Giuseppe Pontiggia. In serata incontro con gli
scrittori Eraldo Baldini, Carlo Lucarelli e Loriano Macchiavelli. Per ulteriori
informazioni: 0547/79279, www.casamoretti.it
Giornale di Sicilia, 13.3.2005
L'anteprima. Sarà in vendita da giovedì, ma ha già
scatenato polemiche il suo nuovo libro ispirato al delitto di gigino Gattuso,
militante fascista
Camilleri ritorna col "giallo" del martire
La vittima freddata a diciotto anni nella Caltanissetta degli anni
Venti, durante una rissa col comunista Michele Ferrara condannato, ma poi
prosciolto in appello
Palermo. Il nuovo libro di Camilleri ha provocato polemiche ancora prima
di essere disposto sugli scaffali delle librerie. Ci arriverà giovedì
(“Privo di titolo”, Sellerio, pp. 296, 11 euro) e potete scommettere che
«il vivamaria» continuerà. L'ultima fatica dello scrittore
di Porto Empedocle appartiene al filone storico e prende le mosse da un
episodio della storia siciliana: l'uccisione a Caltanissetta del diciottenne
Gigino Gattuso «unico mito del fascismo rivoluzionario dell'intera
Sicilia», come ricorda un articolo apparso sul “il Secolo d'Italia”
- il quotidiano di An - che ha contestato (col romanzo ancora in rotativa)
la ricostruzione che ne fa Camilleri.
Gigino Gattuso venne ammazzato a colpi di pistola il 24 aprile del
1921 nel corso di una rissa. Gattuso era in compagnia di due amici, camerati
come lui, quando incrociarono il muratore comunista Michele Ferrara. Dopo
offese e ingiurie si passò alle vie di fatto. E alle pistolettate,
una delle quali troncò l'esistenza di Gigino. Chi fu l'assassino?
Ferrara ebbe in primo grado una condanna per omicidio volontario che in
appello sfumò in un'assoluzione per legittima difesa con l'assistenza
di un grande avvocato agrigentino, Calogero Cigna, assicuratagli dai compagni
di partito. Su quel fatto le versioni furono e restano divergenti: per
i fascisti Gattuso venne ammazzato da un comunista (ciò consentì
di farne un martire a cui è dedicata, tutt'ora, una strada a Caltanissetta
e anche un vicolo a Palermo nella zona di piazza Olivella), la sinistra
invece sostenne che Gigino fu assassinato involontariamente da un suo amico
camerata nella furia della rissa; del resto l'assoluzione dell'imputato
«salvò capra e cavoli: rimise in libertà il presunto
assassino ma non consentì le indagini sul vero assassino».
Da qui quel manifesto anonimo (da cui prende titolo il romanzo) che poneva
un interrogativo: «Un fascista ammazzato da un altro fascista può
essere chiamato martire fascista? Oppure è un semplice morto ammazzato
privo di titolo?».
Camilleri, con la sua cifra stilistica inconfondibile, su quel «fattaccio»
costruisce il romanzo, attraversato da molti personaggi e documenti, che
smonta pezzo dopo pezzo, come al ralenty, la versione ufficiale. Nelle
pagine trova spazio anche un altro episodio di storia siciliana, una beffa:
la fondazione di Mussolinia, una città dedicata al Duce nei pressi
di Caltagirone, ma esistita solo in una specie di fotomontaggio.
La vicenda che ha per protagonista Gattuso serve al papà di
Montalbano non tanto a smascherare un'impostura, quanto a raccontare l'ingranaggio
della mistificazione che scatta (complici giornali, investigatori e giudici)
solo per compiacere a regime che deve celebrare se stesso. Lo stesso Camilleri,
alla fine del libro, dopo avere precisato che la sua opera non ha alcuna
volontà denigratoria nei confronti di Gigino Gattuso, spiega il
senso dei suo lavoro: «Gigino fu il protomartire di una realtà
stracangiata con violenza dalla volontà politica, dai giornali accodati
a quella volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata
dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza alcun rispetto
per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva
la realtà con una realtà virtuale, inesistente. E il comunista
Michele Ferrara (nel romanzo il personaggio ha il nome di Michele Lopardo
ndr) che passò per assassino, patì incolpevole una via crucis,
un vero martirio di arresti e confino, fame e umiliazione, per anni e anni».
Ma evidentemente Camilleri, che deve tutte le notizie sul «caso»
a un libro del giornalista Walter Guttadauria «e non finirò
mai di ringrazialo», ha toccato una ferita ancora insospettabilmente
aperta se l'11 febbraio scorso “il Secolo d'Italia", quotidiano di Alleanza
nazionale, a nove colonne titola «Un infortunio di Camilleri».
Mentre “l'Unità” di due giorni fa parla di «Una notte di imbrogli
e un finto martire». Il «vivamaria» è appena iniziato.
Giancarlo Macaluso
"Lillino e quella sicaretta eternamente in vucca"
Per gentile concessione della casa editrice Sellerio pubblichiamo
in anteprima uno stralcio del romanzo di Andrea Camilleri che inquadra
la figura di Gigino Grattuso (Gattuso nella realtà), martire fascista.
Lillino Grattuso era un dìciottino che faciva la terza liceo.
Di bona famiglia e di bona ducazione, vistiva cchiù a modo che liganti,
la sicaretta eternamente in vucca, la taliata mauziusa, un surriseddru
di superiorità sulle labbra. Non si potiva propio diri un picciotto
simpatico. A scola, i sò compagni lo scansavano e a malgrado che
non studiava, i professori lo promuovevano l'istisso, soprattutto per rispetto
alla famiglia.
Fascista, per una specie di continua mattana di giovinanza era sempre
primo nelle manifestazioni della «Lega antibolscevica», fondata
da un picciotto tanticchia cchiù granni di lui, il baronello Federico
Talè di Santo Stefano, manifestazioni che finivano a pagnittuna,
timpulate, vastoniate, coltellate e sputazzate negli scontri con gli odiati
rossi. I quali rossi, nel sittembiro avanti avevano conquistato la maggioranza
in municipio e avivano fatto eleggere come vicesinnaco il capo degli zolfatari,
Agostino Cassar. La facenna aviva squasi fatto nesciri pazzi di raggia
per la sconfitta Federico Talè di Santo Stefano e i sò leghisti,
Addolorato Mancuso e i sò fascisti, Arcangelo Lopane e i sò
nazionalisti.
Si erano messi tutti assieme per le elezioni, avivano girato casa casa
per convinciri i borgisi del prìcolo che erano i rossi, avivano
spinnuto soldi e sudore, ma non ce l'avivano fatta contro quella feccia
dell'umanità che erano i surfatari, i ferrovieri, i muratori, i
viddrani di campagna. La vrigogna della sconfitta viniva aggravata dal
fatto che questa gentaglia, quanno per una manifestazione si trovava a
passare, bandiere rosse in testa, davanti al civico 88 di via Roma, indovi
avivano sede comune fascisti, leghisti e nazionalisti, immancabilmente
isava il vrazzo destro col pugno chiuso, sovrapponendogli, all'altezza
del bicipite, il palmo della mano mancina. Il tutto accompagnato da un
subissante coro di frisca e pìrita.
Il che era puntualmente capitato macari sabato 23 d'aprili e il baronello
Talè di Santo Stefano si era arraggiato tanto che gli era vinuto
un attacco, era caduto narrè dritto come un vastoni di scopa, l'occhi
sbarracati e arrivoltati, la vàvira bianchizza che gli nisciva dalla
vucca.
Con una semprici taliata, Nino, Titazio e Lillino avivano addeciso
di lavare l'offisa alla prima occasione. Quanno quella sira del 24 Lillino
arrivò alla taverna, ci attrovò solo a Titazio. «E
Nino?». «Sì vede che stasera la signora Adelina ha bisogno
del contropelo» fece Titazio. Lillino si era appena assittato che
propio in quel momento cinco pirsone si fermarono davanti alla porta. «Che
facciamo? L'aspittamu fora o intanto trasemu?» spiò uno. «Trasemu»
arrispunnì un altro. E accusati Lillino e Titazio vittiro in faccia
i cinco che intanto pigliavano posto a un tavolo granni. Erano Savaturi
Jacolino, Pepè Biancheri, Totò Cumella, Ciccio Spampinato,
Cataldo Farruggia, tutti muratori, tutti cornuti socialisti. La squatra,
al completo, del capomastro Michele Lopardo. «Che vi porto?»
spiò ai muratori il patrone della Santa Petronilla. «Ora nenti»
fece Totò Cumella. «Stiamo aspittanno a Michele» gli
spiegò Ciccio Spampinato. «Amuninni» disse a voce vascia
Lillino. Titazio lo taliò strammato. «E perché? Questi
qua non pare abbiano l'intenzione di fare casino». «Amuninni»
ripetè Lillino susennosi e avviannosi verso la porta. Titazio agguantò
il vastone da pecoraro dal quale non si separava mai e lo seguì.
Niscirono all'aperto, faciva gìà scuro, il lampione allato
alla porta era stato addrumato. «Vuoi spiegarmi che ti ha preso?».
«L'hai capito a chi stavano aspettando quelli là?».
«Certo, aspettavano Michele Lopardo. E allora?». «Se
ci sappiamo fare e arrinisciamo a intercettarlo da solo, mentre sta vinendo
qua, i sò cumpagnuzzi l'aspitteranno per un pezzo» disse Lillino
tirando fora dalla sacchetta il pugno di ferro che si portava sempre appresso.
Nino Impallomeni in quel momento arrivò di corsa.
La Stampa, 13.3.2005
Esce “Privo di titolo”, storia (ispirata alla realtà) di un
delitto nella Sicilia del fascismo squadrista: sullo sfondo lo scontento
politico dell’isola
Camilleri - Il martire sbagliato
Nel più recente e aggiornato dei libri di storia dedicati alla
violenza squadristica che segnò l'ascesa al potere di Mussolini
(Mimmo Franzinelli, "Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza
fascista, 1919-1922", Mondadori, Milano 2003) la presenza della Sicilia
è decisamente marginale. L'epicentro dello scontro fu al Nord, in
Emilia-Romagna, in tutti i luoghi in cui puntualmente, dopo il 25 aprile
1945, sarebbe scattata la vendetta di chi quella violenza aveva subito.
Solo alle pagine 322 e 324 ci si imbatte in queste due scarne note di cronaca:
«24 aprile 1922. A Caltanissetta i fascisti incendiano il circolo
ferrovieri; negli scontri è colpito mortalmente da una rivoltellata
lo studente diciottenne Luigi Gattuso»; «28 aprile 1922. Panico
e morti ai funerali del fascista Gattuso. A Caltanissetta le esequie del
giovane Gattuso sono turbate da una sparatoria: nella ressa che ne segue
muoiono tre persone; devastate per ritorsione le sedi sovversive socialiste».
Tutto qui. Per gli storici.
Poi è intervenuto Andrea Camilleri con il suo nuovo romanzo
"Privo di titolo" (pp. 296, €11), in uscita da Sellerio il 17 marzo.
E di colpo il giovane Gattuso, il suo presunto assassino (il muratore socialista
Michele Ferrara), i fascisti siciliani, gli antifascisti, carabinieri,
poliziotti, pretori, tutti i protagonisti di quella lontana vicenda, insomma,
hanno preso ad animarsi, a uscire dalla dimensione puramente cartacea in
cui era stata imprigionata la loro esistenza.
«Verso la metà d'aprile del 1941 il professore di cultura
militare del ginnasio liceo "Empedocle" di Girgenti, avvocato Francesco
Mormino, principiò a firriare classi classi per spiegare a noi alunni
(io allora andavo in prima liceo) il comu e il pirchì della grande
adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta il 21 di
quello stesso mese. Il professore ci spiegò che ci saremmo dovuti
recare a Caltanissetta per rendere omaggio all' unico martire fascista
siciliano, Gigino Gattuso, del cui sacrificio supremo ricorreva il
ventennale». Il racconto di Camilleri comincia così, con un
piccolo brano autobiografico. Subito dopo, però, i ricordi si allontanano
dal registro della memoria e acquistano le cadenze narrative del romanzo;
gli stessi personaggi storici cambiano nome (il giovane fascista si chiama
Lillino Grattuso, «un diciottino che faciva la terza liceo. Di bona
famiglia e di bona educazione, vistiva cchiù a modo che liganti,
la sicaretta eternamente in vucca, la taliata maliziusa, un surriseddro
di superiorità sulle labbra»; il presunto assassino Michele
Lopardo, «vintinovino, maritato e patre di dù figli nichi,
si è fatta la guerra e doppo, congedato e tornato in paìsi,
ha ripigliato il travaglio sò di capomuratore, apprezzato e onesto»),
i documenti che l'autore cita (rapporti di polizia, carteggi, sentenze,
fonogrammi, articoli di giornali) smarriscono il loro statuto di fonti
di archivio per diventare parte integrante della trama, segmenti strategici
della narrazione.
