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RASSEGNA STAMPA

LUGLIO 2011

 
Il Venerdì, 1.7.2011
Cultura / Era una notte buia…
Il professore e lo scrittore. L’invenzione della lingua da Pirandello a Montalbano
Colloquio tra Tullio De Mauro e Andrea Camilleri
A pochi giorni dallo Strega, il più famoso tra i premi letterari italiani, dialogo tra il suo presidente (Tullio De Mauro) e il più venduto dei nostri autori (Andrea Camilleri).
Su come si scrive un romanzo come nasce un personaggio e qual è il segreto del successo.

Tullio De Mauro – C’è un segreto per scrivere libri che abbiano tanto gradimento di lettori affezionati?
Andrea Camilleri – Devo dire sinceramente che se un segreto c’è, io non lo conosco. A me è successo di cominciare a scrivere dei libri che incontravano un certo pubblico. Una sera sentii dire da Aldo Busi che uno non poteva ritenersi scrittore se non aveva venduto almeno tremila copie. Non so in base a quale criterio lo dicesse. Comunque io col mio romanzo Un filo di fumo, pubblicato da Garzanti, avevo già venduto seimila copie, quindi mi considerai due volte scrittore. Ero perfettamente a posto e in regola. E quando continuai poi a pubblicare libri con Elvira Sellerio – che Dio l’abbia in gloria – la media era questa. Non è che c’era questo gran successo: era bello perché i recensori si occupavano di me. Poi nel 1994 mi venne la malaugurata idea di risolvere la struttura di un romanzo che avevo finito di scrivere e che mi sembrava di una noia mortale. Si chiamava Il birraio di Preston. Dissi: prova a scrivere un romanzo giallo. Me lo proposi per disciplina. Vedi, io non so come scrivono gli altri scrittori. Io traggo le mie storie dai fatti di cronaca o dai libri di storia e comincio a scrivere. Avevo avuto per lungo tempo una miniera d’oro: l’inchiesta sulle condizioni socio-economiche della Sicilia del 1875, la prima inchiesta ministeriale sulla Sicilia quindici anni dopo l’Unità. Tra domande e risposte ci sono per me spunti inesauribili e da due o tre di queste domande e risposte ho ricavato Il birraio di Preston, La stagione della caccia e altro ancora.
T.D.M. Come scrivi i tuoi libri?
A.C. Scrivo iniziando da un determinato fatto che mi ha dato l’input. Ma questo nel romanzo non deve necessariamente essere il primo capitolo. Non come fa Snoopy: “Era una notte buia e tempestosa”, e poi va avanti. A un certo punto mi sono domandato: sei capace di scrivere un romanzo dalla A alla Z senza salti logici e temporali? E ho capito che mi dovevo mettere dentro una gabbia, e la gabbia era quella del romanzo poliziesco, dove tu per forza devi avere una logica dei fatti, una consequenzialità. Scrissi così il primo dei romanzi di Montalbano, La forma dell’acqua. Avevo scelto il nome del commissario per gratitudine nei confronti di Manuel Vázquez Montalbán. Leggendo un suo libro, Il pianista, ebbi un’illuminazione: capii come dovevo disporre i capitoli del Birraio di Preston, e perciò per gratitudine chiamai il mio personaggio Montalbano, che del resto è un cognome diffusissimo in Sicilia. Poi siccome ‘sto personaggio non ero riuscito a narrarlo compiutamente, a vedermelo davanti, allora decisi di scrivere il secondo, Il cane di terracotta. Lo scrissi, completai il personaggio e per me la faccenda si chiudeva lì. Senonché dopo sei mesi Elvira Sellerio mi disse: “Quando mi dai un altro Montalbano?”. “Mai più, perché?”. “Non hai idea quello che sta succedendo”. E allora la domanda vera è: qual è il segreto di Montalbano? Non qual è il segreto dello scrivere libri di successo, perché se io avessi il segreto di scrivere libri di successo come la formula della Coca-Cola, me lo venderei e me ne starei in pace in un castello in Normandia. Invece non esiste questa formula e allora bisogna vedere perché un personaggio come Montalbano – per me da odiare certe volte, e da amare – è diventato quello che è diventato. Ma è una persona che mi ricatta continuamente perché è grazie a lui che tutti i miei romanzi rimangono in catalogo. È una cosa curiosa, ma ad ogni nuovo Montalbano si ristampano il Birraio e gli altri miei libri. Come si fa a rinunziare a un personaggio simile? È un ricatto continuo al quale io devo sottostare.
T.D.M. La mia impressione, leggendoti, è che prima di ogni lettore sei tu che ti diverti enormemente mentre scrivi e non hai altra cura che questa: divertirti e divertire raccontando, recuperando situazioni, atmosfere siciliane e non siciliane. Questa, secondo me, è una cosa importante: non è che hai scritto romanzi per vincere il Premio Strega. Mi pare di aver capito che tu leggi a tua moglie – tra l’altro credo che sia una paziente ascoltatrice – ciò che scrivi.
A.C. Prima di tutto le leggo a me stesso. Allora… la storia del divertimento è assolutamente vera. Tant’è vero che io alle volte comincio un racconto, vedo che fatico, e lo lascio perdere, non insisto, vuol dire che la cosa è nata male dentro di me. Invece il divertimento è una sorta di leggerezza da trapezista. Quando noi vediamo una trapezista che fa tre salti mortali e poi s’aggrappa al trapezio, non ci mostra per niente il duro esercizio quotidiano, la fatica, il sudore, la paura; non ci mostra niente perché altrimenti noi non godremmo più di quello che vediamo, soffriremmo con lei. Ecco, per me l’ideale della scrittura è non far vedere mai il lavoro che c’è stato dietro. Perciò faccio come l’assassino: appena un romanzo è pubblicato, distruggo tutto il lavoro fatto prima, lo butto nel cestino, lo porto personalmente nel cassonetto della spazzatura riservato alla carta. Che bello, non ci saranno persone che dovranno studiare le varianti!
T.D.M. Credo che questa tua “gioia del narrare” abbia un rapporto importante con la Sicilia. In qualche intervista hai detto che c’è una radice siciliana naturale nel tuo modo di raccontare. Hai reso popolare tutto un mondo di espressioni siciliane che ricorrono nei tuoi libri. E non sembra che tu le vada a cercare, ti affiorano… Fa parte del piacere e della libertà con cui scrivi? Ce l’hai qualche vocabolario siciliano?
A.C. Tanti. Li ho dovuti comprare in età avanzata, perché sai, uno col tempo diventa un superstite. Lontano dall’esercizio del dialetto, che nessuno parla a casa mia, ogni tanto sollevavo il telefono e dicevo: cumpà, com’è ca si dice, che m’a scurdai ‘sta parola. E quello rispondeva, si dice accussì. Ma il mio siciliano nasce anche dalla lettura assidua e dalla messinscena dei lavori dialettali di Pirandello. Ce ne sono soprattutto due per me fondamentali: uno è Liolà, che esiste anche in versione in italiano fatta dallo stesso Pirandello (ma lui lo scrisse inizialmente in dialetto e poi se la tradusse in italiano). Lo scrisse nel dialetto girgentano. Se ne intendeva perché si era laureato con una tesi, Suoni e sviluppi di suoni della parlata girgentana, interessantissima, tanto noiosa quanto interessante, che tratta delle varie parlate di Agrigento. Altro testo per me fondamentale è la traduzione che fa del Ciclope di Euripide dal greco in siciliano… Pirandello ne ha fatto una cosa mirabile, esemplare, perché adopera tre tipi di dialetto: una è la parlata del Ciclope, che è il grasso possidente contadino, e adopera parole che – ti assicuro – il piccolo borghese non capisce: per esempio, gramusceddu è l’agnellino che non si regge sulle gambe, appena nato, e così il Ciclope definisce Ulisse, come a dire: ti spezzo quando voglio. Invece Ulisse parla il siciliano di chi ha girato il mondo e quindi, scusami l’autocitazione, è un po’ catarellizzato, cioè parla un italiano con cose secondo lui italiane. Sileno, il capo dei pastori, è un siciliano mafioso: Oggi che giorno sarebbe? A secunnu. Io, questa lezione di Pirandello, quando cominciai a scrivere, la tenni presente. Ho fatto un operazione semplicissima, shakerando le tre parlate… C’è un episodio che pochissimi conoscono: io ero molto interessato a come interrogava Falcone, e allora un giorno chiesi a un magistrato che nei primi tempi era stato al suo fianco, Giuseppe Di Lello. Disse: prima di tutto usava il dialetto, per entrare immediatamente in confidenza, tranne una volta che trovò qualcuno più furbo di lui. Doveva interrogare un mafioso, un certo Pino Seddio ‘ntisu ‘u Piddaru, cioè soprannominato il Conciapelle. Quando entrò gli disse: “Senti, Pino ‘u Piddaru, io ti volessi addimandare…”. E l’altro disse: “Fermo signor giudice, io mi chiamo Pino Seddio, e da questo momento in poi si parla in italiano”.
T.D.M. E così ogni tanto tu adoperi questi tre siciliani, ma c’è anche un po’ di italiano. E ce n’è tanto, ed è un bellissimo italiano, quello che parliamo davvero, con tutte le sue sfumature…
A.C. La tua osservazione è giustissima, perché se non ci fosse la lingua italiana, il mio dialetto non esisterebbe. È questo attrito, questo cocktail, che anima la mia scrittura.
T.D.M. Io ho un illustre amico, molto caro, che si è lasciato di recente andare a una dichiarazione di questo tenore: “Bisogna abbandonare il dialetto perché il dialetto è regressione”. Ora gli amici del Nord come Umberto Eco hanno una forte preoccupazione nei confronti dei leghisti, che agitano strumentalmente la bandiera dei dialetti, spesso senza conoscerli davvero. La stessa paura di servire la Lega ce l’hanno alcuni miei colleghi linguisti, anche se hanno studiato i dialetti e non hanno nessun pregiudizio verso di essi. Che il dialetto sia un fattore regressivo a me pare una cosa sbagliata: per il 60 per cento della popolazione i dialetti sono ancora vivi, e sono una fonte preziosa finché l’italiano non sarà capace di girare a tutto regime, dalle formulazioni più alte, sofisticate e concettuali alla vita di tutti i giorni e dei nostri affetti…
A.C. Io penso anche un’altra cosa. Buona parte della nostra letteratura è stata dialettale: Ruzzante, Goldoni, Carlo Porta, Gioachino Belli, lo stesso Pascarella. Il dialetto è una ricchezza. Durante gli anni del fascismo c’era il divieto assoluto di parlare il dialetto. Poi usciva una velina del MinCulPop che diceva che Edoardo, Peppino e Titina De Filippo, Gilberto Govi e Cesco Baseggio, che recitavano rispettivamente in napoletano, genovese e veneziano, e Angelo Musco, che recitava in siciliano, non erano da considerarsi dialettali…
T.D.M. Scrivendo in dialetto ci si può scontrare con una barriera. Chi parla soltanto il dialetto spesso non sa né leggere né scrivere. Scrivendo in dialetto si arriva ai ceti popolari: questa era l’illusione di persone degnissime, i giacobini della rivoluzione napoletana del 1799, mai abbastanza ricordata per le cose straordinarie che tentò di fare. Pensavano di scrivere i giornali in napoletano per farsi leggere dalle plebi, e nessuno li leggeva, perché chi parlava quel napoletano stretto non sapeva leggere. E chi sapeva leggere non parlava più quel napoletano stretto…
A.C. Una volta un venditore di pesce al mercato disse a Leoluca Orlando: “La sape la differenza che c’è tra la lingua e il dialetto?” E Leoluca disse: “No, non la so, qual è?”. “Eh, che la lingua dietro alle sue spalle ave l’esercito, ‘u dialettu no”.
T.D.M. Per i tuoi personaggi più famosi, Montalbano, Catarella, o l’anatomo-patologo, ti sei ispirato a personaggi reali o sono di pura fantasia?
A.C. Sono un mosaico, un insieme di tessere diverse. Raccontava Simenon che un giorno vide un signore piuttosto grasso, con la bombetta, e disse: questo sicuramente è un ispettore di polizia. E così cominciò a venirgli in mente che, se avesse scritto un romanzo giallo, il suo protagonista si sarebbe chiamato Jules Maigret e avrebbe avuto quelle fattezze. Io non avevo mai visto compiutamente Montalbano. Intero non me lo ero mai immaginato, però, poi, una volta l’ho visto. È stato quando un professore di filologia dell’Università di Cagliari, Giuseppe Marci, fece un corso universitario su Il birraio di Preston e mi disse: vuole venire a Cagliari a chiudere il corso? Dissi: ma come facciamo a riconoscerci all’aeroporto? E il professore rispose: non si preoccupi, avrò sotto braccio Il birraio di Preston. Così arrivai all’aeroporto, scesi, e mi trovai di fronte Montalbano con sotto braccio il mio libro… Un anno dopo mi dissero che volevano fare la serie televisiva, io chiesi al professore di mandarmi delle fotografie. Me le mandò. Poi presero fortunatamente Zingaretti. Però il professor Marci ci è rimasto nel personaggio, perché ogni tanto mi scrive: ho letto l’ultimo libro, mi sembra di stare invecchiando piuttosto maluccio. Catarella invece parla un po’ come parlavano i pupari e un po’ come un attendente di mio padre. Montalbano è, come ha scoperto mia moglie, un lungo ritratto di mio padre. L’ha scoperto lei, io non me ne ero accorto…
 
 
Gazzetta del Sud, 1.7.2011
Franco Bonardelli

Un mese fa è scomparso a Messina, stroncato da un attacco cardiaco, a soli 57 anni, il nostro prezioso collaboratore prof. Franco Bonardelli, stimato preside ma soprattutto scrittore e critico raffinato, autore degli scritti inediti – tutti dedicati a un autore che a lui era particolarmente caro, Andrea Camilleri – che pubblichiamo in questa pagina, in omaggio alla sua memoria.
 
 
Camilleri e gli eroi dubbiosi
Fenomenologia del Maigret di Sicilia, il commissario Salvo Montalbano

È ormai un classico nella serie del commissario Montalbano, giunto alla 50. edizione, e resiste da anni nelle classifiche dei bestseller. "Il ladro di merendine" (1996) rappresenta una sorta di punto di snodo nel costante delinearsi dei caratteri dei personaggi di riferimento nella narrativa di Camilleri: a modo loro, "eroi" d'una complessa quotidianità che ne pone di continuo in rilievo le debolezze, la volubilità, l'irrequietezza, nel contesto d'un microcosmo rappresentativo di pregi e difetti della Sicilia.
Si tratta di un'inchiesta complessa e articolata su due delitti apparentemente diversi nei modi e nei tempi operativi, ma collegati invece tra loro e a un giro di malaffare che dalla regione conduce alle vicine coste africane. Oltre alle vittime, ai carnefici e ai comprimari – che richiamano direttamente l'influenza del Simenon di Maigret sullo scrittore siciliano – spicca però nel testo una figura che diventerà assai importante nell'economia della saga: il piccolo orfano immigrato, di fatto adottato da Montalbano e dalla sua compagna (più dalla sua compagna, in verità), che diviene presto l'involontaria coscienza critica del racconto.
Sarà la sua presenza a evidenziare l'insoddisfatta voglia di maternità di Livia, l'incapacità del commissario di affrontare le problematiche di una vita familiare, le conseguenti difficoltà di un rapporto di coppia che andrà progressivamente logorandosi, fino alla semi-estraneità evidente negli ultimi episodi della serie.
Qui però si tratta di risolvere il caso anche per assicurare giustizia alla piccola vittima di un mondo di corruzione e malaffare. E senza pensarci su due volte, l'investigatore tutto cuore e istinto giungerà alla soluzione della vicenda trasgredendo le regole, aggirando gli ostacoli burocratici e puntando dritto alla dimensione interiore, intima, spirituale degli individui coinvolti.
Se dunque al rovente commissariato di Vigata si sostituisce l'ufficio fumoso in riva alla Senna immaginato da Simenon, se alla parlata sicula degli occasionali visitatori si antepone il duro dialetto delle periferie parigine, e se ai manicaretti a base di pesce fresco preferiti da Montalbano si sovrappongono le ghiottonerie da bistrot di Maigret, ecco che il miracolo dell'assonanza tra contesti apparentemente così lontani si compie quasi d'improvviso. Con la soluzione finale che è come sempre parziale e limitata agli eventi, dal momento che non si sciolgono certo, ma finiscono per attorcigliarsi sempre più i nodi dei conflitti interiori e delle complesse dialettiche umane tra i personaggi principali e i loro abituali interlocutori.
In un certo senso, un compendio dei temi più felici della narrativa di Camilleri sembra essere il romanzo che la critica definisce come il vero capolavoro dello scrittore di Porto Empedocle: "La gita a Tindari" (2000), che concentra l'anarchia investigativa di Montalbano, i dubbi esistenziali dei suoi più stretti collaboratori, i paradossi d'una Sicilia prigioniera dei complessi equilibri tra vecchie e nuove mafie, i tortuosi ma non sempre illusori percorsi della giustizia e dell'onestà. Tutto nella disavventura-simbolo di una coppia di anziani e di un giovane rampante, uniti nel loro atroce destino dai falsi idoli della ricchezza e del successo sociale attraverso le ingannevoli scorciatoie della vita.
Tutto comincia con un delitto, come sempre inspiegabile o fin troppo spiegabile. È il ragazzo cresciuto troppo in fretta a rimanere vittima di un agguato in piena regola, proprio sotto casa. Tutto si complica dal momento che da una residenza nello stesso stabile scompare misteriosamente una coppia d'anziani, reduce da una gita organizzata al santuario di Tindari.
Montalbano riuscirà a districarsi abilmente, anche se la sicurezza degli assunti vacillerà in più d'una occasione. Specie nel momento in cui sembrerebbe davvero imminente il trasferimento del suo vice, chiamato lontano dalla passione di una donna. Mancando un tassello, tutto il mosaico finirebbe in un sol colpo per sgretolarsi, assieme ai metodi d'un investigatore attento più agli individui che ai loro comportamenti. Il lieto fine così scaccerà tutti i fantasmi; ma l'impressione d'una costante precarietà rimarrà comunque a segnare ancora per molto le vicende dello sperduto commissariato siciliano. Avamposto scomodo nella lotta alla criminalità, per i suoi componenti e ancor più per i suoi referenti; dentro e fuori le istituzioni.
 
 
Ma questi mali sono antichi

Su un altro versante, fra i romanzi-cult di Camilleri non-montalbaniani, riproposto al ritmo di quattro edizioni l'anno e tornato ora d'attualità in occasione del confronto di idee e opinioni sulla condizione politico-amministrativa della Sicilia post-unitaria, è senz'altro "La concessione del telefono" (1998), che narra appunto del travagliato e inconcludente iter burocratico per l'installazione di una linea privata nell'immaginario e simbolico paese di Vigata durante gli anni ultimi del secolo diciannovesimo: una procedura complessa, resa ancor più artificiosa da comuni caratteri epocali, condizionati dall'iniziale diffidenza verso ogni forma di progresso e dalla tendenza a considerare come rivoluzionario ogni accenno di modernità.
Così il protagonista – uno spiantato del luogo sposato con la rampolla di un ricco commerciante – viene subito scambiato per un sovversivo soltanto a causa di un involontario errore nella formulazione dell'inusitata richiesta. Un prefetto assolutamente inadatto al ruolo fondamentale conferitogli dal goveno centrale, i suoi collaboratori incapaci di assumere alcun tipo di responsabilità, le infiltrazioni di mafia e malaffare in ogni settore della vita pubblica finiscono per complicare all'inverosimile una vicenda di per sé semplice, e in verità motivata esclusivamente da una classica tresca all'interno del nucleo familiare.
Ma l'intenzione dell'autore va ovviamente ben oltre; e attraverso un'originale strategia narrativa, a mezzo fra la trascrizione del documento e l'argomentata proposizione di dialoghi riservati, giunge a raffigurare con dovizia di particolari un'ingiustizia sociale perpetrata per decenni ai danni della popolazione isolana. Vittima sì dei suoi mali endemici, ma anche delle problematiche indotte da un'annessione di fatto al potere sabaudo, portatrice di misfatti, ingiustizie, renitenze e manipolazioni di ogni genere.
Alla fine gli equilibri si ricomporranno secondo la più bieca logica punitiva, e a pagare saranno soltanto i funzionari più affidabili e motivati, trasferiti d'ufficio in Sardegna.
 
 
La lotta contro i mulini a vento dell'ipocrisia

Ci sono infiniti percorsi, in questo noir contemporaneo la cui formula Camilleri ha reinventato con l'innesto della sua Sicilia di forme, parole, modi e pensieri.
Nella tradizione orale delle fiabe e dei racconti per l'infanzia era sempre la fantasia a superare la realtà, con la mediazione essenziale del narratore. Se c'era crudeltà, arroganza, cattiveria, e se i loro eccessi superavano ogni buonsenso, si poteva sempre inframmezzare la storia con la sottolineatura della finzione, che tutto permetteva o giustificava; e dell'immancabile lieto fine, che ogni cosa ricollocava al posto giusto.
Nel noir contemporaneo – anche in quello volutamente più casereccio – tutto ciò non può certo avvenire, dal momento che la realtà riesce a superare, e di gran lunga, la fantasia.
Che dire dunque di una ragazza russa, emigrata in cerca di lavoro e successo, ritrovata morta in una discarica a due passi dalla mai meno immaginaria Vigata, col volto sfigurato dalle pallottole e il corpo integro, con tanto di tatuaggio di farfalla sulla schiena? Una barbarie, certo; ma fra le tante, perpetrate da individui sì malati, ma guarda caso dalla crudeltà comunque esercitata sempre ai danni delle creature più deboli, ingenue, indifese. Quelle che il disagio mentale non impedisce loro di riconoscere, perseguitare, adescare, umiliare e infine uccidere.
Allora fa bene Camilleri, e per lui Montalbano in "Le ali della sfinge" (2006), per non rassegnarsi, a non accettare le apparenze d'un episodio isolato, andando come sempre a fondo nell'inchiesta per scoprire quelli che si dicono i retroscena, gli assunti veritieri nascosti dal perbenismo, dall'ipocrisia, dal malaffare travestito con gli abiti della bontà.
Non sarà facile per entrambi giungere alle conclusioni possibili, dal momento che troppi interessi importanti, troppi personaggi illustri si ritroveranno coinvolti sulla scelta del crimine. Non in primo piano, ci mancherebbe; ma in quei ruoli sfumati, dove si è troppo poco innocenti per meritarsi la comprensione, e troppo poco colpevoli per meritarsi la condanna. uno spazio neutro, in cui gli speculatori di mestiere possono facilmente inserirsi, per trarre di continuo soddisfazione e vantaggio. Pur se altre vite umane andranno sacrificate, come in un barbaro rituale consacrato al "dio denaro".
 
 
Il racconto più nero e amaro, "La rizzagliata"

È il Camilleri più nero, più pessimista, quello de "La rizzagliata" (2009), il romanzo vincitore dell'autorevole "Premio Internacional de Novela Negra" in Spagna. Perché nei contenuti della sua scrittura – giunta qui all'apice della contaminazione stilistica tra lingua e dialetto – c'è tutto il disprezzo, la risentita moralità, la negatività del giudizio nei confronti di una società che ha ormai smarrito l'idea dei valori, in tutto ispirandosi al compromesso e alle ferree leggi del profitto e della scalata sociale.
C'è stato un delitto, nella Palermo-bene: una ragazza, figlia di un potente burocrate, ritrovata cadavere nel lussuoso appartamento dove abita già da sola, appena ventenne. I sospetti cadono sul fidanzato, anch'egli rampollo di un potente patriarcato politico; ma sono indizi, supposizioni teorie, che l'abile avvocato ingaggiato dalla famiglia promette di smontare in pochissime battute. Ciò che interessa però lo scrittore non è tanto l'indagine, quanto il suo contorno di omissioni, speculazioni, interessi.
Una rete, insomma, qual è appunto il "rizzaglio", dove cadono prigionieri i pesci meno accorti, catturati loro malgrado dalla trappola a forma di campana. Gli altri, quelli più furbi e avveduti, non si fidano e scappano via. Accade lo stesso per i protagonisti della storia, legati tutti al mondo delle istituzioni, della grande comunicazione televisiva, dei centri di potere che condizionano il quotidiano della collettività. Allora notizie date e non date, informazioni pilotate. E reciproci ricatti, inarrestabili ambizioni, tradimenti a catena tra i presunti amici e le loro mogli. Nessuno spazio, invece, per la pietà umana, perché ognuno sembra dimenticare che al centro di tutto rimane una giovane vita spezzata.
Non si rintraccia allora nel testo la sottintesa "lezione esistenziale" d'un commissario di provincia, come quello della Vigata di Montalbano; non ci sono i personaggi di contorno ingenui ma sensibili; non ci sono le virtù, più o meno nascoste, dei comprimari di tante storie e di tante situazioni, in parte inventate, in parte ispirate – ma solo nella traccia iniziale – da vicende reali, come quella del delitto di Garlasco. Rimane solo l'ostinata determinazione dell'autore nel descrivere una realtà in cui nessuno si fida più di nessuno, e l'ostentato amore e la presunta solidarietà sono soltanto tramite all'ottenimento di favori e preferenze. Che bastano per un attimo, e cedono poi il posto a ulteriori pretese: in un processo infinito di illusoria scalata ai vertici di una comunità destinata infine a soccombere, travolta dalla sua stessa, interiore devianza.
 
 
Nel sorriso d'Angelica i sintomi della crisi...

Prima o poi doveva accadere, e i segni premonitori potevano cogliersi già negli ultimi episodi dell'ormai lunghissima saga di Andrea Camilleri sui personaggi della piccola-grande Vigata, il microcosmo che fa da scenario alle sue vicende più amate: Montalbano comincia a sentire su di sé il peso degli anni, dell'età, della condizione fisica e soprattutto di quella psicologica.
E il nostro roccioso commissario subisce il particolare contraccolpo identificando pensieri e azioni proprie nientemeno che con quelle dell'Orlando furioso dell'Ariosto e con la sua folle passione per Angelica. Una creatura, nel caso di Montalbano, in carne e ossa, in bellissima carne e in bellissime ossa, su cui il commissario inciampa durante le indagini su una serie di furti misteriosi avvenuti in paese ai danni di una cerchia di benestanti professionisti. Tutto questo si dipana nel romanzo "Il sorriso di Angelica" (2010).
Lei, Angelica, è una bancaria di alto grado e con mansioni di grande responsabilità, vissuta a Trieste ma di origini sicule. Si divide tra il lavoro e qualche passatempo non proprio innocente con i gigolò della zona, in attesa che il fidanzato ufficiale torni dai suoi numerosi impegni fuori d'Italia, protratti per mesi e mesi con grave pregiudizio della resistenza fisica e mentale della sua amata. Che di resistenza, da buona Angelica del terzo millennio, non è che ne dimostri in eccesso, dal momento che almeno a settimane alterne è solita frequentare in buona e sempre diversa compagnia una garçonniere presa in affitto presso la villa disabitata di un cugino.
Qui un giorno anche la bellissima creatura, dalle sembianze identiche a quelle del mitico personaggio disegnato da Gustave Doré, subisce il furto delle chiavi di casa, esattamente come gli altri benestanti della zona, nel corso di più o meno innocenti evasioni vacanziere nelle case al mare o in campagna.
Si tratta, evidentemente, di una ben congegnata strategia, diretta da un personaggio del luogo e messa in atto da una banda di malfattori "importata" da altre realtà. Ma al detective di tante leggendarie imprese tutto ciò importa poco. Perché è l'infatuazione per la giovane a prendere il posto delle astute strategie per incastrare i malviventi.
Montalbano s'innamora come un ragazzino; come quando, da ragazzino, osservava estasiato il volto e le forme dell'Angelica di Ariosto, ritratta dalla fervida fantasia del pittore francese. Ma adesso l'età matura pone seri problemi: la gelosia, l'irrazionale voglia di possesso, le inevitabili complicazioni con la storica fidanzata Livia, le ripercussioni sulla stessa attività investigativa mal si conciliano con la passione travolgente, che rischia di annientare il senno e la ragione.
Le diatribe interiori finiranno così per diventare il vero filo conduttore della storia, come sempre abilmente costruita da Camilleri su continui rimandi letterari e giochi di parole che rendono ancora più umano il suo personaggio, fino ad ora segnato da una sorta di fedeltà congenita nei suoi rapporti sentimentali.
E i pericoli aumenteranno, anzi si moltiplicheranno, come sempre avviene in caso di vero amore. Perché – scrive l'autore – «un omo può campare per cent'anni allato a 'na fimmina e alla fini farsi persuaso che quella fimmina non ha mai saputo com'è fatta veramenti».
 
