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RASSEGNA STAMPA

AGOSTO 2006

 
l'Obiettivo, 3.8.2006
Lo spazio ai lettori
Dialetto e letteratura

Caro Ignazio,
mi permetto di intervenire su un tuo modo un po’ sbrigativo di trattare alcune tematiche culturali, quantomeno per dare al lettore una pluralità di posizioni. E anche per difendere la libertà espressiva di alcuni autori da voi recensiti in passato, e a volte impropriamente criticati.
Lo stimolo a prendere la parola mi è arrivato dal tuo articolo sui due Camilleri, Andrea e Salvatore, apparso su l’Obiettivo del 29 giugno 2006. Intervengo non per sostenere questo o quell’autore, ma perché sono convinto che la tua critica, apparentemente convincente, sia in realtà viziata di paralogismo e muova da un presupposto sbagliato.
Qualche punto in breve per confutare le tue affermazioni.
Uno. A quanto pare i padri moderni del dialetto siciliano sono più di uno. Io conosco, per esempio, l’Ortografia di Giorgio Piccitto (1916-1972, professore di Dialettologia siciliana dell’Università di Catania) che, già nel ’47, ha dato una prima sistematizzazione al dialetto scritto, depurandolo da apicetti e apostrofini ed emancipandolo dalla “sudditanza” che esso aveva verso la lingua italiana. Sui meriti storici degli studiosi, se lo vorranno fare, lascio più scientemente argomentare i castelbuonesi Gioacchino Cannizzaro e Massimo Genchi, autori del “Lessico del dialetto di Castelbuono”, opera inserita nel monumentale Atlante Linguistico della Sicilia.
Due. Non esiste una lingua statica, immutabile, definita una volta per tutte. Chi userebbe oggi l’ottocentesco “Dizionario della lingua italiana” del Tommaseo? Il fatto che molte parole ogni anno vengano tolte dai vocabolari, e altre nuove inserite, ne è la prova. Ciò vale anche per il dialetto.
Tre. Non è compito dello scrittore di narrativa fornire un “servizio” - come tu lo intendi - alla lingua siciliana: per tale scopo operano gli studiosi coi loro saggi e ricerche - appunto.
Quando tu rimproveri Andrea Camilleri e, addirittura! Pirandello, commetti, almeno, un doppio errore di valutazione.
Primo, perché è lo scrittore stesso (A. Camilleri) a chiarirci che il suo è un dialetto reinventato. Citazione, del resto, da te correttamente riportata nell’articolo. Quello che tu dici potrebbe avere senso se riferito ad un articolo di giornale, ad un saggio o ad un testo argomentativo qualsiasi; ma è totalmente fuori luogo proporlo nell’ambito del romanzo, cioè della scrittura creativa per eccellenza.
Secondo, chi l’ha detto che la lingua utilizzata dai personaggi di un racconto deve necessariamente imitare il linguaggio reale? O, come tu auspichi, quello codificato dal sicilianista Salvatore Camilleri?
L’artista ha la legittima libertà di deformare, inventare, stravolgere, contaminare il linguaggio, se ciò è finalizzato a raggiungere determinati effetti espressivi. Se, nello scrivere i loro racconti, Emilio Gadda o Vincenzo Consolo – solo per restare in Italia – si fossero limitati ad un utilizzo ortodosso della lingua, non avremmo avuto opere importanti del Novecento come “La cognizione del dolore” o “Retablo”. I due libri, infatti, basano il loro valore letterario non tanto sulla trama, piuttosto semplice, ma proprio sulla capacità degli autori di destrutturare il linguaggio corrente per “costruirne” uno originale, inedito. E quindi, affabulando il lettore col loro particolare stile narrativo.
Cordialmente.
Saro Brancato

Caro Saro,
rispetto il tuo punto di vista e ti assicuro che non ho inteso rimproverare né Camilleri né Pirandello. Non sono all’altezza di farlo e, peraltro, non lo meritano. Il loro avvocato difensore è il grande pubblico. Ognuno può reinventare ciò che vuole, tanto più che la buffonesca utilizzazione di ogni cosa attrae l’utenza e la diverte per giunta. Nel caso di Camilleri la reinvenzione ha partecipato al successo; nel caso di Pirandello, è stata solo un piccola parentesi. Conosciamo il grande autore per ben altra ricchezza letteraria, se non sbaglio.
Nessun obbligo è stato addebitato ad alcuno. Ho fatto semplicemente qualche considerazione legata alla salvaguardia della lingua siciliana.
In quanto al Lessico del dialetto di Castelbuono di Genchi e Cannizzaro, opera prestigiosa alla quale va data giusta rilevanza per il fatto che contribuisce alla conservazione della parlata locale, mi permetto di osservare che si tratta però di vernacolo e non di lingua siciliana facilmente comprensibile dalla popolazione di ogni provincia dell’isola.
Caro Saro, credo stiamo parlando di due cose diverse. Grazie per l’attenzione.
Ignazio Maiorana
 
 

GustoBlog.it, 3.8.2006
La cucina di Montalbano

I libri di Andrea Camilleri appassionano migliaia di lettori e di gastronomi. In un'immaginaria Vigata, infatti il commissario Montalbano si muove fra delitti e misteri con perizia e un debole per la buona cucina: gli arancini e i peperoni arrostiti della cammarera Adelina suscitano le gelosie della fidanzata Livia, le triglie di scoglio fritte da Calogero (padrone dell'omonima trattoria) sono vere e proprie momenti di ispirazione per Salvo e Mimì.
Per la gioia di cuoche/i e lettori, il fanclub di Camilleri ha fatto un elenco di tutti i piatti presenti in ciascun libro con tanto di titolo e pagina in cui compaiono ma ha anche messo sul sito le ricette.
Un modo per gironzalare per la Sicilia usando gusto e vista ;-) e ... senza muoversi da casa (sigh!)
petula
 
 

CulturalWeb.it, 4.8.2006
Festival dello spettacolo 2006

Il 5 agosto prenderà il via il Festival dello Spettacolo 2006. Giunto quest’anno alla sua X edizione, con la direzione artistica di Bruno Tabacchini, il Festival è prodotto ed organizzato dalla Procultur Campania, e si fregia del patrocinio della Presidenza della Regione Campania, della Presidenza della Provincia di Napoli, del Comune di Sorrento
Il programma, articolato per soddisfare i gusti di un pubblico eterogeneo, troverà accoglienza nei siti allestiti nei due comuni di Sorrento e Piano di Sorrento.
Dieci gli spettacoli in cartellone.
[…]
Lunedì 14 agosto sarà di scena La Tempesta, commedia tratta da W. Shakespeare nell’elaborazione di Andrea Camilleri con gli attori della Compagnia Stabile di Catania e la regia di Giuseppe Dipasquale.
[…]
 
 

4.8.2006
23° Cafè Philo itinerante organizzato da 8TJ, dedicato a 'La concessione del telefono'
Rossano (provincia di Cosenza), terrazza del ristorante 'Stella dello Ionio', ore 19:30.
Si partirà dalla lettura di alcune epistole per arrivare a discutere delle questioni attuali sulle intercettazioni telefoniche e sul rapporto conflittuale tra stampa, magistratura, forze dell'ordine ed opinione publica sull'uso delle stesse.
 
 

4.8.2006
Nell’ambito della seconda edizione di “Una Montagna di Libri”, Mostra Mercato dell’Editoria Siciliana a cura della Biblioteca Comunale di Castelbuono in collaborazione con le case editrici Flaccovio, Kalós, Sciascia e Sellerio, presentazione di “Lorenza e il commissario” (Sellerio) di Davide Camarrone. Intervengono Adriano Scancarello (Assessore alla Cultura del Comune di Castelbuono) e Filippo Lupo (Presidente del Camilleri Fans Club).
Castelbuono (PA), ex Chiesa del Crocifisso, ore 19:00
 
 

5.8.2006
La “Tempesta” di Camilleri
Debutta al X Festival internazionale Shakespeariano di Danzica (Polonia), in rappresentanza dell’Italia, la versione in siciliano di Andrea Camilleri de “La tempesta” di Shakespeare, con la regia di Giuseppe Dipasquale.
 
 

Ventiquattro (magazine de Il Sole 24 Ore), 5.8.2006
Letteratura. Le regole del gioco
Partita doppia
Messaggi cifrati, rebus, citazioni più o meno colte. Come in una sfida a scacchi. Roselina Salemi ha seguito le mosse di autori e lettori. Chi darà scacco al re?

[…]
Nel gioco bisogna essere sinceri, ma non troppo, perché le creature tendono a divorare il creatore. Andrea Camilleri, per esempio, non riesce a liberarsi di Montalbano, diventato ingombrante come Maigret per Simenon (ha provatyo a farlo fuori, ma ha la pelle dura).
[…]
Roselina Salemi
 
 

Corriere della sera, 6.8.2006
Camilleri: ci discriminano, è estremismo all’americana

«Per fortuna non ho più l’età per fare domande d’assunzione.... ». Andrea Camilleri si accende una sigaretta e attacca: «Non assumere gente che fuma? Che idea... Sono forme di stupidità e di discriminazione. Io non vorrei passare per antiamericano ma credo che questi siano estremismi americani che contagiano anche noi». L’ideatore del papà del commissario Montalbano, 81 anni, fuma «come dieci turchi messi assieme».
La sua voce roca commenta la storia dell’azienda irlandese che non vuole impiegati fumatori e spiega: «Mi sembra francamente discriminatoria. E come se ne accorgono? Con una radiografia? Il fatto è che l’uomo ha bisogno di ricorrenti cacce alle streghe. Io sono favorevole alle limitazioni sensate, non alle persecuzioni». Sorride al ricordo della sua prima sigaretta, Camilleri. Ne ha un’idea romantica: «Era il giorno dei miei 18 anni. Non ho mai fumato di nascosto perché volevo dare al mio vizio l’onore e la visibilità che meritava».
[…]
Giusi Fasano
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 6.8.2006
Le idee
Gli scrittori dei noir cancellano la memoria
La Sicilia, un tempo terra di carismatiche figure intellettuali diventa sempre più una landa desertica rigogliosa solo di testi effimeri
Ironico apripista fu Santo Piazzese poi è arrivata la valanga di autori che si sono cimentati in un genere poliziesco in cui il contesto sfuma tra le righe
La città tradita dai suoi scrittori

