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RASSEGNA STAMPA

LUGLIO 2014

 
Il Sole 24 Ore, 2.7.2014
La Sicilia non è più di moda, a parte Camilleri

Tutta quella Sicilia che riempiva la giornata d'Italia non c'è più. Niente più fiaccolate, non più collegamenti con la ruggente tivù dell'impegno, neppure più il grande cinema, anzi: la suggestione del maresciallo Polenza, in Sedotta e abbandonata, è ormai realtà. È il film di Pietro Germi dove il carabiniere, stremato da un'umanità impossibile, mette una mano sulla carta geografica della penisola, toglie quella parte di patria pazza e irredimibile e dice: «Piovesse sale!». E tutto quel sale, adesso, piove sulla ferita più inaspettata per la Sicilia. Per esserci, certo, nella mappa nazionale l'isola c'è ancora: al centro del Mediterraneo - ma nell'irrilevanza.
Tutta quella primavera palermitana - quella che teneva scena in politica, nel dibattito culturale, nell'ansia di legalità - adesso è solo un magazzino cadente di vecchi ricordi. La Sicilia è passata di moda. Forse è il ricettacolo del pittoresco (tanto temuto da Giovanni Gentile, che nel 1919 s'impegnò a scongiurarne la deriva provinciale con un libro: Il tramonto della cultura siciliana) ed è diventata periferia se perfino a Corleone - dove c'erano i Luciano Liggio, i Totò Riina e i Bernardo Provenzano - ci si annoia. A Scampia, invece - già con i personaggi di fantasia, figurarsi con i mostri veri - si avverte il brivido, foss'anche nel semplice sentir arrivare uno scooter.
Tutta quella pubblicistica non c'è più. Non ci sono più i best-seller di Giovanni Falcone, i libri di Peppino Ayala, la scienza esatta e assolata di Michele Pantaleone; mentre le pagine di Danilo Dolci o di Carlo Levi - uomini che si facevano siciliani per cambiare al meglio l'Italia, facendosi scudo del catalogo Einaudi - se ne stanno remote come le quinte di un palcoscenico non più frequentato. Agli inviati del giornalismo internazionale si sono sostituiti gli sceneggiatori delle terrazze romane, le serie tivù sono oggi le nuove rotative che impegnano non più un genius loci con cui ingaggiare un corpo a corpo bensì un genere in cui il testacoda è morale ancor prima che estetico, e tutto il corredo simbolico e culturale di derivazione siciliana - giusto adesso che trionfano Gomorra e la camorra - è irrimediabilmente cassato. Neanche i magistrati - tra il fare e lo strafare degli Antonio Ingroia - riescono a diventare protagonisti. L'unico che si prende la scena nazionale è Raffaele Cantone, napoletano va da sé. E delle Due Sicilie, dunque, ne è rimasta solo una. La mafia, quindi, il cui indotto di malia narrativa fu mondiale (da Mario Puzo in poi, passando per Leonardo Sciascia), ha perso appeal. Nell'estetica della criminalità vince un altro codice: gli ultimi criminali assicurati alla giustizia hanno ceffi phonati e camicie di seta, altro che il pane e cicoria di Provenzano. E nella Sicilia che passa di moda l'unica certezza che resta è Andrea Camilleri.
Montalbano, il commissario, irresistibile al pari di un paladino dell'Opera dei Pupi, mantiene il brand. Il marchio è l'identità, e il mercato che ne deriva - dai film per la tivù al turismo - fa volgere ancora uno sguardo di compiacimento verso la Sicilia, vi ravviva la lingua e forgia una fatica creativa tutta speciale, che però i siciliani ripagano con il più paradossale dei primati certificato dall'Istat: abitare la regione dove si legge meno in assoluto.
Tutta quella scrittura, la città del racconto moderno che ebbe in Federico de Roberto il fondatore, l'ideatore di un'architettura da cui è derivata la letteratura nazionale coincidente con la sicilitudine - con Luigi Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Lucio Piccolo, Sciascia, appunto, Gesualdo Bufalino e Camilleri - , è barattata, nell'immaginario, con la chincaglieria cheap il cui apice televisivo è Baciamo le mani. È il melodramma televisivo di Tedosio Losito, tanto di cappello al successo commerciale ma di certo, nel paragone, lo sceneggiato Mediaset non regge la ragione sociale di una tradizione - quella dell'arte - dove il grande cinema prendeva a pretesto la Sicilia per mettere in scena il costume italiano. C'era Germi. C'era Luchino Visconti. C'era quindi Alberto Lattuada, e ovviamente Francis Ford Coppola, fino ad arrivare a Giuseppe Tornatore. Tutte le maschere d'Italia - da Marcello Mastroianni a Monica Vitti, passando per Alberto Sordi e perfino Totò - cercavano quel palcoscenico. E se segnale si può avere di una voga finita, l'industria del cinema non c'è più al punto che Daniele Ciprì ha dovuto girare in Puglia È stato il figlio, film ambientato a Palermo.
Tutta quella politica non c'è più. Un uomo arriva all'ingresso del quotidiano l'Ora e chiede del direttore. «Chi debbo annunciare?» domanda Saro Mineo, l'usciere. «Vittorini», è la risposta. «Perfetto», annota Mineo, «Vittorino è il nome, ma il cognome?». Ecco, figurarsi il livello dei frequentatori. E in quel giornale (le cui punte operative furono il direttore Vittorio Nisticò e, per il Pci, Paolo Bufalini ed Emanuele Macaluso) si forma la vera agorà, il Ballarò d'eccellenza dove arrivano, tra gli altri, Gaia Servadio, Giorgio Bocca, Nino Rota, Federico Fellini, Franco Zeffirelli e Indro Montanelli. Nessuno, in quel giornale, in quelle giornate - correva l'anno 1969 ­ si sente fuori del mondo, la ruota gira nel verso della contemporaneità, ed è in Sicilia che l'egemonia culturale della sinistra sperimenta, tramite Renato Guttuso (e Visconti, anche attraverso l'operazione Gattopardo), la solidità di parola e di mercato dell'immaginario.
Pietrangelo Buttafuoco
 
 

Ufficio Stampa Rai, 2.7.2014
RaiMovie: Ottimi ascolti per il film “La scomparsa di Pato’”.

Rai Movie, il canale Rai dedicato al grande cinema, con il film in prima visione Rai “La scomparsa di Patò” di Rocco Mortelliti, ha riscosso ieri, in prima serata, un grande successo di pubblico realizzando uno share del 2,14%, pari a quasi 500mila telespettatori e sbaragliando le reti tematiche concorrenti che propongono un'offerta cinematografica.
Tratto dal libro omonimo di Andrea Camilleri, “La scomparsa di Patò”, coprodotto da Rai Cinema e intrepretato, tra gli altri, da Nino Frassica, Neri Marcorè e Maurizio Casagrande, è il primo adattamento cinematografico di un romanzo del siciliano Camilleri, scrittore italiano fra i più apprezzati in patria e all’estero. Il film porta sullo schermo la medesima geografia immaginaria di Montalbano popolandola di una scrittura satirica ricca di spunti felici, un Un successo del cinema italiano e della Rai, confermato dall’apprezzamento di ieri sera da parte pubblico televisivo.
 
 

La Sicilia (ed. di Agrigento), 2.7.2014
Porto Empedocle
Le «Transumanze figurative» del maestro Silvio Benedetto

«C'è qualcosa d'importante che unisce l'arte di Silvio Benedetto con il nostro territorio: la grecità e il mare». Così il sindaco Lillo Firetto scrive nel Catalogo di presentazione della mostra «Transumanze figurative» del maestro italo-argentino, in relazione all'esposizione empedoclina che raccoglie dipinti, disegni, installazioni e opere dal 1960 ad oggi, di una delle espressioni più significative ed autorevoli dell'arte muralista sudamericana. La Mostra, organizzata dal Comune di Porto Empedocle nell'ex Chiesa Vecchia con il patrocinio della Regione Siciliana, Assessorato Regionale Beni Culturali e dalla Fondazione Andrea Camilleri verrà inaugurata sabato alle 18 e 30 alla presenza dell'artista. La mostra di Silvio Benedetto rimarrà aperta tutti i pomeriggi, tranne il lunedì, dal 5 luglio al 10 settembre, dalle ore 17 alle 21 ad ingresso libero.
 
 

Circolo Leopardi – Il Cannocchiale, 4.7.2014
La piramide di fango
Andrea Camilleri, La piramide di fango, Sellerio, 2014

Gli appassionati di Camilleri e delle sue storie sul Commissario Montalbano (ed io tra loro) aspettavano con ansia questa uscita. Ci sentivamo come gli affamati a digiuno.
Per la verità, Camilleri ci aveva però accontentati con altre storie, tutte altrettanto belle e intriganti (le ultime sono state “La banda Sacco” e “Inseguendo un’ombra”, sempre edite da Sellerio) e con un volume recente che raccoglie una specie di aforismi camilleriani, o meglio, brevi pensieri e considerazioni su fatti di dominio pubblico (“Segnali di Fumo”, UTET, 2014), ma era dal tempo di “Un covo di vipere” (Sellerio, 2013) che non avevamo notizie dal nostro amato Commissario.
Sulla storia non dico assolutamente nulla, sia perché non sono solito farlo per non sciupare le sorprese che un lettore del commissario Montalbano trova sempre nei libri che ne raccontano le gesta, sia perché si tratta di storia originale. Il titolo origina da una serie di piogge di lunga durata, che riducono l’abitato di Vigata a una “fangaia”, e tutta la storia si svolge in maggior parte in questo contesto “melmoso”. Contesto melmoso anche per l'antefatto e le indagini, che - come tutte le indagini di Montalbano - si concludono soltanto negli ultimi capitoli.
Il libro si dipana in alterne vicende, con moltissimi spunti fantasiosi e divertenti. Ne escono duetti tra Montalbano e Fazio, Montalbano e Catarella spesso davvero spassosi. Questa caratteristica, che di sicuro è propria di molti altri romanzi della serie del Commissario Montalbano, qui è forse più evidente. Come l’astuzia delle trovate del probabile – e alla fine certo – assassino.
Sopra tutto spicca il fango: fango che – vista l’insistenza della pioggia – non accenna a diminuire nel corso del romanzo e la fa da padrone in tutta la vicenda. E produce varie situazioni che movimentano la storia (già in un altro dei ventuno romanzi precedenti questo, il Commissario salva una ragazza dal finire in uno strapiombo, proprio a causa del fango).
Di trovata in trovata, il Commissario alla fine riesce a venire a capo della vicenda delittuosa, apparsa subito non poco difficile. E questo rende il lettore sempre curioso di arrivare – magari con il proprio intuito – là dove non arriva Montalbano: ma l’aguzzare d’ingegno del lettore questa volta credo non sia agevole.
Come ho già detto, con questo romanzo siamo arrivati a 22 (solo con la casa editrice Sellerio) “capitoli” delle avventure del Commissario più famoso d’Italia, che ha battuto Gino Cervi nella sua formidabile interpretazione di Maigret (a proposito, ma la Rai non potrebbe rimettere in onda la serie di Maigret, invece di farci vedere le versioni francesi?). Sappiamo, dalle dichiarazioni rese da Camilleri, che Sellerio ne ha nel cassetto altri due. Li aspetteremo con ansia. Ai 22 romanzi con Sellerio vanno aggiunti altri cinque titoli con Mondadori ("La prima indagine di Montalbano", "Gli arancini di Montalbano", "Un mese con Montalbano", "La paura di Montalbano" e "Racconti di Montalbano") e un volume introvabile (“Camilleri legge Montalbano” corredato da due CD in cui il nostro amato scrittore interpreta il lettore di…se stesso). Siamo quindi arrivati alla cifra di 27 libri sul nostro commissario, che – come molti sapranno – ha una statua bronzea nel comune di Porto Empedocle (noto nei romanzi come Vigata).
Credo – dopo quanto ho scritto – di poter augurare un’ottima lettura a chi deciderà di leggere “La piramide di fango”.
Lavinio Ricciardi
 
