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RASSEGNA STAMPA

MARZO 2007

 
Obiettivo Sicurezza, 1-2.2007 (in edicola 3.2007)
Scelti per voi
Quella volta che il Commissario Montalbano chiese aiuto al pompiere napoletano

E finalmente il Commissario Montalbano ha bisogno dei vigili del fuoco per una sua indagine! Accade nell’ultimo romanzo, “La vampa d’agosto” in cui un bambino ospite di amici scompare e proprio non si trova. Montalbano accorre e scopre in giardino un cunicolo per accedere al quale devono intervenire solo i pompieri.
E così, strano ma vero, dopo nove romanzi, e quasi cinquanta racconti brevi in dodici anni di avventure, il commissario più famoso d’Italia dopo aver chiesto tante volte la collaborazione di carabinieri e finanzieri, questa volta per risolvere il caso ha proprio bisogno del “capo dei pomperi di Montelusa”.
L’intervento si presentava delicato, ma non impossibile.
Scavare con la massima prudenza, cercando di non fare franare tutto. “Si vitti subito che il capo della squadra dei pomperi era uno che il misteri so’ lo sapiva fari”. Il bambino viene infatti ritrovato sano e salvo. L’intervento con i vigili del fuoco rivelerà poi clamorose sorprese tra cui un baule con il cadavere di una ragazza scomparsa sei anni prima... Finita la brutta avventura con il ritrovamento del bambino, Livia e gli amici ripartono, tutti troppo impressionati per restare a Vigata.
Caldo torrido, calore estenuante, sole implacabile: è questa la vampa del mese più infuocato della torrida estate siciliana, ma è anche l’ardore e la passione che infiammano Montalbano. Siamo in agosto, Mimì Augello ha dovuto anticipare le ferie e Montalbano è costretto a rimanere a Vigata. E il commissario inizia l’indagine. Difficile perché il caldo non lascia requie, bollente come la passione amorosa di cui rimane in balia. Un giallo perfetto, un Montalbano istintivo, ma alla fine anche malinconico, a interrogarsi su di sé e sul suo futuro.
Tutt’intorno Vigata d’agosto stretta tra pietre infuocate e mare.
Ma a ripensarci bene non era la prima volta che Montalbano aveva avuto che fare con i vigili del fuoco... ma non direttamente. Questa recensione è il pretesto per raccontare anche un simpatico aneddoto.
Durante un’indagine (cfr racconto “Amore e fratellanza” 1999) un cieco viene ritrovato morto, “avvelenato” dal gas di una bombola di gpl.
In quell’occasione scrissi a Camilleri una piccola nota:
“Gentilissimo Camilleri, Le scrive un suo lettore affezionato. Ho deciso di scrivere dopo aver letto i racconti "Il topo assassinato" e "Amore e fratellanza". Nei due racconti si legge di alcuni decessi attribuiti al gas da parte del medico legale, in perfetta sintonia con i frettolosi resoconti di cronaca, o quanto si vede nelle soap-opera. Ciò è assolutamente impossibile.
Se stiamo parlando di gas metano (quello delle reti cittadine) o di gas GPL (quello delle bombole), ebbene nessuno dei due è tossico. Purtroppo si verificano invece avvelenamenti delle persone a seguito di produzione di monossido di carbonio, dai bracieri di una volta o dalle stufe o caldaie murali malfunzionanti. Quando si ha una combustione in ambienti senza ricambio d’aria e con scarsità di ossigeno, invece di anidride carbonica (CO2, una molecola di carbonio e due di ossigeno) si produce il monossido di carbonio (CO, un carbonio e un ossigeno).
Il decesso a seguito di intossicazione per monossido si verifica a seguito della formazione della carbossiemoglobina all’interno delle cellule del sangue, il che porta a danni irreversibili anche in pochi minuti. L’individuazione dell’intossicato da CO è facilmente riconoscibile.
Il pericolo connesso a fughe di gas metano o GPL è uno solo: l’esplosione dell’abitazione per formazione della cosiddetta miscela tonante, aria+gas infiammabile+innesco=BUM! Anche in questo caso la cronaca è ricca di episodi di esplosioni provocate da aspiranti ma ignoranti suicidi! Si ribadisce: il suicidio con il gas può avvenire in via teorica, ma solo perché il gas si sostituisce all’ossigeno, e allora subentra l’anossia.
La tecnica ci dice che comunque, prima che il gas - che fuoriesce dai fornelli o dalla “canna del gas” - raggiunga la saturazione dell’ambiente, esso trova un innesco (una scintilla, uno sfregamento anche di piccolissima energia) e si ha una deflagrazione. E’ difficile che un medico legale trovi, in sede di esame autoptico, nel sangue tracce di gas metano o di gas di petrolio liquefatto, il gpl. Ricapitolando è impossibile che le cose siano andate come descritte nel racconto "Amore e Fratellanza". Urge un supplemento di indagine". Risposta alla lettera: nessuna!
Ma un bel giorno, nell’ottobre del 2002, durante la conferenza stampa della presentazione della nuova serie di film tratta appunto dai romanzi, un giornalista chiede al mitico autore siciliano di parlare di qualche particolare curioso sulle ultime avventure di Montalbano.
Ecco che il mitico Andrea Camilleri racconta di aver avuto una lettera da un funzionario dei vigili del fuoco di Napoli «Mi ha spiegato - è l’autore in persona a raccontarlo - che il gas delle bombole può esplodere, non avvelenare». Una precisazione importante se è vero che, dopo il pompiere napoletano, anche altri appassionati di Montalbano hanno contattato lo scrittore: «Quella del vigile del fuoco - conferma Camilleri - è stata solo la prima di tante telefonate anche di rivenditori di bombole i quali si lamentavano che gli rovinavo il mercato».
Con umiltà, lo scrittore ha preso nota dell’imprecisione e, piuttosto che nascondersi dietro una improbabile «licenza poetica», ha corretto l’errore nella trasposizione televisiva dell’episodio, dove la bombola rimane parte integrante della scena ma il protagonista viene ucciso non dal gas bensì da una dose eccessiva di sonnifero.
«Io ero ignorante - spiega Andrea Camilleri — come lo è nel film anche Montalbano, che all’inizio non sa che il gas delle bombole non uccide. Poi però lo scopre».
E risolve anche questo caso. Quella volta, forse si può dire, anche con l’aiuto di un vigile del fuoco napoletano.
Michele La Veglia
 
 

CampaniaSuWeb, 1.3.2007
Francesco Paolantoni incontra Andrea Camilleri

L’attore a teatro con “La concessione del telefono”, commedia scritta dal papà di Montalbano: “Io, napoletano trapiantato in Sicilia per Camilleri”

Da martedì 27 febbraio al teatro Diana di Napoli è in programmazione “La concessione del telefono”, una commedia scritta da Andrea Camilleri e riadattata dallo stesso scrittore insieme a Giuseppe Dipasquale, che ne firma la regia. Protagonista Francesco Paolantoni, che si cala nella Sicilia di fine ‘800 interpretando il ruolo di Filippo Genuardi. La storia, che ruota intorno alla richiesta di concessione di una linea telefonica ad uso privato, condita da un continuo di equivoci, dà vita ad una serie di intrecci comici che coinvolgono la burocrazia statale, la mafia, la Chiesa e tutta la cittadina siciliana di Vigata (immaginaria come sempre nelle opere di Camilleri). Una commedia teatrale di sicuro non facile e un po’ lunga, ma che diventa a tratti esilarante grazie al personaggio di Genuardi-Paolantoni, il napoletano trapiantato in Sicilia che CampaniaSuWeb ha intervistato per i suoi lettori.
Dalla TV al palcoscenico. Cosa significa per te questo ritorno nelle vesti di attore teatrale?
È un piacevole ritorno, perché erano ormai circa venti anni che non avevo un ruolo in una compagnia di prosa! Emozionalmente parlando non trovo molta differenza dagli altri ruoli che ho sempre interpretato, quello che provo è un gran divertimento, ma è il condividerlo con gli altri attori della compagnia che è davvero bello.
Ci sono state difficoltà nell’imparare il dialetto siciliano? So che Camilleri ha apportato delle varianti linguistiche apposta per te…
In realtà non ci sono state delle vere modifiche. Il mio personaggio è ovviamente un siciliano, ma io l’ho trasformato in napoletano, diciamo che l’ho adattato alla mia persona e me lo sono cucito addosso. Si è aggiunta soltanto una citazione che dice che sono un napoletano trapiantato in Sicilia.
Che differenza c’è tra questa storia di fine ‘800, dove un tale si mette nei pasticci per la richiesta di una linea telefonica ed il polverone odierno del caso Telecom Italia?
È sicuramente una cosa molto attuale, l’episodio è ambientato nel 1800, ma potrebbe accadere tranquillamente oggi, perché le magagne, le bustarelle, la burocrazia, la politica ed i pantani nei quali ci si ritrova sono sempre gli stessi.
Progetti futuri: quando rivedremo Paolantoni in televisione e soprattutto quando al teatro con un nuovo spettacolo?
Per quanto riguarda la televisione l’ho appena finita e quindi tornerò dopo un po’ di tempo. Con l’attuale compagnia teatrale, invece, andrò avanti fino alla fine di maggio e poi l’anno prossimo metterò in scena un altro spettacolo di prosa. Devo dire che fare teatro mi è davvero ripiaciuto molto!
Maria Chiara di Pace
 
 

minimum fax, 2.3.2007
Uomini tra le righe

Oggi inizia la rassegna a Palermo
Alle 21 proiezione di "A quattro mani" e alle 22.30 "Scrivere/New York – A.M. Homes"

Le firme più interessanti del cinema documentario incontrano la letteratura. Prende le mosse da questa commistione di linguaggi il progetto "Uomini tra le righe", due giorni di proiezioni in programma al teatro Nuovo Montevergini (piazza Montevergini 8) di Palermo il 2 e il 3 marzo. La manifestazione è promossa dalla Provincia e realizzata da Mon Amour Film di Palermo, in collaborazione con “Minimum fax Media”, “Eskimosa” (società di produzione cinematografica del gruppo Feltrinelli), il Dams dell’Università di Palermo, CRICD Filmoteca Regionale Siciliana, Festivaletteratura di Mantova.
Venerdì 2 marzo alle 21.00, è previsto un incontro con Rosita Bonanno, produttrice di minimum fax media che introdurrà la proiezione di "A quattro mani", di Matteo Raffaelli, film documentario prodotto da Minimum Fax Media, che mette a confronto Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli sui temi del giallo e del noir. Gli autori rivelano come nascono le trame dei loro romanzi e come le loro produzioni siano influenzate dalla cultura dei luoghi d’origine.
[...]
 
 

AISE, 2.3.2007
Italiani nel mondo
Al Columbus Centre di Toronto continuano gli appuntamenti con il Commissario Montalbano

Toronto - Da Vigata a Toronto. Con "L’odore della notte" il Commissario Montalbano torna tra i nostri connazionali in Canada grazie all’iniziativa promossa dal Panorama Italian Canadian in collaborazione con il Columbus Centre.
Mercoledì 21 marzo, il popolarissimo Commissario, nato dalla penna di Andrea Camilleri e portato sullo schermo da Luca Zingaretti, sarà protagonista di una nuova affascinante storia che verrà proiettata al Columbus Centre dalle 17.30.
 
 

La Repubblica (ed. di Napoli), 3.3.2007
La recensione
Paolantoni fa Camilleri con una compagnia da bis

Inceppi burocratici, pettegolezzi, insinuazioni, ripicche, e intreccio di lettere che accavallano domande e risposte in assurde costruzioni d´irresistibile comicità, il lieto romanzo di Andrea Camilleri diventa teatro. Al Diana "La concessione del telefono", che Camilleri, insieme con Giuseppe Dipasquale che firma anche la regia, consegna all´esuberanza divertita e divertente di Francesco Paolantoni e a una schiera di bravi attori del Teatro Stabile di Catania. E bastano per tutti i nomi di Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina per dirci la qualità del gran gioco d´equivoci maligni proposto in iperboliche costruzioni di scimunitaggine, malfidate confidenze, prepotenti ripicche, sensuali digressioni, piccanti notazioni. Gioco tutto siciliano, lingua e comportamenti d´impagabile ironia. Qualche concessione al pubblico tutto sommato non guasta e diverte. Scenografia di bella intelligenza firmata da Antonio Fiorentino e armonioso incontro con i costumi di Angela Gallaro. Divertimento e applausi. Repliche fino a domenica 11.
Giulio Baffi
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.3.2007
Francesco Guccini
Ritorno al Palasport "Racconterò la Sicilia attraverso uno gnuri"
Il concerto del cantautore "Spero che l´acustica sia migliorata"
"Camilleri mi ha avvicinato al dialetto, il mio barbiere mi ha suggerito storie"

Torna questa sera alle 21.30. Torna a sette anni di distanza in quel Palasport, nel quale, auspica, «l´acustica sia migliore del debutto».
[…]
Che Sicilia è questo posto in cui torna?
«La Sicilia mi piace, la frequento da turista e nelle letture».
Camilleri?
«L´ho conosciuto, mi ha avvicinato lui alla lingua siciliana. Prima con qualche difficoltà, adesso meno. E poi c´è il mio barbiere che è di Palermo».
Con Camilleri che incontro è stato?
«Divertente, è uno che fuma anche più di me. Il che è veramente raro. I suoi romanzi mi sono piaciuti».
[…]
Enrico Bellavia
 
 

Corriere della sera, 4.3.2007
Art-Story. L'autore del commissario Montalbano alle prese con la lingua del Seicento
Camilleri e lo strano caso di Caravaggio

La fuga tra Malta e la Sicilia ricostruita su un finto manoscritto

Che cos'è "Il colore del sole", nuovo libro di Andrea Camilleri? Se lo si legge come un giallo appare modesto: la trovata del bigliettino infilato nella tasca è da dattiloscritto respinto al mittente. Se si legge come un'art-story alterna vicende note (ah! se Camilleri avesse scoperto l'atto di battesimo di Caravaggio) e inventate senza renderle accessibili a un largo pubblico per la raffinata scrittura. In realtà questo scritto - elaborazione di un testo chiesto allo scrittore siciliano in occasione di una mostra allestita nel 2006 a Düsseldorf - è un esperimento linguistico applicato alla vita del pittore, del quale si ricostruisce la vicenda biografica dei mesi maltesi e siciliani. Anni fa, il romanzo di Luca Desiato su Caravaggio ("La notte dell'angelo") presentava un plot meglio costruito (la confessione di un ragazzo del branco) in un italiano allusivo al Seicento che lo lasciava accessibile. Qui il plot è didattico e l'analisi manca della completezza di un "Goya" di Robert Hughes o dell'ermeneutica di un "Rosa Tiepolo" di Roberto Calasso. Resta un'elegante prova ricostruttiva di un finto diario in un reinventato italiano. La cornice del libro è la parte meno convincente: Camilleri va in Sicilia, gli infilano un biglietto in tasca e, dopo un paio di telefonate e un giro in Mercedes, può vedere il manoscritto autobiografico di Caravaggio (naturalmente è un'invenzione). Inizia a leggerlo (e ad annotarlo) ed entriamo nel gioco ricostruttivo. Siamo nel 1608 e il pittore si trova a Malta, e tra vero e verosimile emergono episodi cari al mito caravaggesco. Uno riguarda la sua omosessualità, già posta al centro di "La corsa all'abisso", altra pseudo autobiografia di Caravaggio dell'italianista Dominique Fernandez uscita un paio d'anni fa. Già allora la storica dell'arte Rossana Bossaglia bocciò l'ipotesi: «Non ci sono documenti che comprovino una sua omosessualità», anche se in una testimonianza, a dire il vero, Caravaggio ne allude. Un altro il rapporto con le «sue» donne, Nina, Lena...; un terzo il ricorso al demoniaco nella preparazione della tela del San Gerolamo: «Per dipignere lo teschio de lo San Gerolamo scrivente io avria mescolato a li colori anco un poco de lo mio seme naturale, dopo avere evocato lo dimonio». Camilleri si sofferma sulla "Decollazione", quadro chiave del soggiorno del pittore sull' isola. Caravaggio, infatti, fuggì a Malta con la speranza di essere nominato, dopo un anno di noviziato, cavaliere di Grazia dell'Ordine militare di Rodi e Malta, che avrebbe comportato l'annullamento della condanna a morte emessa contro di lui a Roma per l'omicidio di Ranuccio Tomasoni. Lui s'impegnò dipingendo i ritratti del Gran maestro Alof de Wignacourt e la "Decollazione del Battista", unica opera da lui firmata, per giunta con il vermiglio del sangue che sgorga dalla gola del santo. Uno sforzo non vano, visto che «nel jorno de lo Signore 14 luglio de lo 1608» il gran maestro lo chiamò «Cavaliere». Ma l'indomabile Merisi venne poco dopo espulso dall'Ordine di Malta a causa di un altro accoltellamento seguito a una notte balorda. Fuggì dall'isola il 6 ottobre del 1608 su un caicco per Agrigento (si tratta di una ipotesi), dove l'attendeva Mario Minniti (progenitore, nella fiction, del possessore dello pseudo diario). Da qui in poi Camilleri s'inventa un Caravaggio siciliano che è la parte più convincente del libro: la salita al tempio della Concordia di Agrigento, l'arrivo a Siracusa dove dipinse il "Seppellimento di Santa Lucia" e si accorse delle nevrosi a cui l'avevano portato le continue fughe; quindi la vita a Messina e Palermo. Il Caravaggio di Camilleri si ferma qui. La vita del Merisi finì invece nel 1610 sulla spiaggia di Port'Ercole, dove si trovava in attesa di rientrare a Roma per ricevere la grazia. Arrestato e incarcerato per 2 giorni, morì il 18 agosto di febbre maligna, così almeno scrive nel Settecento l'infido Bellori nelle sue "Vite".
Pierluigi Panza
 
 

Le storie - diario italiano, 5.3.2007
Intervista ad Andrea Camilleri
Corrado Augias propone una puntata di “Le Storie” dedicata ai paesaggi della Sicilia descritti nei racconti di Andrea Camilleri, percorrendo un viaggio immaginario in quella terra con Andrea Camilleri suo ospite in studio.
Cliccare qui per vedere la puntata
 
 

l’Unità, 5.3.2007
Caravaggio "rinasce" e Camilleri lo ritrova

A volte il destino gioca in maniera sottile creando coincidenze inattese. Così, in un «vidiri e svidiri» mentre nelle librerie arrivava il romanzo di Andrea Camilleri sul periodo siculo-maltese di Caravaggio, Il Sole 24 Ore ha annunciato il ritrovamento di un documento rivelatore del vero luogo di nascita del geniale Michelangelo Merisi: non più da Caravaggio ma da Milano, addì 29 settembre 1571. Su questa scoperta, Maurizio Calvesi, è poi intervenuto con una lucida e raffinata analisi storico-culturale sulle pagine de l’Unità.
Da Milano in terra sicula. Nel suo ultimo libro, Camilleri tra letteratura e storia, lasciato da parte il commissario Montalbano, si è dedicato alla ricerca intellettuale e biografica su Michelangelo Merisi. Ne è venuto fuori "Il colore del sole", edito da Mondadori, un romanzo incentrato sul periodo trascorso dal grande Caravaggio a Malta ed in Sicilia nell’estate del 1607. Il testo ha nel suo Dna un racconto pubblicato in Germania, scritto in occasione di una mostra sul pittore in terra tedesca. Ma nella versione integrale questo scritto assume un respiro più ampio, e si fonda su una storia nella storia.
Camilleri racconta che, recatosi da Roma a Siracusa, gli capitano alcuni avvenimenti singolari. Qualcuno gli infila in tasca un biglietto con un numero a cui telefonare, ma da una cabina pubblica. E non è possibile capire chi sia l’utente a cui quel numero corrisponde. Da qui si dipanano una serie di misteri. Finché viene condotto in un casale della campagna etnea, dove gli vien fatto leggere una sorta di diario che sarebbe la gioia di ogni storico dell’arte, scritto proprio dal Caravaggio. E che Camilleri dice di aver trascritto in maniera frettolosa, dato il breve tempo che gli è stato concesso per la visione di questi fogli caravaggeschi. Si entra così nel vivo del romanzo, con una avvertenza dello scrittore: «Voglio onestamente premettere che non solo posso aver commesso errori di trascrizione, ma che ho anche qua e là ritoccato la scrittura irta e spigolosa dell’italiano non certo colto del Caravaggio. Sono conscio che questi aggiustamenti fanno perdere forza e autenticità d’espressione alla scrittura originale, ma sono altrettanto convinto che il testo ne guadagni in comprensibilità». E mentre il lettore ancora si domanda se è una invenzione fantastica o un fatto accaduto, in questa linea di sottile sospensione tra realtà e fantasia, iniziano le peripezie del pittore. Scritte ovviamente nel linguaggio del Seicento, e che rappresentano per Camilleri un nuovo esperimento linguistico-letterario. «…Ho comenzato a lavorare a la Decollazione del Battista e la luce nera de lo sole nero non abbandonami più. Per me non havvi differenzia alcuna tra la notte e lo jorno…». Ed ancora scandaglia il mondo interiore dell’artista, raccontando curiosi episodi: «In quel mentre fra’ Raffaele che di molto erasi fermato a guardar da presso la Decollazione fece uno balzo indietro et assai pallido in volto domandommi se era pur vero quello che gli era parso di vedere e cioè che io avevo messo la firma mia a la pittura acciò adoperando lo sangue fuoriescito da lo Battista. Elli è stato l’unico a notar ciò. Dissegli aver veduto giusto».
È noto come Camilleri, attraverso i linguaggi si confronti con le storie, e li adoperi come strumenti di interpretazione culturale. Ma anche psicologica ed artistica, come nel caso di questo libro su Caravaggio, che Camilleri racconta nelle sue contraddizioni esistenziali, in una dimensione nella quale l’arte, ancora una volta, si fa metafora della vita.
Salvo Fallica
 
 

l'Obiettivo, 5.3.2007
Il colore del sole
Un romanzo di Andrea Camilleri

Con "Il colore del sole" Andrea Camilleri si allontana dalla Vigata del Commissario Montalbano per ritrovarsi – suo malgrado – partecipe di un mistero che ha come protagonista un colto malvivente ed un antico manoscritto. La storia ruota intorno al ritrovamento di un inedito carteggio autografo del pittore Michelangelo Merisi – noto al grande pubblico con il nome di Caravaggio – e di come Camilleri ne è venuto, anche se solo per poche ore, in possesso.
Non è la prima volta che lo scrittore siciliano si cimenta con una biografia, anche se romanzata di un autore famoso, tuttavia "Il colore del sole" non sembra essere uno dei suoi lavori più accattivanti. Sicuramente di maggiore spessore era sembrata un’altra sua pubblicazione – "Biografia del figlio cambiato" – dedicata alle vicende di un altro grande artista, Luigi Pirandello.
Ma se il libro non è tra quelli che suscitano maggiore coinvolgimento – vi chiederete – per quale motivo dovremmo leggerlo? Ad una prima lettura si ha come l’impressione che Camilleri, con la stesura di questo testo, abbia fatto fede ad un adempimento contrattuale con la casa editrice. Tuttavia, sono almeno due gli spunti degni di nota che vorrei sottoporvi. Il primo è il divertente artificio scelto dall’autore di vestire i panni di co-protagonista involontario all’interno della storia; il secondo è senza dubbio la possibilità di avere una visione più intima e personale di un breve periodo della vita di Caravaggio – appunto relativo all’estate del 1607 – e del suo approccio nei confronti dell’arte pittorica.
Ma veniamo alla storia. Andrea Camilleri, di passaggio a Siracusa per assistere alla rappresentazione di una tragedia al teatro greco, viene contattato da uno sconosciuto che lo invita ad incontrarlo in un luogo misterioso. In un baglio sperduto, lo attende un uomo che si fa chiamare Carlo, e che propone allo scrittore siciliano la possibilità di leggere qualcosa di assolutamente inedito. Quei fogli ingialliti dal tempo rivelano essere stati scritti dalla mano di Caravaggio, uno dei grandi pittori del barocco italiano che stupì i suoi contemporanei per l’ardimentoso utilizzo della luce nelle sue tele. Nella frenetica lotta contro il tempo, lo scrittore siciliano riesce a trascrivere una parte del carteggio, prediligendo quelle parti che riguardano il breve e tormentato soggiorno dell’artista in Sicilia durante l’estate del 1607, fuggito da Malta e ricercato per omicidio dai Cavalieri dell’Ordine. Ne viene fuori un quadro intimo del pittore, cosciente di essere condannato ad una fuga continua. Questa situazione di precarietà favorisce la nascita di una sorta di nevrosi che lo allontanerà progressivamente dalla realtà, mentre crescerà in lui l’ossessione per il sole nero.
L’immagine di Caravaggio che ne viene fuori è senz’altro vivida e vera, non dissimile per intensità ai personaggi ritratti nelle sue tele. In un modo o nell’altro Camilleri riesce a mettere in primo piano la sua Sicilia, per trasformarla in una terra di misteri, liberandola, con l’aiuto della letteratura, dal provincialismo e dal degrado in cui attualmente si trova.
Carolina Lo Nero
 
 

Corriere della sera, 6.3.2007
Il fenomeno
Da Camilleri a Buttafuoco, la narrativa che fa tendenza

La lista degli scrittori siciliani che oggi hanno successo è lunga assai, tanto da far pensare che l'isola sia, letterariamente parlando, un luogo predominante (la capitale?) della nostra narrativa. Anche perché, a confronto, non c'è altra regione nè città che possa vantare una simile ricchezza. Il nome che ha fatto da apripista per le vendite all'estero ma non solo è ovviamente quello di Andrea Camilleri. Il catalogo in realtà è vastissimo. Ci sono intanto quelli che coltivano con grande bravura il genere noir: Santo Piazzese, Domenico Cacopardo, Roberto Alajmo, Gaetano Savatteri. Ci sono romanzieri d'intreccio come Simonetta Agnello Hornby, Gianni Riotta, Paolo Di Stefano. E quelli per cui la Sicilia è una terra del ricordo: Dacia Maraini e ora anche Giuseppe Sottile. Infine c'è stato l'exploit provocatore di Pietrangelo Buttafuoco che ne "Le uova del drago" ha immaginato una riscossa nazi-musulmana all'indomani dello sbarco americano. Insomma, chi credeva che con Sciascia-Bufalino-Consolo la sicilitudine fosse finita deve ricredersi. Resta, è vero l'ostinato uso di parole dialettali (con o senza glossario), ma c'è sempre anche lo sguardo acuto e amaro sulla realtà. Quello sguardo che ci rimanda direttamente ai grandi padri di questa regione delle lettere: a Pirandello, per esempio, che distingueva fra gli autori "di parole" (e continentali, aggiungerei) come D'Annunzio, e gli scrittori "di cose" (e insulari), come Verga.
Ranieri Polese
 