Ormai da alcuni anni il "giallo palermitano" emerge sempre più nettamente come un sotto-genere a sé stante, tanto da poter rivendicare una collocazione privilegiata nella geografia letteraria del cosiddetto (spesso impropriamente) noir italiano.
A dare la stura, con felice tocco ironico, fu Santo Piazzese, autore di un dittico frizzante, poi divenuto trilogia, ma con un tono più cupo e meditativo. Al seguito vennero Gian Mauro Costa, Giacomo Cacciatore, Piergiorgio Di Cara, Valentina Gebbia, Ugo Barbàra, Simona Corso, Saba Cloos (e altri ancora che in questo momento sfuggono al mio censimento mnemonico).
L´idea originaria di Piazzese era di sottrarre Palermo al greve cronachismo mafioso e ricondurla alla normalità (anche nel senso di una règle du jeu) della narrativa poliziesca, ovvero di una fiction spoliata di ogni pretesa allegorico-filosofica.
L´assunto anti-didascalico, sviluppato in una forma sottilmente parodistica, fu per un verso liberatorio, emancipatore, ma per l´altro anche foriero di una china disimpegnata e un po´ superficiale, non sempre in grado di compensare col puro intrattenimento una perdita di spessore gnoseologico.
Non che il giallo, palermitano e non, in questa riscoperta del godimento enigmistico fine a se stesso, abbia del tutto perduto le sue doti di passe-partout interpretativo di una realtà sempre più violenta e torbida.
Si è andata tuttavia affermando una curiosa tendenza: opera per lo più di giornalisti, questo giallo disincagliato da quelli che, per restare in tema, potremmo definire alibi culturali e politici, si è voluto spesso scostare dalla realtà per attingere liberamente al repertorio tipologico del thriller, del mystery, della crime story, del detective novel, con un contraddittorio effetto di sprovincializzazione ma anche di crisi identitaria.
In questo senso il giallo palermitano è davvero quanto di più neutro si possa immaginare: la città vi fa capolino in modo vago e strumentale, lasciando intravedere di sé frammenti anonimi e anodini, solitamente privi di un senso specifico.
Nel bene e nel male, queste tendenze sono confermate anche dalla recente uscita di tre romanzi ascrivibili in qualche modo al filone del giallo palermitano. Si tratta di "Lorenza e il commissario" di Davide Camarrone, pubblicato da Sellerio, cui si affiancano "Giù dalla rupe" di Gery Palazzotto e "L´enigma Barabba" di Salvo Toscano, entrambi apparsi nella collana Gialloteca dell´editore Dario Flaccovio.
Tre libri molto diversi, ma accomunati da significative coincidenze.
Gli autori, intanto, sono tutti giornalisti, il che garantisce una meticolosa attenzione alle procedure giudiziarie e al milieu investigativo di non poco conto. Lo scenario base è per tutti l´ambiente palermitano, anche se Camarrone sfiora Roma e si spinge fino in Algeria, Palazzotto preferisce spostare leggermente l´asse narrativo in una facilmente riconoscibile isoletta a trenta miglia nord-ovest dal capoluogo, Toscano si concede qualche gitarella a Taormina e nell´hinterland etneo.
La città evocata da questi tre autori mantiene una spettrale indeterminatezza che ha tuttavia alcuni tratti comuni. Camarrone accenna a una Palermo in cui «vivono più sessanta etnie differenti, e in pace, come al tempo di Federico II». Toscano descrive una domenica pomeriggio in piazza Politeama che sembra una sagra interetnica: «Vedi da una parte i maghrebini, vestiti all´occidentale, qualcuno lo potresti scambiare per un siciliano. Dall´altra i tamil, un´infinità, uomini, donne e bambini, sempre sorridenti e positivi, sembrano ben contenti di quest´isola così lontana e diversa dalla loro. Poi gli indiani, le donne avvolte in vestiti sgargianti. E le tante ronde di due o tre donne dell´Est, polacche, russe, rumene, che passeggiano fumando attraverso la grande piazza».
Naturalmente, questa rassegna è piuttosto generica, adattandosi a moltissime realtà metropolitane. Così come l´aureo cosmopolitismo vagheggiato da uno dei personaggi di Camarrone ha davvero pochi riscontri con l´odierna dimensione del nostro capoluogo.
Ancora più spiazzante è il fatto che l´ambientazione palermitana, ancorché labilissima e talora ridotta una mera quinta teatrale, se per certi aspetti insiste su una opzione logistica contrapposta agli scenari consueti del genere, per altri si rivela una riduzione alquanto sconfortata e quasi claustrofobica.
Palermo è infatti una location asfissiante, una metropoli in miniatura, troppo angusta per le esigenze di una trama spettacolarizzata, da cui si cerca di evadere, cercando altri set o comunque manifestando un sentimento ambivalente di orgogliosa frustrazione, di amore-odio.
Palazzotto fa dire al suo commissario Giovanni Porzio che Palermo è un «inferno» che «fa meno paura se impari a conoscere strade, persone, abitudini». Toscano si abbandona agli ossimori di una città disperata e solare, tragica ma seducente: «Amo Palermo di un amore carico di sano odio, anche se potrei rivoltare la frittata e proclamare di odiare la mia città di un odio inficiato da un amore insano».
E anche Camarrone attribuisce alla sua Lorenza, arredatrice e squillo d´alto bordo, un analogo sentimento dilaniante: «Detesto solo al presente la mia città d´origine, e un poco anche al futuro; il suo passato mi dispiace meno, e ne compro tre volumi».
L´ultimo riferimento è ai diari del Marchese di Villabianca, ma assume una valenza esemplare: l´amore peloso per la città si traduce sempre in una nostalgia miope che sottrae con disgusto lo sguardo dalle miserie e bassezze del presente.
Tale atteggiamento ambiguo, unito alla sostanziale intercambiabilità della rappresentazione, fa di Palermo la capitale di cartapesta di un microcosmo letterario assolutamente neutro, ovvero caratterizzato da una totale mancanza di caratterizzazione. Non solo, quindi, una Palermo immaginaria e approssimativa (dove può perfino capitare di scorgere «la statua equestre di Carlo V» a Piazza Bologni), ma addirittura un non-luogo, una sorta di fondale sbiadito che potrebbe andar bene per ogni messa in scena.
Tale scomparsa di Palermo è un doloroso smacco sia giornalistico che letterario (laddove Salvo Licata, per esempio, rivelò la città, il suo cuore, sia in una veste che nell´altra, compenetrandole in una scrittura al tempo stesso d´inchiesta e di poesia).
In altri termini, il romanzo di Palermo, almeno in chiave "gialla", non c´è ancora perché il mercato editoriale ha imposto un nuovo manierismo e talora un nuovo conformismo che implicano una catastrofica rinuncia alla specificità dello stile, costretto a una medietà più lucida che aurea, a un tecnicismo seriale, a un appiattimento ai linguaggi e ai tempi della televisione o ai "codici" del bestseller internazionale.
Camarrone, Palazzotto e Toscano si dimostrano abili nella costruzione di un plot complesso, di un solido enigma che si colloca nel solco della nobile arte che Chandler chiamò semplice e che invece è molto impervia.
Il primo si distingue per la ricerca di una prosa non scontata, gli altri per una scorrevolezza molto professionale. Toscano in particolare consegue momenti di esilarante comicità. Se una volta il poliziesco non era «cosa nostra», oggi possiamo contare su una scuola agguerrita e preparata.
Tuttavia, il rovescio della medaglia è una drammatica dissolvenza (insieme alla città) dello scrittore-intellettuale, sia sul piano della coraggiosa testimonianza etico-civile che su quello della lucida analisi socio-culturale. È venuto meno, in altri termini, lo "scandalo" dell´intelligenza provocatoria e lungimirante.
Non solo a Palermo, ma in tutta la Sicilia, non riesce più ad alzarsi una sola voce autorevole. Vincenzo Consolo, che resta il maggiore dei nostri scrittori, tace da troppo tempo, se si esclude un certo suo generoso spendersi in querelle indignate. Andrea Camilleri, cui non difetta né il talento né l´attenzione alle problematiche civili, non è esattamente un maître à penser e in qualche modo è anche l´incolpevole causa di una declinazione (o declino) delle nostre Lettere a cliché monocromatici. La vecchia generazione, forse disorientata dal crollo dei punti di riferimento, sembra voler tirare il fiato. Le nuove (o seminuove) leve stentano a spiccare o hanno difficoltà a conservare un livello e una continuità di eccellenza.
Naturalmente, vanno fatte sempre le debite tarature ed eccezioni. Ma in generale si avverte una specie di mutazione antropologica: la fine del libro come quintessenza di una cultura sedimentata nel tempo e la sua sostituzione con la nuova Babele di Internet e quindi con l´avvento di una totalizzante comunità telescrivente (ed è significativo che un autore promettente come Toscano si ponga il problema oscillando tra il panegirico della Rete e la sua abiura).
Il risultato è un´afonia e una smemoratezza che sempre più vanno trasformando la Sicilia, un tempo non lontano terra di carismatiche figure intellettuali, in una landa tanto più desertica quanto più apparentemente rigogliosa di novità editoriali effimere o comunque rinunciatarie, adagiate sulla facile scelta di un entertainment omologato e prefabbricato.
Marcello Benfante
 
 

AgoraNews, 7.8.2006
La vampa d’agosto

Quando il caldo ti attanaglia, difficilmente si riesce ad avere le idee chiare. La Sicilia in agosto, stretta tra pietre infuocate e mare, è il quadro che incornicia l’ennesima storia del commissario Montalbano: “La vampa d’agosto” per Sellerio Editore, nella collana “La memoria”, 11,00 euro, pagine 271.
Mi spiace dirlo ma questo racconto non vi piacerà. Il caldo soffocante della bella ed immaginaria Vigata è reso talmente tanto bene da appesantire anche la vicenda umana del protagonista: il lettore si ritroverà un commissario Montalbano sempre più malinconico e preda dei pensieri appassionati, eppure così umanamente fragili. Un personaggio che Camilleri ha deciso di far invecchiare spingendolo con forza davanti alle proprie debolezze, che sembrano appartenere più al suo autore ultraottantenne che si interroga su di sé e sul proprio futuro.
Il meccanismo d’investigazione è ancora perfetto con un protagonista istintivo e con gli immancabili Fazio e Catarella che lo accompagnano nella ricerca del misterioso caso di una donna morta sei anni prima. In un parallelismo ambiguo e cruciale, le stanze buie della villetta dove viene ritrovato il corpo nascondono molto di più di quello che è dato immaginare: Montalbano dovrà pazientemente ricostruire una fitta ragnatela di parentele pericolose, collusioni tra mafia e politica, tra mafia e imprenditoria, tra politica e banche, tra banche e riciclaggio e usura, in cui ogni personaggio ha una macchia oscura da nascondere per poter sciogliere ogni dubbio.
Un giallo che, sì, rispecchia i romanzi precedenti, ma sprofonda nel finale a cui, come dice Salvatore Nigro nella copertina, il lettore vorrebbe forse non arrivare mai. La vampa d’agosto toglie il fiato anche al suo lettore che superate le torbide atmosfere del romanzo resta con una sensazione di vuoto.
Eugenia Zangardi
 
 

Arte, 8.8.2006
L'univers d'Andrea Camilleri
Entre le marteau de la Mafia et l'enclume de l'Etat