 

l'Espresso, 4.7.2014
Da Camilleri a Bartlett, un'estate in noir con la collana de 'l'Espresso'
Dalla Londra di Robert Galbraith, pseudonimo di J.K.Rowling, alla Novergia di Anne Holt i più bei nomi del giallo contemporaneo passano la bella stagione insieme ai nostri lettori. Con i romanzi in edicola ogni settimana con il nostro giornale (a 7,90 euro oltre il prezzo di copertina)

Come in ogni giallo che si rispetti, improvvisamente arriva il colpo di scena: l’ex soldato inglese Robert Galbraith, autore di un debutto letterario apprezzato dalla critica ma pressoché sconosciuto al grande pubblico, altri non è che una delle scrittrici più famose al mondo. La storia è vera, è accaduta lo scorso anno nel Regno Unito e ha per protagonisti il redattore del “Sunday Times” Richard Brooks e J.K. Rowling, l’autrice della fortunata serie “Harry Potter”. Seguendo una traccia lasciata da un anonimo su Twitter (e poi prontamente rimossa), Brooks è riuscito a scoprire chi si celava dietro al “nom de plume” di Galbraith.
Del resto, quel romanzo era troppo ben scritto e ben costruito per essere opera di un esordiente. Alla fine, e a malincuore, la Rowling ha dovuto ammettere la maternità di “The Cuckoo’s Calling”, pur pretendendo e ottenendo dai suoi editori di continuare a pubblicare sotto pseudonimo i romanzi con protagonista il detective Cormoran Strike. Ed è proprio con “Il richiamo del cuculo” che “l’Espresso” inaugura la nuova collana “Noir”. Una collana di delitti e misteri che ci portano in giro per il mondo: dopo Londra e altri luoghi straordinari, si toccano le sponde del Mediterraneo, tra Barcellona e Roma, con “Gli onori di casa” di Alicia Giménez-Bartlett. Un’altra tappa è la Sicilia di Andrea Camilleri, con “Una voce di notte”, nella Vigàta del commissario Montalbano.
[...]
Roberto Calabrò
 
 

l'Unità, 6.7.2014
Teatro civile
Il canto dei minatori
Ascanio Celestini stasera a CassinoOFF mette in scena la strage di «Niccioleta»
Da un’idea di Andrea Camilleri il racconto di una storia poco nota: la strage di una piccola cittadina toscana invasa dai nazisti il 13 giugno 1944. Una battaglia della gente del posto non contro l’invasore ma per continuare a lavorare
Qui uno stralcio del testo

Lavoravano tutti, lavoravano sempre, lavoravano tanto. Mangiavano e bevevano. Ad alcuni piaceva bere molto. Nei loro letti ci dormivano, quando potevano ci facevano anche l’amore. Facevano tante cose. Conoscevano i boschi per esempio. Conoscevano gli alberi nei boschi. Conoscevano il nome degli animali. Raccoglievano i frutti nei boschi, le castagne per esempio, quando arrivava l’autunno, ma anche i funghi quando era periodo di funghi. A molti piaceva andare a caccia. Ci andavano perché avevano incominciato da ragazzini, coi genitori, c’erano stati coi nonni e spesso avevano fucili vecchi di generazioni. Gli piaceva andare a caccia. E anche a pesca. Conoscevano i fiumi. E dei fiumi conoscevano i pesci che ci stavano dentro Gli piaceva girare per i boschi. Però andare a pesca o a caccia non era il primo dei loro pensieri, perché il primo pensiero per loro era lavorare.
Lavoravano tutti, lavoravano tanto, lavoravano sempre. E volevano lavorare. Qualcuno era stato in città, per motivi di lavoro. Qualcuno proveniva da un altro paese e per arrivare era passato dalla città e raccontava di come era fatta la città e alcuni pur non essendo mai andati in città sapevano che la città era più grande del paese. Lo sapevano, lo immaginavano, anche se non c’erano mai stati. Alcuni venivano da paesi molto lontani e di città ne avevano viste tante. Alcuni del paese erano andati in altri paesi e avevano visto altre città ed erano tornati indietro. Però il primo dei loro pensieri non era andare a visitare le città anche se avevano la curiosità di andarle a vedere però non era il primo dei loro pensieri perché loro pensavano soprattutto al lavoro, era quello che gli interessava.
Amavano i loro figli, amavano le loro donne, le loro compagne, le loro mogli, rispettavano i genitori. Quando i vecchi morivano, gli facevano il funerale, la messa funebre, poi col funerale si partiva dalla chiesa e si arrivava fino al camposanto, li mettevano sottoterra, gli portavano i fiori. Quando ricorreva l’anniversario della loro morte si alzavano, piangevano, andavano a trovarli al camposanto. Pregavano per loro, gli facevano la messa, perché tutti o quasi tutti andavano a messa. E molti ci credevano per davvero, molti pregavano e spesso, quando pregavano, pregavano per la salute dei figli, per la loro salute, pregavano per tante cose. Ma il primo dei loro pensieri era il lavoro e loro pregavano per il lavoro affinché non lo perdessero, né loro, né i loro figli. Ecco, il lavoro era la loro fede, era la religione del lavoro, il primo dei loro pensieri.
Cantavano pure. Cantavano «Oh bella, bella, bella, bella bella,/ il sole sotto il letto ti ci balla/ ci balla e ti ci fa la tarantella». Cantavano tanto, cantavano quando andavano al lavoro, cantavano quando tornavano dal lavoro. Cantavano alle feste, cantavano dell’amore. Alcune canzoni parlavano del vino, del cibo.
Cantavano pure le canzoni dei santi, certo. Qualcuno aveva qualche strumento musicale, però erano pochi quelli che ce li avevano, perché la voce è gratis, invece per lo strumento musicale bisogna spendere i soldi per comprarlo e bisogna avere anche il tempo per imparare a suonarlo. Ma spesso, anche quando cantavano pensavano al lavoro che era il primo e più importante dei loro pensieri.
Qualcuno sapeva leggere e scrivere, ma proprio uno ogni tanto. Molti però sapevano fare la propria firma, scrivere il proprio nome e avevano imparato quelle due, tre paroline scritte che gli servivano per il lavoro, per esempio per leggere la busta paga. Oppure la matematica, qualcuno sapeva di matematica, anzi, a dire la verità, un po’ di matematica la conoscevano tutti. Era la matematica che gli serviva e che avevano imparato per lavorare. Spesso era una questione di metri, di lunghezze. Dico, per esempio: metri di lunghezza di un carreggio, metri di profondità di una discenderia. Spesso le parole che usavano erano solamente loro, parole con cui solo loro si capivano. Tipo, per esempio, parlavano in questa maniera: dicevano carichino o fochino, salbanda, pistoletto, smarino, calcatoio e borraggio, giavinatura e bullonnaggio, smorza, brillamento e discaggio, mina barramina nettamina e canna da mina.
E anche quando usavano le parole che conoscono tutti, le usavano alla maniera loro. Se parlavano di «armatura», loro non pensavano a quella dei cavalieri medievali. Quando parlavano della «padrona» non si riferivano alla padrona di casa, alla padrona dell’osteria, non era una cosa che era fatta di carne ed ossa, non era una persona. (...) Poi c’erano altre parole come «la volata». Ecco, fare la volata! Per loro non aveva niente a che vedere col ciclista in fuga. E il «fronte»? Non c'entrava niente con la guerra mondiale.
Se gli avessi detto che lavoravi al «ribasso», loro non avrebbero pensato che tiravi sul prezzo. E non si riferivano neanche alle aziende che lavorano a ribasso per prendere le commesse. Se gli avessi detto che dal camino passava il fumo si sarebbero messi paura. Se poi tu, in maniera discreta, gli spiegavi che era normale, perché in fondo al camino ci sta il fuoco, gli avrebbe preso un accidente, avrebbero pensato a un tragedia, a una disgrazia. Perché le parole del loro lavoro le conoscevano solo loro. Perché erano le loro parole. Perché loro con quelle parole si capivano benissimo.
Seguivano il calcio, come quasi tutti seguivano il calcio. A quel tempo si seguiva meno. A quel tempo non c’era il campionato tutta la settimana, non c’erano tutti i giornali che parlavano di calcio, tutte le televisioni che parlavano di calcio, a quel tempo non c’era neanche la televisione. Però lo seguivano, magari alla radio che stava in oratorio o al circolo operaio. Però, se gli avessi chiesto come va la squadra, non avrebbero pensato al pallone. Avrebbero pensato subito alla squadra dei minatori.
«La squadra che fa i debiti/ la squadra che fa i debiti/ fa i debiti, fai debiti, non ti lasciar patir/ la squadra che fa i debiti/ noi siamo tutti qui».
Ascanio Celestini
 
 

Mauxa, 8.7.2014
Recensione libro La piramide di fango di Camilleri, un caso d'opira di pupi sulla scrivania di Montalbano
La piramide di fango (Sellerio editore Palermo) di Andrea Camilleri: il ritorno di Montalbano, in testa alla classifica dei libri più venduti.

La piramide di fango (Sellerio editore Palermo) di Andrea Camilleri - Il cadavere di un giovane uomo viene ritrovato in un cantiere. Indossa la canottiera e un paio di mutande. È stato raggiunto da un solo colpo di arma da fuoco in mezzo alle scapole: nella notte temporalesca il ragioniere Gerlando Nicotra, detto Giugiù, sorpreso nel sonno, ha inforcato la bicicletta con l’intenzione di raggiungere quel luogo – questa è la sensazione di Montalbano – ma perché?
Trama La piramide di fango - Montalbano segue l’indagine che va complicandosi. C’è Inge, la bella moglie tedesca di Giugiù, che sembra sia tornata in Germania; c’è un misterioso zio, ospite fisso dei Nicotra, scomparso; e c’è, infine, qualcuno a cui fa comodo inscenare un dramma della gelosia per chiudere il caso.
Con una montagna di "rituali burocratici urgentissimi" da firmare, Montalbano immerge la faccia sotto l’acqua fredda per prepararsi alla telefonata di Livia e affrontare la “botta al cori”: dalla morte di François, il ragazzino tunisino che la donna avrebbe voluto adottare, infatti, Livia non è più la stessa.
Recensione - La piramide di fango è ambientata in una insolita Vigàta lunare dove proiettare l’umore accordante dello stesso Montalbano: “Viduto al lumi dei fari, nella notti completamenti priva di luna pirchì cummigliata da ‘na coltri pisanti di nuvole cchiù nìvure del nìvuro notturno, il canteri pariva la scinografia ideali per ‘na pillicula espressionista tidisca, con il forti contrasto tra luci e scuro e con le ùmmire diformate e giganti che assomigliavano a proiezioni di figure mostruose e immobili”.
Il cantiere è un ammasso di “scheletrici rottami” che paiono “abbannunati da secoli supra a un pianeta morta”. La domanda torna a bussare nella mente di Montalbano, perché Giugiù è venuto a morire qui?
“I colori non esistivano cchiù, non si vidiva ‘na cosa che non avissi lo stisso uniformi grigiastro della fanghiglia. Il fangue, come diciva Catarella. E forsi non aviva torto, pirchì il fango ci era trasuto nel sangue, ne era addivintato parti ‘ntegranti. Il fango della corruzione, delle mazzette, dei finti rimborsi, dell’evasione delle tasse, delle truffe, dei falsi in bilancio, dei fondi neri, dei paradisi fiscali, del bunga bunga… Forsi, arriflittì Montalbano, quella era il simbolo della situazioni nella quali s’attrovava il paìsi ‘ntero”.
Ma c’è un altro dubbio che lo sorprende: “Ma era veramenti esistita da quelle parti la terra dei limoni (e macari dell’aranci)? O era stata ‘na fantasia poetica?”.
Un caso che si rivela, appunto, una piramide di fango in cui confluiscono le trame della politica, dell’imprenditoria e della mafia: a Montalbano occorrerà una “sfunnapedi” per decapitarla.
 