 

L’Opinione, 8.3.2007
Cuffaro, il fuscello e la trave

C'è poco da fare. Anche noi laici non possiamo non dirci cristiani. E non perché Ferrara fa il catecumeno, Pera l'arciprete ed il motto della Cdl è diventato “deus vult”. Ma perché, come la metti la metti, non si può fare mai a meno del riferimento evangelico. Pensa alla faccenda della trave e del fuscello e adatta alla parabola il caso dello spot di Totò Cuffaro. Ora sarà pure disdicevole che il Presidente della Regione Sicilia imiti Leo Gullotta e, coppola in testa e bicchiere di vino in mano, si metta a recitare la parte del siciliano plebeo che protesta contro il governo del continente per il disinteresse mostrato nei confronti dell'isola. Sarà pure ridicolo che il Governatore della Trinacria si esprima in dialetto come un Andrea Camilleri qualsiasi […]
Orso Di Pietra
 
 

AteneoOnline, 9.3.2007
Presentato oggi alla sede dell'Ateneo palermitano
"Comiso dedicato a Pio La Torre"
Undici intellettuali firmano l'appello

È stata presentata, allo Steri, la proposta, avanzata dal Centro studi e iniziative culturali "Pio La Torre", di dedicare al politico, ucciso da Cosa nostra nel 1982, l'ex aeroporto militare

Intitolare l’aeroporto di Comiso a Pio La Torre: è questo l’appello, rivolto "alle Istituzioni e al Governo della Repubblica, al Parlamento siciliano, alle amministrazioni locali, alle forze politiche e sociali, ma soprattutto al popolo siciliano" dal Centro studi ed iniziative culturali  "Pio La Torre" che è stata presentata oggi allo Steri, sede dell’Ateneo Palermitano, alla presenza del rettore, Giuseppe Silvestri, che appoggia l’iniziativa, e di Vito Lo Monaco, del Centro culturale.
L’iniziativa ha già trovato il favore di undici tra i maggiori intellettuali siciliani, i quali hanno apposto la loro firma a sostegno del progetto: da Andrea Camilleri e Vincenzo Consolo, fiori all’occhiello della letteratura siciliana, a registi del calibro di Pasquale Scimeca e Giuseppe Tornatore, ma anche gli storici Salvatore Lupo, Giuseppe Carlo Marino e Francesco Renda, e i rettori delle Università di Enna, Messina e Palermo.
L’aeroporto, che per anni è stato di esclusivo utilizzo militare, presto sarà restituito all’aviazione civile. Per quella data, i promotori dell’appello sperano di aver raccolto un milione di firme di cittadini che chiedono di aggiungere il nome del politico ucciso da Cosa nostra (30 aprile 1982) a quello del generale Magliocco, cui per ora è dedicato lo scalo aereo.
Chi fosse interessato potrà apporre la propria firma sia sul sito dell’associazione che ai banchetti che saranno allestiti a Palermo (uno di questi sarà, sabato 17 aprile, in piazza Castelnuovo a partire dalle 15.30). La decisione spetterà poi al Comune della città e all’ente che prenderà in gestione la struttura.
«Ci sono diverse importanti ragioni per sostenere l’appello – spiegano i firmatari - Pio La Torre pagò con la vita il suo tenace impegno contro la mafia e contro i missili.  Non si deve dimenticare – sottolineano - che a lui si deve la legge con la quale lo stato italiano, per la prima volta, caratterizzò il reato di associazione mafiosa e introdusse la confisca dei beni mafiosi» tutto ciò in un tempo nel quale si discuteva dell’esistenza stessa della mafia. Intitolargli l’aeroporto «è il minimo che si possa fare», ha commentato Andrea Camilleri.
Antonella Quaranta
 
 

Il Venerdì, 9.3.2007
Il noir
In fondo all’anima di Caravaggio
"Il colore del sole", Andrea Camilleri, Mondadori, pp.122, euro 14

Il mistero di Caravaggio secondo un giallista sui generis. Andrea Camilleri usando il linguaggio del Seicento narra la fuga da Malta in Sicilia di Michelangelo Merisi.
E ne delinea una figura lacerata da profonde contraddizioni e autentica genialità. E, narrandone la storia, si immerge nel mondo psicologico e artistico di Caravaggio.
s. f.
 
 

Il Venerdì, 9.3.2007
Strada facendo
Regalati ai Vip i modelli ch lo scrittore usò da giovane
Che ci fa Fiorello con la bici di Camilleri

Ne ha fatta di strada, la bicicletta di Andrea Camilleri. A 17 anni, il “papà” del commissario Montalbano partì da Serradifalco, entroterra siciliano, per Porto Empedocle, alla ricerca del padre. Sessantatré anni dopo, Antonello Montante, nipote di Calogero, che aveva fabbricato la bicicletta di Camilleri, ha deciso di assemblarne una serie limitata con manopole e sellino Frau cuciti a mano. Una è stata regalata a Camilleri. Le altre andranno a Fiorello, al presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, e a Luca Cordero di Montezemolo.
s. f.
 
 

La Repubblica – Almanacco dei libri, 10.3.2007
la Lettura
Una storia straordinaria nata da una cronaca sconosciuta degli anni ’50
Un gruppo di suore si immolò per il proprio vescovo. Cosa significò quel suicidio di dieci donne consacrate a Dio? La vicenda che turbò Tomasi di Lampedusa è un giallo storico tra le mura di un convento di clausura
Andrea Camilleri
Il chirurgo. Piccolo di statura, nirbùso, sgarbato, mutanghero, era in realtà un omo timido di una generosità sconfinata
La leggenda. La gintuzza s’inventò su di lui una canzonetta. Ne ricordo due versi “E passa Bursallino cu lu cuddruzzu tortu…”
Pubblichiamo in queste pagine una parte del romanzo di Andrea Camilleri “Le pecore e il pastore” (Sellerio, pagg. 144, euro 10) che uscirà il 15 marzo
 
 

La Stampa, 10.3.2007
Il padre delle arti
Marx e Camilleri: elogio del delitto
Il delinquente come elemento fondamentale per lo sviluppo della "forza produttiva"
Andrea Camilleri
 
 

La Stampa, 10.3.2007
Esce il nuovo libro
Dopo Montalbano “Le pecore e il pastore”

Tra un Montalbano e l’altro, il padre del celebre commissario trova il tempo per tornare al saggio storico documentato, seppure scritto «alla Camilleri», sulla personale scia di fortunati precedenti come “La strage dimenticata” o “La bolla di componenda”. Si intitola “Le pecore e il pastore” il nuovo libro di Andrea Camilleri, che uscirà il prossimo giovedì da Sellerio. È la storia vera di un pastore d’anime, il vescovo di Agrigento (nativo di Alessandria) Giovan Battista Peruzzo, un anticomunista che non aveva esitato a schierarsi con i contadini che occupavano le terre. Nel luglio del ‘45 viene raggiunto da due colpi di fucile. Resta per sei giorni tra la vita e la morte, si salva e rimane a capo della diocesi fino alla fine naturale, nel ‘63. Ma qualche anno prima di morire aveva ricevuto una lettera dalla badessa del convento di Palma di Montechiaro: «Eccellenza, non glielo dovrei dire ma...», iniziava la suora, rivelando come nel ‘45, mentre giaceva in ospedale, dieci tra le più giovani sorelle della comunità avessero concluso un patto con il Signore: le loro vite in cambio di quella del vescovo. Sconvolgente, nella solo apparente reticenza, la conclusione: «Voi siete rimasto in vita». «Il fatto è certo», dice Camilleri, forte di una testimonianza del confessore delle suore, morto pochi mesi fa a 95 anni. Le pecore si erano immolate per il pastore, capovolgendo la consuetudine.
M. AS.
 
 

La Provincia di Lecco, 10.3.2007
Camilleri e la "voce" di Caravaggio

Un individuo che gli infila in tasca un biglietto con un numero di telefono; una serie di misteri sempre più fitti e inquietanti a cui lo scrittore di romanzi gialli non riesce a sottrarsi. Misteri che lo conducono poi a un casale sperso nella più remota campagna, dove gli verranno mostrati alcuni oggetti e un diario incredibile, scritto di suo pugno da Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Cade sul libro «Il colore del sole», di Andrea Camilleri (Mondadori, pag. 122, euro 14), la scelta di Salvo Avanzato, ufficiale giudiziario al tribunale di Milano con l'hobby del cabaret, origini siciliane ma con casa a Lecco. «È un libro diverso dai precedenti ? afferma Avanzato ? perché Camilleri, pur avendo già affrontato temi storici, non si era mai confrontato con il mondo dell'arte e, soprattutto, con i diari». Sono proprio le note brevi - alla cui stesura Camilleri dedica un virtuosismo mimetico capace di restituire tutte le torsioni e i bagliori del più corrusco italiano seicentesco - che costituiscono una sorta di anomalo «noir», fitto di ombre e di allucinazione, sul periodo trascorso dal Caravaggio a Malta e in Sicilia nel 1607. «È un libro - dice infine Avanzato - che ci restituisce con enorme intensità la "voce" di un grande e misterioso pittore e che ci permette di guardare con nuovi occhi su quell'arte inimitabile delle luci e delle ombre che da secoli ci affascina con la sua potente suggestione».
 
 

Genova Press, 10.3.2007
Genova teatro
“La concessione del telefono”, da Camilleri alla Corte

La "Concessione del telefono" uno dei primi capolavori di Andrea Camilleri, sta per arrivare sui palcoscenici genovesi. Si aprono infatti martedì 13 marzo alla Corte e al Duse le prenotazioni per “La concessione del telefono”, lo spettacolo di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore siciliano, in scena al Teatro della Corte da mercoledì 21 marzo a domenica 1 aprile.
Prodotto dal Teatro Stabile di Catania per la regia di Giuseppe Dipasquale, “La concessione del telefono”, si avvale di un nutritissimo gruppo di attori che sono: Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Alessandra Costanzo, Pietro Montandon, Angelo Tosto, Franco Mirabella, Franz Cantalupo, Valeria Contadino, Raniela Ragonese, Giampaolo Romania, Sergio Seminara.
Scene di Antonio Fiorentino, costumi di Angela Gallaro, musichedi Massimiliano Pace, luci di Franco Buzzanca.
”La concessione del telefono” è uno dei romanzi più noti di Andrea Camilleri, il più celebrato autore italiano di best sellers degli ultimi anni. Il romanzo è diventato un testo teatrale di successo, grazie al lavoro congiunto di Camilleri con il regista Giuseppe Dipasquale. La vicenda raccontata da “La concessione del telefono” affonda profondamente nell’humus e nel cuore della Sicilia ed è una delle più divertenti del suo autore. Una commedia degli equivoci e degli imbrogli, ambientata nell’immancabile Vigàta.
Tutto ha inizio con un ridicolo scambio tra due lettere dell’alfabeto. Alla fine dell’Ottocento, il protagonista Pippo Genuardi indirizza domanda formale per ottenere la concessione di una linea telefonica privata al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno, come in realtà costui si chiama. Da questo futile errore, si dirama una storia che coinvolge non solo Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia, ma anche la Chiesa e i vari apparati dello Stato: Prefettura, Questura, Pubblica Sicurezza, Benemerita Arma dei Reali Carabinieri. Nonché don Calogero Longhitano, il mafioso del luogo, e molti altri compaesani, anch’essi siciliani qualsiasi, che involontariamente capitano sulla strada del protagonista, il quale sembra mosso solo dalla passione per la giovane suocera.
Il romanzo è stato rispettato non solo nella sua articolazione essenziale, ma soprattutto nella lingua di Camilleri: una lingua personale che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di "parlate", una originalissima "sicilianità" linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico presi dal dialetto, che esaltano la recitazione degli attori scelti a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani.
I biglietti per tutte le rappresentazioni dello spettacolo sono acquistabili o prenotabili a partire da martedì 13 marzo, presso le biglietterie della Corte e del Duse, presso le Agenzie convenzionate e via internet entrando nel sito www.teatrostabilegenova.it. Per “La concessione del telefono” valgono tutti gli abbonamenti (Fisso, Libero e Giovani) e le consuete agevolazioni per gli studenti e i gruppi organizzati in accordo con l’Ufficio Rapporti con il Pubblico dello Stabile. Da questa Stagione tutti gli abbonati possono fissare il loro posto telefonando al numero 010 5342400 e poi ritirare (senza alcun costo aggiuntivo) il biglietto la sera stessa dello spettacolo. orari: feriali ore 20,30 festivi ore 16 prezzi: 23,50 euro (1° settore), 16,00 euro (2° settore)
Paolo Fizzarotti
 
 

La Sicilia, 10.3.2007
Comiso

Sarà intitolato a Pio La Torre l'aeroporto di Comiso. Il sindaco Giuseppe Digiacomo ha accolto con soddisfazione la proposta del centro studi "Pio La Torre" di dedicare il nuovo aeroscalo comisano all'uomo politico siciliano ucciso dalla mafia il 30 aprile 1982. L'appello, presentato ieri in conferenza stampa a Palermo, ha già raccolto le firme di undici intellettuali siciliani e tra i firmatari figurano già i nomi dei rettori universitari di Enna, Palermo e Messina (Salvo Andò, Giuseppe Silvestri e Francesco Tomasello), gli storici Salvatore Lupo, Giuseppe Carlo Marino e Francesco Renda, i registi Pasquale Scimeca e Giuseppe Tornatore e gli scrittori Vincenzo Consolo e Andrea Camilleri. A loro si è aggiunto in queste ore anche lo scrittore Domenico Cacopardo. «L'appello del centro studio Pio La Torre - dichiara il primo cittadino - mi trova da tempo pienamente favorevole e conferma la volontà diffusa di rendere memoria a questo grande uomo politico e alle sue idee che hanno dato una svolta nella lotta alla mafia. Non a caso abbiamo scelto di inaugurare l'aeroporto proprio il 30 aprile in concomitanza con il 25° anniversario della sua uccisione. Della proposta ho già parlato con il presidente della Sac, Ridolfo, il socio di maggioranza della Soaco, e ho registrato una condivisione».
 
 

marketpress.info, 12.3.2007
Stravolti. Ritratti anagrafici di Danilo Premoli + Famiglia38fotografi
Galvanotecnica Bugatti 28 marzo 20 aprile 2007

Milano - Il progetto "Stravolti. Ritratti anagrafici" prevede la realizzazione di una serie di ritratti singolarmente manipolati da Danilo Premoli, arti-sta multimediale, che li ´contamina´ con le lettere ricavate dal nome e cognome del personaggio stesso, fotografato nel passaggio video da Famiglia38fotografi. Il nome e cognome sono elaborati da un computer con un programma, appositamente scritto dall’autore, che ne mischia le vocali e le consonanti in assoluta casualità, stampandole poi su un foglio di carta da lucido trasparente. Da questo vengono ricavate delle strisce di dimensioni variabili che, come nastri, sono intrecciate con i tagli realizzati nel ritratto, sovrapponendosi così in alcuni punti all´immagine stessa. Elenco dei ritratti: [...], Andrea Camilleri, [...].
 
 

Il Messaggero, 13.3.2007
Ancona
"La concessione del telefono", commedia egli equivoci con Paolantoni e Pattavina

Una commedia degli equivoci e un gioco di imbrogli in una terra, la Sicilia, eletta a luogo pieno di contraddizioni: in sintesi questa è l'atmosfera de “La concessione del telefono”, lo spettacolo con la regia di Giuseppe Di Pasquale che, dal romanzo di Andrea Camilleri, andrà in scena da stasera fino a lunedì 19 al Teatro Sperimentale di Ancona. Lunedì sera, infatti (alle 20.45) si recupera la recita pomeridiana del sabato che, per problemi della compagnia, non potrà avere luogo (gli abbonati al turno del sabato pomeriggio sono stati, in ogni caso, tutti avvertiti telefonicamente) mentre resta al suo posto l'appuntamento della domenica pomeriggio. Un soggetto di Camilleri con Di Pasquale al timone di regia: la stessa coppia che condusse al successo il birraio di Preston qualche anno fa al Teatro Stabile di Catania (che produce anche questa concessione). Il soggetto si ambienta una quindicina di anni dopo i fatti narrati nel “Birraio di Preston”: il protagonista, Filippo "Pippo" Genuardi, fa domanda per ottenere una linea telefonica privata, ma nella domanda formale al prefetto sbaglia una consonante del nome, chiamandolo Parascianno anziché Marascianno. Sarà l'inizio di un'avventura che il regista ha voluto ambientata in una scena (di Antonio Fiorentino) che richiamasse sempre l'idea di enormi faldoni di carta, motore della vicenda: «Il palcoscenico, insomma, servirà la storia, e di essa se ne farà fedele interprete» così dichiara Di Giuseppe nelle note di regia. Anche i costumi di Angela Gallaro richiameranno la carta e i faldoni di pratiche, nel loro disegno e nei colori. Destino inevitabile, del resto, per una vicenda che tra la carta è nata, come ricorda lo stesso Camilleri: «Nell'estate del 1995 trovai, tra le vecchie carte di casa, un decreto ministeriale per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia». Lo spettacolo vedrà protagonisti Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina con le musiche di Massimiliano Pace. Si replica al Teatro Sperimentale da stasera fino a lunedì, sempre alle 20.45, con l'aggiunta della domenicale pomeridiana alle 16.30. Info: 071.52525.
Gabriele Cesaretti
 
 

La Sicilia, 15.3.2007
Le dieci monache che s'immolarono per il loro vescovo

Per lunghi momenti, il telefono, in casa Camilleri, squilla a vuoto. Poi s'inserisce la segreteria telefonica che prega di lasciare un messaggio o di inviare un fax. E' facile immaginare l'ottantenne scrittore siciliano, negli stessi istanti, seduto in poltrona nella penombra del salotto, immobile davanti al telefono che squilla. Un tempo Andrea Camilleri, quando le chiamate non erano così tante, alzava la cornetta per rispondere, "una, ogni tre" telefonate che giungevano. Adesso si sente stanco e preferisce ignorare del tutto l'apparecchio. Le telefonate si fanno più insistenti con l'approssimarsi dell'uscita di qualche nuovo romanzo. Come per questo "Le pecore e il pastore", titolo che l'editore Sellerio, da oggi distribuisce in libreria.
Tra un Montalbano e l'altro infatti, il padre del celebre commissario di Vigata ha trovato il tempo per tornare al saggio storico, anche se, come sempre, scritto "alla Camilleri", sulla scia di altri fortunati romanzi come "La strage dimenticata". Questa volta il nuovo lavoro letterario si rifà alla storia vera di un pastore di anime, il vescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo, ferito in un agguato nei boschi di Santo Stefano di Quisquina in provincia di Agrigento nel luglio del 1945. In seguito all'episodio, il prelato rimarrà per sei giorni sospeso tra la vita e la morte con tutta la Chiesa in ansia e trepidazione per la sua sorte. Ma riuscirà comunque a cavarsela. E dopo questo "fattaccio" Peruzzo riprenderà il suo posto a capo della diocesi fino alla fine naturale dei suoi giorni, avvenuta nel 1963. Ma all'improvviso ecco il colpo di scena. "Qualche anno prima di morire - racconta Andrea Camilleri - il vescovo ricevette una lettera dalla madre badessa del monastero di Palma di Montechiaro. 'Eccellenza, non glielo dovrei dire ma…' iniziava la suora rivelando come nel 1945, mentre lui giaceva in ospedale, dieci tra le più giovani sorelle della comunità, avessero concluso un patto con il Signore: le loro umili vite in cambio di quella del vescovo. E sconvolgente era pure la conclusione di quella lettera: 'Voi siete rimasto in vita…' In sostanza le dieci monache si sarebbero lasciate morire per mantenere l'impegno preso col Signore: le pecore si erano volute immolare per il pastore, capovolgendo la consuetudine".
Su questo punto però la Chiesa agrigentina ha smentito ufficialmente l'accaduto innescando una sorta di polemica con lo scrittore.
"Mi è sempre piaciuto il modo di operare del vescovo Peruzzo, in quegli anni difficilissimi del dopoguerra - ricorda Camilleri - perché era schierato apertamente contro il latifondo e a favore dei contadini lasciandoci così un insegnamento molto valido: occorre stare sempre dalla parte di chi viene calpestato dal cupo egoismo".
"Il mio primo incontro con monsignor Peruzzo avvenne all'inizio degli anni '40 quand'ero ancora studente liceale ad Agrigento. All'epoca - rievoca Andrea - per evitare il 'sabato fascista' tutte le scuse erano buone così avevo deciso con i compagni di classe di stampare un giornaletto d'istituto; 'L'asino', dove pubblicavamo poesie, articoli vari di politica o ironici o ancora di sfottimento ad esempio verso la figlia del Federale. Dopo la prima pubblicazione però il vescovo Peruzzo mi mandò a chiamare per lamentarsi del fatto che su quel giornale fascista scrivevamo articoli che lui sospettava fossero dichiaratamente di matrice 'comunista'. Io con lui negai la circostanza. Anni dopo, però, quando la Sicilia venne liberata dagli Alleati mi feci raccomandare da monsignor Peruzzo per poter aprire la prima sezione del Partito Comunista a Porto Empedocle in quanto necessitava l'autorizzazione del comando americano. Allora mi venne l'idea di andare a parlare con il vescovo, lo stesso che mi aveva richiamato anni prima per gli articoli sul giornale!".
"Ho sempre pensato - continua Camilleri - che questo vescovo piemontese d'origine, figlio di contadini, che governò la diocesi agrigentina dal 1932 fino ai primi anni '60, nel corso del suo ministero episcopale sia stato molto attento ai grandi cambiamenti, ai problemi sociali e soprattutto alle classi più povere. Ad esempio non si limitò ad esporre il proprio pensiero sul latifondo e sulle condizioni disagiate in cui vivevano i contadini ma cercò di intervenire nei confronti delle autorità, facendo pressioni affinché venisse rispettata la legge. Ed è forse proprio nel contesto di queste battaglie che storicamente va letto l'episodio del suo attentato".
- E lo "scoop" della morte delle monache di clausura?
"Il fatto è certo - sostiene Andrea Camilleri - anche se le mie sono solo supposizioni. Nel romanzo, infatti, non do alcuna certezza. Però posso dire di aver ricevuto le confidenze del confessore delle suore, un anziano padre Teatino morto pochi mesi fa a 95 anni. Che confermò come quelle suorine, morirono di stenti. La vicenda, come scrivo nel libro, fu anche oggetto di un convegno che si tenne a Licata e anche in quell'occasione alcuni vecchi confermarono il decesso delle suore nonostante i benefattori, dall'esterno, avessero continuato ad inviare regolarmente nel monastero provviste e generi alimentari".
Proprio sull'episodio delle monache palmesi, di cui non esiste alcun documento storico, si è aperta una polemica a distanza con la Chiesa che invita i lettori alla cautela. "E' falso affermare che alcune suore si sono lasciate morire di fame e di sete" scrive il portavoce dell'attuale vescovo e della Curia, don Carmelo Petrone. "La morte di quelle suore - fa sapere in una nota ufficiale la Chiesa - è avvenuta per cause naturali come la malattia, la tisi o altro. Per capire certe parole come 'offrire la vita' bisogna entrare in una logica cristiana altrimenti si sbaglia totalmente bersaglio. Alcune monache di quel tempo sono ancora in vita e raccontano con semplicità il senso di quella offerta e di quella preghiera. Rimane l'atto di fede - conclude la nota - che fa offrire la propria sofferenza o il proprio morire per unirlo all'offerta di Cristo sulla croce e farlo diventare motivo di salvezza e di redenzione per l'umanità!".
Lorenzo Rosso
 
 

Avvenire, 15.3.2007
Anzitutto
Camilleri narra il sacrificio di dieci suore

Accantonato Montalbano, Andrea Camilleri ha scritto un libro basato su una storia vera: il protagonista è il vescovo di Agrigento Giovan Battista, primo prelato in Sicilia che nel 1944, quando i contadini occuparono le terre, si schierò con loro. E nel 1945 proprio per questo gli spararono; Peruzzo rimase per sei giorni tra la vita e la morte, dopo un'operazione fatta in fretta su un tavolaccio di cucina. Il racconto ha ispirato «Le pecore e il pastore» (pagine 144, euro 10,00), che l'editore Sellerio manda in libreria oggi. A fornire l'isparizione a Camilleri, due anni fa, la lettura di una lettera al vescovo della badessa del convento di Palma di Montechiaro: «Nei sei giorni in cui lei stette tra la vita e la morte, dieci tra le più giovani suore di questo convento fecero un patto con il Signore: le loro vite contro la sua. E il Signore accettò lo scambio». Le suore che offrirono la loro vita morirono, il vescovo scampò.
 