 

CaterRaduno 2011, 2.7.2011
Tredicesimo CaterRaduno - Fratelli in Italia
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Civiltà della Tavola, n. 229, 7.2011
Premio "Orio Vergani"
“Montalbano” ritira il premio
Il premio ad Andrea Camilleri e a Luca Zingaretti. Consegna e conferenza stampa a Roma con numerosa partecipazione di giornalisti

Dieta. “Questa probabilmente è stata la parola che ho pronunciato addirittura prima di dire mamma e papà”. Così esordisce il commissario Montalbano, pardon, Luca Zingaretti in occasione della conferenza stampa organizzata dall’Accademia per la consegna del premio “Vergani” 2011. Ma poi via via si smentisce, perché come la madre, che gli ha insegnato quella prima parola, mostra invece di amare molto la buona cucina.
Una cucina che, come ha sottolineato il Presidente Ballarini, oggi mostra spesso una “voglia di tradizione”, così come alla tradizione si è ispirata l’Accademia nell’attribuire il premio, intitolato al suo Fondatore, a un personaggio che fosse testimone del valore della cucina italiana in Italia e nel mondo. Già, un personaggio, ha fatto notare il Presidente Ballarini, che però è un uomo reale, come accade per quelle figure, per esempio Ulisse o Sherlock Holmes, che nell’immaginario collettivo sono diventate vere, reali. Montalbano vive tramite Luca Zingaretti che ha assunto nella mente dei lettori e dei telespettatori il ruolo di mediatore tra lo scrittore e la realtà. Ma il personaggio non sarebbe così reale se non mangiasse e Montalbano non solo mangia ma è anche un critico gastronomico quando, spesso, parla di cucina con chi gli prepara i piatti che gusta.
Luca Zingaretti ha dichiarato di essere lusingato e onorato di ricevere il premio da un’Istituzione come l’Accademia. Conoscerne gli obiettivi, ha detto, gli ha fatto ritornare il sorriso e l’ha fatto sentire fiero di essere italiano, sinonimo, nel mondo, di cultura, eleganza e qualità della cucina.
Nel rispondere poi alle domande che gli sono state rivolte dal Presidente Ballarini e dal Segretario Generale Paolo Petroni, oltre che dai numerosi giornalisti intervenuti, si è soffermato a parlare del suo personaggio riconoscendogli il ruolo per cui è stato premiato, insieme al suo autore Andrea Camilleri: quello di ambasciatore della cucina italiana di qualità nel mondo, in quanto i libri che lo vedono protagonista sono diffusi e tradotti in moltissimi Paesi stranieri.
Montalbano piace, ha aggiunto Zingaretti, perché vive in pieno la sua esistenza e trova dentro di sé ciò di cui ha bisogno per essere felice. E la cultura della buona cucina, un aspetto tipicamente italiano, è per lui uno dei primi piaceri della vita, oltre a essere un modo per leggere un ambiente, un territorio, una storia. E a questo proposito Zingaretti si è soffermato, sollecitato anche dalle domande della stampa, a parlare dei luoghi in cui vengono girati gli episodi televisivi. Sono quelli della provincia di Ragusa, fuori dai circuiti turistici, caratterizzati dal candore e dalla semplicità delle persone laboriose che li abitano. È in questi luoghi che anche lui, ritrovandosi la sera a cena con la troupe, ha conosciuto la vera cucina regionale siciliana della quale ha imparato ad apprezzare le ricette, comprendendone anche i valori identitari.
La conferenza stampa ha avuto un seguito gastronomico, sulla terrazza e poi nella bella veranda dell’hotel “Flora”, a Roma, dove è stato servito un pranzo con menu siciliano, interamente ispirato ai piatti preferiti del commissario Montalbano.
Silvia De Lorenzo
 
 

Civiltà della Tavola, n. 229, 7.2011
Siracusa
A tavola con Camilleri

Un vero omaggio alla fervida fantasia di Andrea Camilleri e al suo personaggio, il commissario Montalbano, si è celebrato nel simposio di maggio della Delegazione. Il Delegato Tamburini ha dato il benvenuto ai graditi ospiti: il presidente di Confindustria Siracusa dott. Aldo Garozzo, il direttore dell’Asp 8 Siracusa dott. Franco Maniscalco, l’avv. Di Quattro (proprietario della ormai famosa casa di Montalbano). Ha poi brevemente introdotto la figura di Andrea Camilleri, il cui successo editoriale si è amplificato con l’avventura televisiva. Ha quindi spaziato sull’universo gastronomico dello scrittore, espresso attraverso Montalbano, goloso e continuamente affetto da un “pitìtto” smisurato, con un’antologia gustosa come una tavolata ben imbandita. Il cibo diventa protagonista trasversale di tutte le storie e acquista una valenza affettiva molto forte. A questo si aggiunga la bellezza naturale dei luoghi in cui gli episodi sono stati girati, luoghi come la tonnara di Scopello e quella di Capo Passero, il castello di Donnafugata e quello di Portopalo, piazza Duomo di Siracusa: la Sicilia senza tempo, senza precisi riferimenti geografici, ma un viaggio del cuore. Il Delegato ha poi fatto intervenire l’avv. Di Quattro per ascoltare alcuni aneddoti sulla località di Marinella (in effetti Donnalucata nel Ragusano). Un caloroso applauso per il simpatico e interessante intervento. A seguire l’Accademico Vittorio Pianese ha presentato la relazione: “Cuscusu di pisci: Montalbano, cucina, donne, idiosincrasie”. Egli ha così esordito: “Chi ama Montalbano conosce il suo strettissimo rapporto con la cucina, o meglio: con l’arte della cucina. Un’arte che si mischia alla Sicilia, prendendone a prestito i colori, gli odori, i sapori, i suoni”. È il suo un viaggio nel mondo dei sensi, una sorta di percorso di formazione, che rende più sensibili e competenti, volto a creare “il gusto” della tavola. Applausi anche per Vittorio Pianese, uniti al ringraziamento del Delegato per l’impegno e la capacità di ben districarsi, da genovese, anche con la pronuncia del siciliano. Naturale, a questo punto, passare alla degustazione dei piatti in tavola: “rapìpitìttu” (“purpiteddi” alla carrettiera, “vota-vota”, “scoppolarìcchi” fritti, arancini di Adelina e “capunata”), una vera sinfonia di sapori; “cuscusu di pisci” (saporito e gustoso); spigola all’acqua pazza; cannola di ricotta e “cassateddi”. Festosamente e con grande apprezzamento, anche se con qualche difficoltà del servizio, si è concluso un simposio dedicato al fenomeno letterario Andrea Camilleri e alla sua opera, che continua a coinvolgerci con grande intensità. Infine il Delegato ha consegnato il guidoncino accademico al proprietario Giancarlo Lo Manto e al maestro di cucina Dario Tartaglia per la capace interpretazione della “cucina di Montalbano”.
Angelo Tamburini
 
 

La Repubblica, 2.7.2011
Mattoni, supergialli e non libri i segreti dell'editoria estiva
Trent'anni di classifiche
Il successo di "No logo" insieme a Camilleri

[…]
2001-2002 Il successo di "No logo" insieme a Camilleri
Il fenomeno dell'estate 2001 è Naomi Klein, che con No Logo, saggio contro la globalizzazione, vola al primo posto in classifica. […] Il più letto dell'estate 2002 è invece Camilleri con la Paura di Montalbano, una raccolta di racconti pubblicata da Mondadori. […]
[…]
2005-2006 Trionfa Dan Brown tra angeli e demoni
Torna in classifica Dan Brown: Angeli e demoni, 5 euro nei supereconomici Mondadori, si alterna al top con Camilleri ( La luna di carta ). […]
[…]
A cura di Raffaella De Santis
 
 

Il Corriere Adriatico, 3.7.2011
Grande folla all’asta in ricordo di Elisa Claps
Oltre 40 i pezzi battuti, mistero sul “mazzuolo” di don Luigi Ciotti

Senigallia. […] Oltre 40 i pezzi battuti per raccogliere fondi in favore dell’associazione di don Ciotti. Il primo oggetto, come gesto scaramantico contro il maltempo, è stato l’ombrello di don Tonio aggiudicato per 100 euro. Vista la mole di articoli da piazzare Cirri e Solibello hanno iniziato in anticipo rispetto alle 17. […]
Il ricavato
Superati i 20.000 euro ai quali vanno aggiunti i proventi delle magliette vendute in questi giorni e 10.000 euro sono stati tirati su in un’ora di asta. Venduto per 220 euro il cofanetto con 8 dvd di Andrea Camilleri.
[…]
Sabrina Marinelli
 
 

Apollodoro, 3.7.2011
Piccole considerazioni su “Il gioco degli specchi” di Andrea Camilleri

Avendo appena finito di leggere l’ultima fatica letteraria di Andrea Camilleri, quel “Il gioco degli specchi” che vede tornare in primo piano l’amato Commissario Montalbano, vogliamo condividere con voi le piccole considerazioni, i pensieri spiccioli, le sensazioni che questo romanzo dedicato alla figura di Salvo Montalbano si è lasciato dietro dopo la lettura. Senza volervi svelare nulla della trama, sappiate che Salvo si trova coinvolto in un gioco di specchi, indizi fasulli e tracce false che vogliono portarlo fuori dal sentiero di un’indagine che inizia quasi per caso, l’accostamento di due fatti che nulla sembrano centrare fra di loro: un’auto manomessa e una bomba esplosa davanti a un magazzino. Vuoto.
Da qui partono le domande di un Salvo Montalbano che, rispetto agli ultimi romanzi, ci è parso essere meno tormentato, più tranquillo, in grado di evitare le trappole di cui il suo cammino è disseminato e di vedere al di là degli specchi di indizi illusori. Per la gioia dei lettori, tornano i dialoghi interiori fra il Montalbano Uno e il Montalbano Due, in vena di convenevoli e ringraziamenti, i pranzi da Enzo, le passeggiatine digestive e meditative. Tutte cose che ci fanno sentire tranquilli, Vigatà è quella di sempre, ci sembra di partecipare ad una rimpatriata di vecchi amici. Ad essere onesti, ogni tanto ci sembra di leggere qualcosa di già visto e detto, ma è inevitabile che alcuni escamotage letterari vengano riutilizzati durante una serie di romanzi così lunga.
Ritornano i personaggi di sempre, quelli più amati e quelli meno amati: abbiamo un Fazio sempre più protagonista, tanto in sintonia con il modus operandi del suo mentore da sembrare quasi leggergli nella mente. E ancora alle prese con il suo amore sviscerato per i dai anagrafici, amore, ahinoi, incompreso dallo stesso Salvo. C’è Mimì Augello che, in linea con gli ultimi lavori, appare sempre più incapace di capire le tortuosità della mente del Commissario, quasi defilato, salvo fare una capatina ogni tanto e coinvolto nel caso soprattutto in virtù delle sue doti amatorie (povera Beba, ma sarà davvero così ignara?). Un applauso a Catarella, irresistibile, comico, maledetto dall’incapacità di distinguere nomi e cognomi. E contrade.
Troveremo la donna fatale, la sirena che svia l’attenzione di Montalbano e confonde le acque con le sue moine. Tornerà (telefonicamente) Livia, che appare sempre più messa in disparte (deo gratias!), capace ormai solo più di litigare con Salvo. E nominando la storica fidanzata di Montalbano, come non parlare di Adelina, cuoca sopraffina, capace di creare arancini divini, il cui odio verso Livia è tale da spingere il (quasi sempre) fedele Montalbano fra le braccia di ogni donna che incrocia il suo cammino?
Un libro che farà la gioia di tutti i fan del Commissario (e si vocifera che farà parte delle prossime puntate del telefilm a lui dedicato e interpretato da Luca Zingaretti, insieme a “Il sorriso di Angelica”), ma che può essere letto tranquillamente anche da chi non conosce Camilleri, grazie alla capacità dello scrittore di tratteggiare personaggi credibili e renderli vivi sulla carta con poche, sapienti parole.
 
 

Bresciaoggi / Il Giornale di Vicenza / L’Arena, 3.7.2011
Lestate di giallo è tinta
Vacanze. Consigli sui libri da mettere in valigia per il relax delle ferie

Estate, tempo di vacanza, cioè tempo vacuus: tempo vuoto, libero, sgombro dalle quotidiane incombenze. E in questa zona franca che i mesi più caldi aprono nella routine lavorativa la maggior parte degli italiani colloca ancora, nonostante le più volte ventilate profezie negative sulla sorte dei libri, il piacere di dedicarsi alla lettura di qualche romanzo o qualche saggio, magari «accumulato» sul comodino, in attesa di tempi migliori, durante i mesi scorsi. Narrativa italiana o straniera, saggistica, libri di viaggi o di psicologia, le scelte sono le più varie, anche perchè il mercato editoriale, sia pure in un momento poco roseo, sforna appunto in vista dell'estate, un po' come per le strenne natalizie, molti titoli accattivanti. Ecco qualche indicazione per districarsi in libreria.
I GIALLI SEMPRE IN TESTA. Tra le tendenze prevalenti, c'è una propensione per il romanzo giallo o noir, possibilmente più psicologico che d'azione: il giallo del resto è da sempre considerato un classico per letture non troppo impegnate, come quelle sotto l'ombrellone. Tra i titoli più richiesti troviamo Il gioco degli specchi di Camilleri (Sellerio): il commissario Montalbano si trova coinvolto questa volta in una vicenda intricata, confuso da indizi sbagliati e donne avvenenti, in un vero e proprio labirinto di piste false, in cui sarà facile perdersi persino per lui.
Soprattutto a causa della bellezza prorompente di una ragazza per la quale il commissario farà fatica a mantenere la sua lucidità e a far luce sul caso. La nuova storia si muove ancora una volta tra ironia e una riflessione più profonda sul rapporto tra il bene e il male, sul lato oscuro e più impenetrabile di ciascuno di noi, persino dei personaggi positivi.
[…]
Alessandra Galetto
 
 

Potere alla Fantasia, 3.7.2011
La prima indagine di Montalbano, Andrea Camilleri

Immaginate Salvo Montalbano, uno dei protagonisti  più amati degli ultimi anni, lontano dalla sua Vigata.
Difficile vero? eppure è così che tutto ha avuto inizio, con un giovane vicecommissario dell’entroterra siciliano, di Mascalippa per la precisione. Il giovane commissario è proprio Salvo Montalbano che, in odore di promozione, sta aspettando che la nuova nomina lo riporti al suo amatissimo mare.
Gli esordi di questo personaggio sono stati svelati ai lettori, che ormai credevano di conoscerne tutto o quasi, ovviamente da Andrea Camilleri, proprio nel racconto “La prima indagine di Montalbano” (Mondadori 2004). E’ così che, emozionati come il neocommissario, i lettori fanno per la ‘prima volta’ la conoscenza di Vigata: entrano in punta di piedi nella casa di Marinella, conoscono Fazio e Catanella e tutto quel microcosmo di personaggi, che nelle altre opere sono dati per acquisiti. Soltanto questo varrebbe tutto il racconto, che, però, è naturalmente molto di più.
Ad affascinarci in Camilleri, non è soltanto lo strepitoso ‘contorno’, le descrizioni in siciliano che incantano per la loro musicalità, ma è anche e sopratutto la trama del racconto, un giallo coi fiocchi, che non perde un colpo, anche se, in questo caso, del giallo qualcosa manca.
Non c’è l’omicidio, o meglio sembra essere solo tentato, e c’è invece una giovanissima donna dall’aria intrigante che pare mettere in scacco il giovane commissario. E, a proposito di donne, manca Livia, ancora sconosciuta per Salvo, mentre fa parte della sua vita una certa Mary.
Curiosi?
Se non l’avete ancora fatto non perdete l’occasione di scoprire questi lati inediti di un personaggio amato, analizzato e discusso. Del resto quando leggere con più gusto un bel giallo se non in estate, sotto l’ombrellone? Se poi vi sentite le palpebre ‘tanticchia a pampineddra’, non preoccupatevi: schiacciate pure un sonnellino, la lettura vi aspetterà!
 
 

Corriere della Sera, 3.7.2011
Quando la barberìa non era ancora uno «scipito salon»

«Certi negozi di barbiere, mai rinnovati, rivestiti di legno, assomigliano a farmacie, e come le farmacie ottocentesche sono anche asilo di conversazioni pettegole». Guido Piovene aveva girato in lungo e in largo l'Italia, e la conosceva bene, al punto da fotografare nel salone da barbiere un crocevia dell'identità nazionale.
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Andrea Camilleri ricorda, nel Birraio di Preston, i calendari profumati che venivano regalati ai clienti, ma soprattutto si sofferma sui concertini di mandolino e chitarra eseguiti nel salone di don Nonò da un ferroviere e un falegname, il duo Pirrotta-Spitalieri.
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Paolo Di Stefano
 
 

La Nuova Sardegna, 3.7.2011
Alicia Giménez-Bartlett: Mi piace la Spagna dei giovani indignados

Tra i tanti ospiti del festival, tra i numerosi nomi eccellenti della letteratura nazionale e internazionale, è la più attesa. E oggi il suo incontro con Alessandra Casella e Irene Bignardi, alle 19 a Sant'Antiocru, chiuderà questa ottava edizione della rassegna organizzata dall'associazione «Isola delle storie». Lei è Alicia Giménez-Bartlett. L'abbiamo incontrata ieri. Una signora di mezza età, di grande disponibilità e simpatia. Qui al festival la scrittrice spagnola, regina del giallo (e ieri a Gavoi è stato il giorno di un'altra signora in giallo, la britannica Anne Perry) presenterà anche il suo ultimo libro, appena pubblicato in Italia da Sellerio: «Dove nessuno ti troverà».
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-In Italia la chiamano la Camilleri spagnola. Le dà fastidio?
«Sono più giovane e più bella. E non lo potrò dire a lungo e a molti altri! A parte gli scherzi, Camilleri è un maestro ed è un onore essere paragonati a lui».
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Fabio Canessa
 
 

La Repubblica (ed. di Firenze), 3.7.2011
L'ispettore di Camilleri ama la tragedia greca

La popolarità la deve alla tv. «Tutti mi conoscono e mi riconoscono per strada come l'ispettore Fazio di Montalbano, ma la mia attrazione fatale è il teatro, la tragedia greca». Il quarantenne attore calabrese Peppino Mazzotta è ospite di «InEquilibrio» al Castello Pasquini di Castiglioncello, stasera e domani, con Radio Argo, riscrittura della trilogia dell'Orestea di Euripide ad opera del poeta-drammaturgo napoletano Igor Esposito.
Qual è la reazione del pubblico che la conosce principalmente grazie al personaggio creato da Camilleri?
«Gli spettatori restano soddisfatti, si stupiscono positivamente. I miei personaggi, sia che appartengano ad Euripide o a Camilleri sono sempre persone di oggi, che si muovono fra le contraddizioni di un mondo contemporaneo».
[...]
Castello Pasquini, Castiglioncello (LI) Stasera ore 21, domani ore 19. 10 euro. Info 0586/754202-759021
(r.i.)
 
 

alfabeta2, n.11, 7.2011 (in edicola dal 4.7.2011)
Culture d’Italia – Sicilia
Andrea Camilleri
La Sicilia come gioco di pazienza

Conversazione con Clotilde Bertoni

Nella "Corda pazza" Sciascia, ricordando le feste religiose siciliane (evocate anche da lei, con la splendida descrizione della processione di San Calogero nel "Corso delle cose") dice che in Sicilia «la collettività esiste soltanto a livello dell’Es». È così difficile in Sicilia un’aggregazione consapevole?
In Sicilia c’è sicuramente refrattarietà all’aggregazione: se gli italiani sono individualisti, i siciliani lo sono due volte tanto; è stato il clan l’aggregazione siciliana tipica. Lo dimostrano episodi del passato: nell’Ottocento, contro il potere dell’Anglo-Sicilian Sulphur Company, i proprietari delle miniere di zolfo avrebbero dovuto consociarsi; invece l’unica strategia di resistenza fu quella dei «matrimoni di zolfo» (esempio clamoroso l’unione tra Luigi Pirandello e Antonietta Portulano, figli di grossi commercianti di zolfo entrambi); cioè una strategia primitiva e tribale. E lo dimostrano anche alcuni momenti della vita culturale: per ricordarne uno legato ad «alfabeta», il Gruppo 63 si formò a Palermo, ma in ambito locale fu visto con diffidenza. Le iniziative culturali in Sicilia – come quella del da poco scomparso Francesco Agnello, che ha speso tanto per la promozione degli Amici della musica – sono spesso personali e isolate.
Però negli anni Novanta, a Palermo soprattutto, ci fu un risveglio della coscienza civile che stimolò una vivace rinascita culturale: i Cantieri della Zisa, il teatro Garibaldi, festival cinematografici…
Per strana che sembri la connessione – sarebbe materia per un sociologo – la rifioritura culturale fu innanzitutto effetto del Maxiprocesso. Probabilmente le condanne esemplari ai mafiosi sbloccarono il senso angoscioso di paralisi prodotto dall’incombenza della mafia, rispetto alla quale ogni manifestazione artistica poteva apparire velleitaria.
L’amministrazione di Orlando avviò anche il tanto atteso risanamento del centro storico.
Sì, ci fu una migliore distribuzione dei fondi. Ma la linfa vitale si è esaurita presto, siamo tornati all’appiattimento.
Permangono energie notevoli (il comitato Addiopizzo, l’Istituto Gramsci, il lavoro di Emma Dante…), ma non incoraggiate. Accanto alla nuova ascesa del centro-destra e al suo lungo dominio sulla nazione, quanto contano dinamiche regionali più specifiche, come l’abitudine alla gestione clientelare delle risorse?
La situazione nazionale pesa: siamo nell’epoca in cui un membro del governo può dire che la «cultura non si mangia». Le ricadute di simili affermazioni sono poi amplificate dalla realtà siciliana, dove basta poco perché si torni alla stagnazione.
Mi sembra però che l’inclinazione a scaricare i problemi della Sicilia sull’indole dei siciliani tralasci due fatti: intanto, dai sindacalisti del dopoguerra a La Torre, da Costa a Chinnici a Falcone e Borsellino, sono stati soprattutto i siciliani a combattere la mafia a costo della vita; inoltre, l’estensione del potere mafioso (la «linea della palma» di cui parlava Sciascia), si è infiltrata nelle istituzioni, ha infettato tutto il paese. Che ne pensa?
Uno scrittore italoamericano mio amico, Jerre Mangione, che Vittorini apprezzava molto, raccontò in un libro dei figli di emigrati siciliani che, come giudici della Corte Suprema, o in altri ruoli, avevano recato autentico beneficio agli Usa. E le lotte che lei ricorda sono state essenziali: Pio La Torre fu ucciso perché, chiedendo il controllo bancario, stava entrando nel cuore del problema mafioso. Questa linea in parte è proseguita. La Confindustria siciliana ha intrapreso un’azione antimafiosa seria, provando a estromettere chiunque pagasse il pizzo. Ma gli sforzi non sono bastati. Ora sento che nel Veneto su 1300 aziende taglieggiate solo tre hanno denunziato il pizzo. L’anima santa di Sciascia parlava di linea della palma… ci sono palmette di cui non si ha idea. Dalla mafia è venuto un diffuso sentire mafioso ancora più pericoloso dell’organizzazione in sé.
Un sentire mafioso diffuso in tutto il paese?
È come aver messo i capi delicati in lavatrice con qualcosa che stinge… si sono tutti colorati, magari un po’ più pallidamente.
Nel suo racconto "La rottamazione", uscito sul numero di «MicroMega» dedicato ai "Crimini dell’establishment", il medico legale Pasquano dice: «Sono finiti i tempi belli di Totò Riina, […] Quanno c’erano quattro cataferi sui tavoli e otto in lista d’attesa! Ora la mafia ha capito che non ha bisogno di sparare […] Basta che dice mezza parola ai suoi deputati».
La mafia si è trasformata non nella sostanza ma nei metodi: ha saputo adeguarsi. Una volta c’erano i riti di iniziazione, ora basta la password, non c’è più bisogno di appartenere a una famiglia. Se Riina e Provenzano vestivano da contadini, i mafiosi sono ormai colletti bianchi, la mutazione è avvenuta.
Sempre "La rottamazione" mostra che i politici temono di essere scoperti solo per magagne aberranti: saperli rei di corruzione non turberebbe più nessuno. Questo non complica l’azione di denunzia degli intellettuali?
Sicuramente sì. La perdita del senso morale è imbarazzante. Non faccio moralismo, mi riferisco a regole essenziali alla convivenza civile. Bisogna sperare in un secondo Risorgimento, e mi auguro che, come il primo, parta dalla Sicilia; ma la tendenza al compromesso è resistente, ha radici remote. Nel 1893 Emanuele Notarbartolo, responsabile del Banco di Sicilia, è assassinato; l’onorevole Raffaele Palizzolo (allora, per così dire, rappresentante della mafia alla Camera) è accusato di essere il mandante del delitto ed è condannato in primo grado, ma infine è assolto. È il primo processo che coinvolge mafia, banche e politica: il trinomio che continuerà a governare la Sicilia.
A proposito della mafia in Parlamento: nell’Italia prefascista le opere di ambientazione parlamentare sono molte – "L’imperio", "I vecchi e i giovani", altre meno note. Pur con qualche eccezione, nel secondo Novecento questo filone non è ripreso. Un suo romanzo, "La rizzagliata", accenna all’assemblea regionale siciliana, ma lasciandola sullo sfondo. Il mondo politico è diventato troppo difficile da rappresentare?
Sempre più difficile. Un tempo c’era il trasformismo, certo, ma i partiti erano identificabili, le divisioni nette. Il passaggio di d’Annunzio dalla destra alla sinistra creò un enorme scandalo; oggi abbiamo i cosiddetti «responsabili» che vanno avanti e indietro, siamo al commercio delle vacche… Il quadro si è complicato troppo, è diventato un puzzle faticoso da mettere insieme narrativamente.
Come De Roberto, Pirandello, Sciascia, anche lei, mettendo in scena la Sicilia, mette in gioco l’Italia: sia nel ciclo di Montalbano, che tratta il berlusconismo, l’immigrazione, il traffico d’organi, sia nei romanzi storici (specie in quelli ispirati all’Inchiesta parlamentare sulla Sicilia, "La stagione della caccia", "Il birraio di Preston"), che mostrano le disfunzioni del processo unitario.
Sì, nei miei libri il richiamo alla realtà italiana è costante. E non scrivo romanzi storici per il gusto di ricreare un ambiente ma, in linea con una tendenza tipica del filone (basti pensare ai "Promessi Sposi"), per vedere quali ombre si allungano fino ai nostri giorni.
Quali reazioni le arrivano in merito?
Non se ne accorge quasi nessuno. Di solito le mie sono percepite come storie siciliane e basta. La ghettizzazione è un’ottima forma di difesa: classificare i miei romanzi come vicende di colore locale è un modo per non vedere che discutono una realtà più ampia.
Ma nessuno va oltre questo atteggiamento?
Tra i critici italiani è raro: uno dei pochi è Romano Luperini. I critici stranieri, specie francesi e tedeschi, hanno invece un occhio più oggettivo. Ma non è detto che la responsabilità sia di critici e lettori. Forse pesano alcune mie scelte, specie l’uso del dialetto.
Una sfida vinta, comunque: il suo impasto di siciliano e italiano, che, come lei ha ricordato, Sciascia riteneva troppo ostico, è stato alla fine compreso da tutti.
Ho perseverato in questa direzione perché non so scrivere altrimenti. Sono passato all’italiano in qualche libro recente, ma in italiano il mio stile è secco, asciutto, piuttosto banale. La mia lingua è stata sempre quel misto di italiano e dialetto che si parlava nelle famiglie piccolo-borghesi. I contadini dicevano che l’italiano si impara col culo, cioè a scuola, a botte sul sedere: l’italiano ci appariva intimidatorio, il dialetto affettivo, confidenziale. In italiano mi sento impacciato, non so manipolare il linguaggio come nel dialetto.
Il suo universo immaginario è pessimista: i romanzi storici tendono a un feroce umorismo nero, e diventa sempre più cupo il ciclo di Montalbano, in cui sono quasi spariti i personaggi positivi, baluardo di valori delle prime storie.
Erano i personaggi anziani: la maestra, il questore che va in pensione… L’Italia è un paese portato avanti da grandi vecchi: sui loro eredi sono scettico. Penso a un salto generazionale: il Risorgimento fu un movimento di ragazzi, le rivoluzioni le fanno i giovani. E per ora da noi non ce ne sono tanti, secondo le statistiche ne mancano due milioni. Magari le forze arriveranno attraverso il Mediterraneo: a darci una mano saranno quelli venuti da fuori e cresciuti qui, da cittadini italiani.
Si parla spesso del poliziesco come luogo di rinascita dell’impegno. Ma in alcuni casi mi sembra che gli intenti di denunzia ricadano nelle trappole della produzione di svago: le antinomie tra buoni e cattivi, i miti fuorvianti sui codici d’onore dei criminali del passato e così via. Come la vede?
Vari autori, come Lucarelli o Carlotto, riescono senz’altro a usare il noir per trattare scottanti questioni d’attualità. Certo, poi, narrare il crimine è complesso: c’è il rischio di cadere in opposizioni manichee, c’è quello di trasformare un delinquente in una macchietta bieca o di dargli una statura eroica. Io cerco di evitare gli stereotipi: Balduccio Sinagra, l’anziano mafioso del ciclo di Montalbano (ispirato a una figura vera) è lontano dai cliché sui vecchi uomini d’onore. D’altronde, Montalbano ha parecchi aspetti negativi, e non ha alcuna fiducia nella giustizia: cerca una verità possibile ma se ne frega del seguito delle sue scoperte, sa che la verità processuale non sarà mai la verità delle cose.
Nei suoi libri i riferimenti letterari hanno un ruolo che va oltre il gioco citazionistico, la memoria letteraria appare essenziale supporto conoscitivo.
Per comprendere la realtà la letteratura è determinante: è uno strumento di indagine, un grimaldello.
 
 

alfabeta2, n.11, 7.2011 (in edicola dal 4.7.2011)
Mafia®

[...]
Dall'alveo gorgogliante della pubblicistica mafiosa, alimentato dal successo dei polizieschi di Camilleri, si era generata alcuni anni fa la corrente del giallo siciliano: al momento sembra essersi fatta carsica, con buona pace dei cultori del genere e del suo irrinunciabile portato di denuncia civile. Continua a prosperare senza tema di declino, invece, l'unica vera alternativa editoriale siciliana alla mafiologia: l'esotismo domestico dei romanzi "al gusto di Sicilia" - per dirla con le parole di un critico - ultimamente arricchitosi di arditezze linguistiche da spot pubblicitario, mercé ancora una volta il modello Camilleri (il cui sperimentalismo, andrà ribadito, è di ben altra qualità): Simonetta Agnello Hornby, Giuseppina Torregrossa, Ottavio Cappellani (lui è quello da esportazione) sono gli ultimi esponenti di questa florida scuola.
[...]
Matteo Di Gesù
 
 

Fusiorari, 4.7.2011
La moneta di Akragas - Andrea Camilleri

Si legge d'un fiato il recente romanzo di Andrea Camilleri, La moneta di Akragas. A muovere la vicenda una piccola moneta d'oro, unico esemplare al mondo, coniata ai tempi in cui i cartaginesi con un lungo assedio rasero al suolo la città di Akragas, l'antica Agrigento. Sullo sfondo le campagne di Vigata, luogo letterario inventato da Camilleri per ambientare le vicende di Montalbano e di altri suoi romanzi, identificabile con il territorio di Porto Empedocle, tra le colline di Girgenti e il mare. Un giallo storico, con risvolti gialli inaspettati, tragici e divertenti al tempo stesso.
STORIA E MISTERI – Diviso in brevi capitoli, il racconto alterna 3 diversi piani temporali: dal 409 a. C., quando Akragas fu rasa al suolo, si passa al 1908, anno del terremoto di Messina e poi al 1909, periodo in cui si dipana la vicenda. Nel 1908, a quasi 2170 anni dalla fine di Akragas, un'altra città siciliana viene distrutta dalle fondamenta, questa volta per cause naturali. Il sisma (di cui Camilleri fa rivivere i tristi momenti e le operazioni di salvataggio effettuate dalla marina russa) porta alla luce una piccola moneta, forse appartenuta a Kalebas, mercenario al servizio dello spartano Deixippos. Scampato ai Cartaginesi, tenta la fuga dalla città con 38 monete d’oro, compenso di 8 mesi di combattimento tra le fila di Akragas. 'Sono monete appositamente coniate, da un lato c’è un’aquila ad ali aperte e una lepre, dall’altro un granchio e un pesce. Ognuna pesa 1,74 grammi d'oro'. Ma il morso di una vipera interrompe la sua fuga: Kalebas, in fin di vita, sparge lontano le monete. Intorno a lui, la città brucia è iluminata dalle fiamme che divorano il tempio dedicato a Zeus Atabyrios e 'altre altissime fiamme disegnano a valle, poco lontana dal mare, la cintura sacra dei sette grandi templi protettori.' La moneta emersa dal sisma finirà nella collezione numismatica dello Zar. Un anno dopo, seguiamo il medico condotto Stefano Gibilaro, appassionato numismatico, in visita nelle campagne di Vigata. Un giorno, è colto da stupore indescrivibile quando Cosimo Cammarota, un contadino a cui anni prima aveva salvato una gamba, vuole donargli un esemplare dell'antica moneta di Akragas, rinvenuta in una zolla di terra. Per l'emozione Gibilaro cade da cavallo e finisce in ospedale; ma, quando viene dimesso, Cammarota è scomparso nel nulla. Tra congetture e sospetti il mistero s'infittisce. Tra equivoci anagrafici, un impacciato inquirente apre le indagini.
MONETA CON L'ANIMA – La piccola moneta, quasi personificata, conquista il lettore. 'Il dottore (…) ha l'assurda impressione che la moneta sia come dotata di una sua volontà di scelta. Come se, non trovando una sistemazione di suo gusto, tentasse nuovamente di riscomparire sotto terra (…). Forse è anche per questo che non riesce a sentire la moneta come interamente sua'. Un po' come una figlia, il cui padre sa bene che, pur amandola, non gli apparterrà mai interamente ma sarà solo dell'uomo che amerà. Così la moneta diventa protagonista di eventi che determinano la vita di chi la possiede: facendo del bene e migliorando la vita di chi ha un un'idole buona da un lato, punendo i malvagi dall'altro.
DA UNA CRONACA FAMILIARE – La storia, ha dichiarato lo scrittore siciliano, trae spunto da una storia realmente accaduta che si tramanda nella sua famiglia: un lontano parente, medico e numismatico, ricevette da un contadino un esemplare della rara moneta e ne fece dono a Re Vittorio Emanuele III. Appoggiandosi a questa cronaca, Camilleri crea una storia che parla di coincidenze e di bene e male, avvalendosi della consulenza di storici e numismatici. Sviluppare trame a partire da fatti storici e di cronaca è una particolarità del prolifico scrittore siciliano, per la quale è stato inizialmente incompreso dagli editori, ma che gli è valso l'enorme successo di pubblico. Che ritrova nei suoi libri una serie di tratti distintivi, un universo che gli appartiene: gesti, tic linguistici, abitudini espressive.
SCRITTORE, REGISTA E SCENEGGIATORE – Il padre di Montalbano, nato a Porto Empedocle (Agrigento) nel 1925, oggi vive a Roma. Oltre che scrittore è anche regista e sceneggiatore. Studiò regia presso l’Accademia d'Arte drammatica Silvio d’Amico, dove cominciò a collaborare come regista e sceneggiatore, insegnando dal 1977 regia per 20 anni. Nella classifica del 10 febbraio del Corriere, La moneta di Akragas è tra i primi dieci libri di narrativa italiana più venduti. Tra i più apprezzati e prolifici autori, Camilleri ha pubblicato per Skira La Vucciria, Dossier Renoir e Il cielo rubato; per Sellerio 17 romanzi della serie Montalbano e, per Mondadori, delle raccolte di racconti di Montalbano. Iniziò la sua fortuna nel '94 con La forma dell'acqua (il primo romanzo del commissario), confermata anche sul piccolo schermo a partire dal '99 con Il ladro di merendine (medie di share intorno ai 6 milioni). Le storie di Montalbano sono vendute in ogni parte del mondo, dagli Usa all'Iran. Con Il gioco degli specchi, pubblicato da Sellerio ai primi di giugno, Camilleri è tornato a raccontare le storie del commissario. Mentre a gennaio per Mondadori è uscito Troppu trafficu ppi nenti, versione siciliana, ambientata a Messina, della pièce shakeaspeariana Molto rumore per nulla, scritto in collaborazione con il regista Giuseppe Dipasquale.
COME UN FILM – Con una scrittura leggera e ricca di sfumature, che evoca immagini e atmosfere della Sicilia del primo Novecento, Camilleri tesse un racconto avvincente e imprevedibile, nel quale si avverte l'anima di sceneggiatore e regista. Come quando, ad esempio, assume il punto di vista dei contadini, passando dal registro dell'italiano medio dei personaggi istituzionali, al dialetto siciliano, ricco di gerghi e coloriture. Ma anche nella sua capacità di organizzare e presentare le trame, con frequenti feedback. L'alternarsi di piani temporali e stili linguistici ricorda gli stacchi cinematografici. Romanzo ideale da portare in vacanza.
Angela Azzarone
 