 

RagusaNews, 10.7.2014
Incontro con Alberto Sironi l'8 agosto a Kamarina
Kamarina sotto le stelle

Ragusa - Incontro con il regista del Commissario Montalbano Alberto Sironi l'8 agosto nel'ambito di Kamarina sotto le stelle.
Il programma.
[...]
Venerdì 8 agosto – ore 21,00 - “Montalbano: Volano del Turismo Ibleo”, segue la proiezione del film “Montalbano – La pazienza del ragno” di Alberto Sironi, incontro con il regista Alberto Sironi e con gli attori iblei Angelo Russo, Marcello Perracchio, Biagio Pelligra, Pasquale Spadola
[...]
 
 

Università degli Studi di Palermo, 11.7.2014
Dalle Germania a Palermo per scoprire Pirandello, Camilleri, il dialetto e lo street food

Un gruppo di studenti dell’Università di Mamburgo (Germania) è stato ospite, lunedì mattina, della Scuola di Italiano per Stranieri dell’Università di Palermo dove ha potuto seguire due seminari speciali. Le lezioni, pianificate per l’occasione da tre docenti della Scuola, hanno infatti concentrato l’attenzione sulla storia linguistica della Sicilia, sulle differenze tra il dialetto dell’isola e l’italiano e, infine, sulle origini dell’idioletto creativo di Andrea Camilleri.
Un excursus dalle origini del dialetto, quindi, fino ai nostri giorni e sulla figura sempre più predominante nel contesto letterario e linguistico dello scrittore agrigentino. Tutto questo, però, senza dimenticare un altro illustre scrittore: Luigi Pirandello.
“Abbiamo mostrato agli studenti tedeschi – spiega il docente della Scuola Vincenzo Pinello – un’analisi sulle concordanze del registro linguistico, dello stile e del lessico tra i testi di Camilleri e la traduzione in siciliano di Pirandello del dramma di Euripide Ciclope. Infatti, in più occasioni, Camilleri ha dichiarato che il suo "strano siciliano" ha tratto ispirazione da 'U ciclopupirandelliano.” In questo modo gli studenti del corso di laurea in lingue, che hanno concluso il loro corso di letteratura italiana in Sicilia, hanno potuto conoscere da vicino la lingua di alcuni degli scrittori siciliani studiati in aula, grazie ad un percorso monografico su firme del ‘900. Non sono mancate anche delle esercitazioni pratiche con analisi comparative di testi.
Il secondo incontro, invece, è stato tenuto dai docenti Giuseppe Paternostro ed Egle Mocciaro che hanno portato in aula un seminario di approfondimento su "La Sicilia linguistica ieri e oggi: storia, strutture e usi." “Abbiamo fornito un quadro della storia linguistica della Sicilia e illustrato le principali caratteristiche (fonetiche, lessicali, morfologiche, sintattiche) del siciliano in rapporto al resto del romanzo e, quindi, le differenze con l'italiano – spiegano i docenti. - L'ultima parte del seminario, invece, ha affrontato il tema dell'italiano regionale e dei tratti che dal dialetto transitano nell'italiano parlato in Sicilia.”
Gli studenti hanno reagito con interesse agli argomenti proposti e hanno anche posto numerose domande. Hanno chiesto, infatti, se la lingua dialettale sia insegnata a scuola e come vengano trattate, dentro le aule, le caratteristiche dell'italiano regionale.
Durante la pausa pranzo, inoltre, gli studenti stranieri hanno avuto l’occasione di conoscere anche un altro aspetto caratteristico della Sicilia, ossia la cucina e i piaceri dello “Street food”. Accompagnati presso l' “Antica Focacceria San Francesco” dalla docente Miriam Mesi, hanno potuto non solo assaporare i piatti tipici dell’arte culinaria siciliana, ma anche scoprirne la storia. Come già altre volte, infatti, l'Antica Focacceria ha gentilmente accolto gli studenti stranieri della Scuola con una interessantissima spiegazione sulle origini del locale e sulle tradizioni della cucina “da strada” palermitana.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 11.7.2014
L'anniversario
La battaglia e il buen retiro
Il legame di Modugno da “figliastro” dell’Isola

Nel gennaio del 1984, Domenico Modugno, che aveva fatto cantare e sognare milioni di italiani con le parole e la musica liberatorie di "Volare", era elettrizzato per il successo di pubblico e di critica ottenuto come attore nello sceneggiato televisivo "Western di cose nostre". Uno sceneggiato su soggetto di Andrea Camilleri e tratto da un racconto di Leonardo Sciascia che confermava una volta di più come la storia del cantautore pugliese di Polignano a mare si intrecciava con la Sicilia, sin dall'interpretazione del bandito Dragonera nella commedia musicale di Garinei e Giovannini "Rinaldo in campo".
[...]
Lorenzo Catania
 
 

l’Espresso, 11.7.2014
Intervista
'Noi inglesi? Votiamo Farage ma tifiamo Montalbano'
Lo storico Donald Sassoon analizza l'atteggiamento euroscettico dei britannici e il paradosso di una nazione che è culturalmente sempre più legata all'Europa
Daniele Castellani Perelli
 
 

La Repubblica, 13.7.2014
Nei due secoli fedele. Così l’Arma dei Carabinieri ha attraversato duecento anni
Il paese chiama “Marescià, venissi a mettiri ‘u bonu...”

Il maresciallo Antonio Brancato, comandante la Stazione dei Carabinieri di Belcolle, cangiando il foglio del calendario, come faciva ogni matina appena trasuto nel suo ufficio, vitti che era il ventisei di maggio, vale a dire che mancavano quattro giorni al compleanno di Giacomina, la sua unica sorella, maritata a Genova e matre di tre figli. Doviva provvidire subito, prima che qualche facenna improvisa gli faciva passare la cosa di mente. Avvertì il piantone che nisciva e che sarebbe tornato passata una mezzorata. Andò da Cosimo, il tabaccaro e sciglì una delle cinco cartoline postali, leggermente ingiallute, che da anni raffiguravano il paisi da diverse angolature.
A taliarlo in cartolina e dall’alto, come aviva fatto il fotografo, Belcolle pariva un paìsi grazioso, da vacanza estiva: la disposizione delle case, che non arrivavano a duecento, dava all’abitato una forma di barca, con la prua stritta e fina verso i quasi duemila metri di Pizzo Carbonara e la poppa chiatta e larga verso il lontanissimo mare di Cefalù, una barca assurdamente arenata supra una montagna verde di boschi e di pascoli. D’inverno però la situazione cangiava, la nivi ci mittiva nenti a cummigliare, a seppellire case, arboli, strate sutta a un bianco uniforme, mentre un vento gelido e crudele impoppava dalle Madonie per giorni e giorni. Ma il paisi non si racchiudeva tutto in quelle casuzze fotografate nella cartolina, si espandeva per chilometri attraverso rade abitazioni di viddrani, pastori, boscaioli, sperse al limite dei boschi, sui costoni della montagna, in qualche tratto di valle.
Una volta era stato costretto, per effettuare un arresto, ad acchianare fino a una casupola a Pizzo Stella e ancora arricordava la jeep che non andava più né avanti né narrè, bloccata da un mare di nivi, la lunga marcia tutta in salita, il friddo che spurtusava le ossa a malgrado che il corpo era in movimento e faticava. Fortuna che i paisani erano pirsone a posto, quiete, forse nanticchia troppo mutanghere tra di loro, ma si sa che la genti di montagna è di scarsa parola, non ama dare cunfidenza agli stranei. Curiosamente però con lui, che straneo lo era di certo, i belcollesi parlavano, e come! E quella confidenza, della quale giustamente tra sé si gloriava, se l’era guadagnata, come dire, sul campo. In cinco anni che si trovava lì era arrinisciuto a sapiri quasi tutto di tutti, intervenendo in questioni, liti, dispute che gli vinivano presentate in forma non ufficiale per aviri un parere, un giudizio, un orientamento.
“Marescià, vinissi a mettiri ‘u bonu”… Mettere il buono: ossia dire la parola giusta, pacificare, risolvere, appianare, fare in modo che la bilancia non penda troppo da una parte o dall’altra.
“Ecco perché si chiama Stazione!”, si disse un giorno che nel suo ufficio erano trasute e nisciute, proprio come in una stazione ferroviaria, una decina di persone per domandargli consigli, pareri, istruzioni su come comportarsi.
Andrea Camilleri
(tratto da Il Medaglione, 2005 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano)
 
 

Excite Italia, 16.7.2014
Tv
Il Commissario Montalbano, anticipazioni: La piramide di fango e Un covo di vipere in arrivo su Rai1