«Pour Berlusconi, la justice est un chiffon rouge. Le simple fait de penser à un tribunal ou à la justice le met hors de lui, lui donne de la tension, l´empêche de dormir, lui fait perdre les quelques cheveux qui lui restent et creusent sur son visage de nouvelles rides qu´il essaie vainement de dissimuler sous son maquillage.» Quand Andrea Camilleri disserte sur l'ancien chef du gouvernement italien, on serait tenté de penser qu´il tire le portrait d´un de ses nouveaux personnages de roman policier. Sans doute encore un affreux jojo de Vigata, le bourg sicilien où le commissaire Montalbano traque le crime depuis maintenant sept romans et quatre films. Mais quand il est question de Berlusconi, Camilleri ne plaisante plus. L´écrivain soutenait ardemment le mouvement de protestation qui dénoncait, en Italie, la soumission rampante de l´Etat aux intérêts personnels et louches de ce magnat de la presse, qui était aussi premier ministre.
Et l´attitude qu´adoptait Camilleri pour accuser Berlusconi ressemblait étonnamment à celle de son fin limier, un homme sobre, indépendant, sarcastique, implacable dans la dénonciation des monstruosités. Si tout sépare ces deux hommes, leur ascension verticale, politique pour l´un, littéraire pour l´autre, est quasiment concomitante à la fin des années 90. Silvio Berlusconi, il est vrai, s´est systématiquement servi de la puissance séductrice de son empire médiatique, alors qu´Andrea Camilleri, lui, a toutes les peines du monde à s´expliquer la gloire tardive qui lui est «tombée dessus» à l´âge de 72 ans. «C´est une conspiration des lecteurs», se plaît-il à dire quand il se remémore l´été 1997, année où ses livres occupaient huit des dix premières places au palmarès des meilleures ventes en Italie. Rétrospectivement, l´idée que l´écrivain ait attendu pas moins d´une trentaine d´années avant d´accéder à cette gloire sans précédent donne le vertige.
En 1978, à la publication de son premier roman «Il corso delle cose» (Le cours des choses, non traduit), il sort de 10 années de purgatoire: 14 éditeurs avaient refusé son manuscrit. Bien inspirés apparemment, car au début, le livre prend la poussière dans les rayons de la librairie. D´autres textes publiés sans grande conviction connaissent un sort comparable. Pourtant, Camilleri s´était déjà fait un nom comme metteur en scène de théâtre et de télévision: à la fin des années 50, il avait fait venir Beckett en Italie; puis mis en scène Ionesco, Strindberg, Maïakovski et, à de nombreuses reprises, son compatriote et parent sicilien Luigi Pirandello. Dans les années 60 et 70, il avait offert aux téléspectateurs transalpins des séries policières, avec les inspecteurs Sheridan et Maigret, des films dont le succès était tel qu´ils vidaient littéralement les rues. Mais personne ne lisait ses livres... jusqu´à ce qu´il se souvienne du polar et donne naissance au commissaire Montalbano. Salvo Montalbano vit et enquête dans la bourgade sicilienne de Vigata, qui n´est autre, en fait, que le village natal de Camilleri, Porto Empedocle, dans la province d´Agrigente.
Dans les milieux policiers, c´est un marginal. Il évite les puissants, déteste les journalistes; ce biblivore, grand amateur de cuisine sicilienne, a une fiancée qui travaille à Gênes. Camilleri donne à son commissaire quelques traits de caractère, crée quelques gags à répétition, rien de plus. Le reste n´est qu´intrigue, chaque enquête étant à la fois une quête éternelle de la vérité. Un cocktail que les lecteurs trouvent soudainement irrésistible. La machine à succès est en route. Camilleri ressort alors de ses tiroirs l´oeuvre de toute une vie: un univers littéraire peuplé de 21 ouvrages, dont l´action se situe toujours à Vigata et alentour. Des enquêtes de Montalbano, mais aussi de nombreux romans historiques dans la Sicile du 19e siècle, qui tient à coeur à Camilleri. C´est l´époque de l´unification italienne, un chapitre de l´histoire du pays dans lequel «les erreurs commises à l´époque sont si nombreuses que nous les traînons encore aujourd´hui.» Ses livres en décrivent quelques unes, des mesures brutales ou absurdes, par lesquelles les émissaires du nouvel Etat, envoyés du Nord du pays en Sicile, se disqualifient complètement aux yeux de la population. Camilleri s´appuie sur des documents d´époque: un tract trouvé dans les papiers de son grand-père, un décret sur l´installation d´une ligne téléphonique privée, des éléments de l´enquête réalisée par l´Etat en 1876 sur les conditions de vie en Sicile.
Et le public sent bien que l´originalité des romans policiers de Camilleri, les dialogues précis, le côté vivant des personnages, l´alternance rapide des lieux, des critères qui obéissent aux lois du montage cinématographique que tout ceci traverse aussi ses romans historiques et en fait une lecture dont le plaisir devient rapidement insatiable. En quelques années, Andrea Camilleri est devenu une véritable institution en Italie. Son oeuvre débouche sur autant de messages politiques: «J´ai écrit un jour que les Siciliens se trouvent entre le marteau de la mafia et l´enclume de l´Etat. C´est exactement la situation de Montalbano. Il sait qu´il doit lutter contre la mafia, mais il connaît aussi les travers de l´Etat. Et il sait, comme moi, que vérité ne rime pas toujours avec justice.»
Aux yeux de Camilleri, Montalbano est l´ambassadeur d´une autre Sicile, qui parvient tout doucement à s´affranchir de ses vieilles contraintes et de ses clichés. Les deux dernières enquêtes, qui ne sont pas encore traduites, vont encore plus loin, elles sautent à pieds joints dans l´actualité. Il y est question de cyber-criminalité, de réfugiés du tiers-monde échoués sur les côtes siciliennes, du sommet du G8 à Gênes qui sombre dans la terreur et la violence policière. Pas de doute, il s´agit, ici, par littérature interposée, d´un règlement de compte avec le système Berlusconi et Camilleri ne semble pas vouloir s´arrêter là. Aux débuts de sa fulgurante apogée, l’aimable monsieur, si reconnaissable à son crâne ovale et à sa voix sonore, se pliait sans renâcler à l’exercice de l’interview et des plateaux de télévision pour répondre à des questions somme toute légitimes, quand on pense qu’une œuvre restée dans l’ombre toute une vie est soudain lue par tout le monde en même temps. Maintenant, il se fait plus rare, mais il sait, il est vrai, y mettre les formes. Sur son répondeur, on peut entendre: «Souhaitant continuer à écrire et – si possible – à vivre, je ne suis pas disponible pour des interviews, prix littéraires, préfaces ou autres présentations de livres; merci de votre compréhension.»
Karsten Deventer
 
 

La Stampa, 8.8.2006
Nell’estate della grande rivalità calcistica tra Roma e Parigi i nostri scrittori di noir trionfano Oltralpe
Italia-Francia: amore in giallo

Piergiorgio Di Cara ha il fisico tarchiato e lo sguardo fiero. Come lo stile dei suoi gialli, che raccontano la grinta, la solitudine, e anche la noia della normalità, dei poliziotti che lottano contro la mafia in Sicilia. E che spesso pagano con la vita la fedeltà allo Stato. Anche lui, figlio della borghesia palermitana, un cuore di sinistra, ottimi studi e grandi letture, fa il poliziotto alla squadra mobile di Palermo. E anche lui combatte le cosche sul territorio. La sua fotografia in Lacoste amaranto buca il paginone che Libération gli dedica, esaltando lo stile quasi documentario con cui racconta i «flics» impegnati in prima linea contro Cosa Nostra. Fa un po’ sorridere veder tradotto il titolo del suo romanzo “Cammina, stronzo”, in “Avance, cretin” – questi d’altronde sono gli scogli insormontabili del passaggio da una lingua all’altra – ma il ritratto del poliziotto-scrittore 39enne è entusiasta. Lodi alla sua cultura, al suo coraggio professionale, al suo amore per il rugby (metafora del lavoro poliziesco dove tutti sono compatti e combattivi come in una mischia), alla sua ammirazione per Borsellino, Falcone e Cassarà.
Le Monde pubblica in prima pagina la recensione del film di Michele Soavi, “Arrivederci amore, ciao”, tratto dall’omonimo romanzo di Massimo Carlotto. Anche in questo caso grandi elogi. Il film è considerato uno specchio per capire l’Italia di oggi, o addirittura qualcosa di più globale e metafisico, «la nuova fase inquietante della storia dove il caos regna, nascosto dietro la tranquilla facciata dell’ordine ristabilito».
La Francia che ci ha odiati per la testata a Zidane e per averle soffiato sotto il naso la coppa del mondo ci perdona nel nome del giallo. O del noir, perché nel mondo dei delitti di carta i colori cambiano. O del «polar», come lo chiamano loro. E’ un amore forte e incondizionato che da anni innerva l’editoria d’Oltralpe. Nella lunga casistica è addirittura capitato che autori italiani fossero scoperti prima di là che di qua. Per esempio, Cesare Battisti, l’ex leader dei proletari armati per il comunismo. I suoi gialli sono usciti a Parigi e poi tradotti sull’onda della fama mediatica per le vicende giudiziarie. Un caso emblematico. Ma in fondo anche normale, dato che l’ex terrorista aveva ricominciato una nuova vita latitante in Francia. Ben diverso è invece il caso di Giuseppe Ferrandino. Il giallista napoletano aveva pubblicato il suo romanzo d’esordio, “Pericle il nero”, da un piccolissimo (ma ottimo) editore, Granata Press nel 1993. Pochi se n’erano accorti, oltre agli amici e ai famigliari. Quando Gallimard lo incluse nella mitica serie noire, Adelphi lo notò e lo ripropose nei suoi raffinati volumi nel ‘98. E naturalmente Ferrandino venne riaccolto dalle patrie lettere come un fenomeno. Meritatamente. La Francia come talent scout ci sa fare. Anche al di fuori del giallo. Per esempio ha rilanciato in tutto il mondo, Ungheria compresa, l’ungherese Márai. Se i francesi non avessero suggerito di tradurre con “Le braises” l’intraducibile titolo - che suonava più o meno “Le candele bruciano e si consumano fino a diventare mozziconi” - probabilmente nessuno si sarebbe accorto del suo talento.
Il giallo italiano ha un posto di tutto rispetto nell’editoria francese. Anzi, è quello il vero Pantheon dei giallisti italiani. Oggi, che l’alto e il basso si sono rimescolati, non ha più senso parlare di serie B, di letteratura di genere... e di tutte quelle cose lì (chi ancora fa professione d’umiltà artigiana finge); oggi che il giallo è sdoganato dappertutto, che ci si può vantare di scrivere e leggere gialli, la vera patente di nobiltà è la traduzione in francese. Il giallista che ce l’ha fatta è promosso. Gli altri devono ancora superare i preliminari del crimine.
I francesi conoscono i classici come Scerbanenco, Gadda (del Pasticciaccio), Fruttero e Lucentini, Eco. Poi, fatte le debite tirature, tutti i nostri autori più bravi, da Camilleri a Carlotto, da Lucarelli a Machiavelli, dalla Grimaldi a Cacucci, da Dazieri a Ammaniti. Tra le ultime infatuazioni segnalate, Giancarlo De Cataldo per il “Romanzo criminale” della Magliana supportato dal film e le ferrigne atmosfere sarde di Marcello Fois.
Perché tanto amore? Probabilmente un po’ di antiamericanismo c’entra. Quando i presidenti di Francia e Stati Uniti si fanno pernacchie reciproche, i ristoratori d’America ribattezzano le patatine fritte, scialano lo champagne e boicottano il foie gras, anche i rapporti bilaterali del giallo ne risentono. Ma c’entra anche la qualità letteraria. L’America non è più la terra dei Chandler, degli Hammett, dei Goodis. Sono tramontati i tempi in cui Truffaut o Godard potevano trarre ispirazione dai polizieschi d’America. Oggi il giallo anglosassone è davvero scarno di sorprese. Gli editori cercano di clonare chi ha intuito un bestseller, imponendo misteri esoterici dopo Dan Brown o indagini di polizia scientifica dopo Csi. Gli autori, che sui quattrini non ci sputano (come biasimarli, d’altronde) scrivono pensando a Hollywood, alle serie televisive. E si concentrano più sugli effetti, sull’azione e sugli schizzi di sangue, che sullo stile. Insomma, in America, per il lettore francese viziato da Simenon e Malet, c’è poco da scoprire.
Il giallo italiano invece è assai più ricco e variegato. Certo, gli autori di gialli nostrani con i loro detective rigorosamente anomali e rigorosamente solitari, ammiccano all’hard boiled. Ma poi si riscattano con l’ironia, con le trovate linguistiche, con la fantasia. Il thriller americano pedina soltanto folli assassini seriali. Il giallo italiano racconta le città, le genti, il malaffare, la politica. E dato che l’Italia – talvolta con l’aiutino di qualche premier effervescente – stupisce gli stranieri, ecco che il giallo può essere un modo per capire meglio. Con una lettura di Camilleri o Carlotto si può iniziare il grand tour nella penisola delle vacanze più consapevoli.
Nell’amore dei francesi c’entra anche un po’ di politica. Gli intellettuali e gli editor gauchisti prediligono autori con antica militanza nell’estrema sinistra: si accorda con l’eterna vocazione francese ad accogliere esuli e latitanti, e rende le storie più vere, più virili, più disincantate. E c’entra il gusto di singoli individui. Tradurre i nuovi giallisti, che amano giocare con la lingua, è impresa ardua (come si fa per esempio a rendere un «picciriddu» di Camilleri?). Occorrono esperti. E per fortuna ce n’è uno appassionatissimo che si dedica a volgere in francese i nostri gialli. Si chiama Serge Quadruppani. Il suo talento è pari solo al suo garantismo estremo. Uomo di sinistra senza se e senza ma, ha combattuto contro lo stalinismo, contro gli alibi della lotta al terrorismo e, in passato, anche per garantire sicurezza all’odioso Faurisson (quello che nega l’Olocausto) o per pubblicare un romanzo di un autore anti-antifascista. Quadruppani, scrittore di noir egli stesso, grazie a un’ottima conoscenza dell’italiano adora Camilleri, Dazieri, Carlotto, Fois. Aveva costruito un’antologia nerissima in Francia, col titolo “Portes d’Italie”, per far conoscere 18 autori. L’antologia fu poi tradotta in italiano e pubblicata nei gialli Mondadori. Con alcune modifiche. Mancava per esempio il racconto “Cagnetta” di Michele Serio, con le relazioni un po’ spinte tra una coppia di coniugi e la loro bestiola. La storia era stata considerata troppo forte per i lettori italici. Ancora una volta il gusto francese s’era dimostrato più audace nei confronti del nostro giallo.
Bruno Ventavoli
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 8.8.2006
La nostra Palermo, globale e “noir”

