home page




RASSEGNA STAMPA

NOVEMBRE 2009

 
Il Carabiniere, 11.2009
I limoni di Camilleri
Sono gli agrumi siciliani per eccellenza. Gialli, come i romanzi del mistero e del delitto. Aspretti, solleticano e pizzicano come un motto di spirito. Non ci viene in mente qualcuno?

Il mese scorso, caro Maestro, ci siamo occupati di filosofia. E Lei, per usare un linguaggio "scolastico", non si è fatto cogliere impreparato. Vogliamo passare alla Storia? Per Lei, che è siciliano, cosa rappresenta un episodio come la Spedizione dei Mille?
«Guardi, lei cade a fagiuolo, come si usa dire, in quanto stiamo preparando, con il professor Giovanni De Luna, che insegna Storia contemporanea a Torino, per i 150 anni della Storia d'Italia, dieci dvd che racchiuderanno tutto il periodo che va dall'unificazione al 2011. Sarà una storia per immagini, e naturalmente saranno coinvolti l'Istituto Luce, gli archivi della Rai, la Cineteca Nazionale, eccetera. L'idea di base è far parlare la Storia attraverso la Letteratura, tracciando un percorso che consideri tanto gli autori inclusi quanto gli esclusi, e contempli tutti i punti di vista. Allora, venendo alla domanda, lei sulla Spedizione dei Mille mi può interrogare "a saltare", come si faceva a scuola. Perché fra il materiale che ho dovuto esaminare ci sono tutte le testimonianze degli autori garibaldini, e non solo Giuseppe Cesare Abba, con le sue notarelle “Da Quarto al Volturno”. Sono tanti, almeno sette o otto; in più c'è la secca relazione sulla “Spedizione in Sicilia” di Ippolito Nievo, che è stupenda. Anche la pagina di Abba che riguarda Garibaldi a Calatafimi è un'altra meraviglia narrativa, in sé. E poi c'è la contro-storia. Luciano Bianciardi, che è stato un grande scrittore e ai giorni nostri è purtroppo dimenticato, ha scritto una storia dei Mille intitolata “Da Quarto a Torino”, piena di retroscena sulla Spedizione. Andiamo quindi a toccare, dato che il discorso s'intreccia con la storia della società siciliana, il nipote del principe Tomasi, che ne “Il Gattopardo” dice: va bene, aderiamo al Piemonte, così cambiamo per non cambiare niente. E “I Viceré” di De Roberto, che dicono: va bene, la società cambia, ma noi dobbiamo restare a galla. Tu ti sposi con quello, io mi metto in politica, così ci sistemiamo tutti. E ancora “Libertà”, di Giovanni Verga, la meravigliosa novella che racconta di quando i contadini di Bronte, credendo che il Regno rappresenti la fine dei padroni, ne uccidono due o tre. Poi arriva Nino Bixio che li fucila tutti. È tutta equilibrata in questo modo, la storia che stiamo scrivendo. Ma ho divagato di nuovo, torniamo alla domanda di partenza. Certo, la Spedizione dei Mille è stata fondamentale. La cosa bella della Storia è che in essa tutto è necessario. La necessità di un gesto, di un atto, non la avverti sul momento. Te ne accorgi dopo, che era tassativo che un certo episodio avvenisse. Io, per esempio, nei miei romanzi sono molto critico sui Moti del Risorgimento. Ma sulla necessità storica assoluta dell'Unità, ineludibile, senza possibilità di errore, non ci piove. All'interno dei grandi movimenti storici del tempo, tutto ciò che è stato si rivela veramente necessario, anche se sul momento non se ne coglieva la necessità».
Alla luce degli effetti, si potrebbe dire…
«Esattamente. Una volta si diceva, in latino: post hoc, propter hoc».
 
 

La Repubblica (ed. di Bari), 1.11.2009
La Sicilia di Camilleri alla Vallisa con Panaro

Sicilia di fine Ottocento. Il progresso è ancora lontano, ma comincia a suscitare interesse. Filippo Genuardi è affascinato dal telefono e avvia la pratica per potersi servire della linea. Parte così "La concessione del telefono", romanzo di Andrea Camilleri che sarà presentato come lettura scenica stasera alle 19 alla Vallisa di Bari per "Le direzioni del racconto". Sul palco l' attore Paolo Panaro racconta il piccolo mondo di Vigàta con i suoi cittadini diffidenti: la richiesta di Genuardi suscita sospetti, c' è chi lo crede un "senza Dio". La sua semplice domanda si scontra con una realtà arretrata, conservatrice e in grado di avviare un' inchiesta a suo carico, con sviluppi drammatici e finale imprevedibile. Info 333.126.04.25.
 
 

AGI, 2.11.2009
Pinocchio: Sironi, la mia favola diventa realta'

Roma - "Ho fatto un film sulla mia prima favola. Sono soddisfattissimo, e' stato un grande successo". Lo afferma Alberto Sironi, regista di "Pinocchio", la fiction andata in onda ieri sera in prima serata su Raiuno che ha fatto registrare un boom di ascolti: oltre sette milioni di telespettatori.
[…]
In febbraio, per Sironi partiranno le riprese dei film su Montalbano tratti dai nuovi romanzi di Camilleri: L'eta' del dubbio, Il campo del vasaio, La danza del gabbiano.
Un quarto romanzo deve ancora uscire e sara' ovviamente oggetto di film. Protagonista, come al solito, Luca Zingaretti.
 
 

Teatro e Critica, 2.11.2009
Festa di famiglia: da Pirandello, con l’aiuto di Camilleri, Mitipretese riflette su violenze e conflitti

Bisogna partire da un dato oggettivo per descrivere e giudicare Festa di Famiglia, ultima fatica del gruppo Mitipretese, ovvero il tutto esaurito con il quale il botteghino ha dovuto fare i conti e non sto parlano delle prime serate, ma di un intero ciclo di repliche, dal 5 ottobre al 1 novembre al Teatro India di Roma. Il pubblico insomma dopo il successo del precedente Roma ore 11, vista anche l’illustre firma drammaturgica di Andrea Camilleri, ha fatto di tutto per non perdersi l’ultima creazione di Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariàngeles Torres. In gran parte il pubblico ha avuto ragione ad accaparrarsi i biglietti perchè lo spettacolo è una macchina teatrale quasi perfetta, con un ritmo recitativo capace di tenere sempre alta la tensione e la bravura degli attori è evidente nella recitazione e sorprendente nelle parti cantate.
La compagnia Mitipretese, per questo lavoro, è partita da un nucleo tematico già di per sé denso di tensioni e risvolti drammatici: la violenza sulle donne. Non quella che affolla i notiziari televisivi, risultato di un degrado urbano e sociale, ma quella che avviene di nascosto, nel silenzio delle mura domestiche, nel sacro focolare della famiglia. Lo spunto letterario arriva dalla vicenda di Mommina e Rico Verri contenuta in Questa sera si recita a soggetto (che a sua volta riprende la novella Leonora addio!) di Pirandello. Le prime battute del dramma infatti si svolgono tra questi due personaggi, quasi a sottolineare la provenienza archetipica della violenza familiare, intanto però gli altri sono tutti in scena. Tutti aspettano di recarsi alla festa per i 60 anni della signora Ignazia. Le tre figlie, Donata, Mommina e Frida le hanno preparato una sorpresa. La particolarità della drammaturgia di Mitipretese/Camilleri sta, a mio avviso, nell’incompletezza del dramma stesso, ovvero nella capacità di raccontare la sofferenza che queste donne provano (una perché sposata a un marito geloso che vorrebbe strapparle via i sogni dalla testa, un’altra per la violenza subita da parte del padre, la terza sorella perchè non soddisfatta della propria relazione e la madre afflitta dall’abbandono del marito), una sofferenza che non ha uno sfogo drammatico, non vi sono uccisioni o addii, ma una tensione che riesce a scaturire solamente dai dialoghi, farciti di intelligente ironia e spezzati da canzonette anni ‘40.
In questa situazione, più simile a un film di Lars Von Trier che alla tradizione drammaturgica teatrale italiana, diventano evidenti le capacità tecniche degli attori stessi, immersi nel vuoto di un palcoscenico segnato solo dalla presenza di alcuni mobili e oggetti, con delle luci quasi a giorno che volutamente bagnano anche il pubblico, attori quasi sempre in grado di trovare la verità del proprio personaggio.
Rimane però un dubbio sul lavoro di Mitipretese e riguarda l’abbozzo di metateatralità che in un paio di occasioni attraversa lo spettacolo. Quasi ad omaggiare il Pirandello del Teatro nel teatro una volta si commenta un foulard che non si strappa e gli attori per un paio di minuti parlano del più e del meno, un’altra volta viene fatto squillare un cellulare e uno degli protagonisti si imbestialisce per l’interruzione, ma sono stappi immotivati (se non nel sel senso dell’omaggio),  non si basano su una precisa idea registica metateatrale e risultano, tra l’altro, inutili e inefficaci se paragonati all’evoluzione che la scrittura scenica ha avuto negli ultimi 40 anni.
Andrea Pocosgnich
 
 

Famiglia Cristiana, 3.11.2009
Confronti. Andrea Camilleri rievoca in chiave politica il grande scrittore morto 20 anni fa
L’onorevole Sciascia
Dagli interventi pronunciati in veste di parlamentare agli articoli d’attualità destinati a suscitare vivaci polemiche, ai celebri romanzi "impegnati": l’autore del "Giorno della civetta" rivive nel libro del suo conterraneo.

Nell’imminenza del ventennale della morte di Leonardo Sciascia (il prossimo 20 novembre), l’editore Bompiani manda in libreria un volume firmato da un altro scrittore siciliano, nientemeno che Andrea Camilleri: "Un onorevole siciliano. Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia".
Si tratta di un Camilleri discreto, che preferisce rimanere sullo sfondo, un po’ in disparte, per lasciare la scena tutta a Sciascia, del quale presenta e commenta, con sobria precisione di dati e informazioni, gli interventi a carattere politico.
In particolare quelli pronunciati da Sciascia in veste di parlamentare, eletto alla Camera, alle politiche del giugno 1979, come indipendente nelle liste del Partito radicale. Ma l’attività politica di Sciascia (naturalmente intendendo l’aggettivo "politico" nel senso più alto del termine) non si limitò all’esperienza di onorevole della Repubblica. Scrive infatti Camilleri: «Sciascia è stato e continua a essere sempre un politico, sia che scriva romanzi sia che pubblichi articoli d’attualità destinati a suscitare vivaci polemiche».
Come quello, celeberrimo, del gennaio 1987 sui "professionisti dell’antimafia", in cui metteva in discussione le carriere di alcuni magistrati, tra cui Paolo Borsellino, incentrate sulla lotta alla criminalità organizzata, e criticava un approccio al fenomeno mafioso improntato a una sorta di "pensiero unico" degli inquirenti.
«In linea assolutamente teorica», commenta Andrea Camilleri, «la preoccupazione di Sciascia era fondata. Ma nella realtà fu proprio quel pensiero unico, che in seguito portò al pool e allo storico maxiprocesso, a infliggere grossi danni all’organizzazione mafiosa».
Deluso dal Pci
Oltre che in alcuni importanti libri – Il contesto, Todo modo, L’affaire Moro – e negli articoli prima sul Corriere della Sera e poi sulla Stampa, Camilleri individua l’inizio dell’impegno politico "diretto" di Sciascia nell’esperienza, nel ’75, come consigliere comunale a Palermo. Lascerà l’anno dopo, deluso dal comportamento del Pci che l’aveva candidato.
Alla Camera, invece, farà parte della Commissione d’inchiesta sul caso Moro, redigendo, alla fine dei lavori, una relazione di minoranza. E veniamo così alle interrogazioni parlamentari, che costituiscono il vero cuore del libro (nel quale sono seguite dalle risposte dell’Esecutivo, tratte dagli atti parlamentari e riassunte dallo stesso Camilleri).
Interventi incisivi
Esse riguardano diverse questioni: dall’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine (a questo proposito Sciascia afferma che sarebbe molto meglio formare culturalmente gli agenti di polizia, prima ancora di insegnare loro a sparare) alla discussione sulla "legge speciale" in materia di ordine pubblico pensata per contrastare il fenomeno terroristico, dalla ricostruzione dopo il terremoto del Belice al caso del magistrato Ciaccio Montalto ucciso dalla mafia.
Con quest’ultimo intervento (che risale al 27 gennaio 1983) si conclude l’attività parlamentare di Sciascia. Le poche volte che prendeva la parola in aula, lo faceva con interventi brevi, incisivi, accolti dai colleghi dei vari schieramenti nel più assoluto silenzio. Esattamente come accade (accadeva? Il dubbio è più che mai legittimo) quando parlano le persone autorevoli.
Roberto Carnero
 
 

VareseNews, 3.11.2009
Tv
"Dopo Montalbano, ho vinto con i gendarmi di Pinocchio"
Alberto Sironi, regista gallaratese della fiction andata in onda su Rai1, commenta gli ottimi risultati ottenuti, con oltre 8 milioni di spettatori. A Febbraio poi girerà i nuovi episodi tratti da Camilleri

[...]
Dopo il successo di Pinocchio, Sironi è già al lavoro [...]. Sono già state programmate le riprese per i nuovi episodi di Montalbano, di cui sarà ancora regista, con protagonista Luca Zingaretti: “Iniziamo a girare a fine febbraio o i primi di marzo. Facciamo quattro storie: “L’età del dubbio”, “Il campo de vasaio”, “La danza del gabbiano” e un quarto romanzo che deve ancora uscire”.
Manuel Sgarella
 
 

TVblog.it, 3.11.2009
Palinsesti pazzi: Colorado alla domenica, Un medico in famiglia raddoppia lunedì e martedì, Montalbano e Fazio VS Peter Pan

I palinsesti non finiscono mai di impazzire. E la Rai è decisamente agguerrita contro le corazzate Mediaset.
[...]
Altra serata difficile quella del mercoledì, all’insegna del predominio di Chi ha incastrato Peter Pan? Per la prima volta, calcio a parte, RaiUno fa vera concorrenza su due fronti. Tolto X Factor, che dà a Bonolis la vittoria sul piatto d’argento, su RaiUno andrà in onda un esempio di usato sicuro: una replica del Commissario Montalbano con Luca Zingaretti e Mandala Tyde.
[...]
Lord Lucas
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.11.2009
Coppola esporta i "pizzini" per festeggiare 25 anni

Venticinque anni passati ad inseguire un sogno. Un quarto di secolo per dimostrare che, anche da una provincia come Trapani, si possono mandare in giro per il mondo parole ed idee sotto forma di libri di qualità. Un traguardo di tutto rispetto per una piccola casa editrice come la "Coppola Editore" che, nelle sue scelte editoriali, segue un preciso percorso, nel tenace convincimento della necessità di dare spazio alle tante voci di un panorama che spesso appare regno incontrastato di una minoranza rumorosa che esporta della Sicilia un'immagine desolante. E la scommessa iniziata nel 1984 si è trasformata in una realtà, che ha portato la Coppola Editore a un traguardo di venti titoli pubblicati ogni anno e a collaborazioni con Paesi stranieri. «Devo ammettere che in questi anni mi sono senza dubbio tolto delle soddisfazioni - afferma con orgoglio Salvatore Coppola, direttore e fondatore della casa editrice - ma non posso nascondere anche i momenti di crisi che ho vissuto, le esitazioni, i ripensamenti. Ma, nei momenti difficili, ho sempre avuto a fianco degli amici che mi hanno spinto ad andare avanti. E poi, oggi sento di avere delle responsabilità. Dopo la pubblicazione dei "Pizzini della legalità" non posso certo arrendermi, soprattutto considerando che, dagli iniziali undici testi, siamo arrivati a ben trentatré titoli. Spero se ne aggiungeranno e, tra questi, mi piacerebbe se ce ne potesse essere uno scritto da Andrea Camilleri».
[...]
Antonella Scandone
 
 

La Sicilia, 3.11.2009
Fratelli Napoli. La nuova stagione teatrale al via a Natale nella sala Lomax
Gesti e sentimenti da padre in figlio

Nel centro storico di Catania, vicino al castello Ursino e al mercato della pescheria, precisamente in via Reitano, si trova la "bottega" dei Fratelli Napoli, famiglia che rappresenta la tradizione catanese dell'opera dei pupi.
[...]
Ricordiamo che oltre al classico repertorio cavalleresco la Compagnia Napoli ha allestito [...] nel 1982 due testi di Andrea Camilleri: "Gammazita" e "Storia e leggenda del Vespro" [...].
Enza Barbagallo
[Andrea Camilleri non ha mai scritto i testi di cui sopra, NdCFC]
 
 

Adnkronos, 4.11.2009
Scrittori: Camilleri pubblica Sciascia politico su mafia e terrorismo

Un libro sulla ''vita politica'' di Leonardo Sciascia a vent'anni dalla scomparsa dello scrittore siciliano (20 novembre 1989). E' quello che ha scritto un altro grande scrittore dell'isola, Andrea Camilleri, con il titolo ''Un onorevole siciliano. Le interpellanze parlamentari di Sciascia'', che l'editore Bompiani distribuisce da oggi nelle librerie (pagine 192, euro 12). ''Due siciliani nel cuore del potere: un libro imperdibile per i lettori di Camilleri e i cultori di Sciascia'', cosi' lo presenta l'editore milanese.
''Lo scrittore fu eletto nel 1975 come indipendente al Consiglio comunale di Palermo nel Pci e poi nel 1979 si presento' al Parlamento con i radicali, dove resto' fino al 1983. Fu piu' che altro un modo per avere accesso alle carte sul caso Moro, su cui scrisse appunto 'L'Affaire Moro''', ricorda Camilleri. Come onorevole Sciascia presento' 11 interrogazioni su mafia e terrorismo: ''Io ho raccolto questo materiale per ricordarlo a tutti'', ha sottolineato l'autore di tanti romanzi bestseller con protagonista il commissario Montalbano. Poi, parlando con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ''giustamente'' disse a Camilleri: ''Ma lei deve inserirci anche le risposte del Parlamento... Cosa che ho fatto''.
Sciascia fece parte della Commissione Esteri in Parlamento, ma soprattutto s'impegno' nella Commissione d'inchiesta per il caso Moro. Le interpellanze, a parere di Camilleri, risultano tutte ancora oggi di ''una sconcertante attualita', come quelle sul decreto contro il terrorismo, sulla lotta alla mafia, sulle tangenti, sull'uccisione del giudice Ciaccio Montalto. ''Andrea Camilleri ce le racconta, mettendole, per la prima volta, a disposizione dei lettori italiani'', sottolinea Bompiani in un comunicato.
 
 

Il Messaggero, 5.11.2009
Sciascia. Il dolore e la ragione

E’ dedicato a Leonardo Sciascia a venti anni dalla sua scomparsa il Dossier che Pietro Milone ha curato per “Il Caffè Illustrato”, il bimestrale diretto da Walter Pedullà. [...] Sempre in occasione dell’anniversario è uscito un numero monografico de “Il Giannone” dal titolo “Leonardo Sciascia vent’anni dopo”, a cura di Antonio Motta, edito dal Centro Documentazione Leonardo Sciascia e dall’Istituto omonimo di San Marco in Lamis. Oltre i saggi di Maria Luisa Spaziani, Alberto Manguel, Massimo Squillacioti, Caterina De Caprio, Salvatore Giarrizzo, Salvatore Silvano Nigro, Giovanni Russo, Erasmo Recamio, Bruno Pischedda, Filippo La Porta, Claude Ambroise, Domenico Scarpa, Massimo Quaini, pubblica le lettere inedite tra Anna Maria Ortese e Leonardo Sciascia nei giorni del rapimento di Aldo Moro, le testimonianze di Andrea Camilleri (di cui pubblichiamo alcuni stralci), Luisa Adorno, Gianfranco Dioguardi, Goffredo Fofi, Emilio Greco, Salvatore Nigro, Piero Ostellino, Vittorio Sgarbi, Andrea Vilardo; fotografie e disegni di Ferdinando Scianna.
R.M.
 
 
La testimonianza
E con i giovani scrittori siciliani era “mafioso”

Spesso venivano a trovarlo giovani autori siciliani che gli avevano portato a leggere le loro opere. Me li presentava e quindi, sia pure attraverso il suo avaro parlare, finiva sempre col trovare qualcosa di buono in ogni lavoro che, si vedeva, aveva letto scrupolosamente. Direi che a volte addirittura si sforzava di trovarvi qualcosa di buono. Non si sforzava per niente invece con gli autori nati al di là dello Stretto, con loro era anzi severissimo, li esaminava senza alcuna indulgenza. Un giorno glielo feci notare. “Tu usi due pesi e due misure”. “Sì” - ammise con un tono di sfida. “E perché?” “Perché davanti agli autori siciliani mi sento diventare mafioso. Di loro vorrei essere fratello, amico, complice e protettore. Come diciamo noi? Addifenniti ‘u tò a tortu o a ragiuni. E io questo faccio”. Dunque, difendeva il suo. Considerava “suoi” gli scrittori della nostra terra. Una lezione che ho imparato. E me ne diede prova personale quando pubblicai "Un filo di fumo". Stavamo festeggiando l’uscita del romanzo con l’editore Garzanti e quattro, proprio quattro di numero, veri amici. Eravamo nella camera d’albergo di Garzanti quando bussarono alla porta e apparve Leonardo. “Non potevo mancare” - disse abbracciandomi.
Sceneggiai per la televisione un suo racconto tratto da "Il mare colore del vino", che s’intitolava “Western di cose nostre”. Era di tre pagine e mezza a stampa e io ne trassi tre puntate di un’ora ciascuna. Gli telefonavo spesso per chiarimenti e consigli. Mi rispondeva immancabilmente con una famosa frase verghiana, “quello che è scritto è scritto” e non aggiungeva altro. Vidi andare in onda le puntate con un vero e proprio batticuore. Mi chiedevo cosa ne avrebbe detto Sciascia. Un giornale ci intervistò a tutti e due a distanza. Il giornalista mi domandò: “Come ha fatto a ricavare tre ore di spettacolo da tre pagine?” “Quelle tre pagine” - dissi - “sono come un dado Liebig che può fare un brodo per quattro persone”. E Sciascia di rimando: “Sì, ma anche col dado Liebig ci vuole abilità a fare un buon brodo. E Camilleri ci è riuscito”.
Facevamo passeggiate per le strade di Roma, parlavamo di Pirandello, di Stendhal, di qualche comune lettura giovanile come "L’aquila e il serpente" di Guzman, dei nostri due paesi, del teatro di Racalmuto chiuso da anni dove aveva esordito da regista. Quel teatro, dopo quarant’anni, è stato riaperto ed io ne ho accettato la presidenza solo in ricordo dell’affetto col quale me ne parlava. A proposito di Pirandello: “Voi registi non fate altro che leggere e mettere in scena il suo teatro. E trascurate quella miniera che sono le novelle al cui confronto il teatro diventa una cosa che sa di artificiale”. Ne tenni conto, in seguito, facendo uno spettacolo tratto da dodici novelle pirandelliane. A proposito di Stendhal: “Quanto gli sarebbe piaciuta quest’Italia dei giorni nostri così malati di corruzione, di trame oscure, di delitti!” E discutevamo, naturalmente, di politica. Erano i giorni della rottura avvenuta col fraterno amico Renato Guttuso e il suo anticomunismo aveva subito un’impennata tale che io ero costretto a reagire duramente a certe sue dichiarazioni almeno avventate. “Tu difendi Renato perché appartieni alla stessa parrocchia!”. Per poco non passavamo alle male parole. Ma l’amicizia, qualunque cosa ci siamo detti nella foga dello scontro, non s’incrinò mai. Leonardo aveva scritto una delle famose interviste impossibili per la radio, ma si era rifiutato d’impersonare sé stesso come il programma esigeva. L’intervista perciò rimase inedita. Tre o quattro anni fa, la radio decise di realizzarla e io venni chiamato a fare Sciascia. Essere la sua voce per me fu quasi traumatizzante. Un’ultima cosa. Che ho spesso ripetuto. Come scrittore, sono stellarmente lontano da lui. Eppure quando sento di avere le batterie mentali scariche, ricorro all’elettrauto di Sciascia. Mi basta leggere una sua pagina qualsiasi per tornare a sentirmi vivo.
Andrea Camilleri
 
 

FusiOrari.org, 5.11.2009
Libri - Gocce di Sicilia

"Gocce di Sicilia", per Oscar Mondadori, è la più recente produzione della magica penna di Andrea Camilleri. Lo scrittore di Porto Empedocle non ci regala solo una storia ma sette racconti che hanno luogo in vari paesini all’interno dell’isola più amata dagli italiani: la Sicilia.
PERSONAGGI E LUOGHI – Zù Cola entra in un negozio di orologi e, non trovando il padrone, si ferma a parlare con il commesso, un ragazzotto piccolo e timido. Parlando gli racconta tutti i suoi affari nella città siciliana, affari privati, affari che gli hanno portato tanti guai, ma sempre puliti, di questo è sicurissimo. U zz’Arfredu è lo zio di Agrigento, lo zio di tutti, il benefattore della città pronto a fare del bene a chiunque ne abbia bisogno. Non c’è una sola cosa che Arfredu non possa fare, cambiare, ottenere; il suo volere è potere, ogni suo desiderio diviene realtà. Ogni prima domenica del mese di settembre la città di Agrigento si prepara a festeggiare il Santo patrono: San Calogero, per tutti San Calò. La cerimonia dura tutto il giorno e per l’occasione ogni cittadino è invitato a donare alla parrocchia tutto il vino che possiede. Alla vigilia delle prime elezioni regionali in Sicilia si forma uno scontro diretto tra comunisti, democristiani e separatisti. L’acceso dibattito coinvolge anche la parrocchia vicina alla città e con essa anche il Parroco. A Montelusa, un paesino della provincia siciliana accade un fatto stranissimo; durante la messa in scena dello spettacolo teatrale “Il Mortorio” un attore scompare dal palco. Antonio Patò che impersonava Giuda scompare durante una delle sue apparizioni in scena e, di lui, da allora, non si hanno più notizie. In Sicilia a volte capita di veder parlare gli oggetti, a volte le coppole e i cappelli siciliani prendono nome e iniziano a discutere tra di loro: che cosa avranno da dirsi? Francesco Lanza e Nino Savarese decidono di investire in un progetto per la nascita di un giornale culturale, un quotidiano libero che dia spazio a tutte le opinioni, senza una linea editoriale ben precisa.
DOMANDE – Ma Zù Cola è davvero una persona pulita come racconta di essere? Come fa lo zio Arfredu ad avere tutto quel potere? Perché durante la festa del patrono tutti sono obbligati a dare il proprio vino alla parrocchia? Perché la parrocchia non prende parte alla discussione per le elezioni? Dove può essersi cacciato l’attore Antonio Patò? È proprio vero che a volte gli oggetti ci raccontano qualcosa? Quando riuscirà a sopravvivere il quotidiano dei giovani “libertini”? Un ventaglio di episodi e personaggi che ci narrano le gocce di una Sicilia fatta di ingiustizie, colpi di scena, magie, tradizioni e amore.
SULLE ONDE DELLA SICILIA – Vengono raccolti all’interno di questo romanzo sette brevi scritti originali dell’autore fra pura invenzione e ricordi autobiografici. I brani sono comparsi sull'Almanacco dell'Altana negli anni dal 1995 al 2000. Con il suo morbido dialetto siciliano alternato ad un perfetto e ingegnoso italiano Andrea Camilleri ci culla e ci accompagna sulle coste e sulle onde della Sicilia, facendoci assaporare e intuire il profumo di questa magica terra. Un libro imperdibile, una storia al giorno, per una settimana di sorprese.
Maria Lauro
 
 

La Stampa, 5.11.2009
Sfida canora-letteraria nel segno di Camilleri
Donnas. ''Il cane di terracotta'' e' il testo scelto per ''Giochiamoci un libro'' Domani sera la terza edizione, con Bruno Gambarotta e Dario Voltolini

Donnas. Lo scorso anno la sfida acrobatico-letteraria-canora «Giochiamoci un libro», organizzata dalla biblioteca di Donnas in un'atmosfera culturalmente giocosa, inframmezzata da battute ironiche e frecciate fra i due caposquadra, Bruno Gambarotta e Stefania Bertola, s'era conclusa con una frase di Groucho Marx: «All'infuori del cane, il libro e' il miglior amico dell'uomo. Dentro il cane e' troppo scuro per leggere». La terza edizione, in programma domani alle 21 nel salone Bec Renon di Donnas, conferma la formula ideata dai componenti della commissione di gestione della biblioteca: divertirsi con un gioco trasmettendo, allo stesso tempo, cultura. «E' un modo simpatico per avvicinare i giovani alla lettura e coinvolgerli con allegria» dice Fulvio Vergnani, bibliotecario e organizzatore dell'evento, che quest'anni torna con qualche novita'. «La sfida, si e' ampliata al settore enogastronomico - continua Vergnani -. Il libro scelto per la gara, ''Il cane di terracotta'' di Andrea Camilleri, ha molti rimandi al cibo». […]
Daniela Giachino
 
 

APCOM, 6.11.2009
Teatro/ I Premi Olimpici in udienza al Quirinale
Lunedì alle 11 la delegazione guidata da Massimo Ranieri

Il Quirinale accoglie lunedì alle ore 11 una delegazione di artisti e professionisti italiani in occasione della Giornata dello spettacolo, la consueta udienza che il Presidente della Repubblica riserva al Premio Eti - Gli Olimpici del Teatro, il riconoscimento promosso dall'Ente Teatrale Italiano e dal Teatro Stabile del Veneto, ricevuti con i colleghi dei Premi De Sica. L'udienza dal Presidente Giorgio Napolitano chiude la settima edizione del Premio ed è occasione per gli Olimpici e tutto il mondo del teatro di celebrare alcuni tra i suoi più significativi rappresentanti. È l'istrionico Massimo Ranieri a guidare quest'anno la delegazione degli Olimpici, composta dai vincitori di tutte le edizioni del Premio, dai membri della giuria di esperti che decide le nomination, da attori, registi ed operatori, e da Franca Valeri vincitrice del Premio Speciale del Presidente della Giuria Gianni Letta. Quest'ultimo interverrà all'udienza presidenziale con il Presidente dell'Eti Giuseppe Ferrazza, il direttore del TSV Luca De Fusco ed il segretario generale degli Olimpici Maurizio Giammusso. Dopo la serata finale del Premio dello scorso 10 settembre sul palcoscenico del Teatro Olimpico di Vicenza - condotta in diretta-differita su Raiuno proprio da Ranieri - l'udienza al Quirinale diventa una seconda consacrazione per i vincitori: […] dalla solida drammaturgia di Andrea Camilleri e Giuseppe Di pasquale [Per “Il birraio di Preston”, NdCFC] […].
 
 

L'Espresso, 6.11.2009
Riservato
Camilleri in redazione...

Giornalisti sull'orlo di una crisi di nervi nella sede regionale siciliana della Rai. Involontario responsabile dei malumori del caporedattore siciliano Vincenzo Morgante è lo scrittore Andrea Camilleri, che ha ambientato il suo ultimo noir proprio a Palermo e proprio alla Rai. Il plot narrativo della sua ultima opera ha per protagonista un 'direttore' del tg Rai Sicilia, che nasconde le notizie con sotterfugi e comportamenti politically non correct.
Camilleri sostiene di aver inventato il personaggio di sana pianta. Ma al Tgr Sicilia - dove 'La rizzagliata' di Camilleri è ormai bestseller - lo sfottò è continuo e il testo viene letto e riletto a caccia di indizi buoni a collegare il direttore immaginario e quello vero. In più, quasi in contemporanea con l'uscita del romanzo, Morgante è inciampato sulla classica buccia di banana. I ritardi nel coprire le notizie sulla frana di Giampilieri hanno scatenato la rivolta del comitato di redazione della testata.
M.G.
 