Il prossimo 8 settembre la Palomar di Carlo Degli Esposti inizierà le riprese della seconda stagione, composta da sei nuove puntate, de Il giovane Montalbano con Michele Riondino mentre il prossimo anno dovrebbe toccare alla fiction con protagonista Luca Zingaretti. Sono passati venti anni dalla prima uscita del romanzo di Camilleri e la trasposizione televisiva si è rivelata un clamoroso successo, lo scorso anno raggiunse quasi gli undici milioni con il 38% di share. Giusto per rendere l’idea ricordiamo che Il Commissario Montalbano è stato venduto negli Stati Uniti, in Canada, in tutta l'America Latina, in Australia, Francia, Spagna, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, in Ungheria, Slovacchia, Albania, Georgia, Bulgaria, Germania, Inghilterra, Galles, Scozia, Romania e persino in Iran.
Due dei romanzi di Camilleri che vedremo in onda su Rai1 probabilmente nel 2016 sono Un covo di vipere pubblicato nel giugno dello scorso anno mentre a maggio 2014 è stato pubblicato La piramide di fango, il penultimo romanzo avente Montalbano come protagonista. Camilleri ha infatti annunciato che Riccardino, ancora inedito, sarà l’ultima storia che vedrà il commissario siciliano come protagonista. Cosa succede a Vigata in questi due romanzi?
In “Un covo di vipere” la storia inizia con Salvo che si risveglia da un sogno con il fischiettare di un barbone ma la solita telefonata di Catarella lo avvisa che è stato ritrovato morto il ragionier Cosimo Barletta, ucciso con un colpo di rivoltella. Una vita normale e nessuna traccia di violenza appare nella sua casa al mare dove è stato ritrovato il cadavere. Vedovo e con due figli, senza segreti, fin quando su un doppio fondo di un cassetto si scoprono foto e lettere che ne rivelano una doppia personalità. Il ragioniere aveva inoltre lasciato un testamento poi scomparso, l’arrivo di Livia al culmine delle indagini smuove Salvo. Lei vuole conoscere Mario il vagabondo e capire perché vive come un emarginato. Il commissario arriverà alla soluzione dei misteri ma sara alle prese con una verità che avrebbe preferito non scoprire.
Nel secondo libro dal titolo “La piramide di fango” Montalbano si sveglia a causa di un forte temporale e la telefonata di Fazio lo avvisa del ritrovamento in un cantiere del cadavere di Giugiù Nicotra. Il commissario all’inizio sembra piuttosto disinteressato ma dopo alcune scoperte riesce a capire la causa del delitto e ad incastrare i colpevoli e quindi a “fare un buco nella piramide di fango”. La mafia di Vigata è ancora una volta infiltrata in storie di appalti e denaro sporco. Salvo raggiunge Livia dopo la conclusione dell’indagine, con lei ora c’è Selene una cagnetta che la sta aiutando a superare il dolore per la scomparsa di François. L'inizio delle riprese non è quindi previsto per il 2014 ma potrebbe slittare al 2015. Bisognerà pazientare ancora un po' ma siamo sicuri che anche questa volta ne sarà valsa la pena.
Giuseppe Candela
 
 

NanoPress, 17.7.2014
La piramide di fango di Andrea Camilleri: il libro e la recensione
Cantieri, truffe e appalti pubblici, per un giallo emozionante e soprattutto attuale

La piramide di fango di Andrea Camilleri è il libro – ottima la recensione della critica – che riconferma a pieno titolo lo scrittore come uno dei più grandi della nostra letteratura. Dalla trama forse un po’ ripetitiva il romanzo ha avuto però un’ottima accoglienza da parte del pubblico che, affezionato ormai da vent’anni al caro Montalbano (era il 1994, infatti, quando vide la luce La forma dell’acqua, la prima delle tante avventure vissute dal commissario), ha già premiato l’opera come la più venduta della ultime settimane.
La piramide di fango, dunque, edito dal Sellerio e nelle librerie dal 29 maggio scorso, ribadisce, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, la verve letteraria di Andrea Camilleri, fonte inesauribile di idee per raccontare un’altra appassionante indagine del commissario più amato della narrativa italiana – e non solo, visto il grande successo televisivo della fortunata serie interpretata da Luca Zingaretti – impegnato, stavolta, in un’indagine quanto mai attuale che lo porta nello squallido e corrotto mondo dei cantieri e degli appalti pubblici.
Trama
A Vigata piove da giorni: è quella pioggia persistente che non da tregua e che travolge tutto, lasciando dietro di sé solo un mare, insinuante, di fango. E’ proprio in una di queste giornate piovose che viene ritrovato il cadavere di un uomo, Giugiù Nicotra, mezzo nudo e con un proiettile conficcato in una spalla. E’ morto in un cantiere, incastrato in una specie di galleria fatta di grossi tubi utilizzati per le condotte d’acqua dove, forse, aveva cercato di trovare scampo. Parte così l’indagine di Montalbano, lenta e scivolosa come il fango che scorre per le strade di Vigata: gli indizi però sembrano condurre tutti al mondo dei cantieri e degli appalti pubblici, quel mondo ambiguo e viscido come la melma fangosa che vi scorre all’interno. Tra ditte e funzionari corrotti, Montalbano comincia a pensare che forse il povero Nicotra, andando a morire là dentro, voleva in realtà comunicare qualcosa, che il commissario è certo di dover scoprire.
Recensione
Questa volta forse il racconto prosegue e si snoda più lentamente ma la lettura scorre, come sempre, piacevole ed interessante: gli anni passano anche per Salvo Montalbano e dopo il finale di Una lama di luce – l’ultimo della serie – che ha segnato per sempre la vita del commissario e dell’amata Livia, l’uomo appare piuttosto stanco, spossato. Forse è anche per questo che l’indagine raccontata da Camilleri parte a rilento, condizionata dal tempo e dall’umore cupo del protagonista. Ma, come dicevamo, la verve dello scrittore non si è affatto appannata ed il romanzo, connubio felice tra politica, affari illegali e giallo, intreccia ancora una volta brillantemente finzione e realtà, in un libro in cui scorrono le vicende e non mancano i colpi di scena.
E nonostante, per chi lo conosce bene, Montalbano sia un personaggio dalle parole e dalle reazioni facilmente prevedibili, Camilleri riesce ugualmente a spiazzare il lettore, costruendo un giallo coinvolgente e attuale in cui il protagonista principale appare ancor più vero, proprio perché ritratto in tutta la sua interezza, non solo di poliziotto ma soprattutto di uomo.
Caterina Padula
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 17.7.2014
Rassegne cinematografiche
«Da Troisi a Checco Zalone...»
Al Cineporto di Bari, alle 20.30, rassegna «Da Troisi a Checco Zalone - Cinema comico meridionale. Dalla tv al cinema».

Domani sera, ultimo appuntamento della rassegna con la proiezione del film «La scomparsa di Patò» di Rocco Mortelliti, tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, con Nino Frassica, Maurizio Casagrande, Neri Marcorè, Flavio Bucci, Danilo Formaggia. Ad introdurre il film insieme a Luca Cirasola, l’attore Nino Frassica.
 
 

Corriere della Sera, 18.7.2014
Televisioni
I mille volti di Andrea Camilleri
Il maestro, il letterato, il regista in un docufilm

Il docufilm andrà in onda su Rai 1 a settembre. Teresa Mannino è la narratrice che va a cercare Camilleri a casa e intervista i suoi amici.
 
 

Corriere della Sera, 19.7.2014
L'Anticipazione. I mille volti dell'autore: docufilm su Raiuno in prima serata
Viaggio in Sicilia con Camilleri
Lo scrittore visto dai suoi allievi

Teresa Mannino narratrice: così ho scoperto un maestro

Andrea Camilleri il maestro, il letterato, il regista, il funzionario Rai; Andrea Camilleri il marito, il padre, l’amico, il collega; Andrea Camilleri e la sua Sicilia, la sua casa, il suo privato; Andrea Camilleri l’insegnante, i suoi studenti, l’Accademia Nazionale d’arte Drammatica di Roma. I mille volti di un uomo che il grande pubblico ha conosciuto tardi, ma che ha mille vite da raccontare. E Rai1 le racconterà.
In un docufilm, «che molto probabilmente andrà in onda il 6 settembre, giorno del suo compleanno» (qui il trailer) spiega Giancarlo Leone, direttore di Rai1 che ha accolto con grande entusiasmo la proposta di Gloria Giorgianni (produzione Anele) insieme a Sellerio Editore di realizzare un film che tratteggiasse i mille volti di questo ottantottenne capace di incantare coetanei e giovani. Come Teresa Mannino, classe ‘70, attrice comica. È stata scelta lei come narratrice di questo lavoro. Lei che va a conoscere il Maestro e che va a cercare i suoi amici per sapere di lui. Camilleri compare nel docufilm e con lui - oltre alla Mannino - compaiono i suoi «alunni», i suoi amici di un tempo, i suoi affetti. Le riprese tra Roma e la Sicilia si sono svolte a marzo e aprile. «Quello che mi interessava di più era raccontare il Camilleri uomo - spiega Mannino in stato di grazia per quei due mesi a contatto con un “grande uomo” -. Sono tante le cose che mi hanno colpito: la perfetta fusione di ragione e sentimento. È un uomo totalmente libero che non giudica mai». Quanto la sicilianità è stata un collante per il vostro rapporto? «Importante, ma non determinante. Certo una svolta nel nostro rapporto c’è stata quando, durante il viaggio, ci siamo fermati a Porto Empedocle (dove è nato Camilleri quasi 89 anni fa, ndr ) e quando Andrea mi ha fatto conoscere le “sue” zone agrigentine».
Racconti il Camilleri più privato. Cosa l’ha colpita della vita quotidiana dello scrittore: cosa gli piace fare, come vive la vecchiaia? «È sposato da piu di 50 anni con una donna meravigliosa, donna Rosetta, che con garbo ci diceva quando era il caso di andarcene da casa perché temeva che lui si stancasse. Ma lui ci teneva lì altri 10 minuti. Anche di lei mi sono innamorata. Una bella coppia. Gli affetti per lui sono tutto. Ha tre figlie con cui ha un bel rapporto. Sono protettive e molto riservate». Mannino dice di aver cercato disperatamente qualcuno che le parlasse male di Camilleri, che le confidasse i suoi difetti. Ma niente. «L’unico che me li ha raccontati è stato Camilleri». Insieme hanno incontrato un po’ di allievi, come Zingaretti, Gifuni, Lo Cascio che sono rimasti legati allo scrittore, perché lui «è stato un insegnante non impositivo. Le lezioni continuavano anche dopo l’Accademia, a casa sua. Era generoso, si dava tanto ai suoi allievi». A firmare il film sono Claudio Canepari e Paolo Santolini. Loro due e tutti quelli che hanno lavorato al progetto sono unanimi nel definirlo «straordinario. Un uomo che ha grande successo nel mondo, non ha problemi di soldi, ma se entri in casa sua nulla è cambiato, vive come prima. È un uomo in pace che accetta tutte le fasi della vita». Tutto questo lo vedremo appunto il 6 settembre.
Sottolinea Leone: «È una operazione molto importante in prima serata, quasi ardita come quella recente su Dario Fo. Ma abbiamo il dovere di farlo e sarà sorprendente questo docufilm. Un Camilleri inedito che racconta se stesso con pudore, intimità, grazia, profondità ci fa capire il segreto del suo successo». E a lei Teresa Mannino cosa è rimasto di questo lungo viaggio con il Maestro? «Questo percorso mi ha cambiata. Guardo le cose in maniera diversa, mi viene voglia di leggere e studiare. E mi ha insegnato moltissimo. Un giorno mi ha detto: “La regia del tuo spettacolo te la devi fare tu. Chi meglio di te può saperlo?”. E io: “Ma non è presuntuoso?”. E lui: “Già quando scrivi sei presuntuoso. Portalo all’eccesso”».


(foto di Mario Proto)

Maria Volpe
 
 

l'Obiettivo, 20.7.2014
Pinzillacchere

Libri. Camilleri col suo Montalbano è sempre il primo. Nulla di nuovo con il recente: “La piramide di fango”. Gallina vecchia fa buon brodo e poi, in fondo, si legge volentieri!
[...]
Vincenzo Raimondi
 
 

Tiscali, 22.7.2014
Che dite, ne abbiamo abbastanza di Camilleri?