 

TVBlog.it, 4.7.2011
Cesare Bocci: "Belen a Montalbano? Un brutto messaggio per i giovani"

Cesare Bocci è uno degli artisti più sottovalutati e ingiustamente ridotti a comprimari della televisione italiana. Ormai volto collaudato della fiction - è attualmente in onda su Rete 4 con L’ombra del diavolo - è soprattutto noto al grande pubblico per il suo storico ruolo di spalla del Commissario Montalbano. Da ben dodici anni interpreta in prima serata su RaiUno il personaggio di Mimì Augello, il vice dell’eroe creato da Camilleri, ammettendo che “il cognome del suo personaggio non se lo ricorda mai nessuno”.
E’ in un’intervista schietta a Vanity Fair che Bocci commenta il segreto del successo di Montalbano:
“Questa serie è stata una botta di culo per tutti, attori e telespettatori. E’ un esempio che fa moralmente bene, perché anche se svicola di qua e di là, Montalbano è onesto. Farlo non ci ha stufati, anche se ci sono stati momenti di sofferenza”.
Sapete a chi si riferisce? Nientemeno che alla Rodriguez, special guest di una puntata andata in onda quest’anno.
“Non ho gradito che sia stata presa Belén per uno degli ultimi episodi: una Tv di Stato dovrebbe rappresentare la professionalità, dare ai giovani il messaggio che per arrivare bisogna studiare”.
[...]
Lord Lucas
 
 

Gazzetta dello Sport, 4.7.2011
Da domani la Gazza raddoppia

Cari lettori, preparatevi a un'estate in rosa. Da domani, la vostra e nostra Gazzetta si presenta con una nuova veste grafica e diventa più ricca di pagine, quindi di notizie e di approfondimenti. […] E, in aggiunta, una lettura d'eccezione: durante tutte le vacanze, Andrea Camilleri, il maestro del giallo italiano, e Salvo Montalbano, il poliziotto più amato, sazieranno la vostra fame di giallo, di ironia e di straordinaria prosa con i loro famosi Arancini. […]
 
 

La Repubblica - Affari & Finanza, 4.7.2011
Montante imprenditore antipizzo guida Caltanissetta all’unanimità

Antonello Montante è un imprenditore del Sud che conquista il Nord, che ribalta ogni stereotipo creando occupazione nel Meridione e nel Settentrione. Il cuore del suo gruppo industriale è a Caltanissetta: qui sono l’amministrazione ed uno stabilimento della Msa ed anche gli uffici e la fabbrica della Gimon, le due realtà in cui si articola il gruppo. E il quarantottenne Montante è anche vicepresidente vicario regionale di Confindustria, ed è il delegato della Marcegaglia sul tema della legalità, ovvero tiene i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio. Questo ruolo nazionale non è casuale, ma il frutto della battaglia degli industriali siciliani che lanciarono proprio da Caltanissetta la lotta contro la mafia ed il racket delle estorsioni. Annunciando, cosa che poi di fatto è avvenuta, che sarebbero stati espulsi da Confindustria gli imprenditori collusi con la mafia e coloro che si piegano al pizzo non denunciando gli estorsori. Montante è stato eletto alla guida di Confindustria Caltanissetta con il 96% dei consensi.
[...]
Da alcuni anni poi ha avviato un dialogo con Andrea Camilleri basata sulla comunqe volontà di riscoperta della memoria storica. E così è venuto fuori che la famosa bici con la quale nel lontano 1943 l’inventore del commissario Montalbano si spostò da Serradifalco a Porto Empedocle per cercare il padre, era una Montante, creata dal capostipite Calogero. Il nipote Antonello l’ha riprodotta integralmente, facendola diventare un oggetto di collezione e ne ha donato degli esemplari a Giorgio Napolitano, ai vertici della polizia e dei carabinieri, a Montezemolo, alla Marcegaglia, a Fiorello e ad altri personaggi.
[...]
Salvo Fallica
 
 

Volta la carta, 5.7.2011
Libri e non solo a L'Aquila. 1ª mostra mercato dell'editoria indipendente
Incontro con Andrea Camilleri
Auditorium "Gen. S. Florio" della Scuola Guardia di Finanza di Coppito, ore 18:00

Andrea Camilleri recupera il suo intervento inizialmente in programma il 26 maggio e poi annullato.
 
 

Il Capoluogo, 5.7.2011
Volta la carta: a lezione con Andrea Camilleri
Ospite d'eccezione alla manifestazione libraria
 

Cliccare qui per vedere il video

L'Aquila - Acuto, geniale, divertente, profondo. È Andrea Camilleri, che ha girato l'ultima pagina della maratona di Volta la carta, 1ª mostra mercato dell'editoria indipendente a L'Aquila. Ospite della manifestazione lo scrittore e sceneggiatore siciliano ha recuperato il suo mancato intervento (previsto per il 26 maggio e annullato per un malore) questa sera nel gremito Auditorium della Scuola della Guardia di Finanza. Una vera e propria lezione di letteratura, di linguistica e di vita quella che Camilleri ha regalato agli aquilani giunti ad ascoltarlo.
«Non è vero che nella provincia si abbia una mentalità più chiusa», osserva Camilleri «si osservano solo regole diverse. Notiamo il cambiamento che ha portato la televisione in tutto il mondo. Oggi i bambini nascono e parlano tutti italiano, un italiano corretto. Una volta i bambini parlavano solo il dialetto delle loro zone. La televisione insegna un italiano omologato, consunto, ma corretto. I bambini oggi parlano un buon italiano e il cambiamento si nota anche nella provincia». «La distanza ti dà la conoscenza», riferendosi al tornare nella sua terra. «Torni e vedi che le cose sono cambiate: non si parla dialetto, si parla italiano; i giovani hanno un altro rapporto fra di loro. Il balzo in avanti lo ha permesso la televisione. Ma i dialetti sono come dei giacimenti auriferi: possiamo andare a cogliere le pepite d'oro che ci servono».
Non solo il dialetto nel racconto di Andrea Camilleri ma anche un volo nella letteratura italiana, ricordando i grandi poeti siciliani e non solo, arrivando a Manzoni, Leopardi e Petrarca. «È facile essere poeti d'amore, pensiamo a Francesco Petrarca, ma è più difficile essere poeti e non essere poeti d'amore, come Giacomo Leopardi», i cui versi, secondo Camilleri, sono la manifestazione del pensiero di Dio, scorrevoli e limpidi come l'acqua.
La Sicilia, l'Italia, poeti e scrittori, la nostra lingua, le nostre origini. Nelle parole di Andrea Camilleri, come nei suoi libri troviamo questo, ma anche parole per L'Aquila: «Ad una certa età diventa difficile controllare le emozioni», ha detto poi Camilleri. «Se mi avessero chiesto un incontro nei mesi successivi il terremoto avrei risposto di no, come non ho accettato di visitare il centro storico: preferisco mantenere il mio ricordo».
Eleonora Ferroni
 
 

Paperblog, 5.7.2011
Il gioco degli specchi - Andrea Camilleri

I Contenuti. In un deposito qualcuno ha messo una bomba. Sembra una storia di pizzo non pagato ma il magazzino era vuoto da tempo; dunque? L’interesse di Montalbano & C. si concentra sugli abitanti della casa a fianco, un condominio abitato anche da alcuni pregiudicati: Carlo Nicotra, che gestisce lo spaccio di droga per conto dei Sinagra, e Stefano Tallarita, attualmente in carcere, al servizio proprio di Nicotra.
A duecento metri dalla casa di Marinella c’è un altro villino, quasi uguale a quello di Montalbano. Per anni vuoto, ora sono andati ad abitarci i Lombardo. Lui è rappresentante di computer e viaggia per tutta la Sicilia; lei, Liliana lavora in un negozio di Montelusa. Una mattina Liliana Lombardo rimane in panne: niente di più naturale che il vicino, Salvo Montalbano, le dia un passaggio. Quello dell’auto sembra un semplice guasto, ma il meccanico nota che il motore è stato manomesso. Si incrociano due storie apparentemente distanti che però finiscono per intersecarsi. Il legame tra le due vicende è il giovane Arturo Tallarita, commesso nello stesso negozio in cui lavora Liliana.
La vicinanza delle due case a Marinella, l’avvenenza di Liliana, la vicenda oscura dell’automobile manomessa, la presenza di una misteriosa Volvo nella trazzera: tutto concorre a far drizzare le antenne a Montalbano, per di più molto attratto da Liliana che sembra far di tutto per imbastire una storia col commissario.
In tutte queste storie c’è qualcosa che non funziona, una nota discordante. Come in un gioco di specchi qualcuno vuole confondere Montalbano: la bomba davanti al deposito, le lettere anonime che indirizzano verso piste improbabili, un proiettile nella carrozzeria dell’auto dello stesso commissario. Molto prima che si abbia sentore di un delitto, tutto sembra scorrere nel più normale dei modi,ma proprio in questa apparente normalità sentiamo la tensione insinuarsi con una forza mai vista nei romanzi di Montalbano. La RecensioneMontalbano invecchia come il vino di qualità: non diventa aceto ma acquista fragranze, sapori, sfumature, che le storie che si svolgono sotto il sole ardente della Sicilia non mancano di fornire in grande quantità.
Al commissario il passare degli anni aggiunge senso pratico, esperienza e anche una certa dose di cinismo. Che per uno del suo mestiere è, se non indispensabile, almeno inevitabile.
Come nei migliori polizieschi seriali il contesto ambientale, la cornice del racconto, rimane immutata: il lettore sa che Catarella sbatterà la porta e storpierà i cognomi, che Montalbano litigherà con Pasquano per i referti autoptici e si farà le solite 'sciarriatine' telefoniche con Livia, che Fazio continuerà a declinare inutili schede anagrafiche e che i pantagruelici pranzi da Enzo si concluderanno con la passiatina sul molo. E visto che ormai Montalbano è diventato vecchio anche con una chiacchierata coi granchi degli scoglli, come ci si può aspettare da un vecchio.
In questa puntata della saga vigatese il commissario si trova di fronte, anzi in realtà di fianco, una vicina di casa che prende il suo ruolo alla lettera e vorrebbe avvicinarsi il più possibile al letto di Montalbano.
La vicenda si svolge in parallelo con un'indagine su intimidazioni mafiose, probabilmente legate al controllo dello spaccio di droga, che sembra coinvolgere attraverso la sfuggente figura del marito, rappresentante di una ditta di informatica, anche la piemontese Liliana, la vicina di casa bellissima, nonchè falsa e cortese.
Il problema per il commissario è cercare di mettere insieme i diversi pezzi di un disegno che sembra scomposto dalla rifrazione di un gioco di specchi, dalle prospettive distorte e che rischiano di confondere i già labirintici percorsi mentali di Montalbano.
Presto emergono i retroscena perturbanti, che ormai fanno parte dell'animo siculo di Camilleri come dei fondali teatrali metafisici e ingannevoli, come i modi di fare barocchi e pirandelliani, come le passioni voraci e fatte di impulsi primordiali, come i profumi inebrianti della caponata che Adelina lascia nel frigo per l'insaziabile commissario.
Però ormai il nostro Salvo sembra aver trovato un equilibrio, una sorta di tregua con se stesso e si incammina verso l'accettazione della 'vicchiaglia' quasi con una certa sorniona serenità: non è più preda di eroici furori moralizzatori, non si trattiene dal tradire Livia per obbligo di fedeltà ma per la convenienza delle indagini, non rimane deluso dalle sbandate coniugali di Mimì, anzi le sponsorizza visto che gli servono, con tanti saluti alla mite Beba, moglie del suddetto 'femminaro', in poche parole ha perso l'innocenza e ha guadagnato un po' di cinismo.
Lo stesso cinismo che, collocando il personaggio in una sorta di limbo statico, come accade a molti detective, da Holmes e Poirot a seguire, permetterà a lui di continuare a vivere e lavorare senza rodersi il fegato più del necessario, sopportando la cruda violenza con cui la sua vicina di casa viene eliminata insieme al suo amante, e ai lettori di continuare a seguire le sue paturnie e i suoi ghirigori mentali senza virare troppo sull'esistenziale.
Giudizio:+4stelle+
Polyfilo
 
 

Gazzetta del Sud, 5.7.2011
Taoarte, dalla tragedia al cabaret
Tra gli eventi più attesi il gala per Eduardo e la storia di Garibaldi secondo Camilleri

Taormina. Quindici spettacoli, proposti dalle compagnie più interessanti che in questo momento sono presenti sui palcoscenici italiani ed europei, spaziando dalla commedia alla tragedia, dal melologo al cabaret, dalla ricerca alla commedia musicale.
[...]
È la sintesi del cartellone teatro di Taormina Arte 2011, sezione diretta da Simona Celi e promossa dal Comitato Taormina Arte che si svolgerà da giovedì prossimo al 30 agosto.
[...]
Il cartellone proseguirà il 17 luglio, ancora nella cavea del millenario teatro greco-romano, con "Cannibardo e la Sicilia": storia di Garibaldi e della Sicilia post-unitaria attraverso brani tratti dai romanzi storici di Andrea Camilleri. Una piéce, quella dello scrittore agrigentino, che traccia la breve parabola di un sogno, raccontando le speranze suscitate dallo sbarco dell'Eroe dei due Mondi in Sicilia. "Cannibardo e la Sicilia" è interpretato da Massimo Ghini, Mimmo Mignemi e Vincenzo Crivelli. La regia è di Giuseppe Dipasquale.
[...]
Ileana Urso
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 5.7.2011
Il cartellone. Giovedì via al festival con la compagnia Ricci/Forte. Un omaggio a Eduardo
Ragonese, Ghini e Bonaiuto Taormina riapre il suo teatro

Sarà la compagnia Ricci/Forte, giovedì al Palazzo dei Congressi, ad aprire il cartellone teatrale di Taormina Arte: in scena andrà "Grimmless", rilettura cruda e violenta, secondo lo stile della compagnia, del mondo della fiaba. Il festival, che quest'anno segna il ritorno al Teatro Antico con ben quattro spettacoli, schiera in campo alcuni tra i nomi più interessanti del panorama nazionale.
[...]
Un'altra chicca è quella del 17 luglio al Teatro Antico con "Cannibardo e la Sicilia" di Andrea Camilleri, la regia di Giuseppe Dipasquale e Massimo Ghini protagonista: storia di Garibaldi e della Sicilia post unitaria attraverso brani di cinque romanzi storici del padre di Montalbano.
[...]
Laura Nobile
 
 

La Sicilia, 5.7.2011
Stabile etneo. Un bilancio del direttore dell’ente
Dipasquale: «Successo a Spoleto e sfide al Teatro antico catanese»

Catania. L'Italia è stata sempre terra di polemiche: Dante oggi venerato, quand'era vivo fu processato e condannato; Machiavelli fu messo in carcere, Leopardi fu messo nel sacco da un oggi oscurissimo Carlo Botta. Per fortuna oltre le polemiche i fatti alti della cultura restano. Per esempio il Teatro Stabile di Catania è oggetto di critiche e di contese: lasciamole al loro naturale sviluppo e occupiamoci dei fatti destinati a durare nel tempo.
Alcuni anni addietro Andrea Camilleri, assieme al suo braccio destro, Giuseppe Dipasquale, ebbe l'idea di ricostruire il testo primigenio dello scespiriano Much Ado about Nothing, che divenne Troppu Trafficu ppi nenti. Il Bardo forse era di origine siciliana, in ogni caso la commedia era ambientata a Messina: perché non ridarle il sapore aulico che doveva avere e rivestirla decoroso abito del Rinascimento nella Sicilia aragonese che brillava non meno della Britannia giacobita, che tanti punti di raccordo aveva con la corte siciliana di Giovanni Ventimiglia?
Abbiamo visto nelle strade di Catania quel primo saggio, da cui siamo usciti con viva emozione; poi lo abbiamo rivisto in varie successive edizioni. Quel copione ritrovato è stato da poco stampato, è diventato un best seller italiano. Anzi si è fatto strada in Europa ed è stato recitato, in siciliano, in Polonia e Romania con filologica pietas verso la nobiltà del Rinascimento.
Lo ha recitato la compagnia dello Stabile di Catania, di una città che si segnala per la sua cultura antica e nuova. Cedant arma togae.
Su questa onda emotiva ho parlato con Giuseppe Dipasquale, direttore dello Stabile, che sta realizzando un'altra lodevole ripresa culturale della nostra città: il teatro antico (che era greco ai tempi di Alcibiade e fu romano in quelli di Sant'Agata), è stato recuperato alla sua naturale funzione, liberato dalle superfetazioni realizzate ai primi del Novecento alla faccia degli archeologi di allora e del buon senso di sempre. Certo non è stato recuperato in toto, ma vi si recita teatro e gli spettatori accorrono in massa. [...] Il pubblico accorre e certamente continuerà farlo nei prossimi appuntamenti (il 29 luglio con Cannibardo di Camilleri [...]).
[...]
Sergio Sciacca
 
 

Gazzetta dello Sport, 5.7.2011
«Raprì la porta- finestra che dava sulla verandina: il mare si era mangiato la spiaggia e quasi toccava la casa. No, non era proprio cosa, l' unica era farsi una doccia e andarsi a corcare con un libro. Sì, ma quale?»
La prova generale
Prima puntata

«Gli arancini di Montalbano» diventano da oggi il giallo dell'estate de La Gazzetta dello Sport. Una puntata al giorno, sino a fine agosto: i racconti di Andrea Camilleri ci accompagneranno e ci coinvolgeranno nelle avventure del commissario più famoso d'Italia. Lo scrittore vive a Roma ma non ha mai lasciato col cuore la sua Sicilia, dove ha ambientato le decine di bestseller. Il suo Salvo Montalbano si troverà a risolvere i casi più intricati nell' immaginaria Vigata. Al suo fianco, gli amici di sempre: Augello, Fazio, Catarella... l'eterna fidanzata Livia, la cammarera Adelina.
LE ILLUSTRAZIONI SONO DI BONACCORSO-RIZZO I nostri disegnatori
CHI SONO Lelio Bonaccorso e Marco Rizzo, siciliani, formano una coppia artistica che, tra l'altro, ha già raccontato a fumetti le vite di Peppino Impastato, Marco Pantani e prossimamente quella di Che Guevara. Almeno, questo è quel che si può scrivere ufficialmente. In realtà, tutto il loro lavoro viene svolto da scimmie ammaestrate in uno scantinato di Gallarate...
 
 

E - il mensile di Emergency, 7.2011 (in edicola dal 6.7.2011)
I fantasmi
di Andrea Camilleri
illustrazioni Shout

Pubblichiamo l'ulimo capitolo del racconto inedito di Andrea Camilleri.
Se vi siete persi i primi, li trovate sul sito www.e-ilmensile.it.
Buona lettura.
 
 

Quotidiano d'Abruzzo, 6.7.2011
Intervista Andrea Camilleri all’Aquila
Cliccare qui per vedere il video

"Se mi avessero chiesto di venire all'Aquila subito dopo il terremoto avrei detto di no, perché avevate cose più importanti a cui pensare. Ho detto di no, oggi, anche a vedere il centro della città perché ad una certa età diventa un po' difficile controllare i propri sentimenti e allora preferisco ricordarla come vive nel mio ricordo". Ha iniziato così la sua discussione all'Aquila, Andrea Camilleri nell'ultimo incontro della manifestazione "Volta la Carta".
Lo scrittore, sceneggiatore e regista, famoso soprattutto per la fortunata serie televisiva di Montalbano, ha raccontato il suo rapporto con la città dell'Aquila dove ha lavorato per molto tempo "Qui non ci sono stato di passaggio, ci sono stato per mesi, facevo teatro, ci ho vissuto e ho conosciuto gli aquilani, ci sono tornato diverse volte, anche l'anno prima del terremoto".
Parla di tutto Camilleri, racconta il suo rapporto con la provincia e con il dialetto e rimane affascinato quando gli viene detto della riscoperta e del maggior uso del dialetto aquilano subito dopo il terremoto "Se andiamo a vedere bene la nostra storia letteraria scopriamo che questa nasce da una diversità dialettale continua, cioè nasce da un dialetto. Io considero il dialetto una linfa vitale per l'albero della lingua italiana che rischia molto per le infiltrazioni prima tecnologiche dell'anglosassone, poi governative con parole come "devolution", "election day", le quali minano la nostra lingua e personalmente mi fanno imbestialire".
"Un narratore russo diceva: racconta bene il tuo paese e avrai raccontato il mondo -- ha continuato Camilleri -- cioè l'uomo è lo stesso, ci possono essere differenze di usi e costumi, ma sostanzialmente l'uomo è uguale ovunque, qualsiasi colore abbia. La diversità dell'uomo è data dalla sua condotta morale, dal suo rapportarsi con gli altri, dallo stare al mondo rispettando gli altri.
L'uomo è uguale sempre e nella provincia c'è una più occhiuta osservanza di certe leggi, non c'è una maggiore chiusura mentale. E' nella provincia che i tratti peculiari delle persone sono più marcati".
L'incontro con Andrea Camilleri chiude l'anno d'esordio della manifestazione Volta la carta - libri e non solo a L'Aquila" che ha visto ospiti illustru come Piero Dorfles, Dacia Maraini, Gaetano Savatteri, Margherita Hacke, Daria Bignardi e Giancarlo Governi.
Francesco Paolucci
 
 

Abruzzo24ore.tv, 6.7.2011
Andrea Camilleri a L'Aquila: "Voglio ricordare il centro com'era prima del sei aprile..."
Cliccalre qui per vedere un breve servizio filmato sull'evento

Nessuna visita nel centro storico sfigurato dalla scossa di quell'ormai lontano sei aprile 2009. Andrea Camilleri vuole ricordarlo come era prima di quella data, quando lo ha conosciuto e vissuto vivace, fiorente, affascinante tra i suoi vicoli, le sue piazze, i suoi sdruccioli.
Lo scrittore, il padre del commissario Montalbano, ci ha tenuto a tornare a L'Aquila, dove in realtà era atteso per il maggio scorso quando però un problema di salute lo costrinse a cancellare l'appuntamento.
Più di due ore di conversazione, ieri pomeriggio in un gremito auditorium della Scuola della Finanza di Coppito, sulle somiglianze e sulle diversità, tra parallelismi tra una città da ricostruire e un Paese in macerie e sul grande ruolo che ha avuto la tv – che pure lo ha visto protagonista come delegato alla produzione Rai negli anni Sessanta – nella sprovincializzazione dell'Italia.
 
 

Il Giornale di Montesilvano, 6.7.2011
L'Aquila -Andrea Camilleri "il dialetto esprime il sentimento"

Quest’incontro era stato programmato dall’associazione “Volta la Carta” per il festival dell’editoria indipendente, tenutosi all'Aquila alla fine di maggio. Andrea Camilleri annullò allora il suo incontro, promettendo di venire in seguito. Ha mantenuto la promessa, ed ha incontrato gli aquilani presso l’auditorium della Guardia di Finanza, gremita, accolto da una ovazione in piedi, sentita e prolungata. Interlocutrice Tiziana Pasetti.
Per motivi di lavoro A. Camilleri frequentò L’Aquila prima del sisma, lavorò nel teatro ed ebbe rapporti di amicizia con molti aquilani, oggi non ha voluto rivedere il centro semidistrutto, preferisce ricordarla come era, e neppure ha voluto manifestare i suoi ricordi della città che fu, lasciandoli agli aquilani.
Aprendo squarci della sua vasta cultura e raffinata competenza letteraria, con spirito caustico e lucidità di pensiero ci ha illuminati su parecchi punti. Efficacissimo il suo modo di esprimersi, usa delle metafore ed immagini dense di significato, sintetiche ed esaurienti al contempo, un prezioso distillato di altissime capacità di rielaborazione, fantasia e saggezza. Esistono registrazioni e trascrizioni integrali della conversazione, tuttavia cerco di riportare per sommi capi i concetti espressi.
I temi emersi nell’incontro riguardano la specificità della cultura di provincia, da lui spiegata come un condensato non dispersivo delle caratteristiche di una popolazione che consente una migliore comprensione della natura umana, fenomeno simile in tutto il mondo, in Francia come in Sicilia. Da questo argomento il passo verso il rapporto lingua dialetti è breve, i dialetti la linfa che concorre a nutrire l’albero grande della lingua madre in un continuo movimento verso il centro. A. Camilleri, un autorità in materia, se pensiamo al luogo di nascita, vita, lavoro e modo di esprimersi del nostro amatissimo commissario, riporta a questo proposito un pensiero di Pirandello: di una data cosa il dialetto esprime il sentimento, della medesima la lingua esprime il concetto.
Il dialetto, ovvero la lingua che esprime i sentimenti, a questo proposito è bene riportare una osservazione di T. Pasetti, circa una notevole ripresa dell’uso del dialetto dopo il terremoto a L’Aquila, come un tentativo disperato di conservare con il solo mezzo a disposizione di tutti una identità culturale ed affettiva minacciata, semidistrutta da un avvenimento incontrollabile.
Entrando nella letteratura, A. Camilleri spiega che i testi fondamentali della sua formazione sono due: La Condizione Umana di A. Malraux, un libro passato fra le maglie della censura fascista che lui lesse a 17 anni e gli consentì di scoprire che i comunisti erano gente come noi, scoperta fondamentale per il figlio di uno squadrista che aveva partecipato alla marcia su Roma. E La Storia della colonna Infame di A. Manzoni, che gli consentì di capire i nessi fra giustizia e potere politico, testo profondamente formativo.
Cita poi con molto spirito la lettera di scuse che lui scrisse ad A. Manzoni, quando un consiglio di classe di una scuola siciliana decise di sostituire la lettura de I Promessi Sposi con Il Birraio di Preston. La figura preferita de I Promessi Sposi? Cita alcuni personaggi, ma di don Abbondio precisa che rappresenta tre quarti d’Italia.
Bellissimo e veramente illuminante il suo modo di vedere la differenza fra scrittura in prosa e quella in poesia. La prima si muove in orizzontale, la seconda va come un razzo spaziale, raggiunge un’altitudine astrale in pochi secondi. Scrittura privilegio di pochissimi. Grazie per questo raggio di luce.
Una prolungata ovazione ha salutato lo scrittore al termine dell’incontro, tutti veramente grati ad uomo che ci dà tanta gioia ed un sorriso.
Emanuela Medoro
 
 

Assergi racconta, 6.7.2011
Camilleri all’Aquila «Voglio ricordare questa città com’era»

Non ha voluto vedere il centro storico terremotato, Andrea Camilleri, lo scrittore padre del celebre commissario Montalbano, ieri all’Aquila nella coda della fiera dell’editoria indipendente «Volta la carta». «Sono una persona anziana, ho vissuto qui tanti anni fa quando lavoravo al Teatro e ho un ottimo ricordo di questa città accogliente e dei suoi abitanti. Me la voglio ricordare com’era», ha mormorato, lui che nel 2007 in centro ci andò per ricevere la laurea honoris causa in Psicologia applicata.Camilleri ha visitato più volte i Laboratori del Gran Sasso, restando affascinato. Un malanno lo aveva impossibilitato a esserci nell’appuntamento previsto per lo scorso 26 maggio, ma la tappa aquilana Camilleri non se l’è voluta proprio perdere, spopolando all’auditorium della Guardia di finanza e nel successivo aperitivo alla fontana delle 99 Cannelle, il primo monumento ristrutturato, che il giallista di Porto Empedocle si è soffermato ad ammirare per molti minuti. Non si è parlato di Montalbano, ma di letteratura sì. Di autori, «Leopardi il più grande di sempre», mentre di Pascoli ha recitato a memoria una lunga poesia. Un accenno ai Promessi Sposi, uno dei suoi libri preferiti. «Anni fa - ha svelato - in una scuola proposero di sostituirne lo studio con quello del mio Il birraio di Preston. Ho dovuto scrivere una lettera aperta ad Alessandro Manzoni!». Sempre di Manzoni, Camilleri ha lodato «l’abilità nello scrivere scene filmiche quando il cinema nemmeno esisteva, una caratteristica che attribuiscono anche a me, anche se nella poesia c’è l’esempio massimo». Un accenno anche alla provincia. «Dai racconti di Simenon, e non parlo di Maigret - ha aggiunto - ho capito che è tutta uguale un po’ dappertutto. E non è vero che è chiusa mentalmente, solo un po’ più puntigliosa, meno dispersiva di una metropoli». Finale con la standing ovation, che l’autore ha rigirato agli aquilani. «L’Aquila è rocciosa e voi siete rocciosi, siete famosi per questo! Per tutto quello che avete passato vi auguro la felicità», ha concluso prima di ripartire per la sua Sicilia.
Antonio Giampaoli
 
 

iFatti.com, 6.7.2011
Un incontro con Andrea Camilleri

Quest’incontro era stato programmato dall’associazione “Volta la Carta” per il festival dell’editoria indipendente, tenutosi all'Aquila alla fine di maggio. Andrea Camilleri annullò allora il suo incontro, promettendo di venire in seguito. Ha mantenuto la promessa, ed ha incontrato gli aquilani presso l’auditorium della Guardia di Finanza, gremita per lui, accolto da una ovazione in piedi, sentita e prolungata. Interlocutrice Tiziana Pasetti.
Per motivi di lavoro A. Camilleri frequentò L’Aquila prima del sisma, lavorò nel teatro ed ebbe rapporti di amicizia con molti aquilani, oggi non ha voluto rivedere il centro semidistrutto, preferisce ricordarla come era, e neppure ha voluto manifestare i suoi ricordi della città che fu, lasciandoli agli aquilani.
Aprendo squarci della sua vasta cultura e raffinata competenza letteraria, con spirito caustico e lucidità di pensiero ci ha illuminati su parecchi punti. Efficacissimo il suo modo di esprimersi, usa delle metafore ed immagini dense di significato, sintetiche ed esaurienti al contempo, un prezioso distillato di altissime capacità di rielaborazione, fantasia e saggezza. Esistono registrazioni e trascrizioni integrali della conversazione, tuttavia cerco di riportare per sommi capi i concetti espressi.
I temi emersi nell’incontro riguardano la specificità della cultura di provincia, da lui spiegata come un condensato non dispersivo delle caratteristiche di una popolazione che consente una migliore comprensione della natura umana, fenomeno simile in tutto il mondo, in Francia come in Sicilia. Da questo argomento il passo verso il rapporto lingua dialetti è breve, i dialetti la linfa che concorre a nutrire l’albero grande della lingua madre in un continuo movimento verso il centro. A. Camilleri, un autorità in materia, se pensiamo al luogo di nascita, vita, lavoro e modo di esprimersi del nostro amatissimo commissario, riporta a questo proposito un pensiero di Pirandello: di una data cosa il dialetto esprime il sentimento, della medesima la lingua esprime il concetto.
Il dialetto, ovvero la lingua che esprime i sentimenti, a questo proposito è bene riportare una osservazione di T. Pasetti, circa una notevole ripresa dell’uso del dialetto dopo il terremoto a L’Aquila, come un tentativo disperato di conservare con il solo mezzo a disposizione di tutti una identità culturale ed affettiva minacciata, semidistrutta da un avvenimento incontrollabile.
Entrando nella letteratura, A. Camilleri spiega che i testi fondamentali della sua formazione sono due: La Condizione Umana di A. Malraux, un libro passato fra le maglie della censura fascista che lui lesse a 17 anni e gli consentì di scoprire che i comunisti erano gente come noi, scoperta fondamentale per il figlio di uno squadrista che aveva partecipato alla marcia su Roma. E La Storia della colonna Infame di A. Manzoni, che gli consentì di capire i nessi fra giustizia e potere politico, testo profondamente formativo.
Cita poi con molto spirito la lettera di scuse che lui scrisse ad A. Manzoni, quando un consiglio di classe di una scuola siciliana decise di sostituire la lettura de I Promessi Sposi con Il Birraio di Preston. La figura preferita de I Promessi Sposi? Cita alcuni personaggi, ma di don Abbondio precisa che rappresenta tre quarti d’Italia.
Bellissimo e veramente illuminante il suo modo di vedere la differenza fra scrittura in prosa e quella in poesia. La prima si muove in orizzontale, la seconda va come un razzo spaziale, raggiunge un’altitudine astrale in pochi secondi. Scrittura privilegio di pochissimi. Grazie per questo raggio di luce.
Una prolungata ovazione ha salutato lo scrittore al termine dell’incontro, tutti veramente grati ad uomo che ci dà tanta gioia ed un sorriso.
Emanuela Medoro
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 6.7.2011
La presentazione
"alfabeta 2" analizza la Sicilia nel suo dossier sulla cultura

Il dossier sulla cultura in Sicilia della rivista "alfabeta2" è stato presentato ieri nella sede del circolo "Nzocchè" di via Ettore Ximenes 95. Hanno animato il dibattito, moderato da Marcello Benfante, Clotilde Bertoni, Andrea Cortellessa, Gianfranco Marrone, Marilena Renda, Nicolò Stabile e Matteo Di Gesù. Proprio di quest'ultimo ieri su questo giornale abbiamo pubblicato l'intervento estrapolato proprio dal dossier sulla cultura in Sicilia. Limiti, contraddizioni, prospettive, ritardi e definizione dei ruoli pubblici e privati: sono tra i temi che sono stati dibattuti nell'incontro di ieri. La parte siciliana è solo una componente del dossier di "alfabeta 2" che nella sua analisi abbraccia tutta la cultura italiana. La parte più interessante della sezione isolana è una conversazione con Andrea Camilleri, nel corso della quale l'autore della serie sul commissario Montalbano appronta la diagnosi e suggerisce la cura per i problemi dell'universo culturale, e non solo siciliano.
 