Il passaggio dalla storia al romanzo è folgorante: i disordini
al funerale di Gattuso - citati da Franzinelli - diventano una scena di
massa, una bolgia nella cui descrizione, alla fine, sono gli spunti comici
a prevalere: «I portatori in cammisa nìvura abbannunano la
guardia al feretro e ammuttano, i portatori di labari e gagliardetti li
gettano 'n terra e ammuttano, ammuttano le Autorità, ammuttano le
Madri, ammuttano le guardie civiche in alta tenuta, ammuttano gli scolari,
ammuttano i maestri, ammuttano gli studenti, ammuttano i professori, ammutta
la banda comunale, ammuttano i combattenti, ammuttano i reduci, ammuttano
i fascisti, ammuttano i nazionalisti, ammuttano i liberali, ammuttano i
popolari, ammuttano i borgisi, ammuttano i civili, ammutta la gente vascia,
ammuttano i carritteri, ammuttano i viddrani, ammuttano gli impiegati e
ammutta chi t'ammutta un foresteri, tale Pomodoro Giovanni, viene impicciato
contro un muro e scrafazzato come l'ortaggio omonimo».
Ma la storia non scompare. II romanzo attraversa senza reticenze tutti
i «nodi» storiografici più significativi relativi alle
origini del fascismo, soprattutto per quanto si riferisce alle sue specificità
meridionali. Già nella contrapposizione tra il giovane studente
e il muratore è fortissima l'accentuazione dell'impronta classista
che il confronto tra fascismo e antifascismo assunse nel Sud. Così
come nel tumulto di piazza seguito ai funerali e in altre pagine è
possibile distinguere nitidamente le varie componenti politiche e istituzionali
confluite nel «fascio», con particolare riferimento all'egemonia
assunta dal movimento dai nazionalisti e dagli ex combattenti (all'inizio
i fascisti veri e propri erano una sparuta minoranza).
Non solo; gli stessi propositi eversivi e rivoluzionari che animarono
il fascismo agrario e lo squadrismo dei ras della pianura padana, in Sicilia
si stemperarono subito in un esplicito richiamo alla legalità, alla
pura e semplice restaurazione dell'ordine: fu una scelta che coinvolse
l'intera classe dirigente dell'isola che abbandonò senza rimpianti
uno Stato liberale giudicato ormai troppo imbelle per tutelare i propri
interessi. E nel romanzo lo Stato liberale c'è, al solito rappresentato
da Camilleri non nel suo profilo istituzionale ma direttamente negli uomini
in carne e ossa che in nome di quelle istituzioni agivano; se ne respira
così la crisi profonda, lo smarrimento di un senso del dovere che
in Sicilia, per ovvie ragioni, era ancora più marcato che nel resto
d'Italia, la connivenza esplicita con gli squadristi senza la quale mai
il fascismo sarebbe riuscito a sfondare militarmente.
Certamente non tutti i magistrati erano pronti ad assolvere i fascisti
assassini, non sempre le forze dell'ordine assistevano indifferenti o complici
alle stragi e alle violenze, e ci furono servitori dello Stato che cercarono
di fare fino in fondo il proprio dovere. Qualche anno fa, un libro di Luigi
Monardo Faccini, "Un poliziotto per bene", aveva richiamato l'attenzione
degli storici sulla figura affascinante dell'Ispettore Generale di polizia
Vincenzo Trani, plenipotenziario in Lunigiana per l’allora presidente del
Consiglio Bonomi, intervenuto nelle indagini sui «fatti di Sarzana»
(gli scontri a fuoco in cui, il 21 luglio 1921, morirono 4 fascisti), che
smontò interamente la versione degli incidenti data dagli squadristi
e sostenuta da Mussolini. Nel romanzo di CamilIeri ci sono due carabinieri,
il maresciallo Gaspare Tinebra e il tenente Giancarlo Pellegritti, che
non si fidano dell'evidenza, intuiscono la rete di complicità che
le Autorità stanno tessendo per nascondere la verità, si
muovono animati solo dal senso del dovere e sostenuti dal loro fiuto di
poliziotti, fino ad arrivare a una verità amara per i fascisti e
fatta propria dai giudici che assolsero il muratore socialista: a sparare
non era stato lui, ma un altro fascista che nella concitazione della colluttazione
aveva colpito per sbaglio il suo camerata. E un martire fascista ammazzato
da un altro fascista che martire è?
Sempre al confine tra realtà storica e invenzione letteraria
vorrei richiamare l'attenzione su uno dei personaggi principali del romanzo,
quello dell'amico fidato di Lillino Grattuso, pure lui coinvolto nella
sparatoria, lo squadrista Tito Tazio Sandri, un «vintino che era
arrivato in paìsi dalla natìa Cremona... scioperato per vocazione,
manisco, sempre pronto all'azzuffatina, a Cremona... in seguito a una violenta
sciarriata in una taverna, aviva spiduto allo spitale, cchiù morto
che vivo, un sò compagnuzzo di vivuta». Pochi mesi dopo la
morte di Lillino, nell'ottobre del 1922, non da Cremona ma da Pesaro, effettivamente
arrivò a Caltanissetta Raffaello Riccardi; lo squadrista era ricercato
dalla giustizia per l'assassinio del comunista Giuseppe Valenti. Nella
città siciliana trovò le protezioni giuste e collaborò
con il capomafia Calogero Vizzini «nell'inquadramento dei lavoratori
delle zolfare nei sindacati fascisti» (Franzinelli). Fu l'inizio
di una strepitosa scalata che lo vide deputato, consigliere nazionale,
sottosegretario e infine ministro. Chissà che Camilleri non riprenda
il suo Sandri, facendolo diventare Riccardi e regalandoci così un
altro romanzo questa volta dedicato direttamente al fascismo-regime.
Giovanni De Luna
La Repubblica, 13.3.2005
Genova, memoriale della procura contro i 47 imputati
In caserma no global costretti ad abbaiare, altri marchiati sul viso
I magistrati chiudono il documento citando un brano di Camilleri
"G8, a Bolzaneto trattamento inumano"
Seicento pagine dei pm contro gli agenti: "Sarà difficile dimenticare"
[...]
Per lasciare un documento storico, oltreché giudiziario, perché
"queste pagine brutte difficilmente potranno essere dimenticate", i magistrati
concludono la loro ricostruzione con le parole che Andrea Camilleri ha
scritto per l'agenda di Magistratura Democratica. Il commissario Montalbano,
guarda in tv le immagini delle torture inflitte ai prigionieri di Abu Ghraib
e ricorda con angoscia un caso simile accaduto a Genova: "Certo tra
i du' fatti di sicuro non c'era rapporto o raffronto possibile... ma almeno
una cosa in comune l'avivano avuta... non capivano, quegli omini in divisa,
che mentre tintavano d'arridurre i progionieri a cose, erano loro stessi
che si cangiavano in cose, robot, in macchine di violenza".
[...]
Massimo Calandri, Marco Preve
ANSA, 14.3.2005
Immigrazione: petizioni popolari, al via raccolta firme
Parte campagna europea, un milione di firme entro ottobre
Roma - Partira' ad aprile la raccolta firme di due petizioni popolari
europee in tema di immigrazione. La prima si riferisce alla ratifica della
convenzione dell'Onu sui diritti dei migranti e delle loro famiglie; la
seconda, alla cittadinanza europea di residenza.
Nel comitato promotore della campagna, chiamata 'Diritti senza confini'
- che punta a raggiungere entro il prossimo ottobre un milione di firme
- ci sono, fra gli altri, Gianni Amelio, Paolo Beni, Andrea Camilleri,
Christopher Heine, Paolo Serventi Longhi, Guglielmo Loy, Giampaolo Patta,
Lidia Menapace, Citto Maselli, Bruno Trentin, Antonio Tabucchi, Vauro.
Sulla prima petizione, il comitato promotore fa sapere che la convenzione
Onu sui diritti dei migranti e' stata adottata nel 1990, e' entrata in
vigore nel 2003 ma e non e' stata sinora sottoscritta da alcun stato europeo.
La petizione chiede al Governo e al Parlamento italiano, nonche' agli altri
paesi europei, di avviare le procedure per la ratifica, adeguando le diverse
legislazioni ad uno standard comune che preveda una protezione minima di
tutti i migranti, compresi quelli irregolari.
La seconda petizione, rivolta al Parlamento europeo, punta ad inserire
nel Trattato costituzionale il principio della cittadinanza civile di residenza
europea, superando la definizione di cittadinanza europea come sommatoria
delle nazionalita' dei diversi stati membri ed estendendola invece a tutti
coloro che risiedono stabilmente nell'Unione europea, pur avendo la nazionalita'
di paesi terzi.
Entrambe le petizioni saranno sostenute con iniziative in tutta Europa.
16.3.2005
Nuovo racconto di Andrea Camilleri per un'antologia
Da un'idea di Giancarlo De Cataldo, è prevista per maggio/giugno
2005 la pubblicazione di Crimini (Einaudi Stile Libero Big), antologia
di racconti giallo/noir in forma di soggetto cinematografico.
Tra gli autori Andrea Camilleri (Troppi equivoci, che sarà
poi sceneggiato e diretto da Rocco Mortelliti), Giancarlo De Cataldo (Il
bambino rapito dalla Befana), Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Massimo
Carlotto, Sandrone Dazieri, Niccolò Ammaniti, Diego De Silva, Giorgio
Faletti.
Il Mattino,
16.3.2005
Il nuovo romanzo
Camilleri e l’imbroglio del fascismo
Andrea Camilleri è uno scrittore che si diverte. Unica garanzia
per far divertire anche il lettore. Si diverte a inventare la Storia, quella
con la maiuscola, intrecciandola alla storia con la minuscola. È
quanto avviene anche per «Privo di titolo», il nuovo romanzo
pubblicato da Sellerio (pagg. 296, euro 11) che sarà nelle librerie
domani. È il Camilleri della Vigàta del passato, quella,
per capirci, senza il commissario Montalbano. In breve la vicenda: al centro
dell’intreccio c’è il «martire fascista» Gigino Gattuso,
ucciso da un bolscevico nel 1921. Camilleri ricostruisce la vicenda a modo
suo. Da autentico deus ex machina mescola letteralmente le carte, producendo
come già fece per «La scomparsa di Patò», finti
giornali, falsi atti ufficiali e materiale vario. La vicenda del fascista,
che alla fine si scopre «privo di titolo», un semplice morto
ammazzato, s’intreccia con quella della illusoria città di Mussolinia,
fotomontaggio della peggior specie propagandistica. Camilleri, cominciamo
dall’inizio, come è nato questo romanzo? «Lo suggerisco nelle
prime pagine del libro, quando descrivo l’adunata del 1941 e lo strano
incontro che feci con l’”assassino” di Gattuso. Avevo letto, quando stavo
scrivendo «Il birraio di Preston», un libro di un giornalista
di Caltanissetta che raccontava in modo molto documentato gli avvenimenti
della provincia di quel periodo del Novecento. Molte pagine erano dedicate
al ”martire fascista”. Allora stavo anche leggendo Sciascia che parlava
di Mussolinia. L’idea è rimasta lì, fino a quando non ho
trovato la struttura da dare al romanzo». E l’ha trovata mischiando
racconto e falsi documenti. Una forma a metà strada tra «La
scomparsa di Patò» e i suoi romanzi storici. «Proprio
così. Devo dire che inventare dei falsi mi dà molto piacere.