Credo di essere stato tra i primi ad intervistare Andrea Camilleri, quando il successo cominciava, meritatamente, a ripagarlo del tanto lavoro svolto nella sua lunga vita. Era intorno alla settantina, oggi lambisce gagliardamente i novant’anni. Accettò d’incontrarmi nella sua bella casa romana a due passi da via Asiago, sede storica di Radio Rai, e la conversazione, molto sapida e interessante, mi servì se non ricordo male (l’attività mnemonica, chiedo scusa, non è per tutti uguale) per scrivere due pezzi, destinati a due diversi settimanali.
Camilleri continuò a parlare sorseggiando birra da un boccale gigantesco. Tutto nel suo appartamento, in un palazzo umbertino del quartiere Prati, rivelava un’intensa quotidianità familiare, vecchi mobili, ambienti in penombra, niente di studiato per rappresentare l’ascesa editoriale che lo avrebbe portato alle attuali vette. Il telefono, con la segreteria perennemente inserita, continuava a squillare. Questo per dire che conservo il ricordo nitido di quell’ora abbondante trascorsa con lo scrittore siciliano nel mio più prezioso album professionale.
Ciò nonostante, impedendo all’ammirazione di farmi velo, non posso esimermi dal far notare come e quanto la tv, l’editoria e i media più in generale si occupino del venerabile inventore del commissario Montalbano. Se è innegabile che Rai1 abbia avuto il suo notevole tornaconto producendo i bei film sulle avventure del poliziotto di Vigata, tra l’altro continuamente replicate – peggio della Signora in giallo con l’ineffabile Angela Lansbury – e con ascolti altissimi, viene comunque da chiedersi se in Italia esista solo questo grande romanziere; anche volendo prendere in considerazione solo quelli viventi.
Spero non paia troppo irriguardoso paragonare l’uso merceologico del marchio Camilleri all’industria applicata alla norcineria: per la serie, non si butta via niente. Nelle librerie c’è, immancabilmente scodellato, il Montalbano estivo, La piramide di fango, sempre per i tipi di Sellerio. Così l’eccezionale Luca Zingaretti avrà lavoro fino alla pensione ma quando, tra trecento anni (augurio sincero!), Camilleri deciderà di smettere di applicarsi alla tastiera con l’abnegazione e la prolificità di oggi non si troverà neppure una paginetta inedita. Non dico un appunto per una novella, ma, che so, un biglietto d’auguri alle nipotine, una lista della spesa vergata sulla busta del pane.
E in virtù dei tanti volenterosi intervistatori, neppure una sua parola sarà stata taciuta: i giornali sono zeppi di paginate dedicate all’autore della geniale Concessione del telefono e Il re di Girgenti. Ogni lacerto di pensiero, qualsiasi elucubrazione, qualunque parto cerebrale camilleriano trova la via del pubblico presso questo o quell’editore. E poi pareri, appelli, endorsement, patrocini, gemellaggi, tagli di nastri… Camilleri è ovunque, più che uno scrittore, un'icona nazionalpopolare. Nulla di male, sia chiaro, basta chiarirsi. Vai con la celebrazione dell'ovvio, avanti con la tautologica scoperta del talento conclamato.
Non avremo neppure il tempo di riprenderci dalla fatica delle ferie, i primi di settembre, Rai1 ci prepara un documentario sulla vita dello scrittore siciliano, con Teresa Mannino e gli altri vecchi allievi dell’Accademia, Zingaretti in primis. Abbiate pietà, almeno per l’anagrafe. Sotto il peso gravoso di tanto credito e di tale vischiosa venerazione può anche venire voglia di compiere gesti apotropaici.
Mariano Sabatini
 
 

Città della Spezia, 23.7.2014
LunaticaFestival, a Borgo Panicate di Licciana “Il re di Girgenti”



Lunigiana - Si ispira all’omonimo romanzo di Andrea Camilleri e nasce da una coproduzione italo-francese di EmmeA’ Teatro (Castiglion Fiorentino) e Théâtre de l’Arc-en-Terre (Marsiglia) lo spettacolo “Il re di Girgenti”, che giovedì 24 luglio 2014 a partire dalle 21,30 presso il Borgo Panicale di Licciana Nardi verrà portato in scena dalla compagnia Emmeà Teatro nell’ambito del programma 2014 del LunaticaFestival, organizzato come sempre dalla provincia di Massa Carrara e dalla Fondazione Toscana Spettacolo.
Uno spettacolo che vede la figura del cantastorie intrecciarsi con quella dell’attore e addirittura con quella del puparo, attraverso una narrazione che, restando sempre a metà strada tra storia e fiaba, racconta allo spettatore la Sicilia sud occidentale dei primi decenni del 700, con i suoi problemi e le sue meraviglie.
Sulla scena, personaggi a tratti quasi grotteschi e a tratti decisamente umani, ma comunque sempre uguali a se stessi, alla stregua delle maschere del teatro antico, e continuamente alle prese con eventi tragicomici voluti da un destino imprevedibile. Un romanzo epico che diventa spettacolo ma mantiene la sua epicità anche nello stile, che non rinuncia ad affiancare anche sezioni di teatro popolare.
Particolare ed apprezzatissima dal grande romanziere dalla cui penna è nato “Il re di Girgenti” la presenza dei pupi, veri interpreti di una drammaturgia eroica quanto quotidiana, in una continua altalena tra essenzialità e ricchezza espressiva. Dopo lo spettacolo, che per testo, regia e interpretazione ha la firma di Massimo Schuster e Fabio Monti, per le scene e costumi quella di Norma Angelini e per le marionette quelle di Anton Duša e Jana Pogorielová, il borgo proporrà al pubblico l’iniziativa “Il paese ospita”, finalizzata a svelare al pubblico i segreti anche gastronomici di questa piccola frazione lunigianese. L’ingresso all’evento è gratuito. Il servizio Lunaticabus gratuito previsto per questo spettacolo è sold out.
 
 

La Repubblica, 23.7.2014
L'Europa diventi la terra dell'accoglienza e del rispetto
Migranti, appello al Parlamento europeo in occasione del semestre italiano di presidenza