 

Gazzetta dello Sport, 6.7.2011
«Tutto era come prima, la luce nella càmmara di letto c' era sempre. M'avvicinai... Commissà, la morta non era morta!» «Ma che dici?!» «Quello che sto dicendo. Il morto era lui, il generale. Stinnicchiato sul letto»
La prova generale
Seconda puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 7.7.2011
«Dottori, c'è Genico Orazio, il latro, ca dice ca ci voli parlari pirsonalmenti di pirsona. Capace che si vole costituzionare.» «Costituire Catarè. Fallo passare.»
La prova generale
Terza e ultima puntata
 
 

El País, 7.7.2011
Sis raons per llegir Camilleri
'PERSONALMENT EN PERSONA'. Edicions 62 celebra aquest vespre amb una festa al Bar Velòdrom de Barcelona el 25è títol en català del supervendes Andrea Camilleri, creador del comissari Montalbano. El seu traductor Pau Vidal explica les raons de l'èxit d'un autor de novel.la negra tan especial

Les novel.les d'Andrea Camilleri són una droga per a milers de lectors i un repte per als traductors, que hi xalem com lladres i hi patim com penitents. Per què?
1. Perquè deixen de banda la identificació Sicília-màfia i es drecen a partir de situacions clàssiques del gènere, passades pel sedàs del fatalisme atàvic dels sicilians. Encara que l'ombra mafiosa plana, de vegades, en l'ambient, els veritables fantasmes que empaita el comissari són la desaparició (tal com va dir Sciascia, "l'autèntica ànima del misteri sicilià") i l'intercanvi de persones (entès, seguint l'ensenyança pirandelliana, com a "confusió, no sempre involuntària, entre persones o entre vius i morts").
2. Perquè no li ha calgut parir un protagonista alcohòlic ni traumatitzat ni filosofaire per construir un heroi molt atractiu. Guanyador a la feina i perdedor a la vida, el comissari no s'esbrava de la gelosia asfixiant de la seva promesa jaient amb altres dones (bé, no sempre) sinó atipant-se de rogers, esbergínies, formatge i panses. Rigorosa cuina tradicional d'Agrigento. Si pot ser, en solitari, i si no, com a mínim en silenci. En Montalbano és un policia tenaç i ple de fantasia, però un amant eixut i un amic eixarreït. I segurament és per això que ens agrada.
3. Perquè, malgrat la hipertròfia narrativa, ha sabut entrellaçar els tirotejos amb el neguit creixent del protagonista perquè es fa gran, fins a aconseguir que ho patim amb ell. Fa anys que pensa a jubilar-se però no s'acaba de decidir, tot i que té data de caducitat: el 2008 l'escriptor va lliurar a l'editorial Sellerio l'original del que serà l'últim episodi montalbanià, Riccardino, per ser publicat pòstumament.
4. Perquè, encara que l'anomenada li ha vingut de les novel.les policíaques (i la corresponent sèrie televisiva), Camilleri l'alterna amb dues sèries més: la contemporània, centrada essencialment en paradigmes femenins, i la històrica, peripècies ara tendres ara satíriques ambientades al XIX i primeria del XX. Només per a gourmets de la sicilianitat.
5. Però sobretot, sobretot, perquè a les seves novel.les hi ha un personatge més: el llenguatge. De l'italià estàndard al sicilià més col.loquial, passant per un italià dialectal que amb el temps s'està sicilianitzant cada vegada més i que als traductors ens fa ballar el cap perquè la versió catalana no perdi gust. O no en perdi gaire, si més no.
Però el ventall dialectal marca de la casa és poca cosa en comparació amb els jocs de paraules que esquitxen les novel.les de cap a cap: notes quasi incomprensibles que li deixa la minyona analfabeta, xarades fetes amb la inicial de les víctimes d'assassinat, reformulacions de dites populars, cartes fotetes en vers, malnoms amb els càrrecs dels superiors...
6. Perquè el deliri pirotècnic de Camilleri ateny el cim amb un personatge memorable, un Bartleby de la narrativa de lladres i serenos que parla un idioma propi: el catarellès. En Catarella, l'encarregat de la centraleta, provoca innombrables conflictes i atacs de nervis del comissari per culpa del seu idiolecte insofrible: trabuca noms (el senyor Sciocchino, 'babau', per Scortino, Ponzio Pilato per Sozio Melato...), deforma conceptes (informatisme per informàtica, escarnejar per escanejar, menstre per mestre, profitlacti, compressió i perdonança...) i repeteix per sistema (no m'he donat per adonat, s'assembla d'assemblança, per dir-li que li digui de dir-li). Un joc verbal tan extrem que cal degustar personalment en persona.
Pau Vidal
 
 

8.7.2011
Stiamo traslocando!
A causa del trasferimento del sito in altri server, sarà possibile che in questo periodo ci siano dei disservizi, di cui ci scusiamo in anticipo coi nostri visitatori.
Ringraziamo gli amici di @Work per l'ospitalità che ci hanno dato in tutti questi anni.
 
 

Ciao!, 8.7.2011
Trilogia delle metamorfosi (Andrea Camilleri)

Il “mito” fa parte della nostra vita fin dall’infanzia. Lo accogliamo, inizialmente, inconsapevoli di cosa sia e cosa significhi: da certe fiabe raccontate dai più vecchi della famiglia, da disegni illustrati di cui magari capiamo poco la storia che narrano. Poi a scuola lo affrontiamo in modo più ampio e serio ma quasi sempre rifiutandolo o prestandogli un’attenzione superficiale a causa del modo sbagliato, fatto di imposizione e senso di “atto dovuto” ma senza interesse, senza vita, che spesso accompagna la lettura dei grandi testi classici. Pensate ad Omero, ai canti dell’Odissea per esempio, come siano essi pieni di figure mitologiche, e di quanto poco interesse spesso abbiano suscitato (e suscitino ancor oggi) nell’animo giovane di uno scolaro o di uno studente.
Eppure il “mito” è importante e accompagna la storia dell’umanità. Oggi non siamo forse più capaci, o più probabilmente non abbiamo più motivo od occasione, di creare miti, almeno nella nostra società evoluta e razionale. Ma quando questa evoluzione e questa razionalità non sono in grado di fornirci delle risposte plausibili il mito, la sua “invenzione” sarebbe il mezzo che avremmo usato un tempo e che oggi sostituiamo con il banale concetto, altrettanto irrazionale ma meno fascinoso, che una spiegazione quale che sia ci sarà sen’altro e prima o poi la si troverà.
Il mito è oggi l’eco di antichi timori, di desideri, passioni. Attraverso di esso l’uomo cercava di dare un senso all’inconoscibile, di placare le sue paure di fronte a fenomeni per lui inspiegabili, sognava possibili fughe da una realtà e da un mondo ostile disegnandio realtà e mondi “altri” dove dominava la sua fantasia e dove diventava possibile ciò che nella dura quotidianità possibile non era. Dei, mostri, animali fantastici erano in fondo la faccia nascosta del reale, lo specchio deformante che i secoli a venire si sarebbero incaricati di rendere sempre meno deformante, anestetizzando la fantasia.
Ma alla lunga il mito fa capolino nella nostra vita, in forme più o meno evidenti e forti, adattandosi secondo il nostro carattere, il nostro esserci formati culturalmente, l’esserci integrati in un contesto sociale. Non lo inventiamo più, certo, perché lìinvenzione del mito è ormai fuori dei nostri schemi mentali, ma ricorriamo al passato per evocarne le tracce, per cercarne aiuto talvolta, per trovarne, più spesso, motivo di transitoria fuga dal presente. O semplicemente per evocare tempi, memorie, fantasie di cui avvertiamo più o meno forti i sedimenti nel nostro io interiore.
Andrea Camilleri, cui il personaggio di Montalbano non dovrebbe far velo ad altre prove letterarie, ha affrontato a modo suo la questione del “mito”, scegliendo per esso quello della Metamorfosi. Il mito che forse è maggiormente ricorrente tra i molti che l’antica non-sapienza dell’uomo ci ha lasciato. Il principio della “metaformosi”, della trasformazione ha esempi concreti in natura e da essi ha tratto origine. In natura la metamorfosi è sempre un processo unidirezionale (diverso dal cambio di colore stagionale di alcuni animali) che porta una creatura da una forma ad un’altra; nel mito questo processo assume invece il carattere doppio: da una forma ad una altra e il relativo processo di reversibilità, rendendo la possibilità di metamorfosi, ad esempio per gli dei, un procedimento con varie e infinite possibilità di trasformazione/mascheramento/riacquisizione. E sui binari mitologici della Mertamorfosi viaggiano i tre romanzi che, dopo essere stati pubblicati separatamente, vengono qui presentati in un unico volume.
“Trilogia delle metamorfosi” raccoglie tre brevi opere che Sellerio ha pubblicato nel 2007, 2008 e 2009, in cui Camilleri, attraverso le vicende dei suoi personaggi, riprende quell’atmosfera fantastica che le vicende mitologiche possiedono. Ad essa vi innesta un mondo reale, contemporaneo anche se “vecchio” di qualche anno rispetto al lettore d’oggi, una realtà che però tende a sfumare non per sua volontà ma per la forza della fantasia che sottende al mito, a quella metamorfosi che alle nostre menti razionali in un priimo momento appare quasi “demenziale” o di un’assurdità, un’irrazionalità che sconcertano. Sarà la lettura che progressivamente si incaricherà di operare anche in noi una sorta di metamorfosi, disanestetizzando la nostra fantasia e assopendo o rendendo almeno più pigra la nostra presuntuosa razionalità.
Vediamo dunque questi tre romanzi costituire un quadro non omogeneo, bensì armonico. Vicende diversissime tra loro sono accomunate da un filo conduttore che in parte le amalgama senza togliere ad ognuna la sua peculiarità, la sua unicità romanzesca. Un filo conduttore non direttamente esplicitato ma che sarà il lettore a sentire sempre più forte, quando decida di leggere i tre romanzi in sequenza o a breve distanza uno dall’altro. I tre romanzi brevi sono:
Maruzza Musumeci (Sellerio, 2007). E’ la storia di Gnazio Manisco emigrante che torna a casa, a Vigata. Costruirà una casaq e cercherà moglie. La troverà e la sia vita scorrerà felice tra lavoro e figli. Ma c’è nella donna che gli sta accanto qualcosa di non comune. Lei si crede una sirena. Non ci sarebbe nemmeno da preoccuparsi se una cosa simile si limitasse al credersi. E’ così o no? Quanto Maruzza, la donna, è più chye credersi e quanto gli occhi di Gnazio vedono e non vedono? E quanto noi, razionali lettori, siamo disposti a credere possibile o ad ammettere che si potesse credere possibile una fantasia di questo tipo?
Il casellante (Sellerio 2008). Nino ne passa di tutti i colori nel suo lavoro e . E anche fuori dal lavoro, in un periodo in cui può succedere di tutto per la stupidità o la crudeltà delle persone. E sarà proprio questo micidiale miscuglio di stupidità e di crudeltà che gli cambierà la vita. E cambierà soprattutto la vita di Minica, sua moglie. Una metamorfosi inevitabile e comprensibile in lui, straordinaria e irrazionale in lei. Ma proprio straordinaria e irrazionale?
Il sonaglio (Sellerio 2009). Giurlà da pescatore diventa guardiano di pecore in montagna. Ma non ìè questa la “metamorfosi” vera e più importante. Lo scopriremo in questo romanzo ricco di personaggi e di atmosfere. Ma prima della trasformazione vicina al concetto del mito, impareremo la trasformazione dettata dalla necessità e aiutata dalla sensibilità. E’ forse il più bello dei tre romanzi, quello che nelle sue pagine nasconde maggiore poesia. Un romanzo che nei suoi punti salienti sfiora la poesia e la fiaba, con la delicatezza che nemmeno vicende di sangue possono scalfire. Fino al compimento finale di una vicenda che è assai più vicina al mondo fantastico nello stesso modo in cui è vicina al mondo reale.
I tre romanzi sono stati raccolti in unico volume (gennaio 2011) da Mondadori per il suo club del libro. Il volume è acquistabile anche senza bisogno di adesione (ad esempio presso le librerie Mondadori o su internet). Un’operazione lodevole che consente un quadro d’insieme che altrimenti potrebbe finire disperso. E sarebbe davvero un peccato!
Il linguaggio letterario di Camilleri è noto. Non parlo di lingua perché quella di Andrea è più che altro una commistione di lingua colta e di dialetto, che però viene compiuta sapientemente e soprattutto in modo che risulti comprensibile anche a chi il dialetto non lo conosce . E ciò non vale solo per lettori “nordici” o “romanici” ma anche per letytori della stessa Sicilia. La diversità e la ricchezza dei dialetti è tale che tra Agrigento e Palermo o tra Agrigento ed Enna già potrebbero sorgere difficoltà di comprensione e interpretazione. Fortunatamente Camilleri ha escogitato un linguaggio che , oltre ad essere oggi la cifra inconfondibile del suo stile, è facilmente assimilabile da qualsiasi lettore.
E dunque non mi resta che augurarvi una buona lettura, magari sotto l’ombrellone, o sotto un pino, o in riva al lago o dove diavolo vi portieranno le vostre meritate vacanze. E “buona lettura” anche (soprattutto?) a chi resterà a casa.
pupaolo
 
 

Gazzetta dello Sport, 8.7.2011
«Hanno ammazzato una» «Quando?» «Il giorno stisso che sei partito» «E chi era?» «Una buttana. Di settant'anni»
La pòvira Maria Castellino
Prima puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 9.7.2011
«E come hai fatto?» «Aieri notti vitti una pinlicola alla tilivisioni. Era la storia di uno che in America ammazzava bottane vecchie.»
La pòvira Maria Castellino
Seconda puntata
 
 

Il Sole 24 Ore, 10.7.2011
Psychothriller e garibaldini

[…]
Infine Camicie rosse, storie nere (Hobby & Work, pagg. 342, € 18,00), un'antologia che vede protagonisti tredici giallisti per mille garibaldini. Con un contributo di Andrea Camilleri.
Mauro Castelli
 
 

Gazzetta dello Sport, 10.7.2011
«Sissi, dottori. Sei pirsone tilifonaro per quella facenna della bottana sasinàta! I nomi su questo pizzino ce li scrissi.»
La pòvira Maria Castellino
Terza puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 11.7.2011
«Fatemi capire» disse il preside susendosi. «Mi state accusando di avere ammazzato Maria per una questione di soldi?» «Il fatto è che non abbiamo le prove»
La pòvira Maria Castellino
Quarta e ultima puntata
 
 

Zebuk, 11.7.2011
La gita a Tindari, Andrea Camilleri
“Ca quali affari e affari. Littre di pilo sono”
“Non ho capito”.
Arrosì Catarella.
“Sono littre comu a dire d’amori, ma …”
“Va bene, ho capito. E in quei dischetti?”.
“Cose vastase, dottori. Mascoli con fimmine, mascoli con mascoli, fimmine con fimmine, fimmine con armali …”
La faccia di Catarella pareva pigliasse foco da un momento all’altro.
“Va bene Catarè. Stampameli”.
“Tutti? Fimmine con omini, omini con omini …”.

Il commissario Montalbano è impegnato in una nuova indagine tra l’immaginaria Vigàta e il promontorio di Tindari. Un triplice omicidio è avvenuto: un giovane dongiovanni che viveva al di sopra dei suoi mezzi apparenti, due anziani pensionati seppelliti in casa che improvvisamente decidono una gita a Tindari. Li collega, sembra, solo un condominio. Ma Montalbano ha una maledizione, sa leggere i segni che provengono dall’”antichissimo” che vive nel “modernissimo” continente Sicilia: lo aiutano un vecchio ulivo contorto, la sua squadra, la svedese Ingrid, un libro di Conrad e un Innominato senza pentimento (Ibs)
A mio parere è il libro più bello della serie di Montalbano, un giallo che non lascia niente all’improvvisazione e che affronta un tema davvero delicato: la pornografia e le immagini diffuse in rete. Ma non è così semplice arrivare alla soluzione, i casi sono due e intricati, con un piccolo punto di contatto. Come d’abitudine Salvo Montalbano si appoggerà al suo intuito, e attraverso i suoi metodi anticonformisti e originali, si troverà di fronte al profondo lato oscuro degli uomini. In questo romanzo Camilleri è riuscito ad aprire una finestra su temi complessi e molto cattivi, e mantenendo il garbo e la delicatezza che lo contraddistinguono è riuscito a farci affacciare in un pozzo profondo e nero, pur lasciandoci lontani dal pericolo di caduta con un parapetto di ironia: è vero che leggendo questa storia ci vengono i brividi lungo la schiena, però è anche vero che molto spesso abbiamo le labbra stirate in un sorriso.
Buona lettura e a rileggerci!
Lucia_b
 
 

Cannibali, 11.7.2011
Cristo delle Zolle (Monopoli) (BA), 13 Luglio 2011
"Maruzza Musumeci" di Andrea Camilleri. A Cristo delle Zolle lettura scenica di Paolo Panaro

"Maruzza Musumeci" di Andrea Camilleri, lettura scenica con Paolo Panaro, è in programma presso l'anfiteatro di Cristo delle Zolle, a Monopoli, per la rassegna "Nel giardino degli ulivi", promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Monopoli in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese e con il coordinamento del Centro Diaghilev.
L'appuntamento rientra in un ciclo di incontri di letteratura, intitolato "Letture al tramonto", che si terranno sotto gli alberi di ulivo nella campagna di Cristo delle Zolle con inizio alle ore 19 e con accesso gratuito.
Il racconto è ambientato nella Sicilia di inizio secolo scorso, a metà tra fantasia e realtà.
Questo «cunto» è una maneggevole storia naturale delle Sirene. E anche una «storia morale». La vicenda si svolge a Vigàta, tra Ottocento e Novecento. In contrada Ninfa, che è una lingua di terra sul mare: un'isola immaginaria, odissiaca, che figura ancora sulle rotte dei mitici navigatori; ed è visitata dai sogni incompiuti dalle metamorfosi di pescatori, naiadi, e cretaure marine. Le Sirene non sono pesci con il rossetto. Sono donne feconde, terribilmente seducenti. Vivono tra gli uomini. Abitano gli stessi luoghi, ma non vivono nello stesso tempo. Vengono da una profondità di millenni: sono troppo vecchie o troppo giovani, al di sopra della vita e della morte. Hanno uno sguardo lungo sul passato. E un'immota fissità di ricordi. Non hanno dimenticato l'offesa di Ulisse. Sono le vestali e le vittime del loro segreto. Il rancore e il desiderio di vendetta risvegliano in esse l'animalità selvaggia. Cercano però un'uscita dalla ferinità, per entrare nel tempo degli uomini. Il «cunto» di Camilleri è una poetica favola vichiana. Maruzza e la sua bisnonna parlano in greco tra di loro. Ed è sui versi dell'Odissea che le due Sirene verificano eventi ed emozioni. Il loro canto è sensuoso. Ma sa essere pure un complotto d'acque, un irresistibile richiamo di onde e scogli. Maruzza e la bisnonna si disfanno dei fantasmi finalmente sconfitti di Ulisse e della sua genìa. E individuano nel bracciante e muratore Gnazio Manisco, che dall'America è tornato nella sua Itaca vigatese, odiando il mare e viaggiando sempre sotto coperta, un anti-Ulisse. Maruzza si sposa con Gnazio. Felicemente. Comincia la vita nuova di una Sirena con marito e figli. La famiglia della Sirena convoglia cielo e mare. Il primogenito Cola diventa astronomo. Scopre una stella. La chiama Resina, con il nome di sua sorella, la Sirenetta. Nel 1940, Cola rientra dall'America nell'Italia in guerra. La sua nave viene affondata. La Sirenetta corre dal fratello. Con lui si inabissa per sempre, là dove si apre una grotta dentro una campana d'aria. In quella grotta la letteratura aveva già portato l'avvocato Motta di un romanzo di Soldati. In quella «dimora» aveva realizzato il suo «sogno di sonno» l'ellenista Rosario La Ciura del racconto La sirena di Lampedusa. La guerra ha i suoi naufraghi. Un giovane soldato americano finisce sull'isola immaginaria di Vigàta. È steso sotto un ulivo saraceno. Prima di morire accosta all'orecchio la grande conchiglia indiana delle Sirene. Muore consolato dal canto della bisnonna e della Sirenetta. Le Sirene non uccidono più. Amano e soccorrono. Come nel racconto di Lampedusa. E come nella Sirenetta di Andersen. Il «cunto» di Camilleri è, infine, e sorprendentemente, un «cunto de li cunti». (Salvatore Nigro)
Una piccola nota alla scrittura: andando in là con gli anni, il maestro abbandona i canoni della lingua italiana per immergersi “profunno” in un dialetto ricco di parole dal suono melodioso che evocano immagini fantasiose, che vanno oltre il primo significato. Come la parola “attrunzò”, presente in questo dialogo tra Gnazio in cerca di moglie e la sensale: “Quanti anni aviti?” | “Quarantasetti.” | “E comi vi funzionia?” | Gnazio non capì. | “Che mi devi funzionari” | “'U manicu mascolino.” | Gnazio accapì e arrusicò. | “Boh” fici. | “Da quanto non l'usate?” | Gnazio si fici il craccolo. | “Diciamo se' anni.” | “Vi maritati per aviri figli?” | “'Nca certo!” | “Allura videmo la merci.” | Gnazio capì e si calò i cazuna. | “A vista, mi paru tutto a posto” disse la fimmina e avanzò il vrazzo. | A malgrado che la pelli della mano della vecchia pariva fatta di scorcia d'arbolo, Gnazio, a sentiri la tuccata stranea, attrunzò. | “Bono, bono” fici la vecchia arridenno.
 
 

Vanity Fair, 12.7.2011
Volta la Carta: Andrea Camilleri incanta L’Aquila
 
(Le foto di Andrea Camilleri con Tiziana Pasetti sono di Stefano Schirato)

E’ un luglio di pioggia, questo aquilano. E poi di sole che arriva all’improvviso, rovente. Andrea Camilleri ha mantenuto la promessa. L’ultima pagina dell’evento letterario che si è svolto nel capoluogo abruzzese a fine maggio l’ha voltata lui, regalando a centinaia di persone accorse all’auditorium della Guardia di Finanza un epilogo straordinario.
Prima di incontrare il suo pubblico, un breve incontro con i finanzieri che lo attendevano emozionati. Hanno portato i loro libri per un autografo, si avvicinano timorosi. Camilleri è gentile e disponibile, incuriosito si guarda intorno. Guarda la piccola riproduzione dell’Appennino che nei giorni del G8 ha fatto da sfondo alle dichiarazioni dei grandi della terra, guarda la crepa che è stata coperta con un foglio di plexiglass, per non dimenticare.
Chiediamo se vuole visitare il centro storico della città: “Non voglio andare, no. Non per cattiveria, ma io in questa città ho vissuto per dei mesi, ho lavorato. Non voglio vedere. Ho un’età che devo trattare con cura, mi si alzerebbe la pressione. Non voglio vedere un centro che è come un cuore morto. Mi arrabbierei. Se fosse stata ricostruita io sarei stato il primo ad esserci. Ma così, no”.
E quando queste parole le ripeterà, in apertura, il pubblico lo applaudirà forte. Gli aquilani non amano le very important person che arrivano in città, si guardano intorno, scuotono la testa, impostano la voce su “commosso andante”, balbettano un paio di ovvietà e poi se ne vanno via così, senza fare nulla, senza proporre, senza mantenere la parola data. Le macerie non sono ancora rovine turistiche. Per quelle, per le foto sorridenti appoggiati alle pareti delle case di Pompei, bisogna aspettare almeno un secolo. Bisogna aspettare che sia morta l’ultima persona che quella notte c’era.
Con lui parliamo di dialetto.
“È una linfa che nutre l’albero della lingua italiana”, afferma. Racconto che qui all’Aquila, dopo il terremoto, il dialetto è stato un po’ come una mamma che consola. Ci siamo raccontati al mondo e ci siamo ricordati tra di noi con i suoni del linguaggio che sa di radici e latte insieme. “Questo è bellissimo”, sussurra Andrea, che è uomo dalle espressioni magiche, eleganti, attente. Io, che non sono una giornalista e che delle parole e dei sentimenti faccio lacrime mi giro appena, ché la voce trema insieme alle labbra e alle mani e a molto altro ancora.
Racconta Simenon e la provincia, che è una dimensione del mondo, non è chiusura. Sorride quando riferendomi alla letteratura sociale e politica cito il libro che gli ha segnato la vita, La condizione umana di Andrè Malraux. “C’è un altro libro che amo: I Promessi Sposi. Ci sono in quel libro tutte le caratteristiche del linguaggio cinematografico. Le carrellate. I piani-sequenza. Esattamente come accade in poesia. Quando mi dicono che i miei libri sono cinematografici rimango muto. Cosa avrei fatto, io, in confronto, di così eccezionale? E poi i personaggi, immensi. L’Innominato, fra’ Cristoforo e Don Abbondio. In quell’uomo ci sono le caratteristiche di tre quarti degli italiani”.
E a proposito di letterati rovinati dalla scolarizzazione cronica e sciatta della loro opera: ”Leopardi? Chi? Quel gobbo che amava i gelati e ne mangiava fino a star male? Che ci vuole a sedersi vicino a un albero e solo perché hai davanti a te un ampio orizzonte dire ecco, l’infinito? Poi non me ne voglia Francesco Petrarca. Ma è facile essere poeti d’amore. Raccontare un’emozione e dipingere con le parole quelle che sembrano ovvietà senza sbagliare mai e senza che mai ci sia un calo di tensione. Ecco, io penso che Giacomo Leopardi sia stato e continui a essere il più grande poeta che abbiamo mai avuto. Il più grande”.
Più forte di ogni applauso in sala c’è un silenzio composto che dura dei secondi eterni. E allora ti immagini Andrea e la sua Sicilia, i suoi colori, i sapori e gli odori della sua opera e intanto vedi un altro uomo che guarda una ginestra e poi la luna e che in versi ti racconta di un pastore errante in un posto assai lontano e poi, poi ti canta Silvia e il maggio così bello, così odoroso. Arriva l’applauso. Che è forte e piano insieme. È come il dialetto, che ti accarezza e culla. Come la lingua, che ammonisce e guida.
È bello Andrea. È bello mentre allarga le braccia e si rivolge a tutti noi dicendo
“Vi ringrazio di cuore. E vi auguro tutta la felicità che, di questo dovete esserne certi, meritate. Vi abbraccio”.
Tiziana Pasetti
 
 

Elle, 12.7.2011
Il gioco degli specchi Andrea Camilleri

L’ultimo libro di Andrea Camilleri intitolato Il gioco degli specchi è primo in classifica tra i libri più venduti secondo le rilevazioni del sito Arianna, nonostante non si tratti di una nuovissima uscita, dato che il romanzo è stato pubblicato da Sellerio più di un mese fa.
È vero che libri d’estate fa rima con giallo, e che le avventure del commissario Montalbano sono un classico delle lettura da spiaggia, ma forse dietro a questo posizionamento in vetta c’è la notizia che da un po’ di tempo sta circolando in quel di Palermo: Camilleri avrebbe già consegnato al suo editore l’ultimo capitolo della saga con tanto di finale tragico.
In attesa di sapere se le voci corrispondono a realtà, i futuri “probabili” orfani di Salvo Montalbano possono godersi la trama di Il gioco degli specchi, 18esimo episodio della saga tutta intuito, ironia e arancini.
Montalbano, questa volta, è alle prese con una nuova vicina di casa in vena di distrazioni coniugali (che includono anche il non proprio irreprensibile commissario), tradimenti stranamente collegati a una serie di misteri come bombe, lettere anonime e un susseguirsi vorticoso di inspiegabili eventi. A Salvo il compito di rivelare la verità, tra indagini confuse e deformate, proprio come in un gioco di specchi.
Désirée Paola Capozzo
 
 

Comunicati.net, 12.7.2011
Rassegna 11 Lune a Peccioli (Pisa)
Massimo Ghini in "Cannibardo e la Sicilia"
Anfiteatro Fonte Mazzola
Peccioli, Giovedì 14 luglio ore 21,30
di Andrea CAMILLERI
regia di Giuseppe DIPASQUALE
con Mimmo MIGNEMI e Vincenzo CRIVELLO

Dopo aver debuttato in Italia al prestigioso Festival dei due mondi di Spoleto arriva a Peccioli Massimo Ghini con “Cannibardo e la Sicilia”, seconda data di una tournée che toccherà i più importanti teatri d’Italia.
“Quando i nostri non arrivarono, Cannibardo si prese la Sicilia. Quando arrivò Cannibardo i Sabaudi si presero la Sicilia. Nulla era cambiato da quando gli arabi si erano presa la Sicilia. Ora che è presa, la Sicilia è libera perché libero è lo spirito dei Siciliani”. La storia di Garibaldi e della Sicilia postunitaria, come breve parabola di un sogno, ripercorsa attraverso le parole di Camilleri. Questo spettacolo, che vede come protagonista l’attore Massimo Ghini, è nato quasi per caso alcuni mesi fa durante una serata a Parigi, in onore di Andrea Camilleri, in cui l’attore romano era stato chiamato a proporre alcune letture scelte, dalle pagine dello scrittore siciliano.
Dalle speranze suscitate dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, all’annessione dell’isola al regno d’Italia, alle delusioni della politica post-unitaria, questo spettacolo porta in scena un pezzo della storia d’Italia – nell’anno dei festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità d’Italia - ed è anche un contributo, scritto con mano leggera e al tempo stesso pungente, all’analisi storica di quel periodo pieno di contraddizioni, ancora tutto da scoprire e da comprendere.  
 