 

Adnkronos, 15.3.2007
Libri: esce oggi nuovo Camilleri su attentato a vescovo dei contadini

Roma - Accantonate per ora le storie che hanno per protagonista il poliziotto Salvo Montalbano, Andrea Camilleri ha scritto un libro basato su una storia vera accaduta 62 anni fa: il protagonista e' un vescovo di Agrigento, che non era siciliano, ma piemontese, Giovan Battista Peruzzo. Fu il primo vescovo in Sicilia che nel 1944, quando cominciarono le occupazioni delle terre, si schiero' dalle parti dei contadini. E nel 1945 proprio per questo gli spararono. Peruzzo rimase per sei giorni tra la vita e la morte. Miracolosamente riusci' a sopravvivere dopo un'operazione fatta in fretta su un tavolaccio di cucina.
Il giallo storico sul ''vescovo dei contadini'', come lo chiama Camilleri, ha ispirato ''Le pecore e il pastore'' (pagine 144, euro 10), arrivato oggi in libreria con i tipi editoriali di Sellerio. Nel 1956, 11 anni dopo questo tragico fatto, la madre badessa del convento di Palma di Montechiaro scrisse una lettera al vescovo in cui gli diceva: ''Eccellenza, non glielo dovrei dire, ma glielo dico per obbedienza. Nei sei giorni in cui lei stette tra la vita e la morte, dieci tra le piu' giovani suore di questo convento fecero un patto con il Signore: le loro vite contro la sua. E il Signore accetto' lo scambio. Le dieci suore sono morte e lei e' sopravvissuto''.
Quando due anni fa, Camilleri ha letto queste parole in un libretto ha fatto ''un salto dalla sedia e sono arrivato al soffitto''. ''Come e' possibile? Mi sono detto, ma che cavolo scrive questa badessa... Sono andato a cercare il libro originale ed e' vero. Le dieci suore si sono suicidate. Nel 1945, dieci suore dai venti ai trent' anni si sono lasciate morire di fame e di sete. Dodici giorni dopo scoppia la bomba di Hiroshima''.
 
 

Il Secolo XIX, 15.3.2007
Camilleri: “Il mio nuovo libro è una novella di Boccaccio”

“Mi è capitato anche con Montalbano. “Non rompermi le scatole” ho detto a Luca Zingaretti quando ho provato a chiedermi un consiglio su come interpretarlo. Quando i miei romanzi diventano spettacoli io li consegno ai registi e agli attori. Ed è la loro fortuna, e la mia perché riesco ad emozionarmi o a arrabbiarmi come uno spettatore qualsiasi”.
Andrea Camilleri va fiero di essere un autore poco invadente ed è rimasto fedele allo stile di sempre anche quando si è trattato di mettere in scena “La concessione del telefono” che debutterà a Genova, sul palcoscenico del teatro della Corte, mercoledì prossimo.
La storia intreccia equivoci di sapore kafkiano intorno a una tresca amorosa nella Vigata di fine Ottocento. Il protagonista vuol installare una linea telefonica privata che lo colleghi alla casa del suocero. Più che la devozione filiale lo spinge l’attrazione per la sua seconda moglie. Si dà da fare per ottenere la concessione ma, per un equivoco, mette in moto polizia, carabinieri, e mafia. La burocrazia dà una mano a complicare le cose.
“Non sono il primo a fare satira su questo meccanismo infernale, ma non ho saputo resistere alla tentazione. Spirito di vendetta personale? Forse, perché anch’io ne sono stato vittima. Ricordo ancora la prima odissea alle Poste tanti anni fa, per riscuotere la pensione. Non avrei mai immaginato di dover presentare, tra i documenti, anche uno che attestasse che ero ancora vivo e vegeto”.
Alla trasformazione del romanzo in copione teatrale, per la verità Camilleri ha messo mano, senza però interferire nel lavoro del regista Giuseppe Dipasquale né tantomeno in quello del protagonista Francesco Paolantoni. Ha lasciato che innestasse una sua comicità partenopea sull’humus siciliano degli altri.
“Non rivendico mai una particolare paternità sui miei personaggi quando li vedo in scena. E anche in questo caso, quando il regista ha deciso di affidarne sette o otto al virtuosismo di un solo attore, non ho sofferto, mi sono divertito”.
La partita più difficile nella trasposizione teatrale (o televisiva) di un romanzo di Camilleri non si gioca sui caratteri ma sulla lingua. “Ho riscritto le battute, anche quelle che nel libro mi sembravano più teatrali perché non bisogna mai cadere nell’illusione che lettura e ascolto abbiano gli stessi ritmi”.
Camilleri è un virtuoso dei travestimenti linguistici. Mentre stava lavorando al copione della “Concessione del telefono” preparava anche l’uscita del suo ultimo romanzo, “Il colore del sole”. Queste pagine scavano in un momento nerissimo della vita di Caravaggio: la sua detenzione a Malta dopo la fuga da Roma dove era ricercato per un omicidio. Dopo parte scritta in stile cronistico, l’autore di diverte a ricostruire le architetture sintattiche di una lingua barocca che echeggia l’italiano del Seicento. E non è tutto. Una tentazione tira l’altra: “Nei primi giorni di aprile uscirà una storia inedita del Decameron “La novella di Antonello da Palermo”. Sì ha capito bene, è un falso d’autore”.
Non possono essere soltanto sfizi. Dev’esserci un filo che lega tutti questi mascheramenti letterari: la fioritura esplosiva del periodare boccaccesco, come la lingua del Seicento, come il suo siciliano di Vigata… ”Io imito il linguaggio di altre epoche e sconfino nel dialetto per salvare l’italiano, per oppormi al suo impoverimento e alla sua colonizzazione”.
Andrea Camilleri è stato anche un autore e un regista televisivo, a partire da un primo grande successo cultural-popolare, la divulgazione di Simenon. Che cosa rimpiange del suo passato quando la sera si siede davanti allo schermo di casa?
“Niente, davvero”. Neppure il Commissario Maigret? “L’ho rivisto recentemente e mi sono detto che non potremmo davvero più rifarlo così. Quei tempi e quei ritmi oggi sono impensabili. Devo anche confessare che guardo la televisione non per quello che in gergo si chiama “il suo specifico” ma soprattutto per i film gialli e polizieschi. Non si dovrebbe, sarebbe meglio vedere i film al cinema. Ma ho ottantun anni non esco mai la sera. Ai film avrei un’alternativa: i dibattiti politici. Ma mi arrabbio e mi si alza troppo la pressione”.
A proposito di tv. Si riconosce nell’imitazione che Fiorello fa di lei, con il tormentone del fumo?
“Eccome, Fiorello è spiritoso, è sottile…ci conosciamo bene. Siamo quasi vicini di casa”.
Conosce bene anche Pippo Baudo?
“Soprattutto come direttore dello Stabile di Catania. Ho lavorato diverse volte per questo teatro, anche come autore per Turi Ferro. E l’anno scorso [In effetti nel 1999, NdCFC] hanno prodotto il mio “Birraio di Preston” parlato in sette dialetti diversi”.
Quando decide di spegnere la televisione, c’è un libro che tiene sempre a portata di mano sul comodino?
“Più di uno: Gogol, Brancati, Sciascia, e Manzoni”.
Ecco dunque da dove viene l’idea del manoscritto del Seicento che ne “Il colore del sole” mette l’investigatore sulle tracce del mistero caravaggesco. L’ha rubata ai Promessi Sposi”.
“Direi molto più modestamente che è nata sviluppando un lavoro su commissione: una novella a corredo di una mostra su Caravaggio in Germania. Il traduttore, poveretto, deve aver sudato freddo per rendere l’idea dei miei giochi lessicali ma è stato bravo. Quelle poche pagine hanno avuto successo e mi hanno spinto a lavorare ancora un po’ di fantasia”.
Silvana Zanovello
 
 

Il Messaggero, 15.3.2007
Ancona
Pronto chi è? Camilleri

Avvicinarsi alla Sicilia equivale a fare i conti con i suoi cento volti; ma forse la sua immagine più ricca e festosa, senza risultare macchiettistica o superficiale, quella che riesce a metter insieme la sensualità di Brancati e l’umorismo pungente di Pirandello, è sicuramente quella che emerge nelle pagine di Andrea Camilleri. Il testo teatrale "La concessione del telefono", che lo stesso Camilleri e Di Pasquale hanno ricavato dall’omonimo romanzo, mantiene fedelmente gusto e sapore dell’opera originale con il valore aggiunto dei ritmi e movimenti di una vera rappresentazione scenica. Il racconto prende avvio dal personaggio di Pippo Genuardi, commerciante di legnami, in uno stato di perenne eccitazione per star dietro a tutte le proprie voglie, da quelle erotiche a quelle proto-consumistiche, che finisce per perdersi,quando fa richiesta di un allaccio telefonico, nel labirinto delle pratiche burocratiche e amministrative. L’ambiente è quello della Sicilia, “per tre quarti pigliata a mezzo tra mafia e stato”, di fine Ottocento, in un’Italia umbertina attraversata da ideali rivoluzionari, corruzione, intralci amministrativi, intrighi boccacceschi, tradimenti, sospetti, pastoie giudiziarie, e abitata da personaggi che rimandano a quelli che abitano il nostro presente, forse un po’ meno feroci ma altrettanto grotteschi. A dare colore e velocità a questa giostra di foia e politica ci pensa la parola di Camilleri che fonde suoni e significati, dialetto antico e italiana con effetti comici che non scadono mai nel farsesco. A ricordare che il vero motore dell’azione è la parola, ci sono i costumi di Angela Gallaro e le scene di Antonio Fiorentino che sono fatti, appunto, di scritti, faldoni, scartoffie che si portano addosso, come mascheramenti: Vigata, è veramente paese di carta, luogo di mera costruzione letteraria dove è possibile sovrapporre passato e presente, realtà e rappresentazione fantastica. La regia colta di Dipasquale è capace di restituire intatto il valore della parola scritta: prendono forma e diventano visibili l’edonismo di Pippo Genuardi, le smanie di potere di Don Lollò, la stolidità burocratica di Marascianno, le elucubrazioni giuridiche di Monterchi e Parrinello. Tutti bravi gli attori, ma un applauso in più si meritano le prove offerte da Francesco Paolantoni e Pippo Patavina. Il pubblico si è divertito e ha riservato calorosi applausi ad uno spettacolo, fra i più brillanti di questa magra stagione teatrale. Allo Sperimentale fino a sabato e lunedì 19 (20.45). Antonio Luccarini
 
 

La Repubblica, 15.3.2007
I personaggi
La caricatura è un’arma sofisticata

La caricatura è un disegno nel quale i tratti fisiognomici della figura umana rappresentata sono particolarmente accentuati, ritratti che evidenziano al massimo i lineamenti e la struttura della persona, realizzati a matita o carboncino e in genere l´attenzione è concentrata sul volto del soggetto, mentre il corpo prende proporzioni assurde.
Verosimilmente la caricatura è sempre esistita. Ma è un genere che ha un segno fortemente italiano, una tradizione secolare in cui va inserito anche Ettore Viola con i suoi scrittori, i poeti, gli artisti, i musicisti eseguiti per conto di riviste e quotidiani. Sono un simbolo di libertà faticosamente conquistata e che con l´arma di una raffinata ironia colpisce indifferentemente Proust, de Chirico, Adorno, Picasso, Joyce, Roberto Calasso, Andrea Camilleri, il nobel José Saramago.
Sono questi alcuni dei protagonisti della nostra storia di cui Ettore Viola accentua in maniera satirica e pungente i difetti fisici e morali, accuratamente tratteggiati e poi stampati in milioni di copie sulle pagine di grandi committenti come la Repubblica, Il Messaggero o la Stampa, ora esposti all´Auditorium di Roma (da domani al 29 aprile).
[…]
Paolo Vagheggi
 
 

marketpress.info, 15.3.2007
Mostra "Interni Romani" 26 Marzo – 29 Aprile 2007 Foyer Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma

Milano - Si inaugura lunedì 26 marzo la mostra “Interni romani”. Allestita nel Foyer dell’Auditorium Parco della Musica, l’esposizione è promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, dalla Fondazione Musica per Roma e dalla Casa delle Letterature. Trenta artisti e trenta scrittori si sono cimentati sui luoghi della città in cui sono nati o a cui sono legati. Attraverso opere, sculture, dipinti, disegni, fotografie, racconti hanno visualizzato come “interni” fisici oppure come “interiorità” i luoghi scelti. La mostra nasce da un’iniziativa del quotidiano la Repubblica che nel 2006 (per l’ottavo anno di seguito) ha invitato 60 scrittori e artisti a creare opere - racconti e disegni o dipinti - per le pagine di cronaca romana del giornale. Il panorama sulla scrittura e sull’arte proposto da “Interni romani” risulta ora a 360 gradi sulla ricerca visiva e sulla sperimentazione letteraria attuali.
[…]
Nell’elenco degli scrittori troviamo Andrea Camilleri.
[…]
Tali nomi dimostrano come la rassegna tocchi tutti gli aspetti dell’arte in corso, sul piano letterario e visivo; e come, pur essendo concentrata su Roma, offra una panoramica esaustiva sulla ricerca in Italia, sottolineando (di riflesso) la centralità della situazione romana a livello nazionale. La mostra “Interni romani” che comprende sculture, dipinti, disegni e foto, porta il visitatore a studiare da vicino il rapporto di lavoro che c’è stato tra scrittori e pittori: sia lo scambio tra le varie coppie di autori (accostati per consonanza di poetiche pur nei differenti linguaggi); sia le relazioni che si sono venute a creare tra tutti gli artisti, della parola e dell’immagine, chiamati a raccontare e interpretare spazi e storie di Roma.
 
 

PubblicitàItalia.it, 15.3.2007
Creatività & Marketing / Gare
I sei finalisti di Radiofestival 2007

La Giuria della quindicesima edizione di Radiofestival, presieduta quest’anno da Michela Grasso, membro della Giuria dei Radio Lions della prossima edizione del Festival Internazionale della pubblicità, ha selezionato ieri - fra le 363 campagne iscritte - i sei radiocomunicati finalisti.
Fra questi gli operatori e il pubblico sceglieranno, con il loro voto, i vincitori di Radiofestival 2006, il premio promosso da Sipra in collaborazione con Ferrero Mon Chérì e Chinò Sanpellegrino, giunto alla sua quindicesima edizione. I sei comunicati finalisti sono: […] Promozione Viva Fiat ‘Camilleri – auto soccorso’ per Fiat (agenzia SaffirioTortelliVigoriti e cdp Fargo Film) […].
[…]
 
 

Panorama, 22.3.2007 (in edicola 16.3.2007)
Ancora una volta Montalbano sono
Fiction TV. Zingaretti tornerà a vestire i panni del Commissario. Per fare audience, 200 mila euro a puntata e un film con la Bellucci
Marida Caterini
 
 

Quo Media, 16.3.2007
Zingaretti torna a vestire i panni di Montalbano

'Il commissario Montalbano' avrà ancora il volto di Luca Zingaretti. L'attore, dopo aver dichiarato che non avrebbe più vestito i panni del commissario siciliano nato dalla penna dello scrittore Andrea Camilleri, fa marcia indietro.
Gli episodi che lo vedranno ancora protagonista sono 'La vampa di agosto', 'La luna di carta', 'Le ali della sfinge' e 'La pista di sabbia'. L'inizio delle riprese è annunciato per aprile, mentre la messa in onda in prima serata su Raiuno è in calendario per il prossimo anno. Riconfermato alla regia Alberto Sironi con la produzione di Carlo Degli Espositi.
 
 

La Sicilia, 16.3.2007
Film tv su Valenti e Ferida, poi tornerà Montalbano
Zingaretti-Bellucci in «Sangue pazzo»

Roma.  Ciak il 16 aprile per «Sangue Pazzo», l'attesa fiction che riporterà dietro la macchina da presa Marco Tullio Giordana per una produzione Rai dedicata alle tragiche figure dei due attori repubblichini Osvaldo Valenti e Luisa Ferida.
Nei prossimi giorni Luca Zingaretti e Monica Bellucci cominceranno con Giordana la lettura della sceneggiatura e dei dialoghi, per una preparazione accurata prima delle riprese che si concluderanno a luglio.
[…]
L'impegno di Zingaretti fino a metà luglio porterà sul set i nuovi episodi del «Commissario Montalbano» certamente a dopo l'estate. […] Il nuovo Montalbano in 4 serate, confermato ieri dal direttore di Rai Fiction Agostino Saccà, è comunque nel piano di produzione fiction 2007. Si tratta di 4 film tv dagli ultimi tre romanzi di Andrea Camilleri «La luna di carta», «La vampa d'agosto», «Le ali della sfinge».
[…]
 
 

Avvenire, 16.3.2007
Agrigento
La diocesi: «Suore “suicide”,Camilleri sbaglia»

Nessun suicidio di massa in convento, ma semplicemente una cristiana offerta della propria sofferenza a Dio. La curia di Agrigento corregge il "papà" del commissario Montalbano, che nell'ultimo libro mette da parte le vicende del poliziotto più amato d'Italia e si dedica a una vicenda storica avvenuta a metà del Novecento nel cuore della Sicilia, che racconta di dieci suore che si sarebbero lasciate morire perché il loro vescovo, gravemente ferito, potesse sopravvivere. Un patto con il Signore stretto nel '45, quando nella Sicilia liberata era cominciato l'attacco al latifondo e la conquista delle terre da parte dei contadini. Una storia vera, secondo lo scrittore Andrea Camilleri, ma smentita dalla curia di Agrigento, che bolla come «falsa» la vicenda raccontata nel romanzo Le pecore e il pastore (Sellerio). «È falso affermare che alcune suore si sono lasciate morire di fame e di sete, come viene riportato nell'intervista a Camilleri - spiega don Carmelo Petrone, responsabile dell'Ufficio comunicazioni sociali dell'arcidiocesi di Agrigento -. Per capire certe parole come "offrire la vita" bisogna entrare in una logica cristiana altrimenti si sbaglia totalmente bersaglio». Il romanzo di Camilleri narra la vicenda del vescovo di Agrigento, Giovanni Battista Peruzzo, che si schiera dalla parte dei contadini e per questo i feudatari nel 1945 gli sparano. Ma il vescovo, dopo alcuni giorni passati tra la vita e la morte, riesce a sopravvivere. Nel '56 la badessa di Palma di Montechiaro scrive una lettera a Peruzzo, spiegandogli che quella guarigione fu il frutto di un sacrificio. «Nei sei giorni in cui lei stette tra la vita e la morte - scrive la badessa -, dieci tra le più giovani suore di questo convento fecero un patto con il Signore: le loro vite contro la sua. E il Signore accettò lo scambio. Le dieci suore sono morte e lei è sopravvissuto». Camilleri viene a conoscenza di questa storia due anni fa e resta sbalordito: «Sono andato a cercare il libro originale ed è vero. Le dieci suore si sono suicidate». Ma per la Chiesa agrigentina si tratta di una testimonianza da interpretare nel modo corretto. «La morte delle suore è avvenuta per cause naturali come la malattia, la tisi, o altro. Rimane però l'atto di fede che fa offrire la propria sofferenza o il proprio morire per unirlo all'offerta di Cristo sulla croce e farlo diventare motivo di salvezza e di redenzione per l'umanità. Quante volte si sente dire alle mamme "offro la mia vita per quella di mio figlio". Ma questo non è né eutanasia né lasciarsi morire, è solo pensiero d'amore e dono d'amore. Alcune delle monache di quel tempo sono ancora in vita e raccontano con semplicità il senso di quella offerta e di quella preghiera. Gesù è morto a causa della cattiveria degli uomini, ma questo non gli ha impedito di offrire la sua vita per il bene dell'umanità». Una lettura condivisa anche dall'agrigentino Enzo Di Natale, che ha ricostruito quei fatti nella sua tesi di laurea: «Le suore fecero sì un voto, ma non si lasciarono morire. Furono il tifo e la carestia ad ucciderle, nonostante la giovane età».
Alessandra Turrisi
 
 

Il Giornale, 16.3.2007
Dieci suore «suicide» per salvare un vescovo. La Curia smentisce

Il sacrificio di dieci monache di clausura in cambio della guarigione del vescovo. Accadeva poco più di cinquant'anni fa in Sicilia. Ruota attorno a questa sconvolgente rivelazione il nuovo libro di Andrea Camilleri ("Le pecore e il pastore", Sellerio, pagg. 127, euro 10)uscito ieri. E già si scatenano le polemiche. La Curia di Agrigento ha smentito lo scrittore, bollando la vicenda come «falsa». La storia raccontata da Camilleri è questa: alle 19,45 del 9 luglio 1945, nel bosco di Santo Stefano di Quisquina, due fucilate feriscono Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento. Peruzzo fu tra la vita e la morte per una settimana per quell'attentato architettato, probabilmente, dagli sgherri di qualche feudatario arrabbiato col «vescovo dei contadini» che appoggiava la rivendicazione di terre da parte dei poveri coltivatori agrigentini. Anche se l'inchiesta ufficiale attribuì il fattaccio a faide interne al monastero, in un certo periodo popolato da fraticelli, più avvezzi al coltello anziché alla preghiera, che Peruzzo aveva cacciato attirandosi non poche inimicizie. Il processo si concluse con la condanna a pochi anni di carcere di un solo imputato, Onofrio Di Salvo, che confermò la ricostruzione «ufficiale» che l'ispettore generale di pubblica sicurezza aveva servito ai giudici di Sciacca.
Ma torniamo alla storia. Quando si sparse la notizia del ferimento del vescovo, a pochi chilometri di distanza, sempre nella stessa provincia, nel convento di Palma di Montechiaro (edificato dagli avi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, aristocratici di quelle terre) alcune religiose, oltre che recitare il rosario invocando la salvezza del loro vescovo, progettarono uno sconvolgente patto. «Offrirono a Dio la vita» delle dieci monache più giovani in cambio del pieno ristabilimento di Peruzzo. Le ragazze con la tonaca si lasciarono morire digiunando e il vescovo guarì, ma per lungo tempo restando all'oscuro di quanto avevano fatto le sue pecorelle di Palma.
Una storia fino a ora sconosciuta e di cui Camilleri viene a conoscenza per caso, inciampando in una nota a fondo pagina di un biografia di Peruzzo. Una microscopica notizia riporta una lettera (trovata nell'archivio personale di Peruzzo) dell'allora abbadessa del convento, suor Enrichetta Fanara, che undici anni dopo il ferimento di Peruzzo, il 16 agosto 1956, sente il dovere di confessargli i fatti: «Non sarebbe il caso di dirglielo, ma glielo diciamo per fargli ubbidienza. Quando V. E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore».
L'autore del famoso commissario Montalbano racconta che «alla lettura di queste parole, feci letteralmente un salto dalla seggia, provando uno sgomento quasi certamente uguale a quello provato dalla diocesi agrigentina alla notizia dell'attentato». E alla fine, come preso da un senso di sgomento confessa: «Non riesco a tirare nessuna conclusione da questa vicenda, né per me né per i miei lettori». Una nota della Curia di Agrigento spiega invece: «Per capire certe parole come “offrire la vita“ bisogna entrare in una logica cristiana altrimenti si sbaglia il bersaglio. La morte delle suore è avvenuta per cause naturali come la malattia, la tisi o altro. Rimane però l’atto di fede che fa offrire la propria sofferenza o il proprio morire per unirlo all’offerta di Cristo sulla croce».
Giancarlo Macaluso - giancarlo.macaluso@libero.it
 
 

La Repubblica, 16.3.2007
La polemica
La Curia di Agrigento contro il nuovo libro di Camilleri
In "Le pecore e il pastore" racconta la vicenda della morte di dieci suore "che fecero un patto col Signore

Roma - Il nuovo libro di Andrea Camilleri "Le pecore e il pastore" è uscito ieri ed è già finito nel mirino della curia di Agrigento. Lo scrittore siciliano narra infatti la vicenda di monsignor Giovanni Battista Peruzzo, vescovo agrigentino amico dei contadini che occupavano le terre. E per questo nel 1945 fu ferito gravemente, ma sopravvisse. Dieci anni dopo la badessa di un monastero scrisse al vescovo: «Nei sei giorni in cui lei stette tra la vita e la morte, dieci tra le più giovani suore di questo convento fecero un patto con il Signore: le loro vite contro la sua. E il Signore accettò lo scambio». E in effetti in quel periodo dieci giovane suore morirono veramente nei conventi della zona. L´autore della tesi di laurea che ha ispirato Camilleri, dice però che «furono il tifo e la carestia ad ucciderle, nonostante la giovane età». Ieri la curia di Agrigento ha fatto sapere che la ricostruzione di Camilleri «è falsa». Nessuna suora si lasciò morire. Secondo la curia, «per capire certe parole come "offrire la vita" bisogna entrare in una logica cristiana altrimenti si sbaglia totalmente bersaglio».
 
 

La Stampa, 16.3.2007
Besteseller annunciati
La curia di Agrigento contro Camilleri

Andrea Camilleri racconta di dieci suore che si sarebbero lasciate morire perché il loro vescovo potesse sopravvivere. Un patto con il Signore stretto nel ’45, quando in Sicilia era cominciato l’attacco al latifondo. Una storia vera, secondo lo scrittore, ma smentita dalla curia di Agrigento, che bolla come «falsa» la vicenda raccontata nel romanzo Le pecore e il pastore (Sellerio), da ieri in libreria. Camilleri scrive di un prelato piemontese, Giovan Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento, che si schiera dalla parte dei contadini. Per questo i feudatari gli sparano, ma il vescovo sopravvive. Nel ’56, la badessa del convento di Palma di Montechiaro gli scrive una lettera, spiegandogli che quella guarigione fu il frutto di un sacrificio, di «un patto che dieci tra le più giovani suore di questo convento fecero con il Signore: le loro vite contro la sua».
 
