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RASSEGNA STAMPA

GIUGNO 2013

 
1.6.2013

PICTURE ERGO SUM. Riflessioni sul processo creativo e sulla narrazione per immagini.
Tavola rotonda di presentazione dell'evento fotografico Historia Circular.
Con:
Nuria Pozas , Fondatrice del collettivo artistico Los Purificados
Antón Atrio , Los Purificados
Armando De Lucia, Los Purificados e Hubber
Annalisa Gariglio 15lune Produzioni culturali
Interviene: Andrea Camilleri.
SABATO 1 GIUGNO 2013, ORE 17:30
THE HUB - VIA DELLO SCALO SAN LORENZO 67, ROMA
https://www.facebook.com/events/161261824051757/

HISTORIA CIRCULAR
IL METODO
Una fotografia viaggia in rete da un fotografo a un altro. Chi la riceve, basandosi sulla sollecitazione sensoriale che ne deriva, realizza un’altra fotografia e invia la sua - soltanto la sua immagine - ad un altro fotografo. In questo modo venti fotografi costruiscono una storia in catena, formata da quaranta scatti, dove ognuno contribuisce con la sua visione soggettiva del mondo, senza essere consapevole del percorso che si va generando non essendo in possesso del senso complessivo della propria storia.
IL CONCETTO
Ogni fotografo ha una sua forma di vedere il mondo. Ognuno costruisce, crea o immagina le sue fotografie in una forma unica e non trasferibile. Nella mente di ogni artista hai mille riferimenti personali influenzati dallo stile di vita, il luogo di origine, la famiglia, l’età, il lavoro e il suo contesto, l’educazione, le proprie credenze, lo status economico, il sesso o il colore della pelle, forse la contingenza di una crisi permanente… Tutti questi riferimenti rendono il suo lavoro unico. Quando l’immagine trova forma sulla carta, tutte queste influenze emozionali non sempre sono riflesse in questa copia, però si sono presenti nel processo precedente al CLIC della macchina fotografica. Pur se questa individualità è inerente al processo di creazione dell’artista, abbiamo voluto costruire un esperimento in comune senza perdere la visione unica, personale di ogni fotografo.
Così, “venti fotografi in quaranta immagini”, abbiamo creato un percorso visuale dove l’apporto individuale di ogni fotografo crea un’idea generale come gruppo. Come in una sceneggiatura, ogni scena origina la successiva, con l’impronta emozionale dell’altro autore, e partire da quest’ultima nasce un’altra immagine, creando sottotrame parallele che formano il racconto principale, creando una trama sensovisiva totalmente permeabile alle idee, alle sensazioni e alle emozioni di coloro che hanno partecipato a questo progetto.
IL COLLETTIVO
Los Purificados è una comunità di artisti indipendenti nata in Spagna nel 2007 per iniziativa della fotografa asturiana Nuria Pozas (www.nuriapozas.com). Il "collettivo" nasce come spazio di riflessione su cos'è l'ARTE oggi, se conta di più la parola del critico e del gallerista rispetto al talento dell'artista, sull'accessibilità all'arte da parte del pubblico e dei suoi creatori piuttosto che da una semplice visione condivisa su tecniche o linguaggi dell'arte. Questa riflessione è sintetizzata nel nome esteso del collettivo: LOS PURIFICADOS - no lo tocaran sino los purificados. La frase, che fa riferimento a un versetto del Corano (75 -78: ”In verità, lo giuro per il tramonto delle stelle - e questo è un solenne giuramento - che questo Corano è di Verità, sacro, - ed è scritto in un Testo nascosto, - e solo chi è puro può toccarlo”), gioca proprio sul tema del CHI può accedere all'arte.
Con un ribaltamento di prospettiva, il problema dell'accessibilità non è solo dell'artista, ma anche del pubblico. Su questa scia, l'azione artistica per antonomasia è portare l'arte al pubblico, e non il pubblico all'arte: cambiare ed innovare il concetto della fruizione.
I FOTOGRAFI
Antón Atrio—Verónica Rodríguez—Alicia Moneva—Armando de Lucia—Sara Córdoba—Nuria Pozas—Imagotipo—Paula Noya—Gisart—Manu Alarcón—Belén Rodríguez—Xabier Liz—Carmen Muñoz—Paz Vicente—Mónica Bobadilla—Caro Teijeiro—Alisa González—Fernando Albarrán—Marta Calvo—Manuel Matías Marras
 
 

Firenzepost, 1.6.2013
Libri
Il commissario Montalbano: Un covo di Vipere. Il nuovo libro di Camilleri
Andrea Camilleri: il nuovo romanzo
Torna in libreria Camilleri per raccontarci una nuova avventura del Commissario più famoso della TV: Montalbano.

Come sempre Montalbano viene svegliato da una telefonata, ma questa volta non da parte dei suoi colleghi, ma da un vagabondo che si è intrufolato nella sua terrazza e comincia a fischiettare.
Lo sconosciuto, con un italiano perfetto, gli dice di vivere in una grotta. Il commissario lo lascia stare credendolo un povero pazzo e appena giunto in commissariato Catarella lo informa che il ragioniere Cosimo Barletta è stato assassino, con un colpo alla nuca.
Il ragioniere sembra non avere scheletri nell’armadio: vedovo, una vita onesta, due figli, eppure proprio loro, Arturo e Giovanna non manifestano tanto amore verso il padre, un uomo scontroso e soprattutto coinvolto in affari poco chiari a livello immobiliare.
Il testamento intanto non si trova e sulla sua scrivania ci sono foto e lettere che mostrano la sua passione segreta.
Montalbano che dorme e viene svegliato di soprassalto è ormai una cosa usuale, eppure Camilleri la descrive quasi fosse un quadro, Montalbano non è solo un personaggio letterario ma sembra uscito da un mondo lontano eppure così vicino al nostro.
Conosciamo tutto di lui: un’eterna fidanzata, il suo odio per il traffico, la sua voglia di mangiare tranquillo senza essere disturbato, il suo amore per la sua Vigàta e la buona cucina..
Ma bisogna scoprire chi ha ammazzato il povero ragioniere che sembra essere stato ucciso due volte: prima con del veleno e poi con un colpo di pistola. Mezza Vigàta lo vuole morte compreso i suoi figli.
Camilleri ci porta in un nuovo caso e usa la lingua con quella cadenza siciliana che ormai conosciamo e le caratterizzazioni dei personaggi di sempre. Catarella è forse uno dei personaggi più buffi e più amati anche dallo scrittore stesso.
E’ un gioco di indizi fino alla fine.
Un ottimo Montalbano ed un ottimo Camilleri come sempre.
Da leggere!
Maria Alessia Del Vescovo
Voto: 4 su 5.
 
 

Il Giornale di Vicenza, 1.6.2013
Campiello d'amore e morte
IL PREMIO. Scelti a Padova dai letterati i titoli della cinquina finalista. Prevalgono temi forti: l' assenza, i vuoti affettivi, Charlot che duella con la Falciatrice. Il più votato  è Stassi, poi Cocco, Magrelli, Masini e Riccarelli

Padova. […] Silvano Salvatore Nigro a margine dell'incontro ricorda di aver scritto 58 risvolti di copertina per i libri di Andrea Camilleri: «Un record, meriterei un premio», scherza. […]
Antonio Di Lorenzo
 
 

il Fatto Quotidiano, 2.6.2013
Camilleri: “La Costituzione? Mandata in vacca. Il Paese è in mano ai ricattatori”
VIDEO-INTERVISTA AD ANDREA CAMILLERI - “Dal Colle invasione di campo non da Repubblica parlamentare. Berlusconi, Marchionne, i Riva, il nostro Paese è condizionato da queste persone"

 
Intervista allo scrittore siciliano: “Dal Colle invasione di campo non da Repubblica parlamentare. Berlusconi, Marchionne, i Riva, l'Italia è nelle mani di queste persone"

La signora Rosetta apre la porta di casa sorridente. Un filo di fumo ci guida da Andrea Camilleri, al lavoro nel suo studio: è appena uscito Come la penso, autobiografia in forma di saggi e racconti (Chiarelettere). E da Sellerio il nuovo Montalbano, Un covo di vipere. Nuovo, ultimo no. “Quando mai! L’ultimo Montalbano l’ho già scritto, quando ho compiuto ottant’anni: posso dire che il commissario non muore. E che non sposa Livia, non è tipo da matrimonio Salvo Montalbano”. Lui no, ma Andrea Camilleri sì: quest’anno fanno 56 anniversari di nozze. “Ci vuole tanta voglia di stare assieme. E tanta pazienza”. “Ma il commissario è diventato un fedifrago cronico”, proviamo a protestare. “È perché i maschi quando sentono arrivare la vecchiezza diventano di una fragilità sentimentale incredibile. Quando l’ho detto a mia moglie, mi ha risposto: Spero che non sia autobiografico, Andrea”.
In Come la penso tratteggia una sorta di ritratto “genetico” dell’italiano: impietoso.
C’è un modo di pensare, nell’italiano, che è ancora fascista: piace la prevaricazione, la sopraffazione. È un virus mutante, come quello dell’influenza. Si fa il vaccino e già il virus è cambiato. Noi italiani, è sgradevole dirlo, non amiamo i politici che ragionano e agiscono onestamente. Ferruccio Parri, un uomo mite, onesto, era appena stato nominato presidente del Consiglio e già tutta l’Italia lo chiama “Fessuccio”. Non piacciono, all’italiano, le persone dimesse: bello il luccicore delle divise, bella la parola tonante. Berlusconi no, non è un fascista. Ma ha un modo di proporsi, da gerarca, che piace molto perché è speculare a una certa mentalità italiana. I giudici scrivono: “Anche da presidente del Consiglio gestì una colossale evasione fiscale”. In un Paese normale, questo avrebbe annullato Berlusconi; in Italia gli fa guadagnare voti.
Che dice delle ragazze?
Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Credo che anche queste storie destino l’ammirazione di tanti maschi italiani, e pure di tante femminelle che vorrebbero essere “olgettinizzate”: mettiamo sul mercato questo verbo. Tu ti porti a casa una ragazza, due, tre. E puoi passare inosservato. Ma lui se ne porta a casa trenta perché non vuole affatto passare inosservato: è scioccamente esibizionista.
Su MicroMega lei ha sostenuto l’ineleggibilità di Berlusconi.
I suoi cosiddetti avversari dicono: “Preferiamolo batterlo politicamente”. Solo che non ci sono mai riusciti. E dire questo, batterlo politicamente piuttosto che per vie giudiziarie, è sottilmente pericoloso. I processi se ne vanno per i fatti loro e non si tratta di battere Berlusconi, si tratta di giudicarlo per i reati che ha commesso o non commesso. Dire: preferisco sconfiggerlo politicamente, significa opzionare che la giustizia sia alleata dei politici. L’unica via che hanno è quella di ricorrere a questa legge.
Come fanno a far valere l’ineleggibilità? Il Pdl sta al governo con il Pd…
Io non faccio parte del Pd: se la vedano loro, che si sono consegnati mani e piedi a Berlusconi. Secondo me andrebbe rispettata la legge.
Cadrebbe il governo.
Non so se a Berlusconi converrebbe far cadere il governo, l’Italia è in una situazione difficilissima. Ma me lo faccia dire: come cittadino sono stanco dei ricatti. L’Italia è diventata un Paese che vive di ricatti. E non riguarda solo Berlusconi. Il ricatto lo fa Marchionne, lo fanno i Riva a Taranto. Ormai siamo condizionati dai ricattatori.
Lei ha la stessa età del presidente Napolitano.
Sì, siamo del ‘25 tutti e due: la rielezione non era cosa. Aveva fatto bene quando aveva detto “Me ne vado e buona sera”. Il secondo mandato è stato un errore, sia per chi l’ha proposto sia per chi ha accettato.
Un passaggio strano per i modi, quasi da Repubblica presidenziale.
Da quel momento tutto il fatto costituzionale è andato a vacca. C’è stato un allentamento delle briglie costituzionali, tanto valeva – a lume di logica e di naso e di buon senso – fare un governo del Presidente. È stato più grave l’intervento sui partiti del capo dello Stato. Una sorta d’invasione di campo, un fatto non da Repubblica parlamentare. Bisogna rispettare la Costituzione: non devo essere io a dirlo, dovrebbe essere il presidente Napolitano. Il secondo mandato non è proibito, ma non è un caso che non sia mai successo. Di solito, poi, uno non arriva a fare il capo dello Stato a 40 anni: due mandati fanno 14 anni e te ne vai a 54. Qui te ne vai a 95.
Non un bel segno non aver trovato un’alternativa.
Appena sentii che i Cinque Stelle proponevano Rodotà, feci un balzo di gioia. Dissi a mia moglie: “Che meraviglia, ora agguantano al volo questa liana sospesa, come Tarzan. Ed è fatta”. Quando mai… e sono riusciti a far fare quella figura a Prodi, Dio mio. L’alternativa c’era, era Rodotà. Cosa ostava a Rodotà?
Loro hanno detto che non ha telefonato…
Queste cose io a sei anni le facevo. “Eh no, perché non mi ha dato la caramella”. M’ha telefonato, non m’ha telefonato: non possono essere ragioni valide per la politica. Sono ragioni infantili, piccole scuse. Se ne possono trovare di migliori.
Tre anni fa in un’intervista al Fatto, disse: “Il Pd va verso il suicidio, avrebbe bisogno di una seduta psicanalitica collettiva”. Quasi profetico.
Devo ammettere, ahimè, che in queste ultime elezioni ho suggerito di votare Pd. Ho aderito a un invito di Alberto Asor Rosa. Lui temeva che un Pd debole fosse costretto ad allearsi con Monti: si pensava che Monti avrebbe avuto un successo maggiore. E l’idea di Asor Rosa era portare il Pd a un’alleanza con Sel, invece che Monti. Sbagliammo i calcoli, entrambi. Tutto potevamo prevedere, tranne le estrosità di Pier Luigi Bersani.
Estrosità?
Eh, chiamiamola così. Dissi quel fatto della psicanalisi per via delle due anime del Pd: una cattolica e una ex comunista. Invece la cosa è risultata ancora più complessa: la lunga convivenza tra queste due anime ha fatto sì che invece di essere una bianca e una nera, diventassero tutte e due grigie. Creando situazioni psicanalitiche ancora più oscure. Ora, onestamente, siamo più da psichiatria che da psicanalisi.
Che fine farà il Pd?
Sparisce. O si raccoglie attorno agli oppositori interni, come Civati.
Epifani?
Una toppa.
In questi giorni arrivano dalla sua Sicilia notizie del processo sulla trattativa Stato-mafia. Che idea si è fatto di questa storia?
Dunque: uomini dello Stato e mafiosi sono accusati di avere trattato insieme. Tu puoi ipotizzare che le prime trattative si svolsero con Totò Riina. Puoi pensare che un capomafia come lui vede sedersi davanti a sé un colonnello dei Carabinieri e non gli chiede le commendatizie?
Cosa sono?
Chi c’è dietro, chi ti manda. Da questa parte abbiamo un capomafia di grande potere e grande forza, dall’altra un semplice colonnello dei Carabinieri. È chiaro che mai lo avrebbe ricevuto se questo colonnello dei Carabinieri non gli avesse portato le credenziali. Cioè a dire: dietro di me, c’è questo e quest’altro ministro. E te ne do anche la prova. Oggi due ministri sono accusati di falsa testimonianza: è cosa da poco, uno scherzetto. Il generale Mori non ha mai detto chi lo mandò, ma è chiaro che non andò da solo. Nemmeno l’avrebbero fatto entrare. Nella seconda fase della trattativa intervenne Provenzano, con l’eliminazione di Riina: era indispensabile levarlo di mezzo, per poter trattare seriamente perché le pretese di Riina erano eccessive. Dopodiché un ex ministro viene a dire: “Ho allentato il 41 bis di mia spontanea volontà, decidendo da solo”. E va bene, allora. Questo processo ci viene a raccontare solo la mezza messa, come si usa dire dalle mie parti. La vera messa forse era nell’agenda di Borsellino.
Non sapremo mai la verità?
Ma quando mai abbiamo saputo la verità sulle cose italiane! Pensiamo alle stragi: Bologna, piazza Fontana, l’Italicus. In Italia esistono solo i servizi deviati, quelli non deviati no. Tutto il casino, tra il Colle e la Procura di Palermo, sta a dimostrare, così a fiuto, che la cosa è talmente grossa che hanno paura di uno sconvolgimento istituzionale, se la verità venisse a galla.
Possibile che non abbiamo anticorpi verso tutto questo?
Prendiamo l’informazione. I giornali degli anni Cinquanta parlavano chiaro: c’erano polemiche anche forti, ma l’informazione era esaustiva, non parziale come ora. A quei tempi noi ci esercitavamo nella libertà, non l’avevamo avuta per tanto tempo. Le tribune politiche si svolgevano di fronte a 30 giornalisti, liberissimi di fare tutte le domande che volevano al politico di turno. Le domande non erano concordate prima, le domande erano a levare la pelle. Oggi è tutto concordato e i giornalisti scelti a seconda della convenienza. Ho sentito un giorno un cronista chiedere a Tony Blair: “Lo sa che lei ha le mani sporche di sangue?” E lui, dopo un momento di esitazione, si è messo a rispondere. Provate a rivolgere una domanda di questa violenza a un politico italiano. Non è più possibile, negli anni Cinquanta era possibile.
Vale anche per la produzione culturale?
Il fervore di quei primi anni del Dopoguerra era dovuto al fatto che il mondo si apriva davanti a noi. E tutto quello che ci era stato negato – i grandi scrittori americani, i musicisti, i pittori, i francesi, gli inglesi – provocava un desiderio di linfa culturale e vitale. Tu ne eri così pieno che avevi la voglia di restituirla. Poi c’è stata una sorta di saturazione. E quando arrivò la Democrazia cristiana con la censura, fu in un certo senso stimolante: ti ribellavi alla censura.
Ogni censura trova il suo antidoto, si dice.
Ma certo. Mi ricordo quando Andreotti proibì L’Arialda con la regia di Luchino Visconti e successero macelli. Questo ci teneva svegli. Ora c’è un assopimento, un andazzo, senza più un vero scontro culturale.
Non è che abbiamo meno strumenti intellettuali?
Le persone si sono disabituate. Ormai tutti sono dei seguaci delle fabbriche del credere. La fabbrica del credere numero uno è la televisione: quello che dice la televisione è Vangelo.
Internet è una contromisura?
Assolutamente. Se ci fossero state solo le tv senza Internet non avremmo avuto le primavere arabe, non sarebbero state possibili senza comunicazione diretta, non mediata. La comunicazione mediata è velenosa, è contraffatta.
Di mezzo ci sono i media, appunto.
E le proprietà: un giornale come il Fatto, se dovesse dipendere da un proprietario, sarebbe così libero di scrivere quello che scrive? Non credo. Quando c’era un solo canale in televisione, il colonnello Bernacca leggeva le previsioni del tempo. E diceva: “Domenica potete fare tutti una bellissima gita, perché splenderà il sole”. E la domenica veniva una pioggia fottuta. O viceversa. Io avevo un compare, Peppe Fiorentino, il quale sentiva le previsioni di Bernacca e diceva: ”OI po si o po no ‘u paracqua m’u porto”. E allora dico: quando guardate la televisione, portatevi appresso il paracqua. Cioè a dire: apritelo, in modo che il cervello non vi si bagni e voi possiate ragionare di testa vostra; altrimenti la tv v’inonda. Ma è un esercizio difficile, anche perché si dice che la Rai offre la possibilità di avere tre canali, di cui il terzo è quello più di sinistra. Ma dove? Come segnale stradale? A momenti ho sentito più elogi di Berlusconi sul Tg3 che sul Tg1. Dov’è tutta questa differenza? Ai miei tempi c’era.
Questo dipende dal fatto che anche i partiti si sono omologati?
Mi rifiuto di chiamare quello che vedo e sento in questi ultimi tempi “Politica”. Politica oggi è sinonimo di corruzione. Vogliamo dissentire? Dopo Mani pulite sembrava chissà che cosa, invece siamo ridotti peggio di prima. Ed è del tutto trasversale. Una volta almeno Berlinguer poteva permettersi di teorizzare la diversità, ora il signor Penati mi pare che appartenga al Pd. Come il presidente della Provincia di Taranto. L’Italia dei Valori te la raccomando. Alla gente comune, che dice “sono tutti ladri” non gli puoi dare torto. Perfino i consiglieri regionali e comunali rubano. Allora perché io lo devo chiamare “uomo politico”? Lo chiamo ladro, perché i ladri sono quelli che rubano.
Una politica che cambia casacca nel giro di ventiquattro ore è politica?
In Sicilia si dice: u porco pa’ coda e l’omo pe’ a palora. Il porco si riconosce perché ha la coda a tortiglione. E l’uomo si riconosce per la parola data. Dicono: “Non faremo mai il governo con Berlusconi”, allora i cittadini li votano. Dopo un giorno, fanno il governo con Berlusconi. Tu non sei un uomo politico, sei un truffatore. Perché dovremmo avere fiducia in una corporazione che non fa altro che difendersi?
A cosa pensa?
Do un esempio, incontrovertibile. La Camera nega l’autorizzazione a procedere per Cosentino. Appena lui decade, se ne va in galera. Allora, io ho fiducia nella politica. Non ho fiducia in questa cosa oscena che ci spacciano per politica.
I partiti sono la vera antipolitica?
Non c’è dubbio. Sono la negazione della politica. Dicono che in politica tutto è possibile. Non è vero. In politica sono possibili più cose, ma non “tutto”. Altrimenti è un bordello, non politica. La politica è un patto che va continuamente rispettato tra gli elettori e coloro che vengono votati per rappresentare i cittadini. Ma è tradito dal fatto che questa legge elettorale fa sì che l’uomo politico non rappresenti un cazzo, perché è stato nominato dalle segreterie dei partiti e non votato. L’uomo politico, se lo possiamo chiamare così, è sempre più negato ai suoi doveri. Non solo: proprio questo porta a non rispettare le regole interne, vedi i 101 che votano contro Prodi.
Che pensa di Grillo?
Non so che pensarne. Una volta dissi: probabilmente i suoi grillini sono migliori di lui, più concreti. Lui è un capopopolo, un trascina folle. Poi quando si arriva al concreto della politica probabilmente lì in mezzo c’è qualcuno che è capace di fare la buona politica: hanno voglia di fare l’interesse dell’Italia. Non sono ridotti come la stragrande maggioranza dei politici italiani a fare il proprio interesse, o quello del partito.
Oltre i Cinque Stelle?
La Boldrini è una donna che si è occupata di profughi e rifugiati. Ebbene, ha accettato la candidatura di Sel e alla Camera ha tenuto un discorso estremamente politico, anzi di bella politica. Finalmente.
C’è un’ondata di rivalutazioni della Prima Repubblica. Lei ne ha nostalgia?
Ma per carità! La Prima Repubblica è stata una prova generale andata male. La Seconda non è andata meglio, la Terza sta andando peggio. Però non mi va di essere pessimista: gli elementi buoni a un certo punto si stancheranno di starsene tranquilli. Mi ricordo una frase bellissima di Alberto Savinio. Dicevano: “Dio riconoscerà i suoi”. E Alberto Savinio chiosava: “A fiuto”, perché una volta i cattolici non si lavavano per non commettere peccato mortale toccandosi le parti intime. Ecco, quelli giusti si riconosceranno a fiuto, indipendentemente dal partito cui appartengono.
Una rivoluzione?
Fino a oggi il popolo italiano ha dimostrato una pazienza e una resistenza psicologica notevoli. Basta pensare alla disoccupazione dilagante, alla difficoltà delle famiglie. Grillo ha ragione quando dice di aver incanalato un malcontento che avrebbe potuto anche essere violento.
La politica, compreso il governo tecnico, ha dimostrato un sostanziale disinteresse verso il disagio sociale.
Questi qui vivono in un ventre di balena! Non hanno nessun contatto con la gente, perché non sono stati più eletti. Il Papa tedesco è stato allevato sempre dentro la Chiesa, questo nuovo ci fa un’enorme impressione perché la sua origine è in mezzo ai poveri. Anche se pure lui… Va benissimo ricordare don Puglisi, ma si è ben guardato da ricordare Don Gallo. Quello sì che rompeva veramente i cabasisi… E così il Pd ha cominciato a morire quando ha perso il contatto con la base, con i lavoratori. Ma perché il Pd dovrebbe occuparsi dei lavoratori?
Forse perché è un partito di sinistra?
S’illude, cara. Di lavoro si occupa Sel, se ne occupa Landini. Che infatti ormai sembra un marziano.
Silvia Truzzi
 
 

La goccia, 2.6.2013
Un covo di vipere di Andrea Camilleri

Appena uscito nelle librerie, il nuovo caso del commissario Montalbano è già in cima alle classifiche on line.
Ormai Montalbano fa parte della nostra famiglia: ne conosciamo le abitudini, l'amore per il mare davanti alla sua splendida veranda, l'odio per gli incartamenti e la burocrazia, l'insofferenza per gli ottusi superiori, l'amore per Livia, la passione per la buona cucina, il voler mangiare nell'assoluto silenzio, i suoi bellissimi sogni a colori.
Amiamo anche il Montalbano malinconico, in preda alla "vicchiaia" che avanza...sempre lucido e brillante nelle sue indagini. Questa volta, vista la tipologia del personaggio ucciso, quasi che Montalbano vorrebbe evitare di trovarne l'omicida, sicuramente una vittima. Infatti l'insospettabile ragioniere Cosimo Barletta è tutto fuorché un vedovo tranquillo e benestante: dalla descrizione dei figli appaiono subito dei lati oscuri che mano a mano danno un quadro completamente diverso.
Non solo il ragioniere è un usurario, ma sfrutta le famiglie bisognose con finalità sessuali. Il tutto complicato dalla "doppia" uccisione: non solo un colpo di pistola alla nuca ma un avvelenamento con un caffè.
Ben tornato Commissario Montalbano!
Delia Adriani
 
 

Corriere della Sera, 2.6.2013
La televisione in numeri
Il curioso miracolo di Montalbano

Ci sono programmi che si esauriscono nell'effimero della loro messa in onda, e programmi che, per qualche strana ragione, diventano quasi dei «rituali»: occasioni di ri-visioni, sempreverdi che assurgono rapidamente allo status di «classici». Sembra quasi inspiegabile il fenomeno televisivo di questo finale di stagione: il ranking dei mesi di aprile-maggio è dominato dal Commissario Montalbano, un vero miracolo. E non si tratta solamente del Montalbano «fresco», dei quattro nuovi episodi (Il sorriso di Angelica, Il gioco degli specchi, Una voce di notte e Una lama di luce) scritti da Andrea Camilleri, co-prodotti da Raifiction e Palomar. Quel che più colpisce non sono i 10.117.000 spettatori medi di queste quattro prime visioni, quanto i 7.591.000 spettatori medi delle repliche di La gita a Tindari, Il senso del tatto, Il gioco delle tre carte e La vampa d'agosto.La gita a Tindari è andato in onda per la prima volta il 9 maggio del 2001, sulla Seconda rete Rai (ancora non era chiaro che successo avrebbe riscosso la serie), raccogliendo 7.357.000 spettatori, per una share del 29,7%. L'episodio è stato replicato ben sei volte. L'ultima volta, lo scorso 13 maggio, l'ascolto è stato addirittura superiore alla prima messa in onda, con 8.266.000 spettatori, e una share del 31,1%. Dunque, invecchiando, il Commissario è cresciuto. Si tratta di un fenomeno unico. Le repliche di Montalbano sono, dunque, ormai un rituale: ogni nuovo episodio è l'occasione per «ri-eventizzare» quelli passati. L'unicità di Montalbano si coglie anche da altre prospettive: l'Italia esporta pochissimi format, ancor meno programmi finiti, figuriamoci racconti seriali. Ma Montalbano è un caso di straordinario successo in Italia e di esportazione in 65 Paesi.
Aldro Grasso
In collaborazione con Massimo Scaglioni, elaborazione Geca Italia su dati Auditel

 
 

RagusaNews, 2.6.2013
Montalbano, Dìgame...
L’infelice doppiaggio di Zingaretti

Madrid - Ieri sera la televisione spagnola ha mandato in onda l’episodio della serie “Commissario Montalbano” intitolato “La caccia al tesoro”.
È da gennaio di quest’anno che sistematicamente la rete due programma Montalbano.
In Spagna, caso strano, la fortunata serie televisiva italiana non ha avuto uno share molto alto. Gli ultimi episodi, infatti, hanno registrato indici di ascolto modesti. Dalle 550.000 alle 600.000 persone hanno scelto in prima serata i gialli di Camilleri.
Sinceramente in passato non mi sapevo spiegare perché in terra spagnola il commissario più celebre d’Italia non avesse “sfondato”. Se consideriamo che uno spagnolo su due abbia visto e ammirato il film di Coppola “Il Padrino” e molti abbiano ammirato e apprezzato “Il gattopardo” di Visconti, ancora fra i DVD più richiesti alla FNAC e al Corte Inglés (Grandi Magazzini di Spagna), tutto questo appare strano.
Eppure Camilleri alla sua creatura le ha dato il nome di uno degli scrittori catalani più letti e amati nelle ultime decadi del secolo scorso, Manuel Vásquez Montalbán, inventore del celebre detective Pepe Carvalho. Un omaggio, quello di Camilleri, che vuole inscrivere Montalbano nel solco tracciato da una giallistica moderna sempre più originale e affascinante.
Ieri sera, sabato 1 giugno, ho seguito da Madrid il nostro caro e amatissimo Commissario, dunque. E mi sono reso conto finalmente del perché la maggioranza degli spagnoli sia rimasta indifferente al suo fascino.
Prima di tutto l’orario. Infelice. L’episodio lo davano di sabato e in prima serata per giunta! In Spagna e a Madrid, soprattutto alle ventidue della sera, il cielo è ancora quasi azzurro. La gente ama riempire le strade del centro, sfogarsi dopo una settimana di duro lavoro, perdersi nelle “tabernas” e pub della Capitale ma anche dell’ultimo piccolo comune per “rematar la noche”.
Poi il doppiaggio. Neppure riconoscevo il Montalbano nazionale. Mentre gli altri personaggi, Cadarella compreso, erano doppiati più o meno fedelmente ricalcando gli originali, Montalbano no. La voce del doppiatore era fredda, statica, quasi burocratica. Castigata anche la sua prosa pittoresca e strana.
Il linguaggio sanguigno, spontaneo e originale, che ha fatto la fortuna del Nostro Commissario, nell’edizione spagnola è scomparso e un contrasto stridente balza agli occhi anche di uno sprovveduto tra la figura in movimento e le cose che dice.
Restano i luoghi, i nostri, di una Sicilia incantata che non finisce mai di stupire e affascinare.
Recensori di blog e di giornali, commentatori televisivi, tutti sono d’accordo su questo punto.
Il paesaggio rimane, in verità, unico vero protagonista dell’intera serie, telone di fondo - eterno, sublime e surreale- di una mafia dimenticata ma che ancora esiste e opera, per la quale la Sicilia è conosciuta più che per la sua storia importante, mitica e millenaria.
Un Uomo Libero
 
 

La Sicilia, 2.6.2013
Teatro Stabile
Martoglio e Camilleri chiudono la stagione al Palazzo Platamone

Risate assicurate con "L'altalena" di Nino Martoglio e "La concessione del telefono" di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale: la stagione del Teatro Stabile si conclude con lo zoom divertito e intelligente sulla migliore e proverbiale vena satirica siciliana. La satira: strumento impareggiabile per indagare, attraverso i commediografi di ieri e di oggi, la crisi che percorre il tempo presente. I due titoli suggellano perciò, come meglio non si potrebbe, un cartellone che lo stesso Dipasquale, direttore dello Stabile, ha intitolato "L'arte della commedia", per approfondire le infinite declinazioni di un genere al tempo stesso leggero e caustico. Gli spettacoli, complice la bella stagione, saranno entrambi rappresentati en plein air nella corte di Palazzo Platamone, intitolata a Mariella Lo Giudice.
[…]
Dal 15 al 30 giugno lo Stabile ripropone "La concessione del telefono", una delle sue produzioni di maggiore successo, allestita nel 2005 e per ben tre stagioni campione di incassi e presenze in tournée nazionale. Il cast annovera mattatori come Pippo Pattavina, i già citati Musumeci, Jelo e Magistro, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Angelo Tosto, Fulvio D'Angelo, Sergio Seminara, Giampaolo Romania, Cosimo Coltraro, Raniela Ragonese, Liliana Lo Furno.
 