Il Giornale, 12.7.2011
Con Montalbano e Anita la Rai vuol vincere facile (e la Fenech torna sul set)

Fiction, fiction, fortissimamente fiction. La tv si frantuma, i palinsesti esplodono, le novità latitano? «Non importa: la fiction non perde un colpo - taglia corto il responsabile Rai Luca Milano -. Tra gennaio e maggio scorsi Raiuno ha presentato ben 66 prodotti, con un ascolto medio di 5.735.000 spettatori. 520.000 in più rispetto alla stagione precedente». Il che spiega il ricco carnet di offerte presentato da Raiuno, a partire dal prossimo autunno.
POLIZIOTTI DI IERI E DI OGGI
La parte del leone è sempre loro: dei polizieschi. A cominciare dal curioso prequel Il giovane Montalbano: sei puntate tratte dai meno noti racconti di Camilleri, «in cui un commissario appena trentenne arriva per la prima volta a Vigata, s’innamora di Livia (Sarah Fernelbaum), affronta i primissimi casi». Al posto di Zingaretti, la giovane rivelazione Michele Riondino.
[…]
Paolo Scotti
 
 

Gazzetta dello Sport, 12.7.2011
«E chi è?» spiò il Questore con la bocca spalancata. «Un eminente criminologo francese» Mentì il commissario.
Il gatto e il cardellino
Prima puntata
 
 

Il Tirreno, 13.7.2011
Ghini rilegge la storia di Garibaldi

Peccioli. Il festival “11 Lune” di Peccioli presenta Massimo Ghini in “Cannibardo e la Sicilia” all’anfiteatro Fonte Mazzola. Domani sera, alle 21,30, di Andrea Camilleri (regia di Giuseppe Dipasquale), con Mimmo Mignemi e Vincenzo Crivello.
Dopo aver debuttato in Italia al prestigioso Festival dei due mondi di Spoleto, arriva quindi a Peccioli Massimo Ghini con “Cannibardo e la Sicilia”, seconda data di una tournée che toccherà i più importanti teatri d’Italia.
“Quando i nostri non arrivarono, Cannibardo si prese la Sicilia. Quando arrivò Cannibardo i Sabaudi si presero la Sicilia. Nulla era cambiato da quando gli arabi si erano presi la Sicilia. Ora che è presa, la Sicilia è libera perché libero è lo spirito dei siciliani”. La storia di Garibaldi e della Sicilia postunitaria, come breve parabola di un sogno, ripercorsa attraverso le parole di Camilleri.
Questo spettacolo, che vede come protagonista l’attore Massimo Ghini, è nato quasi per caso alcuni mesi fa durante una serata a Parigi, in onore di Andrea Camilleri, in cui l’attore romano era stato chiamato a proporre alcune letture scelte, dalle pagine dello scrittore siciliano.
Dalle speranze suscitate dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, all’annessione dell’isola al regno d’Italia, alle delusioni della politica post-unitaria, questo spettacolo porta in scena un pezzo della storia d’Italia - nell’anno dei festeggiamenti per il 150º dell’Unità d’Italia - ed è anche un contributo, scritto con mano leggera e al tempo stesso pungente, all’analisi storica di quel periodo pieno di contraddizioni, ancora tutto da scoprire e da comprendere.
Ghini in scena presenta una serie di letture recitate, lo accompagnano due attori straordinari, il siciliano Mimmo Mingemi e Vincenzo Crivello, accompagnati dalle musiche d’ispirazione popolare eseguite da Antonio Vasta.
La Fondazione Peccioli per l’Arte ringrazia per il prezioso contributo Belvedere Spa, main sponsor dell’evento, e la Cassa di Risparmio di San Miniato per la sua partecipazione alla rassegna.
 
 

Gazzetta dello Sport, 13.7.2011
«Avevi ragione tu» fece la voce di Augello. «Di che stai parlando?» «Ha sparato a un'altra vecchiareddra» «L'ha ammazzata?» «No. Probabilmente era un colpo a salve»
Il gatto e il cardellino
Seconda puntata
 
 

Zebuk, 13.7.2011
Il casellante, Andrea Camilleri
Si misi a rapriri e a chiuiri la vucca come se si ripassava le palori e po’ fici chiaro chiaro:
“Vinni ‘u tempu d’innistarimi”.
Voliva essiri ‘nnistata! “Ma pirchì voi addivintari àrbolo?” addimandò Nino dispirato.
L’occhi di Minica, per un sulo momento, tornaro a essiri vivi.
“Voglio fari frutti”.
Allura Nino accapì. Se non ce l’aviva potuto fari come fimmina ad aviri figli, voliva provari a fari frutti addivintando àrbolo.
E in quel momento giurò che l’avrebbi sempri accuntintata, a costo d’addivintari lui stisso concime, terra, filo d’erba, acqua.

NOTE SUL LIBRO
Il casellante è una sorta di favola dialettale, dai risvolti amari.
Narra la vita di Nino il casellante, e di Minica, sua moglie adorata, in un periodo storico non facile quale il Fascismo.
Nino, che oltre al suo lavoro suona anche la chitarra la domenica, ha la vita scandita dall’orario dei treni.
Ma nonostante tutto è felice.
Se solo lui e Minica potessero avere il tanto desiderato figlio.
A turbare la loro routine quotidiana, la costruzione di alcuni bunker proprio sulla spiaggia, a due passi dal casello.
E, come spesso accade, ad un avvenimento negativo ne seguono spesso altri, che preparano la tragedia:
un casellante di un casello vicino a quello di Nino inizia ad importunare Minica (che, nel frattempo, è anche riuscita a restare incinta).
Nino viene arrestato per aver suonato quello che non doveva suonare.
Minica perde il figlio, diventa sterile e impazzisce: se non può avere figli, allora diventerà un albero e potrà avere, così, dei frutti.
E si mette nel campo con i piedi nella terra, pronta a trasformarsi in qualcosa che lei, nella vita, non potrà mai essere.
Una favola amara, ma profonda, che racconta di tragedie umane.
E un grande, immenso amore.
Raccontata con la consueta maestria di Camilleri.
Un piccolo gioiello letterario.
Da leggere piano piano, per evitare che finisca troppo presto.
Silbietta
 
 

Solo Libri.net, 13.7.2011
La scomparsa di Patò – Andrea Camilleri

Traendo ispirazione da un passo di Leonardo Sciascia in A ciascuno il suo, Andrea Camilleri rielabora un fatto realmente accaduto nel 1919 e su di esso costruisce il romanzo "La scomparsa di Patò" (Milano, Mondadri 2000; Oscar Mondatori 2002). Inventandolo quasi interamente, egli utilizza un dossier che va dal 20 marzo al 28 aprile 1890, costituito da articoli di giornali, lettere scritte a mano o dattiloscritte che fanno avanti e indietro da un organo all’altro di polizia, rapporti giornalieri riservati e relazioni. Non vi sono capitoli e la voce narrante è del tutto assente, essendosi trasferita nel documento e nei vivaci racconti; viene perciò affidato al lettore il compito di organizzarsi un proprio itinerario di lettura. Tecnica di assemblaggio, questa, già utilizzata nelle opere La concessione del telefono (1998) e La mossa del cavallo (1999). E’ l’articolo, datato 20 maggio 1890 e riportato nel giornale governativo “L’araldo di Montelusa”, a dare informazioni sulla rappresentazione del “Mortorio” (la “Passione di Cristo”, opera teatrale del cavaliere d’Orioles) che, a Vigàta, si tiene il Venerdì Santo; una lettera, indirizzata al questore da parte del delegato di pubblica sicurezza, fa conoscere il protagonista. Apprendiamo così che si chiama Patò Antonio: ragioniere in servizio come direttore presso la filiale della Banca di Trinacria e minacciato di morte dal commerciante Ciaramiddaro Gerlando, cui è stata negata la dilazione per la restituzione di un prestito. I vigatesi hanno stima di Patò e lo considerano uomo di grande rettitudine. Nel Mortorio, da alcuni anni, egli recita in segno di penitenza la parte di “Giuda”. Violento e prepotente è invece il Ciaramiddaro che, essendo vicino al capomafia Pirrello Calogero, ogni volta viene prosciolto per insufficienza di prove. La rappresentazione del “Mortorio”, informa la stampa, è stata un vero successo. Trascinante l’interpretazione di Giuda fatta da Patò in merito alla scena dell’impiccagione con la caduta nel sottopalco come il copione richiedeva. “Ma unni sinni ì Patò?” (Ma dove se ne è andato Patò), si chiede il ragionier Lo Forte (faceva la parte di Pilato) quando, interrogato dal delegato, dichiara che al termine dello spettacolo lo scomparso non era presente fra gli attori “a raccogliere gli applausi”. Diverse le ipotesi: da quella attinente a una momentanea perdita di memoria, per cui stava vagando senza la capacità di ritrovare la strada del ritorno, al suo assassinio per ragioni su cui bisogna indagare. Murì Patò o s’ammucciò? (Patò è morto o si è nascosto?), dice intanto la scritta murale apparsa a Vigàta. Le indagini si estendono fino all’attività bancaria e viene auspicato che il Maresciallo dei Reali Carabinieri e il Delegato di Pubblica Sicurezza possano scrupolosamente analizzare le carte in loro possesso. Dopo che è stata infangata l’onorabilità di un onesto cittadino come Patò, il caso viene archiviato. Quali i motivi? In seguito, si apprende la scoperta d’un cadavere in avanzato stato di decomposizione: quello del ragioniere Patò. Era stato ucciso? L’enigma che incalza la curiosità del lettore non è fine a se stesso. A renderlo oltremodo inquietante è l’immagine cupa della realtà: la pochezza degli uomini e il loro malcostume, l’intreccio tra mafia e politica, nonché l’insabbiamento delle indagini. In altri termini, nella narrazione a prevalere è un motivo di attualità: l’inganno piuttosto che la scoperta della verità.
Federico Guastella
 
 

Gazzetta dello Sport, 14.7.2011
«Il mandante e l'esecutore materiale delle aggressioni e dell'omicidio» «Sta scherzando?» «Per niente. Quest'ultima aggressione l'avevo prevista. Era, come dire, la prova del nove»
Il gatto e il cardellino
Terza e ultima puntata
 
 

La Repubblica, 14.7.2011
Giannini jr: Grazie a Madonna ora faccio il serial alla tv USA

[…]
Il futuro, si capisce da come parla, è da regista e produttore «perché la cosa più bella è sviluppare le idee», ha girato un corto dal racconto di Camilleri Il gioco della mosca, premiato col Nastro d' argento «una favola che ho sviluppato con lo sbarco degli americani sulla spiaggia. La mia generazione aveva tempo per annoiarsi e inventarsi i giochi. Oggi i ragazzini sono super impegnati».
[…]
Silvia Fumarola
 
 

Basilicatanet, 15.7.2011
Lauria, sabato e domenica il Premio Mediterraneo

Sarà la cinquecentesca Chiesa di San Giacomo, che accolse ed ispirò la luminosa vocazione del cardinale Lorenzo Maria Brancati, giunto nel lontano 1689 ad un passo dal papato, a fare da sfondo a Lauria alla serata di gala che vedrà l’assegnazione allo scrittore Andrea Camilleri del prestigioso Premio Mediterraneo. La manifestazione, giunta alla sua dodicesima edizione, organizzata dall’Associazione Mediterraneo , è caratterizzata ogni anno da una grande partecipazione popolare e dalla presenza di organi di informazione locali e nazionali. […] Il Premio è stato consegnato a Camilleri nella sua casa romana nei giorni scorsi dal presidente dell’Associazione Mediterraneo Antonino Amato. [...]
“Lauria diventa capitale del dibattito su una questione centrale colpevolmente trascurata dal governo italiano: la transizione democratica dei paesi della sponda sud del Mediterraneo che apre per l’Europa, l’Italia e il Mezzogiorno una straordinaria opportunità”. E’ questo quanto dichiarato dal vice presidente del Parlamento europeo Gianni Pittella a margine della presentazione della edizione duemilaundici del Premio Mediterraneo che si svolgerà nella città del Beato Domenico Lentini nei giorni di sabato e domenica 16 e 17 luglio prossimi. [...] Cresce intanto l’attesa per la serata di gala che si terrà domenica sera in Piazza San Giacomo con la partecipazione di Daniele Piombi e la consegna del premio in video allo scrittore Andrea Camilleri.
 
 

Internazionale, 15.7.2011
I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Salvatore Aloïse, del quotidiano francese Le Monde.
Andrea Camilleri, Il gioco degli specchi

Con Montalbano si va sul sicuro. Anche in questa diciottesima indagine del commissario si parte con un incubo (uno psichiatra che vuole farlo passare per pazzo), prima di entrare nella storia vera e propria. Anzi, due storie che poi si fondono. C’è una bomba davanti a un magazzino vuoto. Non una “banale” questione di pizzo non pagato. E c’è anche la bellissima fimmina che, come succede ormai con regolarità, gioca con Montalbano al gatto con il topo. Un gioco degli specchi, come da titolo, che al commissario, intriso di cultura cinematografica, fa venire in mente La signora di Shanghai di Orson Welles, e che riuscirà a disiorentarlo per un bel po’, prima che tutto si dipani in una tensione crescente.
Sempre, però, nel rispetto di quelli che sono i punti cardinali per i fan di Montalbano. Le mangiate senza ritegno da Enzo e i piatti lasciati in frigo dalla fedele Adelina, un sollievo nei momenti più bui. Gli svarioni di Catarella, l’“anagrafese” di Fazio e il ruolo di tombeur de femmes di Augello. Tra una strizzata d’occhio alla realtà e un sapiente dosaggio dei suoi ingredienti classici, l’ultima fatica di Camilleri è un piacere da assaporare pagina per pagina, come gli arancini di Adelina. Non ci resta che aspettare la diciannovesima indagine.
Salvatore Aloïse
 
 

Il Capoluogo, 15.7.2011
Il mio Camilleri

Andrea Camilleri arriva, scortatissimo, col passo lento. Siamo nell’auditorium della Guardia di Finanza All’Aquila, pieno di gente. Salgono sul palco prima i ragazzi e le ragazze della “Volta la carta”. Avevo visto Camilleri qui all’Aquila, tanti anni fa, in un contesto completamente diverso: al teatro San Agostino, per un corso dell’Atam sulle metodologie teatrali e la trasposizione in teatro di testi letterari. Devo avere ancora da qualche parte, tutti i documenti e i testi di quel seminario. Ma stanno in un'altra casa, in un'altra vita.. . Faccio qualche fotografia. Il maestro Camilleri subito si rivolge alla platea, numerosa e silenziosa. Muove spesso le mani, si toglie e si rimette gli occhiali: l’intervistatrice Tiziana Pasetti lo stimola su una domanda molto interessante: identità e dialetto. Afferra subito l’esca e comincia una disquisizione chiara, limpida, efficace sul rapporto tra dialetto e lingua. Si scatena qualche applauso a scena aperta. All’aquila c’è stato, e dura ancora, un momento di forte riappropriazione del dialetto. Penso , dentro di me: chissà se ha visto la città. No. Non ha voluto vederla. Lo capisco. Raccolgo qualche perla: “la distanza ti dà la conoscenza” “ prima c’è stata l’invasione dell’inglese nella nostra lingua italiana. Prima con la tecnologia. Poi l’inglese è diventato governativo: infatti tutti parlano di Devolution, Welfare. E siamo in Italia. Mica a Londra.” Ogni tanto un guizzo d’ironia gli illumina il viso e la voce raggiunge toni bassissimi; si sentono bene le pause, nel fluire lento ed efficace del discorso. Non è mai banale, rovescia sempre la prospettiva dalla quale potresti guardare un argomento; ti spiazza, regolarmente. Si muoverà pure a fatica, ma la sua intelligenza ha degli scatti continui. Dribbla anche l’intervistatrice. Più volte segue un percorso apparentemente casuale ma poi lo riporta al punto iniziale. Manzoni? Un baciapile. Aggiunge altri dettagli e via via cambia le carte in tavola..sì, era un uomo molto tormentato… gli ho scritto una lettera che cominciava cosi “ caro Sandro…” Sa ridere anche di se stesso,Camilleri. Gioca una partita tra l’autoironia e l’ironia, spariglia le carte, ribalta il senso degli indizi. Del resto, questo è davvero il suo mestiere. E lo sa fare bene.Mima il movimento della macchina da presa, dall’infinito al particolare: mescola cinema e poesia, letteratura ed esperienze personali, libri amati e autori sacri. L’intervistatrice cerca di fare domande : Leopardi” bah..uno che scriveva in modo molto semplice, uno che scriveva cose ovvie “Parte un applauso dalla platea, forse di quelli che sono stati costretti a studiare Leopardi a scuola e per questo odiano Dante Manzoni e Leopardi … Ma la grandezza delle parole semplici..il primo verso di Leopardi ( cita a memoria, con estrema facilità) è un verso di dio, da dio…. ( sempre caro mi fu quest’ermo colle…) e anche tutti gli altri versi sono così: perfetti, limpidi come l’acqua. Che c’è di più semplice dell’acqua … Il canto di Leopardi è un canto d’acqua. Rende giustizia a Giacomo: gli avrebbe battuto le mani anche lui, se fosse stato là. Perché Leopardi non è un poeta d’amore e di donne appena intraviste, ma è uno che medita sulla vita e sulla morte, sul senso della vita. Gioca Camilleri, continua a spiazzare l’uditorio. Ritorna al dialetto, alla sua ricchezza: parla di Giovanni Falcone e degli interrogatori che faceva in stretto siciliano, per creare intimità e complicità. Parla della differenza tra lingua e dialetto. Ribadisce la bellezza e la ricchezza della lingua italiana. “ i dialetti sono come giacimenti auriferi” a cui ricorrere, quando è necessario. Avrei voluto dirti che è stato cosi per noi, caro Camilleri. Che siamo ricorsi al dialetto perché non abbiamo più una comunità. Perché viviamo in un luogo mentale che chiamiamo “ L’Aquila “ che però, in questo momento, non c’è. E’ un luogo virtuale che raccoglie i nostri ricordi, pezzi di vita, anni, momenti, secondi, nomi visi e facce, scorci e colori, atmosfere e stagioni..ma come faccio a spiegartelo... come... di quella canzone, già il solo titolo mi commuove. L’Aquilabellamè. Tutto attaccato perché sennò non si capisce, tevogliorevedè…Si, come si dice a una persona cara, che non si vede più da tanto tempo: tevogliorevedè perché la nostalgia certe volte è come la foschia e ti oscura gli occhi. Perché è dura vivere come stiamo vivendo da anni. Perché il nostro tempo e il nostro spazio è stato sparpagliato, portato altrove, polverizzato. Perché ci hanno sparigliato le pagine, spostato le case e le carte in tavola. Perché tutto questo ci ha torto l’anima e non solo i muri delle case. Caro Camillleri..tu stai lassù, su quel grande palco. Forse, come tanti altri, arrivi e te ne vai… Sta per chiudersi, per finire. Vorrei chiederti se sogni Moltalbano, la notte , se i tuoi personaggi ti vivono attorno e accanto come succedeva all’altro siciliano, Luigi Pirandello….La macchina da presa della giornata fa uno scarto improvviso: entra nei tuoi occhi, e la voce si commuove. “Aquilani rocciosi“ … ci definisci... e poi dici "aquilani, Vi auguro ogni bene. Vi auguro anni felici, perché ve lo siete meritato". Scoppia un applauso e un sentimento collettivo di identificazione. Grazie, vorrei dirti. Grazie. Anche questi sono i momenti in cui pulsa il cuore di una città che non c’è.
Patrizia Tocci
 
 

Il Fatto Quotidiano, 15.7.2011
Saturno
Meridiani, dopo Scalfari avanti c'è posto per tutti

Fabio Volo, Romanzi e racconti, Saviano, Le mille liste, Littizzetto, Tutte le opere, Cazzullo, Tutti gli articoli, Bongiorno, Aforismi, Il Gabibbo, Canzoni... Più che un attacco alla Mondadori l'elenco dei Meridiani 2012, nella versione del collettivo milanese Il Deboscio, sembra una satira generale.
Tant'è vero che esiste pure la parodia del catalogo Adelphi dove spiccano titoli come Maracaibo di Gerry Calà e Lo fistavo col Daytona di Fabrizio Corona. Difficile però non vedere una frecciata alla tendenza di pubblicare, nella prestigiosa collana Mondadori, nomi non proprio accostabili a Kafka o Dante. Come Tiziano Terzani, Eugenio Scalfari. E prima ancora Andrea Camilleri, Alberto Bevilacqua.
Trovare autori di valore assoluto risulta sempre più arduo e negli ultimi quindici anni si sono pubblicati più Meridiani che in tutta la storia della collana fondata nel '69 da Vittorio Sereni ma questo non spiega tutto.
[...]
Per Giulio Ferroni nella cultura contemporanea è in atto un ribaltamento nei canoni di valutazione: "Prevale il punto di vista del mercato. Chi vende - dice il critico - è considerato un grande scrittore. [...] E' incredibile!".
[...]
Renata Colorni dirige i Meridiani dal '96.
[...]
La Colorni tiene a sottolineare come i Meridiani aggiungano all'opera un lavoro critico e filologico innovativo a partire dalle "cronologie" che sono vere e proprie biografie: "Penso a [...] quella di Camilleri l'ha scritta Antonio Franchini. Abbiamo trattato Camilleri come un vero scrittore e non come un autore di intrattenimento".
[...]
Antonio Armano
 
 

Gazzetta dello Sport, 15.7.2011
«L'hanno giustiziato con un solo colpo alla nuca.» Montalbano arraggiava quando, alla televisione, scangiavano il verbo ammazzare con giustiziare
Sostiene Pessoa
Prima puntata
 
 

Basilicatanet, 16.7.2011
Lauria: Premio Mediterraneo ad Andrea Camilleri

Sarà la cinquecentesca Chiesa di San Giacomo, che accolse ed ispirò la luminosa vocazione del cardinale Lorenzo Maria Brancati, giunto nel lontano 1689 ad un passo dal papato, a fare da sfondo a Lauria alla serata di gala che vedrà l’assegnazione allo scrittore Andrea Camilleri del prestigioso Premio Mediterraneo. La manifestazione, giunta alla sua dodicesima edizione, organizzata dall’Associazione Mediterraneo , è caratterizzata ogni anno da una grande partecipazione popolare e dalla presenza di organi di informazione locali e nazionali. […] Il Premio è stato consegnato a Camilleri nella sua casa romana nei giorni scorsi dal presidente dell’Associazione Mediterraneo Antonino Amato. [...]
 
 

Gazzetta dello Sport, 16.7.2011
«Io stanotte resto qua» disse. «Voi astutate la luce, chiudete la porta e le finestre, mettete i sigilli. Si deve dare l'impressione che qua dintra non sia rimasto nessuno.» «E che motivo hanno quelli di tornare?» spiò Fazio. Allura iu pigliai u revòrbaru e ci sparai darrè al cozzo. Un corpo solo, come fanno coi condannati a morti.»
Sostiene Pessoa
Seconda e ultima puntata
 
 

il manifesto, 16.7.2011
Saggi - Da Quodlibet «Senza trauma. Scrittura dell'estremo e narrativa del nuovo millennio»
Lo sguardo di Giglioli su genere e «autofiction»
Punte di diamante del «ritorno al realismo» , i due filoni, nota il critico , eludono gli impacci posti dalla realtà Richiamando il «difetto di politica» che connota i nostri tempi, Giglioli segnala le responsabilità della critica attuale

Dire che un saggio è insieme agguerrito e brillante, agile e densissimo, potrà far cadere le braccia, ma tant'è: in omaggio al luogo comune secondo cui i luoghi comuni tornano sempre utili, sono queste le formule più adatte per mettere a fuoco il rilievo del libro appena uscito di Daniele Giglioli, Senza trauma. Scrittura dell'estremo e narrativa del nuovo millennio (Quodlibet, pp. 120, euro 12).
[…]
Anche all'interno dei filoni in esame, per nulla uniformi: per citare casi già apprezzati dai critici (Giglioli compreso), le opere di autofiction di Cordelli e Siti gravitano su un rapporto tra io e mondo mobile, complesso, che dà voce a sfere diverse della realtà; e per citarne uno dai critici invece disdegnato, l'acre umorismo dei primi Camilleri non si piega alle convenzioni di genere ma piuttosto le forza sottilmente dall'interno.
[…]
Clotilde Bretoni
 
 

17.7.2011
Di nuovo online!
Si sono concluse le operazioni di trasferimento del sito
 
 

La Sicilia, 17.7.2011
Stasera al Teatro antico di Taormina
«Cannibardo e la Sicilia», Camilleri rilegge con ironia l'Unità nazionale
Mimmo Mignemi: «Un successo straordinario. E malgrado i soprusi, noi siciliani ci sentiamo italiani orgogliosamente»

Dopo la trionfale accoglienza a Parigi e a Spoleto, stasera alle 21 debutta al Teatro antico di Taormina per TaoArte Cannibardo e la Sicilia prodotto dallo Stabile di Catania, diretto da Giuseppe Dipasquale e interpretato da Massimo Ghini, Mimmo Mignemi e Vincenzo Crivello. Tratto dai romanzi storici di Andrea Camilleri - La bolla di componenda, Il filo di fumo, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, Il re di Girgenti - vi si racconta l'avventura di Garibaldi in Sicilia, l'entusiasmo suscitato nella popolazione che nel 1860 lo accolse come un liberatore e la successiva delusione per la politica post-unitaria che condannava il Sud all'isolamento culturale ed economico. Ma la storia di Garibaldi, eroe carismatico e affascinante, rimane su uno sfondo da cui si stagliano in chiaroscuro le vicende di piccoli uomini che anelano alla rivoluzione sociale e travisano il significato politico dello sbarco dei garibaldini. L'allestimento, nella forma dinamica della mise en espace, mentre conserva la curiosità storica, la provocazione intellettuale e il senso critico dell'opera di Camilleri, propone quadri di irresistibile comicità e di altissima poesia grazie anche alle musiche scritte ed eseguite da Mario Incudine.
«Lo spettacolo ha avuto un riscontro straordinario», spiega Mimmo Mignemi che, reduce dal successo personale con Amleto in trattoria di Achille Campanile, nella prossima stagione dello Stabile vedremo nella Mennulara di Simonetta Agnello Hornby, nel Teatrino delle meraviglie di Arrabal e ne 'A vilanza di Martoglio-Pirandello. «Abbiamo registrato il tutto esaurito. Ogni replica riserva sempre delle novità perché la struttura aperta della pièce ci consente una certa libertà di improvvisazione. Io faccio alcuni pezzi della Concessione del telefono e del Birraio di Preston. Ma c'è anche un'interessante introduzione affidata a Massimo Ghini che fa riferimento al carteggio tra Garibaldi e le forze nordiste degli Stati Uniti nella guerra di Secessione: si scopre che i borbonici aiutavano i sudisti e i Savoia inviavano forze al Nord».
Se Camilleri sollecita a rileggere l'unità nazionale senza le mistificazioni della retorica risorgimentale, al tempo stesso riafferma contro ogni tentazione secessionista il valore supremo dell'identità italiana delle popolazioni del Sud. «Grande affabulatore qual è, si diverte a descrivere il disagio dei funzionari del Regno d'Italia nel governare la popolazione siciliana della quale non conoscevano nulla. Però ci tiene a ribadire che, malgrado le dominazioni e i soprusi, noi siciliani restiamo spiriti liberi e ci sentiamo orgogliosamente italiani. Ecco perché il debutto a Taormina, prima tappa siciliana, ha un valore simbolico aggiunto. La sensazione esaltante per noi attori sulla scena del Teatro antico sarà come quella di un giocatore che segna un gol sotto la curva sud dell'Olimpico».
Giovanna Caggegi
 
 

Gazzetta dello Sport, 17.7.2011
«Lei come si chiama?» «E a lei che gliene fotte?» «Sono un commissario. Come si chiama?» «Filippazzo Michele. Vuole i documenti?» «No» disse Montalbano
Un caso di omonimia
Prima puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 18.7.2011
Erano le quattro del matino. Chiamò Livia per contarle tutta la facenna. «Un momento!» fece Livia. «Perché in quell'osteria hai risposto al telefono?» «Ma perché cercavano un certo Montalbano!» «Io macari» disse Montalbano. «Parlo io o parla lei?» «Parli lei» «L'unica persona a sapere che il piano era andato a monte era la signora Cosentino.»
Un caso di omonimia
Seconda e ultima puntata
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 19.7.2011
L'universo letterario dei "minori" recuperati

Ormai da molti anni, Salvatore Ferlita divide buona parte della sua attività di critico militante e di studioso della letteratura in due direzioni apparentemente opposte, ma che in realtà finiscono per congiungersi in un ideale circuito della marginalità minoritaria: da un lato la costante attenzione al presente, soprattutto nei ritmi serrati del giornalismo, della recensione a tamburo battente, con una generosa apertura al nuovo, all'emergente; dall'altro, una meticolosa ricostruzione del tempo perduto con un lavoro archeologico di scavo e recupero in cui s'intravede, al di là dell'acribia storica e filologica, una sorta di morale compensatoria, come un dovere di risarcimento nei confronti dei "sommersi".
Da questo doppio sguardo emerge, come in una camera oscura, il mondo in via di configurazione dei nuovi autori, ancora tutto da definire nelle sue potenzialità, nel suo sviluppo in fieri, e insieme il mosaico disperso di un passato più o meno remoto, più meno sepolto dalle sabbie dell'oblio.
La saldatura consente allora di mappare un universo magmatico che continuamente rischia di dissolversi. E se "i soliti ignoti" acquistano un sedicesimo di celebrità, agli illustri sconosciuti, non meno autorevoli che negletti, spetta un omaggio, magari tardivo o destinato anch'esso a trasformarsi in una laconica nota bibliografica.
L'ultima fatica di Ferlita, "Le arance non raccolte", appena uscito per i tipi dell'editore Palumbo, è un libro polivalente: è una rassegna critica di autori minori, ma anche un'antologia che potrebbe benissimo essere utilizzata nelle scuole, salvando alunni e insegnanti dalle scelte obbligate e scontate del tradizionalismo didattico.
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Il volume è corredato online di un apparato iconografico e di due interviste ad Andrea Camilleri e Massimo Onofri.
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Marcello Benfante
 
 