GARANTIRE IL DIRITTO DI FUGA
Per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati interni in tutto il mondo ha superato i 50 milioni di persone. Si tratta, secondo il rapporto annuale dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), del dato più alto mai registrato dopo la fuga in massa, nella prima metà del secolo scorso, dall'Europa dominata dal nazifascismo. "La nostra è stata una generazione di rifugiati che si è spostata nel mondo come mai prima di allora", ha affermato Ruth Klüger, scrittrice e germanista sopravvissuta ad Auschwitz, "io sono solo una di quegli innumerevoli rifugiati. La fuga è diventata l'espressione del mio mondo e del periodo nel quale sono vissuta. Sono interamente una persona del ventesimo secolo. E nel ventunesimo continueremo ad avere masse di rifugiati, intere generazioni di rifugiati".
Sono parole profetiche: sempre più la fuga è divenuta espressione del nostro mondo, del tempo in cui ci è dato vivere. È una fuga che vede l'Europa come approdo, luogo di salvezza. Sulle coste meridionali del nostro continente giungono persone - uomini, donne, bambini - che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo, di cui molto spesso le politiche occidentali - connesse a un modello economico e biopolitico di spartizione - sono direttamente o indirettamente responsabili.
I rifugiati sono oggi il prodotto su scala industriale di quella grande guerra, immateriale e non dichiarata, che è la guerra contro i poveri, dove un confine netto separa chi ha diritto di muoversi da chi quel diritto si vede negato. Ma una guerra planetaria, che distingue tra soggetti di diritto e corpi marginali in balia di eventi decisi altrove, non può rendere l'Europa un filo spinato.
L'Europa che vogliamo deve essere un luogo di accoglienza, di rispetto, di dignità.
FERMARE IL RESPINGIMENTO DEI MIGRANTI
Il numero dei migranti forzati è aumentato, nel 2013, di ben sei milioni. Un incremento dovuto principalmente alla continua carneficina siriana che, a tre anni dall'inizio del conflitto, ha visto più di 2.5 milioni di persone perdere la possibilità di vivere nel proprio paese. Uomini, donne, bambini sono da mesi ammassati nella stazione Centrale di Milano, senza che il Comune - di fatto abbandonato dallo Stato - riesca a farsene pienamente carico, nonostante i molti sforzi profusi. Ma si tratta anche di schiere in fuga dalla Repubblica Centrafricana, dal Sud Sudan, dall'Eritrea, dalla Libia gettata nel caos dalla guerra occidentale - che si vanno ad aggiungere ai profughi della Somalia e del Maghreb. Uomini, donne e bambini che giungono alle nostre coste - e a Sangatte, Ceuta, Melilla - in cerca non solo della nuda vita, ma di libertà e di giustizia: di quell'inclusione nel concetto di umanità senza il quale ogni discorso sui diritti perde significato, rimanendo appannaggio di un ceto di privilegiati.
Trovano invece spesso respingimento, inferiorizzazione giuridica, economica e sociale, privazione della libertà. Molti di loro trovano la morte durante il viaggio, così che il Mar Mediterraneo si è trasformato in un cimitero dove si compie il naufragio di quello stesso pensiero di eguaglianza e solidarietà che fonda le nostre democrazie.
Non serve, allora, appellarsi a retoriche rese impronunciabili, dopo lo smascheramento del Cuore di tenebra conradiano: l'Europa non rappresenta "il faro di civiltà, la globalizzazione della civilizzazione", che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha descritto a Strasburgo, il 2 luglio, in apertura del semestre italiano di presidenza europea. L'Europa è, anche, quell'orrore che Marlow, il mercante d'avorio, figura dell'avidità e del dominio coloniale, porta in Africa; maschera che disvela fino a che punto il cuore di tenebra si trovi esattamente nella luce che la nostra civiltà ha preteso di esportare, ammantando il proprio dominio di superiorità morale.
IMPEDIRE LA STRAGE DEL MEDITERRANEO
É giunto il momento che l'Unione Europea guardi a se stessa: alla distesa, al mare di morti che le sue politiche hanno causato e continuano a causare, e che cerchi soluzioni concrete e immediate, se non vuole che i suoi stessi cittadini rifuggano lo sguardo delle istituzioni.
I quarantacinque migranti trovati asfissiati nella stiva di un barcone a Pozzallo sono le ultime, povere vittime di una carneficina immane, ma già, mentre scriviamo, se ne aggiungono altre: sono ventimila gli uomini, le donne e i bambini, conteggiati per difetto, annegati nel Mediterraneo dal 1988 in poi. Sono 500 le vittime accertate solo in questa prima parte del 2014. Una tragedia epocale, della quale non potremo dire che non sapevamo, quando sarà diventata storia. Storia d'Europa.
I cittadini europei non possono più assistere passivamente alla strage che giorno dopo giorno si svolge davanti ai loro occhi - tanto più inconcepibile quando si consideri che, nella sua Carta dei diritti fondamentali, l'Unione Europea ha dichiarato di porre la persona al centro delle proprie politiche, e ha considerato le politiche sulle frontiere, l'asilo e le migrazioni come vere e proprie politiche comuni.
Tuttavia l'Unione Europea che dal 2000 dichiara di voler prevenire e combattere il traffico di esseri umani sta, di fatto, permettendo che profughi e migranti attraversino il Mediterraneo mettendo la propria vita nelle mani di organizzazioni criminali transnazionali, perché è stato lasciato loro il monopolio del trasporto in mare.
ATTUARE I TRATTATI
La cosa è tanto più grave in quanto il Trattato sul Funzionamento dell'Unione prevede una responsabilità diretta in materia di gestione integrata delle frontiere (art. 77), di gestione di tutte le fasi del processo migratorio (art. 79), di accoglienza delle persone (art. 78) e di condivisione degli oneri, non solo finanziari, tra tutti i paesi membri (art. 80).
Si tratta di norme che, a cinque anni dall'entrata in vigore, hanno trovato solo una parziale traduzione legislativa: nella prassi si continuano a privilegiare strategie come il Global Approach for Mobility and Migration e le cosiddette Mobility partnership con paesi terzi, prive di una base giuridica vincolante, realizzate su base volontaria e senza la partecipazione in codecisione del Parlamento europeo.
Il ricorso da parte delle istituzioni a questi espedienti e surrogati, anziché agli strumenti previsti dai Trattati per la realizzazione di politiche comuni, conferma l'assenza di volontà politica da parte degli Stati membri e la pusillanimità della Commissione.
L'insuccesso di questo approccio è provato dall'incapacità di predisporre e attivare soluzioni semplici e improrogabili come la creazione di corridoi umanitari. L'inettitudine nel costruire una maggioranza fra gli Stati membri che realizzi il principio di solidarietà anche finanziaria previsto dall'art. 80 del TFUE non può essere nascosta dalla retorica del Consiglio europeo o dalla valanga di documenti, incontri e conferenze, né dal continuo rinvio al ruolo di Agenzie europee, il cui compito dovrebbe consistere nell'applicare le politiche europee, e non nel fare da schermo alla loro assenza.
Né può essere taciuta l'ipocrisia per cui le politiche di respingimento - previste da molte misure decise in sede di attuazione - vengono presentate come intese a salvare la vita dei migranti e dei profughi, quando sono proprio quelle politiche a condannarli al rischio, sempre più attuale, di morire annegati.
La responsabilità primaria di tutto questo ricade sugli Stati membri, sul Consiglio e sulla Commissione, che hanno completamente ignorato i Trattati - e in particolare le norme volte a trasformare le politiche di controllo delle frontiere, di asilo e di integrazione dei migranti in politiche europee comuni, da attuare nel rispetto del principio di solidarietà. L'ossessione della lotta contro l'immigrazione clandestina e la chiusura dei canali di accesso regolari hanno concretamente operato per accrescere, come strumento di dissuasione, il rischio patito da tutti coloro che cercano di attraversare i confini della fortezza Europa.
DISMETTERE LA FORTEZZA EUROPA
L'Unione Europea che, incapace di disegnare una vera politica comune, la affida alle proprie agenzie, come Frontex o Europol, ha di fatto abdicato alla missione che si è data con il Trattato di Lisbona e con la Carta dei diritti. Non è questa l'Europa che vogliamo, né è Frontex che i cittadini europei hanno votato lo scorso maggio.
Noi, cittadini europei, diciamo che l'Europa che ha creduto di potersi barricare in una fortezza, ha fallito.
"Non siamo noi ad attraversare i confini, sono i confini ad attraversare noi". Questo cartello esposto da un migrante durante la Freedom March, giunta il 27 giugno davanti ai giganteschi palazzi di vetro dell'Unione Europea a Bruxelles, descrive perfettamente la condizione in cui si trovano milioni di persone che cercano di entrare, o di restare, nella fortezza Europa.
La zona euromediterranea deve diventare uno spazio di cooperazione e solidarietà tra i popoli, non un'invalicabile frontiera esteriore per chi fugge da guerra e miseria, né un'angosciosa frontiera interiore, messa a separare la biografia di ciascuno, fatta di storia, affetto, legami, appartenenze.
È compito dell'Italia, in questo semestre europeo, promuovere l'attuazione organica e solidale di tutte le disposizioni dei trattati in materia di frontiere, immigrazione, asilo e integrazione dei migranti, facendosi carico di proteggere e accogliere gli sradicati e di consentire loro un nuovo radicamento, qualora lo desiderino.
PROMUOVERE UNA POLITICA COMUNE EUROPEA
Consapevoli delle responsabilità che gli Stati hanno attribuito all'Unione Europea in questi campi, occorre operare con la massima urgenza perché l'UE venga dotata degli strumenti necessari a far fronte ai flussi massicci dei profughi. L'art. 78 TFEU e la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea già prevedono la predisposizione di piani di intervento, che tuttavia la Commissione continua a guardarsi dal proporre al Consiglio.
La presunta strategia globale della Task force sul Mediterraneo, dibattuta dal Consiglio europeo e sviluppata dal Consiglio informale Giustizia e affari interni dell'8 luglio - affidata a iniziative su base volontaria, approcci diplomatici poco credibili e strumenti operativi con risorse limitate, come Frontex - è fumo negli occhi, e sicuramente non costituisce una politica comune europea all'altezza della sfida con cui l'Unione, e in particolare i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sono chiamati a confrontarsi.
Chiediamo che il Parlamento europeo, attraverso la sua commissione competente - in collaborazione con la Presidenza italiana e la Commissione - proceda entro i prossimi sei mesi a una valutazione oggettiva dell'adeguatezza delle politiche e dei mezzi messi in atto dalle istituzioni e agenzie dell'Unione e dagli Stati membri e dei Paesi terzi.
PREDISPORRE CORRIDOI UMANITARI
Nel frattempo si tratta di prevedere d'urgenza l'apertura di percorsi autorizzati e sicuri per chi lascia il territorio di nascita, di cittadinanza o di residenza - in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi ambientali, climatiche o economiche. Occorre creare un corridoio umanitario tra le coste dell'Africa e le coste europee, prima a terra e poi in mare, sotto la tutela delle Agenzie delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, così da impedire nuove tragedie e garantire l'effettivo esercizio del diritto d'asilo in tutti i paesi di transito; il che implica, al contempo, stroncare le nuove mafie dei trafficanti di uomini.
Il Parlamento europeo deve essere a questo proposito compiutamente informato delle ragioni per cui operazioni come EUBAM sul territorio libico non permettano di aggredire il traffico di esseri umani.
Occorre approntare canali di ingresso legale dove un sistema di traghetti e voli charter sostituisca le carrette del mare, e istituire postazioni dell'Onu e dell'Unione Europea nei principali porti di partenza e nei campi di transito, dove identificare, tutelare e dotare i profughi di visti provvisori.
Occorre dotare l'European Asylum Support Office (EASO) di poteri di coordinamento delle attività degli Stati membri, alla stregua di quanto fatto con Frontex in materia di controllo delle frontiere; occorre smistare gli arrivi fra i vari porti e aeroporti attrezzati per l'accoglienza, così da governare razionalmente la distribuzione sul territorio europeo dei singoli e delle famiglie; occorre far cessare l'insostenibile pressione patita dagli abitanti degli attuali luoghi d'arrivo degli scafisti, primo tra tutti Lampedusa, che spesso si trovano, con grande generosità, a supplire l'abissale assenza dello Stato e dell'Unione Europea.
Più in generale, l'Italia e tutti i popoli del Sud Europa non possono più essere lasciati soli nel gravoso compito dei soccorsi in mare, che ci riguarda tutti, come cittadini d'Europa.
ASSICURARE LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO E IL MUTUO RICONOSCIMENTO
Urge rendere permeabili i confini interni dell'Unione Europea, abrogando le norme nazionali e le prassi amministrative che nello spazio Schengen limitano la libertà di movimento delle persone, così come la libertà di scegliere dove vivere e la libertà di riannodare i propri affetti. Questo significa sanare le ferite inferte dall'applicazione deviata da parte di alcuni Stati membri del sistema di Schengen non solo alle persone, ma al concetto stesso di libertà e uguaglianza che la nostra cultura democratica afferma di voler tutelare. Chiunque si trovi nello spazio europeo, indipendentemente dalla sua cittadinanza, deve poter godere del pieno esercizio di pari diritti, così come chiede la Carta di Lampedusa, cui facciamo riferimento.
Per questo chiediamo la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti e profughi, comunque si chiamino, che configurano una forma di detenzione extra ordinem.
Urge, allo stesso titolo, il "mutuo riconoscimento" delle decisioni sull'asilo, alla stregua di quanto già avviene per le decisioni di espulsione, così che le persone siano libere nel movimento e nel ricongiungimento familiare dentro lo spazio dell'Unione. Questo implica la necessità di applicare in modo corretto, secondo le richieste del Parlamento europeo e i suggerimenti dell'UNHCR, il regolamento Dublin III, privilegiando il criterio della riunificazione familiare; così come implica la necessità di adeguare il regolamento alla recente giurisprudenza della Corte in materia di minori.
FACILITARE RICHIESTE E VISTI
Urge semplificare le procedure di richiesta dello status di rifugiato e di domanda d'asilo, così come urge l'istituzione di un sistema di visti temporanei richiedibili presso tutte le ambasciate degli Stati dell'Unione Europea nei vari paesi del mondo, per chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione o di rischio per la vita.
Occorre approntare al più presto una normativa capace di restituire dignità giuridica ai rifugiati, che metta fine alle politiche di esternalizzazione dell'asilo con cui l'Unione Europea attualmente demanda la competenza della protezione internazionale agli Stati di transito.
TUTELARE I MINORI NON ACCOMPAGNATI
Urge tutelare i minori senza accompagnamento. In Italia sono arrivati, nell'ultimo anno e mezzo, quasi 6000 minori non accompagnati. Molti di loro sono trattenuti da mesi in strutture inadeguate, che non prevedono percorsi di formazione né di integrazione; altri hanno eluso la sorveglianza e sono del tutto privi di protezione. Per sanare questa situazione è stata presentata una proposta di legge, ma i minori senza accompagnamento sono spesso in transito verso altri paesi e occorre trovare soluzioni congiunte, a livello europeo, di accoglienza, identificazione e protezione.
PROMUOVERE L'ISTITUZIONE DELLO IUS SOLI
Urge il riconoscimento di una cittadinanza europea basata sullo ius soli. Benché questo dipenda dalla competenza dei singoli Stati membri, adeguati studi e raccomandazioni delle istituzioni europee potrebbero favorire il conseguimento di tale obiettivo.
OPERARE PER UNA PAX MEDITERRANEA
Non vanno infine dimenticate le ragioni geopolitiche che sono all'origine delle crisi nei paesi terzi e che determinano il flusso dei rifugiati. Sotto questo profilo la capacità di previsione, analisi e coordinamento dell'Unione europea, dell'Alto rappresentante e dell'European External Action Service è assolutamente inadeguata. Basti pensare al fatto che se accogliessimo davvero i profughi, dando loro possibilità di avere voce e diritti, si creerebbe forse in Europa una "terza forza" in grado di rappresentare il rispettivo paese - per esempio la Siria, la Repubblica Centrafricana, l'Eritrea e tutti i paesi del Corno d'Africa - in un eventuale negoziato, più e meglio dei cosiddetti governi in esilio, che talvolta sono puri fantocci.
La crisi migratoria mostra quanto sia urgente una politica estera attiva dell'Europa, attualmente impedita non solo da sterili sovranità nazionali gelosamente custodite, ma anche dalla sudditanza dell'Unione Europea alla Nato e agli USA, che sono spesso all'origine dei conflitti che deflagrano nel mondo e soprattutto ai nostri confini.
Occorre infine un'azione coerente dell'Unione Europea nel far cessare la vendita di armi nelle aree instabili del mondo da parte di quei paesi membri, come Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Svezia, che figurano tra i dieci maggiori esportatori. Partner di questo lucroso commercio sono in gran parte proprio i paesi dai quali le persone sono costrette a fuggire per mettersi al riparo da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e soppressione delle libertà democratiche.
Poiché i rifugiati sono il prodotto della guerra, noi, cittadini d'Europa, chiediamo che la nostra pace non sia una retorica né un privilegio di asserragliati, ma si declini in politiche solidali capaci di includere i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e l'Africa.
Barbara Spinelli (MEP), Daniela Padoan, Guido Viale
Hanno aderito: Alexis Tsipras; Stefano Rodotà; Luigi Manconi; Andrea Camilleri; Umberto Eco; Curzio Maltese; Maurizio Ferraris; Moni Ovadia; Erri De Luca; Gad Lerner; Marco Revelli; Eleonora Forenza; Don Luigi Ciotti; Ermanno Rea; Enrico Calamai; Adriano Prosperi; Aldo Bonomi; Roberta De Monticelli; Sandra Bonsanti; Lorenza Carlassare; Gustavo Zagrebelsky; Moreno Biagioni; Raffaella Bolini; Ginevra Bompiani; Sergio Bontempelli; Francesca Borrelli; Alessandro Bruni; Paolo Cacciari; Maria Cristina Canziani; Alessandro Capitanio; Paolo Cento; Sergio Cofferati; Francesca Costantini; Pier Virgilio Dastoli; Pape Diaw; Giuseppe De Marzo; Giuseppe Faso; Paolo Ferrero; Costanza Firrao; Mauro Gallegati; Shady Hamadi; Antonio Ingroia; Maria Immacolata Macioti; Ivano Marescotti; Roberto Musacchio; Gabriele Nissim; Maria Pace Ottieri; Gianluca Paciucci; Argyrios Panagopoulos; Stelios Pappas; Nicoletta Parisi; Valeria Parrella; Simona Peverelli; Enrico Pugliese; Annamaria Rivera; Fabio Vacchi
PER ADESIONI: corridoio.umanitario@gmail.com
 