Lo faccio in modo sfacciato, da romanziere. Ma in fondo anche molti storici
sono dei narratori». I suoi lettori si dividono tra quelli che preferiscono
Montalbano e quelli che amano i romanzi storici. A lei che effetto fa questa
divisione? «Io mi rivolgo a un solo tipo di lettore, quello che sa
stare al gioco misterioso del vero e del falso, della realtà e della
finzione. Moltalbano mi dà la possibilità di occuparmi di
episodi di attualità. Per i romanzi storici mi sono concentrato
sulla Sicilia post-unitaria, laddove si annida il germe dei mali che ancora
viviamo». E qual è questo germe? «Il modo in cui il
Sud è stato considerato e trattato al momento dell’Unità,
cioè come una colonia, con la distruzione della sua economia e del
suo esercito. Non sono contro l’Unità d’Italia, sia chiaro. Non
vorrei passare per un secessionista all’incontrario. Noi siciliani abbiamo
già dato, con il separatismo dopo la seconda guerra mondiale. Ma
il male italiano comincia da lì». La storia di «Privo
di titolo» ha dei parallelismi con il presente? «Certamente.
Il romanzo racconta di grandi falsificazioni. E oggi distinguere tra realtà
virtuale e realtà vera è diventato sempre più difficile.
Le faccio un esempio clamoroso: la guerra in Iraq. Ci avevano detto che
era un atto dovuto, preventivo, perché Saddam aveva delle armi di
distruzione di massa. Poi è stato accertato che queste armi non
c’erano, ma si è continuato a propagandare e a credere che quella
in Iraq fosse una guerra giusta. È diventato un atto di fede, tanto
che George W. Bush, che ha raccontato questa gigantesca frottola, è
stato rieletto. Bisognerebbe ricordare, in questi casi, una frase di Stanislaw
Jerzy Lec, che le cito a memoria: se una menzogna diventa d’uso comune
non significa che non sia più una menzogna».
Pietro Treccagnoli
La Sicilia, 17.3.2005
Il falso martire fascista
Walter Guttadauria racconta come una vecchia vicenda nissena ha ispirato
l'ultimo romanzo di Camilleri
Aveva appena compiuto 18 anni Luigi Luciano Gattuso (affettuosamente
chiamato da tutti Gigino) quando la sua breve vita si concluse a Caltanissetta
in circostanze che, nonostante un processo ed una sentenza (che individuò
nell'operaio Michele Ferrara l'autore del delitto), suscitarono non poche
perplessità. La giovane vittima fu poi dichiarata «martire»
dai fascisti ed alla sua memoria fu dedicato un monumento (un fascio littorio
in marmo, scolpito dallo scultore Meschino, che fu inaugurato il 21 aprile
del 1928), scomparso dopo la liberazione, in corso Vittorio Emanuele ed
una via cittadina, che ha mantenuto intatto il suo nome.
Da uno spunto di storia nissena prende le mosse il nuovo romanzo di
Andrea Camilleri, «Privo di titolo», edito da Sellerio, in
uscita oggi nelle librerie di tutta Italia. Il fatto reale è, naturalmente,
solo lo spunto su cui lo scrittore di Porto Empedocle costruisce la sua
ultima (in ordine di tempo) fatica letteraria, lavorando per «addizione»
intorno all'idea, modificando naturalmente i nomi (il giovane Gigino diviene
nella finzione letteraria Lillino Grattuso mentre il capomastro Michele
Ferrara diviene Michele Lopardo) ed aggiungendo personaggi, congetture,
pensieri che ricostruiscono gli umori del tempo con lo stile e le invenzioni
linguistiche che hanno reso famoso Camilleri.
Ma lo spunto viene dal libro del giornalista Walter Guttadauria «Fattacci
di gente di provincia», edito da Lussografica e pubblicato nel 1993
nella collana «Momenti e figure di storia nissena», diretta
da Sergio Mangiavillano. «Il caso di Gattuso - dice Walter Guttadauria
- rientra in una selezione da me fatta per questo volume, dove raccolsi
10 casi di cronaca che, pur essendosi verificati a Caltanissetta o nei
paesi della provincia nissena, ebbero risonanza anche al di fuori dell'ambito
regionale».
Nel libro di Guttadauria nulla è lasciato al caso nella scrupolosa
narrazione dell'episodio di Gattuso, come del resto degli altri nove casi.
«Ho tenuto ad impostare il discorso - precisa il giornalista - con
l'attenzione soprattutto del cronista, basandomi solo sulle fonti documentarie:
atti processuali, stampa dell'epoca ma anche, dove è stato possibile
reperirle, fonti orali».
Da qui la precisione nell'elencazione dei fatti, raccontati con l'occhio
attento del giornalista che ricostruisce passo per passo la vicenda sulla
base delle varie deposizioni (da quella di Ferrara a quelle dei testimoni),
dei verbali e degli atti processuali, ivi incluse le arringhe degli avvocati
di entrambe le parti e delle cronache giornalistiche dell'epoca sulla sentenza
che riconobbe in Ferrara il colpevole, ma solo per legittima difesa, della
morte di Gattuso».
«Ho conosciuto Camilleri apprezzandolo come autore - dice ancora
Walter Guttadauria - e gli inviai nel 1997 copia del libro 'Fattacci di
gente di provincia', domandandomi se mai qualcuna delle vicende lì
narrate potesse ispirargli qualcosa; in quell'occasione gli inviai anche
una biografia di Giovanni Mulè-Bertòlo, lo storico nisseno
cui si era già ispirato Camilleri per 'Il birraio di Preston', con
l'immaginario rogo del teatro Margherita a seguito di una serie di disordini
cittadini: di quell'opera quasi 'imposta' dall'allora prefetto Fortuzzi
parla appunto il Mulè-Bertòlo».
«Quando Camilleri mi ha telefonato per ringraziarmi - prosegue
Guttadauria - mi disse che fin dal primo momento era rimasto colpito dalla
vicenda di Gattuso perché ne conservava vaga memoria poiché
in gioventù aveva preso parte ad adunate di commemorazione a Caltanissetta.
Da lì la sua curiosità nella scoperta dei fatti legati all'accaduto,
di cui lui, ripeto, aveva memorie lontane e non dirette».
«Camilleri l'ho incontrato per la prima volta a Racalmuto - dice
il giornalista nisseno - durante i lavori per il ripristino del teatro
Margherita, mentre la scorsa estate sono andato a trovarlo nella sua casa
di Porto Empedocle; in quell'occasione mi disse che il libro, ispirato
al 'caso' Gattuso era ormai finito».
Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri segue l'evoluzione dei fatti sulle
carte processuali citate da Walter Guttadauria ma trasforma naturalmente
la prospettiva della narrazione; il dubbio, in realtà, che giustizia
non fosse davvero stata fatta già allora serpeggiò in molte
coscienze, poiché la sentenza parve essere stata, per così
dire, di compromesso: rimise in libertà Ferrara e nello stesso tempo
chiuse definitivamente un'inchiesta che avrebbe probabilmente potuto condurre
ad un'altra verità, forse più «scomoda». «Per
tutta la vicenda - dice Walter Guttadauria - un colpevole c'è, secondo
gli atti del processo, quelli sui quali io ho lavorato, che portarono alla
fine alla sentenza del novembre del 1924. La questione è se possa
essere stata una sentenza di comodo, alla luce di ciò che emerse
durante il processo, al termine del quale restarono comunque scontente
entrambe le parti».
Vi fu - è utile precisarlo - un solo processo che si esaurì
in Corte d'Assise, al quale il Ferrara fu sottoposto dopo tre anni di carcere,
e vi dunque una sola sentenza, contro la quale nessuno si appellò
benché, come detto, scontentasse entrambe le fazioni politiche cui
appartenevano la vittima e l'autore del delitto».
«Ed anche questa - prosegue Guttadauria - è una cosa strana:
se la sentenza scontentò le due parti ci si potrebbe domandare oggi
come mai nessuna delle due, l'accusa e la difesa, fece appello. Forse perché
alla fin fine la sentenza chiuse definitivamente una vicenda che avrebbe
potuto rivelare, con un supplemento di indagini, altre verità?».
Oggi si parla ancora di questa vicenda, anche se non certo con gli
stessi toni di ottantaquattro anni fa, quando alcune infelici esortazioni
durante i funerali del giovane ucciso furono le scintille fatali che bastarono
a far esplodere quella che era già una polveriera di sentimenti
contrapposti tra due schieramenti politici in lotta serrata senza esclusione
di colpi, trasformando in quel pomeriggio dell'aprile del 1921 la città
di Caltanissetta in teatro di gravi disordini nella ressa creatasi durante
il funerale, con la piazza gremita di folla.
Anche in quella circostanza vi furono comunque altre vittime, aggiungendo
dramma a dramma in un clima non certo sereno.
Caltanissetta è passata da allora attraverso tante trasformazioni,
vere e proprie «ere» che ne hanno cambiato sensibilmente il
ruolo, il tessuto urbanistico, il volto. Ma è stata e rimane una
città tollerante, dove nessuno ha mai pensato di cambiare nomi alle
strade nel susseguirsi delle amministrazioni che hanno governato il capoluogo,
dagli anni della Democrazia Cristiana ai governi di sinistra, di destra
e di centro-sinistra. Lo stesso sindaco di Caltanissetta Salvatore Messana
ha precisato che non è mai stato intendimento dell'amministrazione
di centro-sinistra da lui guidata di cancellare o trasformare il nome di
strade cittadine.
La via intitolata al giovane Gigino Gattuso, che prima del luttuoso
avvenimento si chiamava via Arco Arena, è ancora lì a testimoniare
che la storia non si può riscrivere, che nelle contrapposizioni
ideologiche (come nelle guerre) non ci sono buoni e cattivi ma semmai si
può evitare di far sì che si ripetano ancora vicende come
quella. Cosa rimane, dunque, oggi di quell'episodio nella memoria collettiva
dei cittadini nisseni del 2005? «Sono passati appunto 84 anni da
quel fatto - conclude Walter Guttadauria - e credo che testimoni diretti
non ce ne siano più. Vorrei chiarire, al di là della retorica
e delle possibili speculazioni di colore politico, che in effetti ritengo
che Gigino Gattuso sia stato solo una vittima del clima sociale e politico
del tempo e delle circostanze».
Rosamaria Li Vecchi
Il Messaggero,
19.3.2005
I libri più venduti
“Privo di titolo” di Camilleri inseguito da ”Memoria e identità”
di Giovanni Paolo II
Continua il momento magico di Piperno con Le peggiori intenzioni (Mondadori
€ 17.00), ma questa settimana, troviamo al primo posto della classifica
il libro di Giovanni Paolo II, Memoria e identità (Rizzoli €
16.00) e il nuovissimo di Andrea Camilleri Privo di titolo (Sellerio €
11.00).
[...]
a cura di Domenico Di Cesare
Classifica redatta in collaborazione con la Libreria Gulliver (gulliver.rieti@tiscali.it)
Corriere Romagna,
19.3.2005
Moretti in Giallo
Casa Moretti dedica una giornata al fascino della scrittura del giallo.
“Il Giallo nella letteratura italiana del ’900" è il seminario di
studi che si svolgerà per l’intera giornata di oggi nella sala conferenze
del museo della Marineria di Cesenatico. Al mattino a partire dalle 9,30,
è previsto un convegno con esperti e studiosi del genere. Renzo
Cremante (università di Pavia) parla di Carlo Emilio Gadda, Marco
Sangiorgi, autore del volume Il giallo italiano come nuovo romanzo sociale
(Longo Ravenna), racconta di Giorgio Scerbanenco, Arnaldo Bruni (università
di Ginevra) di Leonardo Sciascia. Si prosegue al pomeriggio a partire dalle
15,30 con Elvio Guagnini (università di Trieste) che racconta la
scrittura di Andrea Camilleri, e con Andrea Battistini (università
di Bologna) che introduce quella di Giuseppe Pontiggia. Seguirà
un dibattito.Anche la serata continua all’insegna del giallo, in compagnia
di tre autori noti ai lettori del genere. Alle 21 sono infatti ospiti Carlo
Lucarelli, Eraldo Baldini, Loriano Macchiavelli. La giornata vale pure
come corso di aggiornamento per i docenti di Lettere delle scuole superiori
riconosciuto dal Provveditorato agli studi di Forlì-Cesena. A chi
lo richiede verrà consegnato un attestato.
[...]
cla.ro.
Il Piccolo di Trieste,
20.3.2005
Camilleri e l'omicidio di Lillino, ucciso dai suoi amici fascisti
Guide di SuperEva,
20.3.2005
Tendenze
Conoscersi in rete
Nuove tendenze e nuovi modi per fare amicizie in rete
Un tempo conoscere nuove persone era più difficile: ci si iscriveva
in palestra, si frequentava il cineforum o un circolo di amanti della canasta.