 

6.11.2009
Recensione
"La rizzagliata" di Andrea Camilleri
Romanzo storico di storia più che contemporanea, attuale

Anche questa volta Camilleri ha teso la rete ai suoi fedeli lettori che non sono 25, li ha incastrati in questa storia in cui è complicato districarsi anche se non sono i pesci “cchiù stùpiti o cchiù lenti, ma lo stesso non si sono scansati ’n tempo”.
Dal titolo: dicesi rizzaglio, una rete a forma di campana, chiusa in alto e aperta sotto, contornata da piombini. Si fa roteare perché deve ricadere come un ombrello aperto, cade in acqua per il peso dei piombini, il pescatore tira una corda e la parte inferiore si chiude. Dentro restano i pesci: una bella rizzagliata. Questo romanzo, pubblicato prima in Spagna con il titolo “La muerte de Amalia Sacerdote”, ruota attorno all’omicidio di una studentessa universitaria, Amalia, figlia di Antonino Sacerdote, il segretario capo dell’assemblea regionale, trovata uccisa e che per atto dovuto è inviato un avviso di garanzia al fidanzato Manlio, figlio dell’onorevole senatore Caputo. Relazioni pericolose, macchinazioni, geometrie occulte e disegni criptati s’intersecano in un gioco che di teatrale ha poco e di reale molto, la politica volta e travolta, come le cronache ci insegnano, nel suo inesorabile deviamento verso sordidi obiettivi ed interessi personali. Il caso è seguito da Michele Caruso, il direttore della testata giornalistica regionale siciliana della Rai, la sua storia intima e privata fa da contraltare alla vicenda, in generale, come un cerchio concentrico che si espande e pesca solo quello e quelli che deve pescare. Camilleri fa muovere i personaggi come dentro una scacchiera, le mosse delle pedine inizialmente un po’ imprecise, reticenti, man mano trovano la loro naturale collocazione e alla fine non c’è la sorpresa o il botto come se fin da principio una strategia pianificata portasse alla risoluzione del caso “Ad usum Delphini”. L’imbarbarimento della società e sommamente della politica, il malaffare, la corruzione globalizzati, un blob che ingloba partiti politici, finanza, magistratura, mafia, poteri pubblici… il tutto mixato da battute mordaci e allusive, con il doppio senso della parola siciliana che l’autore orchestra con svariate coloriture stilistiche. Personaggi e situazioni, come tiene a dichiarare e ribadire Camilleri sono frutto di una pura e semplice invenzione senza nessun riferimento con persone realmente esistenti, ma come non poter ravvisare gli stessi scenari che quotidianamente giornali e televisioni ci mostrano e quanto le anomalie italiane ci stanno trascinando in uno dei punti più bassi della nostra storia.
Arcangela Cammalleri
 
 

La Repubblica (ed. di Bologna), 6.11.2009
Donne pirandelliane in Festa di famiglia

Pirandello era ed è a tutt'oggi il padre riconosciuto del nostro «teatro borghese». Sono partite da questa considerazione le quattro attrici-autrici raccolte sotto lo pseudonimo di «Mitipretese», impegnate in un progetto drammaturgico che indaga la figura femminile contemporanea all'interno delle dinamiche familiari. Nasce, così, «Festa di famiglia», testo e regia di Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariangéles Torres in scena stasera, alle 21, al Teatro Duse (repliche fino a domenica, Collaborazione alla drammaturgia di Andrea Camilleri). Attrici sono le stesse autrici di Mitipretese con Fabio Cocifoglia e Diego Ribon. «Nessuno meglio del grande agrigentino» - commentano le registe - ha saputo indagare le vicende delle donne nella famiglia». Partendo da questo e con l'ausilio di un altro grande agrigentino, Camilleri, lo spettacolo promana dall'urgenza delle donne di parlare della loro difficoltà di rapportarsi alle dinamiche perverse della famiglia, che con difficoltà si conciliano con le esigenze del lavoro e con un' emancipazione solo apparentemente reale.
Micol Argento
 
 

Il Messaggero, 6.11.2009
La polemica
Stretta la Crusca, largo è lo slang

Ogni anno i giornali annunciano eccitati l’ingresso di una manciata di nuove parole (di solito inglesismi da manager o da internauti) nel vocabolario. E puntualmente i Signori della Crusca (che a dispetto del loro nome non regolano le funzioni del tratto intestinale) si lamentano dell’imbarbarimento della lingua perché usiamo poche parole rispetto alla grande varietà offerta dal vocabolario.
È vero e nello stesso tempo non lo è.
All’epoca di Shakespeare, tanto per dire, la nostra lingua aveva il triplo di parole dell’inglese. Oggi, anche a vocabolario integrale, ne abbiamo un terzo. Com’è avvenuto questo sorpasso? Semplice: gli anglosassoni sono meno conservatori di noi (anche se sembra una bestemmia, visto che si ciucciano ancora la Regina e i Quilt).
Il segreto sta nello slang, che è una specie di anticamera della lingua. Slang significa gergo più che dialetto. Sono parole ed espressioni che pur non avendo nobili natali vengono adottate dalla gente (e spesso dagli scrittori).
I Signori della Crusca sono disperati perché invece di usare edace diciamo magnone (potevo scrivere vorace, è vero, però magnone è un termine più incisivo e accettato da tutti, come magna magna). Smucinare, per esempio, è un’altra forma poco nobile, ma molto espressiva, compresa in gran parte dell’Italia (di sicuro più di edace). E dove non è chiarissima si usa ravanare, altro bel termine.
Ecco, questo genere di parole (e moltissime altre che la Crusca non conteggia) non sono più dialetto ma gergo, slang, e andrebbero di diritto inserite nel nostro vocabolario, magari per un po’ di tempo in appendice (come si fa per i santi, che prima devono passare per la beatificazione).
Allora, con questa elasticità creativa, potremmo non solo calcolare il numero delle vere parole ma sperare in un dolce stil novo (di certo inaccettabile per la Crusca così come all’epoca i Sacerdoti del latino non digerivano l’italiano). Non sarebbe bello che la lingua tornasse volgare, com’era quella rivoluzionaria di Dante?
In fondo, se si bada all’arrosto e non al fumo, le parole hanno un comune requisito (che è anche estetico): creare suggestioni, immagini, evocare emozioni. Comunicare e far volare insieme.
Ma forse, per esempio, Camilleri ha sbagliato tutto. Che minchia di lingua scrive?
Luca Di Fulvio
 
 

Lungotevere.net, 7.11.2009
I segreti di Camilleri
Lo scrittore siciliano racconta le sua vita e le sue storie durante gli incontri alla Biblioteca Giordano Bruno

Roma, 7 nov 2009 – Nella seconda giornata della manifestazione: "A ottobre piovono libri", che si tiene presso la biblioteca Giordano Bruno nei mesi di novembre e dicembre, è giunto Andrea Camilleri, il creatore della saga di Montalbano e di tante altre storie scritte con quell’infallibile mix di italiano e dialetto siciliano. Lo scrittore, giunto ormai alla veneranda età di 84 anni, svela i segreti che si annidano dietro il suo lavoro e dietro le pagine dei suoi romanzi di successo. Una vera e propria biografia raccontata attraverso aneddoti, storie e avvenimenti: tutti elementi essenziali per un autore che parte dal vissuto quotidiano per ricreare una società, quella siciliana, che da realtà, diventa finzione letteraria.
Camilleri comincia a scrivere da giovane, invia raccolte di poesie e racconti alle redazioni di alcuni importanti quotidiani dell’immediato dopoguerra: il tutto, come confessa lui stesso, senza conoscere nessuno. Nel 1947 partecipa al premio San Vincent, presieduto da Ungaretti, che pubblica una sua raccolta di poesie nella collana "Lo Specchio" (Mondadori) e nello stesso anno partecipa al premio libera stampa di Lugano: "Dopo circa un anno – racconta lo scrittore - ricevetti un foglietto di carta mal stampato nel quale c’era scritto che dei pervenuti 380 manoscritti ne selezionavano 20: andai a guardare e c’era il mio nome, ma c’erano anche i 20 nomi che avrebbero fatto la letteratura da lì per i prossimi 10 anni. Questi grandi critici avevano avuto fiuto in questo, ma io, al contrario di altri, sono sparito completamente e sono arrivato con 40 anni di ritardo. Avete presente nella maratona, quando uno arriva due giorni dopo rispetto agli altri? Per me fu più o meno così perché nel 49 vinsi il concorso all’accademia di arte drammatica di Roma ed ebbi la sfortuna o la fortuna di essere l’unico allievo di quell’anno ammesso in regia. Avevo tre docenti a mia completa disposizione e il maestro di regia Orazio Costa, un genio, prese il mio cervello e lo proiettò dalla letteratura al teatro. Rimasi diroccato lì per 35 anni".
Una strana storia o un destino particolare per uno degli scrittori più letti in Italia e nel mondo, un percorso che si discosta dalla letteratura per un periodo molto lungo. L’arte di scrivere e la capacità di strutturare un romanzo Camilleri da qualche parte l’aveva presa, ma forse era stata immagazzinata per venire fuori al momento giusto. Lo scrittore svela anche questo: "Quando cominciai a lavorare per il secondo canale, mi diedero l’incarico di produrre il commissario Maigret, una proposta fatta da Diego Fabbri. Allora cominciai a seguire la produzione a partire dalla sceneggiatura e mi accorsi del metodo curioso con cui lavorava Diego. Si comprava sei copie dello stesso romanzo, gli Oscar perché costavano poco, e ne strappava le pagine facendo mucchietti dei vari episodi che componevano il romanzo. In altre parole destrutturava la storia e cominciava a mettere in fila questi episodi, li risezionava nuovamente in un ordine diverso e scriveva dei foglietti dove c’erano le scenette di raccordo: praticamente lo ristrutturava in forma televisiva. Seguendo il suo lavoro, mi resi conto che la sua era una sorta di bottega di orologiaio e lui tirava fuori tutti i componenti di un orologio per metterli in una cassa diversa. Non imparai l’arte di scrivere una sceneggiatura, ma quella di costruire un romanzo poliziesco; non immaginavo che mi sarebbe servita 35 anni dopo, ma, quando ebbi la necessità, mi ricordai che quell’arte ce l’avevo nel cassetto".
E quest’arte servì a Camilleri anche per ideare la famosissima saga di Montalbano, quella della fiction televisiva con il commissario interpretato da Zingaretti. Anche dietro a questa figura ci sono storie ed aneddoti, ma la nascita del personaggio non è stata così facile come si potrebbe immaginare. A proposito Camilleri racconta: "Il nome Montalbano nasce come omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vàzquez Montalbàn. Quando scrissi il Birraio di Preston, non riuscivo a cavarne fuori niente, era un romanzo illeggibile perché avevo messo in ordine cronologico gli eventi. Ero disperato perché pensavo che il materiale fosse buono e che non fossi riuscito ad indovinare la struttura. Poi mi capitò tra le mani un libro di questo Montalbàn ,Il pianista, dove c’era una scomposizione molto particolare del racconto e capì che quella era la strada per salvare Il birraio di Preston. Grato chiamai il commissario Montalbano. Molti mi chiedono se questo personaggio mi somiglia, ma la verità è che non c’entra niente; diciamolo francamente! Tuttavia c’è una cosa molto bella, molto vera e molto autentica, scoperta qualche anno fa da mia moglie. Arrivata a un certo punto, al quinto romanzo di Montlabano, mi disse: "Ma te ne rendi conto che stai facendo il ritratto di tuo padre?".
I romanzi di Montalbano sono molto amati, tanto da farne una serie televisiva di successo e tanto da essere tradotti in moltissime lingue; tuttavia la scrittura di Camilleri, nel corso degli anni, ha ricevuto anche tante critiche perché considerata un ibrido tra l’italiano e il dialetto. Ma la scelta non è stata casuale: "Quando mi venne in mente di scrivere una storia con parole mie, trovai subito la difficoltà di come raccontarla perché per noi siciliani l’italiano è come il francese, una lingua da studiare a scuola. E allora come fare a esprimere quello che hai dentro non avendo uno strumento? L’unica cosa è crearne uno nuovo. Cominciai a ricordare alcune cose, cioè che noi, piccola borghesia siciliana, usiamo un misto di italiano e di dialetto. Tra l’altro mi capitò la fortunata situazione di mettere insieme il Ciclope di Pirandello, quello ripreso da Euripide e tradotto in dialetto siciliano. Cosa fece Pirandello? Fece parlare il Ciclope come un massaio, greve, pesante, contadino, usando parole che io ho rubato di sana pianta. Ulisse, invece, parlava con il linguaggio di chi ha fatto il militare a Cuneo, di chi ha girato il mondo, mentre Sileno, il capo dei mandriani del Ciclope, parlava come un mafioso. Allora mi dissi perché non seguire questa strada? Lingua italiana, parlate varie del siciliano e, nel momento in cui non mi viene niente, qualche parola inventata".
Carlo Cammarella
 
 

Il Tirreno, 7.11.2009
Camilleri cala una coppia e non sbaglia un colpo

Il rizzaglio è una rete a forma di campana da cui è difficile scappare. Tutt’attorno ci sono dei piombini che la portano a fondo, una corda la serra e dentro, impigliati senza via di scampo, restano i pesci. La metafora del titolo è chiarissima: non è facile sfuggire alla rete che il potere costruisce attorno a una persona, soprattutto se il pesce non è furbo e abile come chi ha lanciato il rizzaglio. Col suo romanzo “La rizzagliata” Camilleri svetta di nuovo nelle classifiche di vendita e costruisce un amaro romanzo d’attualità, traendo spunto da un fatto di cronaca, il delitto di Garlasco. Romanzo storico, lo definisce Camilleri, perché fotografa la triste situazione dell’Italia di oggi. Corrotta, cinica, amorale, disorientata. Tutta la vicenda ruota attorno alla Rai siciliana: un avviso di garanzia al figlio di un importante esponente della sinistra siciliana per l’uccisione della fidanzata, il silenzio complice del telegiornale Rai sul fatto, un direttore pavido, una segretaria pettegola, un cronista piuttosto ingenuo tradito dalla sua donna, amante del direttore, e naturalmente l’ipotesi del complotto costruito dagli avversari politici. Nessuna possibilità di distrazione: la visione pessimistica e dolorosa di un Paese in decadenza trascina il lettore fino in fondo senza un Montalbano che ristabilisca l’ordine. Cinismo, realismo: quello che conta per i personaggi è avere l’appoggio dei potenti, quelli che usano l’informazione e il potere politico per i propri bassi interessi, ricorrendo anche al ricatto e all’omicidio. Mafia, insomma, mafia di Stato. Così, questo romanzo si lega ad un altro libro di Camilleri, appena uscito: racconta l’esperienza parlamentare di Leonardo Sciascia, a cui Camilleri fu legato da amicizia, attraverso le interrogazioni che lo scrittore di Racalmuto presentò, dalle fila dei Radicali, tra il 1979 e il 1983. Quando ancora qualcuno, mosso da autentica passione politica, era capace d’indignarsi. ANDREA CAMILLERI “La Rizzagliata”, Sellerio, pp.210, euro 13 “Un onorevole siciliano”, Bompiani, pp.192, euro 12
 
 

Il Recensore.com, 7.11.2009
“La rizzagliata”, la verità confezionata per Camilleri

“La rizzagliata” (Sellerio, 2009) di Andrea Camilleri, si può certamente considerare un romanzo storico a tutti gli effetti perché è il ritratto fedele dell’Italia di oggi e dell’enorme potere che l’informazione, anzi in questo caso la mala informazione, ha nel nostro Paese. A Palermo Amalia Sacerdote, figlia del segretario generale dell’Assemblea Regionale Siciliana, viene trovata morta nella propria casa con il cranio fracassato da un pesante portacenere
Amalia era fidanzata con Manlio Caputo, figlio del leader della Sinistra siciliana, il quale accusato dell’omicidio della ragazza, riceve un avviso di garanzia. Il direttore della redazione Rai siciliana Michele Caruso molto opportunamente, da la notizia dell’avviso di garanzia in un orario di minor ascolto del telegiornale, rendendosi così complice di una rete di connivenze, la quale coinvolge potere economico, politico, giudiziario e giornalistico. Il rizzaglio in dialetto siciliano è una rete da pesca a forma di campana da cui è difficile fuggire a causa dei piombini che si trovano intorno e che la portano a fondo, una corda la serra e chi o cosa vi resta impigliato, come i pesci, non trova scampo… Ecco spiegato il titolo dell’ultimo intenso libro del grande scrittore siciliano che descrive l’Italia attuale e l’intreccio politico, mediatico, affaristico, giudiziario e mafioso che lede le sue fondamenta. La verità quindi è confezionata ad uso e consumo delle masse televisive.
Andrea Camilleri durante le molte interviste da lui rilasciate in occasione dell’uscita del noir, edito prima in Spagna col titolo “La muerte da Amalia Sacerdote“, ha dichiarato che la genesi dello stesso ha radici lontane. Tre anni fa, mentre l’autore pensava a come impostare la trama, erano i primi tempi del delitto di Garlasco, dove un ragazzo era stato accusato dell’omicidio della propria fidanzata, ma “il mio recondito pensiero” era rivolto al caso Montesi. Nel 1953 Wilma Montesi venne trovata  assassinata nella spiaggia di Capocotta, il suo omicidio ebbe allora un grande rilievo mediatico a causa del coinvolgimento di numerosi personaggi di spicco nelle indagini successive all’omicidio. Nell’Italia degli anni Cinquanta  il delitto venne sfruttato a fini politici e la stessa cosa avviene ne “La rizzagliata”, primo nella classifica dei libri italiani più venduti, anche se qui la televisione assume un ruolo chiave.
Mala tempora currunt! Avrebbe detto Cicerone. E la stessa frase riemerge nelle pagine del romanzo e nella mente di chi legge, che resta soffuso da una non troppo velata amarezza ma anche dal palese cinismo dei suoi protagonisti. Nella Palermo degli anni 2000, metafora dell’Italia di oggi, nessuno trova più la voglia o il coraggio di indignarsi, di dire «io non ci sto». Qual è la verità ora? Chi fa la pubblica opinione nel nostro paese, noi cittadini o la televisione? A Camilleri dunque, il quale con “La rizzagliata” ha vinto il Premio Internacional RBA de Novela Negra 2008,  il grande merito di aver posto alla nostra attenzione questo vulnus della nostra società.
Parafrasando ciò che recita Humphrey Bogart nel film del 1952 “L’ultima minaccia” di Richard Brooks potremmo amaramente dire “è la televisione, bellezza, e tu non ci puoi fare niente… niente!“.
Alessandra Stoppini
 
 

Letti da rifare, 7.11.2009
Il sonaglio - di Andrea Camilleri

A me Camilleri fa morire dal ridere: me lo immagino, questo signore anziano e distinto, che ogni tanto  va in fregola e scrive un romanzo frìfrì, tutto compiaciuto, col doppiomento ballonzolante. E dopo “La presa di Macallè”, col bimbo e il suo super mega aciddruzzo, ecco Giurlà, figlio di pescatori mandato a travagliare in montagna, a fare il guardiano di crape. E Giurlà prima si intristisce per la mancanza del mare, poi prende confidenza con l’ambiente, e dopo aver sperimentato l’amor carnale (spesso lo sguardo ha fame) con una allegra pastorella, si invaghisce niete popò di meno che di una bella crapa, le dà un nome (Beba) e le dà anche altro.
E via andare in un bucolico accordo di amorosi sensi - per non farlo troppo tera tera Camilleri al giovane Giurlà fa leggere Lucrezio, tra una faccenda e l’altra.
Finchè - colpo di scena - all’ovile arriva in villeggiatura la figlia del capo, tale Anita, che un bel giorno mentre fa il bagno nel laghetto rischia di affogare, e viene salvata in extremis dal provetto nuotatore Giurlà. Anita si invaghisce, Beba ha la peggio ma la metamorfosi è dietro l’angolo.
Non posso dire che sia un libro che non mi è piaciuto: l’ho letto indubbiamente volentieri, Camilleri è bravo, la storia prende e il ritmo tiene per tutto il racconto. Certo “La scomparsa di Patò” o anche “La concessione del telefono” sono altra roba.
la barrocciaia
 
 

Teatro.org, 11.2009
La recensione
Questioni di famiglia
Visto il 07/11/2009 a Bologna (BO) Teatro: Duse
Voto: 4/5

“Festa di Famiglia”, ultima fatica della compagnia Mitipretese che porta la firma drammaturgica dell'illustre Andrea Camilleri, è un lavoro complesso e appassionato, che affronta una tematica difficile come la violenza sulle donne, in modo intelligente, ironico e non banale. La tematica di per sé è densa di tensioni e risvolti drammatici, per cui era necessaria una riflessione sulle dinamiche violente all'interno di un nucleo famigliare che ponesse l'accento sul lato tragicomico, grottesco e ridicolo che “si cela dietro le umane miserie”.
Mitipretese non mette in scena le vicende di violenza che affollano i notiziari televisivi, gli episodi eclatanti che fanno tanto rumore, bensì indaga la violenza nascosta, celata, quella che silenziosa si insinua dentro le pareti domestiche, in famiglia.
Lo spunto letterario da cui sono partiti per “Festa di Famiglia” è la vicenda di Mommina e Rico Verri contenuta in “Questa sera si recita a soggetto” di Pirandello: le prime battute dello spettacolo, infatti, si svolgono tra questi due personaggi, quasi a voler sottolineare la natura archetipica della violenza domestica.
La vicenda inizia con l'attesa da parte di tutti di recarsi alla festa di compleanno per i 60 anni della signora Ignazia: le tre figlie, Donata, Mommina e Frida le hanno preparato una sorpresa.
La peculiarità della drammaturgia scritta a due mani da Mitipretese e Camilleri è il suo essere un dramma mancato: la sofferenza e il dolore che queste donne provano - una sorella é sposata a un marito geloso che vorrebbe farle togliere dalla testa i suoi sogni, un’altra ha subito violenza da parte del padre, la terza sorella non è soddisfatta della propria relazione e la madre è afflitta dall’abbandono del marito – non hanno un epilogo, non hanno uno sfogo drammatico, non ci sono uccisioni o addii, o gesti importanti, ma c'è solo una tensione costante che attraversa tutto il dramma, caratterizzata da dialoghi ironici, acuti e da frecciatine intelligenti e mirate.
In questa situazione drammaturgica al limite emergono le eccezionali capacità tecniche degli attori stessi, immersi in uno spazio vuoto, fatta eccezione per la presenza di alcuni mobili e oggetti, con luci quasi a giorno che volutamente illuminano anche il pubblico, con cui spesso dialogano direttamente. Il cast è affiatato e talentuoso, gli attori sono abili nel trovare la verità del proprio personaggio e nel mostrarla al pubblico.
C'è un abbozzo, un tentativo di metateatralità in alcuni momenti dello spettacolo, quasi fosse un omaggio a Pirandello e al suo “teatro nel teatro”: una volta si commenta un foulard che non si strappa, un'altra volta gli attori parlano del più e del meno, per un paio di minuti un’altra volta viene fatto squillare un cellulare e uno degli protagonisti si arrabbia per l’interruzione.
Non è chiaro se questi momenti di stand-by siano da considerare semplicemente un omaggio a Piarandello o se si basano su un disegno registico preciso.
L'allestimento è intelligente, gioca con la capacità delle attrici di vedersi vivere e di ribaltare l'apparenza ricorrendo all'umorismo, tanto caro a Pirandello.
Mitipretese riesce a tradurre la complessità e l’insidiosità dei rapporti familiari che spesso sfociano in brutalità, ricorrendo all'ironia e a un finale surreale.
Valentina Scocca
 
 

La Repubblica (ed. di Roma), 8.11.2009
I volti di Filumena. Da Titina a Lina Sastri

‘E figlie so´ figlie e so´ tutt´eguale!. Con queste parole, tra le più famose del teatro di Eduardo De Filippo, Filumena Marturano rifiuta di svelare a Domenico Soriano, don Mimì, quale, tra i tre figli di lei, sia il suo. Una decisione ostinata e crudele che rende perfettamente il carattere del personaggio scritto nel 1946 per la sorella Titina De Filippo, che ne rese una grande interpretazione in teatro e sullo schermo nel film diretto da Eduardo.
[…]
Dopo Titina, fu Regina Bianchi ad affiancarsi ad Eduardo che la diresse in una versione televisiva nel 1962. In questo caso l´aneddoto riguarda Andrea Camilleri che disse alla Bianchi: «Regì, guarda che poi questo Titina se lo vede». E lei si impegnò con tanta forza che Camilleri alla fine del primo atto andò ad abbracciarla emozionato. L´attrice scaricò la tensione svenendo tra le sue braccia.
[…]
Maria Pia Fusco
 
 

Agrigento Oggi, 8.11.2009
"La rizzagliata", nuovo libro di Andrea Camilleri

Quasi un mese fa, sul quotidiano La Stampa, è uscito  l’incipit del nuovo libro di Andrea Camilleri, che sta già  spopolando, e che porta un titolo un po’ curioso:  “La Rizzagliata”. In dialetto siciliano il “rizzaglio “ è una rete a forma di campana, usata dai pescatori, da cui i  pesci difficilmente escono vivi; di solito si dice «Ittari nna rizzagghiata», quando si vuole intendere:  «non lasciar uscir di mano nulla, né perdere occasione alcuna di qual si voglia poca importanza ch’ella si sia».
Camilleri aveva già fatto uscire in Spagna questo romanzo nel 2008, con il titolo “La muerte de Amalia Sacerdote”, e dal 15 Ottobre è uscito in Italia, edito da Sellerio Editore Palermo. “La rizzagliata” è il primo giallo moderno di Camilleri senza il suo personaggio simbolo, Montalbano, e contiene una serie di riferimenti mirati al caso Garlasco.
Il romanzo dunque non appartiene ai tre generi tipici di Camilleri, a cui ci siamo abituati in questi anni: romanzo storici come il “Birraio di Preston”, il ciclo delle metamorfosi che parte con “Il Casellante” e termina con “Il sonaglio”, il filone d’oro delle vicende di Montalbano. Protagonista della vicenda è Michele Caruso, direttore del Tg Rai di Palermo, che si rifiuta di aprire il notiziario regionale con la notizia della morte di una ragazza del cui omicidio è incolpato il fidanzato, Manlio Caputo, figlio del leader della sinistra siciliana. Anche la ragazza, Amalia Sacerdote, è figlia di un politico, ma del partito rivale.
Leggendo, si scopre a poco a poco che il cadavere della ragazza può creare non pochi problemi, connessi con il potere economico, giudiziario, mediatico, e, soprattutto, politico dell’isola. Tutti questi poteri creano appunto una rete senza scampo, un “rizzaglio”. Come leggiamo nel libro: ““i pesci cchiù stùpiti o i cchiù lenti, naturalmente, pirchì quelli cchiù sperti, videnno la riti calare, si scansano ‘n tempo”.
Il romanzo affronta anche il problema della verità: essa è una realtà confezionabile, come qualsiasi menzogna. La verità autentica trova spazio solo nell’utopia fantascientifica della letteratura, che potrebbe trovare posto anche al cinema, infatti è stata paventata l’ipotesi di trasformare il libro in un film, anche se con un titolo un po’ più nazionale: Girotondo attorno ad un cadavere. Con questo romanzo, che per la verità possiamo considerare una sorta di lungo racconto, Andrea Camilleri ha già vinto il Premio Internacional RBA de “Novela Negra 2008?.
Giada Attanasio
 
 

La Repubblica, 9.11.2009
Montalbano di nuovo in tv contro Bonolis

Roma - Montalbano come Sissi e "Pretty woman". Il produttore Carlo degli Esposti calcola che in dieci anni la serie sia stata seguita da 350 milioni di spettatori. Sarà per questo che da mercoledì, contro l'imbattibile Paolo Bonolis complice dei bambini pestiferi di "Chi ha incastrato Peter Pan?" (hanno sconfitto anche il calcio), RaiUno non ha trovato di meglio che affidarsi all'eroe di Camilleri. Mentre i nuovi episodi non andranno in produzione prima della metà del 2010, Luca Zingaretti torna in tv con le repliche delle repliche. «Ormai Montalbano è diventato un classico» spiegava l'attore a proposito del successo «al pubblico fa piacere ritrovare luoghi, sapori, personaggi». Verissimo, però non si corre il rischio di usurare un prodotto doc? Con Montalbano non si fa in tempo a provare un po' di nostalgia, l'ultima volta l'abbiamo rivisto alla fine di luglio.
 
 

Corpi freddi - Itinerari noir, 9.11.2009
La Rizzagliata - Andrea Camilleri
Rizzaglio: è ‘na rete a forma di campana, chiusa in àvuto e aperta a vascio, con l’apertura contornata da piombini. La fai roteare e poi la lanci…
… “I pisci cchiù stupidi o cchiù lenti, ci restano dintra; quelli più sperti, videnno la riti calare, si scansano ‘n tempo”

La trama:
In un Palermo indifferente, viene scoperto il cadavere di una bella ragazza, il padre è un politico importante dello schieramento governativo nonché fratellastro di un boss mafioso, il fidanzato è figlio di un politico importante dell’opposizione.
I personaggi:
Il direttore di rete della tv di stato Michele Caputo, il redattore capo Alfio Smecca, due femmine stereotipate, la ‘zoccola’ e la figlia di papà!, Informatori, inviati dell’una e dell’altra parte, l’assessore di turno, l’altro amante.
La storia:
Parte con un paio di appunti sulla tv di stato per addentrarsi negli intrecci politica locale, politica di Roma e strani sgherri.
Continua con le vicende e l’opportunismo personale del direttore di rete, e di come tutto ciò lo porti ad assecondare mafia e politica alternativamente, per tutelare la propria pace mentale e per non dispiacere a paparino, fregandosene di favorire così tresche mafiose-politiche.
“non lo sai ancora doppo un anno che travagli qua? Che prima di dari ‘na notizia ci dovemo pinsari quattro volte!”
Detto ciò e premettendo che io adoro Camilleri in tutte le sue forme ed espressioni: con Montalbano, senza Montalbano, fiaba, favola, sabato con amici e senza, storico, teatrale, questo libro mi ha lasciato un solo pensiero:
Libro senza anima
Una storia, un libro che non mi ha trasmesso né calore, né dolore, né emozione, sembra costruito a tavolino per raccontare la storia di un intreccio politico-mafioso.
Mi è sembrato che Camilleri abbia voluto creare una sorta di anti-Montalbano, un personaggio passivo, Caruso che accetta tutti i compromessi, che fa di tutto per vivere tranquillo, che non solo parla di lavoro mentre mangia ma addirittura mangia con persone che danno il peggio di se stessi a tavola ‘allordandosi’.
Leggendo quelle righe, mi veniva in mente: - se c'era Salvo, a calci lo prendeva! –
Un uomo che assiste, alla morte-sparizione di una persona senza 'cataminarsi' senza far nulla! La negazione stessa di tutto quello in cui crede Salvo Montalbano.
Insomma un libro che a livello emozionale non mi ha dato nulla.
Per quanto riguarda, la vicenda di intrighi, politica-mafia, mafia-banche, banche-politica è abbastanza verosimile e ahinoi plausibile, ma da Camilleri mi sarei aspettata di più, molto di più!
Marta
 
 

BookStore, 10.11.2009
Il nipote del negus

Nuovo romanzo per Andrea Camilleri. La sua uscita è attesa per il prossimo febbraio.
Prezzo € 13,00, 224 p., Sellerio Editore Palermo, Collana La memoria
Sianna
 
 

newsfood.com, 10.11.2009
Agricoltura e Cultura
"Bandiera Verde Agricoltura 2009": domani verrà premiato lo scrittore Andrea Camilleri
Il premio giunto alla sua settima edizione, è promosso dalla Cia. Insigniti Province, Comuni, aziende agricole e personalità della cultura

E' lo scrittore Andrea Camilleri uno dei premiati di "Bandiera Verde Agricoltura 2009", che verrà consegnato domani mattina a Roma, presso la "Residenza di Ripetta". Il premio, promosso dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori, viene conferito ad aziende, territori e personalità che si sono particolarmente distinte nell' agricoltura sostenibile, nel recupero di tradizioni, nell'innovazione, nell'originalità e nell'ingegno.
La motivazione del riconoscimento allo scrittore Andrea Camilleri risiede "nelle continue ‘immersioni' del Suo Commissario Montalbano nell'enogastronomia tradizionale e di qualità che rappresentano uno straordinario contributo alla salvaguardia, alla valorizzazione e alla diffusione della conoscenza dell'impareggiabile scrigno di sapori, storia e territori del nostro Paese. Al contempo l'attenzione al cibo, la ricerca di prodotti particolari fanno del Commissario Montalbano e quindi del Suo geniale creatore, un testimone d'eccezione della sapienza e dell'insostituibile attività che gli agricoltori svolgono nella produzione di materie prime, nella tipicità e nella costruzione del paesaggio italiano. Andrea Camilleri è un patrimonio immenso come gli agricoltori e crea un' immagine positiva del nostro Paese nel Mondo".
Lo scrittore siciliano, che si è detto felice per questo riconoscimento, ha fatto sapere che sarà presente domani alla cerimonia di premiazione.
CIA.it
 
 

11.11.2009
Il nipote del Negus
Il nuovo romanzo storico di Andrea Camilleri sarà pubblicato da Sellerio a marzo.
 
 

Il Velino, 11.11.2009
Camilleri: Agricoltura elemento vitale della vita dell’uomo

 Roma - “L’Agricoltura è considerata troppo spesso un comparto marginale. Un errore che ci costerà caro e che già ci sta costando caro”. A dirlo al VELINO è Andrea Camilleri, dopo aver ricevuto il premio Bandiera Verde dalla Confederazione italiana agricoltori-Cia, a Roma. Il rapporto che Camilleri ha con l’agricoltura è stretto. “Se il governo desse all’agricoltura un decimo di quello che dà all’industria il comparto rifiorirebbe in Italia. Invece si preferisce elargire troppo a certe industrie che speculano su aiuti governativi. Se non si aiuta l’agricoltura ci ritroveremo a mangiare prodotti che vengono da fuori ma che potemmo produrre in Italia”. E non solo. Camilleri incalza a difesa dei lavoratori della terra: “Quando si trovano i conti all’estero non credo che tra quelli ci siano i conti degli agricoltori. Questo deve pur significare qualcosa”. Senza considerare che l’agricoltura è tutta intorno a noi. Giorno dopo giorno. “Siamo nati dalla terra e della terra abbiamo sempre vissuto. È elementare l’importanza del comparto primario. L’agricoltura è un elemento vitale della vita dell’uomo. E non significa solo coltivare broccoletti e ravanelli – conclude Camilleri – ma si tratta di un bagaglio fortissimo di tradizione e cultura”. Poi l’autore del commissario Montalbano fa una riflessione sui punti fondamentali di cui uno scrittore deve tener conto quando scrive: “La lealtà con se stesso e con i propri lettori”, spiega. “Vale a dire essere onesti quando si scrive”. Anche perché, spiega, “si può barare molto facilmente scrivendo. Bisogna scrivere quello che si pensa realmente e dirlo nel modo giusto e più chiaro possibile. Così che arrivi al più ampio raggio di lettori”. Senza che diventi però “un compito imposto”.
 