Con le lucciole, scomparvero, un giorno, anche le stroncature ideologiche. Le prime, le trovavi nei campi, in certe passeggiate notturne. Le altre, sui settimanali di partito. Che tempi dovevano essere, quelli: frustate pubbliche, lacrime e abiure.
Ora, Marcello Benfante (su Repubblica di domenica scorsa) fa a noi e ad altri l´onore di un viaggio a ritroso nel tempo, scassinando l´aulico vocabolario dei critici di professione, ed elencando violenze su violenze, commesse ai danni di una sola vittima: Palermo, vilipesa da questa nuova leva di "scrittori noir".
È un atto d´accusa, riemerso come uno spettro dal cimitero del medioevo novecentesco. È un editto, un bando, affisso alle porte della città. Al quale bisogna rispondere subito, per ragioni di salute pubblica. I singoli libri, in questa replica, non c´entrano. Sul loro destino, decideranno i lettori, con le tanto disprezzate ordalie del "Mercato".
Tralasciamo le minuzie (tutti giornalisti, e perciò bravi nelle ricostruzioni investigative, e via fischiando), e andiamo ai titoli dei reati contestati ai "banditi".
In estrema sintesi. Gli "scrittori noir" cancellano la memoria. Fanno di Palermo niente di più che una quinta teatrale. Come se la conservazione della memoria (di quale porzione, in particolare?) fosse un compito da assolvere in un certo modo piuttosto che in un altro. Come se una qualsiasi città - Palermo o Los Angeles o Verona - potesse aspirare, nella letteratura d´invenzione, a un ruolo diverso dalla quinta teatrale. Teatro è mostrare (in greco). E mostrare può far solo bene alla memoria.
Ma c´è dell´altro, spiega Benfante. I "banditi" hanno agito sotto altri pericolosi influssi - gli americani, Internet, la Televisione: che "lucida analisi", perbacco! - e, per di più, in una condizione sconfortante: il disorientamento provocato dal crollo dei punti di riferimento.
Essendo ideologica, la stroncatura, occorreva evocarla, prima o poi, l´ideologia: "i punti di riferimento", e dunque l´assunzione degli stessi per la pedagogia delle masse, solo compito di una letteratura popolare nel senso nobile del termine. Di questo stiamo parlando? Della Funzione alla quale è opportuno assolva la Letteratura? Ma scherziamo? E il piacere di leggere? (come di ascoltare musica). E il piacere di scrivere? (come di comporla). E la possibilità di utilizzare il genere - giallo o spy che sia - per discutere del nostro tempo, dei verminai di potere e delle ipocrisie che implicitamente li sostengono? (così come non avviene nella cosiddetta Letteratura Alta, alla quale va il nostro cordoglio).
Noi raccontiamo una Palermo e una Sicilia che esistono, probabilmente fuori dalla visuale del recensore. Sono luoghi e visioni condivise da migliaia di lettori, dentro e fuori dall´Isola, dentro e fuori dall´Italia. Non sono gli scrittori a raccontare città secondo modelli preconfezionati. Sono le nostre città che sempre più si vanno omologando su modelli globalizzati. Piaccia o no. Allo scrittore non resta che raccontarlo. Con buona pace di chi scambia per "conformismo" la presa di coscienza di una trasformazione che forse non è capita, o meglio accettata, dai nostalgici.
Benfante, magari, pensava ad altro (l´ipotesi è puramente accademica). Ma converrà che ogni testo, errori di stampa compresi, prenda le distanze dall´autore, si faccia cosa a sé, con i suoi giudizi, sinceri e no, i suoi doppi sensi, le sue ottusità.
Un po´ di sano scetticismo aiuta (noi Sciascia lo citiamo, eccome). Anche a dare il giusto peso a una polemica come questa, e a stringersi la mano, sia pure dopo avere incrociato lealmente le lame. Ad ogni modo le critiche possono solo far bene, sono espressione di libertà. E ce n´è bisogno.
Davide Camarrone, Gery Palazzotto e Salvo Toscano
 
 

Step1, 10.8.2006
La miserrima fine del commissario Montalbano
Dalla “Tribù di Zammù” riprendiamo la recensione “ittico-ottica” di Nemo, che anticipa un commento sull’ultimo Camilleri. Già “La vampa di Agosto” aveva deluso molti fans, ma l’amatissimo commissario sembra destinato a una fine davvero ingloriosa: un rifugio nella natura e nella misantropia

Ho letto “ La Taliatura della Triglia”, l’ultimo romanzo di Camilleri, in anteprima grazie al mio amico Tano Pappiri. Dopo quello erotragico de “La vampa d’Agosto”, questo conclude e risolve, in più sensi, molti snodi e dubbi che fino ad adesso hanno incuriosito milioni di amateurs di Fela e Vigata. La lingua camilleriana, da sempre valore aggiunto, per alcuni, come per altri è invece sacrilegio, si affina fino a rasentare i silenzi di un siciliano scettico e senza speranza, arrivato ai consuntivi di una vita monca di felicità.
Quest’ultimo Montalbano è un materialista rassegnato, che riversa i propri dolori in una cucina sempre più abbondante ma povera e in fugaci relazioni sessuali. Livia e Adelina lo hanno abbandonato: Erinni vendicatrici, non gli hanno perdonato le scappatelle sentimental-gastronomiche. La Triglia, che altri non è che Augello, col suo famoso sguardo lo accompagna in questo lungo addio, chandleriano.
Il finale, che vede un Montalbano in pensione - feroce la satira contro il nostro sistema pensionistico-, differisce da quelli di giallisti più datati e famosi: nessuna morte dell’eroe ma un rifugio nella natura e nella misantropia, fra il mago Cotrone e Moscarda (d’altronde Camilleri è ottimo conoscitore del suo conterraneo Pirandello). Augello lo sostituirà al comando, ma non nei cuori dei lettori, affetto, come il titolo riporta (e qui facciamo notare che questo è l’unico titolo in siciliano della serie, quando gli altri sono stati tutti in italiano: segno di una diversità, di una fine), da un sintomatico sguardo trigliesco.
Anche Catarella, in un gustosissimo finale degno di Hoffmann e Shelley, risolve i propri problemi con l’informatica . Insomma, Camilleri si vendica in parte del Montalbano personaggio letterario, infliggendogli una fine misera, tanto più se la si paragona al trionfo di tutti gli altri protagonisti e deuteragonisti: Catarella si riscopre poeta finissimo, Gallo Fazio e Galluzzo diventano vigilantes strapagati, Augello diventa commissario e Beba sforna maschietti per la gioia del maschilista, da sempre, marito, Livia trova finalmente un marito genovese senza fisime e paturnie. La stessa Adelina diventa capo della cosca mafiosa dei figli (la descrizione della nuova Adelina ricorda tanto il Mariano Arena di Sciascia).
Insomma, avremo di che leggere e rimpiangere.
Tribù di Zammù
 
 

L’Humanité, 10.8.2006
Médias télé
Polar et pasta
Arte, 22 h 10.