 

La Tribuna di Treviso, 23.7.2014
Deaver re del thriller «Un trama italiana per i prossimi libri»

Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Gianrico Carofiglio e Giorgio Faletti, hanno in comune un lettore d’eccezione. È Jeffery Deaver, il più prolifico e letto scrittore di thriller al mondo, con 20 milioni di copie vendute in oltre 150 paesi e tradotte in ben 25 lingue, che candidamente ammette di averli tra i suoi autori preferiti.
[…]
Lieta Zanatta
 
 

24.7.2014
Donne
Sarà in libreria il 27 agosto il nuovo libro di Andrea Camilleri, edito da Rizzoli.
 
 

Circolo Leopardi – Il Cannocchiale, 24.7.2014
Segnali di fumo
Andrea Camilleri, Segnali di fumo, UTET, 2014

Questo libro, che non penso di sminuire definendolo "Aforismi Camilleriani" ha un'origine giornalistica. Contiene infatti 142 raccontini, di lunghezza equivalente a circa mezza pagina, che sono più che altro opinioni dell’autore su fatti di dominio pubblico; 48 tra questi, nominati nel risvolto del frontespizio, provengono da una rubrica (Il posacenere) che Camilleri ha curato per l’edizione domenicale de “Il Sole 24 ore”.
Il libro, di lettura agevole e molto spassosa, come l’autore ci ha abituati con tutti i suoi libri migliori, è pieno di gustose trovate. Si tenga presente che le “storie”, o aneddoti che siano, sono spesso storie vere e realmente accadute: quindi non solo pensieri personali del nostro autore. Ma la forma in cui sono raccontate mi ha suggerito il termine “aforismi”, se pure – rispetto agli aforismi tradizionali – le storie raccontate risultano leggermente più lunghe. Per alcune però il termine aforisma ci sta tutto.
Il titolo, adombrato benissimo nella copertina, dove campeggia il fatto che è possibile scaricarlo in formato e-book gratuitamente, si rifà ai segnali degli indiani, che si trasmettevano le informazioni con fumate di varia durata. Camilleri, grande fumatore nell’opinione corrente, ha nel titolo dato un segnale di se stesso, della sua vera natura. E questo lo dice già nel primo raccontino, che reca l’incipit Confesso, con Neruda, che ho vissuto. Ma non c’è solo il titolo a raccontare dell’autore. In ognuna delle storielle c’è il suo stile stringato e sempre vigile, che lascia il lettore più che soddisfatto dello scorrere delle parole del libro, e delle storie che ci racconta.
La lettura agevole consente, proprio perché non si tratta di romanzo, di interrompersi dove si vuole, dato che ogni storia è diversa dall’altra. Una differenza ulteriore sta nei fatti raccontati: alcuni sono fatti apparsi qua e là nella stampa e cronaca di ogni giorno, altri sono fatti della vita dell’autore, altri citazioni da altri libri o fonti diverse.
Il libro piace subito, per questo scorrere facile e per l’arguzia con cui le storie sono raccontate. Ed è anche per permettere la lettura dell’e-book che il formato appare su metà pagina. Io ho scaricato anche l’è-book e la facilità di lettura su iPad è assolutamente identica a quella del cartaceo. Lo scarico dell’e-book è però possibile se si ha il cartaceo, altrimenti non viene consentito.
Insomma, per finire, penso che questo libro, più del predecessore “Come la penso”, rappresenti meglio, e in forma più piana e scorrevole, il pensiero attuale di questo autore magico, che pare non avere affatto gli anni che l’anagrafe gli conferisce.
Buona lettura a tutti!
Lavinio Ricciardi
 
 

Radio CRC, 25.7.2014
Esclusiva- Cesare Bocci: “Vi racconto gli esordi di Montalbano”

Cesare Bocci, il Mimì Augello vicecommissario di Montalbano, è stato ospite del Giffoni Film Festival. Disponibilità, cultura, un amore smodato per i bambini ed i ragazzi che hanno profondamente ascoltato ogni parola dell’attore marchigiano.
Radio CRC ha ascoltato in esclusiva l’artista: “Montalbano cominciò su Rai2, le prime due puntate. Che significa? Che Rai2 ha dato la libertà al nostro regista, al nostro produttore, di portare il gruppo che loro volevano. Il nostro regista prima di cominciare va in Sicilia, nelle compagnie teatrali amatoriali, con dei professionisti non professionisti, per portarli nei piccoli ruoli. Lui ha avuto la libertà di portare chi voleva. E’ stata l’esperienza di un gruppo di ragazzi che si sò sentiti addosso la fiducia vera del proprio regista e del proprio produttore. Ci siamo trovati in un mondo veramente straordinario perché poi abbiamo avuto la fortuna di avere gli scritti di Camilleri. Quando hai gli scritti di Camilleri basta dargli voce, ci metti un po’ d’accento e funziona perché quando le cose sono scritte bene funziona tutto. Alberto Sironi? Se vai a vedere il suo linguaggio, che è cinematografico e non televisivo, che ha adottato Alberto in Montalbano non lo so com’è riuscito a difenderlo perché tu vedi queste strade vuote, l’arrivo di Montalbano che lo vedi da un kilometro, lo vedi, lo fa scendere. Nelle fiction non si fa di solito, nelle fiction dicono taglia, taglia, dagli ritmo ma fare 100 tagli di inquadratura non significa dare ritmo, il ritmo te lo da l’immagine e l’intensità del testo e degli attori a meno che non fai un action ed allora non puoi mettere una macchina fissa perchè se no non ce la fai. E’ la qualità delle cose che fai a fare la differenza: lui ha creato uno Stile Sironi, glielo riconoscono in tutto il mondo. Sironi in Italia cosa fa invece? Soltanto Montalbano, ma ti rendi conto? Una pazzia, però lui è straordinario ed è stata una cosa pazzesca”.
Montalbano sta diventando troppo sciupafemmine?
“Hai perfettamente ragione, io sono il femminaro (ride, ndr). A parte tutto, è vero, è scivolato un po’ troppo nelle tentazioni. Camilleri ha fatto questa riflessione: quando uno arriva a 50 anni, tanti uomini pensano che ormai è finita, bisogna sparare le ultime cartucce e allora uno cerca le gratificazioni all’essere ancora piacente, e così è capitato a Montalbano perché lui è un uomo normalissimo. La sua bellezza, come quella di tutti gli altri personaggi, è che sono tutti normali: sbagliano. Montalbano non è un supereroe. Tante volte la fiction sbaglia perché dipinge senza macchia i personaggi invece i più belli sono proprio quelli che fanno gli eroi ma che sbagliano. Se vedi tutta la mitologia, all’inizio non vogliono essere eroi poi incontrano un mentore e fanno ciò che devono fare. Montalbano è un uomo irascibile, che va contro i suoi superiori, che sbaglia perché si addormenta e non chiama la fidanzata, perché preferisce uscire con il figlio della sua governante che va in galera piuttosto che con il questore o dalla fidanzata a Boccadasse. E’ un uomo imperfetto e Mimì alla stessa maniera ma piace per quello, perché si prende in giro da solo”.
 
 

RagusaNews, 25.7.2014
Il Commissario di Ferro
La statua che non piace

Santa Croce Camerina - In attesa che Zingaretti approvi o bocci la statua, l’opera ha colto appieno una delle caratteristiche del commissario Montalbano: “un commissario di ferro”.
Non sta mancando di suscitare la curiosità, e non di rado la critica feroce dei bagnanti e degli utenti di Facebook, la presenza della statua del Montalbano, con tanto di occhiali da sole e con un calice in mano. L’opera, che si trova a pochi passi dalla casa del commissario più famoso d’Italia, è un omaggio dell’artista Antonino Barone, fabbro e scultore del ferro per passione, che con il contributo della Banca Agricola Popolare di Ragusa, ha voluto celebrare il successo che la famosa fiction ha apportato, di conseguenza, alla borgata camarinense.
Ma, come detto, non tutti si mostrano concordi nell’apprezzare l’opera. Valentina scrive: “Non ci volevo credere ma ecco la statua di Montalbano.
Un orrore e una grande offesa alla cultura, oltre che a Zingaretti!
Nun si pò taliari mancu ri luntanu”; diversi i commenti che ne sono seguiti, tra tutti quello di Fulvio che si chiede se addirittura non sia uno scherzo. Rosa ironizza: “Montalbano non sono”, e non manca chi, ovviamente, chiede che a Ragusa sia posizionata la statua di Pennavaria.
Non mancano, ovviamente, i commenti positivi. “Noi la troviamo una bella iniziativa – commenta una coppia di turisti che ieri mattina passeggiava per la frazione di Santa Croce Camerina – è un riconoscimento importante per il vostro territorio ad un personaggio a cui certamente si devono molte delle fortune a livello turistico”. Non resta altro, a questo punto, che attendere il parere dello stesso Montalbano-Zingaretti: il commissario di ferro.
Michele Farinaccio
 
 

RagusaNews, 25.7.2014
Perché non vi piace il mio commissario Montalbano?
L'amore di Antonino per Salvo


 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 26.7.2014
La statua di Montalbano che divide un paese: “Chi lo riconosce? Non somiglia a Zingaretti”
Polemiche sull'opera dello scultore Antonio Barone collocata nella piazzetta di Punta Secca, location della famosa serie televisiva
Gli abitanti: "Bisogna giocare d'intuizione. Poi non c'è nemmeno una targa con il nome"