 

I Sogni Ferrosi, 11.11.2009
Letture – La rizzagliata
(Mi libero subito di una menzione d’onore per la copertina, i quadri scelti alla Sellerio ultimamente mi sembrano pure migliori del solito)

Questa volta il più pulito c’ià la rogna.
Partendo da un delitto ispirato (come conferma nella nota finale) al delitto di Garlasco che volenti o nolenti conosciamo più o meno tutti, il Sommo costruisce una trama complessa e veloce che (confesso) non ho nemmeno seguito in profondità più di tanto, mi è bastato lasciarmi portare del fluire delle scene e dei dialoghi, con buona pace del dialetto forse un po’ più aspro rispetto a quello di Montalbano al quale sono ormai avvezzo. Sarà perché il panormitano differisce dal girgentino, pardon, dal vigatese?
Storia letta attraverso le giornate di un direttore regionale del TG che fra un’amante fin troppo vogliosa, un sottoposto ansioso di fargli le scarpe, politici e gente “di rispetto” che a varî livelli lo controllano, segue le indagini ufficiali e a suo modo gestisce la propria indagine “ufficiosa”, ma non certo per scoprire l’assassino.
Camilleri disegna, fra le altre cose, una redazione del TG regionale che un po’ di inquietudine la mette, e poco tranquillizza il fatto che l’autore affermi di avere inventato tutto, di non aver mai assistito a certe riunioni, di non conoscerne le reali dinamiche; se anche non fosse vero, è (purtroppo) di sicuro molto verosimile…
 
 

Davide Maggio's blog, 11.11.2009
Il telecomando
Raiuno, ore 21.10: Il Commissario Montalbano, La Pista di Sabbia

"La pista di sabbia" è una storia bellissima, avventurosa, calda, e si svolge in un contesto completamente nuovo per Montalbano, quello delle corse di cavalli: alcune elegantissime, organizzate da un entourage di nobili, altre clandestine, organizzate dalla mafia. "La pista di sabbia" inizia con il ritrovamento di un cavallo massacrato che è venuto a morire nella spiaggia sotto la casa del commissario. Da quel momento Montalbano incomincia la sua indagine circondato da una serie di personaggi curiosi ed affascinanti: i manichini della nobiltà siciliana di provincia, i brutti ceffi dei cavallari, i gregari della mafia, semplici delinquenti e, infine, i capo-rioni che tirano le fila dei delitti, il tutto condito dall'apparizione di una bella amazzone amica di Ingrid. Montalbano conduce la sua indagine difficile evitando i falsi obiettivi che si frappongono tra lui e la soluzione e finalmente, con uno stratagemma ingegnosissimo, riesce a snidare i veri colpevoli e a salvare il fido Galluzzo addirittura da un'accusa di omicidio. Come sempre un giallo dalle grandi atmosfere che ritorna all'azione dei primi episodi, un vero Montalbano.
 
 

La Repubblica (ed. di Napoli), 11.11.2009
Gli sguardi inquieti di Luigi Pirandello e di Neil Simon

Ci parlano della famiglia di ieri e di oggi gli "interni domestici" delle commedie di Luigi Pirandello rivisitati da Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres, "attrici-autrici" che, con la complice mano dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, firmano "Festa di famiglia": in scena al Mercadante, piazza Municipio, da questa sera fino aa domenica 22. Le autrici raccontano «una storia contemporanea, un punto di vista sulla famiglia che sembra superato per la nostra così evoluta società, ma che invece rispecchia ancora fedelmente quello che siamo». In scena anche Fabio Cocifoglia, Anna Gualdo e Diego Ribon. Sempre stasera all' Acacia, in via Tarantino al Vomero, Gianfranco D' Angeloe Ivana Monti sono i protagonisti di "Un giardino di aranci fatto in casa" di Neil Simon, intricati e vivaci percorsi per «una commedia che affronta il tema attualissimo dei rapporti padrifigli con sentimento ironia e soprattutto grande divertimento». Repliche fino a domenica 15.
 
 

Agrigentoweb.it, 12.11.2009
Inaugurata Casa Sicilia Bulgaria

Inaugurata oggi a Sofia in Bulgaria la nuova Casa Sicilia. Una vetrina per la promozione dell’immagine, dei prodotti tipici  e dell’artigianato isolano ospitata all’interno di un monumento storico nazionale: la casa dello scrittore Tzvetan Radoslavov autore dell’inno nazionale bulgaro.
Casa Sicilia […] quest’anno si è arricchita di una iniziativa che è stata incardinata nell’ambito della manifestazioni di inaugurazione: la presentazione del libro di Andrea Camilleri “La pensione di Eva” per la prima volta tradotto in cirillico.
La Regione Siciliana infatti, ha pensato a Camilleri come ambasciatore della cultura siciliana all’estero, che con le sue opere già tradotte in varie lingue adesso apre uno spaccato della nostra tradizione letteraria anche in Bulgaria.
L’iniziativa è stata presentata oggi alla presenza di una folta delegazione con in testa  l’Assessore Regionale al Turismo Nino Strano, l’On. Fabio Granata Vice Presidente nazionale della commissione parlamentare antimafia, la figlia di Camilleri, Andreina, Nino Di Giacomo componente dello staff di diretta collaborazione assessoriale e il Ministro della cultura  bulgaro.
Nel corso della presentazione dell’opera letteraria è stata proiettata una intervista  ad Andrea Camilleri, realizzata a Roma dal direttore di Tva Arturo Cantella , che con una troupe si è recato a Casa Sicilia per la realizzazione di un ricco reportage sull’argomento.
[…]
 
 

Reality & Show, 12.11.2009
Ascolti tv, record per Chi ha incastrato Peter Pan? (30,28%). 20% per Montalbano, 11,44% per Che tempo che fa, 11,24% per X Factor

[…]
Su Raiuno la replica di “La pista di sabbia”, film-tv della serie “Il commissario Montalbano” (8) ottiene una media di 5.306.000 (19,99%). In dieci anni la fiction (spesso replicata) è stata seguita da 350 milioni di spettatori. "Ormai Montalbano è diventato un classico - spiegava l'attore Luca Zingaretti (8) a proposito del successo - al pubblico fa piacere ritrovare luoghi, sapori, personaggi". I nuovi episodi non andranno in produzione prima della metà del 2010.
[…]
 
 

milanoNERA, 12.11.2009
Andrea Camilleri, Saverio Lodato
Cronache con rabbia 2008-2009
chiarelettere , 2009

Fra i tanti vizi degli italiani uno dei più irritanti è certamente quello di non prendere in considerazione nulla che non sia stato raccontato nel corso di una, meglio ancora se due o tre, trasmissioni televisive di successo da un personaggio di successo. Che si tratti di una nuova dieta, della scoperta del vaccino contro il cancro o dell’affacciarsi di poteri oscuri che minacciano la democrazia, fa lo stesso. Quello che conta è lo share di chi ne disquisisce dal teleschermo.
Visto sotto questa logica, “Un inverno italiano” dovrebbe finalmente aprire gli occhi perché chi meglio e più efficacemente di Andrea Camilleri può raccontare la tragicommedia che stiamo vivendo? Camillleri inteso come papà del commissario Montalbano, operante a Vigata e domiciliato nella splendida villa sul mare che nemmeno il questore di Palermo potrebbe permettersi.
Figuriamoci un commissario!
Certo, se a raccogliere le graffianti ricette di democrazia proposte da Camilleri, invece di Saverio Lodato, magnifico giornalista antimafia ma poco portato per le apparizioni in tivù, fosse Luca Zingaretti, l’attore che tutti identificano come il commissario Montalbano al punto da fermarlo per la strada per fargli “soffiate”, sarebbe tutt’altra cosa! Forse gli italiani, notoriamente più attratti dagli sceneggiati televisivi che dalla parola scritta, comincerebbero sul serio a preoccuparsi per i mala tempora in cui stiamo vivendo. In particolare per la disumanità mostrata dal governo in materia di immigrati. Per lo sciacallaggio elettorale sulla tragedia della famiglia Englaro. Per il lodo Alfano e lo scudo fiscale, per il provvedimento riguardante le intercettazioni e la più volte minacciata riforma della giustizia…
Sempre per la serie: “se lo ha detto Montalbano con la faccia di Zingaretti deve essere vero”, sarebbe molto utile al nostro Paese che Andrea Camilleri riprendesse tutti gli argomenti che sono materia di questo libro e li utilizzasse per trarne trame per nuove puntate ambientate a Vigata. Allora sì che la voce del dissenso sì sentirebbe!
Naturalmente è un paradosso. In realtà Saverio Lodato è un’ottima spalla per Camilleri e l’intenzione dei due non è quella di cambiare le cose. Bensì di rinfrescare un poco la memoria agli italiani ricordando i fatti, i misfatti, i personaggi e le comparse che hanno invaso e continuano a invadere le cronache di giornali e tivù.
Di fatto, questo libro altro non è se non la raccolta dei testi della rubrica “Lo chef consiglia”, condotta dal duo Camilleri-Lodato sulle pagine dell’Unità a partire dal 20 novembre 2008 fino al maggio del 2009. Una specie di cucina politica nella quale Camilleri, da bravo chef, ha cotto ogni giorno una notizia diversa e poi l’ha servita sotto forma di pietanza i cui ingredienti, come ha spiegato lui stesso in un’intervista, provenivano:
«… da quel mercato che si trova alla destra di casa mia, ma anche da quello che si trova a sinistra. Perché i due mercati, in questo senso, sono fornitissimi: non hai che l’imbarazzo della scelta…»
Notizia inesatta: in realtà è al mercato di destra che lo chef Camilleri ha finito per fare la maggior parte degli acquisti. Prima di tutto perché si è rivelato quello di gran lunga più fornito di ghiottonerie freschissime, di giornata! Poi perché il mercato di sinistra è molto difficile da trovare e quando lo si trova ha sempre le bancarelle vuote per inventario o per cambio di gestione o per la litigiosità di chi le gestisce.
Adele Marini
 
 

ThrillerCafe, 12.11.2009
La danza del gabbiano – Andrea Camilleri
Il maestro Camilleri recensito oggi su ThrillerCafe; il libro scelto è “La danza del gabbiano”, romanzo della saga del commissario Montalbano.

Il commissario Montalbano, creazione letteraria di Andrea Camilleri, è forse il personaggio seriale italiano più longevo e famoso. Circa una ventina di romanzi a lui dedicati, senza contare i racconti sparsi qua e là. Dura rimanere ad alti livelli, e infatti è proprio quando pensi che il Maestro stia iniziando a vivacchiare un po’ di rendita, abbassando il livello delle sue prime, perfette prove, che ti sforna questo “La danza del gabbiano” a ricacciarti in gola le tue critiche da nerdaccio incontentabile.
Il romanzo può definirsi una sorta di poliziesco con vaghi richiami alle quest: laddove l’oggetto della disperata ricerca non è un oggetto sacro o una reliquia, ma una persona in carne e ossa, ovvero l’ispettore Fazio, braccio destro di Montalbano che scompare misteriosamente dalla sera alla mattina.
La notizia approda al commissariato di Vigata come un fulmine a ciel sereno. La moglie di Fazio, preoccupata per non aver visto rientrare il marito, si rivolge a Montalbano chiedendo lumi. Il commissario lì per lì inventa una bugia per non allarmarla, ma appena la donna esce dal suo ufficio ecco che mette in moto l’intera squadra per far luce sulla faccenda. Tutti, da Augello a Catarella, sono mobilitati per ricostruire le ultime ore di Fazio, e capire in quale guaio si è ficcato. Con lo spettro del terrore che sia tutto inutile, ricacciando indietro il pensiero angosciante di essersi mossi troppo tardi, le indagini vanno avanti con una foga sospinta solo dalla disperazione, perchè Fazio non è semplicemente un uomo con una divisa addosso, ma è un po’ come il figlio che Montalbano non ha mai avuto, e la sola prospettiva di perderlo quasi gli ferma il cuore.
Il romanzo è avvincente e sa coinvolgere al punto giusto: in questa corsa contro il tempo, al lettore non rimane molta alternativa se non girare una pagina dietro l’altra per la voglia di sapere come andrà a finire (va bene, in fondo sappiamo tutto sin dall’inizio. Chi mai potrebbe sospettare che Camilleri dia la morte a uno dei suoi personaggi preferiti? Anche se, d’altra parte, i colpi di scena si basano proprio su eventi del tutto inaspettati…)
La complicata storia in cui Fazio si è ritrovato coinvolto viene ricostruita tassello dopo tassello, prendendo lentamente forma dinanzi agli occhi del lettore e dando il destro a Camilleri per sfoggiare ancora una volta tutta la sua bravura nel costruire trame che sono come degli ingranaggi perfetti, smontati e poi ricostruiti in maniera sublime e, soprattutto, credibile.
Per noi lettori della prima ora, ritrovare Montalbano oggi ha il sapore di un reincontro con un vecchio amico. Camilleri lo ha fatto invecchiare, ha smussato alcuni angoli e ne ha affilato altri. Il suo rapporto con l’eterna fidanzata Livia, per esempio, ha attraversato tempeste e oggi è attestato su una piatta routine che pare sempre in bilico tra una rottura e l’ennesima promessa di amore eterno. Non è insomma un Poirot, o nemmeno un Maigret, affascinanti ma sempre uguali a loro stessi, riflesso delle storie di cui sono indiretti protagonisti. Forse per questo il commissario Montalbano ci sembra più reale, perchè tutto ciò che è reale si evolve e cambia. Come la lingua che Camilleri usa per raccontarcelo, un siciliano sempre più stretto e pungente a contatto col quale l’italiano sembra quasi un intruso, uno sfondo sfocato.
Montalbano invecchiato e malinconico, che crede di vedere in un gabbiano che muore la poesia di una danza il cui significato all’inizio lo sfiora solamente, e che crederà di comprendere appieno solo a paragone con un’altra morte, ben più tragica della prima. Con il sospetto, malignamente instillato dall’autore, che ci sia in quella poesia più il segno fatale degli anni che passano che non la raggiunta saggezza dell’uomo sereno.
Cristiano Idini
 
 

Teleipnosi, 12.11.2009
Il commissario Montalbano e il Dr. House? Fratelli sono!

Qualche mese fa ho acquistato quasi per caso un romanzo di Andrea Camilleri con il commissario Salvo Montalbano come protagonista. Mi ha affascinato e ne ho letto velocemente altri tre. Del resto era già rimasto piacevolmente colpito dalla trasposizione televisiva delle avventure del poliziotto siciliano: si nota una qualità più unica che rara nelle produzione nostrane. Certo i libri sono un'altra cosa e il commissario in formato televisivo, seppur interpretato dal bravissimo Luca Zingaretti, appare un po' troppo ingentilito rispetto all'originale, ma il risultato è comunque decisamente apprezzabile.
L'altra settimana, seguendo le nuove puntate di un altro dei più intriganti personaggi del piccolo schermo, Gregory House, mi sono reso conto di come i due si somiglino. Certo a prima vista non potrebbero apparire più diversi: il primo è un siciliano doc e commissario di provincia, il secondo un medico americano di grande fama. Eppure hanno qualcosa che li lega fortemente: una malinconia di fondo, spesso esorcizzata con il sarcasmo, e una sorta di "anticonformismo etico", in un mondo dove il conformismo sembra avere assunto i connotati del superamento di qualunque morale.
House e Montalbano da un lato possono sembrare cinici e negativi, ma la loro è solo piena consapevolezza del dolore del mondo. House sperimenta ogni giorno l'ingiustizia della vita sulla sua pelle, è affetto da dolori cronici alla gamba, e su quella dei pazienti dell'ospedale, dove la malattia e la morte non risparmiano nessuno: dai bambini, alle mamme, agli anziani, ai buoni e ai cattivi. Montalbano vive in una terra devastata dalla criminalità organizzata, abbandonata dallo stato, svenduta dai politici collusi con la mafia e condannata all'arretratezza dalla rassegnazione e dall'omertà della gente.
Entrambi però non si rassegnano all'ingiustizia e pur sapendosi perdenti in partenza rifiutano puntualmente qualsiasi compromesso, grazie a un'intransigenza morale a volte quasi eroica e "spericolata". Montalbano se ne frega dei superiori, che intorta come vuole e che in genere disprezza, sorvola allegramente su regole e procedure burocratiche e non è certo un cultore dell'etichetta nei rapporti con i colleghi. Quando si occupa di un caso è interessato solo a due cose: risolverlo e provare a fare un po' di giustizia, a costo di usare metodi non esattamente ortodossi.
House ha un atteggiamento simile con i propri pazienti: nella lotta contro la malattia e la morte, secondo il medico del New Jersey, tutto deve essere tentato e ogni regola adattata al caso specifico e, se necessario, superata. House è burbero e irritabile, non vuole essere giudicato ma nemmeno giudica gli altri: ogni paziente, anche un pluriomicida condannato alla sedia elettrica, una volta accettato, ha diritto a tutti gli sforzi possibili per una diagnosi e una cura (episodio 1, stagione 2).
Sono eroi complessi e contraddittori, figli di un mondo che appare caotico e senza senso. Sono innamorati del loro lavoro, legati in modo maniacale alle loro abitudini e ai loro luoghi, e tendenzialmente solitari, anche se il commissario siciliano apprezza certamente più del medico statunitense alcuni piaceri della vita. Comunque, se si conoscessero e riuscissero a parlarsi, sono sicuro che si troverebbero simpatici.
Riccardo Spiga
 
 

Il Centro, 12.11.2009
Confalone con l'Atam ad Avezzano

Marina Confalone aprirà, sabato 21 al teatro dei Marsi, la stagione di prosa di Avezzano, allestita da Comune e Atam (Associazione teatrale abruzzese e molisana). Ieri il cartellone è stato presentato in Comune. […] L’8 dicembre, sarà la volta di «Festa di famiglia», scritto, diretto e interpretato da Mitipretese. «Festa di famiglia» nasce da un originale assemblaggio di testi di Luigi Pirandello curato dallo scrittore Andrea Camilleri. Interpreti: Fabio Cicifoglia, Manuela Mandracchia Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariangeles Torres, Diego Ribon, Anna Gualdo. […]
Federica Contestabile
 
 

Euposia, 11-12.2009
L’iniziativa
Message in a bottle
La Cantina Avide chiama un gruppo di scrittori e pittori di fama per firmare una linea di vini destinati a combattere l’Aids in Africa

Il legame fra vino e letteratura è cosa nota, e non soltanto per gli ultra-appassionati. Anzi, sempre più spesso delle firme – grandi e note, ma anche di gente comune – vengono chiamate a corredare, a spiegare il vino. La letteratura, insomma, sta diventando uno dei passe-partout importanti per il vino che da tempo ha cessato di essere “soltanto” un alimento, ma che sempre più si vuole collegare a momenti importanti della vita.
E la cultura è senz’altro fra questi.
Quest’ultima iniziativa è nata da un'idea di Giuseppe Zingales, patron dell'Hostaria Cycas di Castelbuono, in provincia di Palermo. Il progetto è stato accolto con grande entusiasmo da Michele Di Donato e Marco Calcaterra dell'azienda vinicola Avide di Comiso, dalla galleria d'arte Studio 71 di Palermo e da Filippo Lupo, presidente del Camilleri Fans Club. Tutti questi attori hanno messo in moto una "macchina" organizzativa che ha coinvolto pittori, poeti e scrittori col supporto grafico di Copystudio, Ragusa.
L'idea è semplice, ma originale: "vestire" il vino con etichette che riproducono un'opera d'arte.
In “Territori: Arte, Parole, Vino” al dipinto si affianca un pensiero sul vino uscito dalla penna di uno scrittore, di un poeta.
Questi gli autori che hanno dato il loro contributo: Roberto Alajmo, Giacomo Cacciatore, Andrea Camilleri, Davide Camarrone, Giancarlo De Cataldo, Piergiorgio Di Cara, Marcello Fois, Valentina Gebbia, Aldo Gerbino, Carlo Lucarelli, Rita Piangerelli e Santo Piazzese.
E questi gli artisti che hanno realizzato le opere riprodotte nelle etichette: Antonella Affronti, Luciana Anelli, Aurelio Caruso, Orazio D'Emanuele, Pippo Giambanco, Gilda Gubiotti, Paolo Malfanti, Franco Nocera, Antonino G. Perricone, Salvatore Provino, Turi Sottile e Giusto Sucato.
Cantina Avide ha quindi realizzato, con una tiratura limitata di 4mila bottiglie, questa serie di 12 etichette che vestiranno due fra i vini più prestigiosi dell'Azienda: il Cerasuolo di Vittoria "Barocco" DOC (2000 bottiglie) e l'Insolia DOC "Riflessi di Sole".
Ogni bottiglia sarà corredata da un catalogo in cui saranno riprodotte tutte le etichette.
Ma l’iniziativa non si ferma qui: Cantina Avide ha legato queste 4mila bottiglie a “Wine for Life” , l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio che unisce stabilmente per la prima volta il grande vino di qualità alla salvezza di un grande continente come l’Africa, dove più di 25 milioni di persone hanno già il virus Hiv/Aids (senza medicine per curarsi) e 14 milioni di bambini sono orfani di AIDS.
Wine for Life permette di realizzare Dream, un programma avviato nel 2002 per curare davvero – con la tri-terapia e un approccio globale e innovativo - donne, uomini e bambini con l’Aids in Mozambico, Malawi, Tanzania, Guinea Conakry, Kenia, Guinea Bissau, Nigeria, Angola, Repubblica Democratica del Congo, Camerun e in altri paesi africani.
Questo rappresenta oggi il più efficace programma di cure contro l’Aids in tutta l’Africa sub-sahariana: i risultati sono tali che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne ha fatto un case study e che alla Comunità di Sant’Egidio è stato consegnato nel 2004 il Premio Balzan per la Pace.
Wine for Life è un bollino sulle bottiglie, che grandi e piccoli produttori hanno acquistato a mezzo euro ciascuno: 100 bollini fanno nascere sano il figlio di una donna sieropositiva o malata, 1000 bollini fanno vivere un adulto che ha il problema dell’Aids per un anno e danno un sostegno a tutta la famiglia, rompendo la drammatica spirale che crea nuovi orfani anche tra i bambini nati sani.
Chi acquista nello scaffale di un’enoteca o al ristorante una bottiglia di qualità con il bollino Wine for Life sa che mezzo euro è già stato versato dal produttore per combattere l’Aids in Africa.
«Un ringraziamento - sottolinea Michele Di Donato, della Cantina Avide - va a tutti coloro che, a diverso titolo, hanno contribuito alla riuscita di questo evento: agli autori e agli artisti, per avere prodotto e/o messo a disposizione i versi, gli scritti e le opere riportate nelle etichette; alla casa editrice Sellerio per aver consentito l'uso di un brano estratto da un romanzo di Andrea Camilleri; al Museo Civico di Castelbuono per l'ospitalità data alla prima presentazione dell'iniziativa; al Camilleri Fans Club ed alla Galleria Studio 71 di Palermo».
 
 

l’Obiettivo, 13.11.2009
Vino siciliano e arte, oggi sposi

Con l’arte figurativa e la letteratura il vino non sembra stonare, anzi può risultare ancora più coinvolgente. Ecco cosa ci è stato trasmesso lo scorso 25 ottobre a Castelbuono, all’interno del castello dei Ventimiglia, quando abbiamo partecipato alla socializzazione del progetto “Territori”, che è riuscito a collegare tre realtà siciliane, l’azienda vitivinicola Avide di Ragusa, il Camilleri Fans Club e l’associazione Studio 71 di Palermo, per concretizzare l’idea del ristoratore castelbuonese Giuseppe Zingales, il quale da qualche anno intende promuovere il vino siciliano, e dunque l’enogastronomia, attraverso gli artisti. “Il vino coinvolge tutti i sensi”, afferma Zingales e, stando al fatto che la Sicilia produce vini di qualità, cosa può esaltarla meglio di un un’etichetta particolare in cui un’opera pittorica è tenuta a braccetto da un pensiero scritto?
Proprio in questo consiste il progetto “Territori” che il Museo civico di Castelbuono ha condiviso ospitando di conseguenza l’iniziativa di presentare alcune delle 4000 bottiglie prodotte dall’azienda Avide ed effigiate da 12 etichette d’autore. Esse vengono vendute nelle migliori enoteche italiane (a Castelbuono presso l’hostaria Cycas di Zingales) e il ricavato, ha precisato il direttore commerciale della Avide, Michele Di Donato, è stato in parte destinato al progetto Wine for Life della Comunità di S. Egidio per la lotta all’AIDS in Africa.
Accanto alle elegantissime bottiglie scure, al tavolo degli intervenuti, nella sala del principe del castello, con Michele Di Donato c’erano Filippo Lupo, presidente del Camilleri Fans Club, Vinny Scorsone della Galleria 71, il ristoratore Giuseppe Zingales, il presidente e il direttore del Museo civico, Michele Spallino e Adriana Scancarello e il sindaco di Castelbuono Mario Cicero. Tra il pubblico alcuni dei giornalisti e/o scrittori che hanno gratuitamente formulato i passi di letteratura riportati sulle etichette assieme alle riproduzioni pittoriche. Quasi tutti siciliani sia i pittori che gli scrittori; questi ultimi uniti dal denominatore comune di essere autori di noir, testi in cui il delitto diventa secondario rispetto al contesto narrato che, nel caso specifico, è spesso siciliano. Unica eccezione alla spontaneità degli autori lo scrittore Andrea Camilleri. Una delle etichette riporta infatti una frase tratta da un suo romanzo, scelta per l’occasione dallo stesso Lupo su autorizzazione dell’autore che non ha voluto produrre nulla di specifico per il solo fatto che non beve vino. “Il Sommo”, dunque, come lo chiamano simpaticamente gli esponenti dell’omonimo Club, “non può essere un sommelier”, ha detto giocando altrettanto simpaticamente sulle parole Piergiorgio Di Cara, autore di una frase in etichetta, presente in sala, nonché commissario di Pubblica Sicurezza. Chiaramente la generosità non è un bene condiviso.
Infine, quanto il vino abbia coinvolto i pittori delle varie epoche è stato illustrato dal critico d’arte Vinny Scorsone.
Le parole riportate sulle etichette sono più o meno metaforicamente collegate al vino. Qualche pensiero interpreta attraverso il vino aspetti di sicilianità che travalicano il tempo pur nei loro connotati di negatività, ma in vino veritas, per cui con esso la lingua si scioglie, non si trincera più dietro la reticenza delle convenienze. “Detesto i volti sazi e compunti di certi moralisti. Credo che, di tanto in tanto, si debba dare ragione a chi sembra aver torto, per riparare ai torti di chi ha sempre ragione”, ha scritto su un’etichetta e riferito anche al microfono della sala del principe il giornalista Davide Camarrone a proposito delle verità dissacranti che il vino lascia passare in una Sicilia in cui, per la penna di Roberto Alajmo, lì presente, “I progressi del vino rappresentano l’eccezione al sottosviluppo siciliano. Per questo si può dire che ai siciliani, per continuare a sperare, non resta che attaccarsi alla bottiglia”. Presente anche Valentina Gebbia, di origini castelbuonesi, autrice di gialli ambientati a Palermo, nonché giornalista.
Il sindaco Cicero ritiene che il vino sia un ambasciatore di realtà isolane distinte per la qualità; pertanto ha lanciato l’idea della creazione di una banca del vino all’interno del castello, dove si veicolerebbe cultura attraverso l’inebriante bevanda di Bacco. Alla riapertura del castello prevista, dopo il riallestimento interno, per la prossima primavera vedremo quanti degli entusiastici propositi amministrativi formulati nel tempo troveranno concretizzazione.
M. Angela Pupillo


Sicilia e… Sicilia

Il vino proposto anche artisticamente nella manifestazione di Castelbuono del 25 ottobre è un rinomato prodotto siciliano. È il frutto di una terra che insieme ad una miriade di contraddizioni esprime il suo timido lato produttivo.
Non ci è sfuggito il fatto che l’azienda vitivinicola che si è intestata il progetto “Territori” sia del Ragusano e che sia proprietà di un notaio. In questo pezzo di Sicilia i siciliani non hanno mollato la terra, non hanno rinunciato ai suoi frutti, compresi i rinomati prodotti caseari. Peccato che ad essi non venga ancora riconosciuta la giusta dignità economica e che sempre e più spesso le proteste degli esasperati addetti al settore debbano dichiarare l’agonia del settore primario.
Nel Ragusano un notaio che possiede un’azienda non è un’eccezione: laggiù neanche i professionisti con un reddito già garantito hanno rinunciato alla gestione di un’azienda agricola o zootecnica. Altrove invece i siciliani hanno avuto nei confronti della terra un atteggiamento rinunciatario. Un esempio clamoroso è la morte della produzione della manna nei territori di Castelbuono e Pollina, nella provincia di Palermo, oggi ripresa da qualche piccolo imprenditore lungimirante, soprattutto nella considerazione delle enormi potenzialità della linfa prodotta dai frassini.
M. Angela Pupillo


Pittura e vino
Il primo muccuni gli parse amaro e stava per risputarlo quannu il sapori nella vucca di colpo cangiò, addivintò ’na cosa profumata e càvuda,’na carizza di velluto, gli parse di starisi vivendo’na rosa (da Il Sonaglio di A. Camilleri).

Pittura e vino, due linguaggi ispirati dalle antiche Muse: l’arte dell’uomo del dare forma e materia alle ombre, alle emozioni e l’arte della vite che infiamma le passioni, le raccoglie e le consegna nuovamente all’arte. Esperienze dei sensi che si incontrano danno nuova voce al piacere e alla sofferenza dell’uomo, creano insieme nuove ed indissolubili emozioni. Il vino, da parte sua, ha sempre affidato se stesso all’immortalità della pittura, chiedendo a quest’ultima di farlo diventare un linguaggio chiaro e comprensibile per tutti. Il vino non è solo materia, anzi è la rappresentazione visiva della tavolozza del pittore che con la luce crea mondi nuovi da conoscere.
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, artista maledetto e ribelle, espresse nelle sue opere il linguaggio irrazionale del vino. Soprattutto in quelle giovanili celebrò il dio Bacco (rappresentato dall’amico ed artista Mario Minniti) e per suo tramite esaltò l’irrazionalità della vita, il sacro ed il profano, la maledizione e la redenzione, la vita e la morte.
L’arte contemporanea, con la rottura di schemi e forme legati alla tradizione, con il nuovo uso della luce, mescola insieme i colori, li dosa e ne crea di nuovi, giocando con se stessa per dare una nuova veste e capacità espressiva al vino. La ricerca del vignaiolo, nella selezione delle uve, si unisce a quella del pittore nella ricerca di luce e colore, ma ad essi si aggiunge, creando un’opposizione, Dioniso, dio del lavoro ed al tempo stesso dell’ebbrezza, che sconvolge le regole dell’umana ragione.
Solo l’arte potrà svelare l’apparente contraddizione di questa forte unione che, attraverso il dio, si viene a creare nell’uomo, perché essa sola racchiude in sé la magia dell’ispirazione.
Maria Antonietta D’Anna
 
 

Scrittorincittà, 14.11.2009
Lampi - Dibattito con Andrea Camilleri e Bruno Gambarotta
Cuneo, cinema Monviso, ore 16.30

L’intelligenza, specialmente quella più acuta e ironica, ci compare davanti come un lampo. Fisiologicamente spietata ci rivela le nostre debolezze e ci ricorda che da qualche parte, nascosta nelle nostre tenebre, c’è forse ancora qualcosa di cui andare orgogliosi. Tra coloro i quali sanno usare al meglio lo strumento dell’intelligenza, Andrea Camilleri rappresenta uno dei punti di riferimento più solidi per riuscire a orientarsi attraverso questi anni di vita sociale e politica italiana. In una videoconferenza da Roma, introdotta e moderata a Cuneo dall’ingegno sempre tagliente di Bruno Gambarotta, Camilleri racconta la sua storia e le sue storie, tra le consapevolezze del passato, le incertezze del presente e le ostinate speranze del futuro.
 