 

Gazzetta del Sud, 16.3.2007
Dieci suore suicide. La Chiesa: è falso
L'ultimo romanzo di Andrea Camilleri

Andrea Camilleri racconta di dieci suore che si sarebbero lasciate morire perché il loro vescovo, gravemente ferito, potesse sopravvivere. Un patto con il Signore stretto nel '45, quando nella Sicilia liberata era cominciato l'attacco al latifondo e la conquista delle terre da parte dei contadini. Una storia vera, secondo lo scrittore, ma smentita dalla curia di Agrigento, che bolla come «falsa» la vicenda raccontata nel romanzo «Le pecore e il pastore», da ieri in libreria, pubblicato da Sellerio.
Camilleri scrive di un prelato piemontese, Giovan Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento, che si schiera dalla parte dei contadini e per questo i feudatari gli sparano. Ma il vescovo, dopo giorni tra la vita e la morte, riesce a sopravvivere. Nel '56 la madre badessa del convento di Palma di Montechiaro scrive una lettera a Peruzzo, spiegandogli che quella guarigione fu il frutto di un sacrificio, di «un patto che dieci tra le più giovani suore di questo convento fecero con il Signore: le loro vite contro la sua». Ma la Chiesa ha una versione completamente diversa.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 16.3.2007
Il personaggio
Il chirurgo che operava sui tavoli
La lezione. Era capace di effettuare interventi anche in condizioni estreme
Il libro. Camilleri cita Raimondo Borsellino ne "Le pecore e il pastore"

Nell´ultimo romanzo di Andrea Camilleri, "Le pecore e il pastore", uscito ieri, un posto determinante della storia è svolto dal chirurgo Raimondo Borsellino. Era mio zio quell´uomo silenzioso e talentuoso, che fece dell´understatement una regola e del salvare uomini una missione da compiere sempre e comunque.
La sua vita rappresenta un pezzo di storia di una Sicilia che non c´è più. Per questo vale la pena ricordarne il profilo umano e professionale, che in parte Camilleri ha magistralmente tinteggiato nel romanzo.
Raimondo Borsellino era nato a Cattolica Eraclea il 26 aprile del 1905. Allievo del professore e senatore Alessandri, clinico chirurgo dell´Università di Roma, a soli 29 anni era primario dell´ospedale di Sulmona. Rientrò in Sicilia per desiderio del padre, grande medico anche lui, come primario di Sciacca ed Agrigento.
Il chirurgo che operava ovunque, anche su un tavolo da cucina, con i ferri sterili che portava con sé, come è descritto da Camilleri nel suo libro, non è una invenzione letteraria, ma in realtà erano procedure che Borsellino usava per operare più persone in una provincia vasta e con ospedali assai poco ricettivi. Si trovano ancora ritagli di vecchi giornali che narrano di "175 atti operatori" compiuti dal chirurgo di Cattolica Eraclea in un sol giorno. Casi di ogni tipo: piccole ernie, appendiciti, ascessi, drenaggi, affondamenti di ulcera, resezioni intestinali, tiroidectomie e altro ancora. Non so se i numeri di vecchie cronache siano attendibili, di certo io lo ricordo instancabile, mai tirarsi indietro davanti a un intervento da compiere. Dall´alba a notte fonda.
In occasione dell´attentato a monsignor Peruzzo, vicenda che costituisce parte importante del libro di Camilleri, egli lo soccorse e lo operò anche al polmone, intervento per quei tempi (1945) non praticato in nessun ospedale siciliano.
La popolarità e la stima dell´uomo nasceva dall´assoluta disarmante semplicità dei comportamenti e dal fatto che i siciliani apprezzavano uno che «faceva», invece di parlare. Questa popolarità lo portò ad essere eletto, con un consenso inaspettato, alle elezioni per la Costituente nel 1946 e poi in seguito confermato alle successive elezioni al Parlamento per due volte (‘51 e ‘55) nelle fila della Democrazia cristiana. Fu anche sindaco del suo paese natale, Cattolica Eraclea, carica che ricoprì con equilibrio e probità in un momento di grande asprezza politica. Aveva senso dello stato e principi etici di cattolico praticante, ma non amava la vita parlamentare. A Roma preferiva andare al Policlinico per assistere a nuove operazioni e si recava alla Camera solo per votare. E proprio in occasione di un suo ritorno a Montecitorio, si trovò nel pieno dell´attentato a Palmiro Togliatti che, come medico, soccorse con prontezza. Consigliò quindi a Nilde Iotti e a Massimo Caprara che il paziente fosse immediatamente condotto al Policlinico dove aveva appena lasciato il professor Valdoni in sala operatoria.
Ricordo la prima volta che andai a Roma, ospite suo: mi portò a colazione in un ristorante romano importante all´epoca, "Il Fagiano", e fummo invitati da alcuni ministri e uomini d´affari. Dopo la colazione andando verso l´albergo Santa Chiara, lui, quasi a precisare l´impressione che potevo avere avuto dell´incontro, mi disse: «Vedi Benedetto, questa non è la politica, questi signori fanno solo affari».
Chirurgo infaticabile ed essenziale, aveva risultati clinici straordinari per la grande manualità di cui era dotato: l´assisteva ai ferri una suora silenziosa e bravissima, Suor Settimia, dell´ospedale di Agrigento. Anche lei non conosceva la parola stanchezza.
La notte del sabato l´ospedale diventava quasi un ospedale di guerra perché dai paesi vicini, Favara, Campobello, Siculiana, Raffadali arrivavano tanti pazienti coinvolti in risse, facilitate dal vino, e una grande quantità di «spanzati», perché l´uso di particolari coltelli da duello rusticano provocavano lesioni addominali gravissime.
Raimondo Borsellino, dotato di una grande onestà materiale ed intellettuale, oltre a profondere la sua arte chirurgica e a insegnare a giovani chirurghi, ha rappresentato come una sorta di collante sociale in un momento di conflitti esasperati.
La presenza in ospedale e sul territorio di un medico che prestava la sua opera con grande generosità, era per la gente come una certezza che poteva riscattare dalle miserie quotidiane.
Ha operato sino ad ottant´anni. È morto a novantatré in una stanzetta della clinica Madonna delle Grazie ad Agrigento, così chiamata come l´Ospedale di San Giovanni Rotondo che con grande generosità economica (era figlio spirituale e medico di Padre Pio) contribuì a costruire.
Benedetto Marino
 
 

Gomarche.it, 16.3.2007
Teatro: la Sicilia di Camilleri conquista Ancona
Applausi per ‘La concessione del telefono’, uno dei testi più conosciuti di Andrea Camilleri, andato in scena mercoledì 14 marzo presso il Teatro sperimentale di Ancona; un’esilarante commedia degli equivoci ispirata a un fatto realmente accaduto.

Ancona - Mercoledì 14 marzo alle ore 20.45 presso il Teatro sperimentale di Ancona, è andato in scena ‘La concessione del telefono’, uno dei testi più conosciuti di Andrea Camilleri, il cui adattamento teatrale è firmato dallo stesso scrittore con Giuseppe Dipasquale.
Prodotto dal Teatro Stabile di Catania, lo spettacolo è portato in scena da Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina e da una compagnia di bravi attori caratteristi, che danno allo spettacolo un risvolto comico con tratti esilaranti da avanspettacolo.
La Sicilia di Camilleri in un’esilarante commedia degli equivoci ispirata a un fatto realmente accaduto.
A partire da un vecchio decreto ministeriale datato 1892 e realmente reperito tra le vecchie carte di casa sua, l’autore dà vita a una sorta di commedia degli imbrogli, che trova la sua ambientazione ideale in Sicilia e ha come alleata l’originale lingua creata da Camilleri.
Muove questo piccolo grande mondo il povero ‘fesso’ Genuardi, che vuole una linea telefonica per meglio organizzare gli incontri con l’amante; lo distorce il Prefetto oltraggiato dalla storpiatura del suo nome; se ne giova il “Commendatore-Uomo di Rispetto” Don Lollò intenzionato a vendicare un torto subito dal fratello. Il tutto ancor più irreale e farsesco grazie alla straordinaria versatilità degli attori della compagnia le cui interpretazioni stupiscono, stordiscono, intrattengono, rendendo giustizia alla lingua originale ed stravagante di Camilleri.
Una lingua in un testo, che la scenografia, composta da archivi giganteschi e polverosi e i costumi colorati e decorati da parole vergate in lettere antiche, sottolineano con fantasiosa libertà.
‘La concessione del telefono’ è un testo drammatico nel doppio senso della parola. Primo perché finisce nel dramma con un omicidio-suicidio. Secondo perché mette in scena un vero e proprio "requiem delle istituzioni", al servizio delle passioni umane: di chi si è sentito preso in giro e sbeffeggiato; di chi per orgoglio non ammette lo sbaglio; di chi per vanità le usa. Non solo.
L'uso improprio del potere costringe ad operare scorrettamente anche chi cerca di far rispettare la Legge, causando una serie di insidie ed equivoci che lascia liberi i mafiosi, i quali non sempre sono direttamente responsabili di quanto avviene. Nel finale inaspettatamente tragico, l'imbarazzo dura poco, perché subito dopo scoppia il fragore dei meritati applausi per un cast eccezionale.
Rosanna Nichilo
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 16.3.2007
Teatro
Camilleri slitta, Ceccherini salta

Sono aperte alla Corte e al Duse le prenotazioni per «La concessione del telefono», lo spettacolo di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale tratto dall´omonimo romanzo dello scrittore siciliano, in scena al Teatro della Corte da mercoledì 21 marzo (e non da martedì 20) a domenica 1° aprile con Francesco Paolantoni e Tuccio Musumeci primi attori.
[...]
 
 

Agrigentonotizie.it, 17.3.2007
Enzo Di Natali, precisazioni sul romanzo di Camilleri

Enzo Di Natali, avendo nel 1999 pubblicato il libro "L'attentato contro il vescovo dei contadini" in cui parla della vicina del Vescovo Peruzzo che aveva subito l'attentato e delle dieci suore morte ritiene opportuno "per correttezza storica" fare delle puntualizzazioni. Aveva omaggiato del libro, una mattina di agosto di tre anni fa, Andrea Camilleri insieme alla rivista "Oltre il Muro". Dal suo libro, Camilleri colse lo spunto per scrivere il suo nuovo romanzo. Di seguito le precisazioni:
"L’Arcivescovo Giovanni Battista Peruzzo -chiarisce Di Natali -, piemontese, fin dal suo insediamento nella sede vescovile di Agrigento si era accorto di una grave anomalia nella società siciliana: la presenza persistente della struttura del latifondo malgrado il sistema feudale da più di un secolo fosse stato abolito. La Sicilia, agli occhi del presule, era rimasta indietro nei confronti del resto dell’Italia e del Piemonte. Pertanto, dal 1932 egli inizia una attività pastorale che mira prima alla colonizzazione del latifondo dopo al suo definitivo superamento. La lettera Collettiva “Espiare e ricostruire”, scritta subito dopo l’armistizio, su incarico dei vescovi siciliani, riuniti a Caltanissetta con mezzi di fortuna, nel 1943, rileva ancora una volta la posizione dell’arcivescovo Peruzzo contro il latifondo. Nel 1944 il movimento contadino inizia ad occupare le terre. In Sicilia, la protesta inizia proprio nella diocesi di Agrigento, soprattutto nei dintorni di Canicattì. Come si comportò l’arcivescovo Peruzzo? Pur salvaguardando il diritto della proprietà privata, Peruzzo, come ci ricorda un illustre testimone, lo storico Francesco Renda, riceveva nel suo palazzo vescovile delegazioni di contadini. Sempre nello stesso anno, si diffonde la notizia della traslazione dell’Arcivescovo di Palermo, il cardinale Luigi Lavitrano, a Roma. Chi sarà il sostituto di Lavitrano? Chi sarà il nuovo cardinale di Palermo? Lavitrano e buona parte dell’espiscopato siculo sostenevano la scelta di Peruzzo. In Sicilia, in quel tempo, la questione era strettamente sociale, cioè la questione del latifondo su cui la borghesia agraria non voleva assolutamente cedere. Peruzzo, inoltre, venuto dal Piemonte era contro il separatismo di Andrea Finocchiaro Aprile, tanto che nella lettera inviata ad Alcide de Gasperi, l’arcivescovo Peruzzo invitava l’illustre statista ad indire al più presto le prime elezioni dopo l’esperienza fascista. In altre parole, le scelte dell’Arcivescovo Peruzzo andavano contro gli interessi del cosiddetto blocco agrario, formato da agrari, separatisi, mafiosi e banditi. Se Peruzzo era influente negli ambienti romani e vaticani da vescovo di Agrigento cosa sarebbe stato da Cardinale di Palermo? In una lettera invita, alcuni giorni prima dell’attentato, al cardinale di Palermo, Luigi Lavitrano, l’arcivescovo Peruzzo era dispiaciuto per le pressioni che egli aveva, il cardinale, subìto per aver sostenuto la successione di Peruzzo. La borghesia agraria attraverso l’attentato aveva impedito che Peruzzo diventasse il nuovo Cardinale di Palermo. Al posto di Peruzzo, Pio XII inviò Ernesto Ruffini che sulla questione agraria e sull’esistenza della mafia aveva una posizione completamente diversa da quella di Peruzzo. Che i due avessero concezioni diverse sulla questione sociale si evince al II Concilio Plenario Siculo. Mentre Peruzzo affermava che era importante per il Concilio Siculo affrontare la questione sociale agraria e il latifondo, il nuovo Cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, sosteneva che la questione sociale non era materia da trattare".
Sulla questione delle suore prosegue Di Natali:
"il 16 agosto 1956, undici anni dopo l’attentato, l’Abadessa suor Enrichetta Fanara del monastero benedettino di Palma di Montechiaro scrive al vescovo Peruzzo: “Non sarebbe il caso di dirglielo, ma glielo diciamo per fargli ubbidienza (…) Quando V.E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l’offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore”. La lettera m’incuriosì. Circa ventidue anni fa, trovandomi a Palma di Montechiaro, insieme all’arcivescovo Luigi Bommarito andammo a visitare il monastero delle Benedettine di Palma di Monatechiaro. Con gentilezza le suore mi mostrarono il luogo dove è sepolta suor Crocifissa, la venerabile. In quella circostanza, chiesi alle suore se era possibile vedere la lettera del diavolo, indecifrabile, che scrisse a suor Crocifissa. Malgrado la mia insistenza, e pensando di far leva sulla presenza del Vescovo Bommarito, le suore ritennero che non era possibile presentare la lettera. Tuttavia, con molto garbo, citando la lettera di suor Enrichetta, chiesi notizie della morte dieci monache: se fossero morte tutte in un giorno, in una settimana, in un raggio di tempo relativamente breve; se si fossero lasciate morire….La mia curiosità mi portava a conoscere la modalità della morte. La risposta che ricevetti dalle suore, e ritengo dalla stessa abadessa, che non riuscii a distinguere tra le suore, fu che le suore morirono nel tempo di alcuni anni per cause naturali: malaria, tisi e altre malattie. Alla mia curiosità se fossero realmente tutte le più giovani, le monache mi risposero che insieme ad alcune suore giovani morirono, in quel tempo, anche le suore anziane, come era ovvio. Alla mia insistenza sul motivo per cui trent’anni prima nella lettera l’abadessa avesse scritto le più giovani, non riuscirono a darmi una spiegazione. Tuttavia, l’offerta della propria vita in cambio di quella del pastore rientra nello spirito della teologia della donazione, dove il Cristo s’immola, dona se stesso e tutta la propria vita, in riscatto degli uomini peccatori. Le suore forti da questa spiritualità, che trova modello e riferimento nella venerabile suor Crocifissa, sorella di san Giuseppe Tomasi, donarono la propria offerta oblativa della vita in cambio di quella del Vescovo, alla stessa maniera che una madre offre al Signore la propria vita in cambio del proprio figlio duramente colpito da una malattia.Offrire la propria vita non equivale a ricorrere al suicidio, come fa, invece, pensare Andrea Camilleri. Le suore non cercarono un suicidio. Sarebbe stato un grave atto morale, contro la legge naturale e contro la legge di Dio. Le suore offrirono la propria vita ma non significa che successivamente si lasciarono morire, attraverso un suicidio collettivo. Le suore nel tempo morirono per cause naturali. Faccio presente che del monastero di Palma di Montechiaro fa ampio riferimento Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo ‘Il Gattopardo’".
Michela Ladu
 
 

La Sicilia, 17.3.2007
Scaffale
Camilleri, dieci anni di rifiuti

«Vi racconto Montalbano interviste» (Datanews pag. 154 € 14). Per chi volesse gustare aspetti inediti di Andrea Camilleri, questo libro fa al caso suo. In tredici interviste concesse dal 1999 al 2006 a quotidiani, settimanali mensili e periodici, il celebre autore del commissario Salvo Montalbano da Vigàta, rivela curiosità e primizie, liquida con una battuta "Il codice da Vinci": "Sono arrivato a metà, poi l'ho mollato. E' una sciocchezza da un punto di vista storico e culturale"; racconta dei suoi esordi difficili: "Ho avuto dieci anni di rifiuti dalle case editrici, ma non facevo drammi. Pensavo, in virtù della mia concretezza, che quella non era la mia strada". Parla di politica, attacca la destra ma non assolve la sinistra, condanna diverse leggi di Berlusconi, duetta con un altro grande della letteratura contemporanea, Manuel Vasquez Montalban, inventore di Pepe Carvalho, riconosce in Sciascia l'elettrauto per ricaricargli le batterie, mostra suprema indifferenza verso la critica che lo snobba, parla delle tentazioni del suo Montalbano. Sui propri conterranei, Camilleri ha le idee chiare e parlando di ateismo e religione, riconosce di avere un San Calogero per i fatti suoi e si definisce "Un non credente possibilista".
Roberto Mistretta
 
 

La Sicilia, 18.3.2007
L'attentato nella notte, la corsa verso la città infine la miracolosa salvezza del vescovo

In copertina è raffigurato il particolare di un importante quadro di Fernando Botero,«Il nunzio». L'interpretazione di un episodio contenuto nell'ultimo libro di Andrea Camilleri, in distribuzione da giorni nelle librerie, ha fatto insorgere la Chiesa agrigentina creando perfino un «caso».
Il recente volume dello scrittore empedoclino, infatti, «Le pecore e il pastore» (nella fattispecie le monache benedettine del monastero di clausura di Palma di Montechiaro e il pastore di anime, monsignor Giovanni Battista Peruzzo) è destinato, oltre che ad avere successo come tutti gli altri libri di Camilleri, a far parlare molto. Intanto perché attraverso una nota ufficiale dell'arcivescovo, Carmelo Ferraro, si delineano i contorni di una vicenda di oltre sessant'anni fa e cioè l'agguato avvenuto nei boschi di Santo Stefano di Quisquina, nel luglio del '45, in cui rimase vittima il vescovo Peruzzo che stette tra la vita e la morte per alcuni giorni a causa delle ferite riportate. Poi la conseguente decisione che avrebbero adottato dieci tra le più giovani monache del monastero benedettino palmese fondato nel 1637, di offrire la loro vita al Signore in cambio di quella del prelato.
Monsignor Peruzzo si salvò mentre nel corso degli anni, dieci suore, tra il 1945 e il 1955 vennero a mancare. E cioè, secondo Andrea Camilleri «si sarebbero lasciate morire di fame e di sete» per mantenere fede a quel patto stipulato con Dio. Proprio su questo punto la Chiesa agrigentina è intervenuta attraverso un comunicato ufficiale.
«E' falso affermare che alcune suore si sono lasciate morire - si legge nella nota della Curia vescovile - Per capire certe parole come «offrire la vita» bisogna entrare in una logica cristiana, altrimenti si sbaglia totalmente bersaglio. La morte delle suore è avvenuta per cause naturali come la malattia, la tisi o altro. Rimane però l'atto di fede che fa offrire la propria sofferenza o il proprio morire per unirlo all'offerta di Cristo sulla croce e farlo diventare motivo di salvezza e di redenzione per l'umanità. Quante volte si sente dire alle mamme «la mia vita per quella di mio figlio». Ma questo non è né eutanasia né lasciarsi morire, è solo pensiero d'amore».
«Alcune delle monache di quel tempo - conclude il comunicato - sono ancora in vita e possono raccontare, con semplicità, il senso di quella offerta e di quella preghiera».
In effetti, nell'atmosfera ovattata dell'antico convento di Palma di Montechiaro, Rosalia Mangiavillano di 81 anni, al secolo suor Maria, attuale madre superiora di una comunità di quattordici monache (un po' disturbate dal clamore mediatico suscitato da quella vecchia vicenda) ricorda con commozione quel periodo particolare del dopoguerra.
Suor Maria, infatti, all'epoca era da poco entrata in convento; era una «professa» e ricorda come tutte le suore furono molto colpite dall'episodio del ferimento del loro amato vescovo. Poi il pensiero va alle tante consorelle che non ci sono più: come Speranza Meli, al secolo suor Angelina, nata nel 1916, entrata in convento a quattordici anni nel luglio del '30 e morta nel 1949 o Pasqualina Bonello, al secolo suor Giuseppina, deceduta nel Cinquanta o ancora Matilde Valdinoto, nata nel 1914 e morta il 6 aprile del 1950.
«Tutte sopportarono - spiega la superiora - con tanta pazienza la malattia». E poi Clotilde Salamone, al secolo suor Felicina, nata a Licata nel 1928 ed entrata nel monastero dieci anni dopo, il 18 settembre del 1938. Sui registri del monastero si legge che la religiosa benedettina in questione, morì l'undici novembre del 1950 con a margine la nota: «colpita da fiera malattia sopportò tutto con indicibile rassegnazione».
Ma tutte queste morti all'interno del monastero sono davvero da mettere in relazione con il patto siglato col Signore per far sì che il vescovo Peruzzo superasse la crisi e tornasse alla vita? Nessuno lo saprà mai.
Di tutte le monache, suor Maria Celestina, 92 anni, oggi è l'unica sopravvissuta a quel particolare periodo. Sorride quando qualcuno cerca di saperne di più su quel «patto col Signore» e sul periodo in cui il vescovo Peruzzo reggeva la diocesi agrigentina.
«Eravamo giovani e prese da un forte entusiasmo - ricorda con voce flebile la monaca - e la figura del vescovo ci era tanto cara. Ricordo che pregammo affinché il Signore salvasse la vita a monsignor Peruzzo. Sulla morte di quelle mie consorelle non sono però in grado di dire nulla. Nessuno, infatti, potrà mai sapere ciò che è passato nel cuore e nella mente di quelle monache che non ci sono più …!».
Una frase sibillina che lascia spazio a qualsiasi ipotesi, pure a quella avanzata da Andrea Camilleri e che tanto scandalo ha creato nella nostra provincia fra i religiosi.
Lorenzo Rosso

La ricostruzione
Quell'anno, si era nel 1945, monsignor Peruzzo aveva pianificato le sue vacanze all'Eremo di Santa Rosalia, immerso nel fresco e nel silenzio, tra il verde dei boschi della Quisquina. Una vacanza dopo un lungo anno di lavoro in città a seguire i suoi fedeli. «Arriverò ai primi di luglio - aveva scritto il vescovo di Agrigento in una lettera inviata all'arciprete di Santo Stefano per anticipargli i suoi propositi - portando con me un Passionista che penserà a tutto. E per la spesa provvederà qualche ragazzo del paese a portarci i viveri lassù. Passeremo così le nostre vacanze nella tranquilla solitudine della Quisquina».
Ma la pace e la serenità di quel luogo in mezzo alle montagne venne turbata all'improvviso, la sera del 9 luglio, da alcuni colpi di fucile. Il prelato, era intento a passeggiare nei boschi, quando venne ferito gravemente dallo sconosciuto.
Da dietro un cespuglio partirono alcuni colpi di fucile che centrarono il vescovo all'avambraccio e alla schiena, trapassandogli un polmone. Monsignor Peruzzo, nonostante fosse rimasto gravemente ferito, riuscì a tornare al convento e a chiedere aiuto.
Fu quello dell'attentato al vescovo, uno dei momenti più bui della storia agrigentina che destò sdegno e disapprovazione ovunque e in tutti gli ambienti sociali.Solamente nella tarda serata arrivarono, pur tra mille difficoltà, per via del posto impervio, i primi soccorsi.
Alla Quisquina si presentarono i medici di Santo Stefano e nella notte giunse anche un'ambulanza da Agrigento con a bordo il professor Raimondo Borsellino (il luminare che aveva anche operato Togliatti a Roma subito dopo l'attentato) che eseguì un intervento chirurgico sottoponendo il vescovo a diverse trasfusioni di sangue per curarlo adeguatamente, pur fra le mille difficoltà del luogo, privo di ogni struttura di primo soccorso.
La mattina successiva il ferito, le cui condizioni si erano nel frattempo stabilizzate, venne portato a spalla dai carabinieri del luogo, lungo il sentiero impervio che scendeva verso il paese e sistemato sull'autolettiga per un interminabile viaggio verso l'ospedale del capoluogo.
Ottantacinque chilometri che sembravano interminabili tra strade dissestate e tornanti infiniti. Alla fine comunque il vescovo riuscì a salvarsi. Ma la costernazione per quanto accaduto fu talmente grande, che ancora oggi i più anziani ricordano perfettamente quell'episodio e lo commentano con grande trasporto per l'emozione che provoca loro.
La ricostruzione di quella vicenda è tutta contenuta nel volume scritto da Enzo Di Natali, «L'attentato al vescovo dei contadini», edito alla fine degli anni Novanta, di cui lo scrittore Andrea Camilleri si è servito come documentazione per dar vita al suo nuovo lavoro letterario. L'episodio dell'attentato, comunque, non venne mai chiarito fino in fondo, soprattutto non si arrivò mai ad accertare quali erano state le vere motivazioni del gesto che potesse portare a individuare i mandanti del clamoroso fatto criminale.
Dalle prime indagini risultò che a sparare fu tale Paolo Mortillaro di Alessandria della Rocca, ex frate conventuale del santuario della Quisquina espulso in passato proprio per ordine del vescovo Peruzzo per indegnità, avendo commesso atti insani.
Secondo i cronisti che a quel tempo si occuparono del caso l'ex frate avrebbe fatto continue pressioni verso il prelato per essere riammesso nel convento, ma senza alcun esito. Mortillaro avrebbe allora messo in atto la vendetta con la complicità del monaco fra Rosario, al secolo Rosario Di Salvo, di Bagheria, e forse di un terzo frate conventuale.
Su monsignor Peruzzo è stato detto e scritto molto e perfino Leonardo Sciascia citò il vescovo in alcune occasioni. Oltre al libro di Enzo Di Natali, sulla figura del prelato vi è una biografia curata da Domenico De Gregorio che quel vescovo conosceva bene essendo stato ordinato sacerdote proprio da lui nel 1947 negli anni difficili del suo episcopato.
Quest'ultimo volume, considerato la biografia più completa del vescovo, è semplicemente intitolato «Giovanni Battista Peruzzo» e venne pubblicato agli inizi degli anni Settanta.
Oggi le poche copie disponibili, si possono consultare nella Biblioteca Lucchesiana. Dunque, attorno alla vita del «vescovo dei contadini» vi è sempre stato un grande interesse e, oggi più che mai, la sua figura è destinata a diventare maggiormente popolare con l'ultima iniziativa letteraria partorita dalla vivace penna dello scrittore Andrea Camilleri.
L. R.
 