 

Fahrenheit, 3.6.2013
Come la penso, con Andrea Camilleri
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Un'autobiografia in forma di saggi e di racconti. Per la prima volta ecco il laboratorio creativo di Andrea Camilleri (con una parte dedicata a Montalbano e alla sua Vigata) attraverso un percorso ricco di personaggi, luoghi, piccoli e grandi eventi, e con incursioni nella letteratura, nella filosofia, nella politica. Che bellezza leggere i suoi ricordi di ragazzo, le "controstorie" della sua Sicilia, e poi recuperare l'Italia di ieri e di oggi, intrattenuti dalla sua inesauribile vena critica e ironica. Un ritratto a colori vivacissimi di come siamo e cosa pensiamo. Una scoperta.
 
 
 
 
 

Wuz, 3.6.2013
Un covo di vipere di Andrea Camilleri
Che la ’ntricata foresta dintra alla quali lui e Livia si erano vinuti ad attrovari, senza sapiri né pircome né pirchì, fosse virgini non c’era nisciun dubbio pirchì ’na decina di metri narrè avivano viduto un cartello di ligno ’nchiovato al tronco di un àrbolo supra il quali ci stava scrivuto con littre marchiate a foco: foresta vergine.

Salvo Montalbano ha 55 anni [58, NdCFC] e un’eterna fidanzata, Livia. Non ama guidare nel traffico, odia le cataste di documenti da firmare che si affastellano sulla scrivania, non sopporta di essere disturbato mentre mangia e fa dei bellissimi sogni a colori pieni di personaggi sproporzionatamente grandi. Ama respirare l’aria di mare dalla sua verandina, a Vigàta, apprezza la buona cucina e la compagnia delle persone schiette e per bene. Di Salvo Montalbano sappiamo tutto, persino i tratti del viso e l’espressione dello sguardo. Non è per stupire o impressionare il lettore che Andrea Camilleri architetta nuove trame con protagonista Montalbano. Lo fa, come ha dichiarato tante volte, perché non può farne a meno. Perché certi personaggi, quelli estremamente ben riusciti, a un certo punto iniziano a vivere di vita propria. A quel punto le storie non c’è bisogno di inventarle, basta solo raccontarle.
E forse è proprio questo il segreto dei grandi giallisti come Camilleri o Simenon, scrittori capaci di scrivere dei grandi capolavori in pochi mesi, di aggiungere particolari, seminare indizi, dipingere luoghi e personaggi con estrema naturalezza: quello di entrare nelle loro storie come spettatori, lasciando che i personaggi si muovano da sé. Montalbano è forse uno degli investigatori più ribelli e riottosi mai creati. Si ribella anche al suo autore, che lo vorrebbe più giusto, che vorrebbe usarlo per dare lezioni di moralità e esempi di comportamento. Ma questa volta no.
Questa volta, quasi quasi, il commissario Montalbano neanche vorrebbe trovarlo l’assassino del ragioniere Barletta. Anzi, gli dispiacerebbe proprio dover arrestare una persona che probabilmente non ha fatto altro che reagire al suo aguzzino.
Quando viene ritrovato morto con un colpo di pistola alla nuca nella sua villetta al mare, il ragioniere Barletta ha 63 anni ed è vedovo. Nella sua vita si è sempre occupato di commercio, ma la sua vera passione sono gli investimenti, le speculazioni, i ricatti ai danni di ragazzine in cambio di prestazioni sessuali e il prestito di denaro a strozzo. A volerlo morto è metà Vigàta. Compresi i suoi due figli.
“Che fai? Due pesi e due misure?”. Dice a se stesso il commissario quando si rende conto che in fondo non gli importa più di tanto di arrestare l’assassino. Anzi, gli assassini. Perché a sentire il medico legale, il suo vecchio amico Pasquano, il ragioniere è stato ucciso due volte: prima con una forte dose di veleno nel caffè e poi con un colpo di pistola. Due assassini che probabilmente hanno agito indipendentemente l’uno dall’altro? Una casualità davvero troppo strana. Così come sono strani e indecifrabili molti degli indizi che Montalbano trova durante l’indagine, forse perché viene distratto dall’avvenenza delle donne coinvolte, o dalla presenza di Livia, che ha deciso di passare qualche giorno con lui alla Marinella. La scena del delitto è confusa, Montalbano è stanco, perde di vista delle possibili prove, trascura alcune piste, pare che abbia paura di andare a rimestare nella torbida vita del ragioniere Barletta, pare che alcune cose non voglia proprio vederle.
Mentre l’estate a Vigàta persiste e si protrae oltre il suo tempo, mentre l’agonia delle stagioni si fa sempre più lunga, il commissario Montalbano aggiunge un tassello alla sua vita e una nuova triste considerazione sul concetto di colpa e di compassione. Il lettore assiste ancora una volta a questa messa in scena dolce e amara, com’è dolce e amara la maturità di un uomo, scorrendo pagine scritte nella lingua “antica” di Camilleri con la nostalgia di chi sa che anche questa stagione è al suo crepuscolo.
Si ringrazia la redazione di IBS
 
 

Solo Libri.net, 3.6.2013
Come la penso – Andrea Camilleri
Alcune cose che ho dentro la testa

In "Come la penso" (Chiarelettere, 2013), libro che raccoglie testi scritti in occasioni e anni diversi, Andrea Camilleri con una schiettezza disarmante parla di sé e del suo mondo creativo con un linguaggio a lui congeniale: quello che s’accosta di molto all’oralità popolare del contastorie.
Dalla lettura della “Nota editoriale” apprendiamo che l’operetta risulta organizzata in varie sezioni che vanno dall’autobiografia alla narrativa, dalla ricostruzione storica alla riflessione saggistica e letteraria con l’introduzione di due saggi brevi di cui uno scritto per “La Repubblica” ("Perché scrivo").
Il senso della scrittura
. si caratterizza come tramite generazionale (“Scrivo perché posso dedicare i libri ai miei nipoti”)
. si nutre di memoria legata alla microstoria tinteggiata d’affetti (“Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato”),
. come gusto di raccontare (“Scrivo perché mi piace raccontare storie”),
. come testimonianza delle letture fatte (“Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto”).
Su questo sfondo egli sviluppa un discorso in cui si sofferma a considerare inganni ripetuti, contraddizioni, demistificazioni di uno spaccato sociale colti attraverso il filtro della ragione. Sul versante autobiografico sono momenti dolcissimi quelli dei ricordi scolastici da cui affiora, tra i banchi di scuola, la prima relazione con una compagna di cui non saprà cosa le avesse scritto in bigliettini nascosti all’interno del vocabolario. C’è anche il bambino che rievoca le “serenate” annodantesi con la descrizione fatta ne “Il casellante”. Da giovane, subito dopo un’incursione aerea, si rivede conversare, dinanzi al Tempio della Concordia, con Robert Capa:
“come tutti i grandi artisti non solo rappresentava il presente, ma sapeva, contestualmente, consegnarcene una memoria eternamente viva e pulsante”.
Poiché le conoscenze si formavano, allora come ora, anche al cinema, così rievoca i film del periodo fascista, le pellicole degli americani che, assieme ai dischi jazz e alle grandi orchestre, diffondevano il gusto d’una nuova cultura.
“E quello che conta”, afferma, “è l’effetto di risonanza, l’attitudine al coinvolgimento e all’immedesimazione determinati dall’immagine”.
Dicendosi “uno scrittore italiano nato in Sicilia”, cita il Pirandello de "I vecchi e i giovani" e ripropone la convinzione sulle speranze tradite nel periodo post-risorgimentale: motivo a cui si ispirano i suoi romanzi storici.
In seguito, utilizzando un’adeguata documentazione, passa in rassegna il fenomeno del separatismo siciliano in cui confluì la gran maggioranza degli agrari, nonché la mafia rurale e contadina. Ad ampio raggio, dunque, gli argomenti raccolti da una scrittura che empaticamente li scruta, spinta dalla passione civile e letteraria. Ne viene fuori una cronaca dove il racconto non appartiene solamente alla sfera privata sotto le forme degli incontri o del ricordo, ma si apre alla comprensione dell’enigma della società.
In sintesi, l’esplorazione del passato è funzionale al presente: al disinganno e alle possibili speranze di rinascita. Ipotizzando l’idea d’un romanzo storico che vorrebbe scrivere a partire dall’epoca fascista ai recenti e tragici fatti del popolo greco reso affamato dalla politica monetaria dei grandi banchieri, ritrova, nell’ambito d’una crescente sfiducia, ideali profondi e condivisi:
“Questa dovrebbe essere la conclusione del romanzo. Ma mi auguro che i miei nipoti questa conclusione possano non leggerla in un romanzo, ma realizzarla e viverla”.
Federico Guastella
 
 

La Sicilia, 3.6.2013
In breve
Teatro Stabile
Oggi presentazione dell'«Altalena» e della «Concessione del telefono»

Stamattina con inizio alle ore 11 negli uffici del Teatro Stabile in via Museo Biscari 16 presentazione della programmazione a Palazzo Platamone - Corte "Mariella Lo Giudice" de «L'altalena» di Nino Martoglio e «La concessione del telefono» di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale. Interverranno il direttore del Teatro Stabile di Catania Giuseppe Dipasquale, interpreti principali sono Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Guia Jelo, Miko Magistro, Gian Paolo Poddighe, Marcello Perracchio, Angelo Tosto, Fulvio D'Angelo e le due Compagnie. Di sicuro risate assicurate con "L'altalena" di Nino Martoglio e "La concessione del telefono" di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale che concludono fra l'altro la stagione del Teatro Stabile di Catania. […] Poi dal dal 15 al al 30 giugno verrà riproposto "La concessione del telefono". Si tratta della versione scenica dell'omonimo romanzo di culto, ridotto a quattro mani dall'autore Andrea Camilleri insieme a Giuseppe Dipasquale, a sua volta artefice della regia. Antonio Fiorentino firma la scenografia, Angela Gallaro i costumi, Germano Mazzocchetti le musiche. Il cast annovera mattatori come Pippo Pattavina, i già citati Musumeci, Jelo e Magistro, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Angelo Tosto, Fulvio D'Angelo, Sergio Seminara, Giampaolo Romania, Cosimo Coltraro, Raniela Ragonese, Liliana Lo Furno. L'azione è in Vigàta, minuscolo universo plasmato di paradigmatica sicilitudine. un crescendo di paradossi che suona estremamente attuale, salvo che il fatto si consuma a fine Ottocento, quando Montalbano ancora non c'era.
 
 

Il Tempo, 3.6.2013
Campidoglio
Nemici per vocazione

Per fortuna Andrea Camilleri è solo uno scrittore, sceneggiatore e regista televisivo. Il suo Montalbano, pur fratello del politico Nicola Zingaretti, è solo un commissario immaginario di Polizia. E "il Fatto Quotidiano" è solo un giornale acquistabile in edicola, come tutti opinabile e fallibile.
Se Camilleri, con i suoi 88 anni da compiere il 6 settembre prossimo, riuscisse a scalare la Corte Costituzionale, magari di notte, e a far diventare il simpatico Montalbano un commissario vero, provvisto di manette agli ordini della Corte o di altro potere giudiziario, e il giornale diretto da Antonio Padellaro, "il Fatto" appunto, diventasse la Gazzetta Ufficiale della Repubblica, e non quella ufficiosa di alcune sue Procure, non vi sarebbe scampo per il povero Giorgio Napolitano. Che, a 88 anni, pure lui, da compiere il 29 giugno - auguri anticipati, caro presidente- e a meno di due mesi dall'inizio del suo secondo mandato al Quirinale, si troverebbe veramente nei guai. In odore di "impeachment" parlamentare e di processo davanti alla Corte per avere "mandato in vacca la Costituzione", come lo ha accusato ieri Camilleri sul giornale di Padellaro. Il quale ne ha voluto personalmente condividere e rilanciare l'attacco nell'editoriale "Un Colle solo al comando", a commento della "vigilanza" appena annunciata dal capo dello Stato sui partiti ancora una volta tentati, se mai hanno smesso di sottrarvisi davvero, dalla "inconcludenza" sul terreno ormai indifferibile delle riforme istituzionale ed elettorale. Che sono diventate complementari alle urgenti misure necessarie per tirare fuori il Paese dalla crisi economica.
Altro che testimone per le presunte trattative fra lo Stato e la mafia di una ventina d'anni fa al processone appena cominciato a Palermo, come hanno chiesto i pubblici ministeri fra gli incoraggiamenti de "il Fatto". È quindi agli arresti, pur domiciliari per la sua età, tradottovi e controllato da Montalbano, che da certe parti si sogna forse di vedere Napolitano dopo il suo "discorso da Repubblica presidenziale". Così il giornale tifoso delle Procure ha definito il messaggio del capo dello Stato in occasione della festa del 2 giugno: quello della già citata "vigilanza" sui partiti, e dell'auspicio di potere festeggiare il prossimo compleanno repubblicano registrando finalmente per l'Italia "una prospettiva nuova, più serena e sicura". Con qualche anticipo, peraltro, rispetto ai diciotto mesi del pur "appropriato" traguardo o tagliando propostosi dal governo di Enrico Letta.
La Repubblica "presidenziale", anche nella versione "semi" felicemente sperimentata in Francia, dove il capo dello Stato viene eletto direttamente dal popolo e detiene pure poteri di governo, dividendoli con il presidente del Consiglio, è ancora vissuta come un incubo da una certa sinistra di origine marxista e cattolica. Eppure all'Assemblea Costituente il presidenzialismo fu sostenuto da un giurista del Partito d'Azione come Piero Calamandrei. Fu riproposto nel 1964 da un repubblicano antifascista e storico come Randolfo Pacciardi e rilanciato nel 1979 con il progetto della "grande riforma" dall'allora segretario socialista Bettino Craxi. E nel Pd vi hanno più o meno aperto negli ultimi giorni, in ordine rigorosamente alfabetico, il segretario Guglielmo Epifani, Romano Prodi, Matteo Renzi e Walter Veltroni.
Ma i post-democristiani Rosy Bindi e Giuseppe Fioroni sono insorti chiedendo un referendum interno, non bastando evidentemente il congresso d'autunno del Pd imposto dallo statuto e dal fallimento elettorale e politico della segreteria di Pier Luigi Bersani. E Nichi Vendola, dall'esterno, soffia sul fuoco con Beppe Grillo e Stefano Rodotà, di nuovo improvvisamente insieme, gridando contro lo "sbandamento culturale" e il "balocco" appunto del presidenzialismo. Di cui è sospettato ora anche il presidente del Consiglio per avere appena auspicato "un modo diverso" di elezione del capo dello Stato, "scatenando" - gli ha rimproverato ieri "l'Unità"- l'interesse del partito di Silvio Berlusconi. Che è presidenzialista da sempre. Cosa, questa, che evidentemente da sola motiva certa sinistra cavernicola a irrigidirsi, incapace com'è di vivere senza ostilità preconcetta e assoluta, cioè odio, per l'avversario di turno.
Francesco Damato
 
 

La Repubblica, 3.6.2013
Viaggi
Tra Scicli e... Vigata. Realtà e finzione
Sulle orme dei luoghi utilizzati per creare la Sicilia di fantasia nella serie dedicata al commissario Montalbano

Modica, Ibla, Scicli, Donnafugata e Punta Secca sono alcuni dei luoghi scelti dagli sceneggiatori per le riprese della fortunata serie televisiva dedicata al commissario Salvo Montalbano, creato da Andrea Camilleri e interpretata dall'attore Luca Zingaretti. Così Vigata, un nome di fantasia per il paese in cui lavora il poliziotto più famoso d'Italia, ha l'aspetto del centro storico di Scicli, con assoluta protagonista la Via Francesco Mormino Penna dove la Fiat Tipo del Commissario sfreccia e parcheggia davanti al Palazzo del Municipio, diventato, per l'occasione, il Commissariato di Vigata, anche nei suoi interni. Sempre a Palazzo di Città, la stanza del sindaco è diventata l'ufficio del questore. Altre location sciclitane sono la terrazza di Piazza Carmine, la Chiesa e la Cava di San Bartolomeo, Palazzo Iacono diventato, in esterno, il Palazzo della Pretura, Piazza Armando Diaz, il complesso della Madonna del Rosario, Via Duca degli Abruzzi.
Il porto di Donnalucata e il suo lungomare sono il lungomare di Marinella. A Sampieri, presso la Fornace Penna, si trova, invece, la Mannara, zona malfamata di delitti e prostituzione, protagonista assoluta de "L'odore della notte". Il castello residenza del boss Balduccio Sinagra si trova a Donnafugata mentre Punta Secca, tra Marina di Ragusa e Santa Croce Camerina, è Marinella, località dove il commissario ha la casa, in realtà bed & breakfast aperto al pubblico affacciato sulla celebre spiaggia, con dieci posti letto e aria condizionata.
Giuseppe Ortolano
 
 

La Repubblica, 3.6.2013
Viaggi
Tra Scicli e... Vigata. Realtà e finzione
Tra Scicli, Modica e Noto. Tra mare e Barocco. Alla scoperta della Sicilia immortalata nei libri di Camilleri e nella popolare serie televisiva che ne è scaturita

C'è chi lo visita per i siti archeologici e chi per la natura o per i pregevoli esempi di architettura barocca. Chi è alla ricerca dei luoghi dove Camilleri ha ambientato le avventure del Commissario Moltabano e chi desidera un mare pulito dove tuffarsi. Senza scordare chi ama perdersi nei piaceri dell'enogastronomia locale o delle numerose tradizioni popolari che si celebrano nel corso di tutto l'anno. Non mancano certo i motivi per visitare quell'angolo di Sicilia, posto tra le provincie di Siracusa e Ragusa, al cui centro si trovano le cittadine di Scicli, Noto e Modica.
Scicli, città-presepe Patrimonio UNESCO, è forse meno conosciuta di Noto e Modica ma, incastonata all'incrocio di tre valloni a pochi chilometri dal mare, conserva uno splendido centro storico, espressione del genio creativo dell'età tardo-barocca, frutto della ricostruzione settecentesca in seguito al terremoto del 1693 che rase al suolo l'intera città. Un piccolo gioiello incantato che lo scrittore Elio Vittorini, nel suo libro "Le città del mondo", dipinse come, forse, la più bella città del mondo. Nel salotto buono di Scicli si incontrano splendidi palazzi nobiliari settecenteschi (Palazzo Spadaro, Palazzo Bonelli, Palazzo Conti, Palazzo Veneziano-Sgarlata, Palazzo Papaleo, Palazzo Carpentieri, Palazzo di Città) e architetture ecclesiastiche (Chiesa di San Giovanni Evangelista, Chiesa di San Michele, Chiesa di Santa Teresa) tardobarocche in pietra dorata locale.
Ma per ammirare quello che viene definito il palazzo barocco più bello di Sicilia si deve raggiungere Palazzo Beneventano, con i suoi caratteristici mascheroni che rappresentano alcune teste di moro. Da Palazzo Beneventano si arriva in Piazza Italia, sulla quale si affacciano Palazzo Massari, Palazzo Mormina-Penna, Palazzo Iacono, Palazzo Fava e dalla Chiesa Madre di Sant'Ignazio. Da qui si raggiunge la cava di San Bartolomeo (canyon naturale dovuto all'azione del torrente San Bartolomeo sulla roccia calcarea) che racchiude la stupenda chiesa omonima e da dove si arriva al complesso di grotte di origine bizantina di Chiafura.
Da visitare poi: la statua marmorea di Pietro di Lorenzo detto Busacca, circondata dal complesso monumentale della Chiesa e del Convento del Carmine, il Convento di San Domenico e le architetture militari del Castiddazzu (torrione di uno scomparso mastio probabilmente risalente al XV secolo) e del Castello dei Tre Cantoni.
Scicli è anche un vivace centro dell'arte contemporanea italiana ed europea. In città è infatti attiva una "scuola di pittura e scultura", chiamata Gruppo di Scicli, i cui lavori sono in parte esposti permanentemente a Palazzo Spadaro. La vocazione artistica di questa località è anche sottolineata dalle numerose gallerie d'arte che si snodano per il centro storico. Ma Scicli è anche mare, con oltre venti chilometri di costa, diciotto di spiaggia finissima e dorata che degrada in un mare cristallino e ben quattro borgate marinare. Tra queste Donnalucata, la più antica e grande, il cui nome deriva dall'arabo "Ayn-Al-Awqat", che significa fonte delle ore.
Qui si trovava una sorgente di acqua dolce che sgorgava sulla spiaggia, grazie al gioco delle maree, cinque volte, proprio come le preghiere musulmane. Splendido è il piccolo borgo marinaro ottocentesco di Sampieri da cui parte una splendida spiaggia a mezzaluna che culmina a Punta Pisciotto con la Fornace Penna, fabbrica di laterizi costruita nel 1912 e in disuso dal 1924 quando fu incendiata. Spettacolare esempio di archeologia industriale fra i più importanti in Italia è una vera e propria "cattedrale del mare". L'ultimo sabato di maggio Scicli celebra la Madonna delle Milizie, l'unica Vergine Guerriera della cristianità, venuta in aiuto agli sciclitani e ai normanni contro i saraceni nella battaglia di Micenci del 1091. Anima della festa è la rievocazione dei momenti che precedettero il fatto d'armi che culminano, appunto, con la stessa battaglia dove avviene la miracolosa apparizione della Vergine a cavallo.
Per alloggiare nella cittadina ci si può affidare alle accoglienti strutture low cost di ScicliOspitalitàDiffusa.it, presenti nel centro storico, vicino al mare o in aperta campagna.
A pochi chilometri da Scicli si incontra Noto, un vero e proprio giardino di pietra fatto di chiese e palazzi nobiliari, capitelli e fregi, tra i quali è piacevole girare per scoprire il fascino del barocco siciliano, che qui prende il colore giallognolo della pietra utilizzata nelle costruzioni. Da non perdere una visita alla cattedrale, alla bella Sala degli Specchi presso Palazzo Ducezio, al Museo Civico e a Palazzo Nicolaci, dimora nobiliare del Settecento. Salendo sulla torre campanaria si gode di un bel panorama sulla città e dei dintorni.
A poco più di dieci chilometri dalla città barocca si visita Noto Antica, abbandonata dopo il terremoto del 1693, dove si possono ammirare le necropoli sicule del IX -VIII sec a.C., la Grotta del Carciofo (catacomba ebraica), la Grotta delle Cento Bocche, la Porta della Montagna e i resti dell'imponente cinta muraria e del Castello Reale. Se si prende la via del mare si arriva invece alla Riserva Naturale di Vendicari, un' oasi faunistica e avicola per uccelli migratori. All'interno dell'area protetta si trova la Torre Sveva edificata tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento, in epoca aragonese; una tonnara abbandonata nei primi anni del Novecento e un impianto romano per la lavorazione del pesce e per la produzione del "garum", tipica salsa usata dai romani per condire i cibi. Nella vicina contrada Caddeddi si trova la Villa Romana del Tellaro, con mosaici pavimentali ritenuti tra i più belli in Italia.
La vicina Modica abbina, invece ai meravigliosi monumenti del barocco siciliano i suoi celebri laboratori di cioccolato artigianale, famoso per essere prodotto con la ricetta originale azteca che lo rende granuloso e friabile. Tra le numerose chiese (c'è chi dice che siano almeno 100) vale la pena visitare almeno il duomo di San Giorgio, ritenuto il monumento simbolo dello stile architettonico barocco siciliano, e quello di San Pietro, le chiese del Carmine e di Santa Maria in Betlem e il pregevole esempio di architettura rupestre di San Nicolò inferiore.
Se il tempo a disposizione lo permette vale la pena visitare anche Palazzolo Acreide, costruito sull'altopiano che ospitava l'antica colonia greca di Akrai: una città-fortezza della quale si ammirano ancora imponenti vestigia archeologiche. O la Cava d'Ispica, una gola solcata da un ruscello, generalmente secco, con catacombe risalenti all'epoca paleocristiana (IV-V secolo), tracce di abitazioni, antiche chiese e grotte anticamente abitate dall'uomo. A pochi chilometri da Pachino, centro agricolo noto per la produzione di pomodorini, si incontra infine Marzamemi ( dall'arabo Marsà al hamen ovvero Rada delle Tortore), una suggestiva borgata bagnata dal mare e sede di un'antica tonnara. Nel centro storico si trovano la bella Piazza Regina Margherita, con le sue due chiese, il Palazzo del Principe di Villadorata, proprietario della tonnara, e le vecchie case dei pescatori, oggi in parte occupate da caratteristici locali turistici.
Giuseppe Ortolano
 
 

4.6.2013
Ferragosto in giallo
L'antologia edita da Sellerio sarà in libreria il 27 giugno.
I racconti sono scritti da Andrea Camilleri (una storia del Giovane Montalbano), Alicia Giménez-Bartlett, Gian Mauro Costa, Marco Malvaldi (Azione e reazione, una storia del BarLume), Antonio Manzini e Francesco Recami.
 
 

Adnkronos, 4.6.2013
Compie 100 anni Giuseppe Aldo Rossi, 'papà' del Tenente Sheridan

Roma, 4 giu. (Adnkronos) - Compirà 100 anni giovedì prossimo il papà del Tenente Sheridan, lo sceneggiatore Giuseppe Aldo Rossi, nato a Roma il 6 giugno 1913, che fra televisione radio ha all'attivo oltre 150 programmi fra i quali spiccano appunto le serie tv dedicate al Tenente Sheridan dalla Rai fra il 1959 ed il 1967, firmate insieme a Mario Casacci e Alberto Ciambricco, interpretate da Ubaldo Lay.
[...]
Il Tenente Sheridan, che proseguì la sua avventura televisiva fino all'inizio degli anni '70 ma senza più Rossi in squadra, fu il primo poliziesco televisivo italiano, avvio di grande successo per il genere che come ultima star ha il Commissario Montalbano creato da Andrea Camilleri: "I nostri erano gialli a enigma, con l'azione che proponeva il problema da risolvere, il colpevole da trovare, si interrompeva, lasciava spazio all'ipotesi di soluzione e poi riprendeva per offrire la soluzione. I libri di Montalbano, all'inizio erano dei romanzi con un levissimo mistero poliziesco. Il successo televisivo si deve soprattutto alla bravura dell'interprete, Zingaretti", afferma Rossi.
[...]
 
 

Aggratis, 4.6.2013
Il commissario Montalbano in "Un ritorno azzardato" (prima e seconda parte)
La parodia di Sergio Friscia
 

 

 
 

5.6.2013

 
 

RaiNews24, 5.6.2013
Andrea Camilleri: ecco "Come la penso"
Intervista ad Andrea Camllleri in occasione dell'uscita di un nuovo libro intitolato "Come la penso", raccolta di articoli e brevi saggi.
Paolo Zefferi

 
 

SkyTg24, 5.6.2013
"Come la penso", a Sky TG24 l'ultimo libro di Camilleri
L’autore siciliano non crede alle larghe intese: danno vita a governi troppo fragili
Roberto Lorefice

 
 

AgrPress, 5.6.2013
Andrea Camilleri "Come la penso"

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Corriere del Mezzogiorno, 5.6.2013
«Chiedo pubblicamente scusa di aver chiesto di votare Pd»
Camilleri: «Il mio successo? Perché ho pensato in siciliano»
Lo scrittore presenta il suo libro: «Come la penso» e dice: «Le riforme costituzionali? Pensiamo a detassare il lavoro»

Palermo - Far lavorare i giovani «deve essere la priorità del governo», la scoperta della maturità che è stata «cominciare a pensare in siciliano e arrivare così alla facilità del racconto», la nascita di Montalbano il cui «modello ideale è stato Maigret». Andrea Camilleri si racconta a tutto tondo intervenendo sui problemi più urgenti di oggi, alla presentazione del libro «Come la penso» (Chiarelettere). «Pensiamo a come è possibile detassare il lavoro, non alle riforme costituzionali. Ma che Italia lascio ai miei nipoti? E' come se avessimo fatto una guerra», sottolinea Camilleri e aggiunge: «Il 40% dei giovani è disoccupato. Non può l'Italia andare avanti così, con i ricatti. Tante cose nel nostro Paese, non solo le industrie, dovrebbero andare in amministrazione controllata».
Poi il padre di Montalbano interviene duramente sulla rielezione del presidente della repubblica Giorgio Napolitano che secondo lui non andava fatta, e contro il Pd. «A ottantotto anni voglio dire pubblicamente le cose che dico a casa. Dopo che abbiamo assistito in diretta al parricidio di Prodi abbiamo visto come era facile la soluzione gattopardesca ma ancora più azzardata. Qui non siamo al bisogna cambiare tutto perché non cambi nulla ma al non cambiamo nulla per carità e andiamo di corsa da Napolitano a proporgli il settennato». Ora, continua Camilleri «sono coetaneo di Napolitano e so quale è a questa età lo sfaldamento delle cellule cerebrali. Io posso scrivere un romanzo imbecille che non verrà letto da nessuno, lui ha altre responsabilità e perciò mi sono permesso di dire quello che ho detto e mi sono anche scusato pubblicamente di aver chiesto di votare Pd».
In un crescendo di riflessioni su quello che sta accadendo alla nostra politica, Camilleri dice che «stiamo facendo le prove generali del semipresidenzialismo» e interviene sull'Imu: «Levarla alla gente che con fatica si è fatta l'unica casa e' doveroso e giusto. Toglierla a me che ho la doppia casa è sbagliato perché rischiamo tutti di pagare l'Iva maggiorata».
«Montalbano è un antieroe borghese tranquillo e normale. Volevo farne un personaggio non inquietante come nel modello americano». In chiusura un omaggio a Leonardo Sciascia che «mi manca in un modo incredibile. Lo chiamo il mio elettrauto, perché quando ho le batterie scariche prendo il suo libro e me lo rileggo per un'ora o due e mi sono ricaricato».
 