Oggi Internet ha reso tutto più facile grazie ai Social Network.
[...]
Personalmente sono ancora una sostenitrice delle community basate sulle
mailing list, community, che tuttavia, sono cadute oggi un pò in
desuetudine, sostituite dall’immediatezza dei forum e dei Social Network.
[...]
Un'altra ML storica è quella dei fans di Andrea Camilleri (https://www.vigata.org/)
che si riuniscono per discutere dei libri del Sommo (e non solo).
[...]
La Sicilia, 20.3.2005
Mappa dei luoghi del cinema
La Sicilia, tra mito e realtà, bellezza, dramma e levità
dell'esistere, ha ispirato da sempre l'arte di numerosi registi divenendo
inoltre, in circa 1300 produzioni, privilegiato set cinematografico. Una
terra incantatrice, dalle mille meravigliose sfaccettature, che non smette
di stupire chi cerca di carpirne l'anima. Una terra che può essere
conosciuta dunque seguendo diversi percorsi: tra storia, arte, cultura,
paesaggio e costume, il percorso cinematografico dischiude immagini nuove,
prospettive diverse non solo al turista, ma a chiunque voglia guardare
con occhi nuovi la propria terra. Il prof. Francesco Ortisi, studioso e
appassionato di cinema e teatro (ha pubblicato "Ciak, si gira!" Romeo Editore
e scritto il monologo teatrale "Sulla Soglia, frammenti di un discorso
su Simone Weil" in programma al Teatro Stabile di Catania, con Galatea
Ranzi, regia di Marco Andriolo) ha ricomposto la sua passione per il cinema
e la Sicilia in un'iniziativa interessante e originale, la creazione di
uno strumento agevole che possa far da guida in questo viaggio tra i luoghi
affascinanti e spesso poco conosciuti dei set cinematografici.
Una "movie map" dunque, in cui è possibile individuare i luoghi
e avere maggiori notizie su circa 31 tra i più famosi film girati,
da "La terra trema" e "Il Gattopardo" di Visconti a "Salvatore Giuliano"
di Francesco Rosi, da "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi alla saga
del "Padrino" di Francio Ford Coppola, a "Nuovo Cinema Paradiso" di Tornatore,
a "Il Postino" di Troisi, fino ai più recenti "Malèna" e
"I cento passi" di Marco Tullio Giordana". Per ciò che riguarda
la fiction, il pensiero corre immediato ai film per la TV su "Il commissario
Montalbano" di Andrea Camilleri e ai numerosi luoghi in cui sono ambientati.
Immaginifici nei nomi (Vigàta in provincia di Montelusa, Fiacca,
Fela…) posseggono tuttavia concretezza geografica (Porto Empedocle, Agrigento,
Sciacca, Gela), spaziando inoltre tra varie città dell'altopiano
ibleo.
Tra città d'arte e borghi nascosti è interessante notare
infine come anche l'Etna, con i suoi "vulcanici" scenari, le isole di Pantelleria,
Ustica, Lampedusa, Favignana e antiche masserie, si siano spesso trasformati
in naturali e affascinanti scenari.
Maria Elisabetta Giarratana
Laterza23.3.2005
John Dickie
Cosa nostra
Storia della mafia siciliana
Ne discutono con l'autore Andrea Camilleri e Giancarlo Caselli
Coordina Gaetano Savatteri
Roma, mercoledì 23 marzo 2005 ore 18:00
Centro convegni Ex-novo, via Monte Zebio 9
Andrea Camilleri con Paolo Flores d'Arcais e Giancarlo Caselli - Foto di Marcellino Radogna
Il Secolo XIX,
23.3.2005
Le tentazioni di Montalbano
Il cruccio di Camilleri, da qualche tempo, è dare una svolta
alla vita di Salvo Montallbano. Il commissario dei suoi romanzi, interpretato
da Luca Zingaretti nella fiction televisiva di grande successo, ha superato
la cinquantina, è percorso da inquietudini esistenziali e ha una
vita sentimentale ancora precaria. Il suo rapporto con Livia, che vive
a Boccadasse e che di tanto in tanto vola da lui a Vigata, è fatto
di tenerezze ma anche di incomprensioni e di silenzi talvolta imbarazzati
. E poi c'è quella valchiria di Ingrid, l'amica che cala dalle nebbie
del Nord e si installa nella sua casa lambita dal mare, la quale lascia
immaginare, ma solo immaginare, uno svago erotico per il solitario commissario.
I lettori maschi che hanno "tifato" per un rapporto non platonico tra Montalbano
e Ingrid, lontano dagli occhi di Livia, sono probabilmente la stragrande
maggioranza. Il Montalbano fedifrago, sia pur per una notte, piace a un
esercito di appassionati frequentatori delle storie poliziesche di Camilleri.
“È vero, ho ricevuto tantissime testimonianze, lettere, email e
messaggini - conferma divertito Andrea Camilleri - ci sono moltissimi lettori
che non accettano l'idea di un siciliano che si neghi ai richiami del sesso.
Soprattutto in Sicilia, dove il brancatismo ha solide radici.
E nella prossima avventura Camilleri sottoporrà per davvero
a dura prova la fedeltà di Salvo. Metterà sulla sua strada
due donne forti e terribili, entrambe possibili assassine. Ed una, in particolare,
lo tenterà parecchio. Il libro si intitola "La luna di carta" e
uscirà tra un paio di mesi. Sarà il nono della fortunata
serie. Con il decimo, successivo libro Camilleri farà calare il
sipario sul commissario che ha rischiato per l'autore di diventare un serial
killer di altri personaggi. “Quando mi accingevo a raccontare altre storie,
ecco che mi si parava davanti Montalbano, deciso a non farsi soppiantare
da nessuno e a impormi la sua personalità” ha raccontato lo scrittore
di Porto Empedocle. Che ha visto le storie del suo commissario tradotte
nelle lingue più disparate. Persino in giapponese. Chissà
come avranno tradotto in quella lingua le espressioni del dialetto siciliano
usate da Camilleri per recuperare parole contadine che si sono perse nel
tempo. Come "cataminarisi", ad esempio, che sta per "muoversi". “Non ne
ho proprio idea - ride lo scrittore - e la cosa incuriosisce anche me.
In Francia, in Spagna, in Germania ho degli amici che mi relazionano sulla
qualità delle traduzioni. Ma ciò che hanno fatto di Montalbano
in Estremo Oriente è un proprio un enigma”.
Da alcuni giorni è in libreria il nuovo romanzo di Camilleri
"Privo di titolo". Prende le mosse da un episodio della storia siciliana:
l'uccisione a Caltanissetta del diciottenne Gigino Gattuso. Fu ammazzato
a colpi di pistola il 24 aprile del 1921 nel corso di una rissa tra tre
camerati, tra cui lo stesso Gattuso, e un muratore comunista. La vittima
divenne un martire fascista e a lui è dedicata tuttora una strada
a Caltanissetta e un vicolo a Palermo. Chi fu l'assassino? Secondo l'estrema
destra il muratore, il "bolscevico" (versione diventata ufficiale), secondo
la sinistra un suo amico camerata che lo aveva colpito involontariamente.
Lo scrittore siciliano smonta pezzo per pezzo la verità ufficiale
facendo parlare personaggi e documenti e si serve dell'episodio per mostrare
come si può costruire una solenne mistificazione. Il "Secolo d'Italia"
ha reagito denunciando "l'infortunio di Camilleri", l'Unità ha ironizzato
invece sul "finto martire". “Quando si saranno placate le polemiche, e
spero presto, - dice lo scrittore - si parlerà solo del romanzo
e dell'altro episodio di storia siciliana, esemplare di come il potere
può costruire una realtà virtuale per celebrare se stesso:
la fondazione di Mussolina, una città dedicata al Duce nei pressi
di Caltagirone , ma esistita solo grazie ad un fotomontaggio eseguito per
placare le insistenze di Mussolini che chiedeva notizie sull'avanzamento
dei lavori”.
Camilleri, il "giallo" o thriller è diventato lo strumento narrativo
più frequentato. Come lo spiega?
"E' lo strumento ideale per diffondere idee e spunti che diversamente,
sarebbe più difficile diffondere. Nel libro "Giro di boa" , ad esempio,
con Montalbano protagonista mi servo dello schema del giallo per raccontare
fatti inerenti il G8 di Genova. Pensi che proprio per quel contributo sono
stato invitato a partecipare ad una assemblea del sindacato di polizia,
cosa che mi ha molto gratificato."
Anche l'editoria italiana sembra afflitta da monocultura da best seller.
Non si corre il rischio di abbassare la qualità delle proposte e
di danneggiare i giovani autori?
"Non credo. Nel mercato italiano c'è bisogno di sfornare libri
che abbiano acquirenti e lettori. Giova all'intero settore, anche perché
da noi si legge poco. E avere tanti lettori non vuol dire necessariamente
abbassare il livello. Non dimentichiamo che il nostro è un piccolo
mercato esposto alle incursioni di scrittori popolari come Dan Brown e
Stephen King che guidano sempre le classifiche di vendita ad ogni loro
uscita."
A proposito di Dan Brown, ha letto "Il Codice da Vinci"?
"Non ci sono riuscito. Sono arrivato a metà, poi l'ho mollato.
È una sciocchezza dal punto di vista storico e culturale."
Milan Kundera teme che l'oblio corroda il grande romanzo. Quello che
richiede più tempo e consente all'oblio, appunto, di allestire il
suo cantiere. Lei che pensa?
"Il romanzo con la erre maiuscola non corre questo pericolo. Lavora,
lentamente, nella memoria del lettore. Se leggi "Il Gattopardo" non lo
scordi più, come se leggi, da adulto però, i "Promessi sposi"."
Che rapporto ha con la morte?
"La trovo disdicevole, citando una celebre battuta. Ma l'aspetto con
serenità."
Del caso di Terri Schiavo, la donna americana in coma tenuta in vita
per 15 anni e alla quale hanno staccato il tubo che la alimentava che pensa?
"Sono favorevole all'eutanasia ma trovo atroce farla morire in questo
modo. È una tortura intollerabile."
Per quale opera vorrebbe essere ricordato?
""Il Re di Girgenti" che racconta un episodio accaduto a Girgenti nel
1718 nel trapasso dalla dominazione sabauda a quella austriaca in Sicilia.
Il popolo ebbe ragione della guarnigione sabauda e proclamò re un
contadino di nome Zosimo. Il quale poi, tradito dai nobili del luogo, finì
i suoi giorni sul patibolo."
Il suo prossimo libro, Montalbano a parte?
"Sarà un romanzo storico, basato su un fatto accaduto ad Agrigento
nel 1945: l'arcivescovo Peruzzo, di Alessandria, che s'opponeva al latifondo
e fu assassinato da alcuni ex frati."
Renzo Raffaelli
La Stampa, 24.3.2005
Camilleri e Caselli, nella Sicilia dei boss
Lo scrittore e il giudice hanno presentato a Roma il volume dello storico
inglese John Dickie su “Cosa nostra”.
Roma. L'occasione è la presentazione del libro "Cosa Nostra"
dello storico inglese John Dickie (edizioni Laterza) ma l'evento è
rappresentato dalla contemporanea presenza, nella sala del Centro convegni
Exnovo, di Andrea Camilleri e Giancarlo Caselli. I due non fanno mistero
di volersi bene, hanno in comune la Sicilia - Camilleri per esserci nato
ed essersi rotta la testa sulle contraddizioni di quella terra, il procuratore
Caselli per aver cercato di cambiarne la storia accorrendo a Palermo sull'
eco delle terribili stragi del '92 - e il medesimo nemico che, appunto,
risponde al nome di «Cosa Nostra».
II libro di Dickie è una storia della mafia siciliana, ma una
storia lieve come un racconto, «come un romanzo» per dirla
con il papà di Montalbano che agli storici inglesi riconosce il
merito di farsi «mediatori» tra i fatti e i lettori e di preferire
una esposizione che non ha paura di apparire semplice e chiara, al contrario
dei contorsionismi di certi «autori italiani o tedeschi». Anche
a costo di critiche, come quelle toccate a Croce - ritenuto appunto «troppo
facile» - deriso nella famosa vignetta che lo descriveva curvo a
scrivere con alle spalle il grande Hegel che ironizzava: «Ciò
che più ammiro in lei, maestro, è il senso della storiella».