ViceVersa, 19.7.2011
L’assenza di Camilleri

L’11 giugno per il premio Letterario Castelfiorentino l’ospite d’onore doveva essere il maestro Andrea Camilleri, ma già da qualche giorno prima si vociferava una sua probabile assenza. La folla che aspettava d’ entrare nel Teatro del Popolo si domandava proprio questo. Quando poi la gente è entrata ha cercato di prendere i posti migliori, ed una signora non ha perso tempo nel chiedere all’ addetta se lo scrittore ci fosse, e quando gli è stato detto di no, ci è rimasta così male che ha esclamato: “allora posso andare via!!”. Ma è rimasta. Quando il palco è stato occupato dalle istituzioni e dalla giuria del premio, la Direttrice ha letto il comunicato della segretaria del Sig. Camilleri, che informava dell’assenza del maestro per cause legate alla salute e all’età, perché l’umidità della nostra zona avrebbe peggiorato le sue condizioni di salute e si scusava profondamente di non poter partecipare a un evento che lo vedeva come premiato speciale. Era molto rammaricato di questo. Dopo la lettura del comunicato hanno composto il numero di telefono e dopo pochi squilli la voce inconfondibile di Camilleri si è diffusa nel teatro silenzioso e subito è partito un vigoroso applauso che non finiva più, il maestro a ringraziato tantissimo del premio ricevuto e della medaglia di riconoscimento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ha più volte ribadito che è un premio a cui tiene e che era mortificato della sua mancata partecipazione e infine a precisato di essere ”un cittadino grato al Presidente della Repubblica” e gli applausi sono stati tanti anche in questo caso. Gli organizzatori hanno tamponato l’assenza del maestro mandando in onda un’intervista fatta proprio da Marco Marchi, il presidente della giuria, a Camilleri poco tempo prima nella sua casa romana. L’intervista è partita proprio dall’inizio della carriera del maestro; già a 6 anni sapeva leggere e scrivere e questo lo doveva al padre che era un buon lettore perché in quegli anni la tv non esisteva e la radio l’ascoltava poco e a lui piaceva leggere. Così, pensò di autocensurarsi ma il padre gli disse invece che poteva leggere tutto quello che c’era in casa. All’inizio gli piacevano i poeti, che lo turbavano e l’affascinavano nello stesso tempo. Gli autori che leggeva erano: Ada Negri, D’Annunzio, Marinetti e Ariosto; questi gli provocavano attrazione e così iniziò a scrivere al Duce, alla mamma, alla primavera era questa la triade d’ispirazione; poi arrivò l’approfondimento con Saba e Montale. Dovette fare un viaggio fino a Palermo per comprarsi un libro di Montale che si mise a leggere in treno e lo fece piangere.
Dal 1947 iniziarono le partecipazioni ai premi letterari, il primo fu con “Giudizio a mezzanotte” al premio Fabbri, nel 1948 alle Olimpiadi Culturali a Firenze dove si ritrovò al caffè Giubbe Rosse con autori come Niccolò Gallo. Poi si iscrisse all’Accademia di Regia dove il suo maestro gli insegnò a leggere le poesie. Il perché del dialetto nel suo scritto. Camilleri dice che essendo un piccolo borghese è quello che si usa in famiglia; il tono perentorio è in italiano, ma al momento che subentrano i sentimenti si usa il siciliano. Il suo romanzo preferito è “Il Re di Girgenti”, non un Montalbano, dove dice di essere ricattato dall’editore, perché appena esce un numero nuovo rivendono anche i libri più vecchi, allora è costretto a scriverne di nuovi. Cosí finisce l’intervista, dimezzata per l’ evento. Subito dopo c’è stata una lettura di un brano da “La presa di Macallè”, “Il sabato fascista”, letta dall’attore Giovanni Calcagno, che è stato molto bravo soprattutto col siciliano, il suo dialetto. Si è infatti congedato dicendo: ”Pensate che il mio paese d’origine è quello di La Russa”. Dopo la parentesi del maestro la serata è proseguita con la premiazione.
Monica Banchi
 
 

Solo Libri.net, 19.7.2011
La gita a Tindari – Andrea Camilleri

Nelle prime pagine de "La gita a Tindari" (Palermo, Sellerio 2000), la curiosità è attratta dai ricordi giovanili di Montalbano: sessantottino, ma distante da posizioni estremistiche. Ora, da commissario, lo ritroviamo fortemente critico dell’imborghesimento che, nel corso degli anni, aveva catturato i compagni d’un tempo. E’ la solita telefonata a fare cambiare scenario. Danno il via all’azione poliziesca il delitto di un giovane, Nenè Sanfilippo, e la scomparsa di due anziani coniugi, Alfonso e Margherita Griffo, che abitano nello stesso stabile dell’ucciso e si erano recati a Tindari, partecipando a una gita organizzata. E’ una bella studentessa universitaria, che per l’occasione vendeva sul pullman articoli casalinghi, a darne qualche notizia nella fase investigativa. Il loro comportamento, riferisce, manifestava segni di preoccupazione. Inoltre, la ragazza ritiene che al ritorno, dopo una fermata di sosta da loro stessi richiesta, i due non erano risaliti. A rendere lo svolgimento dei fatti più mosso è il rapporto tra Salvo Montalbano e il suo vice Mimì Augello. Se la prende Salvo appena viene da questi informato che intende trasferirsi in altra sede per motivi sentimentali. Eppure, lo spirito di corpo è talmente solido che Mimì ritira la domanda quando si rende conto che il questore Bonetti-Alderighi ne vorrebbe approfittare per smantellare il commissariato di Vigàta, da lui considerato una “cricca di comunisti”. Di rilevante spessore narrativo è l’incontro, per la verità del tutto illegale come gli farà rilevare il superiore, tra il nostro commissario e il novantenne Balduccio Sinagra, capo mafia e rivale dei Cuffaro. A farsi evidente nelle parole del malavitoso, ostile ai mutamenti introdottisi nell’organizzazione della cupola, è la differenza tra la vecchia e la nuova mafia. Nel contempo una sua confidenza infittisce l’intreccio. Quale e in che senso?
Montalbano conduce indagini a tappeto, sviluppa sottili ragionamenti, ed è ai piedi di un ulivo saraceno, archetipo della memoria generazionale, che riesce a scorgere il collegamento tra gli elementi di questo giallo, in apparenza disuniti. A facilitargli l’intuizione è l’osservazione di tre rami che si diramano dallo stesso punto, da “una specie di grosso bubbone rugoso che sporgeva dal tronco”. Analogamente, i casi su cui sta lavorando, così egli riflette, hanno un’unica origine. L’assassinio, poi, di Japichinu, nipote del Sinagra, provoca in lui tante considerazioni. Altri personaggi fanno intanto la loro apparizione e indirizzano l’attenzione a fatti di ampie proporzioni. Le ipotesi non mancano, ma bisogna trovare le prove atte alla loro convalida. Quale la mossa che porterà alla verità sui fatti misteriosi sempre più intrecciati? L’opera cambia spesso direzione, include molteplici aspetti: erotico-passionali, vedute psicologiche, illeciti fortemente inquietanti, riferimenti colti (Manzoni, Conrad) che, oltre a dare di Montalbano l’immagine del raffinato lettore, spingono a saperne di più attraverso l’attivazione di itinerari intertestuali. La scrittura si distende nella varietà dei dialoghi; si vivacizza nella tipizzazione dei personaggi; si accende negli snodi dell’azione e rallenta il respiro fino a provocare il bisogno di pause. Romanzo, in conclusione, di composito registro linguistico La gita a Tindari, dove impegno e trionfo della coscienza civile fanno coltivare sentimenti di riappacificazione con sé e con gli altri.
Federico Guastella
 
 

Gazzetta dello Sport, 19.7.2011
«Beh, non è detto che significhi qualcosa. Fammi un piacere. Piglia una lampada forte, fatti accompagnare da Galluzzo e andate al bunker»
Catarella risolve un caso
Prima puntata
 
 

Libri su libri, 20.7.2011
Il gioco degli specchi, di Andrea Camilleri. La recensione
Per i gialli dell’estate questa settimana La cantina propone la recensione de Il gioco degli specchi, di Andrea Camilleri, edito da Sellerio. Qualche nota stonata ma pur sempre un giallo godibilissimo.

Oddio un altro Camilleri, un altro Montalbano. Dopo 16 romanzi incentrati sul mitico commissario siciliano, d’istinto qualcuno tra i lettori, anche tra i più affezionati, potrebbe avere un velo, se non di fastidio, quanto meno di uggia alla notizia dell’arrivo sugli scaffali dell’ennesima avventura del personaggio portato al successo in tv da Luca Zingaretti.
E anche se le vendite al momento dicono il contrario, i motivi per tediare il nostro lettore immaginario in teoria ci sarebbero tutti, a cominciare dalla ripetitività della cornice e dei personaggi.
Il gioco degli specchi, l’ultima fatica di Camilleri, ripropone infatti un Montalbano avvinghiato come sempre alla sua Vigata (alias Porto Empedocle), ai suoi Fazio, Catarella, Augello, alla sua sempiterna (e senza alcuna speranza di un cambio di status) fidanzata ligure, alle pantagrueliche mangiate da Enzo e alle non meno smodate cene a base di manicaretti siculi che la fida Adelina gli fa trovare a casa la sera.
E dire che persino un autore come Simenon qualche volta ha sentito l’esigenza di spostare il fondale delle indagini di Maigret da qualche altra parte (es. Le vacanze di Maigret). Camilleri da questo orecchio invece sembra proprio non volerci sentire e la ragione di un attaccamento così ostinato a Vigata e dintorni sta forse nel fatto che altrove Montalbano dovrebbe parlare in italiano, cosa che il suo creatore non vuole assolutamente.
Per la gioia dei traduttori esteri, infatti, è notorio che Camilleri usa ed abusa nei suoi lavori del dialetto siculo, talvolta mescolandolo all’italiano in un grammelot (linguaggio inventato, n.d.r.) efficacissimo e a cui la fortuna della serie è parecchio debitrice; talaltra, come nel Gioco degli specchi, scegliendo una linea “fondamentalista” che in certi frangenti ha messo in difficoltà (e, ad esser sinceri, anche lievemente innervosito) pure l’estensore di queste note, siciliano al cento per cento.
In quest’ultima sua fatica in effetti Camilleri pare aver francamente esagerato. In un Commissariato di Polizia è possibile che tra il dirigente e i suoi collaboratori qualche parola nell’idioma locale scappi sempre, specie in occasione di intermezzi scherzosi della vita lavorativa, ma è fuori discussione che il primo comunichi unicamente (o quasi) in quel modo con cittadini, colleghi e sottoposti.
Nel Gioco, poi, questa tecnica narrativa è talmente spinta agli estremi che pure lo scrittore dev’essersene reso conto, tant’è che ad un certo punto sull’argomento mette in bocca ad Arquà, funzionario della Scientifica di Montelusa (alias Agrigento) legato a Montalbano da reciproca e fortissima antipatia, una chiosa al vetriolo.
Ma le forzature camilleriane, a ben vedere, non si fermano qui. Ci sono in particolare altri due aspetti del Montalbano letterario (e, in questo caso, anche televisivo) che fanno a cazzotti con la realtà di un ufficio di Polizia.
Il primo è macroscopico, il secondo un po’ meno: nessun dirigente di Polizia si metterebbe in casa la madre di un pluri-pregiudicato come fa Montalbano con la signora Adelina e intratterrebbe con lei e con il figlio rapporti talmente confidenziali da cenarci insieme; nessun dirigente di Polizia rilascerebbe interviste così generose di particolari su delicate inchieste in corso come fa Montalbano con l’amico giornalista Nicola Zito.
E’ probabile che Camilleri queste cose le sappia benissimo e tuttavia preferisca continuare a servirsene, perché funzionali all’architettura complessiva delle sue storie e al peculiare “profilo” del protagonista. Nondimeno una maggiore aderenza alla realtà non guasterebbe.
Al di là di queste stravaganti deviazioni dalla deontologia dell’investigatore-modello, Il gioco degli specchi resta comunque un thriller godibilissimo, degno dei migliori capitoli della serie. I Montalbano più riusciti sono da sempre quelli in cui le mille corde, apparentemente slegate tra loro, di persone, fatti e circostanze si riuniscono all’improvviso in un unico ordito, svelando una ragnatela di intrecci e di motivazioni che nessuno all’inizio sarebbe in grado di immaginare.
Nel Gioco degli specchi, romanzo pienamente ascrivibile a tale felice filone, una strana coppia di vicini di casa del commissario -un marito perennemente assente per lavoro e una giovane e disinibita moglie che metterà a dura prova la sua proverbiale fedeltà- ed una strana sequenza di attentati dinamitardi di stampo mafioso a obiettivi apparentemente privi di significato, si riuniranno alla fine in un tragico ma coerente disegno criminale che solo l’intuizione, seppur tardiva, di Montalbano riuscirà a smascherare.
Perché tardiva? Perché il Montalbano del Gioco, unica novità in un contesto narrativo super collaudato, parzialmente diverso dal solito lo è: un Montalbano un po’“crepuscolare”, per la precisione, appesantito dagli anni che passano, meno lucido e brillante, consapevole dell’incombente vecchiaia.
Da segnalare, infine, il delizioso incipit: un nuovo incubo notturno del poliziotto ( anche questo effetto indesiderato dell’età non più “verde”), vittima in sogno di grottesche disavventure. Era già successo nel Campo del vasaio. Ma se lì c’era un Totò Riina nominato premier che gli chiedeva di diventare suo ministro dell’Interno, in quest’ultimo episodio c’è un medico psichiatra incaricato dal Questore di sottoporlo a visita e di tempestarlo di domande assurde per certificarne la sanità mentale.
Un avvio scintillante ed esilarante per un libro che non deluderà certo gli appassionati del genere, peraltro accorsi in massa ad acquistarlo. Forzature ed eccesso di dialetto a parte.
Francesco Caruso
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 20.7.2011
Il 29 luglio a Catania
Massimo Ghini al teatro greco-romano
Andrà in scena con «Cannibardo e la Sicilia» di Camilleri

Catania - Il 29 luglio al teatro greco-romano, Massimo Ghini si esibirà in «Cannibardo e la Sicilia» di Andrea Camilleri. In scena il siciliano Mimmo Mingemi e Vincenzo Crivello, accompagnati dalle musiche d'ispirazione popolare eseguite da Antonio Vasta. Lo spettacolo ripercorre la storia di Garibaldi e la Sicilia post-unitaria attraverso alcuni brani tratti dai cinque romanzi storici di Andrea Camilleri ("La bolla di componenda", "Il filo di fumo", "Il birraio di Preston", "La concessione del telefono", "Il Re di Girgenti").
La trama: L'autore siciliano traccia la breve parabola di un sogno, raccontando le speranze suscitate dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, l'entusiasmo con cui il popolo andò alle urne nell'ottobre del 1860, l'annessione dell'isola al regno d'Italia e le delusioni che invece suscitò la politica post-unitaria. La regia è di Giuseppe Dipasquale.
Camilleri, instancabile ricercatore di vecchi documenti, da cui prende spunto per le sue storie come "La concessione del telefono", ha sempre dimostrato un grande interesse per i risvolti e le motivazioni psicologiche dei suoi personaggi. Garibaldi è carismatico, affascinante, furbo, ha un clamoroso senso della comunicazione e della propaganda. Arriva con mille uomini, trova come alleati perlopiù contadini armati soltanto di bastoni chiodati, e batte un esercito di 100 mila uomini con 130 navi, facendo una sola battaglia vera, a Calatafimi.
Cristina Autore
 
 

Gazzetta dello Sport, 20.7.2011
«E quando sarebbe morta, allora?» «Da due mesi. Forse qualcosa di meno» «E che avrebbe fatto in quel mese di vita? Dov'è andata? Pare che nessuno l'abbia vista!»
Catarella risolve un caso
Seconda puntata
 
 

Dooyoo, 20.7.2011
Un buon Camilleri
Le ali della sfinge - Andrea Camilleri
Valutazione: 4/5
Vantaggi: Piacevole - da legger tutto d'un fiato
Svantaggi: Nessuno

In questo bel romanzo, da leggere tutto d'un fiato, ci imbattiamo in un Montalbano stanco ed inquieto, in crisi con la sua compagna storica, una Livia sempre più nervosa e sempre più lontana.
Il caso da affrontare questa volta è denso di confusione in cui chi dovrebbe essere nel giusto in realtà lo è solo di facciata e chi invece dovrebbe essere il personaggio negativo per eccellenza invece è solo un disperato che vive nelle tenebre cercando di non dar nell'occhio ed anzi fuggendo.
La sfinge non è solo nel titolo, ma è anche tatuata sulla scapola di una giovane donna dell'est, rinvenuta cadavere in una discarica, completamente nuda.
Quasi svogliatamente, Montalbano indagherà su quello che, a prima vista, sembra un delitto come tanti, uno dei tanti con cui ha già avuto a che fare.
Piano piano però la sfinge lo costringerà a darsi da fare, e la troverà tatuata sulle spalle di tante altre ragazze, tutte provenienti dall'Est tutte "salvate" dalla strada da un'associazione benefica che che però si rivelerà tuttaltro che farina da ostie!
Saviem77
 
 

Italica, 20.7.2011
La gita a Tindari

Le cifre del caso Camilleri sono sconcertanti e vieppiù lo divengono, col trascorrer del tempo: dovrebbero essere circa tre milioni le copie che l'anziano scrittore siciliano è riuscito a vendere negli ultimi anni, numeri ancor più sbalorditivi se li si pensa guadagnati in un paese ove da sempre l'editoria lamenta penuria d'acquirenti. Come i volumi che l'han preceduto, domina le classifiche da diverse settimane "La gita a Tindari" (Sellerio, pp.292, L.15.000), più recente avventura dell'ormai celeberrimo commissario Montalbano, qui chiamato a far luce su di un misterioso triplice omicidio: lo aiutano nell'indagine un vecchio ulivo contorto, la sua squadra, la svedese Ingrid, un libro di Conrad ed un Innominato senza pentimento. Raccontata come d'uso in una lingua ibrida, metà italiano metà dialetto siculo, la detection di questo Maigret di Trinacria, più colto, teso ed irregolare (più "nirbùso e squieto", direbbe l'autore) dell'originale, si svolge ovviamente nello scenario suggestivo dell'immaginaria Vigàta: di nuovo, c'è forse solo un incremento di ferocia, che annuncia "un'epoca di delitti spietati, fatti da anonimi, che avevano un sito, un indirizzo su Internet o quello che sarebbe stato, e mai una faccia, un paro d'occhi, un'espressione", tanto da far sentire l'atipico investigatore "troppo vecchio oramà". Poco amato dalla critica letteraria (con alcune significative eccezioni, Carlo Bo ed Angelo Guglielmi in testa), che forse non gli perdona il repentino e clamoroso successo (ma converrà ricordare che Camilleri esordisce con "Il corso delle cose" nel 1967, quando ha solo 42 anni: di gavetta ne ha fatta, ci sembra), il narratore di Porto Empedocle può contare sul durevole affetto dell'immensa sua schiera di lettori: meritato, ché questo Simenon degli aranceti, questo Graham Greene della calura conosce il segreto per coniugar cultura ed intrattenimento, bello scrivere e felice inscenare, in definitiva letteratura "alta" e "bassa". Quanti altri romanzieri italici, del presente o del passato, possono dir di se medesimi altrettanto?
F.T.
 
 

La Sicilia, 20.7.2011
Nuova fatica letteraria
Un racconto su Camilleri e Tinaglia fa ancora centro

Agrigento. Nuova fatica letteraria per il giovane filosofo, pedagogista e romanziere favarese Fabrizio Tinaglia. Il libro saggio-racconto su Andrea Camilleri, è stato giudicato degno di pubblicazione dalla casa editrice «Il Calamaio» di Roma. «Il nuovo volume - afferma l'autore - non è un saggio scientifico o universitario come lo è stato in passato, ma un libro che rientra nella letteratura per ragazzi, adatto anche per gli adulti. L'importante casa editrice "Il Calamaio", infatti, è specializzata in letteratura per ragazzi. Il libro è stato ritenuto subito di buon livello, semplice nello scritto proprio per essere adatto ai ragazzi, con tutte le caratteristiche per essere inserito in una delle prestigiose collane di narrativa. Sono molto felice, anche questa volta ho profuso molto impegno nella realizzazione di questo libro e i risultati sono arrivati».
t.a.
 
 

PerPetra, 21.7.2011
Arte contro l'assedio

Dal giugno del 2010 l’associazione Fotografi senza frontiere e il collettivo di artisti Windows From Gaza portano avanti il progetto Arte contro l’assedio. Si tratta di laboratori di pittura, fotografia e indagine giornalistica rivolti ai bambini e alle bambine della striscia di Gaza. L’obiettivo è restituire, attraverso il confronto, una visione di Gaza libera dai luoghi comuni, dalla diffidenza e dal pregiudizio. Le foto e le opere dei ragazzi, degli artisti di Windows from Gaza e di Fotografi senza frontiere diventeranno una mostra-installazione itinerante e un catalogo. Saranno accompagnate da un contributo di Andrea Camilleri (Arte di resistenza, pubblicato su Internazionale del 22/28.7.2011), padrino del progetto Arte contro l’assedio, sostenuto anche dall’Associazione Perpetra. Una selezione dei lavori realizzati dai bambini durante i laboratori saranno presentati a Roma e in altre città italiane.
Un progetto a cura di PerPetra Produzioni, Fotografi Senza Frontiere, Windows From Gaza e la partecipazione di Andrea Camilleri.
Con il contributo di Internazionale.
www.fotografisenzafrontiere.org
www.artwfg.ps
www.internazionale.it
 
 

Internazionale, 21.7.2011
Portfolio
Arte di resistenza
Il fotografo Giorgio Palmera ha ritratto gli artisti palestinesi di Windows from Gaza. Da questo incontro è nato il progetto Arte contro l’assedio, per educare i ragazzi di Gaza all’arte. Un intervento di Andrea Camilleri.

Cos’è l’arte e cosa spinge un artista a creare? Nella sua accezione più elementare si può dire che l’arte è un mezzo di espressione e di comunicazione connaturato all’essere umano. Già l’uomo primitivo disegnava, scolpendole sulla roccia, figure di bufali per indicare che nelle vicinanze si trovavano mandrie da cacciare. La cosa interessante è che disegnava in forma stilizzata, realizzando una figura che non fosse solo un “affare con quattro piedi” bensì una forma riconoscibile , “il bufalo”, distinguibile da un cavallo o da un altro quadrupede. In quella forma c’era già il principio di un concetto artistico, la stilizzazione, una stilizzazione operata senza che si perdesse però il contatto con la realtà.
Già questa era una primitiva forma d’arte. L’artista cerca, da sempre, di oggettivare una sua esperienza, una sua urgenza di comunicare. Così, attorno a questo suo messaggio, ha una larga possibilità di consenso, nel significato etimologico del termine di “senso con lui”. Anche l’arte più raffinata ha sempre in sé qualcosa che colpisce. Basta pensare alla Maestà di Duccio, così ferma e conclusa nella sua perfezione, e a ciò che accadde nel momento in cui il dipinto uscì fuori dalla bottega del pittore e attraversò le strade per arrivare al Duomo di Siena.
Una descrizione straordinaria, che ho avuto la fortuna di leggere in una cronaca dell’epoca, parla di una processione di persone, di una folla intorno che piangeva e si commuoveva e addirittura di interi balconi abbattuti per far passare l’opera. In tutto questo può essere individuato il momento assoluto dell’arte, quando la comunicazione raggiunge in pieno la moltitudine di genti. Sempre in Italia accadde una cosa simile quando furono tirati su dal mare i bronzi di Riace. Davanti alla galleria che li ospitava, per giorni e giorni si osservava una fila interminabile di gente che pazientemente attendeva, in coda, di ammirarli. È un episodio che ci fa comprendere il significato profondo della validità universale dell’arte.
Una storia assolutamente autentica esprime al meglio questo concetto. Un caro amico, grande fotografo di arte, Pasquale De Antonis, fu incaricato dal primo ministro indonesiano di realizzare un repertorio fotografico di tutte le opere d’arte presenti in Indonesia. Si trattava di un lavoro lungo anni. Poco prima del suo compimento, lo informarono dell’esistenza di un artista naïf che viveva in solitudine . Era l’unico abitante di un’isola della quale aveva dipinto le piante e le pietre, come fece Antonioni per un suo film, fabbricando da sé i colori e i pennelli. Informarono il fotografo che bisognava documentare anche questo.
Fu così che con un idrovolante il mio amico si recò sull’isola chiedendo al pilota di fargli da interprete, visto che il pittore parlava soltanto il dialetto del posto. L’artista disse che avrebbe ceduto la sua capanna a Pasquale per dormire e questi, entrando, vide accanto al letto, la riproduzione della Gioconda ritagliata da una rivista. Il pittore, in realtà, non sapeva assolutamente che cosa fosse e chi l’avesse dipinta. Sapeva soltanto che era bellissima e che doveva tenerla sempre sotto gli occhi. L’arte è forse qualcosa che non sappiamo definire ma risulta innegabilmente empatica e meravigliosa.
Un artista non è mai figlio di un solo padre. Ne ha uno naturale che l’ha fatto nascere. E poi altri dieci, quindici padri che lui si è scelto. Sono i maestri, coloro che ci formeranno nella nostra educazione artistica. La bellezza di questi maestri è che non devono necessariamente avere il nostro stesso sangue, parlare la nostra lingua o essere nostri contemporanei. Possono essere vissuti svariati anni prima eppure li riconosciamo immediatamente come “padri” perché il linguaggio dell’arte è universale, non ha frontiere. L’arte negra sconvolse così tanto Picasso da far nascere il cubismo: dov’erano allora i confini? Per un artista è molto importante nutrirsi dell’interscambio, della conoscenza di quello che fanno gli artisti nelle diverse parti del mondo.
Oggi ci sono riviste e media che si occupano di arte, che ci informano e ci tengono aggiornati; ma quando questi strumenti mancano cosa accade? Durante il fascismo noi non sapevamo assolutamente nulla delle esperienze che si vivevano in Francia o negli altri paesi; eravamo diventati filonazisti e quell’arte era definita degenerata. I nostri pittori erano bravi a contrabbandare la buona pittura ma non avevano una conoscenza diretta dell’arte fuori dell’Italia. L’artista è come un albero che, se non riceve continuamente linfa vitale da tutte le parti, finisce col rinsecchirsi, morire o mettere poche foglie stente. L’artista necessita sempre della conoscenza del lavoro degli altri.
L’arte a Gaza
A Gaza esiste un’incredibile, inimmaginabile e fervente attività artistica di cui quasi nessuno sa niente. I mezzi d’informazione non ne parlano, preferendo dare notizie di morti e distruzioni invece di segnalare le molteplici manifestazioni di chi lotta pacificamente ed esistenzialmente in nome dei valori dell’arte. Cosa spinge gli uomini che abitano questa terra disgraziata alla necessità assoluta di esprimersi attraverso l’arte? Credo che l’arte sia, per queste persone, un grido estremo di speranza e di voglia di esprimersi, di conoscersi, di stringersi in un abbraccio che nasce da una società assediata incapace di intravedere soluzioni politiche a breve o medio termine.
Mi sono subito appassionato agli artisti che operano in questa massacrata terra, dove avviene una vera e propria sperimentazione in corpore vili, non solo di armi sempre più perfezionate bensì di qualcosa di assai più tremendo: il tentativo di distruzione dell’uomo attraverso la distruzione del suo sistema psicologico, del suo sistema nervoso, che gli sottrae progressivamente la certezza non solo della sua esistenza ma anche di quella degli affetti a lui più cari. Questa sperimentazione in atto a Gaza non è nient’altro che la possibilità della mutazione psicologica dell’individuo che subisce tale perversione. Incontrando gli artisti di Gaza ho compreso che per loro fare arte è una necessità, un’urgenza e soprattutto una concreta forma di sopravvivenza e di reazione. L’unica contro-guerra che queste persone sono in grado di esercitare in quelle condizioni con armi volutamente ed esclusivamente pacifiche.
Sostenerle, allora, significa partecipare a una guerra, la loro guerra quotidiana, fatta in nome dell’arte, con l’arte e attraverso i mezzi dell’arte. Quello che mi ha colpito di molti di questi artisti rispetto a quelli europei è il fatto che abbiano sempre un occhio attento all’educazione del loro avvenire, che non è più tanto, e non solo, il loro ma è l’avvenire dei figli e il loro orgoglio. È incredibile e meraviglioso constatare quanti si dedichino all’educazione artistica dei bambini, dei meno fortunati, dei menomati o malridotti di guerra, riconquistandoli attraverso l’arte per creare un futuro e far sì che essi diventino gli uomini di domani. Quest’arte, quindi, non solo combatte con le sue armi ma si preoccupa, con estrema intelligenza, anche del futuro.
Assume oggi, forse, il ruolo più sociale che si possa assegnarle. Se riuscissimo a fare uscire questi artisti da Gaza per qualche tempo, per farli conoscere in Italia e per mostrargli il lavoro degli artisti italiani sarebbe un enorme arricchimento reciproco. Perché nell’arte si prende e si dà, anche sapendo di non dare. L’arte può essere espressione di sé, bella e pacifica ma in certi momenti può anche acquisire un valore aggiunto. Per gli artisti di Gaza è, oltre che una necessità, un dovere sociale. Un modo per dire che, malgrado la cenere sparsa sulla città, nelle sue viscere continua ad ardere un immenso fuoco. Occorre mantenere viva la fiamma dell’espressione migliore di un popolo, e in questo senso parlo di “resistenza”, che non deve essere per forza armata o passiva. Non sempre chi fa lotta politica, magari violenta, riesce a comprendere quanto sia valida e forse più utile la resistenza attraverso l’arte, che è un continuo work in progress.
Si tratta di un contributo importante, anche se delegittimato o misconosciuto in patria. Non sempre chi detiene il potere ha piacere che i cittadini o i sudditi siano un passo più avanti di lui – o rischino di esserlo. I tagli che si operano a danno della cultura vengono fatti proprio per evitare che, per mezzo di essa, si acquisisca coscienza di sé, si abbia consapevolezza dei propri doveri ma anche dei propri diritti. Un popolo colto è un popolo pericoloso perché è una potente valanga rischiosa per i governi. Rappresenta la possibilità di mettere continuamente in funzione il cervello del popolo che, per evidente egoismo e comodità dispotica, è meglio tenere assopito, attraverso spettacoli leggeri, quiz, reality. Qualunque mezzo purché non si pensi. Perché il pensiero, la cultura, l’arte, contengono quella parte di verità che può essere rivoluzionaria e la parola “rivoluzione” non è mai piaciuta a chi detiene il potere.
Gli artisti e la guerra
Ho vissuto sotto una dittatura durante i miei primi diciotto anni. Sono stato in carcere soltanto per 48 ore e non è certo un’esperienza che abbia segnato la mia vita. Avevo diciotto anni appena compiuti e gli americani, per equivoco, mi mandarono al San Vito, il vecchio carcere di Agrigento. Quindi, anche se non posso dire per esperienza personale quello che accade in una simile condizione, l’artista che viene incarcerato non è sicuramente nella possibilità di esprimersi. I poeti, però, fanno eccezione. Abbiamo opere notevolissime scritte in carcere: le Poesie d’amore di Nazim Hikmet, La ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde o Diario di un ladro di Jean Genet. Per un artista che non sia poeta o scrittore la situazione appare invece molto diversa. Un pittore, uno scultore o un fotografo, in carcere viene privato dei mezzi per esprimersi anche se ha sempre la necessità e l’urgenza di farlo. Un pittore, uscito dal carcere, dipingerà molto probabilmente delle tele che in sé recano e comportano la memoria del carcere subìto.
L’arte, diceva Marx, è il risarcimento che viene dato all’uomo. Proprio come avviene quando si paga in moneta un danno provocato, l’arte risarcisce l’uomo del danno della vita. Credo che questo bellissimo concetto esprima in pieno il senso dell’arte. Nella storia, l’artista ha sempre avuto orrore della guerra e non ce n’è mai stato uno che, se doveva ritrarre fatti di guerra, abbia provato un minimo di compiacimento per ciò che faceva. Basta pensare a Il sonno della ragione genera mostri di Francisco Goya, a Guernica di Picasso, a Gott mit uns di Renato Guttuso. La guerra è uno stato innaturale dell’uomo, mentre l’arte è la più alta espressione del suo stato naturale. Esiste sempre una partecipazione umana dell’artista, alla denuncia di ciò che avviene. Di fronte alla guerra l’artista non può che denunciarne l’orrore, l’imbecillità, l’insensatezza.
È chiaro che nei regimi dittatoriali esiste una parte di non-arte che si spaccia per arte e che invece esalta le imprese belliche. Lo abbiamo vissuto con il fascismo, con il nazismo e con il comunismo. Una delle cose che più mi ha commosso, da parte di un artista, è il titolo che Capa volle dare alla sua raccolta di fotografie dello sbarco in Normandia. L’agenzia alla quale aveva mandato le foto le definì “belle ma leggermente fuori fuoco”. Quel leggermente fuori fuoco, che era innegabile, era l’emozione del fotografo davanti a ciò che vedeva, costituiva la sua umanità, parte integrante dell’opera d’arte. L’uomo che c’è in ogni artista prova sempre questa reazione di fronte alla morte violenta, alla guerra, all’orrore, alla tortura. Quando ci sembra che la cosiddetta oggettività dell’occhio fotografico sia freddamente obiettiva in realtà ci sbagliamo. Dietro l’occhio fotografico è sempre presente l’occhio dell’uomo, ovvero dell’artista.
Andrea Camilleri
 
 

Sapere.it, 21.7.2011
Il gioco degli specchi, di Andrea Camilleri

Di cosa parla…
Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri vede protagonista, ancora una volta, il commissario Montalbano. Il gioco degli specchi è un giallo che prende avvio dal sospetto: il celebre poliziotto di Vigata ha infatti la strana sensazione di essere osservato e manovrato. Montalbano non si trova solo a dover risolvere una storia di mafia, ma un labirinto di piste false e misteri che riusciranno a confondere persino la sua innata astuzia. Un romanzo in cui ad intrecciarsi sono due filoni narrativi:
un romanzo giallo in cui alla matrice di mistero va ad intrecciarsi anche il rosa dell’amore.
Lo scoppio di una bomba in un magazzino abbandonato è il motore dell’azione: chi sono i responsabili? Perché la ragazza che abita nei pressi del magazzino cade tra le braccia di un frastornato commissario Montalbano? Una storia densa di pathos e suspance che, sullo sfondo della Sicilia di Vigata, saprà catturare l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina.
Dove leggerlo…
Il classico giallo estivo da mettere in valigia, adatto soprattutto a chi non ama prendere il sole ascoltando la musica ma preferisce immergersi in una storia densa intricata. Tra un capitolo e l’altro è consigliabile concedersi una pausa con un bagno in mare per non finire subito il libro e, allo stesso tempo, rinfrescarsi un po’.
Perché leggerlo…
Un romanzo che riuscirà a soddisfare le aspettative sia dei fan più sfegatati del celebre commissario, sia di coloro che pensano di non amare i gialli. Con “Il gioco degli specchi” anche i più diffidenti sapranno apprezzare a pieno la penna di Camilleri, capace di catturare il lettore in trame dense e piene di sorprese.
 