 

Quotidiano.net, 18.3.2007
Televisione
Zingaretti torna a vestire i panni del commissario Montalbano
L'attore romano ha firmato un contratto per altri quattro film che andranno in onda su Rai Uno il prossimo anno. Gli episodi sono tutti tratti dagli ultimi romanzi di Andrea Camilleri

Roma - Luca Zingaretti ci ripensa e torna a Vigata. Dopo aver annunciato l'addio al personaggio di Salvo Montalbano creato dalla penna di Andrea Camilleri, l'attore romano ha firmato un contratto per altri quattro film tv che andranno in onda su Rai Uno.
Zingaretti, quindi, vestirà di nuovo i panni del commissario siciliano più amato del piccolo schermo. Un ruolo che l'ha reso celebre al rande pubblico e che ha già interpretato in dodici film per la televisione.
I prossimi episodi saranno tratti dagli ultimi romanzi scritti da Camilleri. Si tratta di 'La vampa di agosto', 'La luna di carta', 'Le ali della sfinge' e 'La pista di sabbia'. I quattro film per la televisione - diretti sempre da Alberto Sironi e prodotti da Carlo Degli Esposti - saranno programmati da Rai Uno a partire dal prossimo anno.
Zingaretti tornerà in Sicilia dopo aver completato le riprese del film tv di Marco Tullio Giordana 'Sangue pazzo' che lo vede recitare sul set accanto a Monica Bellucci.
 
 

19.3.2007
Il 20 aprile 2007, a Tarquinia (VT), Andrea Camilleri riceverà il Premio internazionale Tarquinia-Vincenzo Cardarelli.
Il Premio, diretto da Maurizio Costanzo, è promosso dalla Provincia di Viterbo, (assessorato alla Cultura, Turismo e Sport) e dalla Regione Lazio (assessorato alla Cultura), con il contributo del Comune di Tarquinia.
 
 

19.3.2007
Il 2 maggio 2007, all'Università dell'Aquila, Andrea Camilleri riceverà la Laurea Specialistica Honoris Causa in Psicologia Applicata, Clinica e della Salute, indirizzo Psicologia Applicata all’Analisi Criminale.
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 20.3.2007
Un seminario con Camilleri e Carofiglio
Giudici e scrittori
Il Csm promuove a Roma un ciclo d’incontri di formazione riservati ai giovani magistrati
Dove si parla anche del rapporto tra realtà e romanzo
Da un’intervista in pubblico nasce un dialogo serrato tra i due autori

Un passaggio di mano di uno strano e diabolico accendino, acquistato in una strada di Bari, sancisce la liaison culturale tra Gianrico Carofiglio e Andrea Camilleri, chiamati dal Csm a discutere del rapporto sempre più forte che intercorre tra magistratura e letteratura, cinema, mezzi di comunicazione. Mentre ancora una volta giudici e pm sono sballottolati nel vortice di polemiche nate intorno ad indagini o processi importanti, i magistrati hanno scelto di interrogarsi sulla propria professione e sull’essere in una società in cui tornano a prevalere i fondamentalismi. Lo fanno affidandosi non alle tecnicalità proprie del mestiere, ma ai linguaggi che alcuni di loro - prestati alla scrittura o al cinema - utilizzano anche per spiegare una realtà sorprendentemente nuova, fatta di dubbi, di inquietudini. Ecco, dunque Camilleri e Carofiglio (e prima di loro Giancarlo De Cataldo): il grande vecchio del romanzo giallo italiano e lo scrittore giovane che ha introdotto in Italia il legal thriller.
Le premesse di una riflessione comune, svolta attraverso domande e risposte, sono sintetizzate nelle cinque regole di Montaigne che l’autore siciliano elenca in esordio: le leggi mantengono il loro credito non perché giuste, ma in quanto leggi; le leggi non sussistono senza qualche credenza ingiusta; il giudice che condanna un imputato per adulterio, ai margini della sentenza invia un biglietto amoroso alla moglie del collega; spingere un criminale a confessare è giustizia perfida, è una frode; si possono desiderare magistrati diversi, ma comunque bisogna obbedire a quelli che si hanno. C’è più merito ad obbedire ai cattivi che ai buoni magistrati. Un vademecum che Camilleri rintraccia nei suoi romanzi di formazione, quelli che iniziò a leggere a sette anni, durante le lunghe malattie infantili senza televisione di supporto, e che ne hanno costruito l’ossatura di scrittore.
I giudici della "Colonna infame" sono uomini probi, ma politici usi a servire il potere, non la giustizia. Il giudice di "Delitto e castigo" è, come sostiene Gide, luciferino perché intuisce che il reprobo sta precipitando da sé nell’inferno del rimorso e non ha quindi necessità di condannarlo. "Il processo" è la macchina infernale che tutto stritola. I giudici di "Porte aperte" e di "Una storia semplice" sono la dimostrazione che il processo è autonomo dalla legislazione. Infine - il riferimento che più verrà ripreso nel corso della discussione - "Il giudice e il suo boia" rappresenta l’impossibilità della giustizia. Un esempio estremo, quello di Durrenmatt, che Camilleri - è la spiegazione a Carofiglio - utilizza per rafforzare il concetto di fondo: certezze non esistono, anche per chi amministra la giustizia.
Tanto vero e condiviso questo assunto, che Carofiglio l’adopera per introdurre un altro elemento che gli sta molto a cuore, quello del linguaggio. Come non si devono esprimere giudizi morali, così non ci si può rifugiare nell’ampollosità o nella tecnicalità delle parole e delle frasi per dire verità ovvie, per «nascondere storture» (aggiunge Camilleri), o - peggio - per riaffermare la sacralità di un ruolo che da tempo l’ha persa e che nessuno - nella sala dell’hotel Midas di Roma dove si è svolto il seminario per giovani giudici organizzato dal Csm - vuole più reggere sulle proprie spalle. In America, ricorda il magistrato barese, nelle facoltà di legge esistono corsi per insegnare a scrivere le sentenze, per raccontare i fatti dal punto di vista dell’accusa e dal punto di vista della difesa. In Italia non c’è tutto questo. E così il romanzo, il film, la fiction sopperiscono, per certi versi, alla carenza di comunicazione tra magistratura e grande pubblico. E, in genere, l’eroe è il poliziotto, come Salvo Montalbano, mai il giudice. «Io non invento nulla - risponde Camilleri a Carofiglio -, prendo spunto dai fatti reali, libri o cronaca nera che siano».
Nella sua esperienza lo scrittore siciliano ha incontrato anche splendide figure di magistrati, uomini di altri tempi, le cui inquietudini rimanevano nascoste. Oggi, invece, molti di loro reagiscono scrivendo. Ma perché, chiede lo scrittore barese? «Perché è un atto liberatorio, perché dopo la realtà dei tribunali è fondamentale liberarsi in un mondo di fantasia. Montalbano è tanto amato in quanto è una favola. E ho scelto il poliziotto e non il carabiniere in quanto, a differenza di quest’ultimo che è un militare, il primo è per certi versi un
borderline», cioè più vicino a quel mondo reale con cui fatica a relazionarsi la realtà dei magistrati. E non a caso, insiste Carofiglio, solo recentemente i legal thriller sono arrivati in Italia; «grazie al nuovo processo», spiega Camilleri. Il tribunale ora può essere l’arena dove si confrontano due tesi, dove si può creare il plot che tiene incollati i lettori alle pagine. Ma c’è una differenza sostanziale tra Camilleri e Carofiglio: il primo nasce scrittore, il secondo nasce pm. Se il siciliano inventaMontalbano per raccontare la vita, il secondo crea l’avvocato Guerrieri ("Ad occhi chiusi" ha appena fatto il boom in Germania) per raggiungere quella libertà «che in un processo non è mai possibile». Ancora il dubbio. Ma allora se anche i giudici non hanno certezze cosa deve pensare la gente comune? E’ davvero un problema, «il relativismo dei magistrati», conclude De Cataldo. Ma questo è l’oggi, e allora forse può aiutare un buon romanzo o un bel film.
Rosanna Lampugnani

LE DOMANDE DI CAROFIGLIO A CAMILLERI
1. In una storia di suspence come si può costruire una figura di giudice positiva?
2. Perché molti magistrati o giuristi si dedicano alla scrittura?
3. Una cosa è il romanzo giallo, che risponde alla domanda: chi ha commesso il fatto. Altra il legal thriller, che risponde al quesito: l’imputato è colpevole o no? Verrà condannato o no? Perché quest’ultimo genere è poco presente in Italia?
4. Durrenmatt, citato da Camilleri, introduce il concetto che la logica razionale è incapace di esprimere un giudizio. E’ davvero così?
 
 

Il Giornale, 20.3.2007
Genova
La Corte s’immerge nella Vigata prima di Montalbano

«A Sua Eccellenza Illustrissima Vittorio Parascianno, Prefetto di Montelusa. Vigàta li 12 giugno 1891»: è l'ossequiosa e apparentemente innocua intestazione della lettera di Filippo Genuardi, dove la maggior malizia immaginabile sembra stia nell'identificare a colpo sicuro i luoghi di Andrea Camilleri. E invece l'incipit di questa lettera causerà guai a non finire al suo ignaro autore. È "La concessione del telefono" di Andrea Camilleri, che debutta al Teatro della Corte domani per la regia di Giuseppe Dipasquale e resterà in scena fino al primo aprile. Prodotto dallo Stabile di Catania, lo spettacolo è interpretato da Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina.
Vigàta, fine '800: Filippo Genuardi decide di richiedere l'attivazione di una linea telefonica a uso privato e, a questo scopo, indirizza tre lettere al prefetto di Montelusa, rendendosi però colpevole di un ferale scambio di consonanti: «Parascianno» anziché «Marascianno». L'errore sarà fatale e scatenerà una ridda di malintesi che metteranno in subbuglio Prefettura, Questura, Pubblica Sicurezza, la Benemerita Arma e perfino il parroco del paese, nonché, ovviamente, il capomafia locale. Un pizzico di complicazioni familiari (Filippo è invaghito della giovane suocera) ed ecco una commedia insieme divertente e traboccante di suspence. La lingua è il Siciliano di Camilleri, un lessico di atavica memoria, frutto di una attenta ricerca letteraria e arricchito da fantasiose invenzioni dello scrittore, con esiti potentemente espressionistici.
L'adattamento dall'omonimo romanzo è stato curato dall'autore e da Giuseppe Dipasquale, ex allievo di Camilleri all'Accademia Silvio D'Amico: con spirito pirandelliano, Camilleri ha consegnato i personaggi del suo libro al regista senza tiranneggiarne le scelte, ma lavorando in sintonia con lui. Ben nove stesure hanno preceduto quella definitiva: «Metà del romanzo è scritto in forma epistolare, quindi difficile da rendere in scena» spiega Dipasquale. «Alla fine, proprio il mondo cartaceo delle lettere, straniante ma denso di fatti, è diventato il segno forte dello spettacolo ed evoca concretamente in scena l'ambiente, non fisico ma metaforico, in cui Camilleri ambienta le sue storie. Da qui la scelta scenografica di una Vigàta sospesa tra faldoni ottocenteschi zeppi di incartamenti, da cui escono personaggi imprigionati nelle carte». Ecco che la prospettiva dello spettacolo si amplia, si materializza la «risposta» dello stato centrale all'incalzante richiesta di risolvere i problemi del Mezzogiorno: tonnellate di carta prodotta dalle Commissioni d'Inchiesta; di azioni concrete, nemmeno l'ombra.
Irene Liconte
 
 

Guida di SuperEva, 21.3.2007
Pillole (rapidi flash sulle mie letture)
Camilleri ancora in libreria
Andrea Camilleri, "Le pecore e il pastore", Sellerio, 2007 (pp.125)
Letto dal 17 al 18 marzo 2007. Voto: 6

Senza battage pubblicitario, senza anteprime urlate su tutti i giornali, ha colonizzato le librerie italiane, ad appena un mese dall’uscita di Il colore del sole, questo Le pecore e il pastore, troppo pedissequo per essere un romanzo, troppo scarno per essere considerato saggio. Lo spunto e la genesi delle due opere coincidono chiaramente: già nella biografia di Caravaggio compariva la figura discussa e discutibile di quel Mario, capostipite dei Tomasi di Lampedusa. Stavolta non manca nel testo la cura formale che la Sellerio, a differenza della Mondadori, esige per le sue pubblicazioni, eppure la storia, nonostante lo spunto interessantissimo, si muove ugualmente lenta, dispersiva e frastagliata, più lavoro di ricerca che romanzo compiuto. In altri tempi Camilleri avrebbe polemizzato con la sua ironia nei confronti di una vicenda ascrivibile al più bieco fanatismo; l’autore, ormai anziano, si pone in maniera più problematica nei confronti della fede e della morte. Ne avrà forse giovamento la sua anima, sicuramente non la sua prosa.
Benedetta Colella
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 21.3.2007
In scena
Quanta passione per un telefono
Una storia di ordinaria burocrazia sullo sfondo del rapporto adulterino del protagonista con la giovane "suocera"
Alla Corte debutta stasera la riduzione teatrale del romanzo di Camilleri, con Francesco Paolantoni
Un affresco di fine Ottocento in un comico e tragico dialetto siciliano

L´Italia dei furbetti, dei soprusi e delle inefficienze raccontata dalla penna ironica di Andrea Camilleri e portata in scena da Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci e Pippo Patavina: è «La concessione del telefono», riduzione scenica di uno dei migliori romanzi dello scrittore siciliano, firmata dallo stesso Camilleri assieme al regista Giuseppe Dipasquale, in scena da stasera al 1° aprile al Teatro della Corte. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, racconta in chiave comica, ma incredibilmente realistica, il labirinto burocratico che un siciliano si trova ad attraversare per ottenere la semplice installazione di un apparecchio telefonico (anche se lo scopo vale la pena: il protagonista vuole infatti collegarsi, più che all´azienda, alla giovane consorte del proprio suocero, vedovo risposato). Tutto avviene nel 1892 a Vigata, la cittadina quasi vera che un secolo dopo vedrà le gesta del commissario Montalbano, la creatura più famosa di Camilleri. La Sicilia, con la sua ragnatela di interessi più o meno leciti, con inutili ritardi, appelli e contrappelli, equivoci e gabelle di piccoli burocrati, diventa lo specchio del Bel Paese.
«Alla base della serie di equivoci che animano la storia - spiega Andrea Camilleri - c´è la burocrazia, argomento che amo perché mi diverte molto, capace di terrorizzare e assicurare al tempo stesso». Ad emergere dallo spettacolo è soprattutto l´inconfondibile lingua dello scrittore, una teatrale sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, sintassi travestita e modi d´uso ricalcati dal dialetto. «Inizialmente - dice Francesco Paolantoni, il protagonista dello spettacolo - abbiamo tentato di far parlare Pippo Genuardi, il mio personaggio, in siciliano, ma il mio napoletano continuava ad uscire fuori, così ho lasciato che la mia poetica linguistica si adattasse alla lingua di Camilleri e mi sono completamente immerso non solo nella lingua, ma anche nel mondo camilleriano». Riflette sul suo personaggio e lo definisce «una vittima, anche se poi in realtà lo è fino ad un certo punto, perché è un «furbastro» che si trova coinvolto in una serie di grandi equivoci, per giungere a un finale amaro». Da questo adattamento, «è nato un personaggio con nuovi risvolti che non avevo immaginato - spiega il regista Giuseppe Dipasquale - ma il tradimento di un testo è possibile perché il rapporto tra letteratura e teatro dà la possibilità di una nuova drammaturgia e proprio la drammaturgia viene dalla letteratura. Basti pensare che lo stesso Pirandello, al quale come autore credo che Camilleri assomigli, adattava i suoi racconti al teatro». Buono, infatti, è il rapporto che Camilleri ha con l´adattamento dei suoi testi. Racconta lo scrittore che «davanti ad una televisione che trasmette un adattamento di un mio testo, oppure seduto in platea per vedere un adattamento teatrale di una mia opera, riesco a estraniarmi, a dimenticare di essere io l´autore e anche a ridere come un matto». Diviso tra teatro, tv e fiction, Francesco Paolantoni dice di essere «un po´ tutte queste cose... in un mestiere schizofrenico. E se non lo facessi nel lavoro, lo farei nella vita. Mi piace usare vari linguaggi, mi diverto a fare cose diverse. In tv con leggerezza, mentre in teatro si deve essere più incisivi e nella fiction minimalisti e interiori». Non ama però essere definito un attore comico. «Mi sento semplicemente un attore. Sono partito come drammatico, poi ha preso il sopravvento la mia natura dissacratoria. Solo con una drammaticità di fondo si può far ridere». D´obbligo un suo giudizio di Camilleri. «Un uomo di grande ironia e di un´arguzia straordinaria», è la sua immediata definizione.
Osvaldo Scorrano
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 21.3.2007
L´arte e la mitteleuropa tre storie a pochi metri
Il salotto-libreria della Novecento, la nascita di Kalòs e la sfida di Duepunti
I giorni di Borges per il premio "Rosa d´oro"

[...]
E intorno all´architettura e soprattutto al mondo dell´arte siciliana si muove anche la casa editrice Kalòs (oggi al numero civico 19 di via Siracusa), diretta da Nicola Sieli, presente sul mercato dell´editoria siciliana dal 1988, con la sigla Edizioni Ariete. Passa appena un anno ed esce il primo numero della rivista "Kalòs-arte in Sicilia", trimestrale di arte e cultura siciliana.
[...]
Nel 2000 nasce la libreria, in via XX Settembre: le edizioni Ariete vengono assorbite dal gruppo editoriale Kalòs. Il primo libro pubblicato si intitola "Radio Italia Marconi", scritto dai due cabarettisti Bibi Bianca e Gianni Nanfa. Poco dopo vedono la luce le prime guide, i cataloghi, i volumi veri e propri: tra questi, il fiore all´occhiello della casa editrice è una guida monumentale della città di Palermo, edita nel 1998, e da allora ristampata più volte. «È il nostro libro più richiesto - spiega Nicola Sieli - assieme al volume fotografico "La Sicilia di Andrea Camilleri tra Vigàta e Montelusa". La guida monumentale di Palermo è diventato negli anni un testo irrinunciabile, il bigliettino da visita di questa nostra città. Il volume, poi, che raccoglie gli scatti di Peppino Leone, e che fa allusione alla Sicilia immaginaria dei racconti di Camilleri, ha sedotto non solo l´ammiratore dello scrittore agrigentino, ma anche chi non si è mai strappato le vesti per le avventure del commissario di Vigàta.».
[...]
Tano Gullo
Salvo Ferlita

 
 

Adnkronos, 22.3.2007
Roma: a maggio il Festival della Filosofia

Roma - Illustri esponenti del pensiero filosofico contemporaneo, grandi scrittori e intellettuali, condurranno un viaggio nelle piu' diverse materie della conoscenza umana durante il Festival della Filosofia che si terra' a Roma, all'Auditorium Parco della Musica, dal 9 al 13 maggio. Sono in programma dieci lezioni magistrali, diciassette tavole rotonde, sei lezioni su pensatori di confine, un ciclo di quattro incontri sul tema ''Voci di confine'', caffe' filosofici, rassegne cinematografiche, spettacoli e concerti, laboratori di yoga e attivita' dedicate alle scuole, per oltre sessanta appuntamenti in cinque giorni.
Il tema dei ''Confini'' sara' affrontato nella riflessione filosofica, nel pensiero religioso, nell'espressione artistica, nelle teorie scientifiche, nel modo di intendere e di fare politica, e nel tentativo di costruire una effettiva democratizzazione del sapere. Interverranno, tra gli altri, Peter Eisenman, Barbara Duden, Edouard Glissant, Marc Auge', Hanif Kureishi, Tariq Ramadan, Andrea Camilleri, Eugenio Scalfari, Fernando Savater, Peter Sloterdjik, Jean Luc Nancy, Nicola Piovani, Gianni Vattimo, Piergiorgio Odifreddi, Stefano Rodota' ed Ernesto Galli Della Loggia.
 
 

Mentelocale, 22.3.2007
Una sera a teatro. Genova
La commedia degli equivoci di Camilleri
Bell'adattamento da un romanzo tra i più riusciti. Parabola sulle furfanterie italiane. Con Paolantoni. Alla Corte, fino al primo aprile

Dici Andrea Camilleri, dici Commissario Montalbano. Il nome dell'ottuagenario scrittore siciliano è ormai indissolubilmente legato a quello del celebre poliziotto, cartaceo prima e televisivo poi. Come fu con Maigret per Simenon e Pepe Carvalho per Manuel Vasquez Montalban. Ma la produzione del Maestro non si esaurisce nelle sole avventure del verace uomo di giustizia siculo: altrettanto gustosi sono i romanzi ambientati nella Vigàta dei secoli scorsi. Da Il birraio di Preston, passando per La mossa del cavallo e Il re di Girgenti, fino a La scomparsa di Patò, l'immaginaria cittadina ospita camurrìe e cose tinte, tra chiacchiere di paese, farfanterie, commistioni tra mafia e politica. Il tutto raccontato con la consueta e genuina verve cui Camilleri ci ha abituato negli anni.
La concessione del telefono è uno dei suoi romanzi che, esulando dalle vicende di Montalbano, è - per l'appunto - tra i più riusciti.
La Compagnia del Teatro Stabile di Catania, su testi dello stesso Camilleri e di Giuseppe Dipasquale, ne porta in scena l'adattamento teatrale, facendo tappa, fino all'1 aprile, dopo l'affollata prima di mercoledì 21, al Teatro della Corte.
Nella prefazione del romanzo, Camilleri introduce così la storia: "Trovai, tra vecchie carte di casa, un documento ministeriale, risalente al 1892, per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico-amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia". Escamotage manzoniano e detto fatto.
Nel piccolo paese di Vigàta, Filippo Genuardi detto Pippo (Francesco Paolantoni) richiede l'attivazione di una linea telefonica, per presunti motivi di lavoro, quando il suo obiettivo è invece quello di architettare con comodità gli incontri con la giovane Calogera (Valeria Contadino), moglie di secondo letto del suocero Schillirò (Marcello Perracchio), nonché matrigna dell'ingenua consorte Taninè (Alessandra Costanzo).
Oltre a sbagliare destinatario, inviando le missive alla Prefettura del capoluogo Montelusa invece che agli uffici Poste e Telegrafo, si rivolge al Prefetto Marascianno (Gianpaolo Poddighe) chiamandolo Parascianno. Un futile errore che innesca una girandola di macchinazioni ed intrallazzi.
Una vera e propria commedia degli equivoci in cui non mancano adulteri, servi sciocchi, integerrimi uomini di legge, quaqquaraqua, e nella quale vengono coinvolti l'Arma dei Carabinieri, il movimento socialista, Prefetture varie, la Chiesa, Cosa Nostra, ponendo Pippo - come i tre quarti dei siciliani - a metà strada tra la politica e la mafia.
Il testo di Camilleri, risolto prevalentemente in forma epistolare, è stato adattato in modo da creare spumeggianti dialoghi tra i numerosi personaggi coinvolti, senza comunque abbandonarne la caratteristica sintassi, fusione di lingua italiana e di un dialetto siciliano colorito e parzialmente semplificato. Aggiungendo, vista la presenza di Paolantoni, una scoppiettante declinazione partenopea che, nel complesso, non stona affatto.
Il numeroso gruppo di attori è decisamente affiatato, armonico: il meccanismo narrativo scivola velocemente, anche grazie alla naturalezza con cui i teatranti affrontano il testo. A tratti, forse verboso ed eccessivamente veloce, ma indubbiamente divertente.
Menzione d'onore per Pippo Pattavina, interprete di ben sette personaggi: dal medico al prete, fino al carabiniere confusionario, gli sono state affidate le macchiette più pittoresche, che lui caratterizza con tic nervosi o stralunate espressioni. A questo proposito, è estremamente divertente il duetto, nel secondo atto, recitato con un basito ed altrettanto spiritoso Don Lollò (Tuccio Musumeci).
Fantasiosi i costumi di Angela Gallaro, ispirati a rilegature in carta marmorizzata e alle stampe d'epoca. Ed altrettanto originale la scenografia di Antonio Fiorentino: giganteschi faldoni ricolmi di disordinati fascicoli costituiscono mobilio e murature, simbolo della precarietà e dell'invalicabilità della burocrazia.
Nel complesso, oltre due ore di vivace intrattenimento, con una leggera caduta di tono nella seconda parte. Forse, dovuta anche al sapore dolceamaro che lo stesso Camilleri ha infuso al testo, con dipartite varie e premi indebitamente elargiti.
La classica storia all'italiana, quindi.
Stefania Pilu (Teardrop)
 
 

Quotidianoligure.it, 22.3.2007
La concessione del telefono (voto 6)

Andrea Camilleri, l’inventore del commissario Montalbano, ha scritto "La concessione del telefono" nel 1998. Il testo fa parte della produzione del romanziere di carattere storico o biografico (Pirandello, Caravaggio), un filone importante, anche se di minor successo rispetto a quello che ha per protagonista il poliziotto di Vigata. Il libro è strutturato in una forma vicina al classico romanzo epistolare, nel senso che è interamente costruito su lettere, rapporti di polizia, decreti prefettizi usati messi in fila per costruire la storia dello sfortunato commerciante di legame Filippo Genuardi che incappa nella rete della burocrazia e della mafia per aver chiesto la concessione di una linea telefonica fra il suo magazzino e la casa del suocero. La richiesta dovrebbe riguardare l’attività commerciale, in realtà servirà ad agevolare la relazione fra il mercante e la moglie dell’anziano, un adulterio che ha conseguenze tragiche. Le pagine rivelano appieno la straordinaria capacità di mimesi stilistica e linguistica posseduta da uno scrittore in grado di piegare la sua prosa al dialetto siciliano, come al burocratese ottocentesco o all’italiano del sedicesimo secolo. E’ una capacità che per buona parte si perde in questo spettacolo, il cui testo è stato curato dallo scrittore e dal regista Giuseppe Dipasquale. Le esigenze di popolarità hanno imposto molte semplificazioni e alcuni richiami, non molto pertinenti, sia alla realtà odierna sia a personaggi resi noti dalla saga montalbaniana, figure che fanno capolino in vari punti della storia. Ne deriva una proposta piacevole, ma più vicina alla commedia che alla sperimentazione linguistica. Funzionale la scenografia fatta di enormi falconi che sopperisco alle necessità di scena, mentre la recitazione, ottima negli attori siciliani Pippo Pattavina e Tuccio Musumeci, perde qualche colpo in Francesco Paolantoni che non dimentica del tutto le vocazioni cabarettiste.
Umberto Rossi
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 23.3.2007
Teatro
Sesso e corna, mafia e preti nel labirinto di Camilleri

