Stilos, 20.2.2007
Seconda lettura
Così la letteratura si prende gioco della storia e diventa scherzo
di Gianni Bonina

Laddove sulla vita di Caravaggio la storia ha lasciato una lacuna Camilleri è intervenuto a colmarla: alla sua maniera. La lacuna riguarda la presenza del pittore milanese a Malta e in Sicilia, un periodo sul quale gravano incognite irrisolte circa la ragione del suo arresto, l'evasione dal carcere, la fuga in Sicilia, le tappe siciliane, le stesse opere realizzate; la maniera involge un divertissement agito con un retrogusto desultorio per l'enfantizzazione di fatti e personaggi e la loro resa nei modi sapidi e salaci di un quodlibet che miscela vero e falso, sacro e profano, stocastica e annalistica. Del resto non c'è campo di attrazione meno resistibile per Camilleri che quello dell'histoire événementielle, secondo la lezione sciasciana della particolarità di un caso per il quale la storia debba farsi con i se e i ma.
Da La strage dimenticata a Il re di Girgenti a Privo di titolo, la ricerca storica di Camilleri si concentra - con esiti sempre originali quanto a stile e svolgimento - sui passaggi oscuri, sulle zone d'ombra, suipunti di domanda: con una forza revulsiva che sarebbe spregiudicata se esercitata da uno storico ma che si traduce in effetti di scialo ai fini della prestazione letteraria. E letteratura Camilleri intende fare nel Colore del sole, non essendosi mai piccato di esibirsi in lucco di storico, tanto meno qui, dove la materia sembra richiedere un atteggiamento di congrua severità. Senonché Camilleri volge la pavana solenne in un versicolare hellzapoppin' e convocando Cervantes e Sterne imbastisce uno scherzo entro un gioco di specchi tra passato e presente, testimonianza e invenzione, storia e controstoria: arrivando anche a costituire, essendo egli agrigentino, una doppia tappa a Girgenti e Licata, dove la prima è del tutto finzionale e la seconda una forzatura, perché nessuna prova si ha del passaggio di Caravaggio a Licata che non sia una labile voce secondo cui un San Girolamo nella fossa dei leoni custodito in una chiesa licatese sarebbe vagamente attribuibile a una supposta scuola caravaggesca.
Non contento, alzando il tono dello scherzo, Camilleri immagina anche un incontro tra Merisi e Mario Tomasi, il capostipite dei Lampedusa, figura della stessa cotta di Caravaggio perché masnadiero e ribaldo: troppo forte la tentazione di farli incontrare - e farli poi litigare - nulla importando che Tomasi fosse di Palma di Montechiaro e non di Licata. L'intento è piuttosto di rifare l'itinerario di Caravaggio in Sicilia seguendo la collocazione delle sue opere, anche quelle apocrife: sicché lo troviamo a Siracusa, a Messina, a Palermo come anche nelI'Agrigentino e a Malta. Da dove il pittore fugge in nave per la Sicilia, che raggiunge solo dopo dieci giorni: troppi per non lasciare supporre che la prima meta sia Agrigento, anzi Porto Empedocle, dove si erge la «scala de li turchi», un'erta di marna bianca che per Camilleri evoca un luogo dell' anima e che ricorre non poche volte anche nei romanzi di Montalbano. Un luogo, il circondario agrigentino, per di più soterico, perché è solo ai piedi del Tempio della Concordia che Caravaggio vede il sole nel suo colore naturale e non nel nero diabolico e ominoso che la sua debole vista gli prospetta ovunque si trovi, inducendolo a versare nelle sue «dipinture» una luce «di lume o di candela»: una trovaille gustosa, perché Camilleri pretende che la speciale tecnica caravaggesca sia l'effetto di gocce medicamentose che una bardassa gli ha consigliato di applicare negli occhi per vincere la sua eliofobia, un preparato magico che gli mostra il sole nel colore nero di una eclissi che oscura in parte uomini e cose lasciandoli visibili solo in un taglio diagonale.
Camilleri si fa gioco del genio di Caravaggio ed escogita l'espediente del manoscritto ritrovato per fargli confessare avventure degne di Münchhausen che squarcia ventri di cani famelici, pencola da rupi dall' alto delle quali vuole prima lanciarsi per morire e che poi vuole riguadagnare in preda al terrore della morte, giace con glabri giovinetti e viziose pu1zelle, mena pugni e sbotta in delirio, nasconde denari e corrompe secondini, dà alle madonne il volto di donne da trivio, dipinge cadaveri e si fa concedere da madri compiacenti figlie di carni tenere per modelle. Si tratta di confessioni stese in uno stile da illetterato del Seicento, quale in fondo il Merisi era, uno stile (con il cui esercizio Camilleri è da tempo in familiarità dopo le fortunate prove date soprattutto nell'omologo Re di Girgenti) che restituisce con efficacia il sapore e il clima del tempo. Confessioni che riflettono solo a distanza la verità storica. Nell'episodio per esempio dell'incarcerazione di Caravaggio a Malta non esiste documento che ne accerti il motivo. Si sono fatte avanti solo supposizioni, in base alle più accreditate delle quali il Gran Maestro dell'ordine gerosolimitano Alof de Wignacourt entra in contrasto con il suo protetto per via di una torbida vicenda omosessuale che riguarda un giovane conteso da entrambi. Camilleri, fortemente intrigato da vicende che sottendano implicazioni pruriginose, avvalora questa ipotesi ma sostituisce al Gran Maestro un più umile capitano di giustizia che sorprende il pittore con un paggio e lo denuncia accusandolo di aver unito ai colori della Decollazione «un poco de lo seme naturale»: non vuole assecondare la vulgata di un'amicizia cosi stretta tra dignitario e artista che sia rotta per una questione cosi dappoco. Si potrebbe pensare che questa esclusione sia voluta per integrare la congettura storica secondo cui sarebbe stato il Gran Maestro a favorire la fuga dal carcere maltese di Caravaggio, ma Camilleri è a Mario Minniti, un artista siracusano, che affida il compito di eseguire il piano di evasione con un rocambolesco raid tra pantomima ed eroicomica. Lo scopo è chiaro: confutare l'indagine storica e acquisire la vicenda all'invenzione letteraria, tanto più che Camilleri stesso si rende personaggio agens del romanzo, perché è lui che ricopia brani del memoriale caravaggesco che un oscuro figuro siracusano gli fa avere: sicché quel che del manoscritto leggiamo è quanto il personaggio Camilleri riesce a trascrivere dall'originale secondo un criterio di selezione che risponde all'esigenza di consegnare agli studi nuove scoperte sulla vita dell'artista, proprio quelle scoperte che invece costituiscono il portato di una controstoria. Traluce Borges e il gioco degli inganni, come tutta la tradizione spagnola e latinoamericana risospinta sul piano inclinato di una demistificazione che si fa beffa della storia e rende la letteratura un gioco a nascondere.