La Thema «Polar et pasta» propose un voyage au coeur du roman noir italien dans le sillage d’Andrea Camilleri, initiateur d’un renouveau du genre. Le documentaire suit cet écrivain à succès dans un tour d’Italie consacré aux auteurs de romans policiers. L’occasion de découvrir Florence, Milan ou Palerme à la lumière du crime, et de s’apercevoir que le polar italien s’éloigne considérablement des clichés traditionnels. La Mafia joue les seconds rôles, et ce sont les gens ordinaires qui tiennent le haut du pavé d’une littérature placée sous le signe de la diversité. Diversité d’atmosphères, de milieux sociaux, et, de manière plus surprenante, diversité gastronomique pour un «giallo» qui incarne une Italie plurielle attachée à ses particularismes.
Guillem Salles
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.8.2006
La polemica
Quale Palermo raccontano i "noir"? Interviene uno degli autori
Quei gialli senza mafia nella città "normalizzata"

Durante le mie vacanze a Scopello, ho gustato la prima puntata di quella che si annuncia la polemica letteraria di questa estate siciliana.
L´affondo - seppure cortese - di Marcello Benfante sul noir palermitano mi ha dato grande soddisfazione per la volontà di sollevare un caso su un fenomeno che nel suo sviluppo è, come ha giustamente sottolineato, «foriero di una china disimpegnata e un po´ superficiale».
Benfante individua in questa disimpegnata superficialità un tradimento della città che gli autori trasformano in una «quinta» strumentale, un po´ come la Napoli di Ferrandino. Come si può non essere d´accordo? È assolutamente vero: la Palermo del caldo, delle mangiate, delle fimminazze non è altro che uno scenario di cartapesta che in alcuni passi perde anche verosimiglianza. Ma invece che cogliere in questo atteggiamento un segnale di allarme - come fa Benfante - io vedo un segno di normalizzazione. Una parola orribile, lo so, ma che include nelle sue accezioni sia negative che positive quello che intendo dire.
Se è vero che manca negli scrittori palermitani contemporanei quell´impegno che ha fatto di Sciascia uno dei grandi della letteratura e del pensiero italiani, è innegabile che l´Italia - e per certi versi la Sicilia - non è più quella di allora. La parola «mafia» non scandalizza più nessuno; nessuno si azzarderebbe più a dire che il fenomeno «non esiste». Il pensiero sciasciano, che allora suonava rivoluzionario, oggi credo si possa considerare compiuto.
Palermo non deve essere più spiegata a nessuno perché solo i ciechi, i sordi e gli stupidi possono non averla compresa. E comprendere un luogo - senza per questo giustificarne i mali e le malavite - significa ricondurlo a una sfera di normalità che ne smorza il fascino esotico.
La Palermo di Sciascia, temo, non è guarita dalla sua malattia. Sono solo cambiati i sintomi. Ho letto sulle pagine di un quotidiano siciliano che la "Mafia Spa" va a gonfie vele e francamente mi sarei (piacevolmente) stupito del contrario. Eppure a Palermo si ammazza molto meno che in passato. E per giunta in modo diverso. Se penso ai delitti che dominavano sui giornali della mia infanzia, mi vengono in mente nomi come Francese, La Torre, Chinnici. Se invece mi si chiede chi è il morto più illustre della mia memoria recente, mi viene in mente in nome di Irene Tagliavia. Che tutto si può definire, tranne che una vittima di mafia. Anzi: non è forse quello della Tagliavia un delitto "perfettamente" noir? Chi ricorda la brancaleonesca crociata intrapresa da un quotidiano oggi scomparso per spiegare il delitto, sa a cosa alludo.
Quell´assassinio - e tutto quello che ne seguì - segna secondo me uno spartiacque nel modo di intendere il delitto nell´immaginario letterario palermitano. Un omicidio che avrebbe potuto essere raccontato in un romanzo di Lucarelli, di Fois, di Bettini ed essere egualmente ambientato a Bologna, Sassari o Milano. Mi si perdoni il paradosso, ma quell´omicidio fu la prova che a Palermo i fatti di sangue non devono essere necessariamente legati a complotti politico-mafiosi e che si può morire in un modo che ricorda Chandler, Ellroy e Sallis.
Sono convinto che lo sforzo e l´interesse dei noiristi palermitani - categoria alla quale vengo immeritatamente ricondotto, avendo partecipato alla raccolta voluta da Dario Flaccovio - sia quello di intrattenere con una forma letteraria che storicamente non ha pretese di testimonianza etico-civile o di analisi socio-culturale. E purtuttavia non credo che questo sia un bene. Perché Palermo non è Bologna e nemmeno Los Angeles. Perché Palermo ha ancora bisogno di testimoni e analisti. Penso alla "Congiura dei loquaci" di Gaetano Savatteri; alla ricerca storica compiuta da Filippo D´Arpa in "Tarantola ballerina" e - perdonate l´autocitazione - alla mia "Notte dei sospetti". Perché Palermo non è ancora quella città "normale" che si sforza di apparire. E temo che debbano ancora nascere gli scrittori in grado di spiegarlo senza scimmiottare Sciascia e sfidando le pretese delle case editrici alla perenne ricerca di un altro miracoloso Camilleri.
Ugo Barbàra
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 13.8.2006
Camilleri rilegge «La Tempesta», come Eduardo
 
 

La Repubblica (ed. di Roma), 13.8.2006
Le magie teatrali di Shakespeare e Camilleri
L´ultima opera del Bardo al Globe Theatre dal 16 al 18 agosto, nella traduzione dello scrittore siciliano

Ultimo testo scritto da Shakespeare, “La Tempesta” è un elogio della magia e degli illusionismi teatrali incarnato da Prospero confinato dal fratello usurpatore Antonio, duca di Milano, in un´isola sperduta, ha sempre stimolato la fantasia di registi e liberi adattatori del copione originale. Quasi una sfida, uno confronto a distanza, naturalmente con il rispetto dovuto al Bardo. Ci fu, ad esempio, un saggio finale d´accademia di qualche anno fa ambientato su un barcone lungo il Tevere e trasformato nel corso di dieci serate nell´isola della Tempesta con una vivisezione del testo in altrettante puntate passando dal ponte alla cambusa con apparizioni e prodigi di Ariel di marca tecnologica.
Più recentemente, al Piccolo Eliseo, Ferdinando Bruni del milanese Teatro dell´Elfo ne ha fatto un monologo in forma di favola musicale per grandi e piccini con la complicità di marionette e burattini "a guanto" costruiti con materiali di riporto marino, pezzi di bambola, conchiglie, ossi lasciati alla deriva sulla spiaggia. Per non parlare delle metamorfosi del copione shakespeariano in un libretto d´opera scritto da Luca Fontana con le musiche seicentesche di Purcell rielaborate in un allestimento visionario di Giancarlo Cobelli o nella versione moderna musical-teatrale di Massimo Nunzi con Miranda, la figlia di Prospero incarnato dal clarinetto di Gianluca Trovesi, affidata a una cantante jazz che raccontava come un ricordo personale l´intera vicenda della Tempesta. Sempre imparentato con la musica parole e note affidate alla voce di Nino D´Angelo e tradotte in sceneggiata napoletana, con un cast di guitti avanspettacolari e maghi di teatrini periferici La tempesta allestita da Davide Iodice intitolata “Dormi gallina, dormi...” Mentre Margherita Buy in abiti maschili, alter ego di Prospero interpretato da Fabrizio Bentivoglio elargiva canticchiando motivetti orecchiabili sospesa su un montacarichi le perfide magie di Ariel nella versione di Giorgo Barberio Corsetti.
Per Giuseppe Dipasquale che firma la regia e la traduzione scritta con Andrea Camilleri di questa versione in scena dal 16 al Silvano Toti Globe Theatre, «L´isola di Prospero è una metafora dell´anima umana sempre più esclusa, tagliata fuori da un mondo basato soltanto sullo scambio degli interessi». Un´anima tuttavia per nulla pacificata, anzi inquieta come un fantasma elisabettiano, decisa a vendicarsi, a prendersi le sue rivincite nei confronti dei Giganti che governano la cosiddetta vita reale: «La mia Tempesta ambientata in una sorta di aldilà, un luogo senza tempo e senza confini dove ogni cosa vive come sospesa nel sogno, è nello stesso tempo un gioco scenico, una scatola di magie teatrali e un percorso spirituale, un viaggio verso il mistero dell´anima».
Globe Theatre, Villa Borghese, 16, 17 e 18 agosto, Info 06.82059127, www.globetheatreroma.com.
Nico Garrone
 
 

Il Messaggero, 15.8.2006
Il sogno si fonde con la realtà nella “Tempesta” al Globe

Vita reale e universo immaginario. Sono queste due realtà parallele, legate dal filo invisibile dell’alchimia teatrale, a fornire la chiave interpretativa di “La Tempesta”, penultima opera di William Shakeaspeare secondo la tradizione, ma anche commedia che segnò l’addio alle scene come attore del celebre drammaturgo inglese, che il Silvano Toti Globe Theatre ospita da domani al 18 agosto nella versione di Giuseppe Dipasquale, che ha tradotto ed elaborato il testo con la partecipazione di Andrea Camilleri. Appartenente all’ultima fase della produzione shakespeariana, quella dei cosiddetti romances, “opere in cui l’autore rielaborò tematiche già trattate ponendole in una dimensione mitica e sacrale”, “La tempesta” e i suoi personaggi suggeriscono un percorso scenico che si snoda nel labirinto estremo dell’immaginazione, lasciandosi cullare dalla necessità di alludere, indicare, plasmare e far risuonare memorie e realtà apparentemente sconosciute. Grande protagonista della pièce è il sapiente mago Prospero (interpretato da Pietro Montandon), legittimo Duca di Milano costretto all’esilio ventennale su un’isola, in compagna di sua figlia Miranda, a causa dell’invidia di suo fratello Antonio e di Alfonso, re di Napoli. Sarà proprio una tempesta, scatenata dal desiderio di vendetta di Prospero, a far naufragare la nave su cui viaggiano Antonio e re Alonso, insieme congiurati contro il Duca. Sulle scene della più fervida immaginazione si muovono i personaggi di quest’opera (prodotta dall’Associazione Teatro degli Alchimisti) articolata tra sogno e realtà, magia e illusione, mistero e verità e arricchita, come vuole la tradizione del teatro shakesperiano, da una storia d'amore: quella tra Ferdinando, figlio di Alonso, e Miranda, che avrà il suo classico lieto fine. Ma “La Tempesta” non è soltanto un gioco scenico. E' anche e sopratutto un percorso spirituale, un messaggio poetico dai contorni ben delineati, all’interno dei quali lo spazio e il tempo si perdono e si abbandonano su un’isola sconosciuta. Quell’isola che rappresenta “l’anima esclusa dell’uomo”.
Silvano Toti Globe Theatre. Dal 16 al 18 agosto, ore 21. Info 06 82059127.
Giuliano Malatesta
 
 

Il Messaggero, 17.8.2006
Silvano Toti Globe Theatre

In scena “La tempesta” shakespeariana nella traduzione ed elaborazione di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, che firma anche la regia. L'illusione e il sogno al centro della rappresentazione, che vede in scena tra gli altri Filippo Brazzaventre (Ferdinando), Alessandra Costanzo (Calibano) e Pietro Montandon (Prospero).
L.go Aqua Felix, ore 21, tel. 06.82059127, www.globetheatreroma.com, 18 euro.
 