 

La Stampa, 14.11.2009
Attenti alla bellezza di Lucifero

Metto le mani avanti: non ho visto il film «La Prima Linea» e scrivo basandomi su quello che ne hanno scritto persone degne di fede. Mi pare sia concorde l'opinione che si tratti di un film molto serio, che non intende esaltare posizioni estremiste, che e' recitato senza inutile enfasi. Eppure sono in tanti, alla fine, a dichiarare di averne ricavato una sensazione di disagio, consistente nell'avere apprezzato la narrazione e l'interpretazione datane fino a raggiungere un certo grado di coinvolgimento, pur sapendo che mai, per loro educazione, cultura, vicende personali e politiche, avrebbero potuto avere punti di contatto con i terroristi del film. E non credo che cio' sia dovuto solo al fatto che Scamarcio e la Mezzogiorno siano belli e bravi. Esistono anime celestiali in corpi sgradevoli e viceversa. E Lucifero era un angelo bellissimo o un orrendo essere deforme? Sono convinto che libri e film che eleggono a protagonisti degli appartenenti, in un modo o nell'altro, al terrorismo, siano assai piu' difficili a scriversi e a farsi che non libri e film su boss mafiosi o capi camorristi, gia' di per se' temi assai problematici. Anche con le migliori intenzioni del mondo, si rischia un effetto boomerang. E questo soprattutto perche' dietro a ogni gesto terroristico c'e' una complessa miscela esplosiva di ideologia deviata e deviante, di «missione da compiere», di «estasi verso il basso» (per dirla con Malraux), di esaltazione, di autoreferenzialita', di indifferenza verso il dolore altrui, di amore per il rischio, e tantissime altre componenti che non possono essere, non dico analizzate, ma nemmeno accennate in un film. Cosi' lo spettatore rimane in una condizione emozionale per quei gesti, e' coinvolto dall'emozione allo stato puro di uno spettacolo che esclude del tutto l'intervento della ragione. Alla quale percio', anche non volendolo coscientemente fare, in sostanza non vengono forniti ne' i mezzi ne' l'opportunita' di calibrare quell'emozione. Saviano ha saputo dimostrare che si puo' scrivere un ottimo libro sulla camorra evidenziandone la ferocia e l'orrore. Ma il film che dal libro e' stato tratto e' allo stesso livello? Ancora: mi e' capitato di leggere uno splendido romanzo su un terrorista. Era firmato Conrad. E qualcosa del modo di pensare terroristico me l'hanno suggerito certe pagine di Dostoevskij. E questo qualcosa deve significare.
Andrea Camilleri
 
 

Ff web magazine, 14.11.2009
L'autore di Montalbano racconta un lato dello scrittore di Racalmuto
Camilleri: «Quando alla Camera, Sciascia denudava la politica»

La voce è la sua, non ci sono dubbi, cordiale e roca. E, per un attimo, te lo immagini seduto alla sua scrivania, con il posacenere stracolmo di mozziconi di sigarette, avvolto in una densa nuvola di fumo… Ma poi ti rendi conto che te lo stai figurando in quell’imitazione irresistibile che ne ha fatto Fiorello, più e più volte, alla radio. Però dall’altra parte del telefono c’è lui, Andrea Camilleri - quello vero - che è tornato in libreria. Questa volta non con il commissario più famoso e amato d’Italia – Salvo Montalbano, manco a dirlo – ma con un libro dedicato all’impegno politico di Sciascia, dal titolo “Un onorevole siciliano. Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia”, edito da Bompiani.
Perché ha scelto l’aspetto politico di Sciascia per ricordarlo a vent’anni dalla morte?
”Credo che sia un lato di lui troppo trascurato. Naturalmente, in questo anniversario, si penserà, e giustamente, alla sua opera letteraria e ai suoi articoli polemici. Ma, siccome quest’uomo ha svolto un’attività seria di politica, è importante anche ricordare questo suo impegno.”
Come si articola la sua azione in quest’ambito?
”Sciascia ha due momenti politici: il primo è quando accetta di candidarsi, come indipendente, nelle liste del partito comunista nel ruolo di consigliere comunale a Palermo. Tuttavia, dopo un po’, si allontana deluso soprattutto dalla politica del partito, nel senso che non vede positivamente il compromesso storico che si sta compiendo a Roma. Si ritira dalla politica e ritorna successivamente eletto nelle file del partito radicale, sempre come indipendente. È spinto a questo passo dal suo interesse per il caso Moro. Per scrivere quello che sarà il suo splendido libro, “L’affaire Moro”, è convinto che diventando deputato può avere accesso a carte che come comune cittadino non avrebbe potuto vedere e, quindi, si fa inserire nella commissione di indagine sull’omicidio di Moro. Contemporaneamente, presenta interpellanze e interrogazioni relative a vari aspetti della vita sociale e politica del paese. Sono straordinarie, scritte con estrema civiltà, e investono un po’ tutti gli aspetti dell’Italia degli anni ’70 e ’80, come lo scandalo del petrolio e la lotta alla mafia. In gran parte riguardano temi talmente attuali che sembrano fatte oggi, però in un Parlamento diverso.”
Diverso in che senso?
”Nei modi comportamentali, segno di un livello che oggi si è perso.”
Eppure Sciascia non aveva un’opinione molto edificante della politica e dei politici, perché era convinto che politica ed etica dovessero camminare insieme, mentre secondo lui questo rapporto non era evidentissimo.
”Lui lo notava già allora. Sono passati diversi anni e mi chiedo se il divario tra politica ed etica si sia accorciato o allungato. Io penso che si sia ampliato, sino a diventare una sorta di abisso.”
Nel libro, scrive che in Sciascia politico c’è una grande presenza dello Sciascia scrittore. Il suo modo di essere scrittore influenzava il suo essere politico?
”Penso che Sciascia sia stato sempre uno scrittore politico. Quando scrive “Il contesto”, che è una sorta di de profundis della Democrazia cristiana, irrita non solo la Dc ma anche il partito comunista. Se un romanzo irrita i partiti politici significa che quello che è stato scritto ha un alto tasso di contenuto politico. Altrimenti cadrebbe nell’indifferenza della politica.”
Secondo lei, quanto il suo essere siciliano ha influenzato il suo modo di leggere la società, la realtà?
”Il suo essere siciliano alla Sciascia, aggiungerei. Sciascia era un carattere bovino, nel senso che rimuginava molto le cose. In più, illuminato da una sorta di intelligenza della ragione, che secondo lui andava posta al di sopra di tutto. Questo è un tratto abbastanza tipico dei siciliani, quell’inclinazione al ragionamento, allo spaccare un capello in quattro, sempre attenendosi alla ragione, che spesso e volentieri confina con l’iperbole. Lo notava già Cicerone quando venne giù per le “Verrine”. E questa caratteristica in Sciascia è elevata all’ennesima potenza. In lui la razionalità del siciliano brillava in maggior grado che in altri conterranei.”
Di Sciascia ha detto che è stato un siciliano d’alto mare.
”Sì, nel senso che è stato un siciliano attaccato al suo scoglio che però riusciva a guardare ben lontano dallo scoglio.”
E oltre lo scoglio, in quegli anni, c’era il problema del terrorismo. Sciascia intervenne nella polemica sulla viltà degli intellettuali, a partire da un’intervista in cui Montale solidarizzava con il rifiuto della giuria popolare di prendere parte a un processo per paura di ritorsioni.
”Il suo articolo “Né con lo Stato né con le Br”, suscitò reazioni scomposte e fu falsato dal titolo. Leonardo, in genere si schierava con lo Stato. Era un uomo d’ordine, non un rivoluzionario. In quell’articolo si chiedeva come, a quel tempo, si potesse essere con uno Stato così corrotto. Il processo in questione era quello contro Renato Curcio.”
Lo stesso Sciascia, a questo proposito, dichiarò che sarebbe stato disponibile a prendere il posto di uno di quei giurati…
”Proprio così, e questa sua affermazione faceva parte di quello che lui riteneva, assai giustamente, uno dei suoi doveri di cittadino. Perché non si può soltanto predicare.”
Un po’ quello che ha detto Saviano qualche giorno fa. Lo scrittore non può stare chiuso nella sua torre d’avorio, non si può limitare ad attendere che un giorno quello che lui immagina, si realizzi.
”Infatti. Non si può narrare solo il proprio ombelico, non si può avere interesse solo per se stessi. Non è questa la funzione della letteratura. Non dico che la letteratura debba fare manifesti, dico semplicemente che deve essere calata nella realtà che la circonda. Altrimenti è un’astrazione.”
Ben aggrappata allo scoglio, ma non solo, c’era invece l'irrisolta questione della mafia. Come intendeva la lotta alla mafia Sciascia? Che cosa pensava del modo in cui veniva condotta in quegli anni?
”Nel momento in cui, in una sua interpellanza, propone che l’indagine sull’essere o non essere mafiosi sia estesa a tutti i parlamentari e a tutti gli amministratori, esprime un bisogno inascoltato, un dovere rimasto irrealizzato fino a oggi. È impressionante e vorrei che le sue interpellanze fossero lette con oggettività per vedere quanto poco sia cambiato in Italia, se qualcosa è cambiato.”
Nel 1987 scrisse “I professionisti dell’antimafia”, un articolo che fece molto scalpore.
”Sciascia era spaventato dal fatto che la magistratura tutt’a un tratto per quel che riguardava le promozioni interne avesse fatto un salto, e cioè, invece che seguire la solita trafila dell’anzianità, avesse dato la precedenza a una specializzazione della materia. Questo lo spaventava. Sbagliando, una volta tanto. Perché Sciascia, come tutti, non era infallibile. E, infatti, nel tempo, è stato dimostrato che proprio la specializzazione nella lotta alla mafia poteva portare a ottimi risultati. Ne ha dato prova il pool e il lavoro, tra gli altri, di Paolo Borsellino.”
Che poi era il bersaglio principale della sua polemica.
”È vero. Però, in seguito, si sarebbero chiariti molto bene. Un chiarimento cordiale e fondamentale per colui che per primo, con “Il giorno della civetta”, aveva raccontato che cosa fosse la mafia.”
Rosalinda Cappello
 
 

La Stampa - TuttoLibri, 14.11.2009
Visto da Camilleri
L'onorevole siciliano un veggente in Parlamento

Un veggente in Parlamento. Passando nel giro di due anni dai pizzini di Provenzano allo studio delle carte parlamentari di Sciascia, con "Un onorevole siciliano" (Bompiani, pp. 192, e12) - superbo titolo calembour che si offre a due diverse accezioni invertendo i valori di sostantivo e aggettivo - Andrea Camilleri ha aggiunto un nuovo capitolo a quella controstoria dell'Italia del Dopoguerra sub specie Sicilia che va riscrivendo da "Le pecore e il pastore" in poi: onorando stavolta un debito di attenzione verso uno dei suoi due padri nobili (l'altro e' Pirandello) e rivangando le pietre fredde del nostro passato prossimo, troppo intriso di misteri insoluti. Procurandosi le undici interpellanze di Sciascia deputato rese dall'agosto 79 al gennaio dell'83, Camilleri ha inteso ripetere lo stesso esercizio che Sciascia aveva fatto con le lettere di Moro, ricostruendo le intenzioni dell'autore ai fini della certezza della storia, per giungere poi alla uguale conclusione che e' sempre il potere a impedire il raggiungimento della verita'. Mosso dall'ammirazione di un intellettuale scettico e timidissimo che, prestato alla politica, si rivelo' capace dal suo scranno remoto di Montecitorio di rivolgersi alla pari a ministri e premier del suo tempo, fustigando in essi le storture della politica piu' deviata, Camilleri si trova - rileggendone gli interventi: caustici, affilatissimi, autentici petits pamphlet orali imbevuti di ragione e ironia - a commentarli nella prospettiva di quanto il presente abbia ereditato da quella stagione, o meglio: di come il presente non faccia che risvegliare mostri. E' il caso dell'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine, eccesso deprecato nel 79 da Sciascia e ripreso da Camilleri per ricordare le oltranze della scuola Diaz 32 anni dopo. O anche il caso delle torture sui terroristi e stigmatizzate nell'82 da Sciascia con la stessa forza con cui adesso Camilleri ricorda Guantanamo. Per dire che Sciascia parlava alla Camera con il tono che gli era proprio del veggente, di chi guarda nel tempo lungo della vicenda italiana. Facendo opera di attualizzazione del suo antecedente civile, e' questo lo spirito che Camilleri ha voluto recuperare.
Gianni Bonina
 
 

La Stampa, 15.11.2009
Stasera a Milano
Oggi, alle 21, nella Sala Buzzati di Milano, Umberto Eco presenta, in occasione degli 80 anni della casa editrice fondata da Valentino Bompiani, la nuova edizione aggiornata del catalogo storico. Sara' proiettato il documentario inedito: "I libri non invecchiano (quasi mai, con l'eta'). 80 anni di storia italiana nelle edizioni Bompiani" a cura di Antonio Scurati. Il documentario di Scurati, nato da un'idea di Elisabetta Sgarbi, propone una serie di interviste a personaggi della cultura italiana (La Capria, Camilleri, Gae Aulenti, Scalfari). Pubblichiamo parte del dialogo fra Scurati e Camilleri.
 
 
I libri non invecchiano
Bompiani, quando leggere dava la febbre
La casa editrice compie 80 anni
I ricordi di un suo grande «lettore»

Scurati. «Camilleri, lei ha circa la stessa età della Bompiani. Ha qualche ricordo che risale alla sua giovinezza, magari anche alla sua infanzia, che incrocia la storia della casa editrice?
Camilleri. «Be’, sì. Mio padre, che si occupava di tutt’altro che di letteratura, era però un buonissimo lettore. E quindi, quando io a sei anni cominciai a leggere, gli domandai: “Papà, quale libro tuo posso leggere?” con una sorta di autocensura infantile. E mio padre disse: “Tutti i libri si possono leggere”. E io agguantai il primo libro che mi capitò sottomano. Era “La follia di Almayer”, di Conrad. Successivamente mi capitò un libro di tale George Sim, che risultò poi essere Simenon. Ecco, in quella biblioteca c’era di tutto. E naturalmente c’erano i libri Bompiani, che allora andavano molto. Soprattutto Kormendi, un ungherese, autore di “Un’avventura a Budapest”, oppure Cronin: “La cittadella” e “E le stelle stanno a guardare”. In seguito, crescendo, cominciai a comprarmi i libretti delle collana Corona, erano delle riedizioni di vecchie storie ma preziosissime. Soprattutto, avevano delle splendide introduzioni. Naturalmente questi libri non arrivavano al mio paese e nemmeno ad Agrigento. Io ogni tanto mi facevo quattro ore di treno fino a Palermo, andavo alla libreria Flaccovio e raccoglievo un po’ di novità. Mi ricordo che comprai Montale e quella poesia che finisce “... scordato strumento, cuore”, mi commossi. Il contadino che era seduto davanti a me dice: “Che fa, chiange?”».
Scurati. «Avrà pensato a un lutto».
Camilleri. «Sì. E io dissi: “No, mi trasì tanticchia di cravuni nell’occhio” perché i treni allora erano a carbone. Fu a seguito di uno di quei viaggi che comprai, nel ’41, “Conversazione in Sicilia” di Vittorini. Lo cominciai in treno e non finii mai più di leggerlo, perché fu un libro che mi sconvolse. Pensi che io, fino a quel momento leggevo con tanta passione, Cecchi, e gli elzeviristi che mi piacevano tanto, elegantissimi. Però Vittorini segnò un discrimine. Nello stesso anno mi capitò tra le mani un libro che era stato pubblicato da Bompiani nel ’34, “La condizione umana”, di André Malraux. Lì credo veramente che masse di cellule nel mio cervello si spostarono, perché quando finii di leggerlo mi era venuta qualche linea di febbre, tanto mi aveva emozionato e sconvolto. Per un motivo molto semplice: mio padre era squadrista e marciò su Roma. E i comunisti a casa mia erano quella pecora nera, quella cosa orrenda … E io invece in quel libro mi accorsi che erano tutt’altra cosa. Tra l’altro, mi domando ancora come la censura fascista avesse permesso alla Bompiani di pubblicare nel ’34 quel libro».
Scurati. «Ritiene ancora possibile o diffusa l’esperienza di lettura che lei fece con “La condizione umana”? La quale, fra l’altro, implica che un libro valga al di là di quanto vende. Glielo chiedo perché a noi sembra che ormai l’unico parametro per pesare un libro sia quello delle classifiche di vendita. Lo dico senza polemiche, è un dato quasi oggettivo. Ormai fatichiamo a trovarne altri. Che ne è stato della capacità di un libro di orientare un’esistenza?».
Camilleri. «Deve pensare che si era alla metà degli Anni Quaranta. Be’, non c’era la televisione. E la radio trasmetteva canzonette, oppure il sabato sera le conversazioni fasciste. Quindi veramente la lettura era estremamente formativa, perché non distratta. Tu leggevi con una concentrazione che oggi mi viene difficile ritrovare. Avevamo delle antenne pronte a captare ogni minimo segnale che fosse diverso e potesse pervenire entro la cappa, che oscuramente sentivamo essere tale, del fascismo. Quindi eravamo in una condizione particolare: in una condizione di crescita e in una condizione di ascolto estremo. Mi è capitato proprio pochi anni fa di leggere un articolo della Rossanda, che coincideva esattamente con la mia formazione di comunista attraverso la lettura di “La condizione umana” di Malraux. Quindi, io che mi trovavo in Sicilia e lei che era a Trieste... avemmo la stessa influenza, la stessa suggestione. Oggi penso che sia molto più difficile».
Scurati. «Oggi le antenne servono a crearla, la cappa, invece che a perforarla...».
Camilleri. «Esattamente».
Scurati. «Se oggi qualcuno le dicesse - e il paragone con i nostri giorni lo lasciamo sullo sfondo - che non è mai esistita censura fascista, tanto è vero che lasciavano pubblicare perfino “La condizione umana”!».
Camilleri. «Vittorini si trovò nei guai quando pubblicò proprio per Bompiani la celebre antologia “Americana”. Tagliarono le sue note, che indirizzavano il lettore in una certa direzione. E quindi, ciò vuol dire che la censura certe volte il suo mestiere lo sapeva fare, certe altre volte era completamente imbecille. Ma lei mi diceva di oggi?..».
Scurati. «Sì, perché da una certa parte, per sostenere che non ci sarebbe alcuna restrizione delle possibilità d’espressione, si portano a esempio quei pochi organi d’informazione, quei pochi programmi televisivi dissenzienti che ancora sopravvivono. Si giunge al paradosso di sostenere che basterebbe la presenza anche di una sola voce antagonista per testimoniare di un perfetto pluralismo».
Camilleri. «Per ciò che riguarda la letteratura, fino a questo momento non c’è censura, onestamente. La censura esiste, e forte - è una pressione criptocensoria, più che una censura - invece sull’informazione».
Scurati. «Cripto. E auto. Autocensura preventiva».
Camilleri. «Ecco, è questa la cosa più grave. Vede, col fascismo, se lei voleva scrivere su un giornale, doveva prendere la tessera del Partito Fascista. In un certo senso era una formalità, perché poi uno nell’animo restava antifascista, se lo era. Però aveva questa sorta di passi che era la tessera del Partito Fascista. Oggi il problema è che non esiste la tessera di un certo partito. Il giornalista può anche non prenderla, ma in realtà la prende dentro di sé. Non è più obbligato a prenderla fisicamente ma la prende per quieto vivere, per ambizione, perché tiene famiglia... E questa è la forma più terribile, perché l’autocensura è assai più grave della censura imposta».
Andrea Camilleri, Antonio Scurati
 
 

La Stampa, 15.11.2009
Mario Calabresi la lezione di vita di nonna Tessa

Cuneo
[...]
Altri «scenari luminosi» ieri, li hanno disegnati Haidi Giuliani e Beppino Englaro con la loro sofferta volonta' di fare delle tragedie che li hanno colpiti, strumenti di progresso sociale. In diverso modo, lo scrittore Andrea Camilleri: «Ai miei personaggi trasmetto la fiducia che ho nell'uomo», ha detto nella videoconferenza con Bruno Gambarotta, al cinema Monviso.
[...]
Vanna Pescatori
 
 

La Repubblica, 15.11.2009
Il Barbiere di Sicilia

Con le ginocchia leggermente piegate, le braccia tese, l'unghia lunga e i gemelli d'oro, una tazza sulla testa del cliente mentre il fornellino a spirito scaldava l'acqua, il barbiere siciliano pettinava la vita e, senza saperlo, teneva a battesimo la questione meridionale che sulla lotta quotidiana tra pensieri e capelli è notoriamente fondata. Con la brillantina lucidava anagen, catagen e telogen, mentre la Storia e il Diritto venivano tranciati con i peli della barba perché tutto si poteva dire dal barbiere, tempio della insensatezza aggregativa. Poi con la lacca stabilizzava il mondo: capelli biforcuti e pensieri messi in piega contro Roma, contro il Piemonte, contro le banche, ma sempre con spensierata gratuità. E a volte il barbiere faceva partire la musica: improvvisazioni alla chitarra e al mandolino che allentavano il rancore sociale perché, prima che prendesse piede la democrazia - ma ha poi preso piede? -, il salone al Sud aveva la stessa funzione che al Nord avevano le bettole, quelle dove Renzo va a mettersi nei guai. Ed erano raschi di gola e vocalizzi da "amatore", battendo il tempo sul flacone del proraso e del prep in mezzo al chiasso ma anche alle pernacchie, spesso di stomaco, alle risate e agli scappellotti che i carusi prendevano dal mastru. L'ultimo dei carusi scopava ciocche e cicche ed era come spazzare via le ribellioni più strampalate perché niente aveva rigore dinanzi al rigore di una lama affilata. Al primo dei carusi l'onore di preparare la saponata. C' era, d'obbligo, la Domenica del Corriere e il sabato u mastru officiava il rito della schedina. Ed era un mondo tutto maschile, greve e caprone. Alzandosi dalla sedia girevole, il cliente si toccava con la mano a coppa. Il calendario profumato era "sexy" e non ancora "porno", e i baffi erano a camminata di furmicula, a cammino di formica, «perché i fimmini vogliono sentire la polpa, ma ci piace pure il solletico». Ogni tanto u mastru andava a radere un morto. «Baciamo le mani» scandiva chi entrava; «ragazzo, spazzola!» era il saluto d'uscita, quando al caruso toccava, con lo scappellotto, anche la mancia. Era un artista romantico il barbiere meridionale? «Il suo nome era Dino Rossi; faceva il barbiere giù a North Denver, nel quartiere italiano... sottile, con una voce dolce, manie piedi molto piccoli. Non era stato certo un rivale degno di mio padre, degno di un muratore». Così comincia il racconto di John Fante, con la mitezza del barbiere, più orecchio che bocca. Eppure, solo il docile barbiere era capace di far correre la lama sul palloncino gonfio senza farlo scoppiare. E per forza doveva essere mite! Come avrebbe potuto, se no, maneggiare armi bianche, forbici e rasoi, acidi corrosivi, pettegolezzi e veleni, senza mai impensierire nessuno? E spesso era zoppo, dunque inadatto ai veri lavori del maschio, ma doveva essere fidato e mansueto: solo a lui era permesso di toccare l'inviolabile faccia del siciliano. «Papà si divertiva - continua John Fante - a vedere Dino al nostro tavolo perché Dino non era riuscito a sposare mammà, mentre papà l'aveva sposata». Eppure cavava i denti, raddrizzava ossa, applicava le mignatte ed era il custode della più antica dottrina tricologica, quasi tutta racchiusa in quel bruciante test al quale viene sottoposto l'apprendista Nino Manfredi nel film di Dino Risi: Sfumi? «Punta e forbice». Macchinetta? «Rifuggo». Shampoo, oli e balsamo erano mollezze per femmine; la scriminatura era netta, forte e a sinistra; non c'erano rimedi per il tignone, segno del pensiero che si era fatto strada. E difatti non c'era nulla di peggio di un grande pensiero sormontato da un capello fragile. I ricchi ricevevano il barbiere a casa con forbici, pettine e rasoio "privati". Filippo, che ha il salone in piazza del Nazareno a Roma ed è un gentiluomo ovviamente siciliano, partiva due volte al mese per tagliare, a Parigi, i capelli di Vittorio De Sica il quale affittava una saletta privata sugli Champs Elysées. E il papà di Leo, che ha il salone più spacchiusu di Catania, raccontava di un barone (niente nomi, per carità!), che pretendeva la spuntatura a letto, mentre ancora dormiva. Leggendo il bel libro, con l'introduzione di Andrea Camilleri che qui pubblichiamo, “Musica dai saloni. Suoni e memoria dei barbieri di Sicilia”, ed ascoltando il disco che lo chiude e conclude come uno chignon, viene in mente l'ironia di Brancati sul siciliano «che ha una rara vocazione all'arte». Anche nel libro, che consigliamo nonostante il barbiere vi diventi una lucciola pasoliniana, c'è la ricerca ossessiva dell'arte dimenticando che c'è anche l'arte di non avere arte: «Gli piacevano - continua Brancati - tutte le specie di suoni, fossero quelli dell' organo o quelli striduli di un martello di maniscalco». A quei tempi si faceva musica anche dal sarto, dal calzolaio e dal farmacista, come appunto nella Pachino di Brancati: «Sotto il teschio di cartone con la scritta "veleni", il ragazzo imparava la chitarra mentre il giovanotto arrivato da Parigi insegnava, con dei no no, sì sì, no, l'ultima canzone all'amico che la ripeteva sul mandolino». Eppure si può studiare il passato, e magari amarlo, senza rimpiangerlo. Di sicuro la Sicilia ha dato all'Italia persino più barbieri che insegnanti, con avamposti di eccellenza in ogni angolo del mondo. A Catania si è appena concluso un magnifico convegno su capelli e barbe nella storia- la barba contro la barbosità accademica - organizzato da un barbiere, Salvo Ruffino, e da Tino Vittorio, un professore universitario di Storia che in questo caso è Tricostoriografia, storia raccontata a partire dai peli, come già fecero l'abate Thiers con “Teologia del capello” (1690), e il vescovo Sinesio di Cirene con “Elogio della calvizie” (Quinto secolo dopo Cristo). Ma sono state le barbe o i barbieri a fare la storia? Camilleri lascia intendere di cosa è morta la barberia meridionale dove, da ragazzino, andava mal volentieri perché intuiva che proprio lì, nella cuticola, si annida la libertà di pensiero che nessuno riesce a domare e a pettinare. Fu poi il '68 che seppellì il genere: Mao non si lavava neppure i denti perché, diceva, «le tigri non lo fanno».
Francesco Merlo
 
Il concertino di Don Nonò
Andrea Camilleri
 
 

La Sicilia, 15.11.2009
I nuovi libri di Camilleri: «La rizzagliata» e i discorsi parlamentari di Sciascia
Quel giornalista sa quando tacere

Con "La rizzagliata" Andrea Camilleri ha superato se stesso: il libro ha vinto un premio ancor prima di essere pubblicato. Si tratta di un riconoscimento speciale bandito dalla Spagna e destinato, appunto, alle opere inedite.
Così, quando tre anni fa lo scrittore consegnò "La rizzagliata" ad Antonio Sellerio, l'editore pensò di procrastinarne la pubblicazione per partecipare alla «Novela negra» (dove negra sta per 'noir'). «E bene ha fatto - dice oggi Camilleri, che era d'accordo con l'iniziativa di Sellerio - perché nel 2008 ho vinto il premio. Che è cospicuo: 125 mila euro, tutti dichiarati alle tasse», scherza. "La rizzagliata" è uscito in Spagna con il titolo «La muerte de Amalia Sacerdote» e, un anno dopo, cioè pochi giorni fa, in Italia.
Il libro è stato paragonato da qualcuno al caso di Garlasco ma lo scrittore preferisce piuttosto parlare «di un caso simile alla vicenda Montesi», quando «la morte più o meno accidentale di una donna servi come manovra politica ad ampio raggio per accusare il figlio dell'allora potentissimo segretario della Dc, Piccioni. Aprendo politicamente la strada a Fanfani». "La rizzagliata", infatti, altro non è che «un balletto attorno a un cadavere, un omicidio da cui politica, economia, finanza e mafia traggono il meglio possibile». Tutti ci guadagnano.
Tutto casuale? «No, certo. Al di sopra c'è un regista, quello che ha lanciato il rizzaglio», cioè una rete da pesca che cala lentamente come un ombrello aperto nel mare e, al momento opportuno, viene chiusa imprigionando i pesci rimasti dentro.
«Mi hanno detto che sembra scritto oggi, con tutto quello che si vede in tv - un po' gongola lo scrittore - sono stato facile profeta, perchè l'andazzo si vedeva». E, infatti, la televisione è centrale nel libro: il protagonista vero, oltre al «regista» è un giornalista della Rai siciliana che «sa quando deve dare una notizia, a che ora, sa come fare per suscitare un sospetto». Perché gli italiani credono ciecamente nella televisione. «Sì, per il 70 per cento l'opinione pubblica è determinata dalla televisione. Non è un'accusa - precisa Camilleri - è una constatazione. È l'enorme potere della tv e non più della carta stampata, calata al 30 per cento degli italiani, quelli che hanno già una propria opinione».
Proprio la Rai, in effetti sembra fatto apposta. «E invece non lo è per niente: ho scelto la sede regionale della Rai solo per necessità - indica lo scrittore siciliano - è ovvio che la vera Rai non c'entra niente. Una tivvù privata o un settimanale non avrebbero avuto la stessa forza: Se uno dice 'lo ha detto la televisione', significa lo ha detto la Rai», puntualizza Camilleri. Come in una commedia shakespeariana c'è qualcuno, uno solo, che dice la verità e, ovviamente, non viene creduto. «È proprio così, è un informatore, come dire, giornalistico. Racconta la verità come fosse una funzione cinematografica e dunque non viene creduto, se non da coloro che la verità la conoscono».
Va bene, "La rizzagliata" è stata scritta tre anni fa ma sembra più che mai attuale. «Quella descritta potrebbe essere l'Italia di oggi».
Lo scrittore intanto ha pubblicato 'Un onorevole siciliano' (Bompiani, pp. 194 - 12,00 euro). Il sottotitolo del volume che arriva in libreria in questi giorni è semplicemente 'Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia', ma a proporcele è Andrea Camilleri che, attraverso di esse racconta l'esperienza parlamentare dello scrittore di Racalmuto, che le presentò, dalle file del partito radicale, tra il 15 dicembre 1979 e il 31 gennaio 1983. Camilleri, che a Sciascia fu legato da consuetudine e amicizia, ne mette in luce la passione politica autentica; la lucidità, l'approccio mai ideologico ma sempre ancorato a una analisi dei fatti acuta e spietata, comunque sempre scomoda e insofferente al potere.
Gli argomenti di queste interrogazioni sono, tutti, di estrema attualità, allora come oggi; i casi di cronaca affrontati sono tuttora ferite aperte: la mafia, l'uccisione del magistrato Ciaccio Montalto, il caso Pecorelli, il petrolio, l'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine. Cosi, dalla voce di Andrea Camilleri, e dagli interventi di Sciascia emerge, un ritratto, se si vuole impietoso, di un'Italia incapace di fare i conti con il proprio passato e colpevolmente sorda alle parole di chi, con tutto il rigore della ragione, dimostrava di amarla.
Francesco De Filippo
 
 

Il Giornale, 15.11.2009
L’appello
Tout «Le Monde» è con Tabucchì

«Ed è una valanga». Esulta il Fatto quotidiano. La guerra della sinistra in favore della libertà di stampa sta per essere aggiornata con una nuova gloriosa battaglia.
Sarebbe una valanga di firme quella in calce all’«Appello degli intellettuali contro Schifani» (e in favore di Antonio Tabucchi) che dovrebbe essere pubblicato oggi dal quotidiano francese Le Monde. Lotta dura contro il presidente del Parlamento, colpevole di aver querelato lo scrittore Antonio Tabucchi per un articolo pubblicato sull’Unità nel maggio 2008. La storia è vecchia e confusa: Marco Travaglio, ospite in tivù da Fabio Fazio, rinfaccia a Schifani di aver frequentato personaggi poi condannati per mafia; Giuseppe D’Avanzo (proprio lui) si erge su Repubblica paladino della corretta informazione e accusa Travaglio di voler insinuare che Schifani sia in qualche modo compromesso con le cosche. Segue polemica fra i due giornalisti. Poi arriva Tabucchi sull’Unità del 21 maggio e mena fendenti un po’ a casaccio in difesa di Travaglio. Schifani querela e parte la richiesta - pare - di oltre un milione di euro.
L’editore Gallimard allora lancia l’appello: «Dopo le recenti persecuzioni contro la stampa di opposizione, non possiamo assistere indifferenti e passivi all’offensiva dell’attuale potere italiano contro la libertà di giudizio e di critica», si legge. In calce, a dire del Fatto, le firme di Pamuk, Philip Roth, Costa Gavras, Mario Soaresm, Camilleri, Maraini e Magris. Non si direbbe un plotone nutritissimo, più che una valanga una palla di neve, vedremo su Le Monde chi si aggiunge.
Ora non è mai bello quando un’alta carica dello Stato querela uno scrittore o un giornale però la battaglia per la libertà di stampa va davvero a giorni alterni. Ieri Minzolini doveva tacere. Oggi Tabucchi può parlare. Schifani non poteva querelare. D’Alema invece sì. Si vede che la libertà d’espressione (e di querela) non è un valore assoluto. Dipende da chi chiede la parola.
Alessandro Gnocchi
 
 

Messaggero veneto, 15.11.2009
Montalbano e Marco Paolini in dvd col Messaggero veneto

Udine. Un cofanetto che raccoglie ben 14 inchieste del Commissario Montalbano e una mini collana con quattro dvd dedicata al teatro di Marco Paolini saranno gli allegati al Messaggero Veneto della prossima settimana. Domani, lunedì, si comincia dalla creazione letteraria di Andrea Camilleri, col film Il ladro di merendine. Martedì uscirà, invece, la prima opera in programma firmata dall’attore trevigiano: Bestiario veneto. Entrambi i prodotti saranno in vendita a 8,90 euro più il prezzo del giornale.
 