 

il manifesto, 5.6.2013
Noir/ «Saturno» di Serge Quadruppani per Einaudi
Il mostro che divora i propri figli all'ombra delle macerie del terremoto

Profondo conoscitore della situazione e della cultura italiana. Traduttore e «introduttore» di vari autori italiani in Francia: è tra l'altro direttore di una collana d'oltralpe dedicata al noir italiano. Da sempre politicamente impegnato. Serge Quadruppani è scrittore raffinato e popolare al contempo, saggista e autore di romanzi neri ambiziosi e mai banali. Potrebbe essere definito come l'erede più originale al grande maestro del polar francese, quel Jean-Patrick Manchette che ha dato corpo e sangue al genere, stravolgendolo e donandogli nuove prospettive e nuovi orizzonti. Impressione, questa, confermata leggendo il suo ultimo romanzo Saturno (Stile Libero Einaudi, pp. 235, euro 17).
La storia, in gran parte ambientata in Italia, prende il via alle terme di Saturnia, dove un killer compie una strage a prima vista imspiegabile, uccidendo tra le piscine termali tre donne. Siamo alla vigilia del G8 che deve tenersi a L'Aquila e, anche a seguito del ritrovamento di una rivendicazione - in realtà poco convincente - di al-Qaida, dall'alto si tenta di indirizzare le indagini verso la pista terroristica. Un altro fatto strano è che viene incaricata di far luce sull'accaduto la commissaria Simona Tavaniello - personaggio che i lettori di Quadruppani conoscono dal romanzo precedente dell'autore francese intitolato La rivoluzione delle api, uscito per le edizioni Ambiente nel 2010 - specializzata da dieci anni in casi di mafia.
Tra depistaggi, complotti che nascondono altri complotti, intrighi finanziari e non solo di altissimo livello, la commissaria Tavaniello si troverà a dover sbrogliare una matassa davvero intricata. Per farlo potrà contare su una squadra di personaggi a prima vista improbabili come un ragazzino o un malato di cancro, un gatto, un cane, un asino e un coniglio. E un investigatore privato francese, ingaggiato non soltanto dai parenti delle vittime ma anche dall'autore materiale della strage - figura, come si vedrà, molto più umana dei suoi mandanti - che vuole sapere chi c'è in realtà dietro l'accaduto e dunque le ragioni per cui vogliono fregarlo.
Il tutto raccontato seguendo i personaggi lungo i vicoli di Napoli, a Roma, a Ferrara, in Francia, in un susseguirsi di situazioni e avvenimenti capaci di lasciare il lettore con il fiato sospeso. E, alla fine, si capirà anche il titolo, che non si riferisce solo al luogo della strage, le terme di Saturnia, appunto, ma rimanda anche a quel dio uso a divorare i propri figli.
Da notare, inoltre, una piccola apparizione, un cameo volendo usare il linguaggio cinematografico, di Andrea Camilleri, il Maestro, come lo chiama Quadruppani, che, per citare le parole dell'autore francese in un'intervista a «Liberi di scrivere» risulterà «breve ma decisiva».
Tutta la vicenda, risulterà essere intrecciata anche, e soprattutto, con gli avvenimenti iniziali della crisi che stiamo ancora vivendo, quella innescata dal crollo del mercato dei subprimes. Così, come nella migliore tradizione del noir, la vicenda viene magistralmente utilizzata dall'autore per descrivere la società attuale, con le sue storture, le sue ingiustizie, i suoi livelli ormai intollerabili di sfruttamento. Il tutto senza mai cadere nel didascalico o nel retorico, ma facendone emergere gli elementi dal racconto.
E poi c'è la scrittura, lo stile di Serge Quadruppani, secco, tagliente, deciso, senza orpelli. E dalla struttura davvero cinematografica. Leggendo il romanzo, sembra quasi di vedere le panoramiche, i piani-sequenza, i primi piani, i tagli di montaggio. A molti, infine, la storia farà venire in mente tante altre stragi realmente accadute nel corso della vita del nostro paese, spesso rimaste impunite o, comunque mai pienamente chiarite, ma che hanno fatto emergere livelli di coinvolgimento da parte di settori, certo deviati, dello Stato. E che, come nel caso di questo romanzo di Quadruppani, sono servite a scrivere, a comunicare qualcosa a qualcuno, utilizzando il sangue, la morte di persone innocenti.
Mauro Trotta
 
 

RomaItaliaLab, 6.6.2013
Camilleri racconta Camilleri

“Sono scritti all’ottantina, come direbbe Montalbano. Composti con uno squadro appannato, distaccato. Di una vecchiaia noiosamente saggia”. La recensione stringata di “Come la penso”, edito da Chiarelettere, la fa l’autore stesso: Andrea Camilleri.
Lo scrittore siciliano ha presentato il suo ultimo lavoro al pubblico romano, accorso numeroso all’Accademia delle Belle Arti per il terzo incontro di “Seincontri”, il ciclo di conferenze e seminari su arte e letteratura organizzato dalla docente Miriam Mirolla.
Gli aneddoti su Montalbano, gli incontri con Sciascia, le storie di successi e insuccessi: nel saggio autobiografico, Camilleri racconta sé stesso. Un viaggio lungo decenni, nei quali il maestro del giallo italiano ha avuto non poche difficoltà a emergere: “Da giovane non ero in grado di raccontare storie lunghe: non andavo oltre le tre cartelle di testo – ha confessato -. Ci vollero molti anni per capire il perché: la ragione stava nel fatto che io pensavo in italiano. La scoperta della maturità è di pensare in dialetto siciliano. Così, sono diventato un traduttore simultaneo di me stesso”.
Gli scritti contenuti in “Come la penso” sono per la gran parte inediti. E spaziano dalla religione alla politica, passando per la storia e la letteratura. Ragionando sulla stretta attualità, Camilleri non si è sottratto a dare alcune sferzate. Destinatari il governo, i cui capi sono “Caino e Abele” che, sostiene, “non potranno mai andare d’accordo”; Napolitano, suo coetaneo, e per questo motivo soggetto a invecchiamento delle “cellule celebrali”; e i parlamentari che, oggi, vogliono una riforma costituzionale in senso presidenzialista: “Questi tentativi di cambiare la Costituzione sono perdite di tempo inutili. Pensiamo prima a detassare il lavoro e a dare un futuro ai nostri figli“, ha concluso Camilleri.
Lucio Perotta - foto di Gloria Imbrogno
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Formiche, 6.6.2013
Andrea Camilleri si confessa
Ecco che cosa ha detto lo scrittore siciliano alla presentazione romana del suo libro "Come la penso", edito da Chiarelettere

Andrea Camilleri e Francesco Piccolo

Nel suggestivo cortile dell’Accademia delle Belle arti a Roma in occasione dell’uscita del libro Come la penso, edito da Chiarelettere, Andrea Camilleri ha incontrato ieri il suo affezionatissimo pubblico.
Il Maestro siciliano ha conversato con lo scrittore Francesco Piccolo incuriosendo con gli aneddoti di una vita.
E così si scopre che la forma racconto è quella che preferisce anche se da giovane non era stato capace di mettere a frutto questa abilità in maniera efficiente. Solo dopo molti anni capì il suo “errore”. Ovvero era il traduttore istantaneo di se stesso perché pensava in italiano. Nella maturità invece ha capito che doveva pensare e scrivere direttamente in dialetto.
Il mestiere dello scrittore è infatti un’arte che va curata nei minimi dettagli per Camilleri che spiega come una singola pagina può arrivare a scriverla anche 4-5 volte finché non raggiunge il ritmo giusto.
E poi il suo rapporto con Leonardo Sciascia che lo ha presentato a Elvira Sellerio. Confessa che gli manca molto, e soprattutto sente la mancanza dell’essere in disaccordo con lui perché riusciva a insinuargli sempre il dubbio. Sciascia, dice Camilleri, è il suo elettrauto: quando è giù gli basta leggere un suo libro e subito si ricarica le batterie.
Anche il legame con il pubblico è curioso. Non sempre si va incontro al lettore, tante critiche e lettere contrarie agli atteggiamenti per esempio del suo personaggio Montalbano arrivano al Maestro, ma lo scrittore su questo è molto risoluto in quanto spiega che quando scrive non pensa al pubblico, pensa solo a quello che ha in testa e “a quello che è doveroso che io dica”. D’altronde ricorda, dall’alto dei suoi lucidissimi 88 anni, che non è un obbligo comprare un libro di uno scrittore.
Sempre conversando del commissario Salvo Montalbano racconta di aver tratto l’ispirazione da Maigret di Simenon. Il suo intento era quello di raccontare un personaggio non inquietante, ma tranquillizzante: un antieroe borghese, sereno e tranquillo.
Infine, interpellato sull’attualità non esita a ribadire che non si dovrebbe puntare oggi alle riforme costituzionali, ma bisognerebbe detassare il lavoro che è la dignità dell’uomo.
Insomma un Camilleri che non si risparmia, ironico e vivace che guarda il mondo di oggi con la stessa curiosità e volontà di conoscere di quando arrivò dalla Sicilia a Roma negli anni Cinquanta.
Francesca Scaringella
 
 

oggi scrivo io, 6.6.2013
Andrea Camilleri (Come la penso)

Carissimi Amici del Blog ieri si è tenuta all'Accademia delle Belle Arti, nell'eterna ed incantevole Roma, la presentazione del libro di Andrea Camilleri "Come la penso" edito da Chiarelettere, in cui lo scrittore si confessa al suo amato pubblico all'età di 88 anni dopo 35 anni di attività intensa di lungimirante e sincero artista. Camilleri inizia a parlarci della sua tenera età, di come le cose che scorrono nella vita di tutti i giorni le si osserva in maniera più nitida, chiara ma anche più distaccata, meno passionale tanto da poter affermare che alcune cose che non si scrivono a 40 anni le si scrivono ad 80 anni perchè vi è una maggiore maturità artistica e umana che denota una visione più cristallina del nostro comune sentire e percepire la distanza fra Essere e Nulla. Poi, sulla scia delle emozioni, ricorda l'utilità della sua professione tanto da farmi commuovere al pensiero di una giovanissima ragazza, 30 anni, malata terminale, prossima alla morte che ringrazia Camilleri per averla fatta sorridere oppure un'anziana signora che elogia le opere di Camilleri che hanno tenuto compagnia ad una ragazzina di 16 anni, sottoposta ad un'operazione al cervello (andata benone tanto che adesso la ragazzina ha 17 anni) che si rallegrava all'arte di Camilleri. Poi invita gli attuali politici a detassare il lavoro riducendo il cuneo fiscale, offrire e garantire il lavoro ai giovani che sono il "futuro della nostra Italia" finita in mano a persone che non vogliono cambiare nulla, peggio ancora del principe Tancredi, di gattopardesca memoria che diceva "Bisogna fare di tutto affinchè nulla cambi e ciò rimanga sempre uguale". Si scusa con coloro che hanno votato PD e invita a non pensare alle riforme costituzionali ma solo ad applicare concretamente la Costituzione che deve essere sempre più tutelata non modificata entro i 18 mesi di un governo semipresidenzialista retto da Napolitano che stravolge completamente lo spirito della Costituente che afferma "L'Italia è una repubblica democratica parlamentare fondata sul lavoro". Infine scherza sul suo rapporto con il computer che non capisce il siciliano e che sottolinea paurosamente i cosiddetti errori di stampa. Poi parla del rapporto affettuoso con Leonardo Sciascia che legge ogni qualvolta "ho le batterie scariche, prendo un libro di Leonardo e mi ricarico nel suo essere intelligentemente dubbioso" e dell'opera "La strage dimenticata" che Leonardo stesso consigliò a Camilleri di scrivere e di renderla nota al grande pubblico.
Un incontro basato su un viaggio fatto di emozioni, pensieri, idee, opinioni che l'autore del commissario vigatese Montalbano offre al suo affezionatissimo pubblico spiegando infine come Montalbano si ispiri al noto Maigret con la differenza che Maigret è sposato e Montalbano è soltanto fidanzato con la storica Livia ma tutti e due hanno avuto un rapporto difficile con il padre e amano la buona cucina e il buon vino.
Per cui non possiamo altro che ringraziare il Sommo Andrea per averci regalato un'ora di felicità tanto che quando è finito l'incontro abbiamo detto "Possibile è già finito?" come quando le mamme ti chiamavano dalle finestre per dirti di andare a mangiare dato che il sole stava facendo capolino alle fresche serate estive.
Con affetto e stima,
Gianluigi Melucci
 
 

Solo Libri.net, 6.6.2013
Un covo di vipere – Andrea Camilleri
Doppia recensione per l’ultimo libro di Andrea Camilleri, che segna il ritorno di Montalbano in libreria.

Torna a sognare il cinquantottenne Montalbano nel suggestivo romanzo di compatta architettura "Un covo di vipere" (Sellerio, 2013). Lui e Livia si trovano dentro al “Sogno di Yadwigha”, il famoso quadro di Rousseau il Doganiere. Nella foresta un uccello sembra che faccia variazioni fantasiose sul tema del “Cielo in una stanza”. Sogno premonitore? Lo scenario cessa allorquando il rumore della pioggia lo riporta alla realtà. A segnare l’inizio di quella giornata “grigia e picchiusa” sono l’incontro con un vagabondo-barbone dai modi gentili e, in un villino di villeggiatura estiva, l’assassinio del proprietario, il ragioniere Cosimo Barletta. Perché, come e da chi era stato ucciso?
L’attività investigativa si concretizza senza tregua tra il commissario e Arturo, il figlio dell’ucciso. Poi è la volta di Giovanna, sua sorella. E’ nel corso della “detection” che si definisce il profilo della vittima: il donnaiolo che fotografava le ragazze con cui andava a letto, lo strozzino che mandava in rovina i commercianti, prestando denaro ad altissimi tassi d’interesse, il ricattatore spregiudicato. In breve, un affarista senza scrupoli che a Vigàta si era fatto molti nemici. Ripensandolo, Montalbano ragiona con se stesso e rivela una convinzione aperta alla comprensione umana: da una parte, egli si dice, è da ammirare chi si ribella al suo persecutore; dall’altra, va necessariamente punito per l’omicidio commesso. Nello stretto lavoro di squadra tra lui, Fazio e Mimì Augello il discorso non a caso cade sul “Hedda Gabler”, il dramma di Ibsen. L’attenzione viene poi rivolta alla dinamica dell’assassinio: gli interrogativi si fanno incalzanti, si formulano e si falsificano ipotesi.
Fra la ricerca di un testamento introvabile e di una pista basata su tracce indiziarie, Camilleri si mostra abilissimo nella scelta dell’umorismo come strategia di cui si serve per rappresentare l’ennesimo conflitto tra Montalbano e Livia: una scena sapientemente costruita. Del tutto umana nella narrazione la personalità del nostro commissario che, via via, finisce col mostrarsi facile preda della malinconia e della solitudine. Lo scrittore riprende lo svolgimento dell’azione, facendo comparire quel vagabondo che vive in una grotta e al quale Livia, che per alcuni giorni si trova a Vigàta, dedica del tempo, andandolo a trovare. Le indagini sui familiari dell’ucciso si fanno pressanti e viene messa a nudo una realtà che sconosce inibizioni. L’esame, in particolare, di alcune lettere, il comportamento di Giovanna, l’interrogatorio della moglie di Arturo e di Alina, la ragazza ventenne che si concedeva a Cosimo Barletta in cambio di particolari elargizioni, sono tasselli sparpagliati che si ricompongono nella soluzione del caso. Amara la constatazione della verità che ruota attorno a più moventi, dato che il morto era stato ammazzato due volte sia pure in modi diversi. Il misterioso e aggrovigliato intreccio, che coinvolge anche buona parte della comunità vigatese, si fa chiaro con le confidenze fatte a Montalbano dal singolare barbone il quale, peraltro, gli rivela la sua effettiva identità. Covo di vipere, in sostanza, la famiglia del Barletta dal torbido e malsano agire entro un contesto incestuoso che ha i tratti inconfondibili della tragedia greca. Quale, dinanzi a colpe di estrema gravità, l’atteggiamento di Montalbano nei riguardi di uno dei colpevoli?
Federico Guastella
 
Un covo di vipere è l’ultimo giallo pubblicato da Andrea Camilleri, anche se in realtà è stato scritto nel 2008, come ci informa l’autore stesso. Non era uscito in precedenza per la contestualità con un’altra storia di tema simile. Anche senza saperlo, tuttavia, risulta evidente che questo giallo differisce dagli ultimi pubblicati e rimanda ad un periodo più felice della produzione dello scrittore. Nella storia infatti compaiono nuovamente tutti i protagonisti di quel variopinto affresco dell’immaginaria cittadina siciliana che Camilleri ha eletto a scenario dei suoi racconti:
. Mimi Augello, non più solo comparsa un po’ farsesca, ma in funzione investigativa di un certo peso,
. Livia, non più solo una voce al telefono, ma una compagna in carne ed ossa e di felici intuiti,
. il pm Tommaseo e le sue fantasie erotiche,
. il questore, Enzo e i suoi piatti sopraffini,
. ci sono tutti gli altri, Fazio, Catarella, Adelina, Beba.
Insomma, non manca nessuno e tutti hanno il loro ruolo e concorrono a riempire la scena e a vivacizzare il racconto, come Camilleri ci ha abituati a leggere nei suoi primi romanzi. Gli ultimi invece sembrano un po’ deserti, tutti concentrati sulla storia gialla ed i suoi occasionali personaggi.
Il tema di quest’ultimo romanzo è scabroso e l’autore lo affronta con delicatezza, lo lascia trasparire a poco a poco, sembra quasi restio a volersi arrendere alla sua evidenza, tanto che pur accumulandosi gli indizi ben prima dell’epilogo è solo in questo che emerge chiaramente la spiegazione e lo stesso Montalbano sembra non volersene convincere. Un uomo viene trovato “doppiamente” ucciso, prima col veleno e poi con un colpo di pistola: Montalbano e la sua squadra cercano due assassini, due personaggi che per la modalità stessa del delitto compiuto presentino caratteri psicologici diversi. Frugano nella vita dissoluta e brutale del morto, un uomo ricco e spietato, un usuraio, ricattatore e pedofilo, e nelle sue innumerevoli relazioni amorose, fino a quando la verità emerge, inaccettabile nella sua brutalità. Ma Montalbano non si arrende: come già altre volte non rinuncia alla tentazione di ergersi lui giudice e di offrire al colpevole un’ultima possibilità, puntando a far sì che la giustizia che deve colpire non sia la fragile e inadeguata giustizia degli uomini, ma una giustizia più alta e inesorabile, in grado di punire e al tempo stesso di compatire, soprattutto quando il colpevole è anche vittima, consenziente, ma succube e quindi meritevole di un ultimo gesto di pietà.
Ritorna così in campo il Montalbano più profondo e sensibile, quello del quale Livia ha detto una volta Tu vuoi essere Dio , il poliziotto che vive il proprio mestiere come una missione, quella di rimettere in ordine una realtà di cui conosce tutte le brutture e le miserie, ma per la cui redenzione non perde la speranza.
Angela Mazzotti
 
 

Entertainment & Stars, 6.6.2013
Anticipazioni Commissario Montalbano: «Un covo di vipere presto in tv». IBTimes intervista Degli Esposti, il produttore

Carlo Degli Esposti è presidente e fondatore della Palomar, la casa di produzione tutta italiana che produce con la Rai Il commissario Montalbano, uno dei più grandi successi della tv italiana contemporanea esportato anche in Inghilterra, e per il cinema, tra gli altri, ha prodotto il bel esordio di Kim Rossi Stuart alla regia Anche Libero va bene. Degli Esposti con la sua Palomar, sarà tra i produttori anche di Che strano chiamarsi Federico, il film di Ettore Scola in uscita sulla vita di Federico Fellini. Proprio sul set di questa pellicola a Cinecittà noi di IBTimes Italia abbiamo incontrato Degli Esposti che ci ha parlato del film e soprattutto dato anticipazioni sul futuro Montalbano in tv dal prossimo romanzo di Camilleri, creatore del commissario, Un covo di vipere.
[…]
Lei produce Il commissario Montalbano, lo conosce bene. Anche se ci sono molte differenze, secondo lei c'è un legame tra Fellini e Montalbano?
«No. Sono due generi completamente diversi, l'unica cosa che lega loro è una scrivania che c'è sul set che in realtà è la scrivania che usa Montalbano nella fiction».
Nemmeno nel fatto che Vigata sia un paese senza tempo come alcuni luoghi e atmosfere Felliniane, ad esempio la Rimini de I Vitelloni, trova un legame?
«No, non penso, sa perché, io ritengo che il padre di Montalbano sia Pietro Germi (tra i massimi esponenti della commedia all'italiana, regista di Divorzio all'Italiana e premio Oscar per la sceneggiatura nel 1963 N.d.R.)»
Dalle radici del commissario passiamo al futuro. Qual è il futuro di Montalbano?
«Ne continueremo a produrre perché Andrea Camilleri ha scritto nuovi romanzi e continueremo a produrre finche ci sarà un interesse collettivo in primis di Camilleri e poi di tutti noi ma, soprattutto, continueremo a produrre Il commissario Montalbano finche ci divertiremo a farlo.»
Quindi Il covo di Vipere, il nuovo libro della serie appena uscito in libreria per Sellerio, avrà una versione tv?
«Certo, assolutamente sì.»
Quando si vedrà, c'è già una data?
«No, date non ne abbiamo ancora, ma sarà molto presto.»
Luca Marra
 
 

RomaItaliaLab, 7.6.2013
Camilleri contro Napolitano: ‘Patisce la vecchiaia’ (VIDEO)

“Io sono coetaneo di Napolitano e so lo sfaldamento delle cellule cerebrali di cui tutti e due patiamo. Solo che io posso scrivere un romanzo imbecille che non fa danno a nessuno, se non alla casa editrice, lui ha altre responsabilità”. Andrea Camilleri non ha preso di buon grado la rielezione del Capo dello Stato e, nel corso della presentazione del suo libro “Come la penso”, ci va giù pesante.
Lo scrittore siciliano ne ha per tutti. Anche per il Partito Democratico: “Io ho chiesto pubblicamente scusa per aver invitato gli elettori a votare il Pd. Nacque da una proposta di Alberto Asor Rosa. Ci siamo detti: se il Pd non è forte, va a cadere in braccio a Monti. Quindi tanto vale che sia forte per allearsi con Sel. Dopo il parricidio di Prodi, abbiamo visto immediatamente come era facile la soluzione del ‘gattopardesca’. Una soluzione ancora più ardita del Gattopardo, perché se lì viene detto ‘bisogna cambiare tutto perché non cambi nulla’, qui siamo arrivati a dire ‘non cambiamo nulla, andiamo di corsa da Napolitano e proponiamogli il rinnovamento del settennato’”.
Lucio Perotta - video di Gloria Imbrogno
 
 

Gazzetta del Sud, 7.6.2013
Letteratura, politica, società: conversazione col creatore del commissario MOntalbano
Camilleri secondo Camilleri
"Quando ho le batterie scariche mi rileggo un libro di Leonardo Sciascia"
Mauretta Capuano
 
 

Il Piccolo, 7.6.2013
È in arrivo l'indagine estiva dei detective di casa Sellerio

Milano. Abbandonati sciarpe e cappotti, lontani dalle atmosfere alcoliche e un po’ deprimenti delle feste di fine anno, gli investigatori di casa Sellerio, professionisti o dilettanti che siano, a Ferragosto vanno (o non vanno?) in vacanza. Nel giorno che segna il culmine del caldo, finalmente si rilassano. Ma è una illusione di breve durata, perché l’imprevisto è dietro l’angolo e non possono proprio fare a meno di occuparsi del caso che capita loro improvvisamente. Come leggeremo, dal 1° luglio [in effetti dal 27 giugno, NdCFC], nella raccolta “Ferragosto in giallo” (pagg. 348, euro 14,00). Salvo Montalbano di Camilleri ha scelto di restare a Vigàta e pure Livia è venuta a trovarlo, mentre Petra Delicado e Fermín Garzón, gli antieroi picareschi di Alicia Giménez-Bartlett, separatisi per la vacanza con i rispettivi coniugi, si ritrovano loro malgrado a sudare per le ramblas di Barcellona. L’irresistibile quartetto dei vecchietti di Malvaldi non cambia le proprie abitudini e neanche a Ferragosto si schioda dal BarLume, punto d’inizio e fine di ogni indagine. Neppure Eugenio Consonni (creatura di Francesco Recami) si riposa il 15 agosto, infatti è rimasto a vigilare sulla casa di ringhiera e, insieme a lui, la professoressa Mattei-Ferri, tutt’altro che delusa dall’inedita intimità col tappezziere in pensione in una Milano più calda e umida che mai. Il vicequestore Rocco Schiavone, il poliziotto «preferibilmente fuorilegge» di Antonio Manzini, costretto a restare per servizio a Roma, non manca di mostrare le sue doti di intuito geniale. L’elettrotecnico Baiamonte - l’investigatore dilettante di Gian Mauro Costa - ha portato la sua Rosa in vacanza a Menfi, ma la «Lupa», la nebbia bassa che ricopre la costa della Sicilia che guarda l’Africa nei giorni più torridi, nasconde qualche segreto e Baiamonte messe da parte le romanticherie avrà il suo da fare. Ancora una volta i personaggi letterari che hanno conquistato i lettori si ritrovano attorno a un problema, un caso, un delitto, in un giorno particolare, quello di Ferragosto appunto. Non è importante solo l’intrigo, ma i protagonisti, spogliati da ruolo e immessi nella comune situazione di persone qualunque.
 
 

Il Piccolo, 7.6.2013
Alicia Giménez Bartlett Petra, la mia detective politicamente scorretta

A Cremona, la scorsa domenica, al Festival musical-letterario “Le corde dell’anima” è stata tra gli ospiti più attesi. Alicia Giménez-Bartlett, scrittrice spagnola amata in Italia almeno quanto Camilleri, ha chiacchierato di sè e del suo personaggio, l’ispettrice Petra Delicado, prendendo spunto dall’ultimo noir, “Gli onori di casa” (uscito a gennaio per Sellerio) e ambientato, in parte, a Roma. Questa volta, la sagace, coriacea e vorace Petra, si trova tra le mani un “cold case”, l’omicidio ormai “freddo” di un imprenditore tessile spagnolo, che la spinge, col devoto alter ego Garzón, a ficcare il naso negli affari della nostra camorra trapiantata in Catalogna. Sarà l’occasione di un colorito “viaggio in Italia”, tra il kitsch dei finti centurioni e quello dei nostri politici autentici, coronato dal successo dell’indagine e, per l’ispettrice, da una breve ma appagante divagazione erotica. «Il mio è un personaggio che si evolve continuamente», racconta Alicia Giménez-Bartlett. «Petra è solitaria ma si innamora, si sposa e fa l’amore con un bell’italiano. La cosa più importante è non farsi prendere dal senso di colpa».
Le storie dell’ispettrice Delicado sono sempre best-seller in Italia. Lo stesso vale per il collega italiano Montalbano, che spopola anche in tv, perfino in replica. Perchè questi due poliziotti piacciono così tanto?
«Credo che ci siano due ragioni fondamentali alla base del loro successo. Sia Petra che Montalbano sono “politicamente scorretti” e si accostano alla vita così come sono, senza pretendere di essere molto brillanti o incredibilmente sorprendenti. In questo senso potrebbe esserci un processo di identificazione tra i personaggi e i lettori. Entrambi hanno senso dell’umorismo e nelle storie emerge un certo gusto per la vita».
Se lo vede un incontro tra Petra e Salvo?
«Certo che lo vedo, sarebbe molto divertente, anche se si beccherebbero tutto il tempo come due galli. Entrambi hanno una personalità forte e Montalbano è più tradizionalista di Petra».
[…]
Arianna Boria
 
 

The Guardian, 7.6.2013
An inspector calls: British tourists go on trail of Montalbano
Island proves big draw to UK fans of detective series broadcast on BBC4 on Saturday nights

Rome. Sicily's connection with the real-life underworld once acted as a deterrent to foreign visitors. But now the island's link to fictional crime is luring a new wave of British tourists fascinated by the sun-drenched, riddle-strewn world of Inspector Montalbano.
Since they started showing on BBC4 in the coveted Saturday-night slot last year, the television adaptations of Andrea Camilleri's novels have brought the adventures of Italy's most popular detective into hundreds of thousands of British living rooms.
Now increasing numbers of fans are heading for the parts of southern Sicily where the Montalbano books and TV dramas are set. As Italy's seemingly relentless recession takes its toll on domestic tourism, they are living proof of how cultural exports can help refill the coffers.
"We are living a very hard and heavy economic crisis in Italy and I was afraid that the season would have been no good for my business," said Ivana Micciché, manager of the Casa di Montalbano bed and breakfast in the village of Punta Secca.
But his guest house has a starring role in the television shows as the inspector's seaside villa and now Micciché's worries have been offset by the arrival of visitors from overseas, and particularly the British, who she estimates will make up about half of her foreign guests this summer.
For the first time in the bed and breakfast's nine-year history, they started making up "a good percentage" of her guests in September last year.
"They want to live the same atmosphere they feel when they watch the programme. When they arrive they tell me they found it," she said.
One guest who was enticed to Punta Secca by BBC4 was Fiona Slevin, a business owner from Dublin who took a distinctly Montalbano-accented holiday with her partner in April for her 50th birthday. "We are people of a certain age who have nothing better to do on a Saturday night at 9 o'clock than to click on BBC4 and watch the latest episode," she said. The pair enjoyed the balcony where actor Luca Zingaretti is often shown staring out to sea – on one notable occasion spotting a dead horse on the beach as he sips his coffee in a pale blue dressing gown.
"There are loads of photographs where I insisted on my partner adopting the stance," said Slevin.
Another guest, reviewing the B&B on the TripAdvisor website, appeared to have had a similar experience. "I enjoyed our stay despite being badgered to stand in for Montalbano in my wife's photos," he wrote. "I played ball just to make her happy, but I drew the line at donning a swim cap and re-enacting the swimming scene from the title sequences."
Far from being confined to Punta Secca, the Montalbano tourist industry has spread across parts of south-east and south-west Sicily taking in, respectively, the places used in the television shows as well as those that Camilleri had in mind when he first brought the character to life in 1994.
In 2003, Camilleri's home town, Porto Empedocle, took the second name of Vigàta in honour of its fictional alter ego.
Montalbano is much loved in Italy, with the books still selling well and the latest episodes of Il Commissario Montalbano shown on public broadcaster Rai attracting audiences of about 10 million and an audience share of about 35%. In recent years, its success has become more international. The Rai series has been bought by channels in more than 65 countries, including Japan, the US, Australia and the UK.
A new series showing the detective in his youth, The Young Montalbano, is due to be broadcast, also with subtitles, later this year on BBC4.
Michele Gallo, a guide at Sicily TravelNet, said he had seen a notable increase in British tourists coming on his Montalbano-themed tour, one of several operating on the island. Their arrival, he said, was of great benefit to local businesses. But he bemoaned the popularity of the TV locations as opposed to Camilleri's literary landscape.
"It's a shame that few come to see the places in the novels, which are not the places in the TV show," he said. "The 'real' Montalbano is that of the novels."
Lizzy Davies
 
 

Si24.it, 7.6.2013
Porto Empedocle, la centrale termoelettrica festeggia 50 anni e cambia nome: si chiamerà Vigata

Porto Empedocle (AG) - Si chiamerà "Vigata" la centrale termoelettrica Enel di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, che domani festeggerà i suoi 50 anni di attività con una cerimonia prevista per le ore 11.
Il nuovo nome è stato scelto attraverso un concorso a cui hanno partecipato le scolaresche empedocline. L'impianto, la cui costruzione è stata autorizzata nel 1960, fu ultimato nel giugno del 1963.
La centrale sarà presto riconvertita, con la sostituzione di uno dei due gruppi a olio combustibile con un moderno turbogas da 80 MegaWatt. Alla cerimonia di domani parteciperà, tra gli altri, anche il direttore area di Business Generazione Enel, Roberto Renon.
 
 

La Sicilia, 7.6.2013
Radicamento nel territorio: la nuova biblioteca della Kore

Un corso di laurea con un forte radicamento nel territorio, che pianifica strategie e realizza progetti concreti volti allo sviluppo ed all'arricchimento del proprio contesto. Il prof. Maurizio Oddo, presidente del corso di laurea in Architettura, ne traccia i tratti caratteristici che, alla Kore, sono declinati con il rigore dell'ingegneria, senza per questo trascurare le componenti marcatamente architettoniche e compositive sostenute da molti suoi docenti.
[…]
TRA I PROGETTI LA NUOVA BIBLIOTECA E LA SEDE DELLA FONDAZIONE Camilleri
Numerose le occasioni progettuali già messe in campo: i concorsi di progettazione, che vedono direttamente coinvolti gli allievi del corso di Architettura; il progetto per la nuova sede della Fondazione Andrea Camilleri e il progetto della nuova biblioteca di ateneo, curati dal professore Oddo.
[…]
 
 

Lettera43, 8.6.2013
Editoria
Il lato intimo di Bruce Springsteen
Libri: Peter A. Carlin racconta i segreti dell'icona rock e Andrea Camilleri presenta l'ultimo Montalbano. Ma c'è anche Stephen King con il suo luna park fantasma.
L'ultimo libro di Andrea Camilleri e il nuovo romanzo di Stephen King: due opere destinate a rapida scalata nelle classifiche di vendita. Ma anche il tennis e Wimbledon raccontati da Giovanni Clerici, l'autobiografia di Pablo Neruda, i segreti più intimi di Bruce Springsteen.
Ecco le letture consigliate da Lettera43.it per il weekend dell'8 e 9 giugno.