 

Il Giornale, 17.8.2006
L’anti-Montalbano concede il bis

Misteriosi cocci di terracotta che alludono a una enigmatica maledizione. Un pazzo che vaga per un'isola con una bicicletta come destriero. Una serie di omicidi senza colpevole che pare destinata ad allungarsi. Un investigatore che scopre il bandolo della matassa aggrappandosi a indizi minimi e quasi invisibili. Tutto in una notte, come nei film hollywoodiani. Solo che qui non siamo a Los Angeles, ma nell'isoletta di Rosmarino, pochi chilometri al largo di Palermo. L'investigatore non è un detective dell'hard boiled ma un commissario della polizia di stato di Palermo, strappato controvoglia alle sue vacanze. E, al suo fianco, c'è un manipolo di non arditissimi carabinieri messi in crisi da un'epidemia di dissenteria: tutta colpa di quei gamberetti avariati...
Alla sua seconda prova narrativa, Gery Palazzotto, 43 anni, cronista palermitano, scava ancora in una Sicilia per nulla folklorica. Una Sicilia di gente qualunque, il farmacista, l'edicolante, il barista, che però nasconde segreti inquietanti, volti sconosciuti. E dietro ai piccoli misfatti dei truffatori, degli usurai, delle adultere, miseri eroi di quest'isola senza eroi, affiora una violenza ancora più greve e primitiva. Come nel primo romanzo (Di nome faceva Michele), anche in questo Giù dalla rupe (Dario Flaccovio editore, pagg. 164, euro 13), l'eroe della vicenda è il commissario Giovanni Porzio. Anzi, «il commissario dottore Porzio, sbirro dalla nascita», un personaggio che ha scarsa fiducia nella bontà del genere umano. Una sorta di anti-Montalbano, se così si può dire. Che sta lì a ricordarci come i narratori siciliani oggi siano tanti e non tutti trovino il loro posto nel recinto un poco angusto e ormai di maniera dei pastiches linguistici del pur meritevole Andrea Camilleri.
[…]
 
 

Il Tempo, 18.8.2006
Il Bardo rivive tra le video-proiezioni

Ancora un testo shakespeariano per un teatro che, grazie al mecenatismo dei fratelli Toti, desiderosi di ricordare in esso la figura del padre scomparso, riproduce nel cuore di Villa Borghese il famoso Globe di Londra, dove il drammaturgo inglese era solito presentare le sue opere. Continuando giustamente, nei suoi tre anni di vita, a dedicare quasi tutti gli spettacoli del cartellone, esclusa qualche rara eccezione, al genio del Bardo, di cui ora presenta «La tempesta». Un lavoro che appartiene alla maturità del poeta e che possiede l’incanto di una creatività avvolgente, dove il potere della magia e la concretezza della situazione umana si compenetrano e si confondono a comporre un tessuto diafano di sogno e di mistero. E soprattutto un’opera sfaccettata e impegnativa che l’Associazione Teatro degli Alchimisti ripropone oggi in un allestimento coprodotto con Associazione Lunaria Teatro e Mediaterra, che ha esordito al Festival Shakespeariano di Danzica. E che reca alla regia la firma di Giuseppe Dipasquale, il cui nome peraltro si affianca nella traduzione e nell’elaborazione del testo a quello ben più noto dello scrittore Andrea Camilleri. Senza trascurare peraltro di firmare le scene, ispirate a una semplicità che lascia ampio spazio all’interpretazione degli attori. E che affida a un ampio disco sospeso sulla scena il compito di creare con l’intervento di proiezioni video la suggestione della terrifica tempesta su cui si apre la narrazione. Un rivolgimento di acque furiose e selvagge provocato in realtà dalle arti magiche di Prospero, spogliato dal tradimento del fratello della sua legittima dignità di Duca di Milano. E che disperde nell’isola il re di Napoli e il suo seguito, secondo un disegno preciso di cui il vecchio mago va tessendo i fili con vigile esattezza. Accanto a lui la leggerezza di Ariele, onnipresente spirito dell’aria animato dalla speranza della libertà, che ha qui la testa bianca e l’ingegnosa abilità di Gian Paolo Poddighe, mentre Alessandra Costanzo dà vita alla bestialità vendicativa e traditrice del mostruoso Calibano. Tutti personaggi fondanti di un’opera affascinante e ricca che l’attuale allestimento tende a scandagliare nelle possibili implicazioni di una sopravvivenza umana avulsa da uno scambio materiale di interessi. Silvano Toti Globe Theatre Largo Aqua Felix Villa Borghese Ore 21 Fino al 18 agosto
Antonella Melilli
 
 

Il Venerdì, 18.8.2006
Il personaggio di Carlo Lucarelli, libera parodia dell’ispettore Callaghan
L’antieroe Coliandro sfida Salvo Montalbano
Raidue. Giovedì, ore 21. E poi il 29, il 31 agosto e il 5 settembre, sempre alle 21

Montalbano sa fare il suo mestiere, Coliandro no. Montalbano è politicamente corretto, Coliandro no. Montalbano è simpatico, Coliandro fa ridere. Ma Carlo Lucarelli, autore de “Il giorno del lupo”, da cui è tratto il primo giallo della serie diretta dai Manetti Bros, scommette sul suo ispettore, libera parodia dell’ispettore Callaghan. Quando è stato girato il primo film – unico tratto da un suo libro, gli altri tre sono soggetti originali scritti con lo sceneggiatore Giampiero Rigosi – si è rivisto tutte le avventure del poliziotto interpretato da Clint Eastwood: da “Il caso Scorpio è tuo” a “Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan”. Ora è soddisfatto: il suo ispettore, Giampaolo Morelli, già capitano Rea in “Distretto di polizia”, è fedele al romanzo di partenza, l’opposto del poliziotto modello. Un ispettore che abusa del suo potere, con la giacca di pelle e i Ray-Ban, sempre un po’ sopra le righe. L’autore di “Blu notte”, che torna in autunno con un nuovo ciclo di noir, dalla mafia ai servizi segreti, ci crede molto più che a precedenti gialli tratti dai suoi libri, vedi “Lupo mannaro” (da cui il film con Maya Sansa). Il suo “Coliandro” può diventare un poliziesco saga, proprio come il “Montalbano” di Camilleri. Ma perché i telespettatori dovrebbero amare quel “porco sfigato” (definizione di Lucarelli) di Coliandro? Lo scrittore non ha dubbi: perché Coliandro è un antieroe, ce ne sono così pochi in giro…
Marianna Buonassisi
 
 

ViaRoma100.net, 18.8.2006
La Ruta madrina di “A tavola con il Nobile”
Al via domani la quarta edizione del premio gastronomico delle contrade del Bravìo

Montepulciano (AR): L’arrivo dei primi “Amici del Nobile” dà ufficialmente il via alla nuova edizione del Premio ideato da Bruno Gambacorta.
[…]
Maria Teresa Ruta, fotomodella fin da 15 anni, viene scoperta in teatro da un regista Rai e dall’allora autore televisivo Andrea Camilleri, oggi scrittore di successo.
[…]
 
 

La Sicilia, 19.8.2006
Porto Empedocle
Fan di Camilleri invadono il paese ma restano delusi

Tutti i paesi e le città che hanno dato i natali a personaggi famosi «speculano» su tale privilegio. Salisburgo con Mozart, Napoli con Totò e via discorrendo traggono molti vantaggi dal business generato da tali accostamenti.
A Porto Empedocle, terra di Andrea Camilleri e per alcuni di Luigi Pirandello, tutto ciò non accade. Nel paese marinaro da almeno tre anni giungono turisti attratti non solo dalle splendide spiagge donate da madre natura, ma anche per conoscere di persona i luoghi cari al papà del commissario Montalbano. Appena giunti a Porto Empedocle i villeggianti vedono che sulle tabelle stradali c'è pure scritto Vigata sotto il nome ufficiale del paese. Tutto qui.
Non esiste qualcosa che ricordi al mondo che Porto Empedocle è il paese dove nacque il fenomeno letterario del momento, tra l'altro vivente e ivi residente. In via La Porta infatti, l'ottantenne scrittore è solito trascorrere qualche giorno di vacanza nel periodo estivo, anche se quest'anno tale «evento» pare improbabile. Qualche giorno fa è toccato al sindaco Calogero Firetto e all'autista del Comune trasformarsi in occasionali guide turistiche sotto il «fuoco di fila» delle domande di un gruppo di stranieri appena giunti in paese e a caccia della casa di Camilleri. Nessuna indicazione che ne segnali l'esistenza, nessun cenno alle vicende di Montalbano, niente di niente. «Solo» il bar di Stefano Albanese in via Roma oppure un ristorante dietro al Municipio rievocano in qualche modo ciò che è fenomeno mondiale. Mentre a Salisburgo vendono le «palle di Mozart» (squisiti cioccolatini a forma sferica), a Porto Empedocle nulla racconta di Camilleri e delle sue opere.
Un motivo tutto sommato c'è. Quando si pensa ad esempio d'intitolargli una via, il diretto interessati fa finta di niente e anzi dice che scaramanticamente è meglio evitare. E come dargli torto, ma a breve qualcosa cambierà. Il sindaco Calogero Firetto che con Camilleri è da sempre in stretto contatto è convinto che «la valorizzazione del nostro paese non passa certo dal chiamarlo Vigata. Recupereremo la spiaggia della Marinella, chiamaremo i suoi varchi con tutto quanto ricordi l'opera camilleriana, pubblicheremo un libro-itinerario e recupereremo il meglio del nostro paese. Tutto il resto non conta, anche perché Camilleri è sempre disponibile a dare una mano al proprio paese».
Francesco Di Mare
 
 

Abitare a Roma, 20.8.2006
”La tempesta” a Villa Borghese
Al Silvano Toti Globe Theatre in scena “La tempesta” di William Shakespeare