 

Auditorium della Rai di Palermo, 16.11.2009
Ugo & Andrea

Due grandi vecchi della cultura italiana e della storia della radiotelevisione sono i protagonisti di “Ugo&Andrea” il film di Rocco Mortelliti che sarà presentato all’Auditorium della Rai giovedì 19 novembre alle 21, in collaborazione con il Camilleri fans club. Saranno presenti il regista e il compositore Marco Betta. Coordinerà Davide Camarrone. Subito dopo sarà proiettato un altro film “Magaria” tratto da una favola “nera” di Andrea Camilleri.
Qui di seguito la sinossi dei due film che saranno proiettati
UGO & ANDREA
Conversazione in falso movimento
Un docufilm che racconta un pezzo di storia d’Italia, attraverso il dialogo fra due intellettuali eclettici ed originali, e che si muove sul filo della memoria, degli aneddoti, delle emozioni, diventando elemento culturale di testimonianza.
Ugo e Andrea salgono su una duetto decappottabile, ma nessuno dei due sa guidare. La troupe ha organizzato una sorta di camera car, li farà “viaggiare” : la macchina sarà “spinta” a mano mentre, Ugo e Andrea si raccontano. Le immagini di sfondo servono a sottolineare alcuni passaggi del dialogo.
”Ugo & Andrea” nasce da un’idea di Andreina Camilleri e Orsetta Gregoretti, rispettivamente figlie di Andrea e Ugo, facendoli incontrare, nasce un divertente  gioco letterario.
Da un’idea di Andreina Camilleri, Orsetta Gregoretti
Regia di Rocco Mortelliti
LA MAGARIA
Favola di Andrea Camilleri
Trattasi di una favola che definirei “favola nera”. Un nonno con nipotina camminano campagna, campagna e guardano le bellezze della natura. Sedendo su una panchina il vecchio racconta alla nipotina la favola del grillo canterino. Ma la picciriddra non pare essere interessata al racconto, al contrario è rimasta alquanto turbata da un nano visto il giorno prima al circo. La bambina dopo aver esitato confessa al nonno un  segreto: le era apparso in sogno il nano che le avrebbe rivelato una magaria che con sette parole fa scomparire le persone…
Gli attori che interpretano la favola calzano maschere intere, ciò permette una visione più fantastica attraverso la quale la narrazione segue uno stile ben preciso.
Le musiche sono state composte da Marco Betta per voce recitante e orchestra diretta da Paola Ghigo.
Una produzione La nuova musica
Un progetto di Rocco Mortelliti
Nonno: Rocco Mortelliti, Ottavia Bianchi
Lullina: Gaia Valeria Cesaretti Salvi
Carabiniere: Alessandro Scaretti
Giudice Nano: Federico Inganni
Regia: Tiziano Grasso, Nicoletta Osci
 
 

La Repubblica, 16.11.2009
Il laboratorio sotterraneo di fisica nucleare più grande del mondo ha appena compiuto trenta anni
L’ultima ricerca: i primi indizi su un fenomeno la cui natura finora nessuno è riuscito a spiegare
Caccia ai misteri della materia oscura nel ventre del Gran Sasso

«È l' unico luogo al mondo dove mi passa la voglia di fumare. Perché lì sotto senti veramente l'infinito a portata di mano» disse Andrea Camilleri uscendo dai laboratori del Gran Sasso. Il più grande centro di ricerca sotterraneo del mondo, che fa capo all'Istituto nazionale di fisica nucleare ed è specializzato nello studio dei neutrini e della materia oscura, ha compiuto trent'anni senza aver perso nulla del suo ruolo di avanguardia. E il paradosso di uno scrittore rimasto a bocca aperta di fronte ai misteri dell'astrofisica rimpicciolisce se si pensa all'apparente contraddizione di un gruppo di scienziati che per studiare il cosmo ha deciso di accoccolarsi sotto 1.400 metri di roccia. E dal ventre di una montagna ha iniziato a puntare i suoi telescopi verso il cielo.
[…]
A stupire Camilleri al Gran Sasso è stato anche l'abbraccio tra storia e futuro, come lo scrittore ha raccontato in un incontro nella mostra "Astri e particelle" al Palaexpò di Roma. «Ho visto nei laboratori i lingotti di piombo ripescati da una nave romana affondata duemila anni fa». Sono serviti due millenni per spogliare il piombo della sua radioattività, rendendolo ideale per la schermatura di un esperimento di astrofisica sui neutrini.
Elena Dusi
 
 

Leggo, 16.11.2009

Verona - Un grande Camilleri per il “Grande Teatro”. La rassegna di prosa al Nuovo inizia domani sera con “Il Birraio di Preston”, piéce tratta dal romanzo di Andrea Camilleri e ispirata ad una vicenda realmente avvenuta.
Lo spettacolo, riadattato dallo stesso scrittore siciliano, vedrà tra i protagonisti anche il veronese Giulio Brogi. Nel piccolo paese siciliano di Vigàta, siamo nella metà del 1800, per l’inaugurazione del teatro del paese il Prefetto di Caltanissetta, di origini fiorentine e ben lontano dalle tradizioni siciliane, impone la rappresentazione dell’opera “Il Birraio di Preston” dell’autore sconosciuto Luigi Ricci. Questo diktat scatenerà i malumori di un’intera cittadinanza, in un crescendo di vicende personali e rancori nascosti che porterà anche all’incendio del teatro stesso.
Per questo spettacolo Camilleri ha vinto il premio Eti - Gli Olimpici del Teatro edizione 2009 come miglior autore di novità italiana. Il cast - oltre a Brogi, Mariella Lo Giudice, Sebastiano Tringali e Gian Paolo Poddighe - incontrerà il pubblico giovedì 19 novembre alle 17 nel Foyer del teatro Nuovo. In scena fino al 22 novembre, biglietti disponibili a partire da 9 euro. Info www.teatrostabileverona.it oppure 045 - 8006100.
(G. Pas.)
 
 

Stol.it, 16.11.2009
Literatur
Montalbano in der Sinnkrise: „Die Flügel der Sphinx“
Andrea Camilleris Held Salvo Montalbano, Kommissar im sizilianischen Vigáta, sehnt sich nach der Leichtigkeit des Seins.
Andrea Camilleri: Die Flügel der Sphinx; Gustav Lübbe Verlag, Bergisch-Gladbach; 270 Seiten, Euro 19,90; ISBN 978-3-7857-2378-4

Im mittlerweile elften Italo-Krimi schiebt der in die Jahre gekommene Genussmensch gehörig Frust.
Seine Beziehung zu Livia ist festgefahren, und er hat sich ebenso wie der Rest der Gesellschaft der Tatsache ergeben, dass sich sein Land im Würgegriff der Mafia befindet.
Überdies verdüstert sich seine Stimmung durch den Fund einer nackten entstellten Frauenleiche an dem einstmals so stolzen Fluss Salsetto, der, zum Rinnsal und zur Müllkippe verkommen, für Montalbano ein Symbol des Niedergangs ist.
Routinier Camilleri führt die Leser in seinem neuen Werk „Die Flügel der Sphinx“ sicher durch eine verwickelte Geschichte von Verbrechen, die er wie gewohnt mit einiger Gesellschaftskritik hinterlegt.
Das einzige Identifikationsmerkmal der Toten ist ein Tatoo an der Schulter, das die Flügel der Sphinx, eine Schmetterlingsart, darstellt.
Das Tatoo wird im Fernsehen gezeigt, alsbald meldet sich ein Zeuge, dessen ehemalige russische Haushaltshilfe ein solches Tatoo aufwies.
Der Commissario erfährt, dass auch seine Freundin Ingrid eine russische Haushaltshilfe hatte, die sich unter Mitnahme von Schmuck im Wert von satten 400.000 Euro aus dem Staub gemacht hat.
Das bringt ihn auf die Spur einer Diözesan-Organisation mit dem schönen Namen „Der Gute Wille“, die diese drei Frauen vermittelt hatte.
Es kommt heraus, dass die höchsten Spitzen der ehrenwerten Gesellschaft von Vigáta dahinter stecken. Sie haben sich das hehre Ziel gesetzt, die von üblen Schleppern ins Land gelockte Russinnen, die statt in anständige Berufe in die Prostitution geschickt wurden, aus diesem Elend zu befreien und in ehrbare Beschäftigungsverhältnisse zu vermitteln.
Nicht nur, dass sich die Organisation damit eine goldene Nase verdient. Um die armen Mädchen aufzuspüren, bedient sie sich höchst zweifelhafter Elemente, die ein lukratives Nebengeschäft betreiben, und die Mädchen zum Diebstahl an ihren Arbeitgebern anstiften.
Der Verstrickungen und Komplikationen nicht genug, soll sich Montalbano auch noch um die „Entführung“ eines bekannten Geschäftsmannes kümmern, der sich - wie bald alle außer der leidenden Gattin wissen - aber keinesfalls in einer prekären Situation befindet, sondern sich einfach aus dem Staub gemacht hat und sein dolce vita irgendwo an einem Pazifikstrand genießt.
Diesen Fall löst der Commissario nebenbei und mit gewohnt leichter Hand.
Natürlich fehlen auch die üblichen Ingredienzien nicht, die der Krimiserie erst die richtige Würze geben. Wie immer schlemmt Salvo genussvoll seine Barben, Langusten und die von seiner Haushaltshilfe liebevoll zubereiteten Paste.
Wie immer verschusselt das Kommissariats-Faktotum Catarella alle Telefonnummern und verwechselt alle Namen.
Die entscheidende Zutat aber ist die Melancholie eines Helden in der Midlife Crisis: „Ja, wenn man genauer darüber nachdachte, wurden doch seit Jahren schon immer haargenau die gleichen Nachrichten gebracht. Was sich änderte, waren allein die Namen: die der Orte, an denen die Ereignisse stattfanden, und die der Personen. Doch der Inhalt war immer der gleiche.“
 
 

Auditorium della Rai di Palermo, 17.11.2009
Rinviato a data da destinarsi UGO & ANDREA

Per ragioni indipendenti dalla nostra volontà l'appuntamento di giovedì 19 novembre alle 21 per la proiezione all'Auditorium di "Ugo & Andrea", il film di Rocco Mortelliti, con Ugo Gregoretti e Andrea Camilleri è rinviato a data da destinarsi. Ce ne dispiace.
 
 

La Repubblica, 17.11.2009
L’appello
Appello di Saviano, oltre 200.000 firme. Il sì di Camilleri e Montaldo

Roma - Oltre duecentomila firme all'appello-lettera di Roberto Saviano al premier.
E' di oggi l'adesione dello scrittore Andrea Camilleri. […].
PER LEGGERE E FIRMARE L'APPELLO
 
 

AGI, 17.11.2009
Flaiano: organizzati eventi per festeggiare centenario nascita

Pescara - Una commemorazione ufficiale, un incontro pubblico, una mostra con la proiezione di un film, un convegno di studi e uno spettacolo teatrale. Sono gli appuntamenti che la Fondazione Tiboni - associazione culturale Ennio Flaiano - ha organizzato a Pescara per il centenario della nascita di Ennio Flaiano. Il calendario degli appuntamenti, annunciato oggi da Edoardo Tiboni, prendera' il via il 5 marzo con la commemorazione ufficiale nella casa natale di Flaiano, in corso Manthone', a Pescara. […] Il 6 marzo si terra' invece un convegno di studi sul tema 'Nostalgia e attualita' di Flaiano', con l'intervento di molti personaggi di spicco, tra cui Alberto Arbasino, Andrea Camilleri, Renato Minore, Walter Pedulla', Enrico Vaime e Franca Valeri. […]
 
 

Penultim'Ora, 17.11.2009
Il forum di Roberto Alajmo
Perche' prendersela con Camilleri e non con me?

Nel salotto letterario un gruppo di addetti ai lavori è intento a stroncare Camilleri a forza di chiacchiere. Cercano di tirarmi dentro con la tecnica dei compari al gioco delle tre carte, ma io declino l’invito e mi allontano. Un po’, lo ammetto, nella speranza che, appena voltate le spalle, la smettano con Camilleri e prendano ad accanirsi sul sottoscritto.
Magari. Sarebbe un ottimo segnale: ciò che davvero sembra imperdonabile è il successo. Vendere libri è il difetto che illumina ex post tutte le magagne letterarie di uno scrittore.
La prova provata si ebbe quando nelle sale cinematografiche uscì “Amadeus”, provocando l’indignazione di tutti i puristi mozartiani che ritenevano inammissibile il ritratto del genio spetazzante.
Ma il film di Milos Forman era la pedissequa trasposizione cinematografica di una commedia di Peter Shaffer che da molti anni circolava nei teatri di tutto il mondo. Anche in quelli italiani, con enorme successo di pubblico e sempre ottime recensioni.
Delle due, l’una: o i puristi mozartiani non vanno mai a teatro, o la vera colpa, per un certo tipo di intellettuali, è interamente metaletteraria: raggiungere il maggior numero possibile di lettori/spettatori.
 
 

La Sicilia, 18.11.2009
Sciascia raccontato da Camilleri

Catania - La politica che assume un valore letterario, i fatti della storia interpretati ed analizzati dal genio di un grande scrittore.
Una raffinata combinazione nata dall’impegno politico di Leonardo Sciascia, che accanto alla sua attività di intellettuale, di scrittore, saggista e romanziere, direttore editoriale e pensatore, coltivò la passione civica. Sì, perché questa era la sua dimensione etica e culturale, un intellettuale impegnato, non chiuso in una torre d’avorio.
A 20 anni dalla scomparsa, l’attività politica dello scrittore di Racalmuto torna d’attualità, perché Andrea Camilleri ha raccolto in un libro edito da Bompiani, le interpellanze parlamentari di Sciascia, presentate dalle file del partito radicale, tra il 15 dicembre 1979 e il 31 gennaio 1983. La fase della sua presenza nel Parlamento nazionale.
Periodo che coincide con uno dei momenti più difficili della storia d’Italia. E del quale nelle interrogazioni di Sciascia, vengono fuori con lucidità critica alcuni dei nodi cruciali. E’ un libro che racconta Sciascia da una angolazione diversa, non quella della critica letteraria, della storia della cultura, ma dall’ottica dello scrittore che si fa politico, intendendo la politica come ideale di eguaglianza democratica e come strumento autentico di democrazia.
Vi è nel testo la visione cultural-politica di Sciascia, la sua volontà di applicare la dimensione critica al mondo che lo circondava, per capire e per far capire. Vi è la sua visione della politica e della cultura, come divulgazione democratica, come possibilità di fornire gli strumenti di comprensione a tutti. E’ una storia di passione politica e culturale, e di libertà.
Le interpellanze parlamentari di Sciascia parlano di problemi storici dell’Italia, di questioni contraddittorie e spesso irrisolte, e sono attuali, ancora decisamente attuali.
Salvo Fallica
 
 

L'Arena, 18.11.2009
Un esperimento interessante

La grande popolarità arrivò a Giulio Brogi 38 anni fa con l'interpretazione di Enea nello sceneggiato televisivo ricavato dall'Eneide di Virgilio dal regista Franco Rossi. Non era un ruolo facile e Brogi seppe interpretarlo facendo del personaggio virgiliano eroico e insieme malinconicamente perplesso un moderno antieroe più che un tronfio guerriero. E già prima di allora e poi in seguito, lavorando con registi che hanno fatto la storia del teatro e del cinema italiani della seconda metà del '900 (da Strheler a Bertolucci, dai fratelli Taviani alla Cavani a Olmi) si è sempre impegnato in ruoli complessi, di spessore civile magari controverso, spesso non di facile presa su un pubblico dai gusti tradizionalisti.
Brogi torna ora, dopo molti anni di assenza, nella sua città natale: sino a domenica è al Nuovo (per Il Grande teatro) con “Il birraio di Preston” tratto dal famoso romanzo di Andrea Camilleri, nell'allestimento del Teatro Stabile di Catania per la regia di Giuseppe Dipasquale.
Il Delegato Puglisi, il personaggio che lei interpreta, si allontana, almeno in parte, dai ruoli che più le sono caratteristici o c'è comunque un legame rispetto a questi?
”Anche questo personaggio, come un po' tutti quelli inventati dalla penna di Camilleri, unisce tratti differenti, e calarmi in questa parte è stato un esperimento molto interessante, tra l'altro confortato dal grandissimo successo di pubblico che abbiamo appena registrato a Milano, dove il nostro lavoro ha visto molte serate di tutto esaurito. Va però detto che in questo testo non è tanto la singola psicologia dei personaggi ad avere un ruolo di primo piano, quanto l'aspetto corale, di insieme, il grande, colorato affresco del mondo siciliano che ne deriva.”
Più realismo che psicologismo, dunque?
”Un realismo che si connota spesso di tratti grotteschi, o meglio ancora surreali. Voglio dire che, da una parte, per Camilleri, i personaggi più che occasioni per uno scavo analitico nel profondo, per un'indagine psicologica, sono macchie di colore giostrate in una sorta di caleidoscopio di straordinaria bellezza per produrre un risultato che deve prima di tutto divertire. Dall'altra, non è di vero realismo il risultato che ne esce, ma di surreale rilettura di fatti realmente accaduti, e questo grazie anche all'invenzione di un linguaggio che rimane la cifra essenziale dell'opera di Camilleri.”
Quali cambiamenti sono stati necessari per passare dal romanzo al teatro?
”Camilleri nasce come sceneggiatore e regista: è stato il primo, per esempio, a portare in Italia il teatro dell'assurdo di Beckett con “Finale di partita”. Nei suoi scritti, anche quando passa al romanzo, gli elementi teatrali ci sono già tutti. Camilleri scrive parlando al pubblico, più che al lettore, e la sua scrittura, sia nelle scelte linguistiche che nei contenuti (con quella compresenza di ironia e follia che lo sguardo del narratore riserva alla materia narrata), possiede tutti gli ingredienti della scrittura teatrale. La riduzione da romanzo a teatro è stata dunque immediata.”
Ha già all'orizzonte qualche altro impegno?
”Fino ad aprile sono impegnato con questo lavoro. Ma sono stato contattato per un film con Nanni Moretti, a fianco del quale ho già recitato ne “Il portaborse”. Ho dato la mia disponibilità, ora vedremo se la cosa andrà in porto.”
Alessandra Galetto
 
 

Al termine della notte, 18.11.2009
Andrea Camilleri, "Il birraio di Preston". (Sellerio)

Diciamo innanzitutto che tra il commissario Montalbano da una parte e Kay Scarpetta e il commissario Adamsberg dall’altra, corre la stessa differenza che tra una cena di Frédy Girardet e un pasto a base di stallatico.
E diciamo che secondo me c’è anche una bella differenza, in generale, tra l’opera di Andrea Camilleri e il resto della narrativa italiana contemporanea.
Non posso tuttavia negare la mia comprensione ai molti che, per lo stesso sacrosanto senso di snobismo che mi tiene lontano dalla trilogia di Stieg Larsson, si fossero fin qui astenuti dall’aprire un libro dello scrittore siciliano.
A questi, e a chi di Camilleri ha letto solo le avventure di Montalbano, consiglio con forza "Il birraio di Preston", che a mio parere è decisamente un romanzo di fascia alta.
Atmosfere pervasive (ambientazione Sicilia Ottocento), ritmo formidabile, personaggi completi e quasi balzachiani, storia più che avvincente e magnificamente costruita, scene formidabili che vanno dall’alcova con pretese di eleganza all’interno domestico dimesso fino a incontri uomo a uomo che ricordano il grande western dei tempi migliori (vedi John Ford, "Sfida infernale"), spolveramento diffuso di comicità ironia e dramma, in un’opera che non può essere considerata semplice narrativa d’evasione.
Insomma un gran piacere dall’inizio alla fine, con l’eventuale soddisfazione di poter dire ah sì, Camilleri, di Montalbano non ho letto niente, ho letto solo "Il birraio di Preston", un capolavoro.
(blevins)
 
 

Il Mattino, 18.11.2009
Stavolta Montalbano indaga su Pirandello

In quanti grovigli familiari è andato a cacciare il naso Salvo Montalbano? Già ne «Il cane di terracotta», secondo romanzo giallo di Camilleri, il celebre commissario s'imbatte in una diciassettenne, Lisetta Moscato, che riguardo alla propria casa, dominata da un padre violento e incestuoso, adopera il sostantivo «carcere» e l'aggettivo «asfissiante». E d'altronde, non è forse problematico il rapporto che intrattiene con la moglie Mimì Augello, il vice farfallone del commissario?
Insomma, voglio dire, tra il serio e il faceto, che nessuno meglio di Camilleri - del resto ben noto come esperto di Pirandello - poteva presiedere al progetto e all'allestimento dello spettacolo, «Festa di famiglia», presentato al Mercadante dalla compagnia Mitipretese e basato, appunto, sui testi del suo conterraneo girgentino. Di modo che, a proposito della collaborazione prestata da Camilleri alle ideatrici e registe della messinscena (Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres), che peraltro erano state sue allieve all'Accademia d'Arte Drammatica, si deve parlare, più che di semplice consulenza, di vera e propria influenza. E infatti lo spettacolo si sviluppa come se fosse, per l'appunto, un'indagine di Montalbano.
Si parte dal delitto appena compiuto: un metaforico interno disastrato, con tavoli e sedie rovesciati e bottiglie e bicchieri abbandonati sul pavimento. Poi, come in un flashback ininterrotto, si ricostruiscono - sulla traccia degli indizi forniti da «Questa sera si recita a soggetto», «Sei personaggi in cerca d'autore», «L'amica delle mogli», «Enrico IV», «L'uomo, la bestia e la virtù», «La vita che ti diedi» e «Trovarsi» - i motivi e le vicende che a quel delitto hanno condotto. E infine si arriva a scoprire, insieme, la natura del crimine e il suo autore: giusto la violenza esercitata all'interno delle mura domestiche dall'istituzione Famiglia.
Le vittime, manco a dirlo, sono gli anziani, le donne e i bambini. E a rimarcare l'acutezza e l'originalità di quest'allestimento basta l'invenzione finale: Ignazia, la madre di «Questa sera si recita a soggetto», scende in platea e si trasforma in Enrico IV, assumendone la disperata ma orgogliosa solitudine come segno di alterità e rivincita. Senza negarsi uno sberleffo velenoso quando, risalita sul palcoscenico, in linea con le compagne propina un'impagabile esecuzione di «Balocchi e profumi».
Inutile, adesso, sottolineare la bravura degli interpreti: accanto alle stesse Mandracchia, Toffolatti e Torres, Anna Gualdo, Fabio Cocifoglia e Diego Ribon. Ha proprio ragione, Camilleri: magari questo puzzle è «la commedia sulla famiglia borghese che Pirandello avrebbe forse voluto scrivere ma non aveva osato».
Enrico Fiore
 
 

Informazione.it, 18.11.2009
Al Teatro Novelli di Rimini “Festa di famiglia” venerdì 27 novembre 2009
ISTITUZIONE MUSICA TEATRO EVENTI
COMUNE DI RIMINI
Teatro Ermete Novelli – Teatro degli Atti
Stagione Teatrale 2008/2009
Al Teatro Novelli di Rimini “Festa di famiglia” in sostituzione de “Le invisibili”

Primo appuntamento per il Turno D –Altri Percorsi della stagione teatrale di Rimini 2009/2010 con lo spettacolo Festa di Famiglia in programma venerdì 27 novembre 2009 alle ore 21 (in abbonamento) al Teatro Ermete Novelli (via Cappellini, 3). Lo spettacolo sostituisce il previsto Le invisibili, annunciato precedentemente per la stessa data.
Tratto da testi di Luigi Pirandello, scritto e diretto da Mandracchia-Reale-Toffolatti-Torres, con la collaborazione alla dramamturgia di Andrea Camilleri, lo spettacolo è interpretato da Fabio Cocifoglia, Manuela Mandracchia, Anna Gualdo, Sandra Toffolatti, Mariangeles Torres e Diego Ribon.
Le luci sono di Iuraj Saleri, l’impianto scenico e i costumi di Claudia Calvaresi e la direzione musicale di Sandro Nidi. “Festa di famiglia – spiegano gli autori - è una riflessione sulle dinamiche violente all'interno del nucleo familiare. Il tema è drammatico e la storia che raccontiamo lascia pochi spiragli alla speranza; la sfida che ci proponiamo è quella di riuscire a raccontarne anche il lato tragicomico, di riuscire a vedere ciò che di grottesco e ridicolo si cela dietro le umane miserie. Siamo partiti da Pirandello, un autore che conosce a fondo la nostra realtà. Abbiamo isolato le scene che ci sembravano centrate sul nostro tema, abbiamo scambiato le battute tra i personaggi, abbiamo cambiato genere ai personaggi, abbiamo creato un nuovo personaggio da due, tre altri personaggi già esistenti. Abbiamo pensato che Camilleri, grande conoscitore di Pirandello e maestro di ironia potesse essere la persona più adatta per consigliarci in questo lavoro e invece ne è nato un vero e proprio sodalizio, un vero e proprio progetto comune”.
Prevendita: al Teatro Ermete Novelli (tel. 0541/24152) da lunedì a sabato dalle ore 10 alle ore 14
Nel giorno dello spettacolo la biglietteria del Teatro Ermete Novelli apre alle ore 19.30.
Per informazioni: Istituzione Musica Teatro Eventi tel. 0541/704292 – 704293 www.teatroermetenovelli.it
 
 

Il Messaggero, 18.11.2009
Il progetto
Un dvd per spiegare ai più piccoli la grandezza di Michelangelo
Presi per mano dal David. La celebre statua si anima e introduce alle meraviglie di Firenze del ’500

Mettete insieme una squadra di giovani innamorati dei bambini e della pedagogia, unite la tecnologia digitale, mescolate bene e avrete una storia inedita, appassionata e colta. Che vi verrà voglia di sperimentare a vosta volta. Magari per raccontare altre storie. Claudia Teodonio e Francesca Pacini, due storiche dell’arte responsabili dell’associazione Informadarte, hanno scritto una sceneggiatura per un dvd per bambini, “Un gigante dell’arte: storia del David di Michelangelo”, a cura di Tecvision Sistemi Multimediali s.r.l., dove viene narrata la storia dell’artista.
[…]
Tra i lavori già realizzati da Informadarte, che si occupa di fornire percorsi didattici per i più piccoli, anche le guide per i dipinti della Galleria Borghese e per il museo Nino Cordio a Santa Ninfa in Sicilia con la prefazione di Andrea Camilleri.
Rossella Fabiani
 
 

Corriere di Rieti / Corriere di Viterbo, 18.11.2009
“Sangue dal naso” Non giudizi ma solo verità.
Sabato 21 a Toffia.

Il Teatro delle Condizioni Avverse, Compagnia del Melograno, nell'ambito della rassegna "4spettacoli per un teatro" ideata e realizzata dal Centro Culturale 33officinacreativa, sabato 21 novembre alle 19 (ingresso gratuito), presso il teatro del complesso di San Bernardino, in piazza Lauretana 3, presenta “Sangue dal naso”, uno spettacolo sulle violenze della polizia durante il G8 di Genova nella scuola Diaz. Uno spettacolo grottescamente comico di e con Andrea Maurizi, che, ispirandosi al libro "Genova nome per nome" di Carlo Gubitosa e partendo dalla lettura di un brano di Andrea Camilleri, regala uno spettacolo di teatro civile e di narrazione assolutamente da non perdere. Il monologo nasce intorno a un triste momento della storia italiana: i tragici fatti accaduti a Genova durante lo svolgimento del G8 dal 16 al 22 luglio 2001. L'attore, unico presente sulla scena, veste i panni di numerosi personaggi, rappresentati ognuno da un pupazzo di pezza. L'attore a Genova non c'era e non giudica, cerca solo la verità
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 18.11.2009
Torregrossa fa il bis "Io, l'eros e il cibo"

[…]
Capita, a volte, leggendo in un libro la preparazione di una ricetta, di avvertirne come una sorta di carica erotica. Sensazione che può essere vissuta con "Afrodita" di Isabella Allende o con il delizioso "Dolce come il cioccolato" di Laura Esquivel. Su questo piano sembra muoversi Giuseppina Torregrossa, autrice de "Il conto delle minne" sorprendente successo di questa estate, e de "L'assaggiatrice", romanzo del quale la casa editrice Rubbettino sta rimandando in stampa una nuova edizione, con alcune modifiche rispetto all' edizione del 2007.
[…]
Ci sono autori siciliani che ama particolarmente o ai quali, in qualche modo, s'ispira?
«Verga, De Roberto, Pirandello, tutti amatissimi e dai quali vorrei essere contaminata, ma diciamolo a voce bassa, non facciamoli rivoltare nella tomba. Camilleri per quella sua leggerezza e simpatia unica nel panorama siciliano di solito così contorto e pieno di malinconia».
[…]
Antonella Scandone
 
 

il manifesto, 19.11.2009
Programmi
La storia siamo noi
Documenti
Domani ore 8.10 - RAITRE

Venerdì 20 novembre sarà il ventesimo anniversario della morte di Leonardo Sciascia. Raitre, per commemorare l'evento, proporrà il documentario «Leonardo Sciascia. La musica del pensiero» con numerose interviste tra le quali ricordiamo i nomi dello scrittore Andrea Camilleri, dell'onorevole Leoluca Orlando, all'epoca sindaco di Palermo, e di Emanuele Macaluso.
 
 

Thriller magazine, 19.11.2009
La rizzagliata

Perchè se si pensa a un romanzo giallo di Andrea Camilleri, ci si aspetta che il protagonista sia necessariamente il commissario Montalbano?
La sua presenza è come se fosse diventata il "marchio" di qualità sui romanzi di Camilleri. “La rizzagliata” è l'ultimo romanzo del famoso autore siciliano. E' un romanzo giallo. Montalbano, però, non c'è.
Nonostante questo è forse l'unico libro, tra i più recenti dell'autore, a convincere veramente e che si può definire senza dubbio ai livelli del "miglior Camilleri".
La vicenda si svolge a Palermo, ai giorni nostri, nella sede regionale della RAI. Amalia Sacerdote, giovane figlia del segretario generale dell'Assemblea Regionale Siciliana, viene trovata morta nella propria casa con il cranio fracassato. Amalia era fidanzata con Manlio Caputo, figlio del leader della Sinistra siciliana, che è accusato dell'omicidio della ragazza. Da questo momento parte una danza metaforica intorno al cadavere della ragazza, volta a intessere intrecci politici, mediatici e mafiosi, con lo scopo di confezionare la verità.
Camilleri guida il lettore all'interno del mondo dei media tra giornalisti, mezzibusti, politici e informatori e, per i più ingenui, per quelli che ancora credono che la melassa di notizie trasmesse dai TG sia "informazione", sarà molto interessante leggere come vengono applicate alcune semplici e banali tecniche di manipolazione delle notizie.
Rispetto agli ultimi "Montalbani", “La rizzagliata” ha una marcia in più. I romanzi di Montalbano hanno delle caratteristiche e dei canoni più o meno invariati. Si muovono all'interno di schemi, leggi e personaggi ben precisi, sempre fedeli a se stessi e che si ripetono con variazioni più o meno costanti. In questo nuovo giallo, invece, Camilleri non ha nessun vincolo e quindi può dare sfogo alla fantasia.
Il ritmo è serrato, come quello per la preparazione di un TG, i personaggi sono "pittati" con tratto vivace e sicuro. Nessuno è buono, nessuno è cattivo, il gioco delle parti prosegue pagina dopo pagina e, a conti fatti, il personaggio più moralmente e deontologicamente pulito del romanzo è uno squallido e volgare informatore che campa vendendo notizie a giornalisti compiacenti.
In conclusione il romanzo convince e Andrea Camilleri, tornato in grande spolvero, cattura con il suo rizzaglio i lettori, che restano impigliati nelle maglie di una trama davvero ben congeniata.
Chiara Bertazzoni - www.vigata.org
 
 

Il sole di stagno, 19.11.2009
I libri, le recensioni e i racconti di Vincenzo Aiello
"Non conosceva la duttilità, e questo lo rendeva non facile al compromesso"

Sì, lo so, i dieci lettori dieci - ma forse sono di meno - del mio blog potranno dire: "ma tu il post sul ventennale di Leonardo Sciascia l'hai già fatto...". Sì, ma è da poco uscito il numero 5/6 di "A futura memoria" il giornale telematico degli amici di Leonardo Sciascia, se vi iscrivete al sito www.amicidisciascia.it vi mandano il pdf sulla mail gratis. VENT'ANNI FA...VENT'ANNI DOPO 1989 - 2009 è questo il titolo dello speciale che è dedicato ai giovani che Sciascia non lo hanno conosciuto. In uno di questi articoli Giovanni Maria Bellu riporta una cena del '83 quando Einaudi capì che Sciascia voleva tradirlo editorialmente e lo descrive come poco duttile. E' inutile dire che noi di questa non duttilità siamo molto contenti. E' da poco uscito anche per i tipi della Bompiani, "Un onorevole siciliano. Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia" e le risposte, scritto da uno dei nostri pochi riferimenti odierni Andrea Camilleri. L'inventore di Montalbano racconta l'esperienza parlamentare di Leonardo Sciascia, attraverso le interrogazioni parlamentari che lo scrittore di Racalmuto presentò, dalle file del partito radicale, tra il 15 dicembre 1979 e il 31 gennaio 1983. Camilleri, che a Sciascia fu legato da consuetudine e amicizia, ne mette in luce la passione politica autentica; la lucidità, l'approccio mai ideologico ma sempre ancorato a una analisi dei fatti acuta e spietata, comunque sempre scomoda e insofferente al potere. Gli argomenti di queste interrogazioni sono, tutti, di estrema attualità, allora come oggi; i casi di cronaca affrontati sono tuttora ferite aperte: la mafia, l'uccisione del magistrato Ciaccio Montalto, il caso Pecorelli, il petrolio, l'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine. Dalla voce di Andrea Camilleri, e dagli interventi di Sciascia emerge, insomma, un ritratto impietoso di un'Italia incapace di fare i conti con il proprio passato; e colpevolmente sorda alle parole di chi, con tutto il rigore della ragione, dimostrava di amarla. A futura memoria, quindi; se la memoria ha un futuro.
PS: "Nel gioco dei padri (Avagliano)", in occasione del ventennale dalla morte dello scrittore siciliano, Anna Maria Sciascia, figlia di Leonardo, racconta l’opera, i luoghi e la famiglia di un altro scrittore siciliano: Luigi Pirandello. In un gioco di specchi, propone un’interpretazione personale della complessa, delicata e contraddittoria esperienza che è il vivere accanto a uno scrittore. Attraverso l’analisi dell’opera pirandelliana e delle lettere familiari, il dramma di Antonietta Portulano, moglie di Luigi Pirandello, e l’inquietudine della figlia Lietta, diventano necessariamente un racconto commosso.
Vincenzo Aiello
 
 

Il Tempo, 19.11.2009
«Aveva una virtù: ignorava l'ambiguità Perciò oggi va letto»

[…]
Walter Pedullà, decano dei critici letterari.
[…]
Evocano Sciascia parlando di Saviano, o Camilleri... Lasciamoli ciascuno nel proprio alveo. Come paragonare chi ha scritto un libro con chi ne ha firmati 50?
 