[…]
Un altro omicidio per Montalbano
Salvo Montalbano torna con un nuovo caso. E anche stavolta la soluzione è tutt'altro che scontata. La morte del ragioniere Cosimo Barletta, playboy e usuraio, sembra davvero inspiegabile.
Nel suo villino sul mare non ci sono segni di effrazione né i resti di una colluttazione. Soltanto un colpo alla nuca, sparato mentre Barletta beveva il caffè seduto in cucina.
Per risolvere il mistero, ancora una volta, Montalbano dovrà penetrare i più nascosti segreti di una famiglia e di una comunità.
Ma, ancora una volta, quello di Camilleri non è semplicemente un giallo ben scritto. Come sempre, tra le pagine del libro, emergono riflessioni sulla vita e a decadenza della società.
L'animo di un'Italia devastata dalla crisi economica è perfettamente incarnata nel personaggio del barbone che, privato di un tetto sopra la testa, fischietta Il cielo in una stanza di Gino Paoli. Senza pareti, ma con gli alberi intorno, lui che in passato aveva vissuto tempi migliori.
La critica sociale è il sale di un racconto che travalica gli stilemi della narrativa di genere per farsi letteratura contemporanea.
Andrea Camilleri, Un covo di vipere, Sellerio Editore, 271 pagine, 14,90 euro.
[…]
Francesca Bussi
 
 

La Repubblica, 9.6.2013
Il punto
Boom Camilleri. Si arrende anche Dan Brown

Non ci poteva essere esordio migliore per Andrea Camilleri. Il suo nuovo romanzo, Un covo di vipere (Sellerio), è già in vetta alle classifiche di vendite dei libri in Italia, anche tra gli e-book. Nel ranking generale Camilleri ha scavalcato, seppur di pochissimo, persino Dan Brown [...].
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 9.6.2013
Il libro "Un onorevole siciliano"
Gli onorevoli di Sciascia

Un libro che consiglio di leggere a tutti quelli che vorrebbero fare politica, o fanno già politica. Un libro, a cura di Andrea Camilleri (Bompiani), che raccoglie le interrogazioni parlamentari di Sciascia tra il 15 dicembre 1979 e il 31 gennaio 1983. Sembra che stia parlando di cose attuali, di oggi, del 2013. Ma si sa, Sciascia è stato grande anche per questo, per vedere dove gli altri non vedevano. E dietro le facce sbarbate degli onorevoli di allora, sotto i vestiti raffinati oltre gli sguardi altezzosi, Sciascia riusciva a vedere la vera natura dei potenti di allora. Dopo trent'anni, oggi come allora, i suoi discorsi in Parlamento sono attuali più che mai. Da leggere. Da rileggere.
Andrea Giostra
 
 

AISE, 9.6.2013
Cinema italiano all'IIC di Bruxelles con "La scomparsa di Patò" di Rocco Mortelliti

Bruxelles - Consueto appuntamento con il cinema, domani, lunedì 10 giugno, alle ore 19, presso l'Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles con la proiezione de "La scomparsa di Patò" di Rocco Mortelliti.
La pelliccola verrà presentata in versione originale con sottotitoli in francese.
Durante la consueta sacra rappresentazione della Settimana Santa, scompare il ragioniere Patò che, nella recita, interpretava il ruolo di Giuda. Il maresciallo e il delegato di polizia iniziano le indagini... La scomparsa di Patò di Mortelliti è il primo film tratto da un romanzo di Camilleri a essere girato per il grande schermo.
Ambientato alla fine dell'Ottocento nell'ormai celebre Vigata (il paese immaginario delle indagini di Montalbano), il film presenta una convincente ricostruzione storica. Non solo. Un'azzeccata sceneggiatura, alla quale partecipa lo stesso Camilleri e un cast che annovera Nino Frassica e Neri Marcorè contribuiscono alla riuscita del film.
Da "La scomparsa di Patò" viene fuori una Sicilia non troppo lontana da quella attuale, come se lo slittamento temporale fosse solo un espediente per parlare dell'oggi.
 
 

L'Unione Sarda, 10.6.2013
”Un covo di vipere” è il nuovo romanzo sul commissario Montalbano
Il “raggiuneri fituso” e la solitudine di Salvo
Camilleri: un delitto e due assassini a Vigata

Ritratto del "raggiuneri" Cosimo Barletta: "Un omo capace di tutto, non aviva morali, ritegno, dignità, onori, nenti di nenti aviva. ‘Na vera cosa fitusa era". Era, perché Barletta è già morto quando comincia la storia. Eppure e lui il protagonista assoluto di "Un covo di vipere", il nuovo romanzo di Andrea Camilleri immancabilmente in vetta alle classifiche. Tutto nasce, e muore, da quella "cosa fitusa" malamente finita a 63 anni. Il ritratto, "somiglianti come 'na fotografia", è sempre presente, in scena o sullo sfondo, personificazione - per quanto ò possibile nel realismo onesto di Camilleri - di un Male biblico che sta ben dentro le faccende quotidiane.
Avvertenza importante: il libro (Sellerie) è stato scritto nel 2008. Immutato il paesaggio di Vigata attorno al commissario Montalbano: le sgangherate acrobazie verbali di Catarelil, le fissazioni anagrafiche di Fazio, il ristorante di Enzo, il fimminaro Augello, le passeggiale postprandiali, le nuotate purificanti davanti alla villa di Marinella. La ritualità narrativa che ha costruito (anche) il mito televisivo a colpi di share.. Ma i fedelissimi troveranno un certo sfalsamento rispetto alle storie successive. Racconto dopo racconto, il commissario e diventato vecchio, o almeno ha cominciato a sentirsi vecchio. E il monolito traballa: diciamo, per esempio, che negli ultimi tempi Salvo è diventato più collaborativo con le picciotte, sistematicamente favolose, che affollano le sue indagini.
Qui la monogamia è ancora marmorea, incorruttibile. E Livia, la zita, non è il fantasma che dà una remota alternativa alla solitudine di Salvo. Solitudine è il termine preciso, un buco che il commissario sente sempre più stretto anche se il suo doppio interiore ha qualcosa da obiettare e, per il momento, acquieta la coscienza del disagio. Livia c'è e con lei le azzuffatine e l'irreversibile e contraccambiata antipatia per Adelina. C'è anche l’umanità dello scorbutico poliziotto, quando un vagabondo si installa nel suo balcone per proteggersi dalla pioggia. E poi la storia, che avvicina l'episodio della saga poliziesca all'altro filone letterario di Camilleri: soprattutto al bello e bruciante "La presa di Macallè". Questione di temi trattati. Una storia in cui “mi auguro nessuno pretenda di riconoscersi”, dice pudicamente l'autore nella nota finale (da non leggere prima).
Non si intravede la lunga mano delle famiglie mafiose, niente sfondi politici, niente intromissioni di giornalisti prezzolati, niente indagini a tutto campo E nessun accenno all'attualità. Questo è un dramma di interni, di legami lontani, di catene doppie, che Montalbano intuisce con sgomento, chiudendo gli occhi sulla verità e sul rapporto per il pm Tommaseo.
Vero è che, in prima battuta, e date le attività del fu Barletta, praticamente tutti potrebbero esser sospettali dell'omicidio. Indicativo il fatto che la vittima è stata colpita due volte: armi e assassini diversi, se l'intenzione ha un valore. Il "raggiuneri" ha rovinato mezzo paese con l'usura, ha messo insieme una sterminata collezione di foto oscene delle sue vittime. Giovanissime, perlopiù. Ha ricattato per sesso. E "quando si trattava di fare un affare, non guardava in faccia a nessuno", confermano i figli Arturo e Giovanna. Ma è bene, per cominciare le indagini, non allontanarsi troppo. Il titolo del libro evita la versione più classica, "nido di vipere", e non è un caso. Come non lo è la copertina.
A guardare bene, forse è il romanzo di Camilleri che deve di più all'amatissimo Georges Simenon. Alle sue storie urticanti, malinconiche e profondamente umane. Al viaggio doloroso e contraddittorio nel cuore, dove le colpe possono avere un nocciolo fragile e dolce. Persino immacolato. Nulla di sdolcinato, ma qualcosa di autentico, primordiale, raffigurato e trasfigurato nel sogno inizialo di Salvo: l'Eden, Adamo ed Eva, secondo il pittore francese Henry Rousseau. Come Simenon. Camilleri non ha paura di guardare l'inguardabile, anche se Montalbano rischia di sprofondare in "uno sbalanco 'nfirnali". E, come Simenon, non giudica. Almeno stavolta.
Roberto Cossu
 
 

Il Mattino, 10.6.2013
L'intervista
«La corruzione, una vipera velenosa»
Nel nuovo Montalbano Camilleri racconta i mali d'Italia. E in un'antologia si mette a nudo
Francesco Mannoni
 
 

Giornale di Brescia, 10.6.2013
Cinema in casa
Il Commissario Montalbano stagione 2013
Regia: Alberto Sironi
Con: Luca Zingaretti, Cesare Bocci, Peppino Mazzotta, Angelo Russo
Genere: poliziesco
Distribuzione: Rai Cinema 01

È una gemma più che rara nella fanghiglia di molta fiction tv Rai e non solo la serie del Commissario Montalbano con protagonista Luca Zingaretti che dal 1999 ad oggi ha vissuto un’incredibile e meritata escalation nei confronti dei telespettatori (non solo italiani: è venduta in 65 Paesi del mondo) superando continuamente se stessa un fatto di record d’audience come hanno confermato i quattro nuovi episodi ora reperibili in un cofanetto di 4 ben curati dvd: l’ultimo, “Una lama di luce”, trasmesso il 6 maggio, ha avuto 10.715.000 spettatori con il 36,43% di share. La ragioni del successo, che si rinnova sia pure con altre cifre nelle repliche e nelle repliche delle repliche, sono molte, dai gialli di Camilleri alla presenza chiave di Luca Zingaretti, dall’attenta regia all’ambientazione e così via, ma non è questo lo spazio per trattarne, così come di qualche neo registrato nell’ultima serie: il macchiettismo eccessivo di Catarella e una visione spesso negativa della donna su tutti. Gli episodi qui riuniti vanno dal 23 al 26: “Il sorriso di Angelica” con Montalbano colpito da una donna bella e dallo sguardo triste; “Il gioco degli specchi” in cui il commissario conosce una bella vicina e si trova al centro di una serie di depistaggi; “Una voce nella notte” con uno scapestrato figlio di papà la cui amante è assassinata, uno strano furto in supermercato e un potente onorevole come nemico; “Una lama di luce”, dove il caso di una donna rapinata si mescola con traffico di armi a scopo di terrorismo e dove Montalbano e Livia faranno una dolorosa scoperta.
Marco Bertoldi
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 11.6.2013
Gli equivoci di Camilleri

Camilleri come narratore e intrattenitore orale è stato sempre allo stesso livello e forse a un livello superiore del Camilleri scrittore. Raccontate con la sua voce roca, cavernosa di fumatore di tre pacchetti di sigarette al giorno, e interpretate da uno che aveva sempre lavorato in teatro e sapeva dove piazzare le pause giuste e come rendere un'atmosfera, le sue storie erano puro divertimento. Fino a qualche anno fa, quando le sue condizioni di salute gli permettevano di uscire e di andare in giro a trovare gli amici siciliani che vivevano a Roma, lo incontravo nella bella casa di Piazza Farnese di Gaspare e Fiamma Borsellino, feudatari di Cattolica-Eraclea. A tavola i commensali non aspettavano che il momento in cui Andrea prendesse la parola e si zittivano a vicenda per paura di perdersi qualche passaggio. Aveva una infinità di storie a disposizione e una delle più divertenti riguardava Alberto Bevilacqua, popolare scrittore di Parma. Anni fa Bevilacqua curava una rubrica sui programmi televisivi abbastanza puntuale. Ma una sera si era sicuramente messo davanti allo schermo in ritardo, non facendo a tempo a vedere tutti i titoli di testa. Ed era rimasto convinto che l'atto unico che stavano trasmettendo fosse di Camilleri, mentre era di Pirandello: Andrea era solo il regista. L'atto unico non gli piacque e nella recensione scrisse che conosceva Camilleri come un bravo regista di teatro ma come autore non funzionava. Il giorno in cui uscì il pezzo sul Corriere della Sera Camilleri rispose a Bevilacqua con una breve lettera che diceva: «Sono mortificato e dispiaciuto che non le sia piaciuto l'atto unico, ma adesso sto scrivendo una commedia in cinque atti che forse sarà di suo gradimento. Si chiama Sei personaggi in cerca di autore». Una sua performance che gli riusciva benissimo era il racconto, ambientato nell'immediato dopoguerra, quando dalla Francia, dove aveva abitato per qualche tempo, aveva attraversato un'Italia ancora ingombra di macerie con un treno che sembrava una tradotta. Diretto in Sicilia, aveva impiegato vari giorni a raggiungere Napoli con il porto bombardato e i palazzi crollati accanto alla stazione. Aveva letto tutti i giornali, quelli suoi e quelli che era riuscito a trovare nella tradotta e andava cercando disperatamente qualche altra cosa da leggere per passare il tempo in questo viaggio interminabile. Durante quella sosta a Napoli che si prolungava, si accorse che su una banchina rimasta miracolosamente intatta era stato costruita una capanna cenciosa fatta di canne e di teli che stava a testimoniare lo spirito di sopravvivenza e d'invenzione dei napoletani. Questa capanna era stata costruita da un vecchietto che ne aveva fatto uno spaccio di vecchie copie del Mattino. Tutte risalivano almeno a sei mesi prima. Allora Andrea chiese i numeri più recenti e poi, come stesse ancora in Francia, domandò distrattamente, come se fosse in una libreria di Boulevard Saint-Germain, anche "Les Nouvelles Litteraires". Ma il vecchietto con gli occhi brillanti non si fece impressionare. E come risposta si umettò le labbra con la saliva e emise un pernacchio che fu sentito in tutta la stazione: molto simile a quello leggendario di Eduardo de Filippo nell'Oro di Napoli. Camilleri lo rifaceva benissimo. Negli ultimi tempi non si è mosso molto dalla sua casa di Prati a Roma. L'ho rincontrato nell'aeroporto di Palermo nelle sue rarissime visite alla Sicilia. E approfittando del ritardo dell'aereo mi sono messo a chiacchierare con lui e gli ho chiesto come mai facesse passeggiare così a lungo il commissario Montalbano sulla spiaggia della Marinella, alias Porta Empedocle. «Sai come dice il proverbio siciliano? Fottere in piedi, e camminare nà rina, porta l'uomo alla rovina». Andrea rimase per qualche secondo interdetto, poi guardandomi fisso con la sua aria sarcastico-bonaria commentò: «Malatè solo tu sai questi proverbi siciliani!». Adesso passa quasi tutta l'estate a Santa Fiora, un posto molto fresco e delizioso sul Monte Amiata. Ma quando veniva a Porto Empedocle, dove si era comprato una casetta per passarci un mese, ci sentivamo di tanto in tanto. Un giorno mi telefonò annunciando che le autorità avevano inaugurato la statua di Pirandello: «Voglio che tu la veda. Vieni subito». Ci eravamo dati appuntamento davanti alla statua e quando arrivai Camilleri già la stava osservando a distanza ravvicinata: «Adesso guarda attentamente e dimmi cosa vedi». Io mi tolsi gli occhiali da sole e mi misi a scrutare la statua ad occhio nudo, mentre Andrea chiedeva «come ti sembrano i vestiti?», «Un po' goffi, tagliati male, e la giacca troppo lunga, non sembra nemmeno una giacca». «E la coppola?». «Di fattura rozza». «E come sono le scarpe? Lucio D'Ambra ha scritto che il drammaturgo si vestiva con eleganza straordinaria da anziano nobile signore in ritiro e portava sempre le scarpe di "invulnerato coppale" con le ghette sopra. E ti pare che questi stivalacci kolkosiani siano di invulnerato coppale? Questo non è Pirandello, è Vladimir Ilic, detto Lenin. Con la coppola la somiglianza è perfetta. Stesso profilo, stesso taglio di barba. Hanno riciclato una di quelle migliaia di statue gettate nelle discariche delle città dell'Europa orientale dopo il crollo del regime comunista». Poi Andrea aggiunse sempre più sarcastico: «Pirandello è nato a Kaos, come siciliano e poi è finito a Porto Empedocle nelle vesti di Lenin. Che vita straordinaria!».
Stefano Malatesta
 
 

Wake Up News, 11.6.2013
Il nuovo libro di Andrea Camilleri: Un covo di vipere – la recensione

E’ uscito in tutte le librerie il nuovo libro di Andrea Camilleri che vede come protagonista il commissario Montalbano: Un covo di vipere (Sellerio 2013, «La memoria» € 14,00).
Quando viene ucciso con un colpo di pistola in piena faccia Cosimo Barletta, per Montalbano sembra essere un caso di omicidio come tanti: difficile, per certi versi, forse destinato a seguire un percorso lungo per arrivare a una soluzione, ma tutto sommato banale. La vittima si è forse meritata quella fine orrenda: usuraio, senza scrupoli e donnaiolo della peggior specie. Di quelli che le femmine le cercano ancora ragazzine, a dispetto dell’età che avanza e le conquistano a colpi di soldi o di ricatti.
Un personaggio come Cosimo Barletta aveva molti nemici e ognuno di questi ha beneficiato della sua morte: dalle diverse donne costrette a rapporti sessuali durante i quali venivano persino fotografate a loro insaputa, fino ai padri di famiglia rovinati da prestiti di denaro a interessi insostenibili. Il caso è complicato, ma chiaro e lampante, quasi scolastico. Ma forse non tutto è quello che sembra a un primo sguardo: innanzitutto la vittima ha il volto devastato da un proiettile, ma non ha perso sangue. Come scopre l’iracondo dottor Pasquano infatti, il decesso è avvenuto per avvelenamento precedente al colpo di arma da fuoco. Gli assassini da cercare sono quindi due.
Intanto, anche il figlio della vittima, il succube Arturo Barletta, era finito nella tela degli strozzini, nella totale indifferenza del padre, il quale si apprestava addirittura ridurgli la quota di eredità, rischiando di distruggerlo definitivamente. Ma il testamento non si trova. Non solo: Arturo non è l’unico personaggio a muoversi all’interno del nucleo famigliare del defunto. Qual è il vero volto della figlia, bellissima e misteriosa? L’orfana distrutta e inconsolabile? La virago che ricalca esattamente l’insensibilità disumana del padre? O nasconde altri segreti che la legano al delitto?
Salvo Montalbano dovrà infilare la mano nel covo di serpi di legami famigliari profondi, indecifrabili e sordidi per riuscire a sbrogliare una matassa molto più complicata di quanto non apparisse a un primo sguardo. Da un lato non potrà fare a meno di indagare nella perversione privata di Cosimo Barletta, vecchio satiro e ricattatore della cui morte il commissario non sembra affatto dispiaciuto. Dall’altro dovrà comprendere i legami, prevalentemente di odio e rancore, che legavano la vittima ai suoi parenti, consanguinei o acquisiti che fossero. E quando infili la mano in un nido di serpenti, difficilmente la potrai ritrarre senza passare dai morsi e dal veleno.
Ogni volta che esce un nuovo romanzo di Andrea Camilleri ambientato in Sicilia, risulta difficile non immergersi anima e corpo nel mondo caldo della sua terra e dei personaggi dipinti da uno dei più grandi autori italiani, con la loro umanità, fatta di qualità e difetti, ma priva di mezze misure. Questi aspetti sono ancora più accentuati nelle avventure del commissario Salvo Montalbano, antieroe per eccellenza della letteratura contemporanea, ricco di vizi e virtù come ciascuno dei lettori che lo adora e che in lui si identifica. Allo stesso modo è difficile non provare naturale simpatia verso il goffo Catarella o il puntiglioso Fazio, oppure non restare affascinati dalla cucina della domestica Adelina e dall’arguta arte dell’insulto del dottor Pasquano.
Ma in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più: dopo la trama assai poco realistica del precedente Una voce di notte (Sellerio 2012, «La memoria» € 14,00) e il pessimo romanzo Il Tuttomio (Mondadori 2013, «Scrittori italiani e stranieri» 16,00 €), Camilleri scrive uno dei migliori gialli di tutta la sua sconfinata produzione artistica. Costruisce infatti una trama credibile, avvincente e ricca di colpi di scena, dentro la quale il lettore resta avvinghiato senza poter uscire fino alla soluzione finale.
Non solo: l’autore siciliano entra, come forse non aveva mai fatto, nelle pieghe della parte più perversa della psiche umana e nei meandri di sordidi rapporti famigliari che lasciano, al termine della lettura, un sapore di amaro disgusto, fino a provare pietà per i personaggi di una storia in cui non si lascia spazio per distinguere davvero l’innocenza dalla crudeltà, l’ingiustizia dalla perversione. Un covo di vipere non è solo un romanzo: è un libro che tocca la sociologia, la psicologia e la formazione. Un romanzo insomma di assoluto rilievo nel panorama della letteratura italiana contemporanea.
Daniele Leone
 
 

Retrospettive, 11.6.2013
Come la penso – Andrea Camilleri si racconta tra ricordi e passioni
“Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto”

Esiste un autore più prolifico e vivace di Andrea Camilleri in Italia?
Crediamo di no, basta scorrere la sua produzione, eppure iniziata in tarda età dopo una carriera tutta tra centro sperimentale di Cinematografia e accademia d’arte drammatica, insegnando regia e curando anche molte produzioni in Rai.
Mancava però un saggio, un saggio quasi involontario, un preziosissimo raccoglitore di pensieri e di opinioni che dipinge l’uomo Camilleri, le sue passioni politiche e culturali, con l’occhio vigile e dissacrante sulle vicende politiche italiane.
Ed ecco quindi “Come la penso: alcune cose che ho dentro la testa” firmato dallo stesso Camilleri, che l’editore Chiarelettere con sagacia pubblica in questi giorni, colmando questo “vuoto” culturale, restituendoci il “dietro le quinte” del creatore del Commissario Montalbano.
Dicevamo delle passioni, dunque, e in questo almanacco di scritti tra articoli e conferenze e prefazioni, tante collaborazioni anche per riviste importanti come Micromega, solo per citarne una, in cui riconosciamo tutte le qualità intellettuali di Camilleri, le sue attività per il Partito Comunista, ma soprattutto i ricordi artistici, le sue collaborazioni importanti, testimone attivo del cinema e della letteratura italiana post bellica, il tutto con una simpatia e una delicatezza che cattura il lettore.
Quell’amore per il Cinema quasi viscerale, che vive dal di dentro, nella stagione più importante, insieme a Roberto Rossellini prima e Michelangelo Antonioni poi, solo per citarne alcuni, per poi raccontarci dell’incontro con Leonardo Sciascia, folgorante, due uomini geograficamente così vicini eppur cosi diversi, lui tanto estroverso e istrionico quanto silenzioso e diffidente era l’autore di “Todo modo”.
Con Sciascia, l’incontro per allestire a teatro (altra grande passione di Camilleri) la trasposizione de “Il giorno della civetta”, che fu l’inizio di una schermaglia dialettica che Camilleri racconta con disincanto e simpatia unica e ricca di aneddoti.
E poi naturalmente, non può mancare il personaggio suo più caro, quel Commissario Montalbano che lo ha reso celebre, qui descritto con dolcezza e disincanto, quasi il suo alter ego verrebbe da dire scorrendo le pagine, dell’invenzione di Vigata, paese che tanto somiglia alla sua Porto Empedocle, stessi colori e sapori.
Un libro intimo e giocoso, che non cade mai nell’autocelebrazione, sguardo ironico ed istrionico sul nostro tempo, raccolto da uno degli intellettuali che il mondo ci invidia.
Mauro Valentini
 
 

Gazzetta di Parma, 12.6.2013
Camilleri: "Montalbano? Successo misterioso"

Il commissario Montalbano, dopo i grandi successi televisivi, torna anche in libreria con una vicenda più che complicata, e sono scintille e turbamenti a catena: «Un covo di vipere»(Sellerio, pag. 272,14,00). Il ragioniere Cosimo Barletta, un vedovo poco più che sessantenne, è stato ammazzato nel villino di sua proprietà appena fuori Vigata.
Qualcuno gli ha sparato alla testa mentre era seduto in cucina sorseggiando un caffè che in parte si è rovesciato sulla tovaglia.
La vittima aveva due figli, Arturo, più preoccupato di trovare il testamento paterno che afflitto dalla scomparsa del genitore, e Giovanna Barletta in Pusateri che «era ’na gran beddra fìmmina trentacinchina... biunna, àvuta, occhi con riflessi virdastri, di coscia longa e assà aliganti nei sò jeans firmati. Montalbano, che non se l’aspittava accussì, ristò ’mparpagliato per qualichi secunno a taliarla. Macari Fazio era chiaramenti strammato».
Le indagini portano alla luce le attività prive di scrupolo e di morale del vedovo e la sua continua ricerca di compagnia femminile. L’uomo non era molto amato nel circondario anche perché prestava soldi «a strozzo» e più d’una persona se avesse potuto l’avrebbe ucciso volentieri. Dell’immoralità che lo contraddistingueva, Montalbano trova subito nel villino dei riscontri imbarazzanti per molte persone: foto intime in cui sono ritratte giovani ragazze e lettere compromettenti. L’affare si presenta ingarbugliato anche per via del disaccordo tra i due figli di Cosimo Barletta che, pur mascherando tutto dietro un fair play di facciata, intimamente sono pronti a sbranarsi per il testamento introvabile. E Giovanna, non perde occasione con Montalbano per lasciar cadere delle insinuazioni sul fratello che ha sposato una delle amanti del padre: sprecone, nullafacente e intrigante. Montalbano ascolta e insacca un po’ sopraffatto dalla bellezza della donna, finché dall’autopsia non risulta che Cosimo Barletta è stato ucciso due volte: il ragioniere è stato prima avvelenato e poi qualcuno gli ha sparato alla testa.
Ma si tratta dello stesso assassino o di due assassini differenti? Montalbano troverà le prime indicazioni nelle foto. Da quel ciarpame volgare che coinvolge tante ragazze del paese, comincia a farsi strada in lui, aiutato anche dall’incontro con un singolare barbone, un percorso preciso. Abbiamo incontrato e intervistato Andrea Camilleri, sempre disponibile a parlare del suo eroe dalle maniere brusche.
La famiglia in questo romanzo è al centro di un intrigo pazzesco, in un momento in cui questa istituzione presenta molte falle. E’ diventata davvero un nido di vipere?
”Chiaramente la famiglia di oggi presenta molti aspetti in crisi, basti pensare che l’altissima percentuale di violenza sulle donne avviene da parte di mariti o fidanzati. Nel caso specifico del mio libro non credo che costituisca un vero punto di crisi. E’ uno spunto più che altro romanzesco. La vittima è un uomo senza morale e senza scrupoli, un genere di persone di cui la nostra società è abbastanza prolifica.”
Una caratteristica dei nostri tempi sottosopra?
”Il proliferare della corruzione quasi esponenziale è un segno del moltiplicarsi di persone prive totalmente di scrupoli. Questa moltiplicazione è per fortuna messa in luce di continuo e oggi la situazione, di per sé grave, è amplificata dalla stampa e diventa quindi ancora maggiore attraverso le casse di risonanza mediatica. Indagando sull’omicidio, Montalbano scopre aspetti insoliti di una società ristretta che nasconde molte cattiverie. Dappertutto, ma in Sicilia soprattutto, sembra che la facciata vada assolutamente preservata da ogni macchia.”
Ma quello in cui viviamo è solo un mondo di facciata?
”No, diciamo che soprattutto nella provincia, non necessariamente siciliana e non necessariamente italiana (vedi Simenon), la facciata pulita è uno status symbol e serve a coprire realtà assai diverse. Questo fenomeno è leggermente meno avvertibile nelle grandi città. Però oggi sento una minore ipocrisia in proposito, può darsi che mi sbagli, ma si comincia a dare una minore importanza alla facciata anche perché l’informazione così penetrante è una sorta di sostituzione del diavolo Asmodeo che aveva la capacità di scoperchiare le case e far vedere quello che capitava al loro interno.”
Il barbone, che nella soluzione del caso ha un ruolo importante, sembra essere la coscienza buona del Paese, se vuole dell’Italia che nonostante tutte le batoste conserva una dignità che la riscatta. Una metafora possibile?
”Sì, sono perfettamente d’accordo con la sua riflessione. Anche perché ho voluto dichiarare le motivazioni morali per le quali quel personaggio si è autopunito diventando barbone. Il Montalbano di questo romanzo sembra un po’ più sensibile al fascino femminile nonostante la presenza di Livia.”
A 58 anni si risvegliano giovanili furori di desiderio?
”Sì, è un’età terribile per un uomo, e il commissario vive il suo tempo... ma ho fiducia in Montalbano.”
Mi hanno colpito le considerazioni che nel libro riguardano la burocrazia, identificata quasi come un male sociale. Lo è davvero?
”Secondo me sì e non scherzo, la burocrazia in Italia è assolutamente una remora, basti pensare che molte delle sovvenzioni europee non sono messe in circolo solo per questioni burocratiche.”
Il successo di Montalbano è ormai un fenomeno consolidato. Anche in TV, le novità e le repliche dei suoi film ottengono sempre un successo strepitoso. E’ una specie di contagio. Lei che ha creato questo personaggio, può dirci cosa lo rende così affascinante e carismatico, o anche per lei comincia a essere un piacevole mistero?
”Il successo di Montalbano è sempre stato un piacevole mistero tant’è che non ho mai saputo rispondere alla domanda «qual è il segreto della fortuna di Montalbano?». Si vede che c’è stata una miscela causale che ha costituito un personaggio con una tale quantità di aspetti attraenti che ha funzionato.”
Quanto contribuisce secondo lei alla fortuna televisiva del personaggio, la caratterizzazione di Zingaretti?
”Molto, Zingaretti è un attore bravissimo.”
Francesco Mannoni
 
 

La Sicilia (Catania), 12.6.2013
Teatro Stabile. Da sabato fino al 30, al Cortile Platamone, «La concessione del telefono»
Scene da Vigata in sinergia con l'autore

L'azione si svolge a Vigàta, minuscolo universo plasmato di paradigmatica sicilitudine. Si assiste increduli - e perché no? divertiti - ad un crescendo di paradossi che suona estremamente attuale, salvo che il fatto si consuma a fine Ottocento, quando Montalbano ancora non c'era. Titolo conclusivo del cartellone del Teatro Stabile di Catania è "La concessione del telefono", dall'omonimo romanzo storico di Andrea Camilleri, versione scenica scritta a quattro mani dall'autore e da Giuseppe Dipasquale, che sigla anche la regia. Camilleri e Dipasquale rinnovano così una sinergia che ha dato vita ad altri bestseller teatrali e letterari, come "Il birraio di Preston" e "Troppu trafficu ppi nenti".
L'appuntamento en plein air, è dal 15 al 30 giugno nella Corte "Mariella Giudice" di Palazzo Platamone. Con "La concessione del telefono" lo Stabile propone un'edizione rinnovata di una delle sue produzioni di maggiore successo, allestita nel 2005 e per ben tre stagioni campione di incassi e presenze in tournée nazionale. Antonio Fiorentino firma la scenografia, nuovi di zecca sono i costumi di Angela Gallaro ed inedite pure le musiche originali composte da Germano Mazzocchetti. Diverse new entry nel cast che annovera nomi di spicco come Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Guia Jelo, Miko Magistro, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Angelo Tosto, Fulvio D'Angelo, e ancora Sergio Seminara, Giampaolo Romania, Cosimo Coltraro, Raniela Ragonese, Liliana Lo Furno.
Il ridicolo qui pro quo che fa da motore alla vicenda è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto. Filippo "Pippo" Genuardi, per ottenere la concessione di una linea telefonica, ne fa domanda al prefetto napoletano, denominandolo per errore Parascianno anziché Marascianno. Senonché, così storpiato, il cognome suona nel dialetto partenopeo come un volgare insulto. Da qui il nodo s'avviluppa, coinvolgendo non solo Genuardi e la sua famiglia, ma anche la Chiesa e soprattutto i vari apparati dello Stato, ovvero Prefettura, Questura, Pubblica Sicurezza e Carabinieri. E ancora don Calogero, il mafioso del paese. E pensare che il telefono serve al focoso Pippo per meglio gestire la passione per la giovane suocera…
Il fascino della trasposizione si sposa con il desiderio di ricercare strade nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea. «Anche nella riduzione - osserva Dipasquale - ad emergere è la lingua di Camilleri, originalissima sinfonia di parlate che approda ad una divertita e teatralissima sicilitudine anche linguistica, fatta di neologismi, sintassi travestita, modi d'uso ricalcati dal dialetto. La parola, ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo romanzo un oggetto naturale da elaborare all'interno di un'alchimia teatrale vitale e creativa».
 