Questo per dire quanto gli sia piaciuto il passo narrativo di Dickie, presente
in sala e consenziente sul fatto di aver «voluto affrontare una materia
complicata, spesso incomprensibile fuori dell'Italia e a volte agli stessi
italiani, in modo che potesse essere accettata e compresa da un pubblico
sempre meno disposto al dovere della lettura».
Giancarlo Caselli ha ripercorso, quasi a memoria, il tratto di storia
che lo ha riguardato da vicino: dalla Palermo dei veleni al maxiprocesso,
ai tentativi di delegittimare Falcone, Borsellino e il pool antimafia,
alle stragi e alle indagini successive che, inevitabilmente, hanno impattato
sul problema di mafia e politica. Caselli non ha mai pronunciato il nome
di Andreotti, ma a quella vicenda si è riferito quando ha detto
di trovarsi «sotto procedimento disciplinare al Csm» per aver
scritto la verità, e cioè che una prescrizione non è
un'assoluzione, anzi certifica che «il reato è stato commesso».
Perché «questa rimozione» sul tema della mafia? Caselli
affida la risposta alle parole del pentito Tommaso Buscetta che, a Giovanni
Falcone interessato all'intreccio politico-mafioso rispondeva: «Non
è il momento di parlarne, l'Italia non è ancora pronta».
Ha chiuso l'incontro ancora Camilleri, che - provocato dal giornalista
e scrittore Gaetano Savatteri - ha raccontato il suo incontro col mafioso
siculo-americano Nick Gentile, in Sicilia conosciuto come “zu Cola”. Il
boss, a Roma, riconosce Camilleri per averlo visto una sola volta tanti
anni prima, allo stesso modo aveva riconosciuto –un ventennio dopo l’”increscioso
inconveniente”- un mafioso di Detroit che gli aveva rubato il portafogli
e che, nel frattempo aveva fatto carriera. E, racconta Camilleri, non lo
perdonò, seppure ricorrendo all’ironia: ”Vabbè, Frankie,
ma ora ridammi il portafoglio”. “Una faccia –insistette con Camilleri-
la vedo una volta e non me la scordo più”.
Francesco La Licata
Supereva Guide, 24.3.2005
Camilleri “privo di titolo”
Una vicenda incredibile, ma vera
Ma che titolo è “Privo di titolo”?!
Un gioco di parole troppo semplice accompagna il nuovo romanzo di Andrea Camilleri. Se ad essere privo di titolo è il rissoso giovanotto sulla cui morte la pletora fascista ha ricamato tanto da farne un martire, non si può negare che anche l’ultima fatica del popolare autore siciliano abbia un che di indefinito, di non concluso, di lavorio in fieri.
Camilleri ha rintuzzato le armi che gli sono proprie, fondendole in maniera incisiva, anche se caotica: ricordi di infanzia (come ne “Il gioco della mosca”), dissoluzione del narratore attraverso la sovrapposizione di documenti ufficiali e ufficiosi (come, con risultati più convincenti, ne “La scomparsa di Patò”), smitizzazione del fascismo (come in “La presa di Macallè”), vedove allegre e anziane maestre, nel corpo handicappate e nella mente lucidissime (come nel ciclo di Montalbano), incomprensioni tra polizia e carabinieri (come in “La concessione del telefono”) etc.
Eppure, questo non è un libro d’attesa; si sente, come ormai da qualche tempo, che una insoddisfazione politica e sociale muove la penna dello scrittore: la proverbiale ironia che lo ha reso famoso compare in rari ed indimenticabili squarci, ma non permea l’intero romanzo, come se fosse soffocata dall’angoscia di (ri)vivere situazioni che la Storia sembrava avere archiviato per sempre.
Ancora una volta, il protagonista è il fascismo, con quella violenza fatta di manganello e olio di ricino, prima, e di minacce e ritorsioni ipocrite poi.
C’è una rissa in paese, voluta e suscitata dalla gioventù bruciata dell’epoca, che si disse fascista per avvalorare il proprio ferino impulso alla violenza. Uno dei più facinorosi, Gigino Gattuso, viene ucciso: la sua morte è salutata come un martirio e il delinquente diventa eroe, il vero assassino viene protetto, un innocente, un comunista, viene incolpato dell’omicidio e alla verità nessuno pare interessato, né la polizia né il governo né la cittadinanza, tesi tutti ad inchinarsi ad una interpretazione di comodo.
Non c’è nessun Montalbano, stavolta, nessun eroe pronto a rischiare carriera e vita per il trionfo della giustizia: l’azione corre stanca, rassegnata, mal fusa con l’altro filone del romanzo, che narra la visita di Mussolini in Sicilia e la creazione di una città fantasma a lui intitolata e mai esistita, Mussolinia.
E tutto è vero. Quello che sembrava grottesco è confermato dalle fonti, quello che sembrava esagerato è testualmente riprodotto!
Lo stesso Camilleri, a conclusione del romanzo, chioserà la vicenda con queste amare parole in perfetto italiano: “Gigino fu il protomartire (tanti altri ne avremmo visti negli anni a venire) di una realtà stracangiata con violenza dalla volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal potere. Sulla morte di Gigino Gattuso, e proprio senza nessun rispetto per la sua morte, venne costruita una solenne mistificazione che sostituiva la realtà con una realtà virtuale, inesistente”.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti nella nostra brancaleonesca spedizione in Iraq non mi sembra per niente casuale.
Benedetta Colella
Il Venerdì di
Repubblica, 25.3.2005
Italia. Non me ne frego
Il mio libro? Parla del passato: ci sono il G8 e Berlusconi
«Privo di titolo», l'ultimo lavoro di Camilleri, è
ambientato sotto il fascismo. Ma, spiega lo scrittore, fa riflettere su
un «regime» diverso, fatto di media e attacchi ai giudici.
Che, intanto, si fanno aiutare dal commissario Montalbano
«Qualche giorno fa i giornali hanno riportato la notizia dei rinvio
a giudizio di 47 poliziotti per i fatti del G8. La requisitoria dei magistrati
termina con una lunghissima citazione letteraria di Salvo Montalbano. Un
narratore di fantasia, quando vede usato quello che ha scritto, pensa che
qualcuno lo ha capito e lo sta applicando. Ed è forse il maggiore
riconoscimento per uno scrittore. Più di ogni critica letteraria».
A parlare è Andrea Camilleri mentre esce il suo ultimo romanzo dal
titolo quantomeno inusuale: Privo di titolo. Non è una nuova
inchiesta del commissario Montalbano, rientra nell'altro filone prediletto
dallo scrittore siciliano insieme al giallo, il libro ispirato a fatti
storici del passato, ma con l'intenzione di far pensare al presente.
L'ambientazione, gli anni del fascismo, ha suscitato polemiche ancor
prima che il romanzo fosse arrivato in libreria. Ad attaccarlo è
stato, in particolare, Il Secolo d’Italia, quotidiano di An.
«Ma se non lo avevano ancora letto, come hanno fatto a polemizzare
con me? Per partito preso?».
Da cosa prende esattamente spunto il libro?
«Due fatti: la vicenda di Luigi Gattuso, martire fascista ammazzato
per sbaglio dai suoi, e la storia di Mussolinia, città immaginaria,
che doveva essere costruita (vicino a Caltagirone) per celebrare il Duce,
e invece fu solo un inganno, un artificioso fotomontaggio. Una beffa a
Mussolini. Sono questi i fatti realmente accaduti, a cui mi sono liberamente
rifatto. Che me li giochi in maniera fantastica fa parte del mio mestiere
di raccontatore. Ed è tipico della letteratura, o si vuol censurare
anche la letteratura?».
La storia di Gattuso, da cui lei prende spunto, è poco nota...
«Il "martire" fascista Gigino Gattuso fu ucciso a 18 anni, nel
1921, dai suoi compagni per sbaglio. Non da un muratore comunista. La sentenza
definitiva – del '24, con il fascismo saldamente al potere, dopo l' assassinio
Matteotti – dice che Ferrara, cioè a dire il comunista accusato
di aver ucciso Gattuso, ha agito in stato di legittima difesa, e pertanto
va rimesso in libertà, e gli va restituita anche l'arma illegalmente
detenuta. Una di quelle sentenze che salvano capra e cavoli: non accetta
la tesi della difesa, che a sparare sia stato un fascista, ma nello stesso
tempo rimette in libertà il presunto assassino, riconoscendogli
il diritto alla difesa. Si volle mettere a tacere una verità scomoda.
Nessuno fece ricorso in Cassazione, né i fascisti né i comunisti».
Che considerazioni ha tratto da tutto l'affaire?
«Mi sono chiesto il significato di quel verdetto. Dalle carte
emerge la storia di un martire fascista per lo meno ambiguo. Non un eroe,
ma una vittima, ucciso per sbaglio dai suoi. Verso di lui mostro comprensione
umana. Così come verso il giovane muratore comunista, Michele Ferrara,
che non ha ucciso nessuno. E che ci ha rimesso anche lui la vita, perché
durante il periodo fascista non ebbe più un momento di pace. Lo
arrestavano e lo rilasciavano un giorno su due».
Insomma la storia di due sventure.
«Giustamente, il giornalista siciliano Walter Guttadauria, che
ha ricostruito la vicenda, parla di un processo con due vittime: il fascista
che muore e lo pseudo-assassino comunista».
Perché intitolare il romanzo Privo di titolo?
«Si deve avere pietà davanti a un'atroce situazione, in
cui l'assassino crede di avere ucciso. È un reo confesso, perché
non sa di non averlo ammazzato lui Gattuso. Ed il giovane Gattuso è
morto ammazzato. Se questa cosa non la tratti con umana comprensione, come
vuoi trattarla? Rischi di essere di parte, cosa che io non faccio. Da qui
il titolo: Privo di titolo, vale a dire super partes».
Il racconto ha uno sfondo reale e insieme virtuale.
«Si intreccia con la vicenda di Mussolinia, la città mai
costruita in onore del Duce. Ho ambientato la vicenda del martire fascista
che non lo è, nella città immaginaria. Una realtà
virtuale spacciata e creduta per reale. Ma in tutti i miei romanzi storici
parlo di un'altra epoca per fare luce sul mondo attuale. Almeno ci provo».
Con quale obiettivo?
«In particolare, mi interessa capire e raccontare come si possano
creare le "fabbriche del credere". La propaganda fascista era strutturata
sul sistema di comunicazione, sul controllo gerarchico, ma anche sulla
volontà dei popolo di credere a qualcosa. Oggi le fabbriche del
credere passano attraverso i media, le televisioni. Allora un certo dittatore
possiede armi di distruzione di massa, poi si scopre che le armi non c'erano.
Eppure, svelata la menzogna, è troppo tardi, perché la fabbrica
del credere è diventata fede».
Ma così non si espone alle critiche di essere un apocalittico?
«Chiariamo anche questo equivoco. Quando firmai il manifesto
di Bobbio, di Pizzorusso, con cui, prima delle elezioni, invitavamo gli
italiani a non votare Silvio Berlusconi, tanto da destra quanto da sinistra
ci hanno detto che eravamo gente che non capiva. E ci dicevano: non c'è
dittatura. Certo non si tratta di dittatura classica, con i militari al
potere. Ma della dittatura della maggioranza. Della quale si è accorto
anche Romano Prodi, che non è certo un estremista di sinistra».
La iscriveranno d'ufficio a quelli che gridano al regime?
«In Italia il regime c'è. Soft, moderno, sofisticato,
ma c'è. Al punto che se fai una critica ti dipingono come un apocalittico.
Tendono a irriderti se dici che vi è il conflitto di interessi.
Allora dico chiaramente: c'è una limitazione nell'informazione,
Berlusconi controlla la televisione, e cerca di influire su tutti i media.
L'attacco alla magistratura è un tentativo di limitazione dello
spazio e della funzione delle altre istituzioni».
Privo di titolo sembra richiamare l'ottica manzoniana: occuparsi
di un periodo storico per leggere la realtà contemporanea?
«Questa è la mia ambizione. Non so se ce la faccio a tradurla
in risultato effettivo. Spero di riuscirci. Ma ci sono dei buoni segnali.
Come la citazione di Salvo Montalbano utilizzata dai magistrati nella requisitoria
sui fatti del G8».
Nel libro ha usato, ancor di più che neì gialli di Montalbano,
tecniche cinematografiche.