Una vicenda di ordinaria burocrazia - in Sicilia, per giunta - costruita intorno a una ziggurat di faldoni è traccia di commedia da declinarsi tragica da un lato e farsesca dall´altro. Esemplare, dunque, la riduzione teatrale de La concessione del telefono che Andrea Camilleri ha tratto dal proprio romanzo con il regista Giuseppe Dipasquale, allestimento dello Stabile di Catania in scena alla Corte.
Nel 1891 l´iter amministrativo per accedere a un servizio pubblico è tortuoso quanto gli odierni, e nei percorsi labirintici Camilleri si dispone a proprio agio, inserendovi sesso e corna, mafia e preti, esaltando un´umanità sospettosa e ridondante, verbosa, appariscente, eccessiva, dunque teatrale, impeccabile, anche nei gramelot che il pubblico premia, spesso e volentieri a scena aperta. Magari (anzi, macari) qualche ripetizione compiaciuta nelle battute (matri, matri matri morta sugno per soddisfatto orgasmo) che non toglie il piacere di uno spettacolo ben costruito e recitato, da tutti (14 sul palcoscenico, più le parti multiple), scene e costumi per bibliofili.
Stefano Bigazzi
 
 

Il Sole 24 Ore, 24.3.2007
Da Camilleri a Saviano, figure e figuri del noir all'italiana

Il noir è il genere più prolifico sulla scena editoriale italiana. Il noir, inteso come genere in senso stretto, praticamente non esiste nell'Italia contemporanea. Apparentemente in contrasto, i due assunti a tirare le somme esprimono bene la realtà dei fatti. Un paradosso bello e buono che esemplifica le alterne vicende attraversate nel Bel Paese da un genere che di paradossi si nutre. I prodotti editoriali più o meno dichiaratamente noir vendono bene, costituiscono quasi sempre una sicurezza di investimento per le major del mercato nazionale e spesso offrono una boccata d'ossigeno alle case editrici indipendenti che hanno la fortuna di scommettere sul "cavallo" vincente, o riuscire ad aggiudicarsi qualche opera minore di qualche grosso nome. Eppure editori, critica e pubblico servendosi dell'etichetta noir accomunano autori lontanissimi che raccontano storie diverse con stili disparati e, per giunta, finiscono per ottenere risultati di spessore letterario diversissimo. Per intenderci, passa più strada tra un De Cataldo, un Faletti e un Saviano di quanta non ne passasse tra un Cornell Woolrich, un James M. Cain e un Raymond Chandler, per restare ai numi tutelari a stelle e strisce del genere. Eppure sono in molti ad etichettare come noir tanto De Cataldo, quanto Faletti e Saviano, libri buoni, cattivi e pessimi.
C'è chi non esita a definire noir Andrea Camilleri, il romanziere siciliano classe 1925 che con la lunghissima saga del commissario Montalbano, partita nel '94 con il romanzo "La forma dell'acqua" e trasformatasi in una fortunata serie televisiva, ha contribuito al rilancio sul panorama nazionale dell'editore palermitano Sellerio. Per gli aficionados è semplicemente il "Sommo". Se non altro "somme" sono le sue performance di vendita: il catalogo di Camilleri ha da tempo superato i due milioni di copie e l'ultimo suo lavoro narrativo, "Il colore del sole" edito da Mondadori, risiede stabilmente nella top ten. Impressionante la mole della sua produzione, caratterizzata da testi di agile lettura ma mai banalmente commerciali. Ha appena sformato il chiacchieratissimo saggio storico "Le pecore e il pastore" (Sellerio) ed è in procinto di dare alle stampe "La novella di Antonello da Palermo", apocrifo boccaccesco per l'editore Guida, e "La pista di sabbia", nuova avventura del commissario Montalbano, ancora per Sellerio. Più che noir, il "colore" di Camilleri è il giallo, seppure caratterizzato da particolarissime sfumature mediterranee.
Solitamente accostato al noir ma meglio riconducibile al sottogenere del "legal thriller" è Gianrico Carofiglio, che come Giancarlo De Cataldo ha dalla sua le origini pugliesi e l'attività di magistrato. Ha esordito per Sellerio nel 2002 con "Testimone inconsapevole", accolto favorevolmente da critica e pubblico, ed ha infilato una fortunata serie di lavori, l'ultimo dei quali è "Ragionevoli dubbi" (Sellerio, 2006) che ha venduto circa 200mila copie. Per i suoi testi nel 2007 si profila un passaggio su piccolo e grande schermo, passo che per i cosiddetti autori di genere equivale un po' alla definitiva consacrazione.
Chi, invece, ha fatto dei rapporti con televisione e cinema la propria fortuna è l'emiliano Carlo Lucarelli che è soprattutto un grande divulgatore della cultura noir. L'esordio narrativo risale al '90 ("Carta bianca" per Sellerio) ma l'opera del grande salto arriva sette anni più tardi con Einaudi: quell'"Almost blue" che è diventato un film per la regia di Alex Infascelli ed in dieci anni ha portato l'intero catalogo dell'autore sul milione di copie vendute.
Numeri noti anche al cabarettista, cantante e romanziere piemontese Giorgio Faletti, caso letterario nel 2002 con "Io uccido" (Baldini Castoldi Dalai) cui hanno fatto seguito altre due fatiche letterarie, l'ultima delle quali è "Fuori da un evidente destino" (ancora per Baldini Castoldi Dalai, 2006). Uno scrittore che produce opere voluminose quanto di facile lettura, nella tipica tradizione "mainstream" dei best-seller americani. Thriller, più che noir.
Al genere "nero" è stato ricondotto anche "Gomorra", docu-fiction del napoletano Roberto Saviano, caso letterario del 2006 edito da Mondadori. Un collage di pezzi giornalistici infilati in un romanzo stile Grand Guignol sulla camorra napoletana che a seguito di una potente campagna mediatica e, soprattutto, delle minacce ricevute dall'autore da parte della malavita organizzata è passato in una manciata di mesi da 100mila a 600mila copie vendute. Nulla di più errato che definire Saviano autore di genere: non "scompare" nella narrazione concentrandosi nel lavoro di "cucina" ma addirittura interpreta, in prima persona, il ruolo di protagonista.
Nell'Italia letteraria postmoderna il noir deve essere una "casa comune" molto accogliente, se è vero che si moltiplica esponenzialmente il numero di quanti aspirano ad abitarla. Il guaio è che l'indirizzo non è proprio lo stesso dell'edificio cupo, gelido ed essenziale che ospitò il grande Giorgio Scerbanenco. Ma quella è storia di oltre quarant'anni fa.
Francesco Prisco
 
 

La Stampa - ttL, 24.3.2007
Ai punti
Camilleri tra pecore e pecorecci
Luciano Genta
 
 

Teatro Naturale, 24.3.2007
Camilleri? Ci fa scoprire “Il colore del sole”
Un romanzo breve e di straordinario fascino. Lo scrittore si cala nella storia fino a diventarne protagonista. Narra di un rocambolesco avvicinamento da parte di alcuni individui che vogliono fornirgli scritti autografi del Caravaggio, nonché di una camera oscura con cui si prova che il grande pittore avrebbe lavorato a ricalco

Amicizie che con fiducia mi squillano per veloci consigli di lettura sono molto sorprese, in questo periodo, allorchè con trasporto e convinzione consiglio "Il colore del sole" di Andrea Camilleri edito per i tipi di Mondadori.
La telefonata veloce dal punto vendita, quale che sia, non permette che scenda nei particolari, utilizzo, allora, questo spazio per chiarire perché io, nemica di Montalbano tanto quanto lo sono di Maigret, poi provi tanto entusiasmo per il Camilleri narratore, così come in verità l’ho sempre provata per il suo duale predecessore francese, il grande Simenon orfano di Maigret.
Iniziamo da pagina 119, dove l’autore, con onestà intellettuale, spiega come è venuta l’idea di questo romanzo breve.
Nel 2005 la curatrice del Dusseldorf Museum Kunst Palast, Karina Luz, dovendo allestire una mostra su Caravaggio, invitò Camilleri a scrivere un racconto di quindici cartelle sul grande pittore.
A lavoro finito, Camilleri si accorse di aver scritto molto di più ed allora trasse le cartelle richieste che poi sono state stampate nel volume antologico "Maler Morder Mytos. Geschichten Zu Caravaggio" (Hatje Cantz, Ostfieldern 2006), il testo integrale è invece questo bellissimo romanzo.
L’autore si cala nel romanzo e ne diventa protagonista, perché nella prima parte narra un rocambolesco avvicinamento da parte di individui che vogliono fornirgli scritti autografi del Caravaggio, nonché una camera oscura prova che Caravaggio avrebbe lavorato a ricalco.
Chiuso in una masseria siciliana Camilleri esamina scritti di pugno dallo stesso Caravaggio.
Ecco la prima, originalissima particolarità delle scelte di Camilleri, che con veridicità introduce elementi assolutamente impossibili, tanto impossibili da sembrare veri.
Caravaggio, notoriamente poco colto, ha lasciato solo scarni bigliettini, scontrini diremmo oggi; e ha del sorprendente che abbia usato la scrittura per indagare sui misteri profondi della propria anima.
Il periodo romanzato da Camilleri è il cosiddetto periodo maltese-siciliano.
Nonostante la cattiva fama di Caravaggio, i Colonna si dimostrarono sempre apertamente suoi protettori, tanto che Fabrizio Colonna, divenuto comandante in capo della flotta dell’ordine dei cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme a Malta - un ordine che accoglieva i giovani più turbolenti e scapestrati, restituendo loro una sorta di immunità - lo ammette nell’ordine, specificando però che la nomina gli era concessa per meriti e non per nascita, evidenziando quindi che ad un pittore di minor talento non sarebbe stato accordato mai tale onore.
Quando tutto sembrava volgere per il meglio, Caravaggio si trovò agli arresti a Malta, nella guva, una fossa scavata nella roccia profonda poco più di tre metri. Nessuno dei documenti del tempo chiarisce il mistero dell’arresto. L’unico indizio al riguardo è contenuto nel documento della sua espulsione dall’ ordine, che lo definisce membro “putridum et foetidum”.
Non si sa come da qui Caravaggio riesce ad evadere. La fantasia di Camilleri ipotizza e rende credibile - tanto credibile che vien di dare per certa l’ipotesi - che Caravaggio non sia fuggito alla volta di Siracusa via mare, ma sia sbarcato nei pressi di Girgenti, e sia tornato a Licata e da lì abbia proseguito via terra per Siracusa.
Camilleri con fantasiosa verosimiglianza riempie dieci giorni di black out storico nella biografia del pittore.
La scrittura seicentescheggiante di Caravaggio la fa da padrone, in queste improbabili ma affascinanti pagine autobiografiche coinvolgendo il lettore al punto tale che a libro chiuso si sentirà impellente il desiderio di rispolverare alla memoria tutta l’opera pittorica del nostro.
Ricordiamo allora che il San Gerolamo” riportato in copertina si trova a Roma alla Galleria Borghese, ma merita una visita anche il “Ritratto di fra Antonio Martelli, Cavaliere di Malta”, che si trova a Firenze presso Palazzo Pitti.
Questo ritratto - che non sappiamo se sia stato eseguito a Malta prima della partenza di Martelli per Siracusa, oppure sia stato realizzato a Messina, dopo l’evasione di Caravaggio da Malta - mi sembra sia in grande sintonia con la scrittura di Camilleri, il quale di se stesso dice: "…sono, per una certa deformazione professionale portato a vedere possibili intrighi in ogni fatto che non sia subito chiaro, addirittura non illuminato in ogni angolo da una luce solare".
Antonella Casilli
 
 

Il Gazzettino, 25.3.2007

A pochi mesi da "Il colore del sole" (Mondadori), il romanzo su Caravaggio, molto apprezzato sia dalla critica sia dai lettori - che però, con i numeri, dimostrano di preferire le vicende di Salvo Montalbano, sicuramente di lettura più agile e leggera - il maestro siciliano Andrea Camilleri (nato a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, ormai già 82 anni fa) ritorna in libreria con "Le pecore e il pastore" (Sellerio), un giallo storico che parte dalla lettura di una nota a piè di pagina di approfondimento alla storia agrigentina, per sviluppare un racconto che raccoglie tradizione, religione, amore e politica. Si tratta della vita di Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento, molto impegnato nei confronti dei più deboli e poveri, che, nell'estate del 1945, venne colpito da due proiettili.
Dieci monache offrirono a Dio la loro vita in cambio di quella del loro beneamato pastore. Dio accettò il cambio e risparmiò il buon pastore. Solo 127 pagine (e un prezzo di copertina contenuto), ma, come al solito, molto curate e appassionanti, con una prosa raffinata e intensa.
[…]
Lorenza Stroppa
 
 

Corriere della sera, 26.3.2007
Il caso. Una novella erotica in «tosco-siculo» inventata dal padre del commissario Montalbano
Irresistibile Boccaccio. Invece è Camilleri
Antonello da Palermo alla conquista della bella Iancofiore

Come Antonello Marino da Palermo, invaghitosi di Iancofiore, moglie del medico Pietro Pagolo Losapio, fingendosi di grave infermità afflitto e facendosi dal medico ospitare e curare, riesce a giacersi più fiate con la donna amata...
...Poscia, nel silenzio, la giovane, che chiuder occhio non potea a causa della presta ritirata del marito, cominciò a udire Antonello nella camera allato che in niun modo rattemperare le querimonie potea che sempre più forti gli uscieno a causa del foco che parea divampargli ormai nel corpo tutto e assai si commosse.
E volendo in qualche modo la sista sua placare volgendo altrove il pensiero, dal letto alzossi senza temenza d’isvegliare il marito, come che quello una volta pigliato sonno per niuna cagione al mondo svegliavasi. Acceso un doppiere, dalla camera uscissene e andossene a poggiar l’orecchio alla porta della camera dell’infermo.
Allora l’udi che implorava: Acqua! Acqua! Implorava il giovane un lago dentro al quale raumiliare il ninferno che lo possedea. Divisando però Iancofiore che l’infermo assetato fosse e bere volesse, riempita una coppa, entrossenne nella camera di lui senza manco bussare.
Il giovane, che tenea scostate le trabacche del letto onde più aria poter pigliare, vedendola arrivare, capì che la sua buona ventura sì lungamente attesa erasi di presso, e ne provò tal contento che il core sentì salirgli in gola, ma saviamente rimasesi boccone come stava, col viso premuto contro l’origliere, timoroso che se messo si fosse in altra posizione, il lenzuolo mutar si potea in tenda.
Iancofiore, posato il doppiere, tesegli la coppa con l’acqua e dolcemente dissegli: Vivìti.
Antonello, che muoversi non ritenea saggio, dissele con boce stenta: Aiutatemi voi. Allora Iancofiore, nel vederlo sì doloroso, soavemente con una mano sollevogli la testa e portò la coppa alle sue labbra. Bevuto ch’ebbe a rilento tutta l’acqua della coppa, sia per la sete sia per farsi da lei ancora tenere il capo, Antonello poscia disse: Aiutatemi, madonna, ve l’ prego, su di un fianco a voltarmi ch’io son sì tristo che da sol non possolo.
Egli divisava che nella nova posizione, nulla dello stato suo vedere si sarebbe potuto.
Posata la coppa, Iancofiore con ambo le braccia forte lo strinse onde aiutarlo mentre Antonello che avea in sul viso le poppe di lei e forte l’aulenza della pelle sua sentendo, per poco non più si rattemperava e se ne volava da solo in paradiso. Allora Iancofiore, sedutasi a piè del letto, domandogli di quale infermità sofferisse. Tacquesi Antonello e coprissi il viso con tremante mano. Caramente Iancofiore ancora domandogli ed egli, in finto pianto rompendo, dissele:
O tristo me! O me mischino quali sbintura mi colse! Assà assà mi vrigogno a dirvela questa sbintura mia!
E sì dicendo, la mano dal viso levossi e la tese ver la giovane quasi a conforto cercare. La quale subitamente la prese e strinsela, parimenti sentendosi in su gli occhi le lacrime venire.
Ancor disse Antonello: No, no, non posso! Voi di certo riderete di me!
Ella allora più caramente e più forte la mano stringendogli, disse: Quali vrigogna ci può essiri in una sbintura? Suvvia, dite.
E Antonello manifestolle la sua finta sventura, or movendo il capo ver l’origliere come la faccia ad ascondere or chiudendo gli occhi come per somma vergogna e al termine disse:
E così esso restato m’è non altramente che marmo e il compenso del marito vostro a nulla puote! Ohimè infelice! Mai più cogliere m’è dato il piacere d’amore!
E nel mentre che questo dicea piagnendo, con assai forza di volontade riuscissene per poco a rattemperar alquanto lo stato suo, si che, lasciata la mano che Iancofiore gli tenea e fingendo difficoltate molta, coricato misesi in su la schiena, sempre gli occhi chiusi tenendo, timoroso che al solo vederla tutta la fatica fatta andasse nulla.
Allora Iancofiore, mossa da pietate grandissima, simplicissima giovane com’era, una mano allungò brancolone e, il posto giusto trovato, dopo averlo alquanto tentato, sopra soavemente infine ve la posò domandando: Vi duole?
A sentir il dolce peso della mano, a momenti Antonello venia meno e parola non riuscì a profferire alcuna mentre tutto bagnavasi di sudore per lo sforzo di rattenere doversi. Iancofiore, sì vedendolo, si credette che lo sventurato giovane non le rispondea per troppo dolore e amorevolmente prese a carezzargli la parte inferma. Sì che Antonello più non potè rattenersi e lasciò avvenire da sotto il lenzuolo la resurrezione della carne.
La quale Iancofiore guardando meravigliata disse: Sta cosa ca io vi vio che accussì si pigne in fora non parmi marmo....
Andrea Camilleri

Dizionario
Ecco il significato di alcuni termini dello stralcio pubblicato del racconto di Camilleri
Assà assà = assai assai; Brancolone = a tastoni; Divisare = pensare, decidere; Doppiere = portacandele; Origliere = cuscino; Rattemperarsi = controllarsi; Raumiliare = attenuare, placare; Sista = agitazione, eccitazione; Sbintura = sventura; Temenza = timore; Trabacche = tende del letto


L'autore lancia la sfida ai lettori
«Passi autentici dal Decameron»

L'editore Guida di Napoli pubblica una collana di falsi. O meglio, di «autentici falsi d’autore». In essa sono apparsi dei deliziosi testi di Platone e Aristotele, non ne manca uno di Saffo, né di Tasso, né dei falsi Freud o Wittgenstein. Insomma, autorevoli personaggi del mondo accademico e culturale hanno prestato la loro penna a Mario, Giuseppe e Diego Guida (noti editori e librai napoletani) per falsificare pagine di celebri autori. Il gioco ha già creato una decina di titoli e una morale: attraverso presunte parole di classici fustigare con ironia il presente.
Andrea Camilleri ha accettato di falsificare Boccaccio, dichiarando di aver scoperto un inedito licenzioso che non riuscì a trovare ospitalità nel Decameron. Almeno, così sembra. Ma a una prima lettura la faccenda si fa seria: egli cita uno studioso siciliano, tale Giovanni Bovara, morto durante la prima guerra mondiale, che scoprì la novella finita poi in una cassa rimasta chiusa per decenni. Solo recentemente è stata offerta da una erede proprio a Camilleri.
Chi scrive ha rivolto alcune domande al padre delle più popolari storie poliziesche della letteratura italiana contemporanea. Egli ha risposto con ironia antica, della quale è indiscusso maestro: «Non ho saputo resistere e mi sono divertito tanto». Perché? Confida: «L’ideale di uno storico è contraffare documenti per la sua tesi, ma poi, si sa, non dovrebbe farlo...». E dopo una sapiente pausa: «Il mio gusto per gli apocrifi risale al ginnasio, quando dovetti falsificare la firma di mio padre...». Infine, quasi per giustificare la marachella: «Sì, falso, falso...ma quale occasione salutare per rileggersi Boccaccio...Non dimentichiamolo: il falso si vede sempre».
Camilleri sa confondere ad arte le situazioni. Si comincia a leggere questa falsa novella di Antonello da Palermo, invaghitosi della bella Iancofiore, facendosi coinvolgere dal ritmo e dalla lingua dello scrittore siciliano e alla fine si crede di aver scoperto veramente un frammento dimenticato del Decameron. Nello stralcio pubblicato in anteprima qui a lato (La novella esce in questi giorni da Guida, costa euro 7,20), si mostra il giovane che è riuscito, fingendosi malato, a entrare in casa del medico da cornificare e incontra la donna desiderata. Spirito e situazioni sono veramente boccaccesche.
Morale della vicenda: la famiglia Guida, ispirata soprattutto da Mario, ha inventato i falsi firmati; Camilleri ha partecipato con Boccaccio; il lettore perde l’orientamento e nella vicenda grassoccia non sa più chi sia l’autore. Anche perché in questo falso dichiarato non mancano dei passi autentici. Camilleri sostiene che Boccaccio «ripose in un cassetto» queste pagine e «di piccoli brani di esse si servì per utilizzarle in altre novelle». E se fosse vero?
Armando Torn
 
 

Varese News, 26.3.2007
Tv - Da due anni giacciono nei magazzini i film di Alberto Sironi tratti dai libri del giudice antimafia: «Per loro troppo raffinati». Intanto prepara quattro nuovi episodi di Montalbano
Mediaset non manda in onda Carofiglio. Il regista: "È inspiegabile"

«Non capisco, è inspiegabile perché quei film non vadano in onda». Non ci sta il regista Alberto Sironi ad aver realizzato, da oltre due anni, due film tratti dai primi romanzi del giudice antimafia Gianrico Carofiglio, "Testimone inconsapevole" e "Ad occhi chiusi". Originario di Gallarate, Sironi ha trovato il successo come regista di tutti gli episodi della serie tratta da "Il commissario Montalbano", e più volte ha sottolineato che le avventure dell’avvocato Guido Guerrieri, il protagonista dei romanzi di Carofiglio, sarebbero sicuramente potute essere un nuovo “caso Montalbano”, un successo certo per la tv. Il problema è che Mediaset ha commissionato alla casa di produzione Palomar la realizzazione dei due film, i quali sono stati girati ancora nel 2004 pagando tutte le spese di produzione. Pronti nel 2005, sono fermi nei cassetti di Mediaset e non si sa ancora quando andranno in onda. Silenzio dall’ufficio stampa di Mediaset, per loro è semplicemente normale che alcuni prodotti rimangano in attesa di messa in onda.
«L’unico motivo per cui non vanno in onda questi film è perché non sono un prodotto per Mediaset, sono film qualitativamente troppo raffinati per loro – spiega esasperato il regista -. Se andassero in onda sulla Rai sono sicuro che prenderebbe almeno sette milioni di spettatori. Con quello che va in onda adesso e gli schiaffi che sta prendendo Mediaset negli ascolti, è inspiegabile che questi film rimangano in magazzino. Sono degli ottimi prodotti e Carofiglio è persino riuscito a fare un terzo libro sull’avvocato Guerrieri che tra l’altro è da mesi tra i libri più letti in Italia. È pura follia non mandare in onda quei film».
Intanto Sironi non ha certamente smesso di lavorare. Attualmente è in via di definizione l’accordo per la realizzazione di altri quattro film della serie di Montalbano, tutti tratti dagli ultimi romanzi di Andrea Camilleri: "La luna di carta", "La vampa d’agosto", "Le ali della sfinge" e il prossimo romanzo che uscirà in estate. «Stiamo definendo gli accordi e Luca Zingaretti pare abbia accettato di tornare nel ruolo del commissario – spiega Sironi -. È vero che aveva detto che non ci sarebbe più tornato, ma aveva solo bisogno di una pausa di riflessione. Serve sempre fare degli stop, altrimenti il personaggio che interpreti diventa routine e non dai più il massimo».
In 8 anni, Sironi ha girato 14 film sul commissario Montalbano e tutti hanno ottenuto un gran successo di pubblico. «Per me come regista è più facile che per gli attori – conclude Sironi -, proseguo il mio percorso anche se con le ultime storie è molto più difficile che all’inizio: sono racconti più filosofici, con meno azione, più introspettivi, ma con situazioni più interessanti da esplorare. Decisamente la realizzazione sarà più cinematografica che televisiva, ma è la sfida che ci è sempre piaciuto affrontare con Montalbano». Le riprese si effettueranno nel 2008 e la messa in onda avverrà, sicuramente sulla Rai, a cavallo con il 2009.
Rimane il rammarico per due i film tratti da Carofiglio: «Potrebbe essere un’altra grande saga che rappresenta l’Italia. Che rimangano nei magazzini di Mediaset, è un’occasione sprecata».
Manuel Sgarella
 
 

Gasolina, 27.3.2007
Provocazioni
Montalbano: è ora di morire

Si dice che Andrea Camilleri abbia già scritto il capitolo in cui il commissario Salvo Montalbano passa a miglior vita. E che sia custodito in una cassaforte, in attesa del momento buono.
Forse quel momento è arrivato.
L'ho capito nell'ultimo romanzo, "Le ali della sfinge". Lo smalto delle prime storie, tra tutte la formidabile "Il cane di terracotta", non c'è più.
Ormai Montalbano è protagonista di libri usciti da una catena di montaggio della scrittura, dove ogni pezzo è assemblato benissimo ma dove l'anima artigianale del racconto è scomparsa.
Questi gli indizi: uso smodato del siciliano (nei primi libri era molto più emulsionato con l'italiano); personaggi ridotti a macchietta (Catarella sempre più comico, Augello sempre più scontato nella figura di padre inadeguato, questore sempre più stupido e iroso, suo assistente sempre più mieloso, medico legale sempre più incavolato); intreccio poco sviluppato.
A tener desta l'attenzione è solo la storia del commissario con Livia, giunta a un punto di crisi che chiede di esser risolto. Ma un giallo deve vivere per la sua storia principale, non sui suoi sviluppi secondari. Quindi, credo sia giunto il momento di dire addio a Montalbano. Anche per dargli il commiato che si merita.
(Qualcuno si arrabbierà. Fa niente. Tengo a dire che quanto ho scritto mira, molto umilmente, a far sì che non accada a Camilleri e al suo eroe ciò che sta accadendo a Roberto Benigni).
Igor Principe
 