«Sto Globbe è veramente ‘bbello, eppoi nun ce disturberà perché, in fonno, è de legno come noi». Così Gigi Proietti, direttore artistico del Globe Theatre, in questi suoi versi di “Lettera dar Globbe” immagina che parlino gli alberi di Villa Borghese, per nulla infastiditi dalla struttura del Teatro Elisabettiano di Roma, completamente in legno.
La stagione teatrale nel cuore della più famosa villa di Roma continua a gonfie vele, resistendo anche ai marosi de “La tempesta”, di William Shakespeare, in programma dal 16 al 18 agosto.
L’opera del drammaturgo inglese, scritta nel 1611 alla fine della sua vita, affronta la dicotomia, la contrapposizione tra corpo e anima, tra mondo reale, pragmatico, e un universo immaginario, magico e misterioso, a volte più forte e concreto del reale.
La storia. Prospero, duca di Milano a cui viene usurpato il trono dal fratello Antonio, viene esiliato insieme a sua figlia Miranda in una remota isola del Mediterraneo. Nell’isola Prospero conosce Calibano, un essere deforme che diventerà suo schiavo, e Ariele, uno spirito aereo costretto al suo servizio. Con l’intervento di Ariele, che suscita una tempesta di mare, la nave dove viaggiano Antonio e il suo compagno Sebastiano, il re di Napoli Alonso con il figlio Ferdinando e il fido consigliere Gonzalo, fa naufragio sull’isola. Qui le storie si intrecciano grazie all’arte di Prospero e a un luogo senza spazio e senza tempo, con i personaggi che vivono in una realtà sospesa. Il finale è a sorpresa; sullo sfondo dell’amore sbocciato tra Ferdinando e Miranda, invece della vendetta, lecita per quel che ha subito e sofferto, Prospero dà spazio al perdono.
La rappresentazione, a cui ho assistito giovedì 17 agosto, da parte dei tredici attori, è stata semplicemente meravigliosa. Gian Paolo Poddighe e Pietro Montandon hanno dato corpo con regale impegno ai due protagonisti della storia: lo spirito Ariele e il duca di Milano Prospero. Una solare, e dalla voce squillante, Valeria Contadino, ha affascinato i molti presenti con la sua Miranda. Alessandra Costanzo, che ha interpretato con coinvolgente realismo Calibano, insieme ad Angelo Tosto e Mimmo Mignemi, i due marinai ubriaconi siciliani Stefano e Trinculo, hanno unito con maestrìa, sul palco, la recitazione seria e drammatica del personaggio di Calibano, e le esilaranti battute e scenette da cabaret di Stefano e Trinculo. E come non citare tutti gli altri, eccezionali: Filippo Brazzaventre, Ferdinando; Toni Lo Presti, Antonio; Gino Nicolosi, perfetto nella recitazione e nel dialetto napoletano nell’interpretare Alonso, re di Napoli; Giampaolo Romania, Sebastiano; Chiara Seminara, Francesco; Sergio Seminara, Gonzalo; Giovanni Vasta, Adriano.
La sapiente regia di Giuseppe Dipasquale, che nella traduzione ed elaborazione si è avvalso della collaborazione di una famosa penna, Andrea Camilleri, ha reso scorrevole e snello un testo che nell’originale è senz’altro più pesante e impegnativo per il pubblico. L’epilogo, trionfante, mi ha confuso: ho smesso di contare la serie di applausi che gli attori si sono presi nel loro andare via e ritornare sulla scena. Gli spettatori lasciano la sala soddisfatta. Tra loro Lorenzo, un ragazzo di quattordici anni che ha interpretato Ferdinando in una recita scolastica al teatro “Don Bosco”, al Tuscolano. Ti è piaciuta la commedia? «Certo, sono stati tutti bravi». È stata uguale alla recita scolastica? «Quasi completamente. Tanto che a un certo punto una signora mi ha detto di tacere perché anticipavo tutte le battute di Ferdinando». Chi ha interpretato meglio Ferdinando, tu o Filippo Brazzaventre? «Io naturalmente». E ti pareva!
Intanto qualcuno si tocca la schiena: le panche di legno, dure (sono penalizzati i magri come me), e l’assenza di schienale, può lasciare qualche fastidio. Ma “in fondo” sono dettagli: chi ama il teatro non può far caso a questi piccoli disagi. Piuttosto dobbiamo ringraziare l’intuizione di Gigi Proietti (adoro le intuizioni, peccato che in Italia ce l’hanno solo gli artisti) che, con l’aiuto della Fondazione Silvano Toti e l’impegno del Comune, ha riprodotto nel cuore di Roma il teatro a forma di “O” di Shoreditch, quartiere a nord di Londra.
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Riccardo Faiella
 
 

L'Unione Sarda, 20.8.2006
Camilleri invecchia presto e finisce sempre al macero
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 20.8.2006
La "Clup" sulla Sicilia tra personaggi, musica e letteratura
Guida all’isola dei miti di oggi
Più presente che passato in questo grand tour siciliano del Duemila
Le testimonianze di Carmen Consoli e Vittorio Taviani e il capitolo sui gesti

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Si può mai dire di conoscere fino in fondo un luogo? Si può essere sicuri di coglierne appieno la realtà, o meglio, le molteplici realtà che vi convivono? Al turista che giunge in Sicilia, ma perché no, anche a chi nell´isola ci vive, di sicuro aiuto può essere il testo che la Clup Guide le ha dedicato. Francesca Colosi, curatrice di "Sicilia" (pagine 430, 19,50 euro) scrive di viaggi, raccontando fatti e persone. E più che una guida questo testo appare come un racconto da leggere con un occhio al libro ed un altro ai luoghi.
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Particolarmente ricca la parte dedicata a Palermo.
[…] Dal testo viene fuori anche la Palermo in bianco e nero che appare nei film di Ciprì e Maresco, quella delle prostitute di colore raccontate da Roberta Torre e da Giosuè Calaciura, quella dello squallore e della miseria, morale e materiale, affiancata alle luci ed ai fasti dei quartieri alti. In un continuo duello che porta ora l´una ed ora l´altra a prevalere. Vi è narrata anche la Palermo dei Sellerio: Enzo che attraverso la fotografia ha raccontato la Sicilia da artista e giornalista, ed Elvira nume tutelare della casa editrice che ha puntato su autori isolani capaci di esprimere un valore nazionale. Poi ci sono i percorsi. La Comiso di Bufalino, le indimenticabili atmosfere di Vitaliano Brancati che ancora si possono respirare a Catania come a Siracusa, la Modica di Salvatore Quasimodo, l´Agrigento di Pirandello, la Ragusa resa nota al grande pubblico dalle fiction tratte da Andrea Camilleri, tanto da indurre l´Azienda turismo a creare un itinerario di Vigata, l´immaginario paese in cui vive e lavora il commissario Montalbano. E poi i centri minori come la Racalmuto di Leonardo Sciascia definito dall´autrice «genio per i siciliani che hanno saputo condividere le sue idee, demone per quelli che non hanno voluto comprenderle». La Gela forte e selvaggia di Silvana Grasso, la Bagheria di Dacia Maraini.
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Antonella Scandone
 
 

La Sicilia, 20.8.2006
Porto Empedocle. Da martedì tre scrittori siciliani di noir proporranno le loro fatiche letterarie nel regno di Andrea Camilleri
Gli eredi del commissario Montalbano a Vigata
 
 

L'angolo nero, 21.8.2006
Andrea Camilleri
La vampa di agosto
Sellerio, Pagine 272, Prezzo 11,00 euro

Perfettamente allineato alla stagione - in questi giorni in Sicilia la temperatura si aggira intorno ai 40 gradi – “La vampa d'agosto” è l'ultima avventura di Salvo Montalbano. Ultima in ordine di tempo, si intende, giacché sono note le intenzioni di Camilleri circa la fine della sua creatura, che sarà postuma rispetto a quella dell'autore.
Ormai da tempo le trame, in Camilleri, sono assolutamente secondarie rispetto alla caratterizzazione dei personaggi e alla ricerca linguistica. L'affermazione vale anche in questo caso: Montalbano è alle prese con un vecchio delitto le cui tracce si sovrappongono a un nuovo, recente omicidio del quale nessuno vuole interessarsi per non "turbare" la delicata pax mafiosa che ha segnato la tregua tra le due famiglie locali. Il commissario è solo perché il suo vice, Mimì Augello, ha doverosamente portato la famiglia in vacanza, mentre Livia, eterna fidanzata, lo ha mollato dopo un increscioso incidente che ha avuto per protagonista la di lei migliore amica. Ci sono sempre Fazio, Gallo e Catarella, oltre al questore, al medico legale e alla fedele Adelina, ma Montalbano sente (per la prima volta, forse) il peso dell'età e della stanchezza di fronte alla brutalità e all'inutilità della morte.
Vulnerabile, umano e per questo incline all'errore: Salvo Montalbano somiglia più all'eroe di una tragedia greca che a un appartenente delle Forze dell'ordine.
E Camilleri si è ormai conquistato un posto nell'Olimpo della letteratura, non solo di genere.
Alessandra Buccheri
 
 

Il Gazzettino, 22.8.2006
La fiction "Troppi equivoci" scritta da Camilleri in anteprima al Goldoni di Venezia il 28 settembre, durante il Prix Italia
Raidue a caccia di "Crimini"
Del progetto fa parte anche il padovano Carlotto con "Morte di un confidente"

"Troppi equivoci" nella vita di Bruno Costa. Il suo incubo comincia una mattina d'estate, a Catania, poche ore dopo essere uscito dall'appartamento di Anna, la traduttrice di cui si è perdutamente innamorato. Bruno (Beppe Fiorello) è un tecnico dei telefoni un po' sui generis: è colto, ama i libri, la musica, il cinema, e il suo mondo privato è ricco di creatività e di passioni. Ha conosciuto Anna (Claudia Zanella) da poco, e galeotta fu la linea telefonica da riparare. Il classico colpo di fulmine, cui seguono momenti appassionati, giornate indimenticabili. Fino a quella mattina, quando Bruno esce di casa mentre Anna sta dormendo: dovrebbero ritrovarsi per pranzo, ma Anna non arriverà mai all'appuntamento. Sarà uccisa brutalmente. Per Bruno inizierà una caccia ai colpevoli spietata e senza tregua, che lo porterà a bruciare sul tempo la polizia e a creare un pericoloso gioco psicologico con un boss mafioso.
Raidue conta molto su "Troppi equivoci", la fiction diretta da Andrea Manni su soggetto di Andrea Camilleri, che sarà presentata in anteprima il 28 settembre al teatro Goldoni di Venezia per il Prix Italia (su Raidue passerà probabilmente a fine novembre), grande concorso radio & tv che per la 58° edizione torna nella città lagunare e ospita, al Telecom Future Center di San Salvador, la bellezza di 194 programmi provenienti da 43 nazioni dei 5 continenti.Il film con Beppe Fiorello fa parte dell'ambizioso progetto "Crimini", tutto costruito attorno al "poliziesco", genere quanto mai adatto a raccontare l'Italia di oggi. "Crimini" coinvolge infatti otto scrittori noir italiani - accanto a Camilleri, il padovano Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Giorgio Faletti, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Diego De Silva, Sandrone Dazieri - chiamati a trasporre in otto film di 100 minuti l'estrema diversità, e il fascino, delle realtà locali italiane. Ognuno di loro cerca di narrare un microcosmo "ambientale" conosciuto, dalla grande città fino al paesino di montagna, nel tentativo di articolare un percorso ideale attraverso un paese ricco di contraddizioni e di misteri, di eroismi e di miserie, un paese nel quale non sempre il lieto fine è assicurato, anche se non è detto che il "bene" debba necessariamente perdere.Ecco allora De Cataldo con "Il bambino e la befana", Faletti" in "Terapia d'urto", Fois in "Disegno di sangue", Lucarelli in "Rapidamente", De Silva in "Il covo di Teresa", Carlotto in "Morte di un confidente" e Dazieri in "L'ultima battuta". Tutti loro, Camilleri compreso, rappresentano per la Rai il meglio del "noir mediterraneo" o più semplicemente del "noir italiano", tanto che questa "collezione" di film televisivi è destinata a rafforzare l'offerta di fiction di Raidue e a consolidare la "vocazione" della rete verso il giallo.A curare il progetto è stato chiamato proprio De Cataldo, il cui racconto, "Il bambino e la befana", è stato diretto dai Manetti Bros, che a loro volta hanno guidato anche "Rapidamente", firmato da Lucarelli e "Morte di un confidente" di Carlotto. Storia curiosa, quella del giallista padovano, che si concentra su un poliziotto di lunga esperienza e dai modi spicci, Giulio Campagna (interpretato da Rodolfo Corsato), la cui vita professionale e personale - lavoro e matrimonio - si sono bruscamente affossate dopo un'indagine finita male. Di lì la sua decisione del detective di non usare più le informazioni di confidenti. Ma gli scherzi del destino sono sempre in agguato. Un carico di droga arriva in città, il contatto è un certo Ortis, una vecchia conoscenza di Campagna. Il capo impone al poliziotto di riallacciare i rapporti con il confidente. Ma quando Campagna riesce a riconquistarsi la fiducia dell'uomo, l'improvvisa intromissione delle Forze Speciali della Guardia di Finanza (GICO) gli impone una virata: consegnare il confidente ad un altro investigatore. Errore clamoroso, mai tradire i rapporti di fiducia, perché il confidente può rimetterci la vita. E Ortis, ovviamente, morirà. Campagna non avrà pace finché non avrà trovato i colpevoli. Andando contro tutti. Nel cast, accanto a Rodolfo Corsato, compariranno anche Remo Girone e la mestrina Debora Caprioglio.
Chiara Pavan
 