«Sì, per esempio quella del fermo immagine: un personaggio
entra in un vicolo, e ne racconto minutamente la scena. Come alla moviola,
nel calcio, si va a rivedere una azione di gioco importante. Anch'io, così,
cerco di vedere se c'è stato o no un movimento fondamentale per
il racconto».
La critica di certo, ma i lettori. coglieranno la raffinatezza?
«Chissà. Ma forse non è cosi rilevante, vostro
onore...».
Salvo Fallica
La Sicilia, 25.3.2005
Lettere
Sono passati 80 anni e si può fare la storia di Mussolinia
Sono passati 80 anni e si può fare la storia di Mussolinia. Serenamente,
al di sopra dei preconcetti. Con documenti probatori e con fotografie.
E non con le favole infarcite da "sentiti dire", utilizzate oggi anche
da taluni mostri sacri che ritengono di montare scoop miliardari. Si aggiunga
che la vera storia della città-giardino, dedicata a Mussolini, fondata
nel borgo Santo Pietro di Caltagirone il 12 maggio 1924, ha dovuto fare
i conti con i partiti politici del dopoguerra, senza che altri avessero
il coraggio di intervenire per dare un contributo serio alla sua storia.
Mussolinia non fu una "città fantasma", come taluni l'hanno
definita, ma un progetto urbanistico innovativo che prevedeva l'inserimento
del verde, a parte la ruffiana dedica politica. Ci fu un grave malinteso
iniziale. Mussolini ed i suoi collaboratori ritennero che si trattasse
di un ulteriore omaggio che Caltagirone faceva al Duce. Mentre i calatini
pensavano che, dopo l'avvio del progetto, l'opera venisse sovvenzionata
dal governo. Un malinteso imperdonabile che costò caro a Caltagirone.
Restano note nella cronaca di quei giorni le esultanze e i sogni di ricchezza
del cav. Crescimone (ricco proprietario locale), titolare della fabbrica
di calce idraulica , il nuovo tipo di prodotto che doveva sostituire il
cemento.
Le invidie e l'umore ipercritico, fecero il resto. Dunque, la presunta
"burla" non si regge, dal momento in cui una gran massa di calatini fecero
a gara per ingraziarsi il leader di successo. Dalla stampa del tempo si
può ricavare un lungo elenco di entusiasti. I soliti furbi del periodo
postbellico ed i pennaioli che offrono merce pseudostorica a caro prezzo,
approfittando del clima politico pavido e dell'ostracismo dei media, hanno
storicizzato fatti privi di documentazione. Ma il tempo è galantuomo
e consente finalmente un giudizio positivo anche sul risanamento delle
paludi Pontine.
E' di questi giorni l'uscita del nuovo libro di Andrea Camilleri "Senza
titolo", in cui si rievocano i fatti di Mussolinia, mettendo in berlina
quel capo di governo morto e sepolto da tempo. Il popolare scrittore è
caduto in errori storici che non fanno sorridere nemmeno i vecchi antifascisti.
A parte l'ibridismo linguistico, forzato e ripetuto, che non vogliamo discutere
in questa sede. Lo sceneggiatore Camilleri si è lasciato prendere
la mano da impolverati effetti teatrali decadenti ricavati dalle chiacchiere
dei saloni da barba. Ma non parliamo di storia, perché la Storia
è una cosa seria.
E' passata molta acqua sotto i ponti, sono cambiate molte posizioni
politiche, interi regimi dispotici sono crollati. Alcuni, dall'oggi al
domani, come per prodigio. Si può fare, dunque, anche la storia
di Mussolinia. A condizione di documentare con scritti e con immagini un
capitolo storico tutto da riscoprire. E non manca questo materiale. In
sintesi, si può affermare: non è vero che Mussolini fu fischiato.
Mancano tutte le prove. La nuova città gli fu dedicata con entusiasmo,
ma non fu mai "sognata" dall'interessato. Anzi il Duce si irritò
quando, alla posa della prima pietra, il segretario locale del Pnf gli
sussurrò che il comune aveva preparato un bellissimo e costoso pranzo
in suo onore. Ma ne abbiamo parlato nei precedenti articoli.
Salvatore Cosentino
La Sicilia, 25.3.2005
«Montalbano», casting affollato
Siracusa. Si sono svolti ieri nei locali del museo del cinema di via
Alagona, i provini per il nuovo casting del «Commissario Montalbano».
Per la fiction di Rai Uno, si sono presentate circa 200 persone tra ragazzi
e ragazze che, tutti emozionati aspettavano il loro turno per il provino.
«Ho già fatto la comparsa nel 1999 in "Malena" - racconta
Fabio La Delfa - la mia esperienza è stata positiva e mi piacerebbe
rifarla». Dello stesso parere è anche Salvo Lombardo, già
attore teatrale in una compagnia siracusana. «Mi piacerebbe recitare
in questa fiction, non solo per provare una nuova esperienza, ma anche
per capire meglio come si sviluppa un film». Maria, insegnante trentaseienne
ha voglia di provare nuove esperienze. «Non voglio assolutamente
lasciare il mio lavoro, però mi piacerebbe provare a recitare. Penso
sia un'esperienza da fare, credo che possa arricchirmi anche culturalmente.
Mi piacerebbe anche poter raccontare quest'esperienza ai miei alunni, spiegando
loro come si sviluppa un film nelle sue varie fasi».
La fiction Rai del Commissario Montalbano, è tratta dai romanzi
di Andrea Camilleri, scrittore agrigentino amato in tutta Italia. I racconti
camilleriani riescono mirabilmente a raccontare la Sicilia e i siciliani.
Lo scrittore, nei romanzi, usa una lingua "mista" ovvero un impasto di
italiano e dialetto siculo orecchiabile e divertente. Il suo commissario,
interpretato da Luca Zingaretti, creato sullo stampo sciasciano, è
di origine catanese ma, si trova ad operare a Vigata, una località
inventata che rappresenta la Sicilia più tipica. Adesso oltre a
nuovi volti, si cercano anche nuove location della serie. Voci non ufficiali
sostengono che uno dei nuovi possibili luoghi possa essere la tonnara di
Santa Panagia nella nostra città.
Sicuramente notizie più certe si avranno a settembre, quando
i personaggi della serie saranno i protagonisti di una settimana di mostre
fotografiche e dibattiti nella nostra città. I romanzi di Camilleri,
così come i film, hanno sempre avuto un grosso successo, forse per
la storia brillante, forse per la parlata particolare o forse perché
Montalbano è semplicemente un uomo comune.
Silvestra Sorbera
La Repubblica
(ed. di Palermo), 25.3.2005
Si pente Giusy, la donna boss
La sorella di Vitale sta raccontando i segreti di Partinico
[...]
Quando Giusy Vitale venne arrestata per la prima volta, nel 1998, con
l'accusa di associazione mafiosa, i magistrati parlarono di lei utilizzando
un concetto coniato da Andrea Camilleri con il titolo di un suo romanzo:
"In sintesi si potrebbe concludere che Cosa nostra ha la forma dell'acqua,
in quanto, come l'acqua, assume la forma del contenitore in cui viene versata".
E Giusy aveva dato forma e impronta alla sua Cosa nostra.
[...]
Enrico Bellavia, Salvo Palazzolo
Giornale di Brescia,
26.3.2005
Libri
Quando la politica innalza martiri sulla messinscena della realtà
virtuale
Andrea Camilleri con «Privo di titolo» torna felicemente
sul filone storico
La storia è vera: Lillino Gattuso, studente dell’ultimo anno
del liceo di Caltanisetta, fu per molti anni considerato l’unico «martire
fascista» della Sicilia. Anche se quasi tutti sapevano che era sì
morto la sera del 24 aprile 1921, dopo una rissa con un capolega comunista,
ma «sparato» dalla Smith & Wesson di un suo camerata. La
storia è un pretesto: un fascista ammazzato da un altro fascista
può essere chiamato «martire»? Oppure è un semplice
morto ammazzato «privo di titolo»? Dalla vicenda (con aneddoti
personali in premessa e in conclusione) Andrea Camilleri coglie spunto
per uno dei suoi indimenticabili affreschi siciliani. Dopo la poco felice
«Presa di Macallè», riecco il Camilleri «storico»,
dunque, quello che ci ha regalato «Il birraio di Preston»,
la «Concessione del telefono», «La mossa del cavallo»,
«La scomparsa di Patò»... Per citarne solo alcuni. In
questo filone ricco e genuino si inserisce «Privo di titolo».
Storico lo spunto, romanzesco lo svolgimento, tanto che l’autore modifica
i nomi di vittima e protagonisti, ricollocandoli nella sua Vigàta.
Ma il clima del fascismo nascente emerge con forza e vivacità, andandosi
ad adagiare sulla costante «siciliana». Camilleri si diverte
(e ci diverte) nell’analisi dettagliata e smagata della messinscena della
verità. Smontandola. Teatrale, persino filmico (con tanto di descrizione
dei personaggi, fermo immagine e rallenty) il racconto dell’agguato e dell’intricata
matassa d’avvenimenti in quella serata tragicomica. Documentale (con il
ricorso a lettere, manifesti, scritte e ritagli di giornale) la parte riservata
agli snodi principali della storia. Vivacemente narrata l’inchiesta. Che
s’ingarbuglia, perché se i Regi Carabinieri, più fedeli al
loro radicamento popolare, cercano di scoprire come sono andate veramente
le cose, la Regia Questura (più sensibile all’aria che tira) nasconde
prove, modifica versioni, inventa testimonianze. In campo entra pesantemente
la propaganda politica, in cerca di sbocchi consoni alla temperie del momento.
Le autorità quando non manovrano, «assecondano». E di
ridondanza in ridondanza, la banalità della violenza che portò
alla morte del povero Lillino acquista echi epici, si arricchisce di fasci
littori, di monumenti, di lapidi messe su vie, piazze, e scuole. Ad imperitura
memoria, naturalmente. Non che interessi l’Ideale (come si diceva allora),
ma molto più concretamente il potere. Non importa la realtà,
ma la facciata. Esattamente come nell’incredibile vicenda di Mussolinia,
città-modello progettata in tutta fretta per la visita del Duce,
dimenticata dopo la posa della prima pietra e rimessa in scena con fotomontaggi
ad uso del Capo che chiedeva come fosse finita. Il giovane Lillino morto
ammazzato, il capolega comunista alla fine assolto per legittima difesa,
finiscono entrambi con «l’esistenza stritolata dall’ingranaggio di
una realtà virtuale voluta dal regime». Difficile uscire indenni
dallo scontro fra quel che è e quel che si vuol fare apparire.
Claudio Baroni
Il Gazzettino, 29.3.2005
Se si può fabbricare ...
Se si può fabbricare «una santità», convincendo
«tutto il popolo» a radunarsi per celebrare la promessa «di
maravigliose cose», come aveva raccontato Boccaccio, perché
stupirsi se un «semplice morto» si trasforma in «martire»?
O meglio, perché sorprendersi davanti ad una «realtà
stracangiata dalla volontà politica, dai giornali accodati a quella
volontà politica, dalla cosiddetta opinione pubblica orientata dal
potere», una realtà capace di "trasfigurare" un «ammazzato
privo di titolo» in una vittima della «cospirazione bolescevica»?
Andrea Camilleri sorride amaro tra le pagine del suo nuovo "Privo di
titolo" appena pubblicato da Sellerio (11 euro). In fondo, c'è ben
poco da ridere mentre si prova a sgretolare, pezzo dopo pezzo, un monumento
di mistificazione costruito e recitato attorno alla memoria del presunto
"unico martire fascista siciliano". Che martire proprio non fu. Anzi, il
diciottenne Lillino Gattuso, "caduto" nella notte del 1921 in via Arco
Arena, in realtà fu ucciso da uno dei suoi due camerati, coi quali,
in un momento di "euforia manganellesca", aveva deciso di tendere un agguato
ad un muratore comunista. Una notte degli "imbrogli" che Camilleri scruta
alla moviola ripassando movimenti, percorsi e pensieri, fiammate di pistola,
rumori, sguardi spaventati. Nel mezzo, poliziotti corrotti, politici ipocriti,
vecchiette dall'orecchio finissimo, uomini onesti, ricconi ricattati, e
parole tronfie che cantano l'inno di un regime che esige anche l'ennesimo
tributo, ossia la città giardino "Mussolinia". E in un collage stilistico
che mescola pagine di narrazione a verbali, documenti, deposizioni (esilaranti),
lettere e resoconti di giornale, Camilleri dipinge il quadro di un desolante
microcosmo tenuto in scacco dal padrone di turno e dai suoi scherani, alimentato
dalla complicità dei fifoni e dei voltagabbana e combattuto con
la forza degli ideali e un pizzico di sana ingenuità.