 

Il Giornale, 28.3.2007
Genova
Tra burocrati e mafiosi si mette in mezzo il telefono

Prefetti e burocrati ottusi di gattopardesca memoria, incarnazione di un potere stupido e perciò pericoloso, pullulano nella Vigàta di fine '800, prolificano fino ai giorni nostri, intralciando le indagini di Montalbano. Andrea Camilleri, con la sua "Concessione del telefono", accolto alla Corte da calorosi applausi, punta il dito contro uno stato connivente o quantomeno indifferente. Quella che porta in scena Camilleri è l'ambigua e variegata umanità di Vigàta: un prefetto squilibrato, carabinieri che contraffanno da sedizioso incidente un omicidio per salvare la faccia dell'Arma; e mentre del mafioso Don Lollò la giustizia proprio non si occupa, gli unici funzionari sensati e onesti finiscono in Sardegna: dietro il comico il grottesco affiora prepotente e amaro.
Dalla società alle responsabilità del singolo: l'uomo, anzi il Siciliano, "schiacciato tra lo Stato e la mafia" deve scegliere. Non c'è posto per gli ignavi come Pippo Genuardi (Francesco Paolantoni), che, alternativamente, vende l'amico alla mafia e lo salva in extremis: "Non c'è scampo: il male si fa o si patisce", sentenzia Adelchi morente. È forse questo il cuore del dramma, l'uomo trincerato dentro un universo di carta inutile come le grida emanate contro i bravi di Don Rodrigo. Un mondo labile, in cui la comunicazione, infarcita di dossier, lettere, denunce, ne risulta ancora più ingarbugliata: un banale scambio di consonanti causa un quarantotto, la Gazzetta di Palermo, squadernata davanti ai visi dei personaggi, distorce la verità, fino a volarsene via come un aquilone ….come la Fama di Virgilio, con mille orecchi e mille bocche. Anche parlando non ci si comprende: le inintellegibili improvvisazioni di Pippo davanti a Don Lollò (Tuccio Musumeci), le storpiature di vocaboli, l'uso della smorfia napoletana del prefetto. Insomma, il linguaggio è un codice svuotato di senso, è sostituito dalla fisicità, dai coltelli "che escono a prendere aria", dagli omaggi di pesce fresco per accattivarsi il funzionario dell'ufficio poste e telegrafi.
Eppure all'origine di tutto c'è proprio un desiderio di comunicazione e la richiesta di installare una linea telefonica: pericolosa azione sovversiva secondo le autorità, nessuno si interroga realmente sul suo scopo, fino all'inaspettato finale di corna e delitto d'onore.
La pièce, diretta da Giuseppe Dipasquale, è divertente e feroce, animata da personaggi da Commedia dell'Arte, maschere espressionistiche dai tic più disparati, come l'elaborata riverenza con giravolta della gamba di legno di Mancuso (Pippo Pattavina). Non mancano caratterizzazioni di genere, come Don Pirrotta che salmodia mentre confessa la moglie di Pippo, Taninè, e l'ingessato carabiniere in groppa a un cavallo di legno. Le scene di Antonio Fiorentino ricostruiscono il mondo affogato nella carta del racconto, tramite cataste di faldoni che, spostate secondo necessità, diventano sedili e tavoli. I costumi di Angela Gallaro sono abiti tempestati di scritte, abbinati a marsine, giacche e soprabiti sgargianti e arlecchineschi. Tutti bravi nel cast, affiatato e veloce nei cambi di scena, con un Pippo Patavina rocambolesco trasformista.
Repliche fino al primo aprile.
Irene Liconte
 
 

l’Unità, 28.3.2007
Markaris: Io e Camilleri, fratelli in giallo

«C’è la Marsiglia di Jean-Claude Izzo, c’è il mio Montalbano e c’è la Grecia di Markaris. Questo è stato il grosso passo in avanti fatto fare al romanzo giallo»: parola di Andrea Camilleri. Con l’avallo di questo presentatore d’eccezione, giunge in Italia il quarto romanzo dello scrittore greco Petros Markaris, "La lunga estate calda del commissario Charitos" (traduzione di Andrea Di Gregorio, pp. 378, euro 17,50), pubblicato da Bompiani come i precedenti tre ("Ultime della notte", 2000; "Difesa a zona", 2001; "Si è suicidato il Che", 2004) e che verrà presentato oggi a Brescia alle ore 18,30 nell’ambito della rassegna "A qualcuno piace giallo" e domani alla stessa ora alla libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte 2 a Milano.
Nel nuovo libro, ambientato in una Atene ambigua e tentacolare, due vicende scorrono parallele, fino a incontrarsi inaspettatamente alla fine: una trama eversiva che vorrebbe riportare la Grecia al regime dei colonnelli e la scia di sangue sparsa da un serial-killer che ha preso di mira la comunità gay e il mondo della pubblicità. I terroristi si impadroniscono di una nave, sulla quale c’è - coincidenza - la figlia del commissario Charìtos, protagonista di questo romanzo (come anche degli altri tre).
Markaris, come definirebbe il suo commissario Charitos?
«È un borghese medio, un onesto servitore dello stato, con una moglie con la quale ha una relazione di amore profondo, che però passa anche attraverso i litigi e gli scontri. E poi ha una figlia, alla quale pure è molto legato. Questo perché è importante il profilo privato dell’uomo per capire anche il suo lavoro. Non ama entrare in conflitto con i suoi superiori, ma poiché crede profondamente nella giustizia, nel diritto e nella verità, spesso in nome di questi principi si trova a contrastare le indicazioni di chi sta sopra di lui. Infine è una persona imprevedibile, che ama andare contro corrente».
Dice a un certo punto: «Non sono un Rambo, sono solo un greco complessato»…
«Sì, è pieno di complessi e anche di pregiudizi. Ma nei momenti critici ha la capacità di superarli».
Come definirebbe i suoi libri, gialli o noir?
«Decisamente gialli. Come noir intendo un tipo di narrativa figliata dal cinema degli anni ’50 e ’60. Invece il giallo è più legato a una tradizione letteraria che è quella a cui mi ispiro».
Qual è la specificità greca del giallo?
«Il giallo greco è molto giovane e ha ottenuto l’attenzione meritata soltanto di recente. Per molto tempo è stato considerato un po’ narrativa di seconda classe. Ma oggi non è più così, abbiamo superato questo pregiudizio. Oggi in Grecia lavorano molti giallisti, ma stanno ancora cercando una loro via al genere. In questo senso, mi ritengo un’eccezione, perché, pur avendo alcuni punti di riferimento all’estero, sono stato influenzato molto da uno scrittore greco attivo negli anni ’50 e ’60, Yiannis Maris. Se fosse vissuto in Inghilterra o in America, sarebbe diventato un classico, ma in Grecia in quegli anni non gli è stata data l’importanza dovuta. Anch’io, come lui, scrivo romanzi politici e sociali con una trama gialla, e non gialli con qualche elemento politico e sociale, come fanno spesso i giallisti».
Dunque anche lei ritiene, come pensano diversi autori e critici, che il giallo sia oggi il nuovo romanzo sociale?
«Nell’Ottocento il romanzo (da Balzac a Dickens o a Zola) era in grado di rappresentare la società. Nel Novecento il romanzo è diventato sempre più psicologico e individuale, incentrando la sua attenzione più sul singolo che sulla società. Ecco allora che il giallo ha colmato questa lacuna. Quando parla del crimine organizzato, parla di un problema sociale. E lo racconta spesso denunciando ciò che accade nella realtà».
È realistica, nel suo libro, l’idea di una trama eversiva nella Grecia di oggi?
«Questo oggi per fortuna non molto. In Grecia il regime dei colonnelli, attivo dal ’67 al ’74, è stato così negativo per il Paese che non credo che in molti oggi appoggerebbero un ritorno a qualcosa di simile. È invece purtroppo molto reale il tema dell’omofobia e della violenza sugli omosessuali. La comunità gay in Grecia non ha diritti, e l’assenza di diritti espone alla violenza. Credo che, insieme con l’Italia, siamo l’ultimo Paese dell’Unione Europea a non avere una legge sulle unioni gay. Ma anche da noi, come accade da voi con la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa svolge un’opposizione feroce contro qualsiasi ipotesi di una legge in tal senso».
Che cosa ha inteso raffigurare di Atene?
«Atene è la città in cui vivo da quarant’anni. Sono nato a Istanbul nel 1937 da padre armeno e madre greca e, dopo aver frequentato l’Università a Vienna, mi sono trasferito nella capitale greca. Atene ha due facce: una diurna, che è infernale, per tutti i problemi che rendono molto difficile viverci, e una notturna, che è paradisiaca. Guardi che non mi riferisco alla “vita notturna”, ma all’atmosfera bellissima e carica di suggestione che la città assume al calar del sole. Gli Ateniesi vivono l’inferno di giorno per concedersi qualche ora di paradiso di notte».
Andrea Camilleri ha dichiarato di amare i suoi libri. Lei ritiene che abbiate qualcosa in comune come scrittori?
«Potrebbe sembrare una cosa un po’ organizzata, perché lui sponsorizza i miei libri in Italia e io promuovo i suoi in Grecia. Ciò accade perché, pur non essendoci mai incontrati di persona, ci siamo letti a vicenda e abbiamo scoperto di avere molto in comune. Siamo due scrittori mediterranei: quando leggo della Sicilia di Montalbano, mi sembra che sia la Grecia del mio Charìtos».
Roberto Carnero
 
 

Corriere della sera, 28.3.2007
Incontro / Lo scrittore presenta il suo ultimo romanzo giallo
Il ruspante commissario del Camilleri di Atene
Markaris: «Il mio detective è fatto di carne ed emozioni
Ha una moglie naïve e una figlia che correrà seri rischi...»

Del commissario ha il titolo, la scrivania e l'acume. Per il resto, Kostas Charitos deve accontentarsi: non è nato nella Marsiglia sordida di Jean Claude Izzo e nemmeno nell'imprevedibile Barcellona di Montalban. Il protagonista dei polizieschi di Petros Markaris deve fare i conti con gli assassini, sì, ma anche con l'immondizia e il traffico di un'Atene annoiata e abbandonata a se stessa, con i ritardi e i disservizi di una Grecia mal cucita. Senza contare la signora Adriana, una moglie tutta gaffes e buonsenso popolare. Oggi Markaris è a Milano, a presentare l'ultima avventura del suo (anti) eroe, «La lunga estate calda del commissario Charitos» (Bompiani). E, se gli si chiede com'è nato questo personaggio, lui alza le spalle e risponde solo che lo ha «conosciuto così».
Sì, perché se da uno scrittore greco nato e cresciuto a Istanbul ci si aspetterebbe un carattere scontroso, Markaris fa eccezione: in lui disarmonie e ruvidezze si smussano in un’agrodolce ironia mediterranea. «Io vivo insieme a Charitos — spiega ridendo — ogni giorno mi alzo con lui, mangio con lui, mi faccio raccontare che cosa pensa. Lo ascolto, prima di tutto. Così nasce il personaggio». Nell'ultimo romanzo, il poliziotto si trova davanti a un caso particolare: alcuni terroristi sequestrano una nave sulla quale si trova anche sua figlia. Il commissario rischia di sparire sotto l'emotività del padre e dell'uomo. «Ma lui è così — dice Markaris — fatto di carne, di emozioni vere. Ha una famiglia normale, una moglie un po' naïve e una figlia diligente».Un'astuzia ruspante che ricorda il nostro Montalbano. Io e Camilleri siamo vicini — spiega — e ci ammiriamo, seppur da lontano. So che anche lui mi apprezza».
Ma qui non c'è la sensualità strapaesana di Vigata: dietro le strade intasate e piene di bidoni, dietro i bar accaldati di periferia, dietro le facce rassegnate della gente, c'è una forte denuncia sociale. I terroristi presenti nell'ultimo romanzo sono ultranazionalisti greci che combattono il progresso culturale e sociale. «I nazionalisti non sanno perdere—dice lo scrittore—e il nostro Paese ha abbastanza ferite». Duro anche l'attacco allo strapotere dei media. «La politica si fa prima in tivù e poi in parlamento — chiarisce Markaris —e credo che la piazza sia sbagliata. Il mio commissario è un uomo semplice ma intelligente, tenace ma onesto. Forse è da persone così che si può cominciare a cambiare il tutto». E pensare che lo scrittore odiava i poliziotti. «Sono di sinistra — conclude — ma il buon Charitos mi ha aiutato a vincere anche questi pregiudizi».
Roberta Scorranese
 
 

Il Baco del Millennio, 29.3.2007
Camilleri al Baco - Conduce Piero Dorfles
Cliccare qui per ascoltare la puntata

Il Baco dedica una puntata ad Andrea Camilleri, maestro della letteratura italiana, in occasione dell'uscita del suo nuovo libro "Le Pecore e il Pastore", giallo storico che, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, racconta il sacrificio di dieci suore per salvare il vescovo di Agrigento.
Ospiti della puntata:
Andrea Camilleri
Gaetano Savatteri - giornalista e scrittore
Alessandro Zaccuri - giornalista culturale dell'Avvenire
 
 

La Repubblica, 29.3.2007
La rivista Micromega lancia due appelli contro "la crociata" della Chiesa
Tra i sottoscrittori laici Umberto Eco, Vasco Rossi e Simone Cristicchi
Dico, laici e cattolici uniti contro il diktat
"Diamo l'otto per mille ai valdesi"

Dieci sacerdoti, da Don Mazzi a Vitaliano Della Sala, prendono posizione

Roma - Un doppio appello per i Dico e contro le ingerenze ecclesiastiche. Proprio mentre la Chiesa continua a far sentire forze la sua voce contro il provvedimento che regolarizza le coppie di fatto, la rivista Micromega lancia due raccolte di firme "contro la crociate clericali della Conferenza episcopale italiana" e contro "l'acquiescenza di gran parte del Parlamento" (il testo può essere firmato sul sito di Micromega). Un doppio appello "ai cittadini democratici", perché al momento della denuncia dei redditi diano l'otto per mille non alla Chiesa cattolica ma a quella valdese.
Due appelli distinti, uno firmato da diverse personalità laiche (da Umberto Eco a Vasco Rossi), l'altro da personalità cattoliche, tra cui una decina di sacerdoti come don Enzo Mazzi, Viatliano Della Sala, dom Giovanni Franzoni.
Molte le firme in calce al testo dei laico. C'è il direttore di Micromega Paolo Flores d'Arcais. Ci sono scrittori come Umberto Eco, Giorgio Bocca, Andrea Camilleri e Lidia Ravera. Il premio Nobel Dario Fo, le attrici Franca Rame, Lella Costa. Ed ancora registi come Ferzan Ozpetek, Mario Monicelli, Bernardo Bertolucci. Ed anche il vincitore del Festival di Sanremo Simone Cristicchi e la rockstar Vasco Rossi. Tutti uniti nel chiedere una risposta concreta "all'offensiva clericale che mira a limitare le irrinunciabili libertà e diritti civili degli individui".
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Il Giornale, 29.3.2007
La rivista Micromega lancia due appelli contro "la crociata" della Chiesa
Tra i sottoscrittori laici Umberto Eco, Vasco Rossi e Simone Cristicchi
Spaghetti e mafia: per i francesi è la solita Italia

Parigi - È Vincenzo Cerami, con "Un borghese piccolo piccolo", il supervincitore della seconda edizione del Prix Grinzane Cavour.
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Gli studenti dell’ultimo biennio di otto istituti superiori di Parigi in cui si insegna la lingua italiana, in qualità di giurati hanno scelto Cerami in una rosa di romanzi finalisti che comprendeva "Una lunga estate" di Alain Elkann, "Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria", di Rosetta Loy, e "Alborada", di Gianni Riotta.
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Quale letteratura «passa» in Francia, in un mercato che anche in questo settore si sta globalizzando (pur se classici come Leopardi e Manzoni qui sono stati pubblicati solo da pochi anni)? «Hanno successo i giallisti come Camilleri e Faletti - spiega Ivano Marchi, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Lione - perché vince sempre l’immagine dell’italiano spaghetti, mafia e corruzione». Non c’è allora più buona letteratura da esportazione (ricordiamo che il Grinzane France è riservato a opere di narrativa italiana tradotte Oltralpe negli ultimi due anni)? Per il critico letterario e teatrale Guido Davico Bonino sembrerebbe non esserci più la letteratura tout court. E la colpa è degli editori.
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Un orizzonte reso meno pessimista quello di Alain Elkann: «È terribile vedere negli elenchi dei best seller Moccia, Camilleri, Faletti. Ma credo che oggi in Italia ci sia ancora una critica giovane, viva, militante, che non si è chiusa in casa».
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Ferdinando Maffioli
 
 

La Stampa, 29.3.2007
Nuovo giallo
Márkaris, il poliziesco mediterraneo
Torna il commissario Charítos fratello greco di Montalbano: l'autore racconta

Milano - «Think positive!», gli dice Parker, il suo collega americano. Per uno dell’Fbi il sole splende e gli uccellini cinguettano. Lui invece è «della scuola del grande Tsitsanis», il popolare cantautore greco del rebétiko, quello che cantava «domenica nuvolosa, sei come il mio cuore, dove è sempre nuvolo». Che è già un bel modo di marcare le differenze.
Da qualche tempo un nuovo protagonista si aggira nel panorama del poliziesco mediterraneo: il commissario Kostas Charítos, capo della Squadra Omicidi di Atene, uscito dalla penna di Petros Márkaris. Il quarto giallo viene pubblicato in questi giorni da Bompiani ("La lunga estate calda del commissario Charítos", pp. 375, e17,50) e per promuoverlo l’autore è venuto in Italia, a Milano. La storia incrocia l’azione di un delirante gruppo di terroristi greci nostalgici dei colonnelli, che si impossessano di una nave su cui viaggia la figlia di Charítos, e una serie di delitti nel mondo dei gay e della pubblicità, opera di un vecchio militare torturatore. Il protagonista, se da un lato ricorda da vicino Maigret per la dimensione antieroica e domestica, dall’altro ha diversi tratti in comune con il Montalbano di Camilleri (a cominciare dall’età, sui 55 anni) e con tanti «fratelli» sud-europei.
C’è una ricetta del giallo mediterraneo? Márkaris si fa una risata: «Ricette di gastronomia: sì, a bizzeffe. Come nell’Iliade, che uno studioso inglese ha definito un grande poema culinario. Nei nostri libri si mangia volentieri». Ma a parte la tavola? «Abbiamo un passato molto simile: noi siamo usciti nel ‘74 dalla Giunta militare, la Spagna di Montalbán ha alle spalle 36 anni di franchismo, mentre Camilleri vive in un paese che ha conosciuto l’esperienza del fascismo. Fa eccezione la Francia di Izzo, ma la sua Marsiglia è caratterizzata da una struttura organizzata della mafia più forte di ogni struttura politica».
I trascorsi di Márkaris come autore teatrale vengono a galla quando gli si domanda come è nato Charítos. È una storia un po’ pirandelliana, alla Sei personaggi. «Mi si è materializzato davanti all’improvviso con la sua famiglia. Ero al terzo anno di lavoro per una serie tv, 65 sceneggiature: ero stanchissimo. Gli ho detto di no. Oltretutto era un piccolo borghese, uno di quei personaggi di cui c’è un’inflazione. Però lui continuava a presentarsi davanti alla mia scrivania. Non mi consentiva più di concentrarmi sul lavoro, era diventata una tortura. Allora ho pensato che poteva essere solo un dentista o un poliziotto. Ho scelto il poliziotto. E in quello stesso momento ho saputo il suo nome e cognome, quello di sua moglie e di sua figlia, e il tipo di rapporti che ci sono tra di loro».
Era il 1992. Tre anni dopo uscì in Grecia il primo giallo della serie, "Ultime della notte". Ma perché un autore teatrale e sceneggiatore di successo (collabora con il regista Theo Anghelópoulos, insieme hanno vinto la Palma d’Oro a Cannes nel ‘98 per "L’eternità e un giorno") a un certo punto della sua vita, sulle soglie dei sessant’anni (è nato nel ‘37), si dà al poliziesco? È convinto anche lui che il giallo sia il vero romanzo sociale d’oggi? «Senza dubbio. Il mio vero interesse non è tanto il delitto e la soluzione di un caso, quanto la realtà sociale e politica della Grecia d’oggi».
La sua Atene non è quella dei turisti, non è l’Acropoli e il Partenone: è la città amata-odiata del traffico impazzito, dei lavori senza fine, degli appalti poco chiari con cui i governi foraggiano i propri foraggiatori. Situazioni ben note anche a noi (mia faza mia raza, si dice: una faccia una razza). Già oppositore della Giunta militare, «uomo della sinistra europea», come si definisce, Márkaris ha ormai maturato un’identica delusione per i governi di destra come per quelli di sinistra.
Ma proprio il passato dei colonnelli, meno glorioso di quello classico, ritorna subdolo e insidioso nelle inchieste del commissario Charítos. Sono antiche reti di complicità stabilite tra ex oppositori che si sono riciclati nelle stanze del potere economico, come in "Si è suicidato il Che", o nodi di risentimenti mai superati, come nell’ultimo romanzo. «Noi greci siamo poco inclini a elaborare il passato», dice Márkaris, «tendiamo piuttosto a scordarcelo. E così, sottotraccia, le ferite restano aperte». Anche qui, mia faza...
Maurizio Assalto
 
 

Liceo Morgagni, 30.3.2007
Andrea Camilleri al Morgagni

Presentazione in Aula Magna del libro "Colori, miracoli ed ombre di un eroe ciabattino" di Walter Da Pozzo: cento anni di storia del nostro paese. Ne discute l'Autore, con Andrea Camilleri.
Ore 18:30, ingresso libero.
 
 

Corriere della sera (ed di Roma), 30.3.2007
Camilleri pensa di trasferire nella Capitale il più celebre poliziotto italiano
«Montalbano sono. E cerco casa a Roma»
Camilleri a un giornale di Prati
Il trasloco di Montalbano «Potrebbe venire a Roma»
Il racconto «La finestra sul cortile» esce a puntate su un giornale di quartiere, «Il nasone di Prati»

Si intitola «La finestra sul cortile», come il celebre film di Hitchcock, il nuovo racconto di Andrea Camilleri che ha per protagonista il famoso commissario Montalbano. Ma per ora non si trova in libreria. Uscirà a puntate su un mensile di quartiere romano, «Il Nasone di Prati», il cui primo numero è in circolazione da oggi. Con la prima puntata delle avventure di Montalbano. Le altre usciranno nei prossimi mesi. Nel brano pubblicato oggi, Montalbano è ancora in Sicilia, un po' raffreddato perché ha passato «mezza nuttata assittato supra la verandina della sò casa di Marinella a sbacantarisi tri quarti di una buttiglia di whisky nella spiranza che gli calava il sonno». La mattina dopo viene convocato dal Questore Bonetti-Alderighi, con il quale «non si potiva proprio diri che annassero d'amori e d'accordo». I lettori della serie poliziesca creata da Camilleri e portata con successo in televisione da Luca Zingaretti sanno benissimo che «ogni volta che viniva chiamato alla questura di Montelusa, per un verso o per l'altro il commissario sinni tornava a Vigata col sangue amaro». Bonetti-Alberighi anche questa volta lo tiene un po' sulle spine facendolo aspettare «senza isare l'occhi dalle carte che stava liggenno». Poi «finalmente isò l'occhi e lo taliò come se non l'aviva mai viduto prima. "Ah, è lei, Montalbano?" "Agli ordini, signor Questore". "Volevo dirle che mi hanno telefonato da Roma. Dal Ministero. Lei è stato prescelto». La prima puntata finisce qui. Per sapere se Montalbano obbedirà al Questore di Montelusa, bisogna aspettare domenica prossima. Andrea Camilleri ha promesso che lo rivelerà al pubblico, alle 11, nel teatro San Genesio (in via Podgora 1) dove viene presentato «Il Nasone di Prati», redatto da un gruppo di venticinquenni residenti in zona e appassionati di giornalismo. E forse sapremo anche se le avventure del commissario saranno ambientate proprio nel quartiere che si estende alle spalle del Vaticano e dove Camilleri abita da una vita. Lo stesso titolo del racconto potrebbe riservare delle sorprese divertenti. A guardar bene lo scrittore ha disseminato qualche traccia già nel numero zero del mensile, distribuito nelle scorse settimane. Nell'ultima pagina, in una intervista fattagli da Alessandra Mortelliti, che si scopre essere la nipotina dello scrittore, Camilleri racconta che nel cortile di casa sua affacciano anche le finestre di RadioDue, dove lui ha lavorato per anni come regista radiofonico. E che dalla finestra dello studio diceva alla moglie, affacciata alla finestra della cucina: «Cala la pasta, che tra cinque minuti arrivo». Ora in quello stesso studio ci lavora Fiorello, che ogni tanto chiama Camilleri con voce da cospiratore da dietro la persiana semichiusa: «Professore, professore...». «Alzo gli occhi- racconta lo scrittore - e facciamo dei dialoghi, apparentemente io con una finestra chiusa, in realtà dietro c'è Fiorello. Facciamo di quei dialoghi alla siciliana che ci sono in genere tra un balcone basso e una persona che passa per strada».
Lauretta Colonnelli
 
 

Abitare a Roma, 30.3.2007
Camilleri a un giornale di Prati
Il Nasone di Prati
Domenica 1 aprile, al Teatro San Genesio, presentazione del nuovo mensile di Prati, Delle Vittorie, Borgo, Trionfale
Riceviamo e pubblichiamo

Domenica 1 aprile, alle ore 11.00, presso il teatro San Genesio di via Podgora 1, verrà presentato «Il Nasone di Prati», nuova free-press mensile nel Municipio XVII (Prati, Delle Vittorie, Borgo, Trionfale), edito dall’Associazione Culturale di Promozione Sociale NAPIES.
«Il Nasone di Prati» è concepito come veicolo di informazione e approfondimento sulla vita del quartiere, vista e interpretata da redattori “rigorosamente” residenti.
[…]
A seguire il Taccuino, rubrica di letteratura, cinema, storia e curiosità. In questa pagina, il numero 1 de «Il Nasone di Prati» ospiterà la prima parte de “La finestra sul cortile” di Andrea Camilleri: un racconto inedito, pubblicato a puntate, che ha come protagonista il commissario Montalbano.
[…]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 30.3.2007
Camilleri e la curia agrigentina polemica con poca verità storica