 

TNT Village, 21.7.2011
Andrea Camilleri
Gran Circo Taddei e altre storie di Vigata

“Una sorta di campionario di uomini e donne di Sicilia”, queste le parole di Andrea Camilleri a proposito del suo ultimo libro Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta. Una definizione puntuale della raccolta di storie pubblicata da Sellerio. Otto racconti lunghi, micro romanzi, che definiremmo forse meglio come novelle, limitrofe spesso al luogo letterario della burla. È come se ogni sera ci trovassimo riuniti per ascoltare una storia, una leggenda, una barzelletta che la memoria del narratore restituisce sempre piena di straordinaria suggestione. Il dialetto siciliano irrobustisce questo senso di trasmissione orale, di commedia. Una sorta di racconto cornice del Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta è rappresentato dall’ambientazione temporale: gli anni del Fascismo e della successiva caduta del regime, con la nascita dell’Italia Repubblicana. In Gran Circo Taddei la Storia è un convitato silenzioso, ma sempre presente, qualche volta lascia i bocconi più amari ai protagonisti, qualche volta sono i protagonisti a prendersi una rivincita nei suoi confronti. La bravura di Camilleri sta proprio nel riprendere il momento storico consegnando di volta in volta la macchina da presa a uno dei suoi personaggi. Per esempio nel racconto La fine della missione, Mariannina si lamenta perché il fascismo punisce chi non concepisce dei figli o premia chi invece ne mette al mondo molti, come se l’infertilità fosse una colpa. Mariannina e altre donne di Vigàta, non esistendo allora la fecondazione assistita, ricorreranno a rapporti extraconiugali, a volte anche col consenso dei rispettivi mariti. Perché c’è in ballo il sussidio, un’eredità, la promozione, la benevolenza del partito. Insomma Andrea Camilleri sbeffeggia il machismo meridionale e l’ideologia fascista, attraverso elementi boccacceschi. L’erotismo è sempre molto presente. Uomini e donne, vecchi e giovani, desiderano, tradiscono, si prendono con una fisicità anche animalesca e quando incontrano il sentimento, lo vivono con grande passione. Lo schema narrativo delle otto storie prevede quasi sempre una risoluzione finale, lo svelamento dello scherzo, le tessere trovano ognuna il proprio posto nel mosaico. Tornando alla definizione di Camilleri, in queste pagine prendono vita maschere di una commedia dell’arte, abbandonano le assi del palcoscenico e scendono per le strade di Vigàta. Gelosi, furbi, imbroglioni, maneggioni, irascibili, corteggiatori, amanti della bella vita, traditi e traditori, infelici, eroi e prepotenti, avvocati e contadini, comunisti, fascisti e uomini di Chiesa: Camilleri procede per racconti ma ci consegna un romanzo popolare dall’ironia provocante.
 
 

Gazzetta dello Sport, 21.7.2011
Catarella risolve un caso
Terza puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 22.7.2011
«Diceva che al momento dell'investimento Cascio aveva tanto alcol a bordo da imbriacare un esercito. Era tutto lordo di vomito»
Il gioco delle tre carte
Prima puntata
 
 

Gli Esperti, 22.7.2011
Andrea Camilleri - Il gioco degli specchi
L'ultima indagine del Commissario Montalbano. Tra inganni e apparenze, ancora una volta Camilleri ci regala un'indagine poliziesca affascinante ed avvincente.

Il gioco degli specchi, ultima fatica "montalbaniana" del maestro Andrea Camilleri, è sicuramente uno dei più riusciti tra gli ultimi romanzi dedicati all'ormai celeberrimo commissario. Camilleri riesce sempre a farci amare non solo il protagonista, ma anche tutti i suoi collaboratori che tra l'altro, per molti, hanno ormai la faccia degli attori (primo fra tutti Luca Zingaretti) della bellissima serie televisiva prodotta dalla RAI. Camilleri ha la capacità di immergere il lettore in un mondo che conquista subito sia chi non lo conosce ancora, sia chi di Montalbano sa vita morte e miracoli.
Il gioco degli specchi fin dal principio si carica di mistero, aumentato dalla presenza, ormai abituale, di una affascinante e misteriosa dark lady che non manca di colpire la sensibilità del nostro commissario, la cui relazione a distanza con la storica fidanzata Livia sembra sempre più stanca e allentata. Il romanzo si snoda per tutto il suo percorso come una serie di affermazioni e smentite, di cose che sembrano ma non sono... Un gioco di specchi insomma! L'indagine parte, come spesso accade in Montalbano, da un fatto quotidiano, apparentemente innocuo e del tutto estraneo a qualsiasi ipotesi di sospetto, per poi assumere in breve tratti sempre più cupi e comunque inquietanti. Chi è questa bella signora? Cosa si nasconde dietro agli attentati dinamitardi fatti ad un magazzino vuoto? Qualcuno ha cercato veramente di eliminare Montalbano? Domande a cui il protagonista, insieme agli uomini del suo commissariato, cercheranno di rispondere tra mille dubbi e difficoltà. Il tutto, come sempre in Camilleri, condito di un'atmosfera mediterranea rarefatta e intensa al tempo stesso: un Mediterraneo quasi antico, anzi, arcaico, fatto di paesaggi assolati e riarsi, ricco di memorie e malinconia quasi come le rovine di una civiltà. Senza ovviamente rinunciare all'ironia dissacrante e sardonica, tipica dello scrittore siciliano.
Bertrando Goio
 
 

Zebuk, 22.7.2011
Il sorriso di Angelica, Andrea Camilleri
La porta si raprì e al commissario capitarono di seguito i tri seguenti fenomeni:
primo, leggero annigliamento della vista, secunno, sostanziali ammollimento delle gammi e, terzo, notevoli ammanco di sciato.
Pirchì la signura Cosulich non sulo era ‘na trentina di stupefacenti biddrizza naturali, acqua e saponi, ‘na cosa rara che non adopirava pitturazoni facciali come i sarbaggi, ma…
Ma era vero o era tutto un travaglio della sò immaginazioni?
Era possibbili che potissi capitare un fatto accussì?
La signora Cosulich era pricisa ‘ntifica, ‘na stampa e ‘na figura, con l’Angelica dell’Orlando Furioso, accussì come lui se l’era immaginata e spasimata viva, di carni, a sidici anni, talianno ammucciuni le illustrazioni di Gustavo Doré che sò zia gli aviva proibito.
‘Na cosa ‘nconcepibili, un vero e propio miracolo.

Il sorriso di Angelica avrebbe potuto avere come sottotitolo: Il Montalbano Innamorato.
Eh si.
Perchè in quest’episodio il nostro Commissario, durante le indagini per scoprire chi si nasconde dietro i furti in villa a danno di facoltosi abitanti di Vìgata, si imbatte in lei: Angelica Cosulich, giovane, bella, intraprendente e…somigliante come una goccia d’acqua all’Angelica letteraria, sogno proibito di un Montalbano adolescente.
L’ossessione per la donna procede di pari passo con le indagini, si mescola sapientemente alla vita privata e lavorativa del Commissario, lo riempie di dubbi e pure di rimorsi per la storica (e anche cornuta) fidanzata Livia.
Il rimorso è talmente tanto che, alla fine, le confessa il tradimento.
Insomma, gli ingredienti per incuriosire (e per divertire) ci sono tutti.
Riuscirà Montalbano a risolvere il caso?
E come finirà con Livia?
Ma soprattutto….perchè ogni volta che finisco di leggere un libro di Camilleri mi viene voglia di mettermi ai fornelli?
Silbietta
 
 

Giudizio Universale, 22.7.2011
L'esperanto di Andrej Longo
Se è vero che l'aspirazione massima di ogni scrittore è inventarsi una lingua che sia soltanto sua, allora l'autore di Ischia ci sta andando vicino: in Lu Campo di Girasoli il napoletano italianizzato dei libri precedenti diventa una 'fusion pan meridionale', che lo rende il suo lavoro ancora più interessante

Quelli che vogliono dare a intendere di saperla lunga, quando si trovano a parlare di Camilleri dicono “dialetto siciliano”, e subito si affrettano ad aggiungere: “che poi in realtà non è il vero siciliano, è un dialetto che non esiste, una lingua inventata”. Ma quando mai: lo stesso Camilleri ha più volte raccontato la genesi del suo stile, spiegando che si tratta della lingua parlata, un idioma misto di dialetto semplificato, gergo e italiano colloquiale, ripreso dalla pratica quotidiana. Di fatto, è la lingua oggi più diffusa nel centro e sud Italia, che ha abbandonato il dialetto puro anche nei paesini più sperduti, ma ne conserva termini inflessioni e costruzioni, ibridandole con l'italiano basic.
È la lingua che viene usata oltre che da Camilleri, da molti autori meridionali, con le declinazioni regionali del caso. Per esempio Andrej Longo, cinquantenne scrittore nato a Ischia, che prima di questo aveva pubblicato quattro libri, due romanzi e due raccolte di racconti collegati però da un senso unitario: il suo è un italo-napoletano fresco e incisivo, accessibile e affascinante. Anzi, era. Perché con Lu campo di girasoli Longo piazza il colpo gobbo: e da ricordi, studi, suggestioni e viaggi crea un dialetto, una specie di fusion pan-meridionale. Che nessun suddito borbonico riconoscerebbe come proprio, ma che tutti da Sperlonga a Gallipoli, da Agrigento a Campobasso potrebbero parlare. Questa sì, una lingua inventata.
[…]
Dario De Marco
 
 

Gazzetta dello Sport, 23.7.2011
Ma il commissario non lo stava ad ascoltare, si era susuto in piedi, lo sguardo fisso, la bocca aperta. «Che le pigliò dottore?» Il gioco delle tre carte
Il gioco delle tre carte
Seconda e ultima puntata
 
 

Gazzetta del Sud, 23.7.2011
Quel pescestocco dei tempi andati raccontato con gusto e sentimento
Da Cattafi che lo associa ai pirati barbareschi a Camilleri che apprezza la ricetta "missinisi"

È un pesce sentimentale il pescestocco, così sentimentale che si può provare a farci anche una madeleine proustiana. Troppo umile "lu piscistoccu" per l'esercizio struggente della ricordanza? Tutt'altro. Pesce nobile è il pescestocco, pesce d'amore, se nell'immaginario dei siciliani, anzi, per l'esattezza, dei messinesi, questo pesce-bastone (la resa italiana più esatta di stockfish) pur legnoso e secco come un manico di scopa, dall'odore penetrante e popolano, risveglia una sensucht tutta peloritana. Che non è solo mangereccia, ma è, appunto, sentimentale, di altri tempi, ormai perduti; un desiderio che fa male, tra un'intermittenza e l'altra del cuore, ancor più se si legge un delizioso libretto dedicato tutto a lui, sua maestà il re della cucina messinese (marcato stretto dal pesce spada). "Piscistoccu", edito da Pungitopo (pp. 199, euro 12), è una raccolta a cura di Lucio Falcone e Giuseppe Buzzanca.
sti sono di Edoardo Giacomo Boner, Andrea Camilleri, Bartolo Cattafi, Maria Costa, Mico Della Boccetta, Alexandre Dumas, Cristoforo Fioravante, Giuseppe Longo, Giuseppe Loteta, Nicolò Di Michel, Giusi Parisi, Ercole Patti, Walter Ignazio Preitano, Piero Quirino, Angelo Raffa, Vanni Ronsisvalle, Sergio Todesco, Luciano Tringali, Paola Zagami.
[…]
Il Montalbano di Camilleri apprezza l'antica ricetta "missinisi" pur essendo un gran mangiatore di pesce fresco.
[…]
Patrizia Danzè
 
 

La Sicilia, 24.7.2011
Camilleri racconta l'Unità d'Italia senza trionfalismi
Il «Cannibardo» venerdì al Teatro Antico di Catania per lo Stabile, con Massimo Ghini, Mimmo Mignemi e Mario Incudine e la regia di Giuseppe Dipasquale

Ogni generazione ha i suoi Maestri. La attuale ha Camilleri. Best seller nella narrativa, con le decine di suoi romanzi e telefilm è riuscito a portare nel mondo un'immagine accattivante della Sicilia al posto di quella straziante e cupa di un tempo; con il suo stile affabile e ampiamente inzuppato di dialetto è riuscito a conferire all'idioma siciliano quella dignità che Dante gli tributava e che poi per secoli gli fu negata e solo occasionalmente traspariva dai libri di Stefano D'Arrigo e Gesualdo Bufalino. Ogni suo libro è una grande occasione: per la critica militante nazionale, per quella internazionale che vi riconosce la nobile ascendenza di Dürrenmatt e Sciascia e per la cultura europea in genere, che vi legge la saggia interpretazione dei fatti alti e bassi, o infimi, della politica italiana, di come viene vissuta e interpretata dai maestri del pensiero e dall'opinione pubblica.
Il "Cannibardo", cioè Garibaldi, che ha curato per la scena sulla base di diversi suoi libri precedenti, è stato ovviamente un successo nazionale che venerdì 29 luglio viene presentato al Teatro Antico di Catania come appuntamento clou dello Stabile, nella congeniale interpretazione di Massimo Ghini, Mimmo Mignemi e Mario Incudine e con la intelligente regia di Giuseppe Dipasquale. Ne abbiamo parlato con lo stesso Camilleri in una lunga conversazione nella quale, non poteva essere altrimenti, spazia dal teatro alla letteratura, alla politica, al futuro di questa Italia che arranca in un modo di fallimenti internazionali paurosi.
"Il mio Cannibardo ricostruisce la storia dell'Unità senza trionfalismi, senza la falsa retorica dell'embrassons-nous, da cui molti sono stati presi. Non per demolire quello che è un mito ma per darne la giusta prospettiva, che possa servire per il futuro: per evitare gli errori che si sono susseguiti fino alla riforma Gelmini…".
- Ecco qua: la figura di Garibaldi esce dal quadretto oleografico che fino a ieri dominava nei libri per le elementari e diventa personaggio con le sue idee, con i suoi sbagli: lei ha osato perfino togliergli il cognome, facendolo diventare Cannibardo…
"Non esageriamo: il popolo in Sicilia lo chiamava proprio così con una venatura ironica, ma affettuosa. Noi siciliani siamo pudichi negli affetti, non ci piace dichiararli con enfasi: li rendiamo familiari, credibili…".
- E' vero: sono gli affetti più delicati quelli che durano di più. Come avveniva in quella commedia siciliana Troppu trafficu ppi nenti (1599) che Shakespeare scrisse nella lingua d'Inghilterra e che lei riportò all'eleganza della Sicilia aragonese, alla sua parlata siciliana illustre…
"E' stato uno scherzo che abbiamo immaginato con Giuseppe Dipasquale e destinato alle strade di Catania. Abbiamo voluto raffigurare lo spirito popolare, così come in questo Cannibardo sono inserite musiche popolari benissimo arrangiate ed eseguite da Incudine. E' la rappresentazione della vita vera dei Siciliani".
- Due commedie, variamente adattate da testi letterari: non ha pensato a scrivere una commedia che fosse tale anche nella sua prima idea?
"Non è così facile. Io iniziai la mia attività culturale proprio con una commedia…".
- Ne abbiamo letto i particolari goliardici nella intervista biografica con Marcello Sorgi…
"Gli spunti, le idee non mi mancano, ma appena scrivo 'Atto Primo', mi rendo conto che è meglio raccontare la vicenda anziché distribuirla tra i personaggi: l'ispirazione scenica diventa narrativa…".
- Come accadde anche al Verga che dopo avere scritto la commedia Dal tuo al mio, la riscrisse sotto forma di romanzo, forse per poterla sceneggiare a modo suo e non a modo dei capocomici con i quali non andava d'accordo…
"Forse è così, in ogni caso anche il romanzo Il nipote del Negus, adattissimo per il taglio scenico, è diventato un romanzo".
- Una curiosità: la sua bibliografia allinea decine e decine di titoli: come fa a scrivere tanto che un lettore professionale riuscirebbe appena a seguire dedicandovi di gran giornate?
"Scrivo molto. Mia moglie dice che sono come un corrispondente di guerra. Rifletto continuamente e poi stendo le pagine: quasi le detto a me stesso. Il momento creativo è la mattina presto. Quello della trascrizione può avvenire in un qualsiasi momento della giornata, anche in mezzo alla confusione, mentre i ragazzini fanno casino…".
- Ha ragione: per i letterati aulici i ragazzini "ruzzano", per quelli leopardiani "fanno un lieto romore", ma nell'Italia del 2011 fanno in piccolo quello che i parlamentari fanno in grande. Che ne pensa della politica attuale? Le chiedo questo non per scrutare nella sua posizione, (che è nota fin dalla militanza che le costò alcune difficoltà iniziali), ma perché lei ne inserisce tagli critici nei suoi libri, come in Giro di boa, sui fatti di Genova…
"Non ce lo possiamo nascondere, la situazione attuale è tragica, ma, come diceva mio padre, dobbiamo avere fiducia nello Stellone d'Italia…".
- Che ne pensa del dialetto come materia d'insegnamento?
"L'idea è buona, ma bisogna sottrarla ai politici. Il siciliano serve per dare linfa nuova all'albero della cultura italiana che minaccia di seccare. Già lo vediamo: nei consessi internazionali raramente è prevista la traduzione in italiano. Nella mia scrittura inserisco modi di dire, giri di parole fantastici, un concime che può favorire una tradizione letteraria sempre più sterile…".
- E' l'Italia che si è isterilita fin da quando il Regno fu unificato a spese della spontaneità popolare, solo mirando alla burocrazia e al fiscalismo. Lei adesso è alle falde dell'Amiata dove nel 1878 fu fucilato dai carabinieri l'ultimo dei profeti, Davide Lazzaretti.
"Sì ho sempre davanti agli occhi quei luoghi di fede popolare e di repressione armata. La storia d'Italia si è fatta così, ma non vedo l'ora di tornare in Sicilia, nella mia Sicilia, da cui manco da tre anni…".
- Sì maestro, torni presto, manco si figura quantu avemu gana di vidilla…".
Sergio Sciacca
 
 

ANSA, 24.7.2011
Libro per De Cataldo-Camilleri-Lucarelli
A settembre per Einaudi, tre storie di tre magistrati

Tropea (Vibo Valentia) - Tre figure di giudici, due frutto di invenzione e l'altro che nasce da un personaggio reale, come filo rosso che lega tre racconti scritti da altrettanti autori: il libro si intitola 'Giudici' e a dare vita alle tre storie sono le penne di Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli e Giancarlo De Cataldo. Ad annunciare la prossima pubblicazione del volume, a settembre, per Einaudi-Stile Libero e' lo stesso De Cataldo, a Tropea, in occasione del V Premio Tropea, di cui e' finalista.
 
 

Gazzetta dello Sport, 24.7.2011
«Senta, ragioniere. Cosa c'è in quello scatolone a sinistra?» «Lì? Pezzetti di spago assolutamente inutilizzabili» «E in quell'allato?» «Sacchetti di plastica o di carta già adoperati»
Pezzetti di spago assolutamente inutilizzabili
Prima puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 25.7.2011
«Montalbano sono. Mi sento mortificato a...» «Non si preoccupi, mi dica.» «Lei che birra beve?» «Si chiama Torrefelice.» «Mai sentita nominare.» «e se c'è qualche altro che li considera macari lui preziosi, tanto da farli arrubare?»
Pezzetti di spago assolutamente inutilizzabili
Seconda e ultima puntata
 
 

Gazzetta dello Sport, 26.7.2011
«In conclusione, sindaco, lei vuole sporgere denunzia per aggressione?» Guarnotta e Tortorici si taliàrono
Referendum popolare
Prima puntata
 
 

La Sicilia, 26.7.2011
Territorio. Le ali della fantasia
Chissà se Camilleri aveva mai immaginato che i suoi racconti si sarebbero trasformati in un successo internazionale
Ragusa, la provincia narrata attraverso le gesta e gli occhi del commissario Montalbano
Magiche emozioni da Donnalucata a Santa Croce Camerina, da Vittoria a Punta Secca, da Scicli a Ibla

Chissà se Camilleri aveva mai immaginato che i suoi racconti si sarebbero trasformati in una così famosa fiction televisiva, «Il commissario Montalbano», capace in poco tempo di appassionare milioni di telespettatori in più parti del mondo. Sicuramente non si sarebbe aspettato che l'immagine di Licata venisse legata in maniera indissolubile al territorio ibleo. Camilleri, inconsapevole protagonista di un'incredibile promozione turistica e territoriale, può sicuramente definirsi un ambasciatore della provincia di Ragusa.
Dalla sua sapiente penna hanno preso vita personaggi, luoghi, storie dall'incredibile vis cinematografica, capaci di creare e rievocare immagini di straordinario fascino. Montalbano, divenuto un alter ego dell'attore che lo ha interpretato fino a non molto tempo fa, Luca Zingaretti. Licata [Sic!, NdCFC], il suo commissariato, i vicoli, il mare, le spiagge, le case, dimore dei personaggi o scene del crimine, hanno preso forma, imponendosi nell'immaginario collettivo come luoghi ben precisi, facilmente identificabili: Ragusa Ibla, Punta Secca, Scicli, Donnalucata, Santa Croce Camerina.
La fiction televisiva prodotta dalla Palomar già dalla sua prima serie ha saputo catturare l'attenzione del pubblico italiano ed estero dando vita ad una vera e propria Montalbanomania. Nell'ultima serie ha sicuramente aiutato, nella guerra degli ascolti, contro il collaudato Grande Fratello, la presenza della show girl più acclamata del momento, la bella argentina Belen, che si è calata nei panni di una sensuale e provocante assassina - Dolores Gutierrez -, dando del filo da torcere al commissario. Ascolti record e piena soddisfazione della casa di produzione e del regista Alberto Sironi.
E all'entusiasmo della Rai, con un soddisfatto Del Noce, si aggiunge sempre quello degli abitanti della provincia di Ragusa. E' infatti innegabile per molti, l'orgoglio e la soddisfazione di vedere la propria terra raccontata per immagini, trasmessa davanti a milioni di telespettatori incollati alla tv per assistere agli avvincenti episodi che hanno come location gli affascinanti luoghi degli Iblei, contornati dall'ulteriore magia relegata dalle suggestioni della fiction di Montalbano. Da Scicli a Ibla, da Vittoria all'immancabile Punta Secca, con in luce anche alcuni attori siciliani, da Marcello Perracchio ad Angelo Russo, da Gianni Battaglia a Massimo Leggio e Carlo Ferreri.
E se fino a pochi mesi fa eravamo abituati non solo ai luoghi ma anche alle pietanze di Montalbano, con le famose arancine, adesso si potrebbe presto passare anche ai cannoli di Montalbano visto che nella nuova serie, quella con il giovane commissario, interpretato da Michele Riondino, sono proprio i famosi dolci siciliani a piacere ancora prima delle arancine. Del resto Montalbano fa promozione e fa cambiare tutto. Dopo la casa di Punta Secca, divenuta bed and breakfast, dopo i bar che hanno perfino cambiato nome proponendo il gelato del commissario, dopo gli arancini presentati nelle grandi occasioni tra Roma e Milano, l'ultima alla Bit, forse tra i simboli che usciranno dalla nuova fiction potrebbero esserci dunque proprio i cannoli.
I luoghi di Montalbano, che spesso corrispondono anche a quelli del barocco patrimonio dell'Umanità, sono del resto attrazioni che mai stancano, cui mai ci si abitua. Fascinazioni che continuano sempre a destare la curiosità della gente, che tornano ad essere argomento principale di discussione tra le conversazioni al bar della domenica mattina. La magia del set, l'emozione del ciak. Non importa che sia cinema o tv, tra la gente non si sente uno scarto tra grande e piccolo schermo. Sono irrilevanti le finalità di quelle riprese. L'importante è il set. E' il poter distinguere chi lavora al suo interno, individuare le varie figure. Vedere i voluminosi macchinari, annunciati a distanza già dai grandi camion dei service cinematografici.
Aggirarsi al di qua delle transenne, con la speranza di scorgere qualche volto noto. E l'attrazione è immutata, il fascino è senza tempo. Passano gli anni, ma le sensazioni rimangono immutate: ci si sente rapiti tra realtà e fantasia.
Michele Barbagallo
 
 

quiBrescia.it, 26.7.2011
Ospitaletto, omaggio musicale-teatrale a Camilleri

Stasera, alle 21,15, nella biblioteca comunale di Ospitaletto (Brescia), va in scena lo spettacolo teatrale-musicale “Vigata, andata e ritorno: dedicato ad Andrea Camilleri”.
Interpretato dall’attrice Barbara Mino e dal duo musicale Angel Luìs Galzerano e Sergio Lussignoli, la performance è un omaggio ai romanzi dello scrittore siciliano e ai personaggi dei suoi libri.
L’ingresso è libero.
 
 

Il Resto del Carlino (Pesaro), 27.7.2011
Urbino. Università. In lingue e letterature straniere. A breve l'annuncio, poi la data di consegna
Laurea honoris causa allo scrittore Camilleri
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Andrea Camilleri sarà insignito della laurea ad Honorem dell’Università degli Studi di Urbino: lo scrittore siciliano, padre del commissario più amato dagli italiani, ha già comunicato con una lettera di accettare il riconoscimento dell’Ateneo “Carlo Bo”. La laurea ad Honorem sarà tributata dalla facoltà di Lingue e letterature straniere, presieduta dalla professoressa Anna Teresa Ossani, che in passato ha riservato lo stesso massimo titolo a personaggi come il regista teatrale Luca Ronconi del 2009. Un colpo non da poco per l’Università di Urbino che attirerà sicuramente l’attenzione con la presenza dello scrittore.
[…]
La data per la consegna della laurea ad honorem ancora è da definire: il 3 agosto prossimo, il consiglio di facoltà di Lingue e Letterature straniere deciderà il conferimento, poi sarà tutto inviato al Ministero per la convalida del Ministro, cui seguirà la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ci vorranno sicuramente alcuni mesi per definire una data, da stabilire anche in base agli impegni dello scrittore, che tuttavia sembra abbia già dimostrato il suo apprezzamento per l’iniziativa dell’Ateneo e la volontà di ricevere di persona la la pergamena. …
Lara Ottaviani
 
 

Gazzetta dello Sport, 27.7.2011
«Perché la chiami signora?» «Non lo è?!» «Salvo, tu dici "signora" in un certo modo... È come se dicessi "buttana".»
Referendum popolare
Seconda puntata
 
 

Radio Rtm, 27.7.2011
Il programma estivo di Scicli. Il primo agosto Soledad Barrio

L’amministrazione comunale di Scicli ha reso noto oggi il programma estivo.
[...]
AGOSTO - Giovedì 11 “Camilleri a Scicli” – Letture e interpretazione nei luoghi di Montalbano in collaborazione con il Movimento Culturale V. Brancati
[...]
 
 

Nebrodi e Dintorni, 28.7.2011
Gli esordi del 'Commissario Montalbano' in 6 puntate girate in Sicilia

Palermo - Ciak si gira. L'assessore regionale al Turismo, sport e spettacolo, Daniele Tranchida sara' domani ad Acate al primo ciack delle riprese della co-produzione Rai-Palomar in associazione con Sicilia film commission-Sensi cinema "Il giovane Montalbano". La produzione, sei puntate da cento minuti ciascuna, e' tratta dai romanzi di Andrea Camilleri.
"La Sicilia- ha detto l'assessore al turismo Daniele Tranchida, - riparte con una co-produzione di grande prestigio. Si tratta in assoluto del primo accordo di associazione per una co-produzione. La Regione Siciliana per la prima volta ha una partecipazione agli utili per i diritti di distribuzione in Francia e in Germania della serie".
La fiction, ambientata negli anni 90, racconta gli esordi del commissario Montalbano, il suo primo incarico e il trasferimento a Vigata. Il rapporto fra il giovane Montalbano e il padre, il suo primo amore e l'incontro con Livia che diverra' poi la storica fidanzata.
Le riprese, 24 settimane, verranno effettuate oltre che nei luoghi che gli spettatori hanno conosciuto e amato nelle precedenti serie, anche in altre localita' della provincia di Ragusa, Siracusa e Agrigento.
Oltre ai consolidati rapporti con le aziende locali che negli anni hanno collaborato alle precedenti edizioni, la produzione si avvarra' di societa' siciliane per la fornitura di mezzi e materiali e per la logistica. Inoltre verranno impiegati in prevalenza professionisti locali, molti gia' formatisi nelle precedenti realizzazioni.
L'accordo per la prima volta prevede, oltre alla produzione della serie televisiva, anche una serie di iniziative collaterali di promozione del territorio, fra cui l'allestimento di un sito internet della serie che includera' oltre ai backstage, le foto sul set, la storia, i libri di Camilleri e il mondo che ruota attorno a Montalbano: le ricette dei piatti amati dal giovane commissario, con una selezione di piatti tipici locali e una sezione dedicata ai prodotti tipici siciliani, necessari per potere eseguire le ricette; i luoghi di Montalbano, con una selezione di itinerari turistici consigliati collegati ad altri siti sui quali poter direttamente acquistare i pacchetti turistici.
 
 

Trentino, 28.7.2011
La regina del piano gli uomini in frac e il mito Modugno
Ossana. Una all star con Peppe Servillo, Fabrizio Bosso e Rita Marcotulli rende un sentito omaggio in chiave jazz alla voce per eccellenza della musica italiana: Domenico Modugno. I Suoni delle Dolomiti, alle 14 in Val di Sole (Valpiana), oggi rendono un sentito omaggio alla voce per eccellenza del nostro panorama musicale con il progetto intitolato “Uomini in frac”. Oltre alla carismatica voce degli Avion Travel, il trombettista Fabrizio Bosso e la pianista Rita Marcotulli. E poi il sassofonista di origine argentina Javier Girotto, il mandolinista pugliese Mimmo Epifani, il contrabbassista Furio Di Castri e il batterista Cristiano Calcagnile. In questa intervista Rita Marcotulli, la regina del jazz italiano, racconta come è nato il progetto musicale.