"Privo di titolo" e gli ultimi gialli con Montalbano rivelano un Camilleri
sempre più indignato.
«È vero. Personalmente, ritengo sia mio compito intervenire
in qualche modo. E anche se si può fare ben poco, penso sia importante
far presente, ricordare».
Perché proprio questa storia?
«Mi sono imbattuto nella vicenda e nel libro del giornalista
Walter Guttadauria ("Fattacci di gente di provincia" ed. Lussografica,
Caltanissetta '93). Il punto di partenza, autentico, è quello di
me ragazzino all'adunata del '41 (nel ventennale «del sacrificio
supremo» di Gigino Gattuso «ammazzato a revorbarate da un sanguinario
comunista»). Poi ho cominciato a leggere, sia la storia di Mussolinia
che quella del processo, e mi sono trovato di fronte a due realtà
virtuali diventate autentiche».
Come accade anche oggi?
«È lei a tirare queste conclusioni... Ma il rischio che
corriamo è proprio questo, di vivere momenti di realtà tragici
che però sono virtuali, assolutamente inesistenti. Quanto ci siamo
spaventati per le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein?».
Tutto parte da quest'idea di mistificazione...
«Che non è nuova, sia chiaro, basti pensare a Boccaccio».
Lei scrive che Gigino fu il «protomartire di realtà stracangiata
dalla volontà politica». Quanto c'è dell'Italia di
oggi?
«Mah, l'impressione che si ricava, arrivati ad un certo punto,
è che alcuni dati della conduzione politica italiana restino immutabili.
Dal 1860 ai giorni nostri».
Non è una bella cosa.
«No, non è una bella cosa, ma a mio avviso gli italiani
sono migliori della loro politica, perché riescono comunque ad andare
avanti, a risolvere, a procedere nella loro storia».
Però l'Italia dimentica in fretta.
«Sì, si dimentica tutto con una rapidità estrema.
In tutti i campi. Nella narrativa, ad esempio, vedo come grandi autori
sono scomparsi nell'atto stesso di esalare l'ultimo respiro. E con loro
scompariva pure tutta l'opera, fatte pochissime eccezioni».
Ad esempio? Per chi le spiace di più?
«Mi spiace molto per Moravia, di cui oggi veramente non si parla
più. E lo stesso avviene a teatro, con la pittura. Insomma, gli
italiani sono anche bella gente, ma con la memoria corta».
In "Privo di titolo" lei torna alla struttura narrativa del "Birraio
di Preston" e della "Concessione del telefono", ma il tono è molto
più amaro.
«Sì, per forza. Diciamo che sono molto più rispettoso,
perché qui ci sono due vittime, il ragazzo che muore ammazzato e
il presunto assassino la cui vita viene rovinata dai fascisti. E questo
merita un altro sguardo. "Privo di titolo" ha avuto un lungo "confezionamento"
mentale. Non riuscivo a trovare la struttura giusta. Finché non
mi sono risolto ad alternare pagine di narrativa e pagine di documenti...».
Si diverte a "lavorarli"?
«È bellissimo. Falsificarli è straordinario. Recensendo
i miei romanzi storici, lo storico Giovanni De Luna ha detto che in fondo
io sono fortunato, perché i romanzieri possono costruire i documenti
falsi. Che è poi la tentazione di ogni storico».
Le lettere del Barone Talé di Santo Stefano sono esilaranti...
«Poveraccio, le circostanze sfavorevoli gli impedivano di partecipare
alla marcia su Roma. Ma ne ho conosciuti, nella mia infanzia, di fascisti
come il barone Talè».
E com'erano?
«Ricordo un omone grasso che risultava aver partecipato alla
marcia su Roma, ma in realtà non ci era mai andato. L'unica cosa
che mostrava orgogliosamente era una curiosa foto dove compariva insieme
a Mussolini. Una di quelle facce che spuntano in terza fila, tutte sorridenti...».
In "Privo di titolo" si agita lo spauracchio comunista, anzi "bolscevico".
«Adesso è uno spauracchio che fa ridere...».
Però lo si agita spesso.
«Sa come si dice? Che è difficile sradicare una cosa alla
quale si vuole credere. I romani adoperano un'espressione bellissima: "ce
sta con la fede". Difficile convincere con la ragione se c'è «a
fede» dall'altra parte».
Nei suoi romanzi c'è sempre un fondo morale che scuote la coscienza.
«È un fatto personale, un mio modo di vedere le cose.
Può essere un limite oppure no, ma è come mi metto di fronte
alle cose».
Camilleri, chiudiamo con Montalbano. Non vorrà mica ucciderlo,
vero?
«No, no. Oltretutto, i romanzieri chi hanno manifestato l'intenzione
di liberarsi del proprio personaggio ci hanno lasciato la pelle: il personaggio
più forte di loro. Quindi, anche per scaramanzia, mi rifiuto categoricamente
di farlo morire. Troverò una soluzione».
Lo sa che le donne detestano Livia?
«A chi lo dice! Pensi alle siciliane. La detestano perché
estranea...».
Anche rompiscatole.
«È un buon corrispettivo di Montalbano. È che le
donne non perdonano a Salvo neanche la stretta fedeltà. In realtà
questa fedeltà è una metafora della sua fedeltà alla
vita, agli ideali, ai valori».
Meno male che qualcuno li ha.
«Speriamo che vengano trovati da tutti, perché lì
stanno, lì da qualche parte. Basta andarli a cercare: sono cose
che non muoiono mai, l'importante è non dimenticarli o coprirli
di sterco».
Chiara Pavan
Thriller Magazine,
30.3.2005
La prima indagine di Montalbano
Ogni volta che esce un nuovo libro di Andrea Camilleri le aspettative
sono sempre piuttosto alte, aspettative che l'autore cerca sempre di non
deludere.
L'ultimo libro di Camilleri ha ancora una volta come protagonista il
commissario Montalbano, di cui ci viene raccontata una parte di passato.
La forma scelta dall'autore per quest'opera è quella del racconto:
il libro è infatti composto da tre racconti lunghi che ci raccontano
altrettante avventure del nostro commissario.
L'indagine centrale, che dà il titolo al libro, è la
prima svolta da Montalbano e per questo contiene elementi nuovi, e sconosciuti
al lettore, della vita del protagonista. Come e quando Montalbano è
arrivato a Vigata? Com'era da giovane? Chi era allora la sua fidanzata?
Tutte domande che trovano una risposta. Il lettore si trova un po' smarrito
davanti a un ambiente che non conosce e popolato da personaggi a lui non
familiari, ma poi viene condotto verso la scoperta di quello che è
il mondo di Montalbano. Particolarmente bella è la nascita del rapporto
di stima e simpatia, che sfocerà poi in amicizia, di Montalbano
con Fazio.
Un tratto comune alle tre storie è che in nessuna Montalbano
si trova a indagare su fatti di sangue, ma su vicende che riescono comunque
a tenere viva l'attenzione del lettore. In particolare il primo racconto
è incentrato su un tema purtroppo molto attuale di questi tempi:
il fanatismo.
Senza però scendere nello specifico degli argomenti trattati,
una caratteristica del libro è che, sicuramente, rispetto ai romanzi
, i racconti risultano meno incisivi.
Come nei precedenti "Un mese con Montalbano", "Gli arancini di Montalbano"
e "La paura di Montalbano", la forma narrativa del racconto non permette
all'autore di esprimersi al meglio. Per questioni di brevità, l'impressione
è quella di una struttura meno approfondita e intrigante, leggermente
più sbrigativa.
"La prima indagine di Montalbano" resta comunque un'opera molto godibile
e piacevole, consigliata a chi ancora non conosce Camilleri per avvicinarvisi,
e ai suoi affezionati lettori per approfondirne e completarne la conoscenza.
Chiara Bertazzoni
Famiglia Cristiana,
30.3.2005
Attualità / Intervista
Confessioni di un italiano
Dopo Montalbano, Perlasca e don Puglisi, Luca Zingaretti interpreta
un eroe del martirio di Cefalonia. Ed è l occasione per parlare
di sé, dei suoi progetti futuri e dei valori in cui crede.
[...]
E Montalbano? Sembra il personaggio che le è più congeniale.
«Si sbaglia, Montalbano in fondo è una maschera, un personaggio
che si crea mettendo, mettendo mettendo, senza levare niente. E il privilegio
della maschera è che te la puoi togliere quando vuoi. Nessuno mi
confonde con lui quando giro Puglisi o Perlasca».
Ma quando si rimetterà la maschera di Montalbano?
«Sto andando in Sicilia a girare due episodi, o forse quattro.
Poi smetto».
Come dicono i fumatori incalliti?
«No, smetto davvero. Credo sia giusto andarsene tra gli applausi.
Per un attore l’entrata in scena è difficile, ma è ancora
più difficile uscire di scena tra gli applausi. Per questo gli attori
mediocri ma di mestiere rimediano con la "botta di tacco", che istintivamente
fa scattare l’applauso. Ma l’attore elegante non vi ricorre mai. Ecco,
io vorrei uscire dai romanzi di Camilleri senza botta di tacco».
Francesco Anfossi
Italia Oggi, 30.3.2005
Risvolti
Scrittori d'Italia
Tra i critici letterari che sono anche docenti universitari, Francesco
De Nicola è tra i meno accademici e più spregiudicati, oltre
a essere tra i più creativi. Basti pensare allo straordinario saggio
"Dal best seller all'oblio" (Marietti 1992) dedicato al recupero dei tanti
scrittori che la macchina editoriale ha emarginato dopo aver regalato loro
un momento di gloria. Più tradizionale e inquadrato il libro appena
uscito dall'editore De Ferrari di Genova, "Letteratura italiana contemporanea",
completo di breve antologia poetica a cura di Francesca Corvi. un occhio
di riguardo va agli autori liguri, con un capitolo tutto per loro (giustamente,
dato che liguri sono l'autore e l'editore, e specialmente perché
lo sono Sbarbaro e Montale), ma lo studio è comunque di altissimo
livello, oltre che di affascinante lettura. notevole il capitolo intitolato
"Per una definizione della letteratura italiana contemporanea". A proposito
di contemporaneità e scrittura De Nicola scrive: "All'origine del
successo di Camilleri è stata dunque soprattutto la sua originale
invenzione di linguaggio, ma anche la forte componente di essenzialità
e di visibilità del suo narrare, qualità di diretta derivazione
dalla sua lunga esperienza di linguaggio televisivo, dal quale evidentemente
ha trasferito sulle pagine i modelli della più efficace comunicazione..."
La Repubblica
(ed. di Bologna), 31.3.2005
La storia
Patrizio Gattuso lancia il guanto a Camilleri per l´avo Gigino
"Ne ha offeso la memoria" E lo scrittore: "Cose da fascisti"
Patrizio Gattuso giura che non finisce qui. Dopo un intervento in consiglio
comunale per difendere la memoria del suo avo Gigino, adesso minaccia misure
legali contro chi ha osato ridicolizzarla.
Contro chi ha messo in discussione che, nel 1921 a Caltanissetta, Gigino
Gattuso, proselito di Mussolini, fu ucciso da un consigliere comunale socialista
attivista della lega bolscevica.
Questo è quanto hanno sempre narrato le voci di popolo e la
storiografia fascista siciliana. Ma, a distanza di 84 anni dal fatto c´è
stato qualcuno che si è preso la briga di raccogliere pile di documenti
e di scrivere un libro per dimostrare che, in realtà, Gattuso morì
freddato dal fuoco amico di un altro camerata, smontando così «la
leggenda dell´unico martire fascista siciliano». Questo qualcuno,
verso cui sono indirizzate le ire di Patrizio, non è uno qualunque.
E Andrea Camilleri, conterraneo ben più celebre del nostro consigliere
comunale di Alleanza nazionale.
Lo scrittore siciliano, dalla sua casa di Roma, sbuffa. E suggerisce:
«Dica all´esimio consigliere di leggersi bene gli atti della
revisione del processo». E poi: «Mi vuole denunciare? Faccia
pure». Ma il primo round di questo botta e risposta a distanza risale
al 14 febbraio, un mese prima dell´uscita in libreria del romanzo
storico di Camilleri «Senza titolo», edito da Sellerio.