 

La Sicilia (Ragusa), 12.6.2013
Punta Secca. In tv la ricaduta economica dell'effetto commissario sulla frazione
Riflettori sull'indotto Montalbano

S. Croce. Piazza Torre in diretta su Rai due. La trasmissione "Divieto di sosta" quest'oggi, dalle 14.00 alle 16.00, ha previsto un collegamento in diretta dal balcone naturale sul mare di Punta Secca, luogo reso famoso dalla fiction "Il Commissario Montalbano". Durante la trasmissione, condotta dalla giornalista Chiara Lico, saranno trasmesse immagini sulle bellezze naturali dei luoghi resi celebri dal telefilm. Si parlerà "dell'indotto Montalbano", ovvero delle ricadute sull'economia locale determinate dall'effetto prodotto dalla serie trasmessa sulla tv nazionale ormai da un decennio. Punta Secca in questi anni ha legato a doppia mandata il suo nome a quello della fiction Rai, che ha trasposto in immagini ciò che aveva pensato, prima, la penna di Andrea Camilleri.
[…]
Alessia Cataudella
 
 

Il Giornale di Ragusa, 12.6.2013
Diciannovesima edizione in programma il 3 agosto
Ragusa, ad agosto appuntamento con i premiati di "Ragusani nel mondo

Ragusa - L’edizione che precede la celebrazione del ventennale dei ‘Ragusani nel Mondo’, sarà ricca di sorprese e con un cast di premiati che la colloca ai vertici di sempre. Un’edizione segnata da molte novità, che va in scena il 3 di agosto ma che resta nel solco della tradizione di volere promuovere e portare alla ribalta storie di successo di iblei residenti all’estero. Tantissime le segnalazioni pervenute al comitato organizzatore, a conferma di una ragusanità di successo fuori dei confini della provincia. Storie inedite e a volte sconosciute e che emergono grazie alla collaborazione di gente normale, istituzioni, stampa e le comunità estere.
I profili di vita già segnalati, assicurano lunga vita al ‘premio’ per eccellenza di questa provincia. La diciannovesima edizione in programma sabato 3 agosto in piazza Libertà a Ragusa, lega storie locali e nazionali di successo di arte, sport e soprattutto cinema. Tra i premiati ci sarà la bella e brava Valeria Solarino, di origine modicana, attrice di punta della nuova cinematografia italiana. Eppoi i protagonisti del film documentario ‘Terra Matta’, prodotto da Chiara Ottaviano che ha esaltato l’opera dello scrittore chiaramontano semianalfabeta Vincenzo Rabito e, infine, il regista di Montalbano Alberto Sironi con i principali attori ragusani della fiction: Roberto Nobile, Marcello Perracchio e Angelo Russo.
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La Sicilia (Agrigento), 13.6.2013
Un patrimonio a rischio
Porto Empedocle. In attesa di ristrutturarlo e renderlo sede dell'omonima Fondazione il maniero dove Andrea Camilleri visse in giovinezza rischia di crollare ed è stato transennato

Porto Empedocle. Quando seppe dell'iniziativa del Comune di salvare la casa in cui visse da bambino, lo scrittore Andrea Camilleri, scoppiò a piangere. E se si recasse oggi ai piedi di quello che ormai è un rudere piangerebbe ancor più a dirotto. Da un momento all'altro potrebbe crollare del tutto, tanto che il Comune ha pensato bene di transennare la strada sulla quale grava una delle pareti esterni dell'antico fabbricato. Un pericolo costante per chi transita dalla zona, ma anche per la stessa immagine della cittadina marinara che, sull'«effetto Camilleri» punta da sempre. A Porto Empedocle però oltre a sistemare la transenna, pare abbiano un grande progetto nel cassetto.
La vasta dimora del Settecento, oggi ridotta a un pericolo pubblico diventerà sede di una fondazione intitolata allo scrittore di «Vigàta». Lo si dice da anni, sperando anche nei soldi derivanti dalle misure compensative per il rigassificatore. La malandata residenza a cinque minuti dalla Valle dei Templi, frequentata dal Premio Nobel Luigi Pirandello, amico del nonno di Camilleri, sarà sistemata in tutto e per tutto dal Comune, i lavori inizieranno «entro l'anno», come il sindaco Lillo Firetto disse allo scrittore, mostrandogli il rendering della casa-fondazione. Camilleri definì quella abitazione in cui visse tanti giorni felici, «il suo paradiso terrestre». Toccante per «Nenè» fu il confronto tra le foto della dimora integra con quelle di com'è ridotta adesso, fra crepe e mura scrostate. «Si ricaverà un piccolo teatro a piano terra con cinque camerini - disse il sindaco Firetto - una biblioteca, una sala audiovisivi, due aree espositive. Tornerà il pianoforte del nonno, lo stesso che ascoltava Pirandello. E rimetteremo a posto un maestoso lampadario centrale salvato dal vandalismo».
Una buona notizia che si inseriva in un progetto dell'allora nuovo assessore alla Cultura in Sicilia, lo scienziato Antonino Zichichi, oggi tornato a fare lo scienziato. «Valorizzare le case natali e i luoghi di Sciascia, Pirandello e Camilleri. Venti chilometri di cultura. E, quindi, di turismo, economia, attività private da incoraggiare», disse Zichichi, prima che venisse posizionata la transenna.
Francesco Di Mare
 
 

ilQuotidiano.it, 13.6.2013
Capitale Europea della Cultura 2019: Urbino protagonista, per un nuovo Rinascimento europeo
Roma. Ufficializzata la candidatura della perla del rinascimento italiano. Cento i membri di spicco del Comitato promotore, guidato da Jack Lang: da Morricone a Camilleri; da Bocelli a Rubbia; da Eco a Vanessa Redgrave, tutti ‘tifano' per la patria di Raffaello

Si presenta con l'ambizioso obiettivo di contribuire ad un nuovo Rinascimento europeo, la città di Urbino, patria di Raffaello e perla marchigiana, che oggi ha ufficializzato la propria candidatura a Capitale Europea della Cultura nel 2019. Nella splendida cornice di San Salvatore in Lauro a Roma, Urbino si è presentata, illustrando ragioni e peculiarità della propria candidatura.
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A sostenere il progetto di Urbino è scesa in campo una squadra formidabile di sostenitori, guidati da Jack Lang, già ministro alla Cultura del Governo Mitterand.
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Nomi di primissimo piano quelli che hanno dato il proprio supporto e che - impossibile citarli tutti - vedono in campo, tra gli altri: il premio Nobel Luc Montagnier; il Maestro Ennio Morricone; la giornalista Helene Cooper e il due volte premio Pulitzer, Bob Marshall; lo scrittore Umberto Eco; i premi Oscar, Dante Ferretti e Vittorio Storaro; gli attori Vanessa Redgrave, Luca Zingaretti, Virna Lisi, Neri Marcorè e Cesare Bocci; gli sportivi Valentino Rossi, Filippo Magnini, Giovanna Trillini ed Elisa Di Francisca.
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Il Mattino di Padova, 13.6.2013
Montalbano sono!: quattro dvd per ritrovarsi tutti a Vigata

Nulla è più reale dei personaggi e delle ambientazioni immaginarie di Andrea Camilleri. Abbiamo imparato ad amare e a conoscere così profondamente le abitudini dello “sbirro” siciliano Salvo Montalbano, i luoghi delle indagini, i suoi colleghi e la sua fidanzata, che pare impossibile che questo commissario di polizia, il paese di Vigata e la Questura di Montelusa, Fazio, Livia e Catarella siano soltanto il frutto della fantasia di uno scrittore che ha sdoganato un nuovo idioma italsiculo firmando una collana di romanzi di successo. E dando vita a una serie televisiva altrettanto fortunata che ha reso l’universo di Camilleri ancora più reale. Tanto che, più o meno inconsciamente, l’idea che Luca Zingaretti non interpreti Montalbano ma sia Montalbano è una percezione comune tra i fan. Che, ora, possono collezionare il sesto volume in dvd (€ 38,99) delle avventure del commissario con gli ultimi quattro episodi della serie (“Il sorriso di Angelica”; “Il gioco degli specchi”; “Una voce di notte”; “Una lama di luce”) diretti, come sempre, da Alberto Sironi. Quattro dischi per altrettante puntate che hanno fatto registrare tra aprile e maggio record di ascolti assoluti per una serie tv (dagli oltre 9 milioni e mezzo di spettatori di “Il sorriso di Angelica” ai 10 milioni e 700 mila di “Una lama di luce”). Merito della sceneggiatura curata, tra gli altri, dallo stesso Camilleri e da Francesco Bruni (“Scialla!”), e dei suoi storici protagonisti e naturalmente di lui, Montalbano-Zingaretti, che non parla quando mangia, che odia le scartoffie e i dati anagrafici, che conquista le donne senza farsi conquistare, che si presenta con il suo inconfondibile «Montalbano sono!».
Marco Contino
 
 

La Sicilia (Ragusa), 13.6.2013
A tutto volume
Oggi al Comune la presentazione del programma
Venerdì, sabato e domenica Ragusa diventa capitale della letteratura «made in Italy»

Sarà presentato questa mattina a mezzogiorno, nella Sala giunta del Comune di Ragusa, la manifestazione "A tutto volume - Festa dei libri", organizzata dalla Fondazione Archi e diretta dallo scrittore e giornalista Roberto Ippolito.
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Nella stessa giornata di sabato, spazio anche al teatro con "Ricci a Caltanissetta", alle 24,00 in via Mariannnina Coffa, spettacolo liberamente tratto dal "Birraio di Preston" di Camilleri, a cura della scuola di recitazione del teatro Naselli di Comiso. […]
Michele Farinaccio
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 13.6.2013
Così si scelgono i nomi da romanzo

Nel nome c'è il destino. Detto così in maniera perentoria, riferito alla vita normale è sicuramente un'esagerazione. Nel mondo letterario però c'è del vero. Gli autori siciliani, infatti, consciamente o inconsapevolmente, scelgono i nomi in base a un'idea che hanno già dei personaggi che si accingono a fare interagire. Così come ricorrono alla memoria dei luoghi frequentati, soprattutto le contrade dell'infanzia, per farvi scorrere le trame. I loro vissuti, le frequentazioni, la personalità o i difetti di amici, parenti e conoscenti, e qualche volta l'elenco telefonico, sono preziose fonti di ispirazione per i romanzi che vanno a tratteggiare. Da Verga a Pirandello, da Sciascia e Bufalino a Piazzese e alla Grasso, ciascuno ha un metodo per scegliere il nome dei propri personaggi. Allo studio dell' onomastica letteraria viene dedicato un capitolo dei due volumi di "Lingua e cultura in Sicilia", curato da Giovanni Ruffino per conto del Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Nelle 1660 pagine complessive dell'opera c'è di tutto e di più: storia, narrativa, studi dei dialetti, soprannomi, sprazzi di cultura contadina, vicende di pesca, canzoni, poesie, cinema, teatro, toponomastica e altro ancora. Un'enciclopedia che, come afferma il curatore, si propone di fornire uno strumento didattico ai docenti per dare concretezza alla legge numero 9 del 31 maggio 2011, quella sulle "Norme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia della letteratura e del patrimonio linguistico nelle scuole siciliane". Addentrarsi nei due tomi è come percorre secoli di cultura isolana; qui vogliamo soffermarci sui più conosciuti eroi di carta scaturiti dal cervello dei grandi autori del Novecento siciliano, quasi tutti con "nomi parlanti"; nel senso che i nomi raccontano moltissimo del personaggio che definiscono. E spesso raccontano molto degli autori.
[…]
Andrea Camilleri è un plagiatore confesso. Da Pirandello e da altri narratori prende nomi di uomini e luoghi (Montelusa si trova in una novella di Pirandello, Vigàta è un aggiustamento di Licata) e molti nomi li troviamo nelle pagine gialle di Porto Empedocle.
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Tano Gullo
 
 

La Sicilia, 14.6.2013
I commissari
Montalbano ha battuto il collega Maigret

E' fatta. Il siciliano ha superato il francese. Già: il commissario Montalbano di Camilleri batte il Maigret di George Simenon perché gli sceneggiati televisivi dell'eroico poliziotto dell'immaginaria Vigàta trasmessi da quasi 15 anni sono numericamente superiori a quelli interpretati da Gino Cervi e mandati in onda dal 1965 al '68-'69, dunque per soli 4 anni. Insomma Montalbano-Zingaretti sbanca tutti. Perché? Ma perché la formula ideata dal regista Alberto Sironi funziona; per una sorta di perfetta alchimia la squadra di attori, le location, le storie piacciono a un pubblico eterogeneo e vastissimo che va da Ragusa ad Aosta. Dunque il rude funzionario di polizia del Sud fa vacillare lo strepitoso successo che ebbe, all'epoca, il personaggio coniato dallo scrittore d'oltralpe e interpretato da un grande Cervi.
Ma cos'hanno in comune e in che cosa invece si differiscono i personaggi-interpreti principali, ovvero Zingaretti-Montalbano e Cervi-Maigret?
Fisiognomicamente la somiglianza c'è perché se è vero che Jules Maigret della polizia giudiziaria parigina è un uomo impostato, robusto, con baffi e capelli scuri, è pur innegabile che il vero Montalbano, cioè quello dei romanzi di Camilleri, ha le stesse caratteristiche, mentre Zingaretti è totalmente diverso. Ma piace lo stesso e i giornali di gossip lo definiscono come un tipo affascinante e virile.
Restando in tema di donne, i due superpoliziotti sono totalmente diversi. Fedele alla materna signora Louise, perfino prude, il buon Maigret, più fimminaro, irrequieto e attratto dall'universo muliebre lo spericolato Montalbano, che ha tradito spesso e volentieri l'eterna fidanzata ligure Livia.
Entrambi golosi e buongustai, invece, sono i nostri: il siculo ghiotto di caponate, parmigiane, arancini preparati dalla cammarera Adelina; il transalpino divoratore di tramezzini, uova sode ghermite nei bistrot e dei manicaretti che la paziente madame Louise gli porta a tavola.
L'artiglieria. Sia l'uno sia l'altro portano alla cintola la pistola d'ordinanza usandola però raramente. Sono fondamentalmente pacifici, Maigret e Montalbano, ma guai a fargli scattare i nervi, perché cominciano a gridare come ossessi.
Le indagini. I nostri commissari non amano la scrivania ma l'investigazione diretta, in strada, perché sono sbirri di razza che si fidano del proprio intuito. In Questura rimangono il tempo necessario per stilare i rapporti, poi scappano fuori a seguire piste, a intercettare criminali e a concedersi pause ristoratrici in bar, trattorie e brasserie.
Ultima somiglianza: le periferie urbane. Montalbano è di stanza in un angolo di Sicilia assolato e semideserto, estremamente provinciale. E pure Maigret, benché insediato al Quai des Orfévres parigino, si trova spesso ad affrontare delitti compiuti in aree extraurbane, nei bassifondi. Insomma sono due provinciali, i nostri, amano l'aria pura non avvelenata dai gas di scarico, sono un po' orsi. La confusione cittadina non gl'interessa. E anche in questo hanno ragione.
Mario Bruno
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 14.6.2013
Nell'agrigentino disposta un'ordinanza temporanea di divieto di balneazione
Liquami di fogna sulla spiaggia di Camilleri
Il lido di Porto Empedocle descritto dallo scrittore nel suo romanzo «La presa di Macallè»

Agrigento - Liquami di fogna, a cielo aperto, tagliano in due la spiaggia di Porto Empedocle alla quale si accede dal varco Macallé, un ingresso ai lidi descritto nel romanzo «La presa di Macallé» dello scrittore Andrea Camilleri. A denunciarlo, facendo un esposto alla Capitaneria di porto ed avvisando i responsabili dell'Asp, è stata l'associazione «MareAmico».
GUASTO - «Il sindaco», ha denunciato l'associazione ambientalista, «deve necessariamente ed urgentemente imporre il divieto di balneazione temporaneo». In una nota, alcune ore dopo la segnalazione, il primo cittadino di Porto Empedocle Calogero Firetto spiega che a determinare gli sversamenti sarebbe stata «un'avaria alla pompa di sollevamento dei liquami di contrada Ciuccafa. Il Comune ha segnalato il guasto a Girgenti Acque che sta riparando l'avaria, mentre con i mezzi comunali abbiamo realizzato una sorta di diga per evitare che i liquami finiscano in mare». Il sindaco, nonché deputato regionale dell'Udc, «in via precauzionale» ha firmato un'ordinanza temporanea di divieto di balneazione.
 
 

Teatro Stabile di Catania, 15-30.6.2013
Palazzo Platamone “Corte Mariella Lo Giudice” dal 15 al 30 giugno 2013
La concessione del telefono
di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
dal romanzo di Andrea Camilleri
regia Giuseppe Dipasquale
scene Antonio Fiorentino
costumi Angela Gallaro
musiche Germano Mazzocchetti
luci Franco Buzzanca
con in o.a. Cosimo Coltraro, Fulvio D'Angelo, Guia Jelo, Liliana Lo Furno, Miko Magistro, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Raniela Ragonese, Giampaolo Romania, Sergio Seminara, Angelo Tosto produzione Teatro Stabile di Catania

Note di regia
È fra i romanzi di Camilleri uno dei più divertenti. Una commedia degli equivoci e degli imbrogli, la cui ambientazione ideale, un’isola come la Sicilia, è terra di contraddizioni. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. Una vicenda affogata nel mondo storico dello scrittore empedoclino, che vive di personaggi reali, storicizzati nella sua grande fantasia di narratore. Una trama emblematica che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo. È il romanzo del paradosso. I poteri, siano essi forti, siano essi nascosti, sono tutti piccoli, moralmente: la ragione che li sostiene poggia sempre sull’ambizione di pochi che orientano la propria azione per annullare le aspirazioni altrui.
Giuseppe Di pasquale
 
 

La Sicilia, 15.6.2013
Teatro Stabile. Stasera alle 20.45 al Cortile Platamone «La concessione del telefono»
Il racconto delle umane meschinità

I veri capolavori hanno la caratteristica di rinnovarsi nel tempo: nel senso che fornendo un'interpretazione del tempo, assumono rifrazioni diverse secondo il luogo e il tempo in cui sono visitati. Pur restando intatti nella loro tessitura testuale. i tragici antichi, i melodrammi romantici si rinnovano nell'animo di chi li guarda oggi in modo sostanzialmente diverso da quel che è avvenuto nel succedersi delle generazioni.
Perciò la «Concessione del Telefono», che Giuseppe Dipasquale ha desunto dal best seller di Camilleri, firmandone la regia che ha ricevuto unanimi consensi in una lunghissima tournée in tutti i maggiori teatri italiani, è cosa nuovissima e degna di essere rivista anche da chi già ne ha applaudito precedenti allestimenti.
Il romanzo fu pubblicato nel 1998 quando il ciclo socio-politico che oggi sta franando era in pieno sviluppo. E' un romanzo storico nel senso che riporta la situazione socio-politica di una Sicilia di fine Ottocento quando le raccomandazioni erano accettate apertamente dai potenti, quando gli intrallazzi di personaggi danarosi con politicanti di variabile bandiera erano comunissimi.
Ecco dunque che il romanzo fa riflettere su come cambiano i rapporti umani nel corso del tempo, ma strizza l'occhio ai contemporanei e rispetto alla resa teatrale nel 2005 quando nessuno immaginava gli scombussolamenti che avrebbero agitato oggi i palazzi, sacri e non, vi si può trovare, a partire da stasera al Cortile Platamone, l'occasione per riflettere sullo sconforto storico di non aver capito quando si era a tempo per correggere, e di capire quando non si è più a tempo per evitare il danno.
Del resto questa edizione è veramente nuova: nel senso che si avvale della colonna sonora firmata da Germano Mazzocchetti, inserisce scorci diversi sulle personalità rappresentate (e qui l'esperienza degli interpreti "storici" ha avuto il suo peso determinante) e annovera un cast di tutto rispetto in cui spiccano Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Miko Magistro, Guia Jelo, Marcello Perracchio, Angelo Tosto, in una compagnia in cui ognuno cesella un medaglione storico o caratteriale raffinatissimo: e sono Cosimo Coltraro, Fulvio D'Angelo, Liliana Lo Furno, Gian Paolo Poddighe, Raniela Ragonese, Giampaolo Romania, Sergio Serminara che sanno divertire, ma anche osservare l'umanità ridicola di chi assume atteggiamenti non corrispondenti alla realtà.
Insomma è teatro di grande impegno civile che si può guardare con un sorriso perché finge di raccontare umane meschinità antiche di oltre un secolo, ma fa riflettere perché il parallelo con memorie contemporanee è assolutamente evidente. Così si spiega come il capolavoro sia stato tradotto in parecchie lingue di cultura nel mondo e la resa teatrale sia stata premiata unanimemente da critica e pubblico. E siccome il pubblico catanese è compaesano di quegli eroi della satira sociale che furono Martoglio e Angelo Musco, afferrerà subito la metafora e ne terrà buona nota nel futuro.
Sergio Sciacca
 
 

Ma se domani…, 15.6.2013
Recensione Un covo di vipere di Andrea Camilleri

Puntuale come le tasse, atteso come un concerto dell’artista preferito ed aiutato dalle repliche di Montalbano in tv ecco arrivare sugli scaffali delle librerie “Un covo di vipere”, ultimo romanzo con protagonista il commissario più amato dagli italiani concepito naturalmente dalla penna di Andrea Camilleri. È il volume che cercherà di scalzare Dan Brown dalla vetta della classifica, ed é quasi ovvio che io mi metta a fare un nazionalistico tifo in una sfida che ci potrebbe accompagnare per tutta l’estate.
Questa nuova avventura vigatese si apre, come spesso è successo, nella camera da letto di Montalbano, destato da un sogno (quasi) incomprensibile dal fischiettio di un senzatetto accampatosi dalle sue parti. Un uomo elegante nella posa e forbito nel linguaggio, la cui presenza discreta ci accompagnerà durante l’indagine sull’assassinio del ragionier Cosimo Barletta. Il morto è un ragioniere, vedovo con due figli, che conduceva una vita apparentemente irreprensibile, nascondendo una esistenza di essere abbietto, senza scrupoli, un vero figlio di quella-di-quel-mestiere-lì.
La trama si sviluppa dunque tra il percorso del senzatetto misterioso e le scoperte delle perversioni del cadavere (da vivo), inframmezzate dal solito irresistibile Catarella, da qualche scenetta teatrale con Fazio, dal rapporto complice con Mimì. Torna a Vigata e dunque a rompere i maroni anche Livia, il che mi offre il destro per una sola critica, detta piano-piano sottovoce.
Nella postfazione l’autore confessa che il libro è stato prodotto nel 2008. Nulla di male, eh, per carità, sono uno dei fedelissimi che festeggia ogni nuova uscita. Il punto è che le avventure di Montalbano non sono una semplice investigazione, ma si inseriscono in un sottofondo di relazioni incrociate che rendono il tutto così incredibilmente umano e coinvolgente. Privarci di un senso temporale preciso è una piccola, amabile cattiveria, che è già perdonata nel momento in cui si chiude l’ultima pagina, e il commissario ci ha sorpreso di uno. Con una trama che non sarà intricatissima – il finale era abbastanza scontato – ma che affonda le sue unghie nel concetto strano e sfuggente di Amore.
Alf76
 
 

Democrazia Oggi, 15.6.2013
Andrea Camilleri all’Università di Cagliari
Andrea Camilleri ai primi di maggio all’Università di Cagliari ha parlato con gli studenti del suo romanzo La rivoluzione della luna. Ecco cosa si son detti…

Ha detto che i suoi romanzi hanno avuto sempre fortuna col passaparola, all’inizio fra lettori già maturi. Poi, con Montalbano, è successo qualcosa di mostruoso. Una quantità spaventosa di gente, giovani soprattutto, ha fatto salire le vendite da 180 mila a 900mila copie. ‘Sono grato ai giovani, dice Camilleri, ‘ma conosco i limiti della mia scrittura, perché so costruire una bella chiesa di campagna, non il duomo di città’. Inizia così, con la leggerezza della metafora, l’intervento dello scrittore dedicato agli studenti, il giorno precedente la consegna della Laurea honoris causa, all’Università di Cagliari. Una vera lezione introduttiva alla scrittura, che nasce secondo un’idea ben precisa di romanzo, e secondo una certa rappresentazione del mondo. ‘Leonardo Sciascia mi diceva, non puoi scrivere così, non ti legge nessuno. Ma io non sapevo farlo in altro modo, se non in ‘vigatese’ e, per dieci anni, non trovai chi pubblicasse i miei libri. Poi è arrivato Sellerio, e io ho riscritto il primo romanzo, Il corso delle cose, secondo il mio modo. Secondo una scrittura che si modifica continuamente nell’uso del siciliano, e del vigatese, e dell’italiano’. E continua a costruire metafore nel parlare della sua produzione, ricchissima, fino all’ultima pubblicazione, in libreria a partire dall’inizio dell’anno, che si intitola ‘ La rivoluzione della luna’. La protagonista è Eleonora di Mora, Viceré spagnola in Sicilia e donna di grande levatura, come ce ne sono tante, dice Camilleri. ‘ Certamente poche quelle col suo potere, e così fortemente discriminate, e soffocate da quote rosa, 8 marzo, feste delle donne, ecc. E di cui i signori storici poco si occupano. Né si occupano, in particolare, di questo avvenimento, non vi è traccia nei libri di storia siciliani del fenomeno Eleonora di Mora, Viceré spagnola in Sicilia, che ha governato alla fine del Seicento, per 28 giorni, con un potere amministrativo unico in Europa. E siccome il Legato del Papa non può essere donna, e con la sua onestà, usando il potere non per sé, ma per gli altri, sta facendo troppo danno, viene rimandata in Spagna’. Una sintesi estrema del libro, che introduce ad alcune note generali sul carattere della sua letteratura, ‘perché, dice Camilleri, mi interessa nel romanzo storico, la possibilità di un confronto di quel tempo con il nostro. Così se si tratta del periodo post unitario, voglio capire come è stata fatta l’Italia, trovare nella storia momenti e personaggi da rapportare al presente, in modo che il lettore ne tragga conclusioni’. E poi la ricerca e la sperimentazione a proposito di Montalbano. ‘Volevo vedere se sarei stato capace di scrivere un romanzo, rispettando sequenze e tempi, dal primo capitolo all’ultimo. Io sono anarchico, se ho notizie storiche inizio a pensarci, ma non è detto che poi le prime cose scritte siano parte del primo capitolo. Ed allora, nei romanzi di Montalbano, parto da dove comincia la storia, per seguire un ritmo adeguato alla durata dei tempi. Ma, in generale, ho sempre di fronte due autostrade, del romanzo storico, secondo il mio modo, oppure del romanzo di Montalbano. E voglio vedere se mi viene voglia di uscire dalla autostrada o andare fino alla fine, guidando magari auto diverse, e scrivendo in italiano. Per ricondurmi al presente, a parlare della nostra società, in un vigatese mitigato, molto più chiaro del vigatese incomprensibile dei romanzi storici. Come se ci fossero in me due Camilleri distinti’. E a una studentessa che chiedeva quale fosse il suo romanzo preferito, ha risposto parlando de ‘Il Re di Girgenti’, un parto travagliato, della durata di 5 anni, che è maturato lentamente, ogni capitolo una lunga riflessione. ‘Avevo fatto una scommessa con me stesso, iniziare con una scrittura realista, per poi stravolgere la materia e giungere alla favola. Decantare, distillare la materialità, l’atto sessuale, fino a diventare leggero, che un aquilone possa tenerti’. La stessa cosa in questo romanzo, ‘dalla bruttezza del nano Viceré, alla bellezza di Eleonora. La scrittura che sappia narrare il cambiamento e la conquista, per arrivare alla favola, all’invenzione pura del sogno. Così la fatica della scrittura de ‘Il re di Girgenti’, è diventata felicità della scrittura ne ‘La rivoluzione della luna. L’ho scritto in un mese, mi sono innamorato della protagonista e, spontaneamente, ho chiuso in versi di poesia popolare il racconto. E questo vuol dire che il percorso l’ho fatto proprio bene’, dice Camilleri, salutando gli studenti a fine serata, mentre si prepara la premiazione dei partecipanti al Seminario, organizzato quest’anno dall’Università sulla lettura dei suoi romanzi.
Gianna Lai
 
 

La Sicilia (Agrigento), 15.6.2013
Porto Empedocle. La stagione balneare è cominciata con un clamoroso episodio ancora tutto da chiarire
Una fogna a Marinella
Abbondante fuoriuscita di liquami in un ampio tratto della spiaggia cara ad Andrea Camilleri
Esposto di MareAmico, pronto intervento di Comune e Girgenti Acque. Caccia al responsabile

Porto Empedocle. Sarebbe meglio che Andrea Camilleri non lo sappia. Ma è certo che già sia stato informato. Liquami - pare di questo si tratti - a cielo aperto, tagliano da almeno un paio di giorni in due la spiaggia alla quale si accede dal varco Macallè. Uno degli ingressi ai lidi di Marinella, descritto nel romanzo «La presa di Macalle» dello scrittore empedoclino.
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Il sindaco Firetto: «In via precauzionale e provvisoria ho già firmato un'ordinanza temporanea di divieto di balneazione, almeno fino a quando le operazioni non saranno completate e non vi sarà più il rischio inquinamento». Anche perchè a questo punto, in attesa di considerare messa in sicurezza la zona «cara» al Commissario Montalbano, è indispensabile capire cosa ed eventualmente chi ha trasformato le acque «bianche meteoriche» in acque putride con liquami e altre sostanze galleggianti. In questo senso sarà indispensabile l'azione di accertamento da parte della Capitaneria di porto, dell'Asp e magari della magistratura.
Senza scomodare il Commissario Montalbano, da molti anni trasferitosi (cinematograficamente) dalle parti di Ragusa Ibla.
Francesco Di Mare
 
 

l’Unità, 16.6.2013
La nuova sfida di Montalbano
Camilleri e i «meandri dell'anima»

l'Unità intervista Camilleri | «Il covo di vipere» è il titolo del suo ultimo libro. Al centro dell'inchiesta una storia di amore deviato e i meandri dell'animo umano»