 

Virtual Bologna.it, 19.11.2009
Il Birraio di Preston all'Arena del Sole
Autorità, istituzioni, malavita e... gente comune.

Dal 24 al 29 Novembre la Compagnia del Teatro Stabile di Catania presenterà all'Arena del Sole lo spettacolo teatrale "Il Birraio di Preston", tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri.
Diretto da Giuseppe DiPasquale la storia è ambientata nella seconda metà dell'Ottocento, in un piccolo paese siciliano - il solito Vigàta, ma quasi un secolo e mezzo prima dell'avvento di Montalbano.
Per inaugurare il nuovo teatro civico, il prefetto dell'odiato paese vicino s'intestardisce, nonostante le opposizioni, a voler metter in scena Il birraio di Preston, melodramma di scarso valore, provocando quasi una guerra civile tra le due fazioni. Una storia esemplare, scritta in chiave di metafora, per raccontare la Sicilia di oggi, non più quella del dolore e della eterna dominazione dello straniero, ma quella del paradosso siciliano: vivere della disdetta della propria natura e in più riderci sopra.
Le autorità, le istituzioni, la malavita, la gente comune. La scrittura di Andrea Camilleri si trasforma in drammaturgia e diventa così uno spettacolo. Un ritratto impeccabile delle contraddizioni della provincia siciliana.
 
 

Thriller Café, 19.11.2009
Andrea Camilleri – Biografia

Tutti coloro che aspirano a diventare scrittori, possono trovare nella storia (artistica) di Andrea Camilleri motivo di speranza e allo stesso tempo di sconforto. Il papà dell’ormai forse più celebre poliziotto italiano, il commissario Salvo Montalbano, diede alle stampe il suo primo libro “Il corso delle cose” nel lontano 1978, tra l’altro con un editore a pagamento (pare che esistessero anche allora, o forse sono sempre esistiti…). Il libro passò attraverso l’indifferenza più totale, così come una prova successiva del 1980, edita da Garzanti. Passano una decina d’anni, abbastanza per fiaccare le aspirazioni e la tenacia di aspiranti scrittori ben più coriacei, ma finalmente arriva la Sellerio, e con essa il successo. Non è un’esplosione, ma assomiglia piuttosto a un fiume che rompe gli argini, tracimando attraverso il passa parola dei lettori, che lo trovano irresistibile. Un successo più che meritato, ma che non può non farci interrogare sulla volubilità del mercato letterario, che oggi impazzisce per opere che ieri non si degnava nemmeno di annusare. Ozioso chiedersi perchè, dato che non una virgola è stata cambiata nell’arco di quei dieci anni di sottobosco immobile. Eppure Camilleri non era certo un principiante, né tantomeno un improvvisato. La sua formazione letteraria ha origini lontane, solide e raffinate. E’ prima di tutto regista teatrale e sceneggiatore, e questo suo bagaglio si riconosce, dal punto di vista tecnico, nella struttura dei romanzi che scrive, definiti dai critici come dei marchingegni a orologeria, per la perfezione con cui costruisce i suoi intrecci. Qualità importante in tutti i generi letterari, ma fondamentale nel giallo, dove la differenza tra mediocrità ed eccellenza passa per l’abilità con cui si acconcia il mistero e poi lo si risolve.
Camilleri crea il suo personaggio più famoso, Salvo Montalbano, e nel romanzo d’esordio “La forma dell’acqua” lo fa introdurre in questo modo da due netturbini che decidono di rivolgersi alle forze dell’ordine dopo aver capito di essersi appena imbattuti in guaio: “di andare dai carabinieri manco gli era passato per l’anticamera del cervello, li comandava un tenente milanese. Il commissario invece era di Catania, di nome faceva Salvo Montalbano, e quando voleva capire una cosa, la capiva.”
A parte quest’annotazione su Catania, che non mi risulta essere stata in seguito ripresa, la breve definizione è tra le intuizioni più felici di Camilleri. Quale modo migliore per descrivere una persona intelligente, saggia, che conosce il territorio, la sua cultura, i suoi abitanti, e sa quindi come comportarsi e come agire? C’è tutto Montalbano in quella breve frase, e c’è tutta la Sicilia di Camilleri. Il commissario Montalbano è un personaggio talmente realistico che meriterebbe una biografia a parte: prende il suo nome – l’aneddoto è arcinoto – da un omaggio a Manuel Vasquez Montalban, lo scrittore spagnolo padre del detective Pepe Carvalho; è amante della buona cucina, che usa gustare in silenzio (chiedendolo – o imponendolo – anche ai suoi commensali); è eternamente fidanzato con Livia, genovese di origini e cultura, con cui ha anche rischiato di sposarsi per poi adottare il piccolo protagonista de “Il ladro di merendine”, ma questo legame, specie negli ultimi romanzi, appare sempre più fragile ed esposto alle insidie di altre donne che occasionalmente incrociano la sua strada. La sua vita, per fortuna di chi legge le sue avventure, si esaurisce per gran parte nel lavoro, in cui senza tanti giri di parole si può dire che eccelle. E’ dotato di fiuto investigativo, a volte arriva alle cose prima con l’istinto che con la ragione. Conosce la natura umana, e soprattutto le sue debolezze. E’ rispettoso della legalità, ma non di rado ritiene che il fine giustifichi i mezzi, specie se si tratta di aggirare qualche nodosa procedura burocratica per ottenere subito i risultati voluti. Ha una moralità che non nasconde né ostenta, e si capisce che da molta importanza a valori come l’amicizia, la fedeltà (non quella coniugale, ma ai propri principi) l’onestà intellettuale: il complesso di qualità che si potrebbe riassumere, con un’espressione un po’ retrò, con la frase “un uomo dalla schiena dritta”.
L’altro grande protagonista dei romanzi di Camilleri è poi la Sicilia. O meglio una visione della Sicilia che, sia detto subito, molti hanno accusato di essere romanzata e irrealistica, ma che ha l’indiscusso merito di saper cogliere qualità e difetti che, seppure descritti attraverso il filtro della fiction (e dunque esagerati o attenutati, a seconda dei casi) trovano origine nella realtà delle cose. Ci sono romanzi che potrebbero essere ambientati in qualsiasi contesto, e conserverebbero pressochè intatta la loro identità. Quelli di Camilleri non possono che essere ambientati in Sicilia, o altrimenti non esisterebbero, intrisi come sono di cultura locale. Un nesso che risulta evidente se si considera quel lessico particolare che viene utilizzato nei suoi libri: un siculo-italiano che ha attraversato negli anni significative mutazioni. Mentre nei primi libri Camilleri usa una sorta di italiano contaminato dal siciliano, oggi è esattamente il contrario. Con un intento quasi pedagogico, Camilleri ha educato i suoi lettori al dialetto della sua terra; prima attraverso pochi e insistiti vocaboli ben intellegibili attraverso il contesto, per poi rovesciare il rapporto e arrivare a usare un siciliano qua e là pennellato di italiano. Con il risultato che chi oggi si avvicinasse a Camilleri per il tramite dei suoi ultimi romanzi avrebbe forse qualche difficoltà a decifrare certe espressioni; ma è indubbio che allo stesso tempo il Maestro sia riuscito a creare, attraverso questa dolce assuefazione (per i non siculi, s’intende) a termini come trasire, taliare, macari, una certa complicità con i suoi innumerevoli lettori di vecchia data.
Un’ultima annotazione su Montalbano e sul suo rapporto con la realtà. A differenza di molti personaggi seriali, il commissario non è rimasto uguale a se stesso attraverso le varie avventure raccontate dal suo papà letterario. Non solo è invecchiato anagraficamente, ma si è evoluto coerentemente con gli avvenimenti della sua vita. Sono mutati i suoi rapporti umani (con Livia, con Fazio, con Mimì Augello) e il carattere delle persone che gli stanno attorno. Persino Catarella, il personaggio all’inizio evidentemente pensato solo per strappare qualche sorriso al lettore attraverso le sue gag con Montalbano, ha mostrato in certi momenti la sua tridimensionalità, compatibilmente con lo spazio riservato a un attore di contorno.
Montalbano ha pure mostrato pure di essere piacevolmente meta-letterario, con le sue riflessioni-incursioni nella cronaca italiana (spesso politica), che lo collocano nel presente e riflettono le convinzioni di Camilleri uomo sociale.
Insomma, il tempo non attraversa senza conseguenze la sua vita, e se nasce non dovrà a un certo punto anche morire? La risposta è forse contenuta in quell’ultima storia gelosamente conservata nella cassaforte della Sellerio, che per volontà di Camilleri non verrà data alle stampe prima che quest’ultimo, speriamo tra un centinaio d’anni, avrà preso domicilio al paradiso degli Scrittori.
Cristiano Idini
 
 

Perugia Notizie, 19.11.2009
Crimini di Gola a Torgiano
Il cibo nei gialli di Camilleri e Varesi. Il 21 novembre 2009, alle ore 20.00, presso Le Tre Vaselle di Torgiano (pg), conversazione gastronomica con Alberto Sorbini sul cibo nella letteratura noir, con gustosa cena a tema

L'evento, ideato da Alberto Mori e promosso dalla Fondazione Lungarotti, propone agli appassionati un abbinamento cibo-letteratura tutto da scoprire: cosa hanno in comune la letteratura noir e il cibo? Dai bocconi avvelenati intorno ai quali si dipana la trama di tanti racconti alle passioni gastronomiche di investigatori gourmand il cibo è un elemento fortemente presente nelle pagine degli scrittori noir.
L'antropologo dell'alimentazione Alberto Sorbini propone una lettura trasversale di due fra i più fortunati personaggi della letteratura italiana contemporanea: Salvo Montalbano, creato da Andrea Camilleri, e il commissario Soneri, protagonista dei romanzi di Valerio Varesi.
Attraverso le predilezioni culinarie dei due detective, si metteranno a confronto due straordinarie tradizioni gastronomiche: quella siciliana e quella emiliana, che ha in Parma e nell'Appennino due diversi modi di espressione.
a concludere l'incontro, un abbinamento cibo-letteratura tutto da gustare: lo chef del ristorante Le Tre Vaselle preparerà una cena a tema, con dolce finale a sorpresa...
21 novembre 2009 ore 20.00 Torgiano, Le Tre Vaselle, via Garibaldi 48
Quota partecipazione: €30,00 Prenotazione obbligatoria Informazioni e prenotazioni tel: 075 9880447 email: 3vaselle@3vaselle.it
sito web: www.lungarotti.it
Per informazioni turistiche Ufficio Informazioni e Accoglienza Turistica del Comprensorio Perugino Piazza Matteotti, 18 - Loggia dei Lanari - 06100 Perugia
Tel. 075.5736458 - Fax 075.5720988 info@iat.perugia.it
 
 

TG3 - Linea notte, 20.11.2009
Camilleri racconta Sciascia
A 20 anni dalla morte di Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri lo racconta in un libro.
Servizio di Francesco d'Ayala


 
 

il Fatto Quotidiano, 20.11.2009
Camilleri / Sciascia
Il giorno della civetta
“Leonardo non avrebbe mai dovuto scriverlo”

Cinquant’anni fa, o giù di lì. Andrea Camilleri, una sigaretta dietro l’altra, non ricorda l’anno in cui conobbe Leonardo Sciascia (oggi ricorre il ventennale della scomparsa). Ma è l’unica cosa che dell’amico non sa dire. Tutto il resto, qui di seguito. Nuvole di fumo, lampi negli occhi, l’intraducibile tono della voce, l’Isola nella pronuncia e nel cuore: una conversazione sulla Sicilia, a ritmo di narrazione.
Com’è stato l’incontro Sciascia-Camilleri?
"Cominciammo ad avere dei contatti quando io ero all’ufficio sperimentazione della Rai. Gli chiesi se poteva stendere la traccia di uno sceneggiato perché riguardava il primo delitto di mafia nel quale erano coinvolti politica, finanza e banche. Disse che non se la sentiva perché il materiale era troppo. Poi cominciammo a frequentarci perché io dovevo mettere in scena la riduzione teatrale del “Giorno della civetta”. Poi continuammo a frequentarci perché io facevo il regista di quattro puntate a lui dedicate di un programma che s’intitolava "Uno scrittore e la sua terra”. Poi ci siamo visti anche privatamente per i fatti nostri. Poi gli portai del materiale su un fatto di sangue accaduto nel mio paese pensando che potesse ricavarne uno dei suoi libretti aurei, lui mi restituì tutto, dicendo: Ma perché non lo scrivi tu? Poi mi convinse a scriverlo e me lo fece pubblicare da Elvira Sellerio, facendo la bandella. Era “La strage dimenticata”. Abbiamo sempre avuto un rapporto di amicizia. Ma tengo a precisare, onde evitare gelosie, che io ero un amico di Sciascia di secondo grado. Perché ci sono gli amici di primo grado, quelli ai quali si fanno confidenze. E io non appartenevo a questa cerchia. Ero nella cerchia immediatamente dopo, tra quelli che lo chiamavano Leonardo e non lo chiamavano Nanà, come facevano gli amici intimi."
E di cosa parlavate?
"Parlavamo di tutto. Di politica, di Stendhal, del fatto del giorno. E polemizzavamo. Non era un’amicizia tranquilla. Ci trovavamo in disaccordo su molte questioni. Per esempio la politica. Per esempio un’azzuffatina notevole avvenne in occasione del sequestro Moro. Renato Guttuso, che era fraterno amico di Sciascia (fino a quel momento, perché di lì a 15 giorni non si salutarono più), l’invitò ad andare a trovare Berlinguer insieme con lui. E trovarono un Berlinguer distrutto: Berlinguer pensava che il rapimento Moro – ancora non era stato ammazzato –, fosse il frutto di una felice collaborazione tra il Kgb e la Cia. E non ci era andato tanto lontano, il povero Berlinguer. Naturalmente Sciascia scrisse un articolo sul Corriere della Sera. Naturalmente Berlinguer non potè far altro che smentire. Lo strappo con l’Unione Sovietica c’era stato, ma un po’ di cordone ombelicale era rimasto. Berlinguer disse: Sciascia ha equivocato. E Leonardo: Ma come? Era presente Renato Guttuso, che può confermare . Guttuso era membro della direzione del Pci e si schierò con Berlinguer: ma no, Leonardo ha frainteso. Bell’amico mi disse dopo Leonardo a proposito di Guttuso. E io a lui: No, bell’amico tu. Perché? E io: perché se sei amico fraterno di Guttuso e sai che Renato è membro della direzione del Pci ed è un comunista convinto, non lo tiri in ballo. Lo tieni lontano da questa faccenda, altrimenti lo metti in difficoltà. Voi comunisti siete tutti uguali. E da qui cominciò un litigio che fortunatamente si risolse nel giro di pochi giorni, dato che non eravamo amici di primo grado. Perché se fossimo stati amici di primo grado penso che il litigio sarebbe stato assai più serio."
Perché le prese di posizione di Sciascia – sulla mafia e sul sequestro Moro, per esempio – hanno suscitato dibattiti così violenti?
"Erano controcorrente. Ma non erano controcorrente per partito preso. Uno può essere pierino, che dice sempre di no. Sciascia non era pierino, Sciascia ragionava. Era di una lucidità intellettuale che pochi hanno avuto in Italia. Quindi andava a finire che le sue conclusioni urtavano ferocemente contro le conclusioni ufficiali, che non erano dettate dalla ricerca della verità, erano in genere dettate da un accomodamento. A questo accomodamento Sciascia non ci stava. Si poteva permettere il lusso di dire non ci sto, perché così come era severo verso i terzi era severo verso se stesso."
L’indipendenza intellettuale è la sua più importante lezione?
una delle sue più importanti lezioni. Sciascia è sempre politico, è politico anche quando scrive romanzi: “Todo modo” è un romanzo politico. Altrimenti non si capisce perché uno scrive un romanzo, “Il Contesto”, definendolo romanzo, e provoca una violenta reazione da parte del Partito comunista. Uno scrive “Todo modo”, che è il requiem della Democrazia cristiana, e suscita polemiche. Erano politici i suoi romanzi, politici i suoi articoli. Lui era un uomo naturaliter politico. Poi c’è il momento in cui, dalla politica fatta in qualità di scrittore, diventa politico attivo perché si presenta alle elezioni (sempre come indipendente, sia nel Pci sia con i Radicali). Che cos’è il partito per Sciascia? La stessa cosa che è per Enrico Mattei. Enrico Mattei diceva: il partito politico mi serve come un tram, ci salgo sopra perché mi deve portare da qualche parte. Leonardo Sciascia adopera il partito allo stesso modo, solo che i suoi fini sono totalmente diversi. Non sono fini utilitaristici, come per Mattei. Sono la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, senza dover condividere le opinioni del conduttore del tram."
E le altre lezioni?
"Sempre questa costante attenzione alla vita sociale e politica del paese. Non c’è stato un momento in cui Leonardo si sia distratto per contemplare il proprio ombelico. Oggi moltissimi letterati italiani non fanno altro che contemplare il proprio ombelico. Voglio dire che lui è stato sempre utile alla società nella quale viveva. Chiaro?"
Parliamo della Sicilia. Sciascia l’ha vissuta anche come un problema.
"C’era la questione della sicilitudine, che a lui stava sulle palle come sta a me. È un termine coniato da una definizione di Léopold Sédar Senghor, presidente del Senegal. Lui parlava di negritudine. Ma c’è una grossa differenza tra negritudine e sicilitudine. E applicare un concetto così ristretto come quello di negritudine non gli andava. La sicilitudine è il lamento che il siciliano fa di sé. Vittorio Nisticò fece un giornale leggendario che era l’Ora di Palermo. Vittorio diceva che i siciliani si dividono in due grandi categorie. I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto. Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio. Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va. Leonardo era un siciliano di scoglio, non c’è dubbio. Però il suo scoglio era così alto che lui da lassù poteva guardare il mondo. Non riusciva a stare lontano dalla Sicilia. La prima volta che andò a Parigi mi dissero: Leonardo si è beccato tre influenze di fila e se ne sta chiuso in albergo. Gli telefonai: Come ti senti? Risposta: Male assai. E gli chiesi: Per l’influenza? Sì, sì l’influenza. Ma poi sentirmi ghittato ‘ca a Parigi. Capito? Buttato qua a Parigi, come se fosse stato in esilio in un paese del Terzo mondo. Sicilitudine è una condizione segnata con l’evidenziatore da alcuni particolari. È, come dire, un gusto compiaciuto per l’essere isolati, per il sentirsi diversi. Invece non lo siamo, diversi. Siamo semplicemente separati dalla terra ferma. La questione divenne la sicilianità, soprattutto per quanto riguarda i caratteri negativi: la sicilianità è molto semplicemente il prodotto di 13 o 14 dominazioni diverse che si sono susseguite in Sicilia. È il senso dell’isola. I siciliani di queste 13 dominazioni hanno preso il meglio e il peggio. Quindi si sono creati un carattere prismatico, cioè assolutamente contraddittorio. Tra persona e persona, tra siciliano e siciliano. Uso una bellissima immagine di Vitaliano Brancati: ci sono il signor Rossi e il signor Bianchi, tutti e due di Catania, tutti e due abitanti nello stesso condominio. Ma li divide il pianerottolo e passare il pianerottolo è come fare una traversata atlantica. Tutto questo coacervo di situazioni, di modi di pensare e agire, fa la sicilianità intesa come complessità. La contraddizione è sempre presente. Non a caso Leonardo aveva pensato, in un primo tempo, di fare scrivere sulla propria tomba: visse e si contraddisse. Poi cambiò idea e fece scrivere: ce ne ricorderemo di questo pianeta."
Mafia e antimafia: due parole sui professionisti dell’antimafia.
"Sciascia non era dentro le segrete cose della magistratura. Qualcuno lo informò che era cambiato il meccanismo di promozione dei giudici. Prima venivano promossi in base all’anzianità. Si cambiò con Borsellino: secondo i vecchi criteri la promozione non gli spettava. Venne nominato procuratore in base alla specifica conoscenza che aveva della mafia. E questo Leonardo lo reputò un errore. E fu un errore di Leonardo. Come si dice: ha toppato, perché mica era Dio. E mica è stata l’unica volta. Quello che posso garantire io, è che le sue erano toppate in assoluta buona fede. Infatti, quando gli spiegarono come stavano le cose, si precipitò a scusarsi con Borsellino. Leonardo non aveva capito che nel caso della mafia l’unica strada è la specializzazione."
Sciascia letterato: qual è il suo valore?
"Questo è molto discusso. Per me è stato uno dei maggiori letterati del Novecento, assieme a Carlo Emilio Gadda. Molti gli rimproverano una scrittura professorale. Non è così. Il suo italiano, che sembra accademico, è una lingua che lui affilava quotidianamente per farne qualche cosa che somigliasse a un bisturi."
La prima delle Lezioni americane di Calvino: la leggerezza.
"Non a caso erano amici."
Classifica dei libri di Sciascia.
"Il più bello in assoluto è “Il consiglio d’Egitto”, perché mette in campo drammaticamente la condizione dell’essere siciliani. Il libro è diviso in due parti separate da un intermezzo - proprio intitolato “Intermezzo” - in cui il Viceré siciliano, che non è siciliano, chiede a un notabile siciliano: ma come si fa a essere siciliani? Per dire che il libro è incentrato sulla natura e sullo spirito dei siciliani. Io ho trovato una risposta a quella domanda. Vuole saperla? Si fa con l’ironia. Poi “Candido” e poi “Porte aperte”. Certo, c’è “Il giorno della civetta”. Ma è uno di quei libri che non avrei voluto fossero mai stati scritti. Ho una mia personale teoria. Non si può fare di un mafioso un protagonista, perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia del Giorno della civetta”, giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini – omini, sott’omini, ominicchi, piglia ‘n culo e quaquaraquà – la condividiamo tutti. Quindi finisce con l’essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue. Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici. Saviano è riuscito a dimostrare che si può scrivere un libro - non un romanzo perché è una cosa diversa - e mostrare la camorra per quello che è. Ma è un caso isolato."
Già nei primi anni Ottanta Sciascia manifesta una grande preoccupazione per la deriva della politica verso il malaffare. Oggi cosa scriverebbe?
"Forse non scriverebbe proprio nulla. Quando tu hai una tale e vasta conferma di quello che avevi intuito sarebbe avvenuto, ti cascano le braccia. Di Leonardo sento la mancanza, ma certe volte sono contento che non ci sia più. Perché penso: Poveraccio, se ci fosse ancora. Almeno non deve vedere tutto questo."
Silvia Truzzi
 
 

Panorama, 20.11.2009
Leonardo Sciascia nelle pagine di Camilleri e Collura

Paul – Louis Courier, “vignaiuolo della Turenna e membro della legion d’onore” era uno scrittore che “sapeva dare colpi di penna che erano colpi di spada”. La frase è di Leonardo Sciascia, si trova nelle “Parrocchie di Regalpetra” e porta la data 1956. Più che una descrizione, quella del grande narratore siciliano sembra un’auto-definizione.
Fa dunque un certo effetto rileggerla a distanza di mezzo secolo nella nuova edizione dell’”Alfabeto Sciascia”, da poco pubblicato da Longanesi, che il suo più noto biografo, Matteo Collura, ha dedicato all’autore del “Giorno della civetta” in occasione del ventennale della morte.
Sciascia moriva a Palermo il 20 novembre del 1989, e un ventennio è certamente una distanza che permette un primo bilancio sulla sua eredità, iniziando magari proprio dalla sua scrittura. Limpido, conciso, vigoroso, il suo stile è stato celebrato quale uno dei suoi più “enigmatici e intriganti patrimoni”. Non è però il solo, e probabilmente non è neppure il più significativo. La tensione linguistica – tutta calibrata sull’asciuttezza, l’intelligenza narrativa e la più rigorosa indispensabilità narrativa - è certamente la chiave grazie alla quale la produzione dello scrittore siciliano è stata conosciuta dal grande pubblico.
Eppure, la sua poetica civile non può essere semplicemente ridotta a un dato stilistico o di maniera. L’attività di Sciascia scrittore, ma anche quella di intellettuale ed editore (impensabile dimenticare il decisivo contributo che diede per la nascita e l’affermazione della casa editrice Sellerio), infatti, nasce innanzitutto da una radicale polemica nei confronti del potere e delle sue mille ingiustizie, analizzate – come ha fatto notare lo stesso Collura – con una sorta di “nevrosi da ragione, di una ragione che cammina sull’orlo della non ragione”.
Lasciamo allora allo stesso narratore siciliano una spiegazione più analitica, in una pagina da poco ripubblicata nel numero monografico della rivista Panta, sempre a cura di Collura, che raccoglie interventi inediti e un florilegio delle più belle pagine critiche sullo scrittore: “credo che, se sono diventato un certo tipo di scrittore, lo devo alla passione antifascista. La mia sensibilità al fascismo continua a essere assai forte, lo riconosco ovunque e in ogni luogo, persino quando riveste i panni dell’antifascismo, e resto sensibile all’eternamente possibile fascismo italiano. Il fascismo non è morto. Convinto di questo, sento una gran voglia di combattere, e di impegnarmi di più, di essere sempre più deciso e intransigente, di mantenere un atteggiamento sempre polemico nei riguardi di qualsiasi potere”.
Uno Sciascia, questo, a diciotto carati: la sua idea di letteratura – e insieme la genesi di tutti i suoi libri – si spiegano infatti solo partendo da qui. E si spiega solo così anche la sua sofferta partecipazione politica, vissuta in prima persona da due punti di vista radicalmente diversi, eppure compatibilissimi nella Sicilia del dopoguerra. Come ricorda Andrea Camilleri nell’ultimo suo saggio pubblicato da Bompiani (“Un onorevole siciliano. Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia”), “il primo impegno diretto avviene nel 1975, quando accetta, sia pure con molte riserve, l’invito di Achille Occhetto, a presentarsi in occasione delle elezioni comunali di Palermo, come indipendente nelle liste di quel partito”.
Sciascia non è mai stato iscritto al Pci, eppure sembra persuaso della convinzione di un suo maestro, Vitaliano Brancati, secondo cui “in Sicilia, per essere veramente liberali, bisogna almeno essere comunisti”. Quella prima esperienza si concluderà amaramente. Lo scrittore si dimetterà l’anno dopo essere eletto, motivando così la sua scelta: “mi sono occorsi diciotto mesi per capire che il PCI non era disposto a ricoprire quel ruolo d’opposizione che era il suo consiglio comunale….Il fatto è che non si poteva ingaggiar battaglia a Palermo e continuare il compromesso a Roma”. Gli anni delle convergenze parallele sono infatti iniziati da almeno un lustro, e con esse l’avvicinamento tra la Dc e il Pci che, di lì a breve, porteranno a varare il primo governo con l’appoggio dei comunisti.
È forse anche questo che spinge Sciascia ad accettare tre anni dopo la candidatura al parlamento nazionale, ancora da indipendente, ma stavolta con le liste dei radicali. Quella di deputato, si rivelerà un’altra esperienza amara, e tuttavia illuminante per comprendere la natura dell’uomo e della sua opera. Lo scrittore parteciperà attivamente alle sedute della commissione d’inchiesta sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, cui aveva già dedicato uno dei suoi più lucidi e ultimativi libri, “L‘affaire Moro”. E i suoi interventi alla Camera resteranno alla storia come i più brevi e caustici della storia parlamentare repubblicana.
Sciascia concluderà la sua esperienza in Transatlantico nel 1983.  Sei anni dopo, poco prima della sua morte, nella sua lettera-testamento scriverà: “raccomando ai miei familiari e amici di non perder tempo a difendere la mia memoria, a correggere giudizi o interpretazioni che riguardano la mia vita e i miei scritti per quanto ingiusti o di malafede possano essere. Ho vissuto semplicemente, senza ambizioni o vanità, senza perseguire alcun vantaggio personale: chi non ha voluto accorgersene, chi si è sentito ferito dalle cose vere che ho detto e ha fanaticamente reagito, non sarà mai in grado di ravvedersene. Ma alla distanza, i miei allarmi, le mie constatazioni e contestazioni, suoneranno sempre più di verità. Di questa piccola immortalità - nel senso che andrà, anche se di poco, al di là della mia morte - sono certo”. Aveva ragione.
Filippomaria Battaglia
 
 

Minima & moralia, 20.11.2009
Questo articolo è apparso sul Riformista.
Un onorevole siciliano

Nell’arco dei quattro anni in cui fu deputato radicale, dal 1979 fino al 1983, Leonardo Sciascia tenne in aula, tra interrogazioni e interpellanze, undici interventi. I testi erano stati già raccolti, insieme alla trascrizione di alcune interviste concesse a Radio radicale e ad altri scritti, in un libro curato da Lanfranco Palazzolo per le edizioni Kaos: “Leonardo Sciascia deputato radicale”. I soli testi «parlamentari», insieme alla relazione di minoranza redatta per la Commissione d’inchiesta sul caso Moro, vengono ora riproposti in un agile volumetto Bompiani, “Un onorevole siciliano”, con introduzione e commento di Andrea Camilleri.
Nel ventennale della morte, questi interventi tenuti a Montecitorio offrono più di uno spunto di riflessione sul confine «civile» dell’attività più strettamente letteraria del grande scrittore siciliano. Come scrive Camilleri, Sciascia è stato sempre stato «un politico», sia quando ha scritto romanzi e racconti, sia quando ha scritto articoli che hanno fatto infuriare il dibattito pubblico, sia quando è stato consigliere comunale a Palermo, come indipendente nel Pci, o appunto parlamentare radicale. E da letterato che scruta la società siciliana e italiana (o da intellettuale «illuminista» che utilizza l’arma letteraria) si è sempre prodigato, come scrisse su Tuttolibri nel ‘79, per realizzare una «salutare confusione» tra etica e politica.
Perché Sciascia andò in Parlamento? Secondo Camilleri per prendere parte dall’interno alla Commissione di inchiesta parlamentare sul sequestro e l’assassinio di Moro, dopo aver scritto pochi mesi prima “L’affaire Moro”. Ma forse c’era anche una motivazione più profonda, come dirà egli stesso in un’intervista concessa a Marcelle Padovani: contribuire nel proprio piccolo a «rompere i compromessi e le compromissioni, i giochi delle parti, le mafie, gli intrallazzi, i silenzi, le omertà». E farlo nelle file dell’unico partito che al momento lo consentiva, il partito radicale.
Profondamente deluso, quattro anni dopo Sciascia avrebbe lasciato la Camera con un senso di liberazione. Tuttavia nel corso della legislatura intervenne su tutte le questioni più calde: la lotta alla mafia, le restrizioni delle libertà civili e la concessione di maggiori poteri alle forze di polizia, il caso Pecorelli, il caso Donat-Cattin e il coinvolgimento di Cossiga, lo scandalo della ricostruzione del Belice, le presunte violenze subite dai terroristi detenuti, l’omicidio del magistrato Ciaccio Montalto a Trapani… Parafrasando il giudizio di Camilleri, potrebbero definirsi tutti interventi politici, ma di un impolitico, di un marziano capitato nel cuore del potere legislativo.
Sciascia parla sempre concisamente, va subito al dunque, spesso cita libri e romanzi nel bel mezzo dell’analisi dell’infuocata quotidianità politica. I testi delle sue interpellanze e interrogazioni sembrano quasi oscillare tra due fuochi: un riformismo volterriano che si fa via via più pessimista, in un paese castale, violento, irriformabile; e una tensione alla straniamento quasi pasoliniana.
Alcuni discorsi sono talmente sciasciani che meritano di essere citati per esteso. Ad esempio, intervenendo sulle misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico, dice: «Una delle cose che più mi sgomentano in questa mia breve esperienza parlamentare è la constatazione di una doppiezza tra il dire e il fare e tra il dire e il dire, che si realizza in scarti minimi di tempo e di spazio, cioè tra questa aula e il cosiddetto transatlantico: tra quello che si dice e si fa in quest’aula e quello che si dice prima di entrarvi o appena usciti». O, altrove, quando prende la parola per parlare di mafia e si dice a favore di nuove forme di controllo sugli illeciti arricchimenti, afferma: «Questa proposta va benissimo, ma bisogna allargarla, estenderla; il controllo, cioè, deve estendersi anche a noi, che stiamo su questi banchi».
In giorni in cui si discute della reintroduzione dell’immunità parlamentare, paiono davvero le parole di un alieno. Così come aliena appariva allora, a proposito della lotta alla mafia e al terrorismo, la continua riproposizione del principio secondo cui mai e poi mai lo Stato avrebbe dovuto smarrire il diritto e presentarsi come mera forza.
Per Sciascia, alla fine dei cupi anni settanta, e dopo la tragedia del caso Moro, non è il paese a essere ingovernabile, bensì le sue classi dirigenti, la sua cappa politica che ha colonizzato le istituzioni. Le sue interpellanze parlamentari andrebbero rilette insieme alle raccolte di articoli e riflessioni “Nero su nero” e “A futura memoria”. Costituiscono quasi le due facce della medaglia di una medesima analisi, i due volti di un pessimismo lucido in un paese offuscato.
Tuttavia, nel ventennale della sua morte, il ricordo della sua parentesi parlamentare favorisce anche un’altra riflessione. Sarebbe possibile oggi, per un epigono di Sciascia, trovare il medesimo ascolto in un aula parlamentare? In quell’Italia, Sciascia poteva essere politicamente iperminoritario, ma era ancora ascoltato. Oggi l’interlocuzione tra intellettuali e politica è totalmente saltata. Indipendentemente dall’autorevolezza dei primi, è la seconda a essersi completamente trasformata. Mutato il canone del dibattito pubblico e i criteri della rappresentanza politica, la critica illuministica – cui Sciascia ancora credeva – non ha più via d’accesso alla critica del Palazzo. O è inascoltata o si riproduce in farsa. Per cui leggere gli interventi parlamentari di Sciascia è come recuperare, a ogni pagina, un reperto archeologico. A essere sciasciani fino in fondo, si potrebbe dire che quel tentativo di interlocuzione è la nostra preistoria.
Alessandro Leogrande
 