In quella data, nel corso di un consiglio comunale al vetriolo a causa
delle polemiche tra centro destra e la giunta che aveva scelto di celebrare
il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe non nella data istituzionale,
Patrizio Gattuso colse la palla al balzo per commemorare pubblicamente
il suo avo martire. E, ancor prima di aver letto il libro, accusò
lo scrittore di raccontare il falso. «Avevo avuto notizia del romanzo
da un articolo di un settimanale che ne anticipava il contenuto - racconta
Gattuso -, si può immaginare la mia rabbia e quella della mia famiglia
quando abbiamo scoperto che Camilleri trasformava la fine tragica del nostro
avo, se pur cambiando un po´ il nome (lo scrittore lo chiama Lillino
Grattuso, ndr) in una fine quasi grottesca. Ucciso per sbaglio, per colpa
del buio, dal colpo di un altro camerata. E´ semplicemente un falso».
Gattuso ammette anche che «sicuramente il fascio ha strumentalizzato
in qualche modo questa morte, facendo di Gigino un martire, un eroe».
Ma, al contempo, il consigliere bolognese di Alleanza Nazionale sostiene
che «la revisione del processo parla chiaro: seppure per legittima
difesa, fu il consigliere comunale comunista a sparare il colpo fatale».
Quella testa dura di Camilleri, invece, si ostina a dire che non è
così. Che, anzi, «la revisione fu un processo di comodo, fatto
nel ´24, in pieno fascismo, e una lettura attenta degli atti mostra
tutte le falle». E ancora: «Che il povero consigliere comunista
fu perseguitato. Incarcerato ingiustamente». Un po´ di rispetto,
dunque, anche per la sua di memoria. Nel frattempo, a Caltanissetta, l´uscita
del libro ha provocato un mezzo terremoto. «Privo di titolo»
è stato presentato in diverse tavole rotonde e c´è
stato anche chi ha chiesto al sindaco di cambiare l´intestazione
di una via dedicata a Gigino.
Un brutto colpo per la famiglia Gattuso che, come spiega Patrizio,
«ha sempre vissuto questo ricordo con discrezione e in forma privata,
evitando persino di commemorare pubblicamente l´anniversario della
sua morte perché cadeva a ridosso del 25 aprile». «E
adesso, dopo tanti anni - prosegue Gattuso - il signor Camilleri si mette
d´impegno per scomodare l´anima di un ragazzo ammazzato a 18
anni e minare la tranquillità della nostra famiglia. Davanti a tutto
questo, non possiamo tacere». Così Patrizio Gattuso sta meditando
il da farsi: «Ho già consultato alcuni legali per chiedere
come è possibile agire».
Andrea Camilleri, dal canto suo, non fa una piega. E con calma serafica
replica: «Facesse quello che crede. Ho scritto tanti romanzi storici,
a volte andando contro le versioni della storia ufficiale. Eppure nessuno
ha mai polemizzato» E conclude: «L´esimio consigliere
mi ha attaccato pubblicamente prima ancora di aver letto il libro. Cosa
vuole che dica, cose da fascisti».
Amelia Esposito
Avui, 31.3.2005
Narrativa. Andrea Camilleri sense Montalbano
Univers Camilleri
Camilleri no és només Montalbano, encara que degui una
part del seu èxit a l'entranyable comissari
Andrea Camilleri,L'Òpera de Vigata. Traducció Pau Vidal.
Edicions 62. Barcelona, 2005.
L'Òpera de Vigata, traduïda per Pau Vidal i publicada per
Edicions 62, és una novel·la del sicilià Andrea Camilleri
en què prescindeix del personatge del comissari Salvo Montalbano,
si bé la trama també té lloc a Sicília i el
llenguatge local pren protagonisme.
Un mal dia, a Filippo Genuardi se li acut preguntar a la Prefectura
de Montelusa què ha de fer per obtenir una línia de telèfon
i a partir d'aquí es veu involucrat en un seguit de malentesos (La
concessió del telèfon, Edicions 62). Quan Santo Alfonso de
Liguori arriba a Vigata, ningú el coneix o això és
el que es creuen els vigatencs, però la seva arribada a la vila
va acompanyada d'una sèrie de morts inexplicables (L'estació
de la caça, Edicions 62). La família Barbabianca es troba
en un bon embolic per culpa dels negocis fraudulents del pare; els fills
intenten salvar la situació com poden, tot esperant un miracle que
finalment es produeix (Un fil de fum, Edicions 62). Durant la representació
de la Passió de Crist, un Divendres Sant, el comptable Antonio Patò,
que hi feia el paper de Judes, desapareix sense deixar rastre (La desaparición
de Patò, Destino). Vito reparteix el seu temps donant menjar a les
gallines, ficant-se al llit amb la dona d'un conegut i intentant no barrejar-se
en els afers de la màfia, però un dia es troba amb una pila
de gallines mortes, dos assassins a la porta i l'inefable mariscal Corbo
trepitjant-li els talons (El curs de les coses, Edicions 62). A Vigata
s'ha d'inaugurar el nou teatre, però el prefecte de Caltanissetta,
el florentí Eugenio Bortuzzi, imposa l'òpera El cerveser
de Preston, de Luigi Ricci; els vigatencs s'ho prenen molt malament i a
sobre la soprano desafina el dia de l'estrena (L'Òpera de Vigata).
LA SICÍLIA SURREALISTA
Ja ho veuen. Camilleri no és només Montalbano, encara
que degui una part destacada del seu èxit a l'entranyable comissari
nascut a Catània, assignat a la comissaria de Vigata, domiciliat
a Marinella i promès a Livia, genovesa i geniüda. La ploma
del mestre sicilià alterna les peripècies que el popular
comissari viu en els notres dies amb minúscules odissees de pa sucat
amb oli esdevingudes a la Sicília de finals del segle XIX i dels
anys 60 del segle XX. Una Sicília de pobres diables atrapats per
les circumstàncies, que van fent la viu-viu amb l'ombra omnipresent
de la màfia i de la incomprensió de l'Estat italià
al qual l'illa s'ha unit de no gaire bona gana. Una Sicília plena
de situacions surrealistes, que a vegades freguen l'astracanada, però,
¿qui diu que la vida sigui racional? Una Sicília habitada
per marits banyuts, burgesos no tan íntegres com sembla, pobres
pescadors que viuen amuntegats en cataus, intermediaris de mala casta que
només reconeixen un senyor, i no és ni l'Estat ni el Papa,
i de tant en tant, un policia amb dos dits de front (el mariscal Corbo
o el delegat Puglisi) que no sempre aconsegueix que la cega Justícia
vagi pel camí recte. I també dones enamorades de qui no toca,
secretaris que fan el possible per no convertir-se en l'ase dels cops,
terroristes clandestins inflamats d'esperit mazzinià, curts de gambals
arrossegats pels seus instints més primaris i funcionaris amb perilloses
relacions que confonen el govern amb l'abús formen part de l'univers
Camilleri. Una galàxia que, volum a volum, va descobrint nous planetes
com L'Òpera de Vigata, un llibre que els lectors en castellà
ja coneixien (va ser publicat per Destino el 1999) i que ara arriba en
català. Per fi.
Per fi perquè de tota la sèrie de novel·les històriques
de Camilleri, aquesta és potser la més complexa i reeixida.
Igual que les seves companyes de gènere, el mestre sicilià
la construeix amb grans dosis d'ironia, no només en les situacions
sinó també en el llenguatge, cosa que pot dur algun lector
a confondre la sarcàstica crítica social que conté
amb l'astracanada. I això seria una llàstima. Perquè
si bé és cert que Camilleri carrega les tintes i estira alguns
episodis fins als esperpents dignes de Valle-Inclán, no ho és
menys que alguns dels drames humans que hi passen no desmereixerien la
més honesta de les tragèdies gregues.
I també per la feina idiomàtica que ha fet l'autor -a
base d'aprofitar diversos registres del sicilià i de crear idiolectes
que tenen un pes destacat en la caracterització de molts personatges-
i que el traductor, Pau Vidal (traductor habitual de les novel·les
de la saga Montalbano) ha optat per respectar al màxim, buscant
en el mapa dialectal català les variants que li podien anar més
bé.
Al llarg de 24 capítols (vet aquí un altre joc de Camilleri,
iniciar-los amb una primera frase idèntica, o gairebé, extreta
d'obres tan diverses com el Manifest del Partit Comunista, de Marx i Engels,
Moby Dick, de Melville, Els dimonis, de Dostoievski, Farenheit 451, de
Bradbury i Clea, de Durrell), col·locats en una successió
que no té per què ser definitiva, l'autor pinta un autèntic
fresc humà: des de la carnal Agatina fins a la indolent Giagia,
des del temible Don Memè fins a l'encara més temible Paolino
Fiannaca, des de l'irascible Lollò Sciacchitano fins als honestos
Niní Prestia i Pippino Mazzaglia, des de l'immoral Nando Traquandi
fins a l'infame Liborio Villarroel. I, per sobre de tots, l'esplèndid
delegat Puglisi, un personatge que, igual que el mariscal Corbo, serveix
a Camilleri com a esbòs de Montalbano (atribueix colors a les olors
i contesta bruscament als subordinats quan no li interessa explicar què
fa ni on va, com fa el comissari), i que l'autor tracta amb tant d'afecte
com al nostre benvolgut Salvo.
A part del que he dit més amunt, no els puc explicar l'argument
perquè donar-los pistes sobre el que passa em sembla un error: desmunta
una maquinària de rellotgeria finament enfilada peça a peça
i els nega el plaer de la sorpresa (que a vegades els farà riure,
com durant la conferència etílica del director d'institut
Carnazza, i altres els farà ràbia, no em facin dir quan).
Però els voldria emplaçar a llegir L'Òpera de Vigata.
I no m'adreço als fans del mestre sicilià, que sé
que no se la deixaran perdre, sinó als altres. Als que els agrada
Montalbano, però encara no s'han rendit a l'atractiu d'Andrea Camilleri.
No se'n penediran. Quan una cosa és bona, és bona. I aquesta
ho és.
Alba Alsina
La Sicilia, 31.3.2005
Raggiunto accordo tra assessorato regionale al turismo e casa di produzione
della fiction tv
Siracusa scenario delle avventure di Montalbano
Raggiunto l'accordo per la coproduzione dei nuovi quattro episodi del
serial televisivo "Il commissario Montalbano". L'intesa è tra l'assessore
regionale al turismo Fabio Granata e Carlo Degli Esposti responsabile della
casa di produzione della fiction tv. E' inoltre in fase di approfondimento
il progetto della costruzione di Vigata, il luogo immaginario ove Camilleri
ambienta le vicende di Montalbano a Porto Empedocle, costruzione che potrebbe
coinvolgere l'antica tonnara di Santa Panagia. Tra maggio e ottobre saranno
girati i nuovi quattro episodi che vedranno, per la prima volta e per scelta
della produzione, Ortigia come una delle location principali nell'attuale
serie. In settembre, inoltre, la città ospiterà la "settimana
di Montalbano" con la presenza di Luca Zingaretti e dell'«inventore»
del personaggio del commissario Andrea Camilleri.
Intanto si lavora al progetto Vigata che potrebbe trovare nella tonnara
di Santa Panagia il luogo ideale, attraverso l'impiego dei fondi comunitari
già impegnati dall'assessorato di Granata per il restauro. "L'idea,
per la quale ho impegnato alcune somme - afferma Granata - è quella
di una utilizzazione del sito innovativa e produttiva, anche dal punto
di vista occupazionale, sottraendolo all'attuale degrado". Del resto, la
tonnara, "ci prova" già da un po' a percorrere la strada del successo
nello spettacolo. Tempo fa, infatti, la soprintendenza e lo stesso Granata,
all'epoca assessore ai Beni culturali, lanciò l'idea di realizzare
un teatro, sullo stile di quello greco, destinato a manifestazioni musicali
e di altre discipline artistiche, di notevole grandezza per l'accoglienza
anche di diverse migliaia di spettatori.
Tornando alla fiction, un altro progetto coinvolge Palazzo Vermexio,
anch'esso sulla strada della ribalta cinematografica, il quale dovrebbe
dare ospitalità alla nuova sede del commissariato di Montalbano.
g. i.
|