Il ritorno di Montalbano con «Un covo di vipere» il giallo e la sua chiave di lettura, i personaggi dei romanzi, la fiction televisiva, sono alcuni dei temi affrontati in questa intervista de l’Unità con Camilleri. Non solo letteratura e tv, lo scrittore di Porto Empedocle parla anche dell’Italia odierna, non nascondendo la sua preoccupazione e delusione per le difficoltà che il Paese attraversa. Ma come sempre coglie anche gli elementi positivi, e da siciliano appassionato della città etnea (non a caso vi ha fatto nascere il commissario Salvo Montalbano) non si esime dall’esprimere la sua contentezza per il ritorno della «Primavera di Catania», incarnata dal neosindaco di centrosinistra Enzo Bianco.
Partiamo dalla narrativa, dal nuovo romanzo. In Un covo di vipere affronta un tema difficile come l’incesto.. Ha una funzione letteraria sic et simpliciter oppure ha voluto addentrarsi in altri meandri oscuri dell’animo umano?
«Se avessi voluto addentrarmi nei meandri oscuri dell’animo umano non avrei scritto un romanzo poliziesco ma un romanzo incentrato sul personaggio di Giovanna, della figlia. Se ho scritto un romanzo poliziesco è perché mi piaceva mettere Montalbano in questo tipo di indagine».
Come è nata l’idea di questa storia?
«L’idea nasce da un vecchio soggetto che avevo scritto su un barbone ex chirurgo, un soggetto che non si realizzò. Però rimasi abbastanza legato a questo personaggio e quando mi tornò in mente mi posi una domanda: e se questo barbone fosse stato spettatore di qualcosa di terribile ma mai venuta alla luce? Ecco così è nata l’idea di Un covo di vipere».
La struttura del giallo in questo romanzo ha il suo incipit nel delitto del ragioniere Barletta. Lo si può definire una incarnazione del male, anzi dell’ambiguità del male?
«Sì ma anche della banalità del male».
Il delitto ha paradossalmente due autori, chi lo avvelena e chi successivamente gli spara...
«Certamente, sono entrambi degli assassini. Anche perché il secondo assassino ignora che spara su un cadavere, spara su un uomo vivo che ha intenzione di uccidere, quindi è in tutti i modi e in tutti i sensi un assassino».
Montalbano man mano che indaga intuisce un fondo oscuro che lo atterrisce, è come un baratro dal quale vorrebbe allontanarsi. Eppure non fugge, anzi anche dinanzi ad ambiguità innaturali è come se si sforzasse di cogliere una piccolissima dimensione di umanità nella figura di Giovanna. Addirittura giunge a nascondere un biglietto inviatole dalla donna. Perché?
«Perché riconosce che tra quei due c’è amore. Lo scrivo nell’ultima frase, perché il rapporto che lega Giovanna e il padre è un rapporto d’amore, sì deviato, ma sempre di amore. In rispetto a questo sentimento Montalbano eviterà a Giovanna l’umiliazione dell’arresto e dello svelamento del suo segreto».
Ma il commissario nascondendo il biglietto di Giovanna, seppur per motivi umanitari, non è andato fuori dalle regole? Come risolve Montalbano tale questione etica?
«Montalbano, come ho ripetuto diverse volte, è sempre da parte della giustizia, ma talvolta per arrivare al risultato, usa delle scorciatoie, degli sfonnapedi diciamo irregolari. Nel caso di Giovanna, l’aspetto umano ha forse prevalso sul rispetto delle regole. Ma, diciamo che non l’avrebbe mai lasciata in libertà, le ha solo permesso di uscire da questa storia il meno sporca possibile».
Anche in questo romanzo Montalbano riflette su se stesso, e si accorge che alla partenza di Livia la «botta» di malinconia che lo coglie è molto più forte del solito. È solo timore della solitudine o vi è dell’altro?
«No, anche qui è amore».
Lei non si sottrae dall’esprimere il proprio pensiero politico, sociale, di recente ha anche pubblicato un libro con dei suoi interventi sull’attualità. Quale metafora utilizzerebbe per descrivere l’Italia odierna?
«Gli interventi raccolti in Come La Penso, non sono tutti attuali. L’Italia odierna è in un momento di grande paralisi politica, economica e creativa e questo mi deprime sia come scrittore ma sopratutto come cittadino».
Secondo un recente studio ben 800mila turisti l’anno vengono in Sicilia per i romanzi e le fiction su Montalbano. Che sensazione Le provoca tutto ciò?
«Ecco, sono molto molto contento di questi dati, il connubio tra la mia scrittura e l’ottimo prodotto televisivo continua a portare risultati incredibili! Cosa aggiungere, spero solo che questo riporti all’estero un po’ di giustizia all’immagine della nostra Italia ormai così svilita».
Montalbano nonostante viva a Vigàta è un catanese. Il protagonista della «Primavera di Catania», Enzo Bianco, ha vinto nettamente le elezioni amministrative nella città etnea. Qual è il pensiero di Montalbano?
«Quello che pensa il commissario è detto chiaramente nei romanzi, perché fargli dire cose al di fuori dei romanzi?».
Ed allora vediamo cosa ne pensa al riguardo Camilleri che ha sempre mostrato di apprezzare Catania. Più volte ha partecipato a grandi eventi culturali nella città etnea, la cita nei suoi romanzi...
«Ne sono molto felice».
Salvo Fallica
 
 

Libreriamo, 16.6.2013
''Un covo di vipere'' di Camilleri, un dramma psicologico dai toni noir
Pubblichiamo la recensione di Arcangela Cammalleri per la precisione e la chiarezza nell’analisi e nella lettura dello stile dello scrittore siciliano

“Un covo di vipere” di Andrea Camilleri, il ventunesimo libro sul commissario Montalbano e pubblicato alla fine di maggio, è stato in realtà scritto nel 2008, come riporta Camilleri nella nota finale del testo letterario. Essendo troppo vicino alla pubblicazione de “La luna di carta” del 2004, la casa editrice Sellerio ha preferito tenerlo congelato nei suoi archivi fino alla data odierna. Fatta questa premessa, “Un covo di vipere” è uno dei romanzi in cui Camilleri dà il meglio di sé, scritto con mano felice quando la creatività prende e sorprende chi scrive.
La storia affrontata è scabrosa e a tratti indecorosa, ma l’autore sa trattarla con estrema delicatezza e trasfigurarla in una sorta di tragedia greca. L’omicidio del ragioniere Cosimo Barletta apre scenari oscuri ed inquietanti. La vittima, uccisa due volte da due ipotetici assassini, è un essere fuori dai limiti, ributtante, dal fondo dell’animo sordido e amorale: affarista senza scrupoli, usuraio, amante compulsivo di giovani donne ricattate o comprate dal vile denaro. L’indagine si espande a macchia d’olio e dall’ucciso ai due figli, alle sue frequentazioni femminili, ne scaturisce un universo umano pregno di segreti e zone d’ombra, ma è la famiglia su cui si accentra la lente d’ingrandimento, un covo di vipere appunto, un gorgo oscuro e nero che tutto inghiotte. In questo particolare caso poliziesco, bassezze, vergogne, lettere allusive e misteriose, mettono a nudo aspetti inconfessati dell’animo umano, oscure colpe, equilibri scomposti, sesso e perversioni oltre ogni freno morale. Montalbano, insieme al suo staff investigativo Augello e Fazio, procede per indizi e deduzioni, scavando nella vita pubblica e privata di Barletta. Il movente dell’omicidio assume sempre più sfaccettature complesse, non solo di vendetta, di interesse, ma di qualcosa di sotterraneo, indecifrabile e indicibile, che prende forma e si avvicina a quella verità inconfessabile che gli dà le vertigini.
Montalbano è investito da un senso di pudore di fronte a certi sentimenti atavici che si ripudiano perché repellenti, ma sommersi nell’inconscio di tanti. La sua educazione sentimentale, nutrita da letture e storie cinematografiche, gli ha insegnato la comprensione e la compassione. Egli non dà giudizi, quella che potrebbe chiamarsi disumana ignobiltà poteva definirsi amore, se non come diversamente? Montalbano nei suoi soliloqui, quando l’indagine tocca le sue corde più intime o scalfisce la sua personalità, sente la sua alterità nel procedere secondo una giustizia codificata o umana che flette e si piega a seconda del contesto in cui deve agire, e agisce come meglio crede, chiudendo il tragico caso con compassionevole dolore. L’intento è quello di custodire la dignità umana quando è offesa oltre le intenzioni. Quello che sorprende in questo romanzo è come Camilleri riesca ad equilibrare scomode verità, presagi nefasti e momenti di vis comica ( le sue farfantarie e nei confronti di Livia e nei confronti del questore…) e arte/bellezza ( il quadro di Rousseau il Doganiere, inserito in un sogno/Sogno di Yadwigha...).
Bellissimo e dolente il ritratto del vagabondo, che fischia come un usignolo il motivo della canzone Il cielo in una stanza e vive in una grotta. Sembra una figura estranea alla vicenda, un personaggio aggiunto per dare quella giusta pennellata al quadro narrativo d’insieme, ma … Più che in altri gialli di Camilleri, Salvo Montalbano prende coscienza del suo essere solipsistico, di come la solitudine nutra ed alimenti la sua esistenza, da essa prenda spunti di riflessioni che si sostanziano in congetture investigative. Nel lettore Camilleri riflette ogni volta che rispecchia una realtà altra quasi come quando si sente un fatto agghiacciante di cronaca, ma con un valore aggiunto, uno stato d’animo guasto come se venissero a franare miseramente quelli che sono i fondamenti dell’illusione e delle apparenze. Nello specifico del libro, il diritto di vivere, di ricercare la felicità o il mito del successo diventa quasi un dovere se non addirittura un’ossessione che trasforma il sogno in un incubo per sé e gli altri. Un romanzo che sta a metà tra il noir e il dramma psicologico, si legge con intensità perché è l’intensità emotiva che lo sostiene, e la formidabile formazione culturale dell’autore compresa la sua vocazione teatrale e per i dialoghi e per le inquadrature delle scene.
Arcangela Cammalleri
 
 

Pontediferro, 16.6.2013
"La rivoluzione della luna" di Andrea Camilleri, un caso storico di buon governo al femminile

In tempi di femminicidio un libro al femminile, dedicato alla "natura" profonda delle donne è non soltanto un atto controcorrente, ma anche una metafora. Lo ha scritto Andrea Camilleri (ed. Sellerio – euro 14,00): è "La rivoluzione della luna". La protagonista del romanzo si trova, nella Sicilia del 1600, a "fissare" un tratto breve di storia, come Viceré dell'isola. Breve. Appena il ciclo della luna, sorella delle donne, ventotto giorni eppure sufficienti ad incidere a fondo nel marcio di una realtà corrotta. Una rivoluzione, dunque. I personaggi femminili dei romanzi di Camilleri, le "signore" o le umilissime puttane, le anziane, oppure le giovani grondanti di entusiasmanti splendori carnali (il sesso non è un tabù e non conosce mai, nella prosa dello scrittore, inutili trivialità descrittive), sono trattati con mano gentile e nello stesso tempo sanguigna, carica di passione e di ammirazione. Archetipi. Paritaria e indiscussa "metà altra del cielo".
Andrea Camilleri ha sempre scritto romanzi "politici", o – se il termine è considerato "forte" – opere narrative sociali, toccando di volta in volta, ad esempio, nelle conosciutissime inchieste del Commissario Montalbano, il nervo più scoperto, nell'attualità del momento, il problema che maggiormente si è evidenziato nelle cronache di una società, la nostra, dalle caratteristiche sempre più allarmanti. E non ha mancato di fare incursioni nella storia della sua isola, la Sicilia, con i racconti-metafora di quegli aspetti penetranti del passato che possono condurre fino al nostro oggi. E' questo sembra, il caso de "La rivoluzione della luna". Come sempre l'autore si è servito di quella forma di dialetto "mediterraneo" che chiunque sia nato nel Sud d'Italia porta dentro di sé e comprende immediatamente.
Il romanzo prende lo spunto da un avvenimento storico certo. Sicilia del 1677, come si è detto, governata da un Viceré inviato dal Re di Spagna, "padrone" di quelle terre. Nella cronologia di questi reggenti reali risulta che alla morte di uno di essi, don Angel de Guzman, suo successore fu un cardinale: Luis Fernando di Portocarrero. Ma in realtà venne commessa, inspiegabilmente, o troppo "spiegabilmente" come ci dice Camilleri, con chiara allusione alla cultura vigente, (non soltanto nella Sicilia del 1600) una grave omissione. Don Angel morì alla presenza dei suoi corrotti e pirateschi ministri, ma, con sorpresa di tutti si seppe che aveva lasciato un testamento. Doveva succedergli la giovane moglie: donna Eleonora di Mora. Una successione a tempo determinato il cui decorso sarebbe stato deciso dal desiderio indiscutibile del Re. La successione privata da Viceré a Viceré non era una novità. Infatti non era la prima volta che veniva indicato dal titolare, in caso di morte, come suo erede al trono palermitano un parente stretto. Qualche anno prima, ad esempio un Viceré, morendo, aveva nominato alla ambita carica addirittura il proprio figlio causando non pochi risentimenti nel Sacro Collegio, ossia nel consiglio dei Ministri reggitori del vicereame siciliano. Anche nel caso di don Angel vi furono risentimenti. Si giunse addirittura allo sdegno da parte dei pomposi dignitari i quali, dopo alcuni tentativi falliti di invalidazione della nomina, dovettero accettare questa successione assolutamente "anomala" che vedeva l'Isola governata da una donna giovane e affascinante e (lo si vedrà subito) dotata di cervello e di rigore etico.
Il racconto storico, arricchito e moltiplicato dalle libertà creative dell'autore, profondo conoscitore della realtà siciliana, segue il ciclo della luna. Donna Eleonora resterà in carica ventotto giorni, durante i quali attuerà una indispensabile "rivoluzione" in quella seicentesca Palermo nella quale "tutto era lecito tranne ciò che era lecito". Il governo dell'isola completamente corrotto. Guasto fino all'indecenza sociale. Ruberie di ogni genere, malversazioni, assenza totale di un'etica sociale. Il tutto ammantato da un apparato sfarzoso di maggiordomi, maestri di casa, uno strisciare di riverenze, di inchini per sollecitare favori, ordire complotti, organizzare turpitudini di ogni genere a danno della gente più indifesa e miserabile. A danno delle giovani orfane costrette alla prostituzione, fino al delitto delle ragazze stesse, dopo la loro profanazione e lo stupro, ingravidate dai nobili clienti. Oggetti che non potevano più essere utili al " mercato della carne umana" e quindi andavano soppresse dopo aver subìto, ancora una volta, violenze di ogni genere, in pasto ai sicari incaricati degli omicidi e delle sepolture.
L'illegalità diffusa dunque, era l'identità del Sacro Regio Collegio che aveva approfittato bassamente del Viceré don Angel che una malattia aveva reso enorme, elefantiaco, politicamente inerte al punto di non potersi più muovere in alcun modo per morire, infine, in pieno consiglio mentre i suoi Ministri, fingendo che fosse ancora vivo, firmavano a suo nome concessioni di ogni tipo e assegnazioni di ricche rendite e di proprietà strappate ad altri.
La sua vedova, donna Eleonora, fin dalla sua entrata in azione si presentava completamente diversa. E' notturna non solare. Il suo sguardo nerissimo porta con sé bagliori oscuri di tempesta. Dolcissima nella voce e nei modi eppure fredda come la luna che l'accompagnerà nel suo breve governo. Eppure il veloce giro nello Zodiaco del silenzioso satellite sarà sufficiente a questa gran "femmina Viceré" per riparare gli abusi dei ministri, per risollevare le donne dalla umiliazione e dalla vergogna, per fissare il giusto prezzo del pane e avviare consistenti riforme per le famiglie povere e per la manodopera operaia. Indicherà, donna Eleonora, con nuove leggi, il cammino da percorrere verso la giustizia sociale. E infine applicherà quelle disposizioni che erano già scritte nei codici dell'isola ma che venivano puntualmente ignorate. Una rivoluzione, dunque, dal nome di donna toccata dalla pienezza del soffio di un delicato amore "a rovescio" nel quale sarà, una volta finalmente, il giovane innamorato a seguire lei nella sua patria spagnola.
Rosanna Pilolli
 
 

Il Sole 24 Ore, 16.6.2013
Cataloghi
Celebrità a proprie spese
Pagare per pubblicare è una tradizione con illustri nomi. Spulciando nelle liste di Lalli, ecco Camilleri, la Merini e Jannacci...

Carlo Emilio Gadda, nel 1939. scriveva a Bonaventura Tecchi: «Con Carocci si è combinato iI volume. E ciò, devo dirtelo, grazie anche al tuo generoso intervento, dopo aver sentito Parenti decisi di accettare il tuo intervento per L.500, io espongo L.1.500, con che al raggiungono le 2.000 Lire necessarie alla stampa del volume». “La Madonna dei filosofi uscirà nel 1932 con Solaria e oggi quell'edizione gira sul mercato a € 750. Una sola copia avrebbe rimborsato della spesa il povero Gadda.
Gli editori a pagamento sono sempre esistiti e in qualche caso hanno svolto il caritatevole compito di accogliere opere di autori ingiustamente rifiutali dall'editoria ufficiale. Al caso Gadda se ne potrebbero aggiungere infiniti altri. […]
Oggi l'editoria a pagamento ha preso altre strade in grande espansione, il digitale, la rete. E su questo tema la differenza va comunque sempre fatta tra gli editori a pagamento che selezionano e quelli che incassano qualsiasi libro su esborso o acquisto di copie.
Se si va a scavare nel lungo catalogo di Antonio Lalli, Poggibonsi, noto editore di libri a pagamento, si possono fare delle scoperte sorprendenti.
Il caso più sconcertante è quello di Andrea Camilleri. Alla metà degli anni Settanta, esasperato da continui rifiuti - Garzanti, Mondadori, Bompiani, Feltrinelli e altri -, Camilleri chiamò Antonio Lalli, che lo raggiunse nella sua casa di campagna sull'Amiata. Concordarono una pubblicazione senza contributi.
«L'unica cosa che chiesi a Camilleri», racconta Lalli, «fu di mettere il nome dell'editore nei titoli di coda dello sceneggiato tratto dal libro che la Rai stava preparando». Così “Il corso delle cose” uscì da Lalli nel 1978 nell'indifferenza più totale. Com'era possibile che lo scrittore destinato a rappresentare una miniera d'oro per l'editoria italiana venisse respinto per anni dagli editori ufficiali? Com'era possibile che un autore di cinquantatre anni, con un profilo di tutto rispetto e con un buon romanzo in mano fosse costretto a ricorrere a un editore a pagamento? Com'era possibile che non riuscisse a trovare ascolto un intellettuale impegnato come docente al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e all'Accademia Nazionale di Arte Drammatica, che aveva pubblicato un saggio da Cappelli sui teatri stabili, che aveva scritto un libretto d'opera per Franco Mannino, che lavorava in Rai come regista di programmi culturali?
Oggi la prima edizione di “Il corso delle cose” è introvabile. Non esistono quotazioni, ma alcuni collezionisti appassionati di Camilleri sono disposti a sborsare qualche migliaio di euro. La vendetta: l'edizione Sellerio del romanzo, uscita vent’anni dopo Lalli, ha già avuto più di trenta ristampe, e sappiamo che quelle di Camilleri non sono tirature leggere.
[…]
Ambrogio Borsani
 
 

La Sicilia, 17.6.2013
Teatro Stabile. Al Cortile Platamone la rilettura de «La concessione del telefono»
Il mistero buffo dei siciliani

La trama è già nota: ne "La concessione del telefono" Andrea Camilleri raffigura il sottobosco siciliano dei piccoli imbrogli, dei piccolissimi interessi personali, della assoluta disponibilità alla connivenza con chi detiene una seppur piccola porzione di potere nella convinzione fondamentale che è molto meglio ottenere un favore da un amico che un diritto da chi per legge deve erogarlo. Ufficialmente è la fotografia della Sicilia di fine Ottocento, ma tutti, anche all'estero dove il romanzo è diventato un best seller con largo seguito di imitatori, sanno che è una satira paradossale, ma verace, di quello che succede nella Trinacria anche oggi, dopo tante rivoluzioni epocali di Garibaldi, Di Rudinì, Giolitti, che non cambiarono niente perché proclamare il cambiamento e non cambiare nulla è puro, purissimo gioco di parole.
Questo lo sanno tutti e dunque la nuova edizione del capolavoro che sabato scorso ha debuttato al Cortile Platamone (affollato come ormai d'abitudine in questa critica estate) non riserva sorprese sul piano sostanziale. Ne riserva e molte sul piano della forma.
Giuseppe Dipasquale che la guida come regista e la propone come sigla della stagione estiva dello Stabile catanese che la tiene in cartellone fino all'ultimo del mese, le ha conferito un andamento iperbolico, surreale. Astuzia degna di Camilleri: volgere il tutto in risata per mascherarne l'amaro realismo. La musica di Germano Mazzocchetti è vivacissima (da opera buffa); le scene di Antonio Fiorentino sono il monumento mutevole della melina burocratica, con i suoi inutili, ma irrinunciabili scartafacci. I costumi di Angela Gallaro accentuano il macchiettismo dei personaggi, degni di un graphic novel di altri tempi (o della prima pagina nel Corriere dei piccoli). Il tutto scolpito dai lampi luminosi di Franco Buzzanca.
In questo allegro bailamme sguazzano gli artisti che solfeggiano in chiave buffa le varie facce del Sicilianus sapiens et Nofrius. Tuccio Musumeci con la sua carica comica irresistibile gorgheggia divertendosi in prima persona; Pippo Pattavina spalma sui suoi caratteri l'ironia iperbolica di chi fa il fesso per non pagare il dazio; Guia Jelo mette assieme malizie donnesche, finte ingenuità e focoso erotismo in quadretti che hanno molto da insegnare alle sex symbol di tutti i tempi; Miko Magistro e Marcello Perracchio vitalizzano il repertorio comico di intere generazioni; Angelo Tosto e Fulvio D'Angelo inventano scenette satiriche che sembrano improvvisate sul momento; Gian Paolo Poddighe, Sergio Seminara, Giampolo Romania, Cosimo Coltraro, Raniela Ragonese e Liliana Lo Furno conferiscono a questo pantheon della canzonatura tratti esilaranti di inesauribile allegria.
E' il trionfo dello spirito mordace di Rabelais, di quello irriverente di Giufà, di quello sferzante di Martoglio. Il misterio buffo dei Siciliani: da vedere e rivedere perché ridendo le commedie sono sempre riuscite a correggere i mores anche delle società più squinternate.
Sergio Sciacca
 
 

18.6.2013
La banda Sacco
Sarà in libreria a ottobre, edito da Sellerio, il nuovo romanzo storico di Andrea Camilleri.
 
 

Mentelocale Genova, 18.6.2013
Pane toscano: alla scoperta di 20 ricette tradizionali
Il libro di Ornella d'Alessio e Sergio Rossi. Con la prefazione di Andrea Camilleri. Dai pici con le briciole alla panzanella. Ecco un estratto
Pane Toscano (Moroni Editore, 2013, 88 pp, 13.50 Eu) è il libro di Ornella d'Alessio e Sergio Rossi, con la prefazione di Andrea Camilleri.

La pubblicazione, maneggevole nelle dimensioni, di facile lettura, con informazioni storiche e talvolta sfiziose, è dedicata al re incontestato della tavola toscana, il pane sciapo. Friabile, croccante e buonissimo. Ma anche rustico e poco sofisticato nell’aspetto. L’introduzione dello scrittore Andrea Camilleri impreziosisce il volume, a cui seguono i testi di Ornella d’Alessio e Sergio Rossi e venti gustose ricette a base di pane toscano. «Con Cesare Moroni e Bruno Bruchi - racconta la coautrice - abbiamo trascorso intere giornate a cucinare, ridere e scherzare, al fine di scattare le foto di ciascun piatto. Ma, ogni volta, una cosa appariva chiara: i contadini toscani di una volta, sapevano come mangiare bene e spendere poco». In cucina il pane toscano si può usare anche raffermo: si risparmia danaro, si contengono gli sprechi alimentari e si rispetta l’ambiente, ma soprattutto si tiene viva una tradizione contadina.
 
 

Thriller Magazine, 18.6.2013
Un covo di vipere

E' bello sapere di potersi rifugiare in un libro rassicurante, dove si ritrovano i sapori a cui si è abituati, le atmosfere calde di una Sicilia perfettamente dipinta.
Questo è quello che capita con Andrea Camilleri, un autore che non si smentisce mai. Chi ama il commissario Montalbano e le sue indagini ambientate a Vigata, non resterà deluso da Un covo di vipere, il nuovo romanzo, in libreria da alcune settimane.
Un nuovo omicidio insanguina Vigata, un uomo viene ucciso per ben due volte: prima avvelenato, poi colpito da un colpo di pistola. Cosimo Barletta non era certo una brava persona, molti lo avrebbero voluto morto, ma il commissario non si accontenta di facili soluzioni e arriva al termine dell'indagine con la determinazione che gli è solita.
Lo stile è quello consueto, che utilizza la lingua unica, mix di italiano e siciliano, che ha reso tanto famoso l'autore e il suo personaggio; i personaggi sono le figure amichevoli che ammiccano al lettore, con la novità di alcune nuove comparse; le atmosfere e i luoghi sono quelli di una Sicilia vera e viva, che ciascuno riesce a immaginare con nitidezza; il commissario è l'uomo di sempre, forse un po' invecchiato, ma sempre presente e incisivo.
Cosa manca dunque a questo romanzo per essere annoverato tra i migliori di Camilleri? Il guizzo, la scintilla. Quel qualcosa in più che stupisca e meravigli, che vada oltre la rassicurante abitudine, ma sappia tenere il lettore ancora più attaccato alla vicenda, entrando a fondo e scoprendo pagina dopo pagina. Anche le novità, tra cui la creazione del personaggio di Mario, il vagabondo, affascinante e intrigante, diventano semplicemente funzionali alla trama, utilizzate dall'autore quando ne ha bisogno, ma spogliandole della magia di avere un posto preciso nel mondo del commissario.
Oltre a questo il romanzo pecca di prevedibilità: un lettore esperto capisce molto prima di Montalbano un tassello importante della vicenda e si trova a chiedersi come il commissario fatichi così tanto.
In conclusione Un covo di vipere si conferma un romanzo piacevole e godibile, vicino allo stile dell'autore, ma lontano dalle grandi performance a cui ha abituato il pubblico dei suoi affezionati.
Chiara Bertazzoni
 
 

Corriere della Sera, 18.6.2013
Il piccolo fratello
Autori da recuperare Senza indignazione
Tanti i romanzi migliori di quelli in classifica. Ecco qualche consiglio per l'estate

[…]
Bisogna tenerne conto nell'estate della crisi: ma che crisi è se Inferno di Dan Brown è vendutissimo a 25 euro al botto? È anche vero che non mancano le sorprese: e così puoi scoprire che, dopo tanto battage sullo scrittore americano, il nuovo romanzo di Andrea Camilleri (avrà raggiunto quota cento libri?) riesce a superarlo in vetta alla classifica.
[…]
Paolo Di Stefano
 
 