 

La Repubblica (ed. di Roma), 20.11.2009
Piccoli grandi libri

L'angolo dell'e-book, il blog e il caffè digitale. Gli scrittori in classifica, l'attualità politica della tv, la radio e i concerti jazz collegati. I duecento appuntamenti, il bar, la miriade di ospiti e gli ingressi ridotti per gli studenti universitari. C'è un fiume di cose nell'ottavo salone della piccola e media editoria che quest'anno, all'ottava edizione, si fregia dell'aggettivo "nazionale".
[…]
Sulla scena della fiera (insieme alla diretta quotidiana di Fahreneit su Radio3 Rai dalle 15 alle 18) si avvicenderanno Ascanio Celestini, Sergio Rubini, Andrea Camilleri, Niccolò Ammaniti (l'8 dicembre alle 12), Milena Gabanelli, Dacia Maraini, Walter Veltroni, Massimo Carlotto, Pedro Lemebel (domenica 6 ore 11) e altri.
[…]
Francesca Giuliani
 
 

Reporter.it, 20.11.2009
Camilleri riscrive Pirandello

Martedì 24 novembre la stagione di prosa del Teatro Boiardo di Scandiano presenta la Compagnia "Mitipretese" in “Festa di famiglia”. Attraverso i testi di Pirandello, e con la collaborazione di Andrea Camilleri, viene raccontata una storia contemporanea: un punto di vista sulla famiglia che sembra superato per la nostra così evoluta società, ma che invece rispecchia ancora fedelmente quello che siamo. Sul palco il gruppo di Mitipretese. “Festa di famiglia” è nato nel 2008 con lo scopo di denunciare le violenze familiari perpetrate dagli uomini sulle donne. L'idea delle quattro attrici-autrici-registe, unite nel consorzio Mitipretese è elegante quanto geniale: estrapolare dialoghi e situazioni dal teatro di Pirandello, che tanto ha analizzato la famiglia, e allestire, tramite un saggio lavoro di costruzione, un nuovo racconto e un nuovo spettacolo. A inizio spettacolo le attrici (e gli attori) entrano in scena non ancora in parte rimettendo ordine un palco pieno di oggetti lasciati disordinatamente, che, solo alla fine dello spettacolo, ritroveremo disposti in maniera uguale, in un doppio legame squisitamente pirandelliano tra scena e vita: la scena è la stessa così come è stata lasciata alla fine della replica del giorno prima ma, anche, le dinamiche familiari descritte si ripetono senza soluzione di continuità. Uno spettacolo "importante" che arriva a Scandiano dopo una serie di "Tutto esaurito" a Roma."La sfida che ci proponiamo - dichiara il gruppo Mitipretese - è quella di riuscire a raccontarne anche il lato tragicomico, di riuscire a vedere ciò che di grottesco e ridicolo si cela dietro le umane miserie. Il risultato ottenuto è soddisfacente: quando il dolore sta per giungere al limite della sopportazione, ecco la capriola, l'amara ironia, il pianto che si trasforma in riso, perché l'unica strada per sopravvivere a tanta meschinità."
Inizio ore 21
www.cinemateatroboiardo.it
 
 

RomagnaOggi.it, 20.11.2009
Rimini da Pirandello a... Camilleri: Feste grottesche in famiglia

Primo appuntamento per il Turno D -Altri Percorsi della stagione teatrale di Rimini2009/2010 con lo spettacolo “Festa di Famiglia” in programma venerdì 27 novembre 2009 alle ore 21 (in abbonamento) al Teatro Ermete Novelli (via Cappellini, 3).
Lo spettacolo sostituisce il previsto “Le invisibili”, annunciato precedentemente per la stessa data.
Tratto da testi di Luigi Pirandello, scritto e diretto da Mandracchia-Reale-Toffolatti-Torres, con la collaborazione alla drammaturgia di Andrea Camilleri, lo spettacolo è interpretato daFabio Cocifoglia, Manuela Mandracchia, Anna Gualdo, Sandra Toffolatti, Mariangeles Torres e Diego  Ribon. Le luci sono di Iuraj Saleri, l'impianto scenico e i costumi di Claudia Calvaresi e la direzione musicale di Sandro Nidi.
"Festa di famiglia - spiegano gli autori - è una riflessione sulle dinamiche violente all'interno del nucleo familiare. Il tema è drammatico e la storia che raccontiamo lascia pochi spiragli alla speranza; la sfida che ci proponiamo è quella di riuscire a raccontarne anche il lato tragicomico, di riuscire a vedere ciò che di grottesco e ridicolo si cela dietro le umane miserie. Siamo partiti da Pirandello, un autore che conosce a fondo la nostra realtà. Abbiamo isolato le scene che ci sembravano centrate sul nostro tema, abbiamo scambiato le battute tra i personaggi, abbiamo cambiato genere ai personaggi, abbiamo creato un nuovo personaggio da due, tre altri personaggi già esistenti. Abbiamo pensato che Camilleri, grande conoscitore di Pirandello e maestro di ironia potesse essere la persona più adatta per consigliarci in questo lavoro e invece ne è nato un vero e proprio sodalizio, un vero e proprio progetto comune".
 
 

Il Messaggero, 21.11.2009
L’impegno da deputato
Le interrogazioni, nel segno dell’etica

«Io mi sono sempre occupato di politica: e sempre nel senso etico. Qualcuno dirà che questa è la mia confusione: voler scambiare la politica con l’etica. Ma sarebbe una ben salutare confusione se gli italiani, e specialmente in questo momento, vi cadessero. Io mi sono deciso, improvvisamente, a testimoniare questa confusione nel modo più esplicito e diretto di far politica». Così Leonardo Sciascia in una intervista del 1979. Poche settimane dopo inizia il suo impegno politico come deputato indipendente eletto nelle liste radicali. Questa sua esperienza è raccontata da Andrea Camilleri in “Un onorevole siciliano” (Bompiani, 190 pagine, 12 euro), la raccolta delle sue undici interrogazioni. Sciascia parlò pochissimo a Montecitorio dal 1979 al 1983, sempre con interventi assai brevi nel silenzio assoluto, caso rarissimo per la vita quotidiana della Camera. La morte di Pecorelli, la mafia, il petrolio, l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine, il mantenimento della certezza del diritto: l’attualità di questi temi è ben evidente, molti dei casi di cui parla suscitano interrogativi e rappresentano enigmi ancora insoluti. La passione politica autentica si scambia le parti con l’impegno civile dell’intellettuale: lucidamente, e con un metodo mai ideologico ma sempre circoscritto a una analisi acuta e spietata dei fatti, in quei foglietti preparati con scrittura minuta e letti con voce lenta e grave, Sciascia mantiene la sua fedeltà a valori “semplici”. Come la ragione, la libertà, la giustizia, l’insofferenza a ogni potere.
Renato Minore
 
 

Il Velino, 21.11.2009
La memoria di Lino Jannuzzi
Sciascia e Camilleri (e Ingroia)

Roma - Andrea Camilleri, l’inventore del commissario Montalbano, non ha trovato di meglio per celebrare il ventennale dalla morte di Leonardo Sciascia che raccontare al cronista del quotidiano delle questure “Il Fatto” che “Leonardo non avrebbe mai dovuto scrivere ‘Il giorno della civetta’”: “Non si può fare di un mafioso un protagonista - afferma Camilleri - perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia del ‘Giorno della civetta’ giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini - ‘omini, sott’omini, ominicchi, piglia ’ n culo e quaquaraquà - la condividiamo tutti. Quindi finisce coll’essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue. Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici”. Camilleri non è il primo a fare a Sciascia questa accusa. L’aveva già fatta anni fa Pino Arlacchi, un altro famoso “esperto” di mafia, ma che almeno non andava in giro a raccontare di essere un grande amico di Sciascia.
Il fatto che Sciascia fa dire dal capitano Bellodi a don Mariano mentre lo va ad arrestare: “Anche lei è un uomo”, è la dimostrazione - diceva Arlacchi - che in fondo Sciascia la mafia l’ammira e la stima. In effetti, ne “Il giorno della civetta” è il capomafia don Mariano Arena che, dopo aver diviso l’umanità in quelle cinque categorie, dice al capitano dei carabinieri Bellodi,che è andato ad arrestarlo: “Ma lei è un uomo”... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo. lei è un uomo...”. E il capitano Bellodi gli dice: “Anche lei”. E glielo dice - scrive Sciascia nel libro - “con una certa emozione”. E aggiunge: “E nel disagio che subito sentì di quel saluto delle armi scambiato con una capo mafia, a giustificazione pensò di avere stretto le mani, nel clamore di una festa della nazione, e come rappresentanti della nazione circonfusi di trombe e bandiere, al ministro Mancuso e all’onorevole Livigni: sui quali don Mariano aveva davvero il vantaggio di essere un uomo... E quale altra nozione poteva avere del mondo don Mariano se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?”.
Il capitano Bellodi del “Giorno della civetta”è un emiliano di Parma sceso dal nord in Sicilia per combattere la mafia e riesce ad arrestare il capo mafia come mandante di un omicidio, ma gli intrighi dei politici e degli stessi magistrati gli fanno saltare l’inchiesta e tutta la sua accurata ricostruzione dei fatti, il capo mafia torna in libertà e il capitano viene ritrasferito al nord. Nella realtà al capitano dei carabinieri Sergio De Caprio, il famoso “Capitano Ultimo” che ha arrestato il capo della mafia Totò Riina, è capitato di peggio: è stato accusato e processato dalla Procura di Palermo, in prima fila da quel pm Antonio Ingroia che spiega in televisione che bisogna anche processare tutto il governo della Repubblica, per concorso esterno in associazione mafiosa. Ed è indagato e processato per favoreggiamento della mafia e peggio da quindici anni il comandate di De Caprio, il generale Mario Mori, e sempre da Ingroia e dalla Procura di Palermo. E lo stesso autore del “Giorno della civetta”fu pubblicamente processato dagli adepti di Leoluca Orlando, grande amico da sempre dei “professionisti dell’Antimafia”. Come meravigliarsi se a vent’anni dalla morte Sciascia viene processato da Camilleri per aver scritto “Il giorno della civetta”?
Lino Jannuzzi
 
 

Il Foglio, 21.11.2009
Camilllo. Il blog di Christian Rocca
Tutta la mia disistima per Camilleri

Ho letto il suo interrogatorio la sua intervista al Fatto quotidiano su Sciascia, e mi fa pena.
 
 

Il Messaggero, 22.11.2009
Torino Film Festival
Bellocchio: ecco perché non ero in Vaticano

Torino - Niente Vaticano per Marco Bellocchio. Il regista di "L’ora di religione", "Buongiorno, notte" e tanti altri film decisivi e controcorrente, ha preferito venire al Festival di Torino, dove ha chiuso dopo Ferrario, Garrone, Martone, Sorrentino, Zanasi, la seguitissima serie di incontri fra il pubblico e i cineasti italiani davanti al loro film del cuore battezzata “Figli e amanti”.
«È una questione di coerenza», ha detto Bellocchio. «Fosse stato un dibattito, un confronto, ci avrei pensato seriamente. Ho molti amici credenti, sono anni che discuto con loro, serenamente e appassionatamente. Ma perché sarei dovuto andare ad applaudire discorsi senz’altro condivisibili e generici su bellezza e cultura? Non volevo sottolineare la mia scelta, ma so che un tg mi ha messo fra i presenti, dunque devo precisare. Del resto», scandisce Bellocchio, «io non penso affatto che l’aborto sia un assassinio, non credo che il crocefisso debba incombere sugli studenti nelle aule scolastiche, mentre trovo criminoso proibire il preservativo in Africa. Dunque, perché andare da chi la pensa così diversamente da me?».
In un primo tempo il regista piacentino si era detto disponibile. «Come tutti sono curioso, ma poi mi sono ricordato della scelta di Ernesto Picciafuoco, il protagonista de "L’ora di religione"», cioè Sergio Castellitto, «che alla fine del film invece di andare dal Papa accompagna il figlio a scuola. So che anche Andrea Camilleri, mio antico insegnante al Centro Sperimentale, ha fatto la stessa scelta. Ne sono felice. Detto questo, sia chiaro, non voglio in nessun modo giudicare chi ha scelto di andare. Capisco benissimo l’interesse e la curiosità, specie dei più giovani, non càpita spesso di incontrare il Papa. Ma a 70 anni, credo di poter dire di no».
[...]
Fabio Ferzetti
 
 

Tempo Stretto, 22.11.2009
Un onorevole siciliano
La penna di Andrea Camilleri racconta le interrogazioni parlamentari di Leonardo Sciascia e le rende un piacevole e stimolante spunto di riflessione

Continua l’interruzione dell’attività pubblica della politica nel Palazzo palermitano, o meglio continua la sua sola versione sotterranea, i cui “rumors” non sono decisamente interessanti. Si aspetta che si giunga ad un certo qual esito, come, in caso di cattivo tempo, si sta rintanati in casa aspettando che spiova. E magari si approfitta per qualche buona lettura.
Proprio di una buona lettura vorrebbe parlarvi oggi il vostro reporter, e precisamente del saggio “Un onorevole siciliano – Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia” di Andrea Camilleri, Bompiani editore, costo Euro 12,00.
Una buona, anzi un’ottima lettura da due punti di vista:
a) Per l’autore, la cui penna ha una scorrevolezza ed una versatilità praticamente infinite: saprebbe rendere piacevole anche l’elenco degli abbonati al telefono;
b) Per l’oggetto rappresentato, ossia le interrogazioni parlamentari di un uomo di cultura come Leonardo Sciascia, la cui influenza è stata ed è ancora così profonda in tutto il Paese, ed in Sicilia in particolare, che su di lui potremmo benissimo dire, parafrasando Churchill, che mai uno solo ha fatto tanto per tanti suoi conterranei.
Del testo, in questi sempre difficili momenti di ipotetiche trattative fra Stato e mafia, di arresti e di sequestri di patrimoni di illecita provenienza, di scorribande delle forze dell’ordine nei santuari di colletti bianchi ormai rossi per la vergogna, si riporta una chicca, un passo della relazione che il procuratore della repubblica di Trapani, Pietro C. Ulloa, inviò all’allora ministro della giustizia, Parisio, in data 3 agosto 1838 (siamo nell’epoca di Ferdinando II di Borbone).
«Non vi è impiegato in Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi, Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette (….) senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggere un colpevole, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei … non è possibile introdurre le guardie cittadine a perlustrare le strade ; né di trovare testimoni pei reati commessi in pieno giorno.»
Questa relazione citava Leonardo Sciascia all’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni parlando del fenomeno mafioso ; una citazione che mette i brividi. Meno male che, oggi, sono passati tanti anni e le cose non stanno più così!
Lettura da non perdere.
Bernardo Aiello
 
 

Adnkronos, 22.11.2009
Rai: Lombardo, partner fondamentale per sviluppo anche economico della Sicilia

Roma - "La Rai e' per la nostra regione un partner fondamentale e il comparto audiovisivo siciliano e' riuscito a sfruttare le opportunita' che si sono presentate negli anni. Occupazione e diffusione internazionale del territorio sono due argomenti per noi decisivi". Lo afferma Raffaele Lombardo, Governatore della Sicilia, che aggiunge: "Montalbano, Agrodolce ma anche 'Lineablu' e gli altri programmi prodotti dalla Rai che spesso parlano della nostra terra rappresentano il megafono ideale per promuovere la Sicilia e le sue peculiarita'".
"Rai Trade, per esempio, ha distribuito nel mondo le fiction tratte dai libri di Camilleri sul Commissario Montalbano e questo ha creato un indotto importante nell'area di Ragusa. Risultato: miglioramento tangibile dell'economia locale", sottolinea Lombardo.
[...]
 
 

Il Foglio, 23.11.2009
Camilllo. Il blog di Christian Rocca
 
Camilleri penoso/2

In molti mi hanno chiesto che cosa abbia trovato di penoso nell’intervista di Camilleri al Fatto. Già scrivere Fatto e Camilleri nella stessa frase mi fa impressione, ma non capisco come si faccia a non capire. L’operazione di Camilleri è sempre la solita: accaparrarsi l’eredità civile e morale di Sciascia, facendo finta di elogiarlo, ricostruendo però uno Sciascia che non esiste, simile a Travaglio e Padellaro.
In questa intervista in particolare, Camilleri fa il comunista qual è, addirittura dando ragione a Berlinguer convinto privatamente che il sequestro Moro fosse stato organizzato dalla cia e dal kgb e difendendo le bugie di apparato diffuse da Guttuso. Poi dice che Sciascia non avrebbe dovuto scrivere "Il Giorno della Civetta" (certo, avrebbe dovuto scrivere gli arancini di Montablano). Infine sostiene che Sciascia non solo ha sbagliato, ma si è anche scusato, a proposito della polemica sui professionisti dell’antimafia (è vero il contrario, quelli che l’avevano accusato di essersi posto "ai margini della società civile" gli hanno chiesto scusa). E poi dice che ha usato i radicali come un taxi, ed è un’altra balla.
 
Camilleri penoso/3

I lettori di Camillo sono gente seria e paziente, al punto da definire con precisione le balle raccontate al Fatto da Camilleri (balle, Fatto e Camilleri, insieme, sono parole che non mi fanno impressione).
Ecco che cosa ha scritto Francesco Caputi:
1. Non è vero che l’on.le Berlinguer confidò a Sciascia del coinvolgimento della CIA e del KGB nel caso Moro, per giunta in  "felice collaborazione" (perla tratta da una nota silloge di quarta mano che ha ammorbato  per anni i  lettori  votati all’autoflagellazione); Sciascia riferì, invece, che Berlinguer parlò dell’esistenza di  rapporti tra  i servizi segreti cecoslovacchi e le BR.
2. Non è vero che Sciascia "naturalmente" ne scrisse un articolo nel Corriere, perché la questione emerse nel corso  dell’audizione dell’on.le  Andreotti davanti alla Commissione d’inchiesta  parlamentare  per il caso Moro. Infatti, la Commissione  doveva rispondere, tra gli altri, al quesito sul se  fossero coinvolti  organizzazioni terroristiche e/o Stati stranieri nel caso Moro. Andreotti lo escluse perentoriamente, scatenando la reazione di Sciascia: "Ma se persino Berlinguer mi disse…".
La conseguente querela di Berlinguer si risolse con una pronunzia di non luogo a procedere del G.I. di Roma ex art. 68 della Costituzione (immunità) proprio perché Sciascia aveva riferito questa circostanza (peraltro, ritenuta "falsa" dal giudice) non già riportandola a vanvera sul giornale, come fa Camilleri, bensì  nell’esercizio del suo mandato parlamentare.
Infine, l’esistenza di qualche  rapporto tra i servizi segreti cecoslovacchi e le BR  fu confermata da un’informativa del Sisde, citata  da Sciascia nella relazione di minoranza della Commissione parlamentare Moro, nonché dalla scoperta postuma di alcuni dossier cecoslovacchi.
 
 

Medioevo sociale, 23.11.2009
Leonardo Sciascia ed una intervista di Camilleri

Spinto dalla intervista di Camilleri sono andato a rileggervi il Giorno della Civetta che, per me, è il migliore libro che sia stato scritto contro la mafia. Il confronto che Camilleri ne fa con Gomorra di Saviano è inaccettabile. Gomorra è il corrispettivo del Padrino di Puzo, la mafia vista da un altro punto di vista, una sorta di affresco iperealista che denunzia il giganteggiare il male ed il suo impadronirsi di tutto il tessuto sociale.
Ho rivisto anche il bellissimo film di Damiano Damiani ispirato al"Giorno della Civetta" pessimista assai di più di Sciascia che si conclude con Don Mariano affacciato dal suo terrazzo che si riceve gli omaggi della popolazione che ha capito quanto sia forte ed invulnerabile. Don Mariano è lo Stato. Nel Giorno della Civetta il capitano Bellodi conclude il libro proponendosi di tornare in Sicilia. Esclama: "Mi ci romperò la testa" Si può vedere in lui assai prima del tempo Falcone, Borsellino o lo stesso generale della Chiesa. Lotta senza quartiere alla mafia. Lo stesso non può dirsi di Montalbano che ha sempre buoni rapporti con la mafia, ci convive, arriva addirittura a fare dei summit con i grandi capi delle cosche per dipanare la matassa di omicidi ai quali ritiene che la mafia non sia coinvolta. Infatti, in uno dei suoi romanzi, in occasione dell'omicidio di un appaltatore che i più attribuiscono alla mafia, Montalbano scopre che si tratta del delitto di una donna timorosa di perdere la sua posizione economica.
Tutta l'intervista di Montalbano [???, NdCFC] mi è sembrata piena di una sorta di malanimo verso Sciascia che di tanto in tanto affiora nel racconto di diverse vicende. Trovo imbarazzante il fatto che per ben due volte sottolinea il fatto che era amico di Sciascia soltanto di secondo livello.
Pietro Ancona
 
 

Le recensioni del filosofo impertinente, 23.11.2009
“Un inverno italiano” di Andrea Camilleri e Saverio Lodato

L’inverno scorso è stato caratterizzato da notizie che hanno raggelato il sangue degli italiani. Un inverno che considerati i sexy scandali di questa estate, sembra non essere mai trascorso; mi riferisco ai casi delle escort a palazzo Grazioli, e alla testimonianza di Patrizia D’Addario e molto altro ancora. Saverio Lodato e Andrea Camilleri analizzano i fatti più assurdi che hanno disgustato gli italiani dal novembre 2008 al maggio 2009 e racchiusi nel libro “Un inverno italiano” (Chiarelettere Edizioni). In una postazione d’eccezione, un ristorante virtuale nonché particolare, il papà di Montalbano cerca di “servire sul piatto” pietanze che a causa della loro natura indigesta non riescono proprio ad essere trangugiate. Grazie agli ingredienti meticolosi scelti da Camilleri e Lodato certe anacronistiche vicende saranno cucinate appuntino e annaffiate da un vino raziocinante che sembra ormai essersi dileguato in questa Italia di inizio millennio. Dal caso Englaro all’omofobia vaticana, dalla crisi finanziaria all’elezione di Obama, dal terremoto dell’Abruzzo all’indignazione di Veronica Lario per il caso “papi”. In questo libro si ripercorre la storia di un paese ormai in via di disfacimento. La rabbia e lo sdegno dei due autori trova ragion d’essere se si analizzano i fatti di cronaca e di politica che questo paese sembra ormai aver assorbito in maniera passiva. Grazie all’ironia sottile di Camilleri e alla vena, giustamente, polemica di Lodato questo libro rende giustizia al torpore morale che affligge da anni il popolo italiano. Come scrive Andrea Camilleri: “Gli americani hanno avuto molto coraggio a eleggere Obama e il loro coraggio comincia a essere ampiamente ripagato. Noi invece abbiamo supinamente rieletto Berlusconi e stiamo ricevendo, per ciò, quello che merita la nostra ignavia”. Il menù servito dai nostri gastronomi intellettuali si potrebbe concludere con la nuova canzone del maestro Franco Battiato “Inneres Auge” pubblicata proprio in questi giorni.
In definitiva “Un inverno italiano” è un libro da leggere assolutamente.
Cristian Porcino
 
 

Superando.it, 23.11.2009
Cooperative Sociali: le storie, i sogni e le aspirazioni
C'è un gruppo integrato di persone di nazionalità italiana e bielorussa alla base di "Fosforillasi", lungometraggio doc-fiction sul tema dell'integrazione sociale e lavorativa delle persone con disabilità, che verrà presentato in anteprima a Roma il 24 novembre, nell'ambito del Progetto "Presidio Lazio", ideato e gestito da CO.IN. (Cooperative Integrate) ONLUS

Nell'ambito dell'iniziativa denominata “AbilArte l'intrapresa sociale”, verrà presentato in anteprima martedì 24 novembre a Roma (Nuovo Cinema Aquila, Via l'Aquila, 68, ore 18) il film “Fosforillasi”, lungometraggio doc-fiction sul tema dell'integrazione sociale e lavorativa delle persone con disabilità.
L'evento è interamente realizzato da cooperative sociali di inserimento lavorativo e da associazioni di volontariato che sostengono l'esperienza svolta nel Progetto Presidio Lazio, ideato e gestito dall'Associazione CO.IN. (Cooperative Integrate) ONLUS e condotto da un gruppo integrato di persone di nazionalità italiana e bielorussa.
[…]
Successivamente è previsto il clou dell'iniziativa, vale a dire la già citata anteprima del film “Fosforillasi”, intreccio di storie vissute tra l'Italia e la Bielorussia che coinvolge i soci della Cooperativa Matrioska insieme a tutti quei bambini - ormai adulti ed ex ospiti dell'Orfanotrofio di Begoml - che vivono in case famiglia gestite dall'Associazione Volontari Il Cavallo Bianco, da anni impegnata su questo fronte.
La sapiente regia di Giovanni Sansone coinvolge appieno le abilità creative di questo "insolito" cast, che vede in “Fosforillasi” l'amichevole partecipazione di importanti personaggi della cultura e del cinema, quali Andrea Camilleri, Maria Grazia Cucinotta, Michele Gammino, Pino Quartullo e Claudia Zanella.
[…]
Andrea Venuto
 
 

Il Messaggero, 24.11.2009
Escono, raccolti in un unico volume, tre celebri romanzi dello scrittore siciliano. Che spiega in una nota come e perché ha deciso di trasformare il Commissario nel protagonista di tanti libri
Camilleri
Sarà giovedì in libreria “Ancora tre indagini per il commissario Montalbano” di Andrea Camilleri (Sellerio, 574 pagine, 20 euro) [in effetti il volume è in commercio almeno da giovedì scorso, NdCFC], che raccoglie quarto, quinto e sesto romanzo della serie dedicata a Montalbano. Si tratta di “La voce del violino”, “La gita a Tindari” e “L’odore della notte”. Accompagna la raccolta una preziosa nota di Andrea Camilleri che spiega come e perché Montalbano è diventato un personaggio seriale. Il commissario infatti nelle intenzioni iniziali dell’autore «doveva apparire solo in due romanzi per poi scomparire del tutto e per sempre». Anticipiamo la nota di Andrea Camilleri, il cui nuovo romanzo “La rizzagliata” (Sellerio) è in testa alle classifiche.
 
Uno, cento, mille Montalbano
Montalbano, strategia seriale
Assai prima ancora di cominciare a scrivere il quarto romanzo incentrato su una nuova indagine del commissario Montalbano, che poi sarà intitolato La voce del violino, mi resi conto che avrei dovuto affrontare, e in qualche modo cercare di risolvere, un grosso problema per me del tutto nuovo: quello della serialità. Ormai infatti dovevo rassegnarmi a prendere atto della situazione.
Il personaggio, che nelle mie intenzioni iniziali doveva apparire solo in due romanzi per poi scomparire del tutto e per sempre, era sfuggito definitivamente al mio controllo per volontà dei lettori e minacciava di avere una lunga e fortunata esistenza. Il rischio della serialità prolungata consiste, com’è facile capire, nella ripetitività. A questo rischio non è nemmeno sfuggito un maestro come Simenon, e lo si nota leggendo tutti i 75 romanzi incentrati sulla figura del commissario Maigret.
Occorreva quindi una strategia che consentisse al personaggio di poter continuare nel tempo evitando il più possibile le duplicazioni e le clonazioni. Mi convinsi allora che in primo luogo era assolutamente necessario che il protagonista avesse a sua disposizione molte più possibilità dialettiche di quante gliene avessi concesse nei primi tre romanzi. Ecco perché ne La voce del violino ho introdotto almeno tre grosse novità, operando una specie di rivoluzione che mi permetteva di ripartire quasi ex novo. La prima è l’andata in pensione del vecchio questore Burlando (non mi ero nemmeno accorto, lo confesso, di avergli dato lo stesso cognome tipicamente genovese di Livia) e la sua sostituzione col giovane questore Bonetti-Alderighi. Con il vecchio questore Montalbano andava fin troppo d’accordo, aveva con lui rapporti d’amicizia, andava a cena a casa sua. Con Bonetti-Alderighi la situazione cambia radicalmente. Il nuovo questore, che ha quarti di nobiltà, è un giovane, scattante bergamasco, arrivato con la ferma volontà di rinnovare, tagliare i rami secchi, rottamare. È fin troppo chiara la sua intenzione di rottamare anche Montalbano che considera un poliziotto all’antica, sorpassato. L’antipatia tra i due è reciproca e radicale.
La seconda novità è la sostituzione del pm Lo Bianco, che ha preso una lunga aspettativa per continuare le sue ricerche storico-genealogiche, col veneziano Nicolò Tommaseo.
Che ben presto si rivelerà essere un appassionato di delitti a sfondo sessuale. Sicché anche per lui varrà quanto Alessandro Manzoni scriveva per l’omonimo Nicolò Tommaseo, e cioè che aveva un piede in sacrestia e l’altro in un casino.
La terza novità è costituita dall’avvicendamento del capo della Scientifica, Jacomuzzi, col quale il commissario aveva sostanzialmente buoni rapporti, col fiorentino Vanni Arquà, cultore della tecnologia più avanzata in fatto d’indagini. In questo romanzo nasce tra i due un’insopportabilità reciproca destinata a durare. Cambia anche il capo di gabinetto e arriva il mellifluo dottor Lattes, soprannominato «Lattes e mieles», fermamente convinto che Montalbano sia sposato e padre di figli.
Infine resta da dire che è cambiato anche il capo della Mobile. Ma i capi della Mobile saranno destinati a rapidissime rotazioni. L’avvento quindi di un bergamasco, di un veneziano e di un fiorentino permetterà all’insofferente Montalbano di muoversi in un campo assai più vasto fatto di scontri dovuti anche a questioni di mentalità, di metodi, di pedissequa osservanza delle regole, di rispetto delle «improrogabili prerogative», come usa dire il pm Tommaseo.
Ne La gita a Tindari Montalbano ha cinquant’anni e comincia ad avere paura dell’invecchiamento.
Ora vorrei chiarire perché qui il commissario avverta così acutamente l’avanzare degli anni.
Più che un fatto fisico, si tratta di un disagio profondo, dovuto alla sensazione di non saper più fare fronte ai cambiamenti vertiginosi del nostro tempo, alle novità che si succedono quasi incastrandosi l’una nell’altra. L’annunzio del possibile matrimonio di Mimì Augello lo deprime fino alle lacrime. L’uccisione a freddo dei due vecchi coniugi gli rivela un grado di crudeltà che intuisce sempre più efferata, sino a risultargli intollerabile. Ma soprattutto egli prova un senso d’inadeguatezza di fronte alle nuove realtà criminali. Le sue indagini usavano basarsi principalmente sulla conoscenza del territorio e degli uomini che l’abitavano. Per questo non ha mai accettato una promozione che avrebbe comportato il trasferimento. Ma ora che il territorio non esiste più, perché orrendi reati come il traffico di organi si possono svolgere via Internet, tra criminali che nemmeno si conoscono di persona, egli avverte la paura di non essere più all’altezza della situazione.
Il territorio può dissolversi da un momento all’altro, mutandosi in uno spazio grande quanto il mondo stesso. È questa la sua angoscia. Ed è anche per questa ragione che nel romanzo ho introdotto una sorta di monologo interiore che meglio possa rendere i sentimenti più intimi di Montalbano.
L’odore della notte nasce da un proposito tutto letterario, una sorta di sfida a me stesso.
Quella di vedere se ero capace d’innestare un mio racconto dentro a un racconto di William Faulkner, il grande autore americano premio Nobel del quale si ritrovano spesso tracce nei miei scritti.
È uno di quegli autori che, con Pirandello, Joyce, Gogol’, Sterne, Sciascia, Savinio e naturalmente Simenon, tengo in uno scaffale a parte, a portata di mano.
Non so se ci sono riuscito, ma il gioco per me valeva la candela. In questo romanzo accade anche un episodio che aggrava l’angoscia di Montalbano per il cambiamento: l’abbattimento del centenario ulivo tra i cui rami egli andava spesso a rifugiarsi e a pensare. Vedendolo abbattuto dalla scure, perché ostacola la costruzione di un pretenzioso villino, il commissario ha la sensazione che «lo spazio della sua esistenza si fosse improvvisamente ristretto».
Quell’ulivo era non solo un luogo dell’anima, ma anche il luogo della memoria. E quando non c’è memoria, è inevitabile che lo spazio vitale di ogni uomo si restringa.
Andrea Camilleri
 
 

La Repubblica (ed. di Bologna), 24.11.2009
"Il teatrino della politica nella mia Italia dell'800"

Andrea Camilleri torna in teatro, prestando alle scene il suo romanzo «Il birraio di Preston», uno dei testi storici che più ama, ambientato nella Sicilia della seconda metà dell'Ottocento, in quella stessa Vigata che fa da contorno alle storie del commissario Montalbano. Dello spettacolo, in scena all'Arena del Sole da oggi a domenica (ore 21, domenica ore 16), Camilleri ha firmato la riduzione e l'adattamento, insieme a Giuseppe Dipasquale che ne tira le fila come regista del Teatro Stabile di Catania. Un incontro, quello fra lo scrittore e il teatro, non certo casuale né improvvisato. Come è nato questo rapporto? «Nel '49 vinsi un concorso per entrare all'Accademia d' arte drammatica di Roma come allievo regista, ma ne fui poi cacciato per indisciplina. Ho comunque continuato a lavorare in teatro, come aiuto del mio maestro Orazio Costa e ho esordito nel '53 come regista in proprio. Fui il primo a portare in Italia "Finale di partita" di Beckett e ho sempre seguito due direttrici: una certa sperimentazione (Ionesco, Pinter) e il nume tutelare di Pirandello». I romanzi, che l'hanno reso così famoso, sono dunque venuti dopo? «Sì, dopo 35 anni di onorato servizio in teatro e in televisione ho sentito il bisogno di raccontare storie mie, con parole mie». E questo passato teatrale come ha influenzato la scrittura? «Dovendo far entrare un personaggio nuovo in un romanzo, non me l'immagino. Prima lo faccio parlare, scrivo i suoi dialoghi e poi costruisco la sua personalità, che nasce proprio dal suo linguaggio. E questo è un modo di creare un testo teatrale. L'assurdo è che pur scrivendo dialoghi molto teatrali, non so scrivere una commedia per il teatro». Oggi invece ha adattato per il palcoscenico uno dei suoi romanzi più conosciuti. Quali sono state le difficoltà? «Nella trascrizione per il teatro è inevitabile che avvengano dei tradimenti necessari. Si tratta di due linguaggi diversi. Ma la difficoltà più grande era contemplare una molteplicità di scene che trovassero una distribuzione nello spazio; uno spazio capace di contenere tutto e che rendesse i diversi punti di vista che reggono il romanzo. Se questo è riuscito, il merito va a Giuseppe Dipasquale». Lo spazio riporta all'immaginario paese di Vigata, nella provincia di Montelusa, dove si deve inaugurare il nuovo teatro civico Re d'Italia. Vi si muovono, tra realtà e finzione, personaggi che il pubblico ama anche per la particolare parlata, tra italiano e siciliano. «Montelusa è il nome che Pirandello dà ad Agrigento nei suoi racconti Cronache di Montelusa. Ma non è tanto il dato reale che m'interessa, in questi romanzi storici. Qui, più che l'attualità, voglio segnalare tutti gli errori commessi dalla politica nell'Italia post-unitaria, il diverso trattamento che ha subito il Nord verso il Sud, i guai che da ciò sono nati e che ancora ci portiamo appresso. La lingua che uso è una miscela fra dialetto e italiano, un misto che è proprio della piccola borghesia siciliana e che mi serve per rendere al meglio certi personaggi e certe idee».
Paola Naldi
 
 

Alguer.it, 24.11.2009
Il prossimo 25 e 26 novembre a Sassari si svolgerà a Sassari la 3ª edizione del “Festival Mediterraneo del Giallo e del Noir”. Il giallista siciliano in concorso con "Le ali della sfinge"
Noir a Sassari, Camilleri tra i finalisti

Sassari - Il prossimo 25 e 26 novembre a Sassari si svolgerà a Sassari la 3ª edizione del “Festival Mediterraneo del Giallo e del Noir” e la “Borsa di Studio Il libro nel cassetto” organizzato dalla Iolaos Asd (associazione sportiva – ricreativa – culturale di appartenenti alle forze di polizia).
[…]
Giovedì […] ci sarà la premiazione della 3° edizione del Premio Mediterraneo del giallo e del noir.
Durante tutti gli eventi verranno predisposti spazi espositivi di opere letterarie. I romanzi finalisti di questa 3° edizione del Premio Letterario, che accompagna il predetto festival, sono: Elias Mandreu, Nero Riflesso, Il Maestrale; Donato Carrisi, Il Suggeritore, Longanesi; Elisabetta Bucciarelli, Io ti perdono, Kowalski; Andrea Camilleri, Le ali della sfinge, Sellerio; Francesco Nieddu, La città del sole, Fratelli Frilli Editore; Alicia Giménez-Bartlett, Il silenzio dei chiostri, Sellerio; Marco Vichi, Morte a Firenze, Guanda; Paolo Roversi, L’uomo della pianura, Mursia.
[…]
S.A.
 