Santa Croce Camerina. — «Montalbano è un bell'uomo, ha fascino e un'aria imperscrutabile, non ha magari la faccia tosta dello sciupa femmine come Mimì Augello, ma con le donne ci sa fare… e questa statua lo rende troppo confidenziale, poco misterioso ». E' un pezzettino di dialogo colto al volo nella piazzetta di Punta Secca, frazione di Santa Croce Camerina, location televisiva di Marinella, dove il commissario più visto d'Italia ha la sua casa di fronte al mare. In questo pezzo di Sicilia, dove la serie tv ha fatto il miracolo facendo conoscere Ragusa in tutto il mondo e accrescendo in modo vertiginoso le presenze turistiche negli ultimi anni, da qualche giorno nella piazza di Punta Secca è stata collocata una statua del commissario. Ma è un Montalbano in versione balneare e il suo autore Antonio Barone è stato sommerso di critiche. La scultura raffigurante l'attore romano, Luca Zingaretti, che nella serie firmata Alberto Sironi interpreta il commissario divide non solo i residenti di Punta Secca, ma anche gli appassionati della fiction tv. Era già successo un'altra volta, cinque anni, per l'altra statua collocata nel corso di Porto Empedocle, il paese natale di Andrea Camilleri. Ed era stato lo stesso scrittore siciliano ad inaugurarla. Un commissario con i baffi e slanciato, poco somigliante all'attore che lo interpreta da tempo. Ma anche la statua di Punta Secca, ha poco di Salvo Montalbano.
Telo da mare, occhiali da sole e calice di vino in mano: è un Commissario aitante e fresco che emerge dal mare, dopo una delle sue nuotate catartiche, quando con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte pensa ai tanti casi ingarbugliati con cui ha a che fare e a Livia, la sua fidanzata genovese.
«Mi sembra ovvio si tratti di lui, no?» — dice lo scultore. E forse proprio ovvio non è, almeno per la gente del posto che non vi vede alcun tipo di somiglianza con l'attore romano. «Bisogna giocare d'intuizione — dice una signora abbastanza critica — perché sulla statua non c'è alcuna targhetta che possa agevolare la sua identità. E poi diciamocelo francamente: non gli somiglia per niente!». Più morbida un'altra signora: «Da qui passano tanti turisti e tutti chiedono della casa di Montalbano, pensavamo che anche la statua potesse suscitare qualche tipo d'interesse, e invece non è così. Molti non si pongono nemmeno il problema che si possa trattare di Montalbano e così tirano dritto, verso la casa del commissario e il mare». Qualcuno azzarda un selfie. «Non sono proprio identici — dice Simone da Firenze — però basta fare due più due, insomma, non serve molto». Investito dalle critiche, Antonio Barone si difende: «Che Montalbano ci abbia cambiato la vita lo si nota proprio dall'interesse che sta suscitando questa statua». E poi conclude: «Il mio intento era quello di fare un regalo alla mia città e ho pensato ad un simbolo, ad un'icona di Punta Secca, Montalbano ormai lo è, ma l'acciaio non è il bronzo, è difficile da modellare».
Federica Molè
 
 

UsignoloNews, 28.7.2014
Andrea Camilleri: Donne, nuovo romanzo in libreria da agosto

Andrea Camilleri, prolifico autore contemporaneo, regala ai suoi lettori un nuovo romanzo, “Donne“; l’opera, edita da Rizzoli, sarà acquistabile in libreria a partire dal mese di agosto. Lo scritto, com’è facile intuire, analizza e scandaglia storie e psicologie femminili.
Andrea Camilleri sembrerebbe voler mettere in evidenza che quello per per anni è stato definito “sesso debole” in realtà di debole e fragile ha ben poco. Le donne, nel nuovo romanzo dell’autore agrigentino, sono tutte forti, scaltre e quasi inafferrabili, tutte in grado di fronteggiare il loro destino.
“Donne” ripercorre i ricordi di vita di Camilleri; il giovane che per la prima volta trova il coraggio di accompagnare a casa la compagna di classe, il ragazzo che piange sconvolto davanti alla conturbante bellezza di una diva del cinema, la stessa che, inconsapevolmente, ne determinerà le scelte di vita.
Ma le donne incontrate e tratteggiate con pennellate rapide e precise sono anche figure di passaggio nella vita dell’autore; una turista tedesca che visita il borgo e desta lo scompiglio tra i paesani, una bambina che da sola riesce a far dimenticare al soldato Andrea Camilleri le brutture della guerra.
Non mancano poi gli amori, le parenti, le colleghe. Andrea Camilleri ricorda con affetto tutte le donne che gli sono passate accanto, semplicemente sfiorandolo, o che gli sono rimaste vicine per un tratto più o meno lungo del suo percorso.
La loro descrizione può essere fisica e sanguigna, ma non manca mai un pezzo di anima che si affaccia dagli occhi, dalle azioni e dalla lotta silenziosa e determinata che tutte le donne nella loro vita sono destinate a compiere; chi per difendere la libertà, chi per la famiglia, chi semplicemente per sé stessa.
Valentina Idonea
 
 

minima & moralia, 28.7.2014
un blog culturale di minimum fax
Il senso di Camilleri per la storia
In queste piovose giornate di luglio un gioco e un invito: ripercorrere la storia della nostra Unità nazionale attraverso le pagine di alcuni romanzi di Andrea Camilleri. Un omaggio a uno scrittore grandissimo, i cui romanzi storici rappresentano uno dei più intelligenti e riusciti esempi di narrazione del verosimile (del resto Camilleri ha sempre tenuto a sottolineare il debito che lo lega a Alessandro Manzoni). Solo la prima citazione è tratta da I Malavoglia di Giovanni Verga, spiegare perché sarebbe pleonastico. Spero di farvi venire la voglia (in Toscana si dice così) di leggerli tutti.

17 marzo 1861, Torino. Il Parlamento Italiano, per la prima volta riunito, proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia. Per grazia di Dio e volontà della Nazione. Ma la nazione è ancora tutta da fare. L’Italia unita, nata dal Risorgimento continua per molti ad essere ancora un’espressione, non più soltanto geografica ma anche politica. L’Italia unita dalle Alpi alla Sicilia. Mancano soltanto il Triveneto e lo Stato Pontificio. E poi manca Roma, dove Pio IX regna sullo Stato Pontificio forte dell’appoggio della Francia. Capitale d’Italia è Firenze. La Nazione che è diversa dallo Stato. La nazione comunità immaginata da un popolo che non sa sentirsi ancora uno se non quando è lo Stato a chiamare. E allora sono solo tasse e servizio militare obbligatorio:
«Nel dicembre 1863, Ntoni, il maggiore dei nipoti era stato chiamato per la leva di mare. Padron Ntoni allora era corso dai pezzi grossi del paese, che sono quelli che possono aiutarci. Ma don Giammaria, il vicario, gli aveva risposto che gli stava bene, e questo era il frutto di quella rivoluzione di satanasso che avevano fatto collo sciorinare il fazzoletto tricolore dal campanile. Invece don Franco lo speziale si metteva a ridere fra i peli della barbona,e gli giurava fregandosi le mani che se arrivavano a mettere insieme un po’ di repubblica tutti quelli della leva e delle tasse li avrebbe presi a calci nel sedere che soldati non ce ne sarebbero stati più» (Giovanni Verga, I Malavoglia, 1881)
17 giugno 1866: la Prussia apre le ostilità contro l’Impero Austro ungarico. A darle man forte l’Italia che il 20 giugno, per voce del nuovo presidente del consiglio Bettino Ricasoli, annuncia lo stato di guerra contro l’Austria. Il nuovo esercito Italiano con a capo il Re Vittorio Emanuele II e il generale La Marmora mette in campo oltre 240.000 uomini. È la Terza guerra d’Indipendenza. A combatterla per la prima volta un esercito nazionale. Un esercito di povera gente che sperimenta con la leva obbligatoria cosa significhi far parte di uno Stato Nazione.
Il professor Stocchi, testimone d’epoca, narra in un suo scritto che nei paesi dell’interno dell’isola, l’accompagnamento del coscritto alla caserma aveva lo stesso rituale di un trasporto funebre: in testa il chiamato alle armi, dietro i genitori (la madre, col velo nero a coprirsi il volto, si picchiava il petto ed emetteva urla e gemiti), dietro ancora i fratelli, le sorelle, i cugini, gli amici tutti rigorosamente in nero. Non si trattava di cose di vento, di fantasia: la leva obbligatoria sottraeva alla famiglia contadina le forze di lavoro migliori e veniva a “costituire, per il ceto rurale povero, una durissima imposta materiale, oltre che morale, in quanto per quattro o cinque anni di servizio militare, venivano perdute migliaia di prestazioni giornaliere di lavoro”. Gli effetti della leva obbligatoria furono immediati: la renitenza si diffuse a macchia d’olio (e i renitenti andavano a ingrossare le fila dei latitanti e dei briganti); con la complicità di alcuni ufficiali dello stato civile molti neonati furono iscritti nei registri come appartenenti al sesso femminile; alcuni giovani vennero dai genitori portati sull’orlo della tomba con digiuni ed erbe magiche per renderli disabili; diminuì sensibilmente la nuzialità e soprattutto toccò livelli minimi il grafico delle nascite. Ma si badi bene: l’apparente volgarità del verbo adoperato, futtiri, vuole con reale pudore nascondere sentimenti puri come lo sposarsi, il fare l’amore, l’avere figli, allevarli. (Il gioco della Mosca, Sellerio, 1995, pp.  60-61)
e ancora
Dei fatti che stavano succedendo in paese e di cui in qualche modo gli era giunta l’eco manco ne parlavano: “cu veni appressu aggruppa i fili”, e loro sempre sarebbero venuti appresso a fare il lavoro ingrato, speranza nessuna ne tenevano di cangiare posto, magari se qualche pazzo andava dicendo a mezza bocca che con i Fasci le cose sarebbero cambiate; “storia è e storia sarà”; salta il trunzo e va in culo all’ortolano diceva il proverbio, e loro ortolani erano. Per esempio, a Garibardo, che magari lui era venuto trent’anni prima a contare chiacchiere e tabacchiere di legno, glielo avevano cantato latino: Vulemo a Garibaldi cc’un pattu: senza leva! Ca s’iddu fa la leva canciamu la bannera. E com’era finita? Erano dovuti partire per la leva e la bandiera non si era più potuta cangiare. (Un filo di fumo, Sellerio, 1997, p. 70)
Dall’Italia unita in molti si aspettano una riforma agraria che metta fine all’iniquo sistema del latifondo in vigore nel regno delle due Sicilie. Ma la riforma non arriva. Scoppiano varie rivolte che settori filo borbonici della società non esitano a strumentalizzare. Si organizzano bande formate da popolani guidate da capi carismatici che vengono chiamati subito briganti.  Nel volgere del primo decennio unitario i disordini si propagano dall’Irpinia al Molise, dall’Abruzzo alla Basilicata fino alla Puglia e alla Calabria. 50.000 soldati del regio esercito vengono inviati nelle province meridionali al comando del generale Enrico Cialdini. Gli scontri che ne seguono sono violentissimi. Vengono bombardati villaggi