Nuove Pagine, 19.6.2013
Come la penso – Andrea Camilleri

Il racconto di vita di Andrea Camilleri edito da Chiarelettere, Come la penso, inizia con una sequenza emozionale di Adamo ed Eva, rappresentante la nostra memoria biologica e i nostri pensieri, tramandati nel tempo. Mentre la memoria biologica è la nostra realtà, quella umana, i nostri pensieri sono le uniche nostre verità. Essi raccontano sempre le stesse cose e quando non sono d’accordo fra loro vuol dire che qualcosa non va. L’autore individua così come l’adattamento ad ogni situazione generi tante risposte utili alla costruzione di comandi, che s’insediano nel cervello e modificano qualsiasi comportamento, evolvendolo. L’uomo, come abitante della terra, è generatore di cultura, si nutre e si alimenta di essa e, quando vi è carestia, soffre e diventa debole. Come essere pensante, però, si procura gli strumenti per superare questo stato di debolezza e di sofferenza, inventa forme di scrittura, scrive per sé, per gli altri e per le generazioni future. Camilleri dice di scrivere per i suoi nipoti, per dissetarsi, per stemprare la sete di cultura che ormai affoga nella nuova tecnologia, trasformando lo scrittore di oggi, oscurando il suo ascendente e persino il suo potenziale uditorio. Narra le sue vicende di allievo-regista dell’Accademia d’Arte Drammatica, parla dei rapporti con gli insegnanti e i compagni di corso, della tuta marrone che gli altri non volevano indossare e che lui invece portava a spasso per le vie di Roma, in quanto lo faceva sentire più vicino alla classe operaia alla quale era legato ideologicamente; parla della Piazza del Popolo, del bar Luxor dove incontrava tutta l’intellighenzia della città, delle scene girate sul Tevere, dopo essere diventato regista e delle scoperte dei colori di Roma, che cambiavano in funzione dell’umore di chi l’osservava. Non cancella neanche i ricordi giovanili di quel paesino dell’agrigentino, della bottega del barbiere don Nonò, dove si parlava di taglio di capelli, di barba e di peli in genere, dell’ansia dei giovani, generata dal “non spuntar del pelo”, della curiosità di vedere quel piccolo calendario con foto osé che i barbieri regalavano ai clienti, dell’ascolto della musica folk, della chitarra e del mandolino, che si suonava all’interno del salone mentre si aspettava il calar della notte, per portare la serenata all’amata. Sentimenti e desideri tutti stroncati dal sopravvenire della guerra, che i gerarchi fascisti celavano con l’esecuzione di inni patriottici. Al liceo di Agrigento, era il tempo della “magna Infamia”, il preside invitava la statua del filosofo Empedocle a sputare addosso al malcapitato studente che, probabilmente, l’aveva combinata grossa, “Empedocle!” gridava, “Empedocle, sputagli!”, ma Empedocle, intanto che il preside imprecava lo sputo, sembrava dicesse: Non mi conosci bene, caro preside, sconosci la legge di natura che fa scontare agli uomini i propri peccati…ed in quel silenzio tombale, che tutt’attorno si era creato, il preside, incurante, di rimando…sphuffff!! Sputava al ragazzo, sostituendosi ad Empedocle. Quella era la scuola dove Andrea aveva avuto la prima dichiarazione amorosa scrittagli da Giuliana e che egli non aveva potuto leggere per il violento intervento del professore. Pensava anche alla divisa mussoliniana di quell’insegnante che gridava “Scattare!” “Scattare!” e poi la guerra, gli esami sotto le bombe, l’intervento del preside che faceva promossi o bocciati valutando soltanto i voti degli scrutini.
La paura che i bombardamenti potessero distruggere la Valle dei Templi lo fece incontrare con il soldato americano Robet Capa, il quale, a pancia in aria, mitragliava con la sua macchina fotografica sia gli aerei americani che quelli tedeschi. Era luglio del 1943 quando l’artista della guerra immortalò opere di sangue che, a distanza di tempo, generano ancora brividi. Camilleri, prima di invitare i lettori ad un banchetto culturale tutto siciliano, fa un excursus storico sulla sua passione verso il cinema, verso i film italiani del periodo fascista, che per motivi propagandistici soppiantavano quelli americani, verso il jazz, il cabaret, le orchestre, il neorealismo del Dopoguerra, il sessantotto, fino a giungere alla Tv. Una cultura, quindi, della comunicazione in continuo movimento e che ormai aveva rotto ogni legame col passato e necessitava di aggiornamenti urgenti.
…in sei ore esatte, imparai tutto quello che c’era da imparare sulla tecnica della regia televisiva, mercè la scarsa memoria di Baseggio e la pigrizia di Cervi.
Non parla dell’Etna, icona della Sicilia, ma definisce i siciliani come un vulcano in continua eruzione di idee, di propositi e di azioni, parla di Leonardo Sciascia e della sua opera “Il Consiglio d’Egitto”, indica nella triade, composta dal Vicerè duca Caracciolo, dal poeta Giovanni Meli e dall’avv. Di Blasi, gli autori di una forte azione contro gli aristocratici siciliani per ridurre ogni privilegio e cercare di assimilare il diritto pubblico siciliano a quello continentale. Questa azione fu resa vana dalla colossale impostura dell’abate Vella e che costò la vita all’avv. Di Blasi, ma la costituzione siciliana del 1816, i moti successivi e il contributo degli Inglesi prepararono la Sicilia a partecipare ai moti unitari, che sfociarono prima col successo dello sbarco dei mille e dopo col successo del plebiscito del 21 ottobre 1860.
Camilleri, però, non riesce a spiegarsi come dopo l’unità d’Italia, nel settembre 1866, oltre tremila contadini, guidati dagli stessi capi che avevano appoggiato la spedizione garibaldina, avessero assaltato e conquistato Palermo. Forse il desiderio eccessivo di raggiungere l’unità d’Italia fece credere che questa causa potesse piegare le ragioni della fame, della malattia del colera e gli atteggiamenti antipalermitani dei funzionari statali. Fu, invece, una rivolta eterogenea che accomunò, nella miseria, ex garibaldini, reduci dell’esercito borbonico e partigiani repubblicani. Non fu, quindi, un movimento clerico-mafioso, come il Prof. Lucio Villari sostiene, negando la verità.
Il separatismo e l’indipendentismo riaffiorarono dopo l’unità d’Italia? Camilleri prosegue nella sua analisi storica e giunge alla conclusione che i siciliani, dopo i vari fallimenti dei moti rivoluzionari e i tradimenti risorgimentali, accettando l’annessione al Regno d’Italia, mai avrebbero rinunciato all’autogoverno. L’omaggio che premiò l’annessione era arrivato da Roma solo dopo la seconda guerra mondiale, al culmine di una lotta separatista fratricida. Questa autonomia, però, si rivelò di cattiva gestione al punto che Camilleri sente, ancora oggi, l’esigenza di collocarsi a dovuta distanza dall’attuale classe politica siciliana, definendosi uno scrittore italiano nato in Sicilia.
Nel riproporre le speranze post-risorgimentali tradite si rammarica perché dopo centocinquant’anni il problema della Sicilia rimane tale e quale e che l’Europa non può essere quella che ci consegna la Grecia fallita; augura ai suoi nipoti la costruzione di un’Europa ideale, fatta di fratellanza e solidarietà.
Riaffaccia nei suoi pensieri il separatismo, tema politico siciliano e lo descrive usando strumenti locali, qual è appunto il dialetto della Trinacria, cercando di non fare correre il rischio di manipolare l’autenticità del pensiero e non tradire quindi quelle che furono le vere intenzioni degli interpreti di quel momento storico.
Esamina i personaggi e la struttura dell’organizzazione separatista siciliana, nata con Finocchiaro Aprile, Angelo Tasca e Antonio Canepa, la sottrazione della Sicilia alla sovranità dello stato italiano, l’occupazione militare da parte degli alleati che, in questa circostanza, nominarono molti sindaci di ispirazione indipendentista. Strumentalmente gli agrari erano alleati con i mafiosi, gli indipendentisti usarono i mafiosi per costruire “il braccio militare” e i mafiosi si servirono degli indipendentisti per accedere nello scenario politico dell’isola.
Gli Inglesi non avevano abbandonato la strategia, adottata sin dall’unità d’Italia, nei riguardi dell’isola, mentre gli Americani coltivavano il segreto desiderio di annettere la Sicilia agli USA. Di fatto, il tema dell’indipendenza della Sicilia era all’ordine del giorno negli ambienti degli affari riservati dei comandi militari alleati che, limitando le strategie dei partiti siciliani, prima clandestini, privilegiarono il movimento dei separatisti, degli agrari e dei mafiosi, ognuno dei quali si vantava di essere antifascista. I separatisti iniziarono la campagna di propaganda da Regalbuto, ove perse la vita Sebastiano Milisenna (maggio 44), Segretario della camera del lavoro di Enna. La destra e la sinistra siciliana si prepararono alla controffensiva con i CNL e, dopo l’uccisione di Canepa a Randazzo (giugno 45) da parte di una pattuglia di carabinieri, gran parte dei separatisti prese contatti coi fascisti e con i nazionalisti, aggregandosi nella formazione dell’Uomo Qualunque. Gli agrari, gli aristocratici e i separatisti di Tasca si allearono con la Corona alla quale, nel plebiscito del 2 giugno, fecero confluire più di 1.300.000 voti. Ferruccio Parri, su indicazione del Commissario Aldisio, concesse lo Statuto dell’autonomia per la Sicilia, mentre Finocchiaro Aprile e gran parte dei separatisti finirono confinati nell’Isola di Ponza. Il braccio militare dei separatisti, ormai isolato, finì sotto il dominio di Concetto Gallo e di Salvatore Giuliano, si macchiò di infamia e consumò miseramente la sua breve storia con la strage di Portella della Ginestra.
Camilleri ci riconsegna un personaggio storico del separatismo: Antonio Canepa, personaggio affascinante, misterioso, antifascista, fascista camuffato, ancora antifascista, partigiano, forse al servizio del SOE (servizio segreto inglese), fondatore e comandante dell’EVIS, ruoli ampiamente documentati tranne il movente che portò alla sua uccisione. La stessa testimonianza dei presenti all’imboscata, piena di profonde contraddizioni, di versioni viziate e manipolate, portano più lontana la verità. Non a torto, ancora oggi, qualcuno si chiede chi è stato a fare uccidere Antonio Canepa, chi ordinò la strage di Portella della Ginestra e se c’è connessione con le stragi del dopoguerra, con l’assassinio di Aldo Moro e con il compromesso fra stato e mafia dei nostri giorni. Camilleri non fa supporre, per onestà intellettuale, l’intenzione di affidare la soluzione della vicenda sull’uccisione del Prof. Canepa al commissario Montalbano, per ridare al personaggio un ruolo nuovo ed una funzione di grande attualità. Egli fa una brillante analisi cosmica sulla produzione letteraria di gialli nel mondo, non solo come narrativa, ma, scavando in questo tipo di racconti, scopre come gli autori biforchino passando dalla trama alla creazione di luoghi, non riscontrabili nelle cartine geografiche. Il lettore coltiva comunque la speranza che si riesca a riesumare la motivazione del delitto Canepa, visto che il suo cadavere, con certezza, giace fra i personaggi illustri della Sicilia nel cimitero di Catania.
Egli crede al valore della cultura come “resistenza”, finalizzata ad impedire dei danni al sapere e all’autenticità della storia, per fare trionfare la verità che, nella contingenza, diventa rivoluzionaria. Il prevalere, in lui, di una cultura umanista immensa ci regala un rapporto intenso con un altro grande della cultura siciliana, Leonardo Sciascia, con il tentativo di unificare la cultura umanista con quella scientifica di Werner Karl Heisenberg, come nei tempi antichi. Esprime le sue idee sulla giustizia, scruta i pensieri di chi l’attua e di chi l’auspica, parla del suo dialogo con il magistrato Caponnetto, partecipa alla costruzione di valori ideali per comprendere le virtù e i vizi della società, fa il distinguo del fare giustizia e del vivere l’ingiustizia, una critica serena cosciente verso quelle menti che incasellano tutto, non solo la cultura, ma uomini e cose. In un momento particolare della cultura italiana, rappresentata da Luigi Pirandello e dalle sue opere, dalle recensioni di Antonio Gramsci sul giornale l’Avanti, che mettono sotto torchio le commedie pirandelliane, Camilleri entra osservando tutto, autori, attori, critici, opere e spettatori, scendendo persino nei particolari di un lapsus rivelatore, formato dalla mancata sostituzione del termine “coscienza critica”, con quello di “coscienza infelice”, scelta volutamente fatta da Antonio Gramsci ed è facile intuirne il perché.
Entra nei meandri della politica odierna denunciando l’immoralità di Berlusconi relativa alla gestione della cosa pubblica e, accorgendosi che tale immoralità si ritrova in maniera collettiva (berlusconismo) nella popolazione, rimane sorpreso, non lo dice ma lo pensa. Se la politica è in profonda crisi e in contraddizione, qualche frattura è, sicuramente, avvenuta nel linguaggio, perché è il linguaggio che fa l’uomo politico. Avverte Camilleri che la mancanza di chiarezza nelle comunicazioni, con l’utilizzo di vocaboli non appartenenti alla nostra madre lingua, potrebbe mettere in discussione le regole esistenti, perché frazionate in un numero incredibile di lingue diverse, fra cui il dialetto siciliano, inframmezzato dallo stesso Camilleri, da ammirare e giustificare perché esso è l’icona di un cordone ombelicale che lo lega alla terra d’origine. Questo rimescolamento di vocaboli di origine diversa potrebbe portarci alla torre di babele, specie nel momento in cui i rappresentanti italiani ostacolano l’espandersi della nostra lingua. Pensate, dice Camilleri, che nella comunità europea è stata approvata l’obbligatorietà di tradurre gli interventi in Inglese, Francese e Tedesco e non in Italiano, senza che i rappresentanti dell’Italia muovessero ciglio…forse perché il traduttore in lingua italiana in quel momento era assente?
È necessario, prosegue Camilleri, tener conto di ciò che accomuna i dialoganti, tenere in considerazione l’empatia e che cosa caratterizza il linguaggio interpersonale, per questo riproduce il primo atto della scena ottava del Il Piacere dell’onestà, di Luigi Pirandello:
Baldovino: Le chiedo, prima di tutto, una grazia.
Fabio: Dica, dica…
Baldovino: Signor marchese, che mi parli aperto.
Fabio: Ah, si, si… Non chiedo di meglio.
Baldovino: Grazie. Lei forse però non intende questa espressione “Aperto” come la intendo io.
Fabio: Ma non so… aperto… con tutta franchezza, ecco. Fa cenno di no? E come allora?
Baldovino: Non basta. Ecco, vede, signor marchese, inevitabilmente noi ci costruiamo. Mi spiego. Io entro qua e divento subito, di fronte a lei, non quello che sono ma quello che devo essere, che posso essere, mi costruisco, cioè, mi presento in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei. E lo stesso fa di se anche lei che mi riceve.

Camilleri magistralmente riafferma che il verbum, la parola per eccellenza, determina il modo di essere del soggetto, l’azione, il tempo e lo spazio, quel “fu” e quel “sarà” che indicano il guardare all’indietro o in avanti, mediato dal nostro essere nel presente, lasciando però al tempo psicologico una proprietà elastica, che si dilata o si restringe in funzione dell’intensità dei sentimenti. Esce dal dilemma dei due tempi, quello prima e dopo l’anno zero, interpretandoli con l’uso della chiave della cultura umanista o scientifica, entrambi rappresentanti il nostro fardello di vita che ci permette di accelerare o diminuire il cammino verso il traguardo del nostro percorso terreno. Entra anche nell’interpretazione del linguaggio dei soggetti volti alla criminalità e alla gestione di essa, come quella dei mafiosi che usano vari metodi: “prima si spara e poi si discute” o “prima si discute e poi si spara”, assolvendo tali compiti con una finta religiosità, alla quale solo pochi preti prestano orecchio. La criminalità di oggi ha sperimentato il pentitismo, rivolto allo Stato anziché ai preti, che oltre a perdonare scende anche a compromesso, ma che volete, la criminalità è produttiva, come lo è oggi non lo è stata mai, sono molti i beneficiari: poliziotti, criminologi, avvocati, giudici, consulenti ecc., l’elenco sarebbe ancora lungo. Le componenti tematiche della politica di oggi sono cariche di ambiguità, Camilleri, quindi, sente la necessità di ricordare il primo viaggio di Platone a Siracusa, quando operò il tentativo di attuare il progetto che il re, per esercitare la funzione, doveva essere anche filosofo. Diogene il vecchio ospitò Platone nelle latomìe, una delle quali, chiamata “orecchio di Dionisio” da Caravaggio, oggi è un luogo da considerarsi alla stessa stregua di un ambito territoriale, monitorato da intercettazioni telefoniche, per scrutare gli altri.
Diogene il vecchio disse a Platone:
Rispondimi sinceramente, Platone. Io oggi rappresento tutto il male per i cittadini di Siracusa?
Si, se me lo chiedi.
E tu invece il possibile bene?
Si. rispose Platone
[…]Diogene: Non e meglio per tutti se le cose restano come sono, io tiranno e tu filosofo?

Camilleri, così, dopo avere scavato nelle profondità della storia, preferisce tornare in superficie per consegnare il pensiero più affettuoso ai politici nostrani di Porto Empedocle, scritto tutto in dialetto siciliano, ricco di quel phatos derivante da una carica emotiva, che solo in certi personaggi “originali” si riesce a trovare, anche se diversi dai contadini di Fontamara, di Ignazio Silone e della loro vana lotta per l’acqua di un ruscello. I personaggi di Camilleri cercano l’autonomia della Sicilia e chiedono un sostegno morale, nel giorno di Pasqua, alla figura del Cristo, al quale i democristiani, i separatisti e i mafiosi avevano tolto la bandiera rossa prima di salire in cielo, per evitare che il colore della bandiera potesse influenzare il voto delle elezioni regionali siciliane del 1947. Rimase, così, senza bandiera, il pugno chiuso del Cristo, interpretato dal popolo della sinistra, presente in chiesa, come segno di una fraterna appartenenza al loro credo politico. Immediatamente venne intonato l’inno dell’internazionale dei lavoratori, fra il fuggi fuggi di tutti gli avversari politici e la costernazione dell’incredulo e onesto prete. Leggere, dunque, come la pensa Camilleri, significa pescare nei suoi ragionamenti, cogliendo la freschezza del suo pensiero, testimonianza di un grande narratore originale e con idee innovative. Insomma, leggendo Come la penso si sente il clic di una serratura che apre la porta a tanti pensieri tenuti nascosti nei meandri del cervello, proprio di quell’italiano che pensa in siciliano.
Franco Santangelo
 
 

La Sicilia (Agrigento), 19.6.2013
Una striscia verde per guidare i turisti nei luoghi di Vigata

Porto Empedocle. In città tanti s'interrogano su cosa rappresenti quella misteriosa e lunga fascia verde realizzata con la vernice che scorre su strade e marciapiedi, dal parcheggio degli autobus vicino al porto, alla zona dei Lidi.
Un serpentone che sfiora le calcagna della statua di Montalbano in via Roma, una striscia che ai piedi della Torre di Carlo V si trasforma in una sorta di bersaglio anch'esso verde. Al sindaco Calogero Firetto e a chi lo collabora la fantasia e la voglia di valorizzare la città non manca di certo, ma questa è davvero una chiccheria. La striscia verde di cui si parla è dedicata ai turisti che, giungendo dal porto nella stazione degli autobus, la potranno seguire sicuri di visitare i luoghi simbolo di Vigata. Come Pollicino con le molliche sparse nel bosco, anche i visitatori della città di Camilleri non si perderanno e potranno vedere la Torre di Carlo V, la statua raffigurante il Montalbano letterario, oppure recarsi anche a piedi in quel di Marinella.
La striscia verde, almeno per ora, non è stata disegnata nei pressi della casa estiva dello scrittore. Appare evidente comunque l'intento di rendere la cittadina marinare sempre più a misura di turista, anche perché a breve dovrebbero essere sistemate alcune tabelle con le quali fornire spiegazioni sui luoghi che si stanno visitando. Inutile sottolineare come la fascia verde sia stata stesa solo nella zona bassa. In quella alta i turisti non verranno mai.
Francesco Di Mare
 
 

Newsletter Sellerio, 20.6.2013
Letti di notte. La notte bianca dei lettori alla Libreria Sellerio di Mondello (PA)

Venerdì 21 giugno la libreria Sellerio di Mondello (PA), viale Regina Elena 54, partecipa all'evento Letti di notte, la notte bianca dei lettori che si svolgerà nelle librerie e nelle biblioteche di tutta Italia (e non solo).
Per l'occasione alle 19,00 Francesco Recami presenta il suo nuovo romanzo Il segreto di Angela e con Gian Mauro Costa la raccolta Ferragosto in giallo (disponibile dal 27 giugno), sei racconti con protagonisti gli investigatori nati dalle penne di Andrea Camilleri, Gian Mauro Costa, Alicia Giménez-Bartlett, Marco Malvaldi, Antonio Manzini, Francesco Recami.
Davide Camarrone e Santo Piazzese parleranno dei loro romanzi di prossima pubblicazione, L'ultima indagine del Commissario che uscirà il 18 luglio e Blues di mezz'autunno in libreria a fine ottobre.
Seguirà un aperitivo.
 
 

Famiglia Cristiana, 23.6.2013
Persone
Andrea Camilleri

«Ho lavorato per trent'anni in Rai. È un'azienda misteriosa dalla quale non riesci mai a liberarti».
Emila Patruno
 
 

La Repubblica, 23.6.2013
Torna la Vigata creata da Camilleri

Edizione rinnovata, a Catania, della riduzione teatrale de La concessione del telefono di Andrea Camilleri, con riscrittura a quattro mani dell' autore e del regista Giuseppe Dipasquale. Tra gli interpreti, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Guia Jelo. Commedia degli equivoci, nella metaforica Vigata. Catania, P.Platamone, fino 30 www.teatrostabilecatania.it
 
 

KatawebTvZap, 23.6.2013
Torna Montalbano per una rassegna estiva
Lo annuncia Giancarlo Leone dopo un referendum via twitter:

Tv. Sul ciclo estivo di Montalbano vi siete espressi in tantissimi! Quasi unanimità. Da lunedì 1 luglio su @RaiUno ritorna! Giancarlo Leone
 
 

la Lettura - Il Corriere della Sera, 23.6.2013
Fuoriscena di Luca Zingaretti
Primo ciak di Montalbano. Sono ingolfato. Aiuto
L’attore rispolvera i ricordidella parte che gli ha cambiato la vita. Da in incontro in libreria fino ai nuovi record di ascolti in tv. In attesa di girare "Un covo di vipere"

Può un personaggio che si conosce bene, come si può conoscere l'animo di un amico di vecchia data, riservarti delle sorprese? A volte è possibile. A me è successo leggendo l'ultima fatica di Andrea Camilleri che ha per protagonista il commissario Montalbano.
Il libro racconta una storia straordinaria e terribile. Una storia che, pur ambientata ai giorni nostri, ha qualcosa di epico, di ancestrale, di tragico. Mi sono trovato a leggere le pagine di “Un covo di vipere” con una trepidazione che non dovrebbe nascere in chi crede di conoscere la «materia». Alla fine ero letteralmente tramortito dalla potenza della scrittura.
E, ripeto, non mi posso proprio dichiarare un lettore dell'ultima ora di Andrea.
Un giorno, se la memoria non mi inganna del 1996, entrai in una libreria, come spesso mi capita. Per me entrare in quel mondo colorato, che odora di buono, ordinato, pieno di oggetti, i libri, che racchiudono storie che attendono di essere conosciute, è sempre stato un momento importante.
Ci vado quando mi sento attivo, in cerca di storie che facciano correre il mio cervello. Ci vado quando sono triste per tirarmi su, quando ho sete di nozioni su un dato argomento, ci vado quando ho bisogno di assentarmi da tutti i rumori della vita.
Così come una buona dormita ti permette di metabolizzare una frustrazione, non c'è niente di meglio che perdersi dentro un buon libro per dimenticarsi di se stessi e dei propri affanni. Per uscirne pulito come un bambino dopo il bagnetto.
Insomma, quel giorno andai in libreria. Girai, come sempre, per i banchi guardando le copertine dei libri che sono un po' come le etichette dei vini: fondamentali per capire di che libro si tratti.
A un certo punto su uno scaffale riconobbi il blu della Sellerio. La veste grafica della Sellerio mi aveva sempre sedotto per quel suo blu così particolare, per l'immagine che campeggiava su ciascuna copertina e, soprattutto, per la qualità magnifica della carta. Sembravano libri antichi ma nuovi. Anche per un modesto lettore e frequentatore di libri come ero e sono, la carta della Sellerio mi faceva perdere la testa.
Curiosando e annusando i libri dello scaffale grande fu la sorpresa quando lessi tra gli autori il nome di Andrea Camilleri. Comprai il libro per quello spirito cameratesco che ti prende quando sai o scopri che un tuo amico o conoscente ne ha scritto uno. Volevo sentirmi utile e dare al mio vecchio professore di Accademia, che stimavo e a cui volevo bene, la chance di vendere una copia in più.
Vi lascio immaginare la sorpresa che mi provocò la lettura delle prime pagine: rimasi stregato da quel libro che avevo comperato per solidarietà e quasi per caso. Era scritto con una lingua e originalità potente, ma soprattutto c'era il protagonista, tale commissario Salvo Montalbano, che era un grande personaggio da interpretare. Ma non avevo i soldi per acquistare i diritti del libro, la forza per produrlo né tantomeno la fama per prendere il ruolo.
Qualche tempo dopo, un giovane produttore comprò i diritti e li vendette alla Rai per due film tratti dai primi due romanzi.
Non voglio tediare raccontando i dettagli che mi hanno portato ad avere il ruolo di Montalbano.
Ma riporto degli appunti che ho ritrovato recentemente. Li scrissi qualche tempo dopo l'andata in onda della prima serie: sono una sorta di divertissement in forma vagamente sceneggiata di un evento realmente accaduto.
«Finalmente abbiamo cominciato a girare.
Custonaci, provincia di Trapani. È sabato. Giriamo in provincia di Trapani prima di trasferirci nella provincia che è da allora il set di Montalbano: Ragusa.
Stiamo terminando le ultime inquadrature della prima settimana di riprese.
E io sono disperato.
Letteralmente disperato.
Ho studiato per mesi, ho letto tutto quello che c'era da leggere, ho scritto quaderni di appunti, impressioni e idee, sono andato in Sicilia a più riprese con il mio registratorino per imparare il dialetto ma da quando sono iniziate le riprese non riesco a recitare.
So come vorrei fare, ma non ci riesco. So dove vorrei arrivare, ma mi perdo per strada, mi sento cane come non mai, stonato, finto.
Quello che viene fuori è qualcosa che assomiglia al personaggio che vorrei, ma non lo è. Recito con il freno a mano, mi sento goffo, bloccato, lento...
Aiuto!
Vado in albergo e mentre tutti vanno a rilassarsi in qualche locale sul lungomare, o tornano a casa per un breve weekend, io mi getto nello studio.
Giro e rigiro il personaggio, riprendo in mano gli appunti, ma non c'è nulla da fare. È come quando, dopo aver studiato tanto, la sera prima dell'esame prendi per ansia in mano i libri, ma la mente si rifiuta di apprendere ancora e ti sembra di non sapere nulla.
La realtà è una: sono ingolfato. Resisto alla tentazione, ma vorrei chiamare Andrea Camilleri per un conforto.
Da quando è iniziata la mia avventura con Montalbano ci siamo sentiti una sola volta: avevo appena ricevuto la notizia di aver superato tutti i provini e che il personaggio sarebbe stato mio. Al telefono gli avevo detto che finalmente il sogno si era avverato, che non lo avevo voluto disturbare prima per evitare che la mia telefonata potesse essere scambiata per una richiesta d'aiuto, ma ora potevo dirgli che ero felicissimo e terrorizzato: non tanto dal compito di dover oggettivizzare, portandolo sulla scena, il suo amatissimo personaggio con il rischio di essere lapidato dai fan più fanatici nel caso li avessi scontentati, ma dal timore di non riuscire a disegnare il personaggio con tutte le sfaccettature che vi avevo trovato.
Andrea fu molto affettuoso. Mi disse che aveva seguito, seppur da lontano e dietro le quinte, la vicenda dei provini, che non era sicuro che io fossi l'attore più adatto per il ruolo, ma che, sapendo che tipo di attore fossi, era sicuro che lo avrei reso al massimo.
Ora si trattava di chiamarlo di nuovo per raccontargli che mi ero bloccato, che il commissario "non riusciva a venire fuori" e per chiedergli consiglio su come risolvere la questione.
Andrea, oltre ad essere l'inventore del personaggio che stavo interpretando, è stato anche uno dei miei professori durante i tre anni di Accademia. Insomma: la persona giusta per togliermi il panico da "interpretazione fasulla".
Ma il problema è: si possono rompere le scatole alla gente e per giunta il sabato pomeriggio?
Sì, si può, soprattutto se l'ansia ti mangia lo stomaco e la disperazione si profila all'orizzonte!
Chiamo.
Risponde la segreteria. La voce non è di Andrea, ma so che devo lasciare un messaggio e lui richiamerà appena possibile. Invece non riesco a dire più di "Andrea sono Luca..." che sento la voce inconfondibile di Andrea che dice: "Luca carissimo!".
Sono SALVO! (non nel senso del nome di battesimo del commissario).
Il maestro è in casa e mi sta parlando "di pirsona pirsonalmente"!!!!
"Ciao Andrea! Come stai? Ti disturbo?".
"Assolutamente no, dimmi tutto".
"No, niente. È che abbiamo finito oggi la prima settimana di riprese...".
"Lo so".
"... Ecco... Ehhh... Tutto bene. I posti sono meravigliosi, la gente cordialissima e la troupe è veramente buona. Io vado bene, solo che... Come dire? ... Mi sento un po' bloccato. Ho in mente come voglio che sia il personaggio... Ce l'ho, ma non riesco a farlo venire fuori. Faccio una scena e appena il regista dice stop mi rendo conto che la mia interpretazione è un surrogato pallido di quello che vorrei..."
"Senti...".
"... Mi immagino la scena in testa ma non riesco a dargli il ritmo giusto...".
"Ascolta...".
"... A far venire fuori il sottotesto, l'ironia... Invece che burberamente simpatico il commissario viene fuori solo incazzato... Non c'è leggerezza...".
"Luca mi fai parlare!".
"Si certo, scusa Andrea, scusa".
"Guarda c'è una sola cosa che devi fare: rilassati.
Non pensarci. Pensa ad altro o, tutt'al più, a quello che devi dire. Fottitene di come devi dire, di come devi fare, di come devi muoverti in scena. Non è più il momento di pensarci. Un pugile mentre combatte non sta a pensare a migliorare lo stile della sua boxe. Quello lo farà durante la preparazione. Mentre combatte pensa a picchiare duro e a vincere l'incontro. Io sono sicuro che hai fatto un eccellente lavoro di preparazione, adesso devi solo lasciarti andare e fare uscire quello che hai fatto. Ma se ci stai sempre a pensare non esce nulla! Dai retta a me: LASCIATI ANDARE!".
Pausa.
Come avevo fatto a non pensarci prima?!
Ma certo! È semplicissimo! Eccola la soluzione. Devo semplicemente essere il personaggio e non continuare a rifletterci sopra. Devo indossare un abito e non continuare a guardarlo come un sarto guarda l'abito che sta confezionando sul manichino.
Oh gioia, oh sollievo, oh gaudio!
Ringrazio Andrea, gli chiedo scusa se l'ho disturbato, mi dichiaro suo debitore eterno e via a gozzovigliare con il resto della troupe.
Domenica. Mattina presto.
Mi sveglio di malumore.
Non tanto per l'alcool bevuto la sera prima per festeggiare lo scampato pericolo e che mi procura un fastidioso mal di testa, ma per un non ben precisato senso di insoddisfazione che si fa più preciso e pressante man mano che la mattinata procede.
Alle 10.00 mi è tutto molto chiaro.
Va bene "lasciarsi andare", rilassarsi, per far venir fuori il lavoro sul personaggio che ho svolto in questo mesi, ma come fare?
Come posso non interrogarmi su come il commissario scende da una macchina, su come sale gli scalini o su come impugna la forchetta?
E poi, "lasciarsi andare"! Una cosa è dirlo e un'altra è farlo!
No, no, ho bisogno ancora di chiarimenti, di qualche piccola precisazione, di qualche aiuto. Voglio essere sicuro che sia la soluzione migliore... Insomma ho bisogno ancora di una "spintarella".
Il problema è: si può rompere le palle alla gente e per giunta la domenica mattina?
Sì, si può soprattutto se l'ansia che ieri ti mangiava lo stomaco è diventata terrore e ti vedi già a settant'anni barbone e alcolizzato mentre ti rinfacci di essere stato così vigliacco da non aver avuto il coraggio, una domenica mattina, di chiedere al tuo maestro di sempre delucidazioni che potevano cambiare il tuo avvenire!
Chiamo.
Risponde la segreteria. La voce non è di Andrea, ma so che devo lasciare un messaggio e lui richiamerà appena possibile. Invece non riesco a dire più di "Scusa Andrea sono Luca...", che sento la inconfondibile voce di Andrea che dice: "Dimmi Luca!"
Come inizio era meglio quello di ieri.
"Ah sì ecco, bene. Prima di tutto scusami se ti disturbo di domenica. Ma vedi è che sono veramente in crisi. Lo so che ho già studiato molto, e che la dovrei smettere con la teoria. Ma ci sono problemi fondamentali che devono ancora essere approfonditi. Per esempio non ho ancora risolto in maniera chiara il rapporto tra Adelina e il commissario.
Perché non mi è chiaro su quale piano si giochi. Lui le ha arrestato il figlio, ma così facendo lo ha salvato. Quindi lei gli è nonostante tutto riconoscente. Ma fino a quanto? Perché bisogna fare i conti con tutta la cultura che al Sud, dall'Unità d'Italia in poi, ha visto lo Stato come un corpo estraneo e a volte, nemico della società civile. Quindi qual è il reale rapporto tra i due? Ha ragione Livia a mettere in guardia Montalbano? E Montalbano quanto recepisce il messaggio? Nel suo inconscio si è insediata una remora su Adelina? E se sì, a che livello? Perché a seconda della risposta cambia tutto.
Altro problema, così tanto per dire: Qual è il rapporto tra il commissario e Livia? Ci vedi anche tu qualcosa che ricorda da vicino il rapporto edipico di freudiana memoria? Perché, allora, quando nel Ladro di merendine lui non vuole adottare François, cosa sta a significare? Non vuole figliare con sua madre? E fin qui andrebbe anche bene, se non fosse che poi però ci va a letto. Tieni conto anche che c'è da considerare che le due figure femminili che Montalbano affronta, se si esclude la svedese — che peraltro cosa sta a significare? Il peccato? — sono enigmatiche nel loro...".
"Luca?".
"Sì, Andrea?", dico, pendendo dalle labbra del Maestro.
E lui con la sua voce roca: «Non mi rompere i cabasisi».
Clic.
Ecco. Ho avuto la mia spintarella.
Musica».