 

Libero, 25.11.2009
Prima centrifugo dopo centripeto

Ho letto il romanzo di Andrea Camilleri "La rizzagliata" (Sellerio 2009, pp. 210, 13 euro) subito dopo avere riletto il saggio di Michail Bachtin "La parola nel romanzo" (in Estetica e romanzo, Einaudi, 1979, tr. t. Clara Strada Janovic, pp. 67-230), e fin dalla prima frase del libro di Camilleri «“Assolutamente no!” sclamò Michele Caruso, il direttore», mi è venuto da pensare che mi trovavo di fronte a un’applicazione quasi estremistica delle teorie di Bachtin sulla lingua del romanzo.
Secondo Bachtin ci sono, nella lingua, delle forze centripete e delle forze centrifughe. Le prime, le forze centripete, rispondono all’esigenza di avere una lingua unica, che serva da modello anche morale, e nell’alveo di queste forze, unificanti e centralizzanti, si sviluppano, secondo Bachtin, le principali varietà del genere poetico (e viene spontaneo pensare al valore, unificante e centralizzante, che nella storia della lingua italiana hanno avuto i modelli di Dante e di Petrarca).
La storia del romanzo si sviluppa invece, secondo Bachtin, in senso contrario. «Mentre la poesia /…/ risolveva il compito della centralizzazione culturale, nazionale e politica del mondo ideologico-verbale, – scrive Bachtin, – nei ceti inferiori, sul palco dei saltimbanchi e delle fiere risuonava la pluridiscorsività buffonesca, che rifaceva il verso a tutte le “lingue” e i dialetti». Lì «non c’era alcun centro linguistico, /…/ tutte le lingue erano maschere e non c’era un volto linguistico autentico e indiscutibile». Ed è lì, nell’alveo di queste forze «centrifughe decentralizzanti», che, secondo Bachtin, «si sono formati il romanzo e i generi artistico-prosaici che gli gravitano attorno».
Ecco. Una cosa strana, dei libri di Camilleri, e anche di questo "La rizzagliata", è il fatto che qui non solo si ritrova il movimento centrifugo della lingua del romanzo, affidato a un comprensibilissimo siciliano d’invenzione che a me fa venire in mentre il comprensibilissimo veneto di Giacomo Noventa e il comprensibilissimo napoletano di Edoardo De Filippo: questa funzione centrifuga, qui, è affidata al narratore, alla figura in un certo senso ufficiale, del romanzo, che prevale e sommerge i relitti centripeti e unificanti che affiorano nelle parlate individuali, quelle che, per prime, dovrebbero testimoniare la pluridiscorsività, e che sono, invece, nel romanzo di Camilleri, le spie intermittenti dell’esistenza di una lingua unitaria e centralizzante il cui modello non è più la poesia di Dante e di Petrarca, ma una specie di “neo-lingua basica e colloquiale che affianca, per i compiti più umili, il buroitaliano delle occasioni ufficiali”, come l’ha definita una volta Franco Cavallone.
Questa neo-lingua è testimoniata fin da subito da quell’«assolutamente no» che, in un libretto a cura di Matteo B. Bianchi, pubblicato l’anno scorso da Fandango, il "Dizionario affettivo della lingua italiana", viene definito, da Luciano Marrocu, «orrendo».
Marrocu, a dir la verità, definisce orrendo l’assolutamente sì, «il caporalesco assolutamente sì, espressione incongrua che mette insieme la granitica certezza di assolutamente – sempre sospetta di prepotenza e intolleranza – con la mitezza che si intuisce dietro il sì», ma il discorso vale anche per l’assolutamente no, mi sembra.
Ecco, nel romanzo di Camilleri, questo impasto linguistico è tutt’altro che orrendo, sembra quasi che il narratore, dal basso della sua lingua centrifuga e discutibile, si prenda gioco dell’annaspare linguistico dei suoi personaggi verso un centro che, privato dei suoi modelli indiscussi, è difficile trovare.
Ma una cosa che a me è sembrata più strana ancora, è il fatto che questo impasto linguistico ribaltato viene usato, nella "Rizzagliata", per disegnare una trama perfettamente aderente alle convenzioni di genere.
Tutto quel che succede a Palermo nel periodo descritto da Camilleri, sembra convergere inesorabilmente verso un finale, quasi servire un finale in cui tutti i pezzi, tutti i dettagli, tutti i nodi, come si dice, vengono al pettine; come se tutte le cose che sono successe a Palermo in quel periodo fossero state determinate, come in un domino, dal delitto con il quale il romanzo si apre, come se non ci fosse spazio, nell’attenzione e nella vita dei personaggi, per altro che per quelle cose, come se a Palermo, in quel periodo, avessero sospeso il campionato di calcio, le estrazioni del lotto, le previsioni del tempo, tutto: tutto si concentra sulla trama, ogni dettaglio è utile e funzionale alla trama, e lì, è questione di gusti, ma a me è venuto da pensare al "Grande sonno", di Raymond Chandler, e a quando Faulkner, che lo doveva sceneggiare per il cinema, ha chiamato Chandler e gli ha detto “Guarda che nel libro non si scopre chi è l’autore del primo delitto, quello dell’autista”. E sembra che Chandler gli abbia risposto “E allora?”.
Paolo Nori
 
 

Bacoli 2010, 25.11.2009
La Rizzagliata – Andrea Camilleri

E’ una storia ambientata in Sicilia, ma potrebbe svolgersi in qualsiasi posto del mondo, sicuramente a Roma.
E’ una storia, dichiara Camilleri, tutta inventata su televisione, giornalisti, magistrati, politici, rapporti trasversali, ricatti e regie di potenti, magari criminali. Ma potrebbe essere la cronaca di una delle tante vicende italiane.
E’ un storia d’amore. Anch’essa inventata. Ma dell’amore ai nostri giorni. Quello in cui il sesso e il corpo usano la parola per coprire uno scambio antico: potere per procurarsi piacere e dare piacere per procurarsi vantaggi.
E’ una storia scritta in una lingua viva, quella solita di Camilleri, nella quale il dialetto non inquina e non snatura ma è parte quotidiana d’un pensare che ragiona in italiano.
E’ un racconto avvincente che comincia con un complicarsi in crescendo e poi … tutto si dipana con una semplice, sconcertante linearità. Sconcertante anche perché ricostruisce e ci svela il meccanismo di tante vicende che si sono svolte e si svolgono intorno a noi.
Il libro è la buona compagnia d’un pomeriggio e fa riflettere.
 
 

inpartibusinfidelium, 25.11.2009
letteratura
Camilleri su Sciascia: era meglio tacere...

L'intervista su Sciascia rilasciata da Camilleri a il Fatto Quotidiano (www.antefatto.ilcannocchiale.it), contiene delle gravi inesattezze e delle accuse allo scrittore di Racalmuto - che, çà va sans dìre, non può replicare - davvero disgustose.
Sul Caso Berlinguer Guttuso, fu Sciascia a dire la verità, cioè che il segretario del PCI gli confessò l'esistenza di legami tra BR e servizi segreti di paesi dell'Est, e che quindi fu Guttuso, presente durante la conversazione, a smentire, mentendo,  il vecchio amico Sciascia, scatenando le ire di quest'ultimo, tanto che l'amicizia cessò.
Che Sciascia poi usasse i partiti come Enrico Mattei - come un taxi - è accusa disgustosa, giacchè sia quando fu eletto con il PCI (come indipendente), sia quando fu parlamentare radicale, Sciascia ha svolto il proprio ufficio con serietà, probità e indipendenza di giudizio, senza settarismi e senza approfittare del mandato parlamentare: il paragone con Mattei è assurdo, e storicamente improponibile.
Infine, su Tangentopoli. Qui Camilleri è reticente, giacchè Sciascia fu un fustigatore di alcuni magistrati (caso Tortora) e della deriva panpenalista che poi scoppiò con Mani pulite.
Certo il malaffare scoperchiato lo avrebbe disgustato.
Altrettanto certi falsi eroi togati poi passati in politica.
Camilleri dice che la loro era un'amicizia di serie B: secondo noi era un'amicizia di serie C e questo si vede quando Camilleri afferma che Saviano, quale narratore di mafie e camorre, è meglio di Sciascia.
Ma non va in pensione Camilleri?
 
 

Italpress, 25.11.2009
Premi: a equipaggio peschereccio di Mazara del Vallo il "Permare 2009"

Palermo - Gli uomini del peschereccio siciliano che nella notte tra il 27 e il 28 novembre 2008 hanno soccorso, in condizioni drammatiche, trecentotre persone nel Canale di Sicilia ricevono oggi a Palermo, nei saloni della Stazione marittima, il premio "Permare - Al coraggio di chi salva vite umane". Giunta al terzo anno, la manifestazione nasce dalla collaborazione tra l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e il comando generale delle Capitanerie di porto - Guardia costiera, ed e' sponsorizzata da Banca Nuova. Il riconoscimento, prevede lo statuto, va a chi, rischiando, mette in secondo piano i propri interessi personali e soccorre nel Mediterraneo imbarcazioni in difficolta' o persone coinvolte in naufragi. L'assegnazione e' stata decisa da una giuria presieduta da Andrea Camilleri.
[...]
 
 

La Stampa, 25.11.2009
Reportage
Gli ultimi giorni del terremoto

L'Aquila. Gli ultimi sfollati rimasti negli accampamenti guardano le tende afflosciarsi sugli sterrati d’una piazza o uno stadio. Pochissime sono rimaste ritte, tese, sature di coperte, borsoni, stufette, giacche, scarpe, il televisore e i portafoto.
[...]
Vicino agli alberi, un altarino sotto una nicchia dipinta: non ci sono più crocifisso e Madonna, soltanto lumini, un libro su Messa e Meditazione, un altro con lettere di don Benzi e, sotto questi, «La concessione del telefono» di Andrea Camilleri. Anche se non c’entra, qualcuno a pagina 30 ha sottolineato a matita: «Siamo qui a impetrare il vostro generoso aiuto».
Marco Neirotti
 
 

Il Giornale, 26.11.2009
Le poesie contro Silvio? Una corazzata Potëmkin
Trenta autori per la Costituzione e l’antifascismo mettono insieme un’antologia di luoghi comuni

«Calpestare l’oblio. Contro la minaccia incostituzionale per la resistenza della memoria repubblicana». Non è il titolo di una tesi di laurea degli anni Settanta, come sembra a una prima occhiata. È una «antologia di protesta contro l’omologazione e la cancellazione della memoria antifascista», come l’ha presentata succintamente l’Unità ieri in edicola. La raccolta gira in rete da qualche tempo (potete intercettarla sui siti del quotidiano, Micromega, Resetitalia, Nazione Indiana) ed è in poche parole una rievocazione della Resistenza, diventata però tenzone poetica riservata a chi la spara più grossa sul centrodestra, sul premier, su questa Italia rozza e becera in cui questo fior fiore di letterati è costretto a vivere.
[...]
A dire il vero, il carme anti-berlusconiano, possibilmente con riferimento a veline e affini, è un genere letterario in via di codificazione. L’archetipo è forse Andrea Camilleri con le sue Poesie incivili, correva il 2008, ispirate a Marziale, tanto per cambiare un altro classico scomodato per confezionare roba come questa: «Il ricco porco, eletto a capo dei suoi simili/ alle scrofe da lui montate ripagò il favore/ ammettendole al truogolo riservato a pochi /ai suoi legulei, ai suoi giornalisti, ai suoi boia/ grufolanti e grugnenti. I porci, com’è noto/ non sono bestie di fiuto fine. Rovistano nel letame/ vi si rotolano, vivono alla giornata. Non sospettano/ che un giorno saranno mutati in salsiccia».
[...]
Alessandro Gnocchi
 
 

La Nuova Sardegna, 27.11.2009
Premio Mediterraneo a Donato Carrisi

Sassari. Seconda e ultima giornata ieri per la terza edizione del Premio Mediterraneo del Giallo e del Noir, con relativa proclamazione del vincitore. L’ha spuntata Donato Carrisi, autore del romanzo «Il suggeritore». […] Terzo classificato «La Danza del Gabbiano» di Andrea Camilleri. […]
 
 

Il Foglio, 27.11.2009
Preghiera

Porco, amato porco, Obama alla vigilia del giorno del Ringraziamento ha perdonato il tacchino ma nessuno mai perdona te. Perfino per i poeti sei simbolo di ogni nequizia. Andrea Camilleri, nelle “Poesie incivili”, per diminuire un grande statista lo aveva definito “ricco porco”; oggi un altro scrittore, Giuliano Scabia, si scaglia in versi contro il medesimo personaggio chiamandolo “Gran Porcone” (sembrerebbe un complimento ma il contesto fangoso lo trasforma in insulto). Che l’antiberlusconismo fosse una forma moderna di manicheismo era ovvio mentre all’islamismo non ci avevo pensato: eppure l’avversione nei tuoi confronti, maiale diletto, doveva far riflettere. O forse no, suino adorato, i maomettani stavolta non c’entrano: leggo “Calpestare l’oblio”, l’antologia di poesia “contro la minaccia incostituzionale” e scopro che un cammelliere avrebbe saputo fare di meglio.
Camillo Langone
 
 

Il Centro, 27.11.2009
Sulmona, il ritorno di Giuffrè

Sulmona. Sarà il ritorno di Carlo Giuffè al teatro comunale Maria Caniglia a incorniciare la stagione sulmonese dell’Atam, presentata ieri in Comune. […] Il sipario al Caniglia si alzerà, domani sera alle 21, per il primo degli otto spettacoli della stagione 2009-2010. Andrà in scena «Festa di famiglia» per la regia del gruppo Mitipratese e la collaborazione alla drammaturgia di Andrea Camilleri. Lo spettacolo è una riflessione sulle dinamiche di violenza sulle donne all’interno del nucleo familiare. Il testo è nato dalla rielaborazione di estratti di sette novelle pirandelliane. […]
Annalisa Civitareale
 
 

Il Mattino, 28.11.2009

Dopo aver bandito l’uso del cellulare alla guida, presto potrebbe arrivare il divieto di fumare in auto. Se verrà approvato l’emendamento della Lega Nord al Codice della strada chi sarà beccato con la sigaretta in bocca al volante rischia di perdere 5 punti sulla patente, oltre a pagare una multa salata da 250 euro. Sanzione raddoppiata se a bordo ci sono minori. L’emendamento ha trovato d’accordo tutti i partiti. Dopo la Commissione, la parola passerà al Senato per poi tornare alla Camera. La proposta della Lega, sostenuta dal senatore Piergiorgio Stiffoni, parte dall’assunto che fumare in auto può distrarre fatalmente il conducente. Prendere il pacchetto, estrarre una «bionda», cercare l’accendino e accenderla, sono operazioni che rubano alla strada secondi preziosi di attenzione. Secondo la Società italiana di tabaccologia, la sigaretta distrae più del telefonino, già da tempo proibito. […] «Allora, le belle donne e gli uomini belli non devono circolare perchè possono essere occasione di distrazione per gli automobilisti» è il commento sarcastico di Andrea Camilleri, che aggiunge «È un sopruso».
Valentina Arcovio
 
 

La Sicilia, 28.11.2009
Gino Paoli dice no al divieto
«Il fumo accresce la concentrazione alla guida»

Roma. «Ma se davvero fa male, com'è che il mio amico Camilleri fuma tutto quel che fuma e sta meglio di me, che ho dieci anni meno di lui?» Fra il serio e il faceto Gino Paoli risponde così a chi gli chiede un'opinione sul divieto di fumare in automobile. […]
 
 

La Stampa, 29.11.2009
Opinioni
Bolla di silenzio

Capisco benissimo che quando Berlusconi afferma di voler «strozzare» gli autori di libri, di film e di sceneggiati televisivi che parlano di mafia adopera il verbo in senso metaforico.
Eppure si tratta, venendo dal premier, di un pericoloso lapsus freudiano. Che io sappia, l’eliminazione fisica degli autori sgraditi al potere è stata pratica di tempi orrendi e bui, dell’Inquisizione, del nazismo, di quel comunismo staliniano che, a parole, Berlusconi considera con orrore. Non è certamente mai stata contemplata nei Paesi veramente democratici.
Ma il verbo malscelto dal premier offre il fianco ad un’altra considerazione. Coll’ipotizzare l’uccisione, sia pure, torno a ripetere, metaforica, di un autore non si porta incautamente una pezza d’appoggio a chi un autore medita d’uccidere per davvero? Tanto per non fare nomi, non porta acqua al mulino dei casalesi contro Saviano, reo d’avere scritto «Gomorra»? Oltretutto, il motivo dell’eventuale sterminio, perché a scrivere di mafia in Italia e fuori sono in tanti, sarebbe per Berlusconi quello di consegnare una cattiva immagine del nostro Paese all’estero. Argomento ipocrita, di cui già si servirono ampiamente da noi i democristiani al tempo di «La terra trema» di Visconti. Sono persuaso che la cattiva immagine dell’Italia la si dia con ben altri e più solidi argomenti, che vanno dal comportamento morale dei suoi rappresentanti politici alla corruzione, dalla crescita del debito pubblico all’aumento disastroso della disoccupazione.
Il romanzo, il film, la fiction televisiva corrono il rischio, a mio parere, di mutare in eroi simpatici dei criminali assassini, non certo quello di denigrare il Paese. La mafia c’è, esiste, ed è necessario parlarne. Non parlarne non significa risolvere il problema, ma al contrario coprire la mafia con una bolla di silenzio perché meglio possa agire in sordina. E’ la tesi di Bernardo Provenzano. Ricordate quanti film abbiamo visto e quanti romanzi abbiamo letto tutti incentrati sulla corruzione della politica, della polizia, del giornalismo, della giustizia statunitensi? Eppure a nessun Presidente degli Usa è mai passato per l’anticamera del cervello di volerne strozzare gli autori ritenendo le loro opere lesive per il buon nome della nazione.
Andrea Camilleri
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 29.11.2009
Doppio Camilleri
Il teatro del maestro fra violenza e costume

Andrea Camilleri torna in teatro e Genova si appresta a ospitare due sue significative opere: prima "Festa di famiglia" (da mercoledì prossimo al Duse), poi «Il birraio di Preston» (dal 15 dicembre alla Corte), uno dei testi storici che più ama, ambientato nella Sicilia della seconda metà dell'Ottocento, in quella stessa Vigata che fa da contorno alle storie del commissario Montalbano. Quattro le attrici per "Festa di famiglia": Manuela Mandracchia, Anna Gualdo, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres, riunitesi in gruppo come "Mitipretese", hanno rielaborato con l'aiuto di Camilleri. testi di Pirandello, che qui si cala nell'attualità di un fenomeno complesso e spesso "invisibile" come la violenza domestica. «In realtà - confessa Camilleri - io sono un falsario, e anche in questo lavoro di collaborazione lo sono stato, ma senza adulterare le situazioni di profonda violenza che in Pirandello emergono con forza e che lasciano materiale fertile da utilizzare per il nostro tempo. Quando le quattro attrici sono venute a casa mia erano già andate molto avanti nell'idea di evidenziare la violenza familiare in una famiglia borghese e questa commedia, frutto di un collage di situazioni pirandelliane, lo fa benissimo». De "Il birraio di Preston" Camilleri, oltre che il testo, ha firmato la riduzione e l'adattamento, insieme a Giuseppe Dipasquale che ne tira le fila come regista del Teatro Stabile di Catania. «Nel 1949 vinsi un concorso per entrare all'Accademia d'arte drammatica di Roma come allievo regista, ma ne fui poi cacciato per indisciplina. Ho comunque continuato a lavorare in teatro, come aiuto del mio maestro Orazio Costa e ho esordito nel '53 come regista in proprio. Fui il primo a portare in Italia "Finale di partita" di Beckett e ho sempre seguito due direttrici: una certa sperimentazione (Ionesco, Pinter) e il nume tutelare di Pirandello». Ora ha adattato per il palcoscenico uno dei suoi romanzi più conosciuti. Quali sono state le difficoltà? «Nella trascrizione per il teatro è inevitabile che avvengano dei tradimenti necessari. Si tratta di due linguaggi diversi. Ma la difficoltà più grande era contemplare una molteplicità di scene che trovassero una distribuzione nello spazio; uno spazio capace di contenere tutto e che rendesse i diversi punti di vista che reggono il romanzo. Se questo è riuscito, il merito va a Dipasquale». Lo spazio riporta all'immaginario paese di Vigata, nella provincia di Montelusa, dove si deve inaugurare il nuovo teatro civico Re d'Italia. Vi si muovono, tra realtà e finzione, personaggi che il pubblico ama anche per la particolare parlata, tra italianoe siciliano. «Montelusa è il nome che Pirandello dà ad Agrigento nei suoi racconti "Cronache di Montelusa". Ma non è tanto il dato reale che m'interessa, in questi romanzi storici. Qui, più che l'attualità, voglio segnalare tutti gli errori commessi dalla politica nell'Italia post-unitaria, il diverso trattamento che ha subito il Nord verso il Sud, i guai che da ciò sono nati e che ancora ci portiamo appresso».
Teatro Eleonora Duse Via Bacigalupo 6 Mercoledì 2 dicembre, ore 20.30 Biglietti: 23.50 e 16 euro
Paola Naldi, Osvaldo Scorrano
 
 

Telegolfo Agropontino, 29.11.2009
Aprilia: Stagione Teatrale 2009-2010.
Al Teatro "Europa" di Aprilia appuntamento con l'arte e con la Compagnia Teatro Finestra

[…]
Domenica 21 febbraio ore 21
Festa di famiglia
drammaturgia e regia di Mandracchia-Reale-Toffolatti-Torres
collab. alla drammaturgia di Andrea Camilleri
da testi di Luigi Pirandello
con Anna Gualdo, Sandra Toffolatti, Fabio Cocifoglia, Manuela Mandracchia, Mariangeles Torres, Diego Ribon
Di questi tempi la famiglia è cosa sacra, è baluardo di moralità, bandiera politica, e se nella cronaca nera si leggono ogni giorno vicende di omicidi e violenze, sono sempre opera di un “mostro”, di un pazzo, di uno straniero, che non ha niente a che fare con noi persone normali e perbene. Dovremmo invece renderci conto che tutto ciò riguarda ognuno di noi. Una pièce al vetriolo. Uno spettacolo esplosivo, tanto divertente quanto doloroso (Il Manifesto). Forse era questo il testo che Pirandello avrebbe voluto scrivere tutta la vita, ma non osò mai (Andrea Camilleri / Il Corriere della Sera). Un sapiente pezzo drammaturgico. Un dramma grottesco e ridicolo fra le pareti domestiche (La Sicilia). Uno spettacolo riuscito, emozionante, moderno. Tutto è “vissuto” e “sofferto” sulla scena, in finzione e verità, tanto da acchiappare il pubblico e tenerlo al gancio fino all'epilogo (Il Messaggero).
[…]
 
 

SiciliaToday, 30.11.2009
La rizzagliata
Fabio Genovesi è uno scrittore a tutto tondo [...]. Lavora anche come traduttore per l’editore Fandango, e ha curato la versione inglese dei documentari “Per Sempre Uniti” di Rosita Bonanno e “A Quattro Mani (intervista incrociata ad Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli)” di Matteo Raffaelli, entrambi per Minimum Fax Media.

Andrea Camilleri, con il suo ultimo romanzo edito da Sellerio, abbandona il fortunato commissario di Vigata e si sposta da Marinella a Palermo, cambiando completamente personaggi e ambientazioni.
Il linguaggio è sempre il tipico: un dialetto italianizzato, che tanta fortuna ha portato allo scrittore agrigentino. La rizzagliata è un termine usato dai pescatori. Precisamente il rezzaglio è una rete gettata in acqua per cercare di prendere più pesci possibile, di qualunque specie essi siano. E, in effetti, i personaggi del romanzo riescono a confondere le acque di questo giallo, già di per sè intricato.
L’autore “pesca” nella cronaca italiana e prende spunto da uno dei casi di nera più controversi e discussi degli ultimi anni: Garlasco. L’omicidio irrisolto di Chiara Poggi e i sospetti, mai confermati da una sentenza, sul fidanzato Alberto Stasi. Camilleri, partendo dall’omicidio, che nel romanzo è un omicidio eccellente, in quanto la ragazza risulta essere figlia di un potente senatore, getta la sua rete e confonde piste e uomini in un intrico che si dipanerà solo alla fine.
Il racconto procede sotto il punto di vista del direttore del tg della Rai siciliana. Un’incursione sui modi e sui tempi del giornalismo, che Camilleri dipinge sempre politicaly correct e asservito ad altri interessi, che travalicano quelli esclusivi dei cittadini. Non poche polemiche negli ambienti della Rai isolana ha suscitato il romanzo. Nella sede panormita del tg, si dice che il libro sia stato passato al setaccio a caccia di riferimenti a personaggi reali.
Ma lo scrittore giura e spergiura che sia tutto frutto della sua fantasia. Fantasia che, in un gioco di potere, di informazione negata, di magistrati accondiscendenti e di amori infranti, avvilupperà il lettore in un’abile ragnatela tessuta dall’autore.
Andrea Sessa
 
 

Messaggero Veneto, 30.11.2009
A teatro c'è "Il birraio di Preston" di Camilleri
Al Russolo

Chi ha letto e amato il romanzo di Andrea Camilleri “Il birraio di Preston” non può mancare all’appuntamento con la riduzione teatrale, curata dallo stesso Camilleri e da Giuseppe Dipasquale. Lo spettacolo, che vede protagonisti attori del calibro di Pino Micol e Giulio Brogi assieme a Mariella Lo Giudice e Gian Paolo Poddighe, andrà in scena domani alle 21, al teatro Russolo di Portogruaro. Intrighi, delitti e tumulti fanno da cornice all’incomprensibile determinazione del prefetto di Caltanissetta, il toscano Bortuzzi, di inaugurare il teatro della città con una sconosciuta opera lirica, “Il birraio di Preston”: uno spettacolo che è un coinvolgente caso di “teatro nel teatro”. Info e biglietti: tel. 0421 270069 - 276555.
(g.g.)
 
 

Il Secolo XIX, 30.11.2009
Camilleri racconta il Pirandello violento

«Io imito il linguaggio di altre epoche o sconfino nel dialetto per salvare l’italiano, per ridargli ricchezza» dice Camilleri a proposito dei suoi libri. Ha ricalcato anche Pirandello quando si è trattato di legare i racconti di “Festa di famiglia”.
Lo spettacolo, in scena al Teatro Duse da mercoledì a domenica, è stato creato da un gruppo di sue ex allieve dell’Accademia, Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti , Mariangeles Torres, riunite nel gruppo Mitipretese, assemblando episodi di alcune commedie cardine nella storia del teatro novecentesco italiano: Questa sera si recita a soggetto, Sei personaggi in cerca d’autore, L’amica delle mogli, Enrico IV, La vita che ti diedi, Trovarsi.
Il filo conduttore del nuovo spettacolo nato da questa antologia, sono gli auguri di tre figlie alla mamma sessantenne. Ma dalla torta e dai cannelloni ripieni preparati per l’occasione emergono nodi irrisolti, storie segrete di prevaricazione, rancori. Se in questa singolarissima operazione culturale, la curiosità di Camilleri è stata prima di tutto letteraria, le attrici di Mitipretese, come dice Manuela Mandracchia, volevano scavare sul tema della violenza contro le donne: «Già in "Roma ore 11" avevamo portato diverse storie e caratteri femminili, partendo da un fatto di cronaca: il crollo di un palazzo che travolge ragazze in cerca di lavoro. Ma questo nuovo argomento è ancora più difficile da affrontare. Abbiamo sentito il bisogno di un filtro intellettuale e poetico». E, con il filtro, di un consigliere. Del suo conterraneo Pirandello, Camilleri si è occupato in molte ricerche. Gli ha dedicato uno dei suoi saggi più celebri, "La favola del figlio sbagliato" ["Biografia del figlio cambiato", NdCFC], nella quale molte delle sue teorie su verità, finzione e relatività, e anche il suo guardare il mondo attraverso la celebre metafora del cannocchiale rovesciato, vengono condotte a un tormento personalissimo: al sentirsi sempre come un estraneo nel nucleo della sua famiglia, al timore di essere stato scambiato nella culla.
Ma il padre del Maigret televisivo e del commissario Montalbano ha amato soprattutto indagare sull’ambiguità del rapporto pirandelliano con l’universo femminile.
«Con le donne predicava bene negli scritti e razzolava male nella realtà» ha detto più volte Camilleri. Da questa idea, dalle testimonianze raccolte dalle attrici su episodi contemporanei di vita vissuta, è scaturita così una tesi: nelle protagoniste dei suoi drammi, nella Mommina di Questa sera si recita a soggetto così come la figliastra dei Sei personaggi violentata dal padre, Pirandello proietta il destino delle donne che avevano attraversato la sua vita.
«Se è vero che il complimento più bello che Camilleri ci ha fatto è che, usando le parole dei suoi drammi, siamo riuscite a far dire a Pirandello ciò che non aveva mai osato confessare» dice Mandracchia «è anche vero che, recita dopo recita, non perdiamo di vista il nostro obiettivo: raccontare quello che purtroppo molte donne continuano a vivere sulla propria pelle. Cerchiano di farlo senza perdere il sorriso. Nello spettacolo, come del resto anche in Roma ore 11 ci sono anche molte canzoni».
Camilleri racconta che quando Luca Zingaretti gli chiese consigli su come interpretare Montalbano, lo mandò al diavolo perché quando consegna le sue opere al teatro o alla televisione vuol porsi nei loro confronti come un comune spettatore. «In questo caso si è comportato come un eccezionale drammaturgo» confida Mandracchia «ha lavorato con noi partecipando a tutti i laboratori e a molti incontri sulla violenza e non ha mai preteso che i suoi consigli venissero comunque seguiti».
S. Z.
 
 

 


 
Last modified Sunday, May, 06, 2018