L´ultimo libro di Camilleri appena uscito ha suscitato la reazione della curia di Agrigento. La quale a proposito delle suore del convento di Palma - che offrirono la loro vita per ottenere la guarigione del vescovo Peruzzo, vittima di un attentato - ha dichiarato che «per capire espressioni come "offrire la vita" bisogna entrare in una logica cristiana, altrimenti si sbaglia totalmente bersaglio». Il libro parte da vicende storiche e come altri di Camilleri si legge d´un fiato senza stare molto a pensare alle sue qualità storiografiche e letterarie. Alle prime pagine troviamo l´ennesima riproposizione della leggenda di santa Rosalia rifugiatasi nella grotta della Quisquina e dell´altra leggenda della peste del 1624 finita per intercessione della santa.
Dovrebbe essere ormai assodato, ma evidentemente non lo è, che il soggiorno nella grotta della Quisquina non è documentato, che la scritta trovata su una parete della grotta è apocrifa, che un signor Sinibaldo non è mai esistito o comunque non c´è traccia della sua esistenza. Su questo monsignor Paolo Collura aveva scritto pagine (nel suo "Santa Rosalia nella storia e nell´arte") che possono considerasi definitive e chi scrive nel suo "I giorni della peste" si era limitato a riprenderle. E la peste finì per cause naturali circa due anni dopo l´invenzione delle presunte reliquie della santa eremita, che portate in processione riportarono la pestilenza che aveva cominciato ad attenuarsi.
Ma andiamo all´attentato al vescovo di Agrigento del 9 luglio 1945. L´attentato è dovuto alle prese di posizione del vescovo a favore dei contadini? Peruzzo era, come tutti i suoi colleghi, decisamente anticomunista, ordinava ai fedeli di rompere qualsiasi contatto pure con la Cgil, che allora era il sindacato unitario, ma in continuità con la dottrina sociale della Chiesa era vicino alle rivendicazioni dei contadini. Però è eccessivo dire che lottava al loro fianco. Nel concilio plenario siciliano del 1951 volle proporre l´inserimento di un capitolo sulla questione sociale, riuscendo solo in parte a vincere le resistenze del cardinale Ruffini. Ma anche nei documenti di Peruzzo non si parla mai di mafia. Che c´era, ed era visibilissima (a quei tempi era in piena attività Calogero Vizzini, con cinque ecclesiastici in famiglia). Si potrà indagare più a fondo di quanto sia stato fatto finora, ma la verità sull´attentato nell´eremo della Quisquina con ogni probabilità non dovrebbe allontanarsi da quel tanto che si riuscì ad accertare nella vicenda giudiziaria, che si concluse con la condanna di un frate e con la fuga dell´ex frate Antonio (o Pietro) Martellaro, un autentico delinquente che prima era stato accusato di avere ucciso il guardiano. Comunque non è da escludere che in combutta con quei personaggi ci fossero altri, interessati a chiudere la bocca al vescovo.
L´episodio che ha scatenato la reazione della curia agrigentina è quello delle suore che avrebbero offerto la loro vita a Dio in nome di un «patto» (dieci giovani vite per quella del vescovo), rivelato solo undici anni dopo da una lettera della madre badessa al vescovo Peruzzo. La curia ha voluto precisare: «non c´è stato nessun suicidio: la morte delle suore è avvenuta per cause naturali, come la malattia, la tisi e altro». Ma allora perché la badessa scriveva: «questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore»? E prosegue: «Il Signore accettò l´offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore». E il comunicato della curia riprende quell´espressione «offrire la vita». Che vuol dire? Se le suore non si sono suicidate per inedia, come scrive Camilleri, cos´hanno «offerto»? Le loro sofferenze, le loro malattie? Non si sono curate? O si sono limitate a un´offerta simbolica e verbale? Ma la badessa nella sua lettera riporta un fatto come realmente accaduto («lasciarono la vita»), non una pia intenzione. E per di più avrebbero lasciato la vita «le più giovani», una sorta di decimazione nazista.
Se un dibattito va aperto, dovrebbe essere su cosa sono stati, e probabilmente sono ancora, i conventi di clausura e più in generale su alcuni aspetti fondamentali della tradizione religiosa giudaico-cristiana, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, a cominciare dalla sua idea di Dio. Un Dio del popolo eletto che comanda di uccidere tutti i nemici, anche i bambini, e che nel Nuovo chiede il sacrificio del Figlio per redimere l´umanità dal peccato originale, nella mente delle suore di Palma potrebbe avere accettato anche il fantomatico «patto». C´è solo da augurarsi che un fatto così barbaro, e così morboso, non sia mai accaduto.
Umberto Santino
 
 

Panorama, 5.4.2007 (in edicola 30.3.2007)
Attualità
Camilleri: un segreto che forse è un equivoco
Misteri del passato. Il nuovo libro del papà di Montalbano racconta di dieci suore che offrono la vita per la salvezza del vescovo. Ma i subbi sono molti.
Laura Anello
 
 

Panorama, 5.4.2007 (in edicola 30.3.2007)
Il piacere di vivere
Scrittori. Quelli che stanno esagerando
Polemiche. Troppi romanzi, troppa letteratura in fotocopia. E allora ai Camilleri, ai Moccia e agli altri big del best-seller il più irriverente dei critici dà un consiglio: la lettura di un libello del Settecento

[...]
Tornando in Italia, mi sgomenta ancora il moltiplicarsi delle indagini su fattacci vicini e lontani, con misura ben calibrata e tutto sommato politically correct, a cui insistentemente lavora, in stampa e in video, il vitalissimo Carlo Lucarelli. E ancora la Sicilia arroventata e casereccia, elementare e sovraccarica, parodica ed evanescente, di quello che comunque è il più bravo e simpatico di tutti e a cui si perdona la torrenziale e disinvolta facondia, la disponibilità a sfornare illimitatamente libri, l'ottimo Andrea Camilleri...
[...]
Giulio Ferroni
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 30.3.2007
Teatro
Tragedia per quartetto l´emozione palpabile

Breve e molto intenso. "Vita mia" che Emma Dante ha portato alla sala Mercato del Modena, giusto un anno dopo le polemiche per "La scimia" da Tommaso Landolfi con anatema dell´ex arcivescovo oggi Segretario di Stato vaticano, è testo scandalosamente teatrale, tragico nello svolgersi di due elementi primordiali, amore e morte.
[...]
Comprendere il siciliano stretto dei quattro attori (Ersilia Lombardo, Enzo Di Michele, Giacomo Guarnieri, Alessio Piazza) è arduo. Altro che Camilleri. Applausi convinti e meritati.
Stefano Bigazzi
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 30.3.2007
Dambra: "Riscoprire Buzzati"
Consigli d´autore

«Consiglio la raccolta "Teatro" di Dino Buzzati: verrebbe davvero la pena, per una volta, saltare l´ultimo Camilleri e dedicarsi a Buzzati! » dice Lucio Dambra, attore e regista.
[...]
(m. co.)
 
 

La Sicilia, 31.3.2007
In breve

Palma Di Montechiaro. In una trasmissione radiofonica duiffusa da un'emittente nazionale lo scrittore empedoclino Andrea Camilleri giovedì mattina, mentre in diretta, ha dichiarato che, in considerazione dei contrasti che sono esplosi tra alcuni settori della politica e la Chiesa, se potesse tornare indietro, non si accingerebbe più a scrivere il suo ultimo libro dal titolo «Le pecore e il pastore».
Nel testo in questo momento in vendita in tutte le librerie italiane ha narrato la storia del'attentato all'allora vescovo di Agrigento, mons. Giovan Battista Peruzzo, perpretrato nel 1945 nell'eremo di Santo Stefano Quisquina mentre il presule stava trascorrendo le ferie estive.
Nel libro il popolare scrittore ha svelato il "caso" delle 10 suore benedettine di clausura del monastero del Santissimo Rosario di Palma di Montechiaro le quali si sarebbero lasciate morire per offrire la loro vita a Dio per la salvezza del loro amato Pastore.
Andrea Camilleri ha ancora aggiunto che la fine di mons. Peruzzo sarebbe stata decretata dalla mafia e dagli agrari per fermare la sua azione volta al riscatto dei contadini con l'esprorio delle terre ai possidenti. In pratica la stessa lotta che ha portato alla strage di Portella delle Ginestre.
Il famoso scrittore però non ha fatto alcun cenno al "dono" che le dieci suore dimoranti nel convento palmese avevano fatto al Signore per salvare la vita del loro vescovo.
Sarebbe stato interessante che Camilleri svelasse il senso di quel grande sacrificio anche per tacitare le proteste e le prese di posizione esplose nel mondo cattolico e soprattutto nel monastero di clausura del Ss Rosario dopo la pubblicazione del suo libro che sta riscuotendo notevole successo di vendita e per il cui contenuto lo scrittore è stato già smentito dall'attuale arcivescovo Carmelo Ferraro.
A Palma di Montechiaro le spiegazioni di mons. Ferraro sull'episodio della 10 monache che sarebbero morte di inedia e di fame, è stata pienamente condivisa da don Nicolò Lupo, rettore del convento e dalla attuale abadessa suor Maria Rosalia Mangiavillano.
Don Nicolò Lupo ha affermato che Camilleri ha scritto una notizia non rispondente alla realtà quando ha affermato che le suore hanno immolato la loro esistenza per salvare la vita di Peruzzo in quanto le dieci «pecorelle» sono morte per cause naturali, comprovanti da inconfutabili referti medici dell'epoca.
Secondo il rettore, inoltre, le parole scritte in una lettera dalla defunta abadessa suor Maria Enrichetta Fanara la quale 11 anni dopo l'attentato confessò al vescovo Peruzzo che le sue 10 suore avevano lasciato la vita per la sua salvezza fisica, bisogna giudicarle con una logica cristiana e che poi i decessi delle monache non hanno cronologicamente attinenza con il "caso" fatto espodere dallo scrittore di Vigata nel suo libro «Le pecore e il pastore».
Don Nicolò Lupo è fermamente convinto, lui che conosce i misteri e i segreti delle stanze del celebre convento, che le suore benedettine sono morte, a partire dal 1947 sino al 1955, quindi in un arco di quasi otto anni, perchè affette da gravi malattie, avvalorando così la tesi di Carlo Sortino, presidente del locale circolo di cultura Giovan Battista Odierna, il quale nel corso della conferenza svoltasi nel sodalizio per la presentazione della biografia di Peruzzo, scritta da Enzo Di Natali, aveva smentito il fatto che le 10 monache, per la crisi economica di quel tempo, sarebbero morte di stenti. Sortino in quell'occasione asserì infatti, che quasi tutte le benettine erano parenti di famiglie benestanti le quali costantemente rifornivano il monastero di vettovaglie anche nel duro periodo dell'immediato dopoguerra.
Il libro di Andrea Camilleri, dunque, senza nulla togliere alla riconosciuta brillantezza e fantasia dello scrittore e al suo diritto di libertà descrittiva, oltre all'episodio controverso delle 10 suore «suicidatesi» per salvare la vita del loro Vescovo Peruzzo suscita, per chi conosce la storia di questo paese e il ruolo svolto dal monastero nel contesto sociale, non poche perplessità.
E in special modo nella descrizione della figura della defunta abadessa suor Maria Enrichetta Fanara e sugli ambienti dove le suore consumano la loro esistenza nella contemplazione e nella preghiera.
Camilleri, infatti, ha descritto la Fanara come una suora di ingegno e che addirittura apparteneva a una famiglia accreditata con qualche grado di nobiltà, tanto che se non avesse scelto di farsi monaca le sarebbe spettato il titolo di Donna.
Se lo scrittore si fosse documentato, così come ha fatto nel descrivere con esattezza la storia del convento e della Venerabile suor Maria Crocifissa, avrebbe sicuramente potuto apprendere che la ex abadessa era nata a Camastra, e che era figlia di un ferroviere.
Certamente era priva di alterigia e mostrava una certa disinvoltura di fronte alle cose mondane. Ma non era di certo cuturalmente una cima. Semmai era una figura carismatica, ricordata per le sue amicizie altolocate nelle Istituzioni e per essere stata dispensatrice di voti a diversi esponenti locali e provinciali dell'ex Democrazia Cristiana.
Un'altra inasattezza, commessa da Camilleri, riguarda il fatto che ha perentoriamente scritto che dopo l'attentato a Peruzzo le monache benedettine di clausura si siano radunate per pregare nella Matrice. Mai e poi mai si sarebbe potuto verificare lo spostamento delle suore dal loro convento poichè in quel periodo vigeva una ferrea clausura e poi per pregare esse avevano e hanno a disposizione una chiesa in cui ogni giorno dedicano le loro ore a Dio e che è considerata un luogo di santità poichè vi si conservano le spoglie mortali di quasi tutti i componenti della santa famiglia dei Tomasi di Lampedusa, tra i quali la Mistica Venerabile, descritta nel Gattopardo con il nome fantasioso di Beata Corbera.
Certo non intendiamo sminuire l'autorevolezza dello scrittore empedoclino padre del commissario Montalbano e apprezzato a livello internazionale (i suoi libri sono tradotti in diverse decine di linque in tutto il Mondo). Non ne abbiamo i titoli e le capacità e certamente nemmeno la volontà.
E non lo avremmo fatto se il romanzo storico non avesse fatto dei riferimenti così precisi da far sembrare quanto descritto come corrispondente alla realtà.
Ma ci è sembrato doveroso ristabilire la verità su dei luoghi e su una storia che non è simile ai gialli di cui è protagonista il commissario Montalbano in cui la fantasia costituisce l'ingrediente principale ma per i cui personaggi Andrea Camilleri avrebbe dovuto porre maggiore attenzione per il loro inconfutibile e secolare stile di vita.
Filippo Bellia
 
 

Kult Virtual Press, 31.3.2007
Le pecore e il pastore

9 luglio 1945. Il Vescovo della Diocesi di Agrigento, Giovanni Battista Peruzzo è in vacanza, nei boschi della Quisqina e si gode “l’aria leggera e pungente che scìaura macari di pino allarga il petto e pulizia i pinseri”. Due proiettili, sparati da un moschetto modello ’91, nel silenzio della sera, colpiscono l’alto prelato: uno gli perfora il polmone, un secondo gli fracassa l’avambraccio sinistro. Accompagnato da don Graceffa, l’alto prelato viene ricondotto in convento, operato dall’illustre medico Emanuele Borsellino. Chi e perché ha sparato al Vescovo considerato amico dei contadini, favorevole alle leggi Sullo sulla mezzadria? E’ un attentato riconducibile all’operato pastorale del prelato piemontese, o un fatto riconducile ad una pista interna, in considerazione che il Vescovo aveva estromesso dal convento il pregiudicato Antonio Mortellaro, ex frate, per indegnità, convento dove trovavano alloggio mafiosi e dove si svolgevano traffici di ogni tipo? L’autore propende per la pista “ politica” e cita le frettolose indagini, il nome del colpevole dell’attentato svelato dall’ispettore di polizia Ettore Messana, le visite al Vescovo di alti politici, tratteggia il “contesto” tanto caro a Sciascia. Il dilemma però, per Camilleri, non è l’autore dell’attentato. Lo scrittore riceve in dono un libro sull’episodio e si sofferma a leggere una nota dove l’Abadessa Enrichetta Fanara, del Monastero di Palma di Montechiaro, scrive il 16 agosto del 1956, al Vescovo che “questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il signore accettò l’offerta e il cambio.” Qui comincia la vera indagine psicologica, storica, ortografica del grande scrittore siciliano. Inquietanti interrogativi che si pone e che pone al lettore: perché la badessa scrive al Vescovo Peruzzo 11 anni dopo il tentato omicidio? perché questo baratto? perché furono scelte le più giovani? dove e quando? erano dieci o nove le monache che decisero di lasciarsi morire?. Lo scrittore sviluppa delle suggestive ipotesi sul fatto, realmente accaduto, elabora teorie, congetture e questa è certamente la parte del libro più intensa, intrigante e che affascina il lettore che viene emotivamente coinvolto in questo caso. Camilleri scrittore fedele alle proprie idee, critica le aristocratiche famiglie siciliane dell’epoca che, per ottenere vantaggi sociali e economici, erano, ma lo sono ancora, lascia intendere, disposte a tutto per far diventare preti i figli maschi e monache le donne. Esprime una certa diffidenza nei confronti del misticismo della Beata Corbera, ossia suor Maria Crocifissa della Concezione, antenata del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa e, in senso lato, della Chiesa quale struttura piramidale chiusa in se stessa ed avulsa dal contesto sociale. Chiesa come strumento di potere, contraria ad ogni innovazione come nel caso dell’attentato al Vescovo Peruzzo. Con questo libro, lo scrittore ritorna al romanzo “storico”: analizza fatti realmente accaduti, li inserisce nel contesto socio-politico del tempo, ma sostiene che appartengono al presente “fino alla tragica attualità dei nostri giorni”.
Giuseppe Petralia
 
 

Vivi Enna, 31.3.2007
Caravaggio può esser passato da Licata.. dopo Malta

Palermo – Per tanti anni il quadro di San Girolamo, ospitato nell'omonima chiesa nel cuore di Licata, nel quartiere Marina, è rimasto appeso sull'altare senza la giusta considerazione.
Sono state effettuate le necessarie opere di restauro, ma nessuno si è preoccupato della sua vera provenienza. Tutto è cambiato dopo che un agrigentino doc Andrea Camilleri ha scritto del quadro di San Girolamo nel suo ultimo libro “Il Colore del Sole” attribuendolo nel romanzo-giallo a Caravaggio, passato da Licata dopo Malta. Si apre un dibattito in Sicilia sulle origini del quadro. Ma a mettere qualche punto fermo ci pensa il professor Ettore Sessa, docente di storia dell'arte all'Università di Palermo.
“Devo dire - dichiara Sessa - che a primo impatto mi ha colpito il fondale, perché può sembrare diverso dal modo di come lo lavorava il Caravaggio ma se lo paragoniamo alle opere che egli realizzò a Malta si nota una similitudine . Lo potremo definire un pò spoglio ma questo risalta tanto lo stato d’animo del pittore in quel periodo “buio” della sua vita, perché mentre dipingeva aveva la testa altrove visto che il suo obbiettivo era quello di sfuggire alla condanna a morte per omicidio e quindi in taluni casi non riusciva ad esprimersi al meglio”.
E poi aggiunge: “ A parer mio guardando i colori sembrerebbe che il quadro sia stato realizzato da tre pennellate diverse; forse iniziato da un pittore locale sia passato nelle mani di Caravaggio ed infine non è da escludere l’affidamento ad un pittore di bottega che apportò alcune modifiche.
Voi licatesi dovete essere orgogliosi di questa opera, mi impegnerò a venire a Licata con un equipe di colleghi per visitare il quadro e per potere scorgere i particolari da vicino”.
A Licata tutti attendono l'arrivo del Professor Sessa e della sua equipe per capire la reale provenienza del quadro e sopratutto per cercare di capire chi è il vero autore. I responsabili dell'Associazione Culturale “La Campana” hanno consegnato le pubblicazioni con le foto del quadro anche al critico Vittorio Sgarbi a Piazza Armerina qualche giorno fa.
Ma l'assessore alla cultura di Milano ancora non si è fatto sentire per far conoscere le sue valutazioni. Tra pochi giorni la chiesa di San Girolamo dove è custodito il quadro (protetto da un sistema di allarme) sarà aperta al pubblico per i riti della settimana santa.
Il Governatore della Confraternita di San Girolamo, Giovanni Savone, ha colto l'occasione per invitare Andrea Camilleri, che spesso fa blitz nella sua città d'origine Porto Empedocle, a fare un salto a Licata con una lettera ufficiale d'invito.
“Chi Le scrive – così inizia la lettera di Savone - è il Governatore di una delle più antiche Istituzioni Religiose siciliane, la Confraternita di San Girolamo della Misericordia di Licata.
Essendo consapevoli del numero di lettere che Lei riceve quotidianamente sarò molto breve. Nel suo ultimo e bellissimo libro “Il Colore del Sole” lei si occupa del quadro di San Girolamo custodito nella Chiesa della nostra Confraternita, nel suggestivo quartiere Marina di Licata.
Da quando è uscito il libro sulla stampa si è aperto un ampio dibattito sull'autore di questa splendida opera che è tornata al centro dell'interesse anche degli studiosi.
Visto che ne ha scritto così bene nel suo lavoro vorremo invitarla a vederla di persona, magari durante la Settimana Santa, in cui la nostra Confraternita celebra i riti della Crocifissione del Cristo.
Sarebbe per noi un onore farle conoscere la nostra realtà, il nostro forte rapporto con il territorio e sopratutto il nostro percorso di fede”.
Il mese di aprile sarà dunque decisivo. Questo mentre il Comune ha deciso di acquistare degli spazi per trasmettere via satellite il Venerdì Santo di Licata e mentre, grazie a Camilleri, sono aumentate le richieste di visita alla chiesa per catturare la bellissima espressione di San Girolamo, forse nato anche dall'incredibile pennello di Caravaggio.
Se fosse vero negli itinerari camilleriani oltre a vedere Vigata (Porto Empledocle) o la casa del Commissario Montalbano televisivo (in provincia di Ragusa) si inserirebbe a pieno titolo anche il San Girolamo di Caravaggio protagonista de “Il Colore del Sole”.
Francesco Pira
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 31.3.2007
Ritrovati da Andrea Camilleri gli scritti apocrifi del pittore
Caravaggio, l'artista maledetto
Il Merisi un «classico» di attualità

A fine gennaio di quest'anno, in libreria, è uscito il libro «Il colore del sole» scritto da Andrea Camilleri; il quale usa l'espediente delle pagine del diario, ritrovato seguendo vari indizi. Il libro, scritto interamente nell'italiano parlato nel '600, narra le vicende di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, nel periodo trascorso a Malta e in Sicilia, in fuga dalla condanna a morte per omicidio. Gli scritti descrivono la personalità intricata dell'artista che fa emergere una nuova e più intima chiave di lettura delle sue opere. Caravaggio rimane una personalità provocatoria e innovativa, la sua particolare tecnica pittorica fu una delle chiavi del suo successo: la novità è il naturalismo delle sue opere, manifestato nelle atmosfere e nei soggetti dei suoi dipinti; la plasticità di questi ultimi è evidenziata dal violento contrasto tra luce e ombra. Proprio per questo il suo patrimonio artistico è considerato inestimabile, nessun pittore ha mai saputo anticipare le inquietudini del suo tempo e rappresentarle in modo così intenso e realistico tanto nell'esemplare realizzazione delle sue opere, quanto nel saper ritrarre l'emozioni umane, immedesimandosi nelle ossessive contraddizioni del 1600. Soprattutto nel periodo in cui si ritrova costretto a vivere da fuggiasco, l'intensità e la drammaticità tipica del suo stile diventa più evidente, infatti nei dipinti cominciano ossessivamente a comparire personaggi giustiziati o morenti. Un'opera di questo periodo è «Amore dormiente», dietro la tela appare la scritta «di Michelangelo Marisi da Caravaggio in Malta 1608» è evidente che l'atmosfera in cui l'immagine è calata è proprio quella cupa della pittura caravaggesca di quel periodo. Il dipinto intriga poiché siamo di fronte ad una dolce figura mitologica: L'Amorino e inoltre l'Amore è soprattutto il dio del trionfo come Caravaggio lo dipinge nell'«Amor vincitore» di qualche anno prima, in cui viene rappresentato come un giovane brillante e attraente. Qui il neonato è goffo, privo di fascino, un'ambigua immagine che sembra oscillare tra il sonno e la morte. È chiaro nel quadro come Caravaggio abbia percorso un cammino lungo e tortuoso che lo abbia portato sulla soglia di una tragicità assoluta. Lele Di Dio e Marta Comunale
 
 

Corriere della sera (ed di Roma), 31.3.2007
Nuovo programma MTV
Fabio Volo: racconto la Francia agli italiani (e sono anche bravo)

Parigi - «Che brutto essere un fenomeno». Tv, radio, editoria e cinema fanno la corte a Fabio Volo e lui rifiuta l' etichetta di personaggio del momento. «Sono preoccupato - dice -. Se sei un fenomeno, l' ho visto con Muccino e Accorsi, prima ti osannano, poi caricano il fucile e i complimenti diventano pallottole di merda». Ne parla dalla ex Panoramique de la Funicolaire, rotonda tutta vetrate in cima alla collina di Montmartre che domina Parigi. Da qui tre volte alla settimana condurrà per sei settimane Italo-Francese, lo show più ricco di Mtv (costa 1 milione di euro) che parte il 3 aprile e che vuole raccontare la Francia agli italiani come lo scorso anno ha fatto con la Spagna da Barcellona.
[…]
C' è chi storce il naso davanti al suo successo. Alain Elkann dice che non va bene che nelle classifiche letterarie imperversino lui e Moccia. «Camilleri invece mi ha detto che non gli dà fastidio. Sono un bersaglio facile. Se qualcuno dice che sono un coglione, nessuno si scandalizza».
[…]
Andrea Laffranchi
 
 

La Sicilia, 31.3.2007
Televisione: martedì il debutto su MTV
Fabio Volo si trasferisce a Parigi

Parigi.  Dopo aver raccontato la “movida” delle Ramblas con “Italo-Spagnolo”, il programma in diretta su Mtv la scorsa primavera dal cuore pulsante di Barcellona, Fabio Volo replica l'esperienza con “Italo-Francese”: 18 puntate parigine in calendario da martedì prossimo tutti i martedì, mercoledì e giovedì alle 22.30 (più tre “best of” e sei estratti da interviste) sempre sull'emittente musicale più frequentata d'Italia.
[…]
«Altri interventi invece li abbiamo realizzati prima di volare a Parigi. […] Andrea Camilleri, Sandro Veronesi, Raul Montanari, Paolo Nori, consiglieranno dei libri».
[…]
Andrea Spinelli
 
 

 


 
Last modified Monday, February, 03, 2014