 

TV sorrisi e canzoni, 24.8.2006
Freccia nera, Distretto 6, poi tutti a Capri
Dalle grandi storie in costume ai recenti fatti di cronaca, passando per le biografie di eroi e artisti, ma senza dimenticare un po' di sana commedia all'italiana. Martina Stella e Riccardo Scamarcio sono i protagonisti de «La freccia nera», ma altri nomi spiccano nel prossimo autunno televisivo

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CRIMINI
Raidue, da ottobre
Si tratta di una serie atipica: otto film tv girati in altrettante città italiane, con cast sempre diversi, tratti da otto racconti scritti da giallisti italiani e contenuti in «Crimini», raccolta di gialli curata da Giuliano De Cataldo ed edita da Einaudi. Il progetto si rifà a «Fallen Angel», un prodotto americano ideato da Sydney Pollack e trasmesso in Italia anni fa su Telepiù. Gli scrittori sono: Andrea Camilleri, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Diego De Silva, Giorgio Faletti, Marcello Fois, Carlo Lucarelli e lo stesso De Cataldo.
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Giornale di Brescia, 24.8.2006
In cerca di Montalbano sulla spiaggia di Marinella
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 27.8.2006
La polemica. Quale Palermo raccontano i "noir"? Interviene uno scrittore
Palermo, i gialli e la mafia
Ma nei gialli con la mafia si sa subito chi è l´assassino

Permettetemi poche parole sullo strano caso dello scrittore smemorato. Prima, una promessa: potrete fare a meno di vocabolari e dizionari di sinonimi e contrari. E niente francese, lo giuro. Scrittori smemorati - dicevamo - negligenti noiristi nostrani con l´abietta abitudine dell´allitterazione. Palermo ne pullula, pare.
In parte già agli arresti, in parte irreperibili, saranno presto processati con le seguenti accuse.
Uno. Scrivono gialli, sono esordienti o quasi, ma dovrebbero dare una coraggiosa testimonianza etico-civile e analizzare lucidamente società e cultura. Due. Usano Internet: quindi - minimo minimo - sono degli erotomani con archivi di roba che scotta, scaricata dalla rete a dodici megabit. Tre. Sono ladri d´immagini. Fotografano Palermo e la piazzano lì, in fondo alle loro storie. Marcello Benfante li ha colti con le mani nel sacco. A suo dire, a volte non hanno citato neppure la panella...
Ugo Barbàra ha tentato una (auto)difesa basata su un certo impulso alla normalizzazione cui il malandrino manipolo manovrato da mania milionaria avrebbe aderito.
Non credo alla sua versione dei fatti, e prima che i nostri eroi finiscano tutti al gabbio, mi si conceda almeno di fornire alcune attenuanti.
Sulla prima accusa, Benfante non fornisce dati precisi. Siamo davvero sicuri che chi acquista un giallo voglia allo stesso tempo essere analizzato e sintetizzato socio-culturalmente e non voglia invece godersi qualche ora di sana lettura sotto il sole? E siamo altrettanto certi che un giallista debba essere obbligato prima o poi a trasformarsi in un raffinato sociologo? Magari ne ha velleità e capacità, ma di certo sfrutterà altre forme di scrittura sicuramente più adatte del giallo. Sono invece d´accordo, anche se mi rimetto alla clemenza della corte, su Camilleri, che avrebbe opportunità e visibilità per far contento Benfante. Credetemi: i nostri eroi sono fra i trenta e i quaranta, devono sgomitare con le grandi case editrici e con i loro autori da ventimila copie a tiratura. Facciamoli crescere.
Diamogli spazio. Sono certo che nessuno dei nostri eroi scriverebbe a ottant´anni i romanzi che sono oggi oggetto del dibattere.
In secondo luogo, farei molta attenzione a demonizzare Internet e a presentarlo come un cosmo caotico che appiattisce, omologa e globalizza. Le potenzialità e le possibilità che offre a chi ama scrivere sono incredibili. Sarà pure una babele, ed è molto probabile che in larga parte sia frequentata per cause non del tutto nobili, ma è colma di luoghi non-luoghi, dove un aspirante scrittore può rendere di pubblico dominio ciò che scrive - gratis e senza filtri - e ricevere in tempo reale - da un lettore assolutamente imparziale - una lusinga o un´irrisione. Sì, anche un solo lettore. I nostri eroi sanno benissimo che uno o mille hanno la stessa valenza.
Infine la terza accusa. Qui è un po´ dura, perché dobbiamo addentrarci nella tecnica narrativa. Supponiamo di dar retta a Benfante. Supponiamo che uno dei nostri eroi decida di non scattare una foto fuori fuoco a Palermo, ma che scelga di riprendere la città nitidamente, secondo per secondo, metro per metro. Supponiamo che scagli la propria storia, i propri personaggi, dentro Palermo. Occhio: qui non parliamo di una storia d´amore, di un romanzo d´introspezione, qui parliamo di noir. Qui c´è l´omicidio, c´è il giro di prostitute, ci sono gli affari sporchi. Se Palermo dev´essere viva in una storia così, la storia va mafiosizzata. C´è poco da fare: e quando ci metti dentro la mafia, il detective, il poliziotto, il vicino di casa e in definitiva il protagonista della storia è bello che morto ammazzato.
Perché oggi, a Palermo, chi vince è ancora la mafia. I nostri eroi lo sanno benissimo. E un giallo dove si sa chi è il colpevole, chi sopravvive e chi muore, chi vince e chi perde, non è un giallo. E non lo leggerebbe nessuno.
Ignazio Rasi
 
 

28.8.2006
Le ali della farfalla
Sarà in libreria a fine ottobre l'undicesimo romanzo del commissario Montalbano, Le ali della farfalla (Sellerio).
Rinviata l'uscita de Il campo del vasaio (Sellerio).
 
 

Sellerio, 30.8.2006
Comunicato stampa
Camilleri e Carofiglio, due nuovi primati per la casa editrice Sellerio

Due nuovi record per la casa editrice Sellerio.
Sarà in libreria il prossimo 7 settembre "Ragionevoli dubbi" di Gianrico Carofiglio il terzo caso dell'avvocato Guido Guerrieri, personaggio ormai di grandissimo successo, "Ragionevoli dubbi" uscirà infatti in 110.000 copie.
L'ultima indagine del Commissario Montalbano, "La vampa d'agosto", da maggio ai vertici delle classifiche di vendita ha ormai raggiunto le 620.000 copie, un nuovo primato per Andrea Camilleri.
I lettori però non dovranno aspettare troppo per ritrovare il loro commissario preferito, l'undicesima indagine di Salvo Montalbano, "Le ali della farfalla", sarà in libreria la seconda metà di ottobre.
Cordiali saluti
Sellerio editore
 
 

La Sicilia, 31.8.2006
«Lorenza e il commissario» fa tappa a Vigata

Ci sarà anche Elvira Sellerio, l'editore storico di Andrea Camilleri, questa sera a Porto Empedocle, in occasione del terzo e ultimo incontro letterario sul tema del «noir» promosso dall'Amministrazione comunale nel programma delle manifestazioni estive e organizzato nella centralissima via Roma.
L'occasione è data dalla presentazione del romanzo «Lorenza e il commissario» (Sellerio editore) di Davide Camarrone, giornalista palermitano della Rai, alla sua prima fatica letteraria.
Dunque dopo i giornalisti Gery Palazzotto e Salvo Toscano che hanno presentato i loro ultimi «gialli» pubblicati da Dario Flaccovio, questa sera sarà il turno di Davide Camarrone e del suo commissario Paternò, alle prese con le indagini sul delitto di un avvocato di cui è sospettata Lorenza, una squillo d'alto bordo che divide la sua vita fra Roma e Palermo.
«Abbiamo voluto dedicare idealmente questo ciclo d'incontri letterari al commissario di Vigata, Salvo Montalbano - ha spiegato il sindaco Calogero Firetto - anche per mettere un po' a confronto il "commissario di carta" di Andrea Camilleri con altri, nati dalla fantasia di giovani e promettenti "giallisti" siciliani. E il risultato - ha concluso Firetto - pare sia stato particolarmente gradito dal pubblico degli appassionati del noir».
L'incontro di questa sera, coordinato da Lorenzo Rosso, avrà inizio alle ore 21 e 30 e sarà impreziosito dagli intrattenimenti musicali di Tony Bruccoleri.
La presenza dell'editore Elvira Selleria testimonia l'interesse verso il mondo camilleriano di Vigata, visto che la Sellerio ha finora pubblicato una decina di romanzi dello scrittore empedoclina papà del commissario Montalbano. Elvira Sellerio con ogni probabilità anticiperà qualcosa sul nuovo romanzo di Andrea Camilleri, dal titolo il "Campo del vasaio", in uscita in questi giorni e che è destinato a diventare un altro best seller. Inoltre l'editore potrà fare un bilancio di questo fortunato momento del «noir» che proprio grazie ad Andrea Camilleri ha generato una serie di nuovi giallisti di cui Davide Camarrone è un valido rappresentante. Chi è interessato potrà reperire i libri dell'autore, che sarà felice di firmare le copie, al termine della serata.
 
 

 


 
Last modified Monday, June, 10, 2013