[...]
Quali nuovi progetti in cantiere?
Sto preparando le musiche per un film a cartoni animati di Paolo Pietrangeli, dedicato ai 150 anni dall’unità d’Italia. Ci sono le voci di Camilleri, della Litizzetto. Non è un lavoro semplice, perché la musica ha un forte potere sulle immagini: può accentuare certe cose o cambiarne il carattere.
[..]
Giuseppe Segala
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 28.7.2011
L'Unità secondo Camilleri con l'epopea di Cannibardo

«Quando i nostri non arrivarono, Cannibardo si prese la Sicilia. Quando arrivò Cannibardo i Sabaudi si presero la Sicilia. Nulla era cambiato da quando gli Arabi si erano presi la Sicilia - dice scherzosamente Andrea Camilleri - Ora che è presa, la Sicilia è libera perché libero è lo spirito dei Siciliani». Dopo le anteprime di Parigi all'Istituto Italiano di Cultura, al Festival dei due mondi di Spoleto e a Taormina, domani sera alle 21 arriva al Teatro greco romano di Catania "Cannibardo e la Sicilia", spettacolo coprodotto da Teatro Stabile di Catania e Tunart. Il testo ripercorre la storia di Garibaldi e della Sicilia postunitaria attraverso alcuni brani tratti dai cinque romanzi storici di Camilleri - «La bolla di componenda», «Il filo di fumo», «Il birraio di Preston», «La concessione del telefono», «Il Re di Girgenti»- tracciando la breve parabola di un «sogno», raccontando le speranze suscitate dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, l'entusiasmo con cui il popolo andò alle urne nell'ottobre del 1860 e tributò così l'annessione dell'isola al Regno d'Italia, nonché le delusioni che invece suscitò la politica postunitaria. «La storia - ha affermato lo scrittore - ha detto che Garibaldi ha fatto la cosa giusta, ma al momento chi lo poteva sapere? Mettiamoci nei panni del regio impiegato postale, uno dei tanti piccoli borghesi di fronte a queste schiere rosse che danno la terra ai contadini, aprono le carceri liberando i "politici" ma anche i tagliagole, che infatti ritornano subito a essere tali, rivoltano insomma il mondo. Il generale diffida chiunque dal chiamarlo "voscenza", è libertario ma semina diffidenza e all'inizio non riesce a scalfire la saggia prudenza siciliana. C'è un nostro bellissimo detto che dice "Munno è, munno sarà". Come a dire: che c'è poi da cambiare? Tanto cambierà pochissimo. Sto Garibbaldo che vorrà?».
Lo spettacolo "Cannibardo e la Sicilia", con la regia di Giuseppe Dipasquale, le musiche originali di Mario Incudine eseguite dal vivo insieme con Antonio Vasta vedrà sul palco alternarsi Massimo Ghini, Mimmo Mignemi e Vincenzo Crivello. «Lo spettacolo ha avuto un riscontro straordinario - racconta Mignemi che recentemente ha interpretato "Amleto in trattoria" di Achille Campanile - Ogni replica riserva sempre delle novità perché la struttura è piuttosto aperta. È interessante poi l'introduzione affidata a Massimo Ghini che fa riferimento al carteggio tra Garibaldi e le forze nordiste degli Stati Uniti nella guerra di secessione: si scopre che i Borbonici aiutavano i sudisti e che i Savoia inviano forze al Nord».
Il Garibaldi, sicilianizzato Cannibardo, raccontato da Camilleri è carismatico, affascinante, furbo, ha un clamoroso senso della comunicazione e della propaganda, senza possedere televisioni: «Il mio Cannibardo ricostruisce la storia dell'Unità senza trionfalismi.
Non per demolire il mito ma per darne la giusta prospettiva, che possa servire per il futuro».
Massimo Ghini insieme con gli altri due attori interpreta una serie di figure che in qualche modo fecero l'Unità d'Italia.
«Racconto un pezzo di storia che si interseca con quello che ho iniziato due anni fa quando al Palazzo di Vetro dell'Onu lessi il carteggio tra Garibaldi e il presidente Lincoln - racconta Ghini - Poi mi ha colpito scoprire che Garibaldi era un vero sciupafemmine. Un aspetto tutto italiano. Non ci smentiamo mai».
Il biglietto costa 30 euro, ridotto sotto i 25 anni, invece, 16 euro. Per informazioni: www. teatrostabilecatania. it
Adriana Falsone
 
 

Gli Amanti dei Libri, 28.7.2011
Il gioco degli specchi – Andrea Camilleri
” Nonsi, dottori il burdello è per la scascioni che in quanto che dintra di essa lei, che sarebbi la macchina, esso lui, che sarebbi sempri Spinoccia, dissi che attrovavasi un morto in stato cataferico.”

Ebbene sì, il maestro Camilleri “c’inzertò” un’altra volta, regalando ai suoi lettori l’ennesima perla dal sapore tutto italiano, come ognuno dei moltissimi romanzi dedicati al commissario Montalbano.
A proposito di Montalbano… non è più tanto giovane, il commissario, oramai, e il peso degli anni inizia a farsi sentire molto più di quanto vorrebbe. Ed è forse proprio per questo che il geniale poliziotto trova tanto difficile… resistere alla corte, anche se palesemente fittizia, della bella torinese Liliana, sua vicina di casa sposata con un affascinante ed assente rappresentate di computer.
Il caldo, però, fa brutti scherzi e, come Camilleri insegna, la Sicilia di miraggi è maestra e la meravigliosa perla del nord potrebbe essere poco più di un riflesso in una casa di specchi del luna park cittadino.Tra lettre e telefonate anonime, loschi giri di droga e famiglie mafiose, il buon commissario e i suoi fedelissimi Giuseppe e Mimì ben presto si troveranno a non saper più dove sbattere la testa… ma si sa, l’intuito di Montalbano è unico e nessun criminale gli può sfuggire a lungo!
Ennesimo, nemmeno a dirlo, successo di Camilleri, il Gioco degli specchi è un giallo dalla trama fitta ed intricatissima che, però, non manca di quell’atmosfera così nostrana che è marchio di fabbrica di questo autore straordinario, che ormai da anni accompagna, con la sua scrittura scorrevole e divertente, anche se così particolare, i momenti di relax di migliaia di italiani.
I personaggi di Camilleri sono quelli che tutti abbiamo imparato a conoscere: il donnaiolo impenitente Mimì Augello, l’intuitivo e fedele ispettore Giuseppe Fazio, il buono e un po’tonto Catarella… tutti contribuiscono a creare il sapore unico di romanzi che non perdono mai la loro autenticità. Perché certo, Montalbano forse sta invecchiando… ma il suo pubblico cresce sempre e di lui non si stancherà mai.
Il mio consiglio, per chi volesse, con questo romanzo, avvicinarsi al mondo di Vigàta, è di non lasciarsi scoraggiare dal linguaggio, inizialmente forse un po’ostico, ma di lasciarsi trasportare nel sole di una Sicilia vera e pura ad assaggiare, insieme a tutti noi, popolo vigatese, gli immancabili arancini della “cammarera” Adelina.
Elisa Cugnasco
 
 

Gazzetta dello Sport, 28.7.2011
«Abbiamo trovato queste» fece Mimì scuro scuro tirando fora dalla sacchetta un paro di mutandine rosa
Referendum popolare
Terza e ultima puntata
 
 

Courmayeur Noir in Festival, 29.7.2011
Il Raymond Chandler Award 2011 ad Andrea Camilleri e Petros Markaris

Il Raymond Chandler Award 2011, massimo riconoscimento letterario del Courmayeur Noir in Festival, che ha visto premiati in passato grandi nomi quali John le Carré, John Grisham, Michael Connelly, riunirà quest'anno in un unico premio due delle più significative figure della letteratura europea: Andrea Camilleri e Petros Markaris.
Per la XXI edizione del Courmayeur Noir in Festival, in programma a dicembre nella località valdostana, il Raymond Chandler Award 2011 alla carriera letteraria raddoppia per rendere omaggio a due grandi maestri del genere che hanno molto in comune, a partire dalla stessa matrice culturale, quella mediterranea. Andrea Camilleri e Petros Markaris, entrambi sedotti dal racconto per immagini, hanno alternato alla scrittura di fortunati romanzi polizieschi quella per la televisione e per il cinema, avendo in comune non solo il genere e i tratti caratteristici dei rispettivi protagonisti letterari, il greco Kostas Charitos e il siciliano Montalbano, ma anche e soprattutto l'impegno civile, perché il racconto del delitto si facesse denuncia del marcio di tutta la società.
Il confronto tra i due grandi autori intende del resto sottolineare un'altra delle caratteristiche del Courmayeur Noir in Festival: l'attenzione alla dimensione sociale del giallo, il dibattito delle idee, la vicinanza ai grandi temi civili del nostro tempo, da sempre cari sia a Camilleri che a Markaris.
 
 

La Sicilia, 29.7.2011
Oggi a Catania
«Cannibardo e la Sicilia» al Teatro greco-romano

Catania. Dopo la trionfale accoglienza a Parigi e Spoleto, approda al Teatro greco romano "Cannibardo e la Sicilia", che porta la prestigiosa firma di Andrea camilleri. Data unica per lo spettacolo, coprodotto da Teatro Stabile di Catania e Tunart, quella di stasera alle 21. La regia è di Giuseppe Dipasquale, protagonista Massimo Ghini affiancato da Mimmo Mignemi e Vincenzo Crivello. La colonna sonora è di Mario Incudine sarà eseguita dal vivo con Antonio Vasta. Il lavoro ripercorre la parabola di Garibaldi e della Sicilia post-unitaria attraverso brani tratti da celebri romanzi storici di camilleri come "Il birraio di Preston" e "La concessione del telefono". «La storia - sottolinea camilleri - ha detto che Garibaldi ha fatto la cosa giusta, ma al momento chi lo poteva sapere? Il generale è libertario ma semina diffidenza e all'inizio non riesce a scalfire la saggia prudenza siciliana. Arriva con mille uomini, trova alleati un po' di contadini armati soltanto di bastoni chiodati, e batte un esercito di centomila. Così nasce la fama dell'eroe invincibile e il popolino non lo chiamerà più "Canebardo"».
 
 

Gazzetta dello Sport, 29.7.2011
«Ha avuto come un mancamento. Ha sbattuto la testa contro lo spigolo del tavolino. Forse si è rotto un dente, cosa di poco»
Montalbano si rifiuta
Prima puntata
 
 

BlogSicilia, 30.7.2011
Primo ciak per "Il giovane Montalbano"
L'intervista all'assessore regionale al Turismo, Daniele Tranchida, incontrato sul set de "Il giovane Montalbano", il prequel dell'amata serie televisiva
Cliccare per vedere il video
 
 

l’Unità, 30.7.2011
L’intervista
Il noir italiano? È il futuro
Serge Quadruppani: «I vostri scrittori affrontano temi di cronaca e attualità: hanno aperto la strada agli altri»
I più amati. Fred Vargas e Andrea Camilleri entrambi ai primi posti in classifica
Le affinità. Amano moltissimo i loro personaggi e ce li fanno amare
La realtà. Gli autori scandinavi ci avevano «avvisato»: vedi oggi la Norvegia
L’immaginario. È fondamentale, ci aiuta a scrutare le ombre dell’umanità

Calasetta (Cagliari). Nell’estate italiana da alcuni anni alcune cose sono sempre le stesse: il governo che sembra dissolversi e invece si tiene a galla mentre affonda il paese, gli scandali di case pagate da altri affinché i ministri non si sporchino le mani col denaro, altri che invece il danaro lo cercano sempre più avidamente. Alla lettura dei giornali gli italiani alternano quella dei gialli, dei noir, a sperare che l’ondata di giustizia, di soluzione dei problemi dalle storie di fiction passi al reale quotidiano. Guardi in spiaggia e vedi immediatamente la classifica delle letture più frequentate: Fred Vargas o Andrea Camilleri, il commissario Adamsberger o Salvo Montalbano. Così in attesa di incontrare in piazza alle 22.00 per «Parole sotto la Torre» Serge Quadruppani parliamo, per il giornale, di alcuni dei temi della fortuna della narrativa di genere fra Italia e Francia. Quadruppani oltre che autore di molti romanzi d’intrigo (gli ultimi sono Rue de la Cloche per Marsilio e La rivoluzione delle api per Verdenero), da anni fa conoscere oltralpe il meglio degli scrittori italiani di noir. Sua è la voce francese di Camilleri ma anche di Carlotto, di Fois, di De Cataldo e del collettivo Wu Ming, mentre a breve farà uscire un’antologia sempre di autori italiani presso l’editore Métailié.
Quadruppani, partiamo dai più amati: che differenze ci sono fra Camilleri e la Vargas?
«Parlerei insieme di differenze e somiglianze. Fred Vargas tende verso il fantastico, sia pure in maniera sorvegliata, verso quei tratti gotici che sono uno degli elementi caratterizzanti delle sue trame. Andrea Camilleri è ormai un Simenon siciliano, una macchina di storie senza fine, con una capacità di intrecciare trame senza eguali. Entrambi hanno un’attenzione straordinaria per i personaggi, li amano e ce li fanno amare anche a noi lettori. Sviluppano una tenerezza che avvolge sia Adamsberger che Montalbano, vediamo sempre i due autori che benignamente proteggono le loro due creature».
Come si spiega il successo del noir italiano in Italia e in Francia?
«Prima di tutto direi che i vostri sono un gruppo di bravi scrittori che ha saputo crearsi un pubblico che in pochi anni è cresciuto e si è affezionato alle loro trame. Poi sono autori capaci, attraverso il meccanismo, a volte ripetitivo, del genere, di descrivere una realtà complessa, se vuoi molto italiana ma anche molto universale: le mafie, la corruzione, la perdita di appeal della politica... Sono temi e sguardi sui quali l’Italia ha svolto un ruolo di laboratorio. Per l’antologia che sto preparando, infatti, ho scritto una prefazione che s’intitola L’Italia è il futuro del mondo, con ovviamente implicazioni non solo positive».
Spesso si è scritto che il noir italiano ha svolto il ruolo che era venuto a mancare nel giornalismo d’inchiesta, esautorato dal gossip imperante. Lei è d’accordo?
«Il noir e il giornalismo d’inchiesta sono ovviamente due cose diverse. Certo, alcuni libri - penso a quelli di Massimo Carlotto in particolare o al ruolo di Carlo Lucarelli anche in tivù - hanno sopperito alla mancanza d’inchieste giornalistiche. Ma vorrei ribadire che la centralità dell’immaginario è fondamentale anche quando si scrivono cose che vogliamo attinenti alla realtà. L’immaginario è parte della realtà, non una cosa disgiunta, e ci aiuta a scrutare la componente nera dell’animo umano».
Vedi in Norvegia…
«Esattamente. Lì il noir, quello scandinavo, ha raccontato il lato oscuro di paesi che sembravano non avere i grossi problemi del sud Europa e invece i suoi autori già segnalavano le crepe più o meno evidenti. Per esempio il ruolo dei neonazisti, basti pensare uno su tutti a Stieg Larson. In Norvegia l’immaginario del killer di Utoya ha inciso brutalmente sulla realtà, nessun scrittore si sarebbe spinto fino a immaginare una cosa del genere».
Torniamo ai rapporti Italia Francia. Molti autori italiani vengono tradotti e letti in Francia e altrettanti autori d’oltralpe vengono pubblicati da noi. C’è una differenza sostanziale fra i due fronti?
«Lo accennavo prima, in Italia gli scrittori di genere sono praticamente una comunità: si parlano, si incontrano, elaborano dei manifesti - vedi il New Italian Epic lanciato dai Wu Ming o la reazione collettiva ai fatti di Genova di dieci anni fa. In Francia questo non accade, gli autori del noir francese, quello che noi chiamiamo polar, sono perlopiù individualisti, ognuno va per la sua strada. Certo qualche tema comune c’è, come la critica al socialismo mitterandiano che ha compromesso il ruolo della sinistra in Francia, ma noi autori francesi non ne parliamo ai festival o sui giornali».
Michele De Mieri
 
 

Gazzetta dello Sport, 30.7.2011
«Perché mi hai telefonato?» «Perché non mi piace questo racconto. Non voglio entrarci, non è cosa mia. La storia poi degli occhi fritti e del polpaccio in umido è assolutamente ridicola»
Montalbano si rifiuta
Seconda e ultima puntata
 
 

La Sicilia, 31.7.2011
Successo a Catania per lo spettacolo di Camilleri
Applausi scroscianti per «Cannibardo»

Catania. Il colpo d'occhio è magnifico: dalla cavea dell'antico teatro carico di millenni si ha quasi una visione aerea della scena. Anzi, lo sguardo si spinge oltre: va alle paratie architettoniche che una volta erano le scene; indovina tra i balconi e gli archi quello che doveva essere l'imponente monumento, vede le umane vicende che si sviluppano nell'orchestra con il dovuto distacco. Sorridendo delle debolezze umane e dunque imparando il senso della vita il cui scopo supremo come diceva più di un filosofo antico, è l'atarassia: guardare le follie altrui, senza troppo scalmanarsi, perché fanno parte della natura umana.
Questa premessa scenica è il condensato più vero del Cannibardo di Camilleri, da lui stesso (serenamente, ataratticamente) dettato dal maxi-schermo e perfettamente interpretato da Massimo Ghini: dinamico, coinvolgente, ma con una nota continua nella voce di ironia, di finto stupore su come gli imbrogli di oggi somiglino a quelli dei nostri bisnonni e, se sapessimo meglio la storia, a quelli dei nostri antenati classici.
Fu proprio a Catania, proprio in questo teatro che 25 secoli addietro il generale Alcibiade, inseguito da un avviso di garanzia, temendo il peggio, invece di andare davanti ai giudici che lo aspettavano, cambiò partito, cambiò cittadinanza, si mise con i nemici di Atene e affondò le navi dei connazionali. In scena vengono narrate storie sbalorditive, ma non inventate: un re che pensa alle gonnelle invece che alla Patria; un Garibaldi che pronuncia un «obbedisco» dove avrebbe dovuto mettersi alla testa dei suoi prodi e fare valere la Giustizia; garibaldini e borbonici che vanno a combattere in estranie contrade la guerra che avevano iniziato nella Penisola; votazioni fasulle spacciate come volontà popolare sotto il nome di plebisciti. Una tragedia dell'ingiustizia? No, la umana commedia di sempre, alla quale ha conferito il volto simpatico Mimmo Mignemi con la sua voce affettuosa, con i suoi gesti umani, assecondati da Vincenzo Crivello con altre affabili sfumature di simpatia. E poi, per portare il tutto nella dimensione dell'arte, la musica, creata con brio irresistibile da Mario Incudine che la interpreta dal vivo assieme ad Antonio Vasta. Non è un accompagnamento sonoro: è essa stessa la trasfigurazione artistica del reale, come sottolineato nel finale, dove «cornuti» non è più un insulto, ma un cameratesco invito.
Gli applausi scroscianti della cavea fitta di spettatori fino ai più alti gradoni è stata la prova che l'intelligente messaggio di Andrea Camilleri, uno dei più accorti (e saggi) osservatori della realtà italiana di oggi, è stato colto nel suo senso profondo; che il regista Giuseppe Dipasquale, direttore artistico dello Stabile di Catania che ha portato al successo il lavoro fin dal debutto a Spoleto, ha benissimo inteso l'umor sottile del Maestro del quale è il congeniale interprete scenico: ma soprattutto ha fatto capire che la mescolanza di antico e moderno, singolare formula della classicità catanese, è quello che serve oggi.
Sergio Sciacca
 
 

La Sicilia, 31.7.2011
Intesa con la Regione per promuovere l'Isola
Serie tv. Iniziative collaterali: un sito con il backstage, foto, libri, ricette, itinerari sulle tracce del personaggio

Ragusa. Sono terminate, con le riprese nelle campagne acatesi, nei pressi del Castello di Biscari in provincia di Ragusa, le riprese iblee della nuova serie del commissario creato da Andrea Camilleri, Il giovane Montalbano.
Dopo cinque mesi di lavoro, la compagnia si trasferisce a Roma per una settimana. Intorno alla fine del 2011 ed i primi mesi del 2012, Raiuno trasmetterà i sei episodi della nuova produzione, firmata Palomar, Rai e Regione Siciliana. Si tratta in assoluto del primo accordo di associazione per una co-produzione. La Regione siciliana, infatti, ha per la prima volta una partecipazione agli utili per i diritti di distribuzione in Francia e in Germania della serie. Regista della fiction è Gianluca Tavarelli, mentre ad impersonare il giovane commissario di Vigata è l'attore Michele Riondino, premiato a Berlino come shooting star, già interprete de Il passato è una terra straniera, Dieci inverni e Noi credevamo. Protagonista femminile è invece Sarah Felberbuam. Tantissimi gli attori siciliani coinvolti anche in piccole parti nelle riprese della celebre fiction.
Presente alle riprese di venerdì scorso, anche l'assessore regionale al Turismo Daniele Tranchida. «E' una produzione che presenta diversi caratteri di novità. E' in programma, per esempio, l'allestimento di un sito web di promozione del territorio nel quale, partendo dalle foto del set, dai libri di Camilleri e dai piatti gustati dal commissario Montalbano, vengono indicati i diversi itinerari turistici ed enogastronomici. Un elemento importante e di novità, rispetto al passato ed alla tradizionale serie, è anche rappresentato dalle location che verranno effettuate anche in altre località delle provincia di Ragusa, Siracusa e Agrigento».
La fiction è ambientata negli anni '90 e racconta gli esordi del commissario Montalbano. Dal suo primo incarico, al trasferimento a Vigata, ma anche il rapporto fra il giovane Montalbano e il padre, il suo primo amore e l'incontro con Livia (impersonata da Sarah Felberbaum), che diventerà poi la storica fidanzata del poliziotto più amato della televisione.
I titoli degli episodi sono: La prima indagine di Montalbano, Capodanno, Ritorno alle origini, Ferito a morte, Il quarto segreto e Sette lunedì.
«Tra l'altro - sottolinea l'esponente della Giunta Lombardo - al di là delle considerazioni relative al ruolo del cinema per il rilancio del turismo, che restano di primaria importanza, questa è una fiction nella quale emerge il volto migliore della Sicilia, fuggendo da quella logica di cupo fatalismo pessimista che ha determinato moltissimi luoghi comuni e stereotipi. Questa fiction, dunque, rappresenta sicuramente un elemento positivo, che noi apprezziamo, ed è il motivo per cui la regione siciliana ha deciso di entrare in co-produzione e di co-finanziare la fiction».
L'accordo per la prima volta prevede, oltre alla produzione della serie televisiva, anche una serie di iniziative collaterali di promozione del territorio, fra cui l'allestimento di un sito internet della serie che includerà oltre ai backstage, le foto sul set, la storia, i libri di Camilleri e il mondo che ruota attorno a Montalbano: le ricette dei piatti amati dal giovane commissario, con una selezione di piatti tipici locali e una sezione dedicata ai prodotti tipici siciliani, necessari per potere eseguire le ricette; i luoghi di Montalbano, con una selezione di itinerari turistici consigliati collegati ad altri siti sui quali poter direttamente acquistare i pacchetti turistici.
Michele Farinaccio
 
 

Gazzetta dello Sport, 31.7.2011
La cerimonia di consegna della stampella, del bastone e del cane fu solenne, vennero giornalisti
Amore e fratellanza
Prima puntata
 
 

Solo Libri.net, 31.7.2011
La mossa del cavallo – Andrea Camilleri

"La mossa del cavallo" (Milano, Rizzoli 1999) rappresenta fatti paradossali che si svolgono nel 1877 quando si pagava l’odiata tassa sul macinato. Di essi Camilleri, così egli stesso scrive, ha tratto lo spunto da un episodio raccontato da Leopoldo Franchetti in Politica e mafia in Sicilia: quello di un ispettore torinese dei molini che, dopo aver denunciato un omicidio, si trova la sera stessa accusato. La strategia compositiva è analoga a quella sperimentata ne La concessione del telefono. A un lungo racconto, talora divertente, che fa toccare con mano lo squallore del contesto paesano, si alternano documenti burocratici e non (Rapporti, lettere, articoli di giornale): la corruzione è dilagante e la dissolutezza dei costumi non risparmia neanche il clero.
Attenzione, spoiler trama - Padre Carnazza fa l’usuraio e note sono le sue relazioni erotiche con donne del luogo. I predecessori di Bovara, ispettore capo dei molini, erano stati uccisi, perché anch’essi avevano chiesto un aumento delle tangenti. Pure l’intendente prendeva mazzette dalle multe ai molini. Don Cocò Afflitto, il mafioso che incute paura, è il manovratore occulto degli intrighi. Quando Bovara chiede notizie su costui, suo cugino subito va via. Qualche giorno dopo lo informa addirittura per iscritto che non può recarsi a cena da lui per gravi impedimenti familiari. Bovara, nato a Vigàta ma dall’età di tre mesi portato dalla famiglia a Genova, è il funzionario che non cede ai tentativi di corruzione. All’usciere che gli consegna un piatto di vivande come dono di don Cocò, oppone un netto rifiuto e gliene ordina la restituzione. La sa lunga però il mafioso e a quel diniego si diverte alle sue spalle. Cominciano da qui le macchinazioni a suo danno, eppure egli non desiste dal mostrarsi determinato a svolgere il compito d’ufficio senza alcun compromesso. Le persecuzioni si susseguono fino a quando viene architettato un piano in base al quale è dichiarato colpevole di un delitto mai commesso. Chi è la vittima? Quale il movente? In un primo tempo gli si dice, dopo essere stato trattenuto in camera di sicurezza, che ha inventato i fatti e forse anche lo stesso delitto perché, nel luogo da lui indicato, non si è trovato il corpo dell’ucciso. Bovara, ricordandosi di alcuni precedenti in famiglia, addirittura crede di non avere il pieno possesso delle facoltà mentali. Ecco la messa in scena della prova relativa alla sua colpevolezza: accompagnato a casa dai funzionari di polizia, inciampa nel cadavere dell’ucciso. Riuscirà a dimostrare la sua innocenza? E con quali prove?
Nella partita a scacchi, si sa, la “mossa del cavallo” consiste nella controffensiva a sorpresa per sfondare la zona dell’avversario, spiazzandolo. Smette di esprimersi in dialetto genovese e utilizza il dialetto delle sue origini. Così, pensando e parlando da siciliano ora può trarne un beneficio personale. In che senso? Poi un altro delitto e, accanto al cadavere, il ritrovamento di una confessione scritta. Gli inquirenti non la ritengono veritiera, ma si astengono dal proseguire le indagini: tanto non si arriverebbe mai a conoscere l’effettivo svolgimento dei fatti. Meglio prendere per buona la confessione e procedere all’archiviazione del caso. Bovara viene scarcerato, ma non ne esce vittorioso, dato che viene invitato dall’intendente a non recarsi in ufficio per ragioni di opportunità. A trionfare, quindi, è l’impossibilità dell’accertamento della verità: fatto, questo, sempre più consueto nell’Italia d’oggi.
Federico Guastella
 
 

unoenessuno, 31.7.2011
La forma dell'acqua di Andrea Camilleri
L'incipit del romanzo.
Lume d'alba non filtrava nel cortiglio della «Splendor», la società che aveva in appalto la nettezza urbana di Vigàta, una nuvolaglia bassa e densa cummigliava completamente il cielo come se fosse stato tirato un telone grigio da cornicione a cornicione, foglia non si cataminava, il vento di scirocco tardava ad arrisbigliarsi dal suo sonno piombigno, già si faticava a scangiare parole.
[da wikiquote]

Il primo romanzo di Camilleri con Montalbano, è ambientato nella Sicilia del 1993, negli anni del crollo della Prima Repubblica e delle stragi di mafia.
E anche dei militari mandati dallo stato per alleggerire i compiti di controllo del territorio delle forze dell'ordine: "imberbi friulani di leva" si erano ritrovati ad ansimare per il caldo in quel paese in cui si parlava una lingua sconosciuta fatta più di silenzi che di parole.
Disagio alleviato dalla libera imprenditoria mafiosa che in una ex area industriale aveva tirato su un bordello a cielo aperto. Proprio alla Mannara, chiamata così perchè una volta un pastore vi teneva le sue pecore, due due munnezzari ritrovano il cadavere di un potente uomo vigatese. L'ingegner Luparello. E i due, chiamano l'avvocato del morto:
«L'avvocato Rizzo?»
«Sono io»
«Mi scusassi avvocato se la disturbo all'ora che è .. abbiamo trovato l'ingegner Luparello .. ci pare morto ..»
Ci fu una pausa, poi Rizzo parlò.
«E perchè lo vine e contare a me?»
Pino Stunò, tutto s'aspettava ,meno che quella risposta, gil parse stramma.
«Ma come?! Lei non è .. il suo migliore amico? ci è parso doveroso ..»
«Vi ringrazio. ma prima di tutto è necessario che facciate il dovere vostro. Buongiorno».
Saro era stato a sentire tutta la telefonata, con la guancia appoggiata quella di Pino. Si taliarono, perplessi. A Rizzo era come se gli avessero contato di avere trovato un tale catafero, di cui non sapevano il nome.
«E che minchia, era amico suo, no?» sbottò Saro.
«E che ne sappiamo? Capace che negli ultimi tempi si erano sciarriati» si consolò Pino.
«E ora che facciamo?»
«Andiamo a fare il dovere nostro, come dice l'avvocato» concluse Pino.
Si avviarono verso il paese, diretti al commissariato. Di andare ai carabinieri manco gli era passato nell'anticamera del cervello, li comandava un tenente milanese. Il commissario invece era di Catania, di nome faceva Salvo Montalbano, e quando voleva capire una cosa, la capiva
(pagina 16-17)
Una morte naturale, quella del potente costruttore e anche segretario politico: grazie al fatto di essere rimasto in secondo piano negli anni passati, era riuscito a passare indenne scandali e inchieste giudiziarie (siamo negli anni di Mani Pulite) che avevano spazzato via i compagni di partito democratico e cristiano. Era riuscito a ricostruirsi un'immagine pulita dopo gli scandali presentandosi come alfiere del rinnovamento.
E' proprio questa scoperta del cadavere, in una discarica frequentata da “troie e garrusi di vario genere”, a non convincere il commissario Montalbano. A quella morte è stata data una forma infamante, come se si volesse infangare una volta per tutte l'immagine dell'uomo politico.
Perchè nonostante il riserbo delle forze dell'ordine e della stampa, le voci iniziano a girare.
Come racconta l'amico giornalista Zito, a Montalbano.
“«Se tu vuoi fare scordare alla lesta uno scandalo, non devi fare altro che parlarne più che puoi, alla televisione, sui giornali. Dai e ridai, pesta e ripesta; dopo un poco la gente comincia a rompersi le palle: ma quanto la stanno facendo lunga! Ma perché non la finiscono. Tempo quindici giorni e quest'effetto di saturazione fa sì che nessuno voglia più sentir parlare di quello scandalo. Capito?».
«Credo di sì».
«Se invece metti tutto in silenzio, il silenzio comincia a parlare, moltiplica le voci incontrollate, non la finisce più di farle crescere..»”.

Nonostante tutti i consigli alla prudenza e gli inviti ad archiviare il tutto, il commissario inizia una indagine portata avanti a colpi di intuizioni, incontri al chiaror di luna con l'amico Gegè (il tenutario della Mannara). Oltre a quel luogo così insolito, è anche un'altra cosa che insospettisce Montalbano: tutti gli indizi sembrano portarlo verso un colpevole ben preciso, Ingrid , moglie "svidisa" del figlio di un avversario politico di Luparello, il morto.
Ma Montalbano non è sbirro da accontentarsi alla forma che è stata data all'acqua, ovvero alle comode forme cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata.
"Che fai?" gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda.
Qual'e' la forma dell'acqua?".
"Ma l'acqua non ha forma!" dissi ridendo: "Piglia la forma che le viene data".

La forma dell'acqua è un romanzo in cui tutti i personaggi, Montalbano compreso, sono funzionali ad uno scopo preciso, la descrizione di un contesto: pur se ambientato in un luogo inventato, Camilleri racconta della mafia, pur senza mai mostrarla, della politica corrotta e capace solo di voltare gabbana.
Politica, industria, imprenditoria legate assieme da interessi contorti come gli alambicchi che spuntano dall'industria abbandonata alla Mannera, tirata su col “vento delle magnifiche sorti e progressive”.
Per trovare il filo che sbroglia questa matassa, Montalbano risolverà la matassa con un alto esercizio intellettuale, “aveva voluto agire come quel Dio di quart'ordine alla sua prima, e sperava, ultima esperienza, ci aveva indovinato in pieno”.
Alduccio
 
 

Ondaiblea, 31.7.2011
Festa di SEL a Pozzallo: comizio del coordinatore regionale, Erasmo Palazzotto

Pozzallo – Ha preso il via ieri sera sul Lungomare Pietrenere la Festa provinciale di Sinistra Ecologia Libertà.
La serata inaugurale è stata dedicata all’intrattenimento con concerti, spettacoli, mostre e presentazioni di libri.
L’attore Enzo Ruta ha letto brani di Andrea Camilleri nel padiglione che ospita la mostra fotografica “I luoghi di Montalbano” di Giovanni Sarto.
[…]
 
 

 


 
Last modified Friday, September, 11, 2020