Sono passati degli anni. Qualcuno dice «tanti» anni. Andrea ha scritto altri libri con lo stesso personaggio e noi li abbiamo portati sullo schermo. Tutti.
Le ultime andate in onda hanno sfiorato il 40 per cento di share. Un risultato straordinario se si tiene conto che non abbiamo mai smesso di salire nel gradimento del pubblico, non ci siamo mai «seduti» e abbiamo conquistato anche il mercato estero trionfando in tanti Paesi.
Scrivo questo non per incensare me e tutti quelli che lavorano al progetto televisivo, ma per sottolineare una cosa. Nonostante tutti gli episodi di Montalbano girati, nonostante io abbia interpretato per tanti anni questo personaggio, dopo aver letto “Un covo di vipere”, con la sua trama epica, con i suoi misteri, i suoi straordinari personaggi ammantati di un fascino antico, con le vicende umane che vi si raccontano e con il suo terribile tragico finale, dopo aver letto “Un covo di vipere”, dicevo, non vedo l'ora di ricominciare.
Luca Zingaretti
 
 

Solo Libri.net, 24.6.2013
Il caso Camilleri. Letteratura e storia – Andrea Camilleri

Chi dopo aver gustato le opere di Andrea Camilleri avverta il bisogno di un approfondimento intra e intertestuale, non può fare a meno di leggere i saggi critici raccolti nel volume "Il caso Camilleri – Letteratura e storia" (Sellerio, Palermo, 2004).
L’opera, che è l’esito del convegno recante il medesimo titolo e organizzato dal Dipartimento dei Beni Culturali, si apre con la densa e colta prefazione di Antonino Buttitta. Citando George Steiner e Adorno, l’insigne antropologo sottolinea il processo collaborativo tra lettore e scrittore e afferma che il “supposto mistero” del “caso Camilleri” va appunto ricercato nella fruizione della comunicazione letteraria, connotata da saperi, intenzioni e passioni che fondono il piano dell’espressione e quello del contenuto. Non a caso gli interventi insistono su aspetti di rilievo, quali:
“la conversione artistica della storia dell’Isola, l’identità reale o immaginaria dei Siciliani, il rapporto tra Camilleri e altri scrittori, i problemi della traduzione in altre lingue delle sue opere, il posto che esse occupano nel nostro Occidente letterario”.
In tale ottica, l’identità siciliana, esprime attraverso la microstoria una vastissima apertura sul mondo e si radica nella concretezza del raccontare comportamenti collettivi, poteri feudali ed ecclesiastici, subalternità e rivolte contadine: dimensioni, queste, cui sono anche riconducibili “Il birraio di Preston” e “La bolla di componenda”. Ecco allora delinearsi il cosmo narrativo di Camilleri:
“Il tema di una sovranità contadina esaltata e subito detronizzata non poteva che trascinarlo verso un territorio fino ad allora inesplorato, in cui la realtà possa convivere con la magia, i fatti con i prodigi, il comico con il tragico” (Nino Borsellino, “Teatri siciliani della storia. Da Sciascia a Camilleri”).
Siamo così nella genesi de “Il re di Girgenti”, cui hanno rivolto attenzione studiosi come Gioaccino Lanza Tomasi, Jana Vizmuller-Zocco, Giuseppe Marci, concordando sul valore dell’opera dato dall’intreccio tra linguaggi e contesto ambientale. Ampiamente diffusa la presenza del Manzoni. Ermanno Paccagini scrive:
“Si può innanzitutto sottolineare una prima, preliminare coincidenza: ossia come le prime due opere di Camilleri, “La strage dimenticata” e “La bolla di componenda” si rifacciano soprattutto alla “Storia della Colonna infame”, mentre toccherà al più recente “Il re di Girgenti” ripercorrere in lungo e in largo, con calchi voluti e anche divertiti, “I promessi sposi”.
Una riscrittura per diversi aspetti ironico-gioiosa afferma lo studioso, ma animata dal desiderio tipicamente manzoniano della giustizia. Senza far torto agli altri contributi, ciascuno dei quali meriterebbe almeno un riferimento, c’è ora da dire che non è stata ignorata la figura di Montalbano: personaggio che desta simpatia sia per non essere interessato a fare carriera sia per il comportamento provocato da una forte spinta etica, nonché da un bisogno di pulizia che lo mette in conflitto con le istituzioni. La conclusione è affidata alle accattivanti parole di Camilleri: due giornate di studio che gli hanno consentito di “conoscersi” alle luce delle considerazioni emerse, tra cui quelle attinenti alla questione del “tragediatore”. Poi, il suo intento: la composizione de “Il re di Girgenti”, perché gli “permetteva di scrivere di un sogno”.
Federico Guastella
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 25.6.2013
Per Sergio Rossi anche Camilleri

«Un pane così straordinario che tutti, concordemente, mangiammo quella sera solo pane schitto, rifiutando la cena già pronta. E noi anziani lo mangiammo a occhi socchiusi, persi nella memoria, ricordando i tempi della nostra infanzia, della nostra giovinezza». Nella memoria di Andrea Camilleri il pane toscano prende il posto di quello che erano state le madeleine per Proust: profumi di tempi lontani, profumi di ricordi. E di autenticità. Sul filo della memoria Camilleri ha firmato la prefazione del bel libro di Ornella D'Alessio e Sergio Rossi dedicato proprio al Pane toscano (Moroni Editore, € 13,50). Esaltazione di quel prodotto che tutti identificano come una delle eccellenze della cultura gastronomica toscana, insieme alla bistecca fiorentina, alla bruschetta, al chianti, ai cantucci. Ma anche ricerca storica sulla natura di questo strano pane, la cui caratteristica principale, insieme ai tanti suoi particolari segreti, è quello di essere senza sale. Già, perché un pane sciapo? Per ora è un mistero, e forse lo sarà per sempre. Ci sono ipotesi, certo, ma nessuna certezza: tasse troppo alte sul sale; o la relativa scarsezza del sale stesso, dirottato ad altri alimenti... Su questo si interroga il libro, mentre esalta gli aspetti inconfondibili di questo pane. Ci sono poi le ricette regionali che hanno a base proprio il pane toscano, comprensive di un'indicazione sugli abbinamenti con i vini toscani. Senza dimenticare le foto di Bruno Bruchi e dell'editore Cesare Moroni. Le quali, dice Andrea Camilleri, «sono così vive e così amorevolmente curate che ti pare di sentire provenire da esse il profumo del pane, la croccantezza del pane, e ti viene l'acquolina in bocca».
Costantino Malatto
 
 

La Sicilia, 25.6.2013
L'anticipazione
Bartlett: «La mia Petra non tornerà in Italia»

Un inedito sulla politica, "Sì, ma", e una nuova avventura per Petra Delicado. La famosa ispettrice protagonista dei gialli della scrittrice spagnola Alicia Gimenez Bartlett torna a Barcellona e sembra proprio non sia previsto un suo ritorno in Italia e neppure trasferte in altri Paesi. Dopo essere approdata a Roma con "Gli onori di casa" (Sellerio), l'ultimo fortunato libro della Bartlett, ritroviamo la Delicado in "Vero Amore", un racconto scritto per l'antologia "Ferragosto in giallo" che esce per Sellerio la prossima settimana, con testi di Andrea Camilleri, Gian Mauro Costa, Marco Malvaldi, Antonio Manzini e Francesco Recami. «È un fatto che accade all'interno della polizia. In "Vero Amore" Petra indaga sull'omicidio della moglie del commissario Carreras. E tutti gli indizi portano a pensare che sia stato lui ad ucciderla» dice la Bartlett, a Roma per il Festival Letterature. «È sempre difficile parlare di politica e ancora di più di un sogno diventato realtà in questo campo. "Si, ma" è un abbastanza ironico». A Natale un altro racconto in un'antologia di Sellerio. «Al centro un regalo fatto a Fermín e un omicidio».
 
 

Io Acqua & Sapone, 27.6.2013
Ecco come la penso
Andrea Camilleri, 88 anni, lucido, ma distaccato e senza reticenze

Finalmente l’ho incontrato. Seduto su una poltrona nel cortile dell’Accademia delle Belle Arti di Roma, Andrea Camilleri fuma la sua consueta sigaretta. Con movimenti lenti la porta alla bocca, la respira e poi, alzando leggermente la testa, emette il fumo. Giacca, cravatta, gli occhiali neri, sul tavolino un bicchiere d’acqua e l’ultimo libro, “Come la penso” (Chiarelettere editore), raccolta di articoli da lui scritti (in italiano) nel corso degli  ultimi 8 anni, dai quali apprendiamo il Camilleri pensiero.
«Sono testi scritti passata l'ottantina. Lo sguardo, quindi, è appannato. Ma non la lucidità. Perché a questa età le cose le vedi con una certa distanza e hai la possibilità di guardarle con maggiore oggettività. Per questo motivo, cose che non avresti scritto a 40 anni le scrivi a 80! Da una parte è il libro di una vecchiaia noiosamente saggia, dall'altro fortunatamente non lo è!».
Nel suo libro ogni idea politica, culturale, religiosa passa sempre attraverso il racconto.
«La forma del racconto mi viene naturale. Da sempre. Ho cominciato a scrivere all’età di 10 anni. All’inizio scrivevo poesie per la mamma, per i templi di Agrigento. Poi mi dedicai a racconti brevi che mi pubblicava l'Ora di Palermo o l'Italia socialista, quotidiano romano del 1945. In realtà io non sapevo raccontare, perché non riuscivo proprio ad organizzare un testo che andasse oltre le 2 cartelle. E poi, soprattutto, perché nel corso della narrazione mi perdevo. Ci sono voluti molti anni prima di capire per quale ragione non avessi il fiato per raccontare: perché pensavo in italiano! La scoperta della maturità è stata proprio questa: pensare in dialetto! A quel punto mi è venuta la facilità del racconto e sono diventato il traduttore istantaneo di me stesso: penso in dialetto e traduco in italiano. E lo faccio anche ora mentre parlo. Perché il racconto è anche un fatto orale».
Scrive al computer o con la macchina da scrivere?
«Io scrivo al computer da 14 anni. Prima usavo la Olivetti. Poi mi hanno detto “basta”, perché io ho una fissazione: l'errore di “stumpa”. Che cosa è? Nasce da una vignetta che faceva una pubblicità ad una stamperia dicendo che si consegnavano velocemente i lavori e senza “errori di stumpa”! Ecco io sono terrorizzato da questo. Con la macchina da scrivere, quando sbagliavo, prendevo il foglio e lo buttavo, rischiando di morire soffocato dalle pallottole di carta... Allora ho accettato il computer! Ci siamo guardati con sospetto per 8 mesi. Poi ho cominciato ad usarlo. Ma il computer si rifiutava di scrivere come scrivevo io e mi sottolineava tutte le parole di rosso! Allora ho chiamato un tecnico che ha disattivato quella funzione! Poi ho notato che il computer era così veloce che scriveva parole che pensava che io avrei scritto. Ma non erano le mie parole. È stata lunga la lotta, ma alla fine abbiamo raggiunto un compromesso. Oggi scrivo, stampo il foglio, leggo ad alta voce e, se funziona il ritmo, procedo. Altrimenti individuo l'ingorgo, mi rimetto al computer e riscrivo. Finché raggiunge il ritmo giusto».
Come si pone verso i lettori?
«Io mi definisco un cantastorie, come i cantastorie siciliani. Ricevo tantissime lettere. E molte di dissenso. Ricordo una volta ho ricevuto la lettera di un uomo che mi diceva che non potevo dare le mie idee politiche a Montalbano, perché Montalbano appartiene ai lettori e apparteneva a lui che non condivideva le mie idee. Per questo non posso pensare al pubblico quando scrivo. Penso a quello che ho in testa, a quello che credo sia giusto e doveroso. Se poi il rapporto diventa complicato con alcuni lettori, pazienza. Ma, tra le molte lettere che arrivano, ce ne sono alcune che ogni tanto sono capaci di stravolgermi. Ricevo lettere da malati terminali che mi ringraziano di averli sollevati. Zii che hanno nipoti che devono essere operati. Una volta mi arrivò una lettera senza un indirizzo a cui rispondere. Mia moglie, che se vuole è un segugio più bravo di Montalbano, tanto ha fatto che è riuscita a rintracciare l’ospedale nel quale era ricoverata la nipote di questa signora».
Qualche tempo fa ha detto che eleggere Napolitano una seconda volta è stato un errore.
«È un pensiero che ho formulato a casa. Poi è venuta la giornalista e io ho pensato che ormai ho 88 anni e me ne fotto: perché non dovrei dire quello che dico a casa? Allora lo dico: l'Italia è il Paese delle prove generali! Anche al G8 abbiamo fatto le prove generali: nella stanza dei bottoni allora c'era Fini che non era il democratico Fini. Ma è dall'Unità d’Italia che facciamo prove di democrazia. E a volte le prove ci portano fuori tiro. Come ora. Certo ho fatto un errore di calcolo invitando i lettori a votare Pd. Io e Asor Rosa avevamo fatto i calcoli sbagliati: pensavamo che il Pd sarebbe rimasto forte e che si sarebbe legato a Sel per non cadere in braccio a Monti. Poi abbiamo assistito al parricidio di Prodi e alla soluzione alla Gattopardo. Ma il “bisogna cambiare tutto per non cambiare niente” con noi è diventato subito “non cambiamo nulla”. Ma veniamo a Napolitano: io sono suo coetaneo e so cosa significa lo sfaldamento delle cellule cerebrali. Però io scrivo solo romanzi che al massimo danneggiano la casa editrice, lui no! Quindi mi sono espresso dicendo che è stato un errore eleggerlo di nuovo».
Come è questa Italia?
«Te lo spiego così: ho questo ettaro di terreno seminato a fave e non mi rende. Allora penso: lo seminiamo a ceci? No, perché prima bisogna fare la riforma organica dell'agricoltura in Italia! Questa è l'Italia che, invece di rifare la legge elettorale, fa la riforma della Costituzione! Il motivo? Perché cercano di ridurre il potere della magistratura! Questo è il chiodo fisso! Tutti dicono: leviamo l'Imu! Perché? Solo perché Berlusconi l'ha promesso in campagna elettorale! E a noi che ce ne importa? Togliere l'Imu a chi se l'è sudata la prima casa, va bene. Ma togliere l'Imu a me o a chi guadagna tanto no, perché poi aumenta l'iva che colpisce tutti. Preoccupiamoci di detassare il lavoro, piuttosto! Io ho un nipote di 18 anni e dico: ma che cazzo di Italia gli lascio? Quando si fa una guerra sul campo rimangono tre o quattro generazioni di giovani! Noi abbiamo fatto lo stesso, senza una guerra: i giovani di oggi sono vivi, ma senza speranza».
La nascita di Montalbano.
«Sono stato produttore delegato Rai delle inchieste di Maigret. E ricordo che lo sceneggiatore mi diceva sempre che il successo è tutto nell'inizio e nella fine. Al centro puoi scrivere tutte le cazzate che vuoi! Quando ho voluto scrivere il primo poliziesco, il modello al quale mi sono ispirato è stato Simenon. Con delle differenze: Maigret era sposato, Montalbano no; entrambi amano mangiare bene; Maigret si mette dalla parte del morto, Montalbano no; entrambi non usano la pistola; entrambi non sono personaggi inquietanti. Il nome lo si deve a Montalbàn, lo scrittore spagnolo ideatore del personaggio di Pepe Carvalho. Io volevo costruire un antieroe borghese che lo spettatore inviterebbe a cena volentieri!».
Quale legame c’è tra lei e Sciascia?
«L'ho conosciuto quando dovevo mettere in scena “Il giorno della civetta” a Catania. Per motivi personali non riuscì a portare a compmento la regia, ma comunque l'amicizia cominciò. Quando scrissi il mio primo romanzo, come invece avrei dovuto, non glielo mandai. Il secondo libro glielo mandai e gli piacque moltissimo. Ma mi disse: “Cammillee – pronunciando il mio cognome alla siciliana -, però se continui a scrivere così mica ti capiscono...”. E io gli risposi che solo così sapevo scrivere, in dialetto. Un giorno lo contattai per dargli tutti i documenti che avevo raccolto su una strage avvenuta nel mio paese in cui furono ammazzati 114 detenuti. Glieli diedi perché pensavo che fosse perfetto per scriverne. E lui mi disse: “E perché devo scriverlo io? Scrivilo tu”. Allora mi presentò Sellerio. E lì nacque “La strage dimenticata”. Con Sciascia, anche ora che non c’è più, continua ad esserci un legame forte. Non sempre eravamo d'accordo: ma il disaccordo con Sciascia era meglio dell'accordo, perché ti metteva tanti dubbi e intruppi addosso che uscivi accresciuto. Io lo chiamo il mio elettrauto: quando mi manca, mi prendo un suo libro e mi ricarico le batterie!».
Angela Iantosca
 
 

Premio Fregene, 27.6.2013
Comunicato stampa 2013
I vincitori della 35a edizione del Premio Fregene 2013
Sabato 29 giugno, alle ore 21, Arena Fellini – Fregene
Con l’adesione del Presidente della Repubblica
[Andrea Camilleri non ha potuto essere presente alla cerimonia di premiazione, NdCFC]

Sabato 29 giugno, alle ore 21, presso l’Arena Fellini, Lungomare di Levante 50, Fregene, si svolgerà la cerimonia di premiazione della 35a edizione del Premio Fregene
La Giuria consegnerà i riconoscimenti ai seguenti vincitori:
Saggistica: LAURA BOLDRINI “Solo le montagne non si incontrano mai” – Rizzoli
Letteratura – Opera complessiva: ANDREA CAMILLERI
Narrativa: SERENA DANDINI “Ferite a morte” – Rizzoli
Giornalismo: ENRICO MENTANA
La Manifestazione, che si svolge con l’adesione del Presidente della Repubblica, ha i seguenti patrocini: Presidenza del Consiglio dei Ministri; Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della PCM; Ministero degli Affari Esteri; Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Consiglio Nazionale delle Ricerche; Presidenza della Regione Lazio; Presidenza della Provincia di Roma; Comune di Fiumicino.
La Giuria è composta da Francesca Alliata Bronner, Marco Antonellis, Fabrizio Battistelli, Paola Cacianti, Marcello Ciccaglioni, Laura Delli Colli, Gianpiero Gamaleri, Luciano Onder, Marina Pallotta, Maria Rita Parsi, Daniela Tagliafico, Marcia Theophilo. Giurati onorari: Angelo Consalvo e Rossana Montesperelli Pallotta.
Le Interviste
Condurranno le interviste ai Premiati: Paola Cacianti, Marina Pallotta, Daniela Tagliafico, Cinzia Tani.
Suonerà il violoncellista Fabio Cavaggion
Margot Sikabonyi leggerà alcuni monologhi tratti dal libro “Ferite a Morte” di Serena Dandini
Le motivazioni ai Premi
[…]
ANDREA CAMILLERI – Letteratura, Opera complessiva
Andrea Camilleri racconta spesso di sentirsi un po’ come Georges Simenon con Maigret: entrambi sono “ricattati” dai loro personaggi. Eppure senza il commissario Montalbano lo scrittore di Porto Empedocle non sarebbe volato così in alto nelle classifiche dei libri più venduti e della popolarità che ha incontrato solo in età matura. Ha, infatti, quasi 70 anni Camilleri quando “inventa” quel poliziotto di Vigàta, personaggio subito amatissimo da milioni di lettori prima e telespettatori in seguito: è il 1994, esce La forma dell’acqua, il primo romanzo, e la sua vita cambia inesorabilmente. Pensava, sperava forse, di fermarsi a quel primo libro per poi dedicarsi ad altre stesure, ad altri soggetti, ma il clamoroso e inaspettato successo non glielo permette. Dopo La forma dell’acqua il fenomeno cresce, titoli come Il Birraio di Preston (1995), La concessione del telefono e la Mossa del Cavallo (1999), La prima indagine di Montalbano (2004) vendono milioni di copie con crescente successo mentre la serie televisiva su Montalbano con Luca Zingaretti ne fa un autore cult. Ma lui rimane se stesso, non si monta la testa, resta attaccato alla sua Sicilia. In tutta l’opera di Camilleri, infatti, batte il cuore della Sicilia, che sia Montalbano o il Re di Girgenti: la sua isola natìa, il luogo della radici e della memoria ma soprattutto lo spazio dell’invenzione narrativa. Più volte ha confidato che non saprebbe scrivere nulla che non sia ambientato in Sicilia. Straordinaria la sua capacità linguistica di farsi capire, da Palermo a Torino agli Stati Uniti, con quel pastiche di dialetti e lingue: un mix di italiano, spagnolo, siciliano, genovese, una sorta di “lingua mediterranea” che è poi la lingua dei pescatori siciliani. Con la sua opera ha creato un fenomeno letterario, una fedeltà di scrittura e di lettori che non ha mai tradito. Fra poco meno di due anni Camilleri festeggerà 90 anni (e 20 di Montalbano): il regalo che desidera, ha confidato, ma è il desiderio di tutti, è che continui a scrivere.
Francesca Alliata Bronner, Giornalista di “La Repubblica”
[…]
 
 

Gazzetta del Sud, 27.6.2013
Il romanzo
Un Camilleri verghiano ma ironico racconta la famiglia, «quel covo di vipere»
Patrizia Danzè
 
 

Il Salvagente, 27.6.2013 (13-20.6.2013)
Un nuovo Montalbano in un covo di vipere

Non solo (come possono vedere tutti in tv) Andrea Camilleri a quasi 88 anni è più pimpante che mai, ma la sua produzione ha un ritmo insostenibile per qualunque giovanotto.
Lo scrittore siciliano ha annunciato di aver già messo da parte quello che sarà il romanzo finale con Montalbano (“ma il commissario non muore”, ha assicurato) e intanto pubblica Un covo di vipere (Sellerio, 260 pagine, 14 euro), scritto nel 2008, ma tenuto da parte per non andare a confliggere con un altro romanzo, La luna di carta, apparso nel 2004.
Però non pensate che Camilleri si riposi sfruttando il suo archivio. Proprio in questi giorni è uscita infatti, pubblicata da Chiarelettere, una sorta di autobiografia: Come la penso, un insieme di saggi e racconti (200 pagine, 13,90 euro).
Ma torniamo a Montalbano, impegnatissimo a districarsi con un delitto difficile da risolvere. Anche perché, mai come in questo caso, la vittima, il ragioniere Cosimo Barletta, ha mille ragioni per essere odiato: sciupafemmine, strozzino, collezionista di foto ardite delle sue amanti, che diventano strumenti di ricatto.
Insomma, non c’è da meravigliarsi se è stato ucciso due volte: con un potente veleno e a colpi di arma da fuoco.
In realtà l’avvelenamento è arrivato prima. Il commissario, presente per qualche giorno la fidanzata Livia, deve sfuggire anche alle trappole sessuali della bella Giovanna, la figlia del ragioniere in aspra contesa con il fratello per via dell’eredità.
L’approdo del covo comincia a diventare evidente fin dalla metà del romanzo, ma la qualità della scrittura riesce a mantenere alta la tensione fino alla fine. Camilleri dice di sentirsi attratto da tempo dal tema dell’incesto, che in precedenza non ha avuto il coraggio “di sviluppare fino in fondo”. Stavolta ancora esita, ma la prova è comunque convincente.
Rocco Di Blasi
 
 

Gli Amanti dei Libri, 27.6.2013
Come la penso – Andrea Camilleri

Gli estimatori di Camilleri, come la sottoscritta, sono stati abituati a brillanti romanzi che, nella produzione, chiamiamola così, camilleriana, superano di gran lunga il numero dei saggi. Eppure non sorge un dubbio che sia uno circa la lettura di questo meraviglioso collage di pensieri ed opinioni che colui, che non posso astenermi dal chiamare Maestro, ha collezionato durante anni ed anni di carriera. Fin da subito, dai due brevi pezzi introduttivi, si possono ancora una volta ammirare cultura e umiltà di questo grande scrittore che, in questo libro, non risparmia nessuno e ha una parola amara per tutti, persino per se stesso.
Gli argomenti sono tanti e tutti ottimamente trattati con quella scrittura, chiara e limpida, nella quale ogni tanto fa capolino qualche termine siciliano. Si passa con nonchalance da Montalbano alla storia della Sicilia, dalla religione alla mafia, facendo il verso, in positivo e negativo, a personaggi anch’essi dislocati in diverse realtà della nostra Italia, da Bernardo Provenzano a Silvio Berlusconi. Sarebbero tante, veramente troppe le citazioni estraibili da questa sorta di bibbia del buon lettore di Camilleri. A fatica, ne ho scelta una estrapolata dal capitolo “L’ora di religione”, dedicato alla mafia e, in particolare, alla figura di Provenzano.
In questo passaggio, ripreso dall’autore stesso nel romanzo ‘La gita a Tindari’, un giovane Camilleri ascolta, rapito, la spiegazione del boss Nicola Gentile su che cosa sia la mafia. “Duttureddru, se io entro qua dentro, Vossia ha in sacchetta una pistola, me la punta, io sono disarmato, e mi dice ‘Cola Gentile, inginocchiati!’. Io che faccio? M’inginocchio. Questo non significa che vossia è un mafioso perché ha fatto inginocchiare Cola Gentile. Vossia è un cretino con una pistola in mano. Ora vengo io, Nicola Gentile, disarmato qua dentro. E vossia è disarmato. Le dico: ‘duttureddru, guardi che mi trovo in una certa situazione…Devo chiederle di inginocchiarsi.’ Lei dice: ‘Ma perché?’. Dottureddru, io glielo spiego. Glielo spiego e riesco a persuaderlo che Vossia si deve inginocchiare per la pace di tutti. Vossia s’inginocchia e io sono un mafioso. Se Vossia si rifiuta di inginocchiarsi, io le devo sparare, ma non è che ho vinto. Ho perso, dottureddru.” (pag.280-281)
Una grande raccolta, in definitiva, che mostra a tutto tondo la figura di uno degli autori più importanti e schietti del nostro tempo, troppo spesso preso sottogamba. La grande cultura di Camilleri, unita al suo profondo amore per la Sicilia, trasuda da ogni pagina, riuscendo, ancora una volta, a far sognare il lettore, pur parlandogli di una realtà che così da sogno non è. A questo proposito concludo segnalando in particolar modo le ultime pagine del libro, dedicate a “Cinque fiabe politicamente scorrette”.
Leggere per credere.
Elisa Cugnasco
 
 

DavideMaggio.it, 27.6.2013
Rai1 si affida ancora una volta al Commissario Montalbano e alla Principessa Sissi

Il Commissario Montalbano, panacea di tutti i mali televisivi, è pronto a tornare in soccorso del palinsesto di Rai1. Dal 1° luglio e per ben 10 settimane, nell’ormai consueta collocazione del lunedì sera, la rete diretta da Giancarlo Leone proporrà per l’ennesima volta le repliche di alcuni episodi della serie con protagonista Luca Zingaretti. Il nuovo ciclo di riproposizioni arriva a poco più di un mese dalle quattro repliche che dal 13 al 27 maggio hanno portato a casa l’ottima media di 7.591.199 di spettatori e il 28% di share, e a circa 2 mesi dalla fine della messa in onda dei nuovi 4 episodi in prima tv. Quattro appuntamenti che, trasmessi dal 15 aprile al 6 maggio 2013, sono stati in grado d’incollare alla tv una media di 10.119.145 spettatori con il 36% di share.
Ma bastano gli ottimi ascolti a giustificare una così massiccia riproposizione della fortunata serie prodotta dalla Palomar di Carlo Degli Esposti? In 14 anni, tra prime visioni e riproposizioni, i 26 film che compongono la serie hanno totalizzato qualcosa come 111 passaggi televisivi. Lo stesso Zingaretti, che la prossima stagione sarà su Rai1 con la miniserie Adriano Olivetti – La forza di un sogno, in un’intervista a Vanity Fair, aveva a suo tempo dichiarato, seppur in maniera soft, di non essersi assolutamente stufato d’interpretare Salvo Montalbano, ma di non apprezzare le troppe repliche proposte dalla Rai.
“Camilleri è vivo, vegeto e pieno d’idee. E io mi diverto a farlo. Poi non è che abbiamo fatto così tante puntate in questi anni, il problema è che sono state replicate a iosa.”
Le repliche di Montalbano – che va detto a molti spettatori non dispiacciono – del resto rappresentano l’ennesimo ricorso all’usato sicuro da parte di una “Rai1 estiva” che, pur giustificata dal contesto di difficoltà delle tv generalista, appare fossilizzata nella sua offerta. La bella stagione, un tempo occasione di sperimentazione di nuovi format e volti, si affida ormai completamente o quasi a repliche. Basti pensare che da sabato 29 giugno verrà riproposta per l’ennesima volta in prima serata, la trilogia dei film dedicati alla Principessa Sissi, con protagonista Romy Schneider.
Una strategia, quella di Rai1, che sul breve periodo potrà anche portare dei risultati (siamo sicuri che il buon Commissario e l’immarcescibile Principessa avranno il loro zoccolo duro di spettatori) ma che sul medio e lungo periodo rischia di penalizzare la prima rete Rai.
Di seguito l’elenco completo degli episodi in replica della serie diretta da Alberto Sironi, che ricordiamo, tornerà con quattro nuovi episodi non prima del 2014. Da segnalare l’assenza nelle repliche estive degli episodi Il campo del vasaio (con Belen Rodriguez), La danza del gabbiano, La caccia al tesoro, e L’età del dubbio, tutti e 4 trasmessi in prima tv nel marzo del 2011 e mai più riproposti, probabilmente perché destinati a tamponare improvvisi buchi di palinsesto nella prossima stagione.
1 luglio: Il ladro di merendine
8 luglio: La voce del violino
15 luglio: La forma dell’acqua
22 luglio: Il cane di terracotta
29 luglio: Tocco d’artista
5 agosto: Gli arancini di Montalbano
12 agosto: L’odore della notte
19 agosto: Il Gatto e il cardellino
26 agosto: Il giro di boa
2 settembre: La luna di carta
Salvatore Cau
 
 

l'Espresso, 28.6.2013
Senatori a vita: chi vorresti?
Sono liberi tre posti e Napolitano deve scegliere. Molti i nomi che girano: da Pannella a Benigni, da Camilleri ad Abbado, da Rodotà a Morricone. Ma c'è chi punta al binomio Berlusconi-Prodi (in nome della famosa pacificazione) e chi invece ipotizza personaggi più 'leggeri' come Franca Valeri o Raffaella Carrà. Vota il nostro sondaggio
Luca Sappino
 
 

Libreriamo, 28.6.2013
L'autore più amato dai booklovers? È Andrea Camilleri
All’interno di un sondaggio lanciato sulle pagine social di Libreriamo sull’autore preferito dai booklovers, il creatore di Montalbano batte Erri De Luca e Valerio Massimo Manfredi

Milano – È il “padre” del commissario Montalbano lo scrittore preferito dai nostri booklovers, come risulta da un sondaggio condotto all’interno delle pagine social di Libreriamo su un campione di oltre 19 mila fan. Andrea Camilleri ha ricevuto il 18% dei voti, piazzandosi così in testa a un podio che vede Erri De Luca al secondo posto con circa il 15% dei voti e Valerio Massimo Manfredi terzo con il 10%.
Andrea Camilleri, nato a Porto Empedocle, ha esordito nel 1942 come regista teatrale, carriera nel corso della quale ha messo in scena diverse opere dell’amato scrittore Pirandello. Proprio questo grande maestro della letteratura italiana rappresenta per lui un riferimento fondamentale. Da lui per esempio, ammette Camilleri, ha appreso un certo uso del linguaggio – il ricorso al suo dialetto siciliano, che l’autore considera la sua lingua madre, reinventato e impastato con termini della tradizione contadina. È questo uno degli elementi forti della sua scrittura e della fortunatissima serie di Montalbano, inaugurata da "La forma dell'acqua" capace di ricreare vivido sulla pagina un mondo di provincia molto realistico, in cui il lettore riesce a immedesimarsi. Il personaggio del commissario è sentito come “vero”, umano, vicino, con il suo carico di magagne, vizi e debolezze. Camilleri piace proprio per la sua capacità di essere “popolare” nel senso più autentico e positivo del termine, senza compromettere mai l’alta qualità della sua scrittura e delle sue storie. Il suo ultimo romanzo, “Un covo di vipere”, di recante uscita e con protagonista Montalbano, è attualmente in testa alle classifiche italiane dei libri più venduti.
[…]
 
 

Libreriamo, 28.6.2013
L'investigatore più amato della letteratura? Sherlock Holmes batte Maigret e Montalbano
Secondo uno studio promosso da Libreriamo, l’investigatore nato dalla penna di Arthur Conan Doyle risulta il piu’ amato dai booklovers italiani

Milano - Amano la psicologia dei protagonisti, ne apprezzano intuito, coraggio e ironia, ritengono che il genere giallo sia uno dei più affascinanti il letteratura. Per 8 appassionati di lettura su 10 (79%), i cosiddetti booklovers, Sherlock Holmes è il detective più amato nella letteratura gialla. Razionale e sensitivo, il più famoso detective della letteratura è preferito all’ordinarietà di Jules Maigret (71%) e all’ironia siciliana di Salvo Montalbano (67%). Dove e quando leggere i classici della letteratura gialla? I booklovers preferiscono principalmente leggerli d’estate in vacanza (53%) e comodamente sdraiati, in pieno relax (31%).
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LA TOP TEN DEI DETECTIVE PIU' AMATI - Quali sono i detective preferiti protagonisti del giallo d’autore preferiti dai booklovers? [...] Al terzo posto troviamo il primo dei personaggi “Made in Italy”: il commissario Salvo Montalbano (67%). Diventato in Italia un vero e proprio caso letterario, Montalbano nasce dalla fantasia di Andrea Camilleri, il quale per la sua “creatura” ricorre a ingredienti di successo quali un'intensa empatia dell'investigatore con le vicende narrate, un'attenzione marcata alla società e le sue storture, la figura del protagonista che pur nelle sue imperfezioni incarna un modello di vita.
[...]
 
 

KatawebTvZap, 29.6.2013
Montalbano, Il ladro di merendine raccontato dai disegni

Iniziò il 6 maggio del 1999 la lunga serie di successi che ha eletto Salvo Montalbano il commissario più amato della televisione italiana. In questo video le illustrazioni di Luigi Ricca che raccontano ll ladro di merendine, il terzo romanzo sulle avventure di Montalbano pubblicato da Andrea Camilleri.
[Immagini tratte dal CDROM omonimo edito da Sellerio, NdCFC]
 
 

 


 
Last modified Tuesday, February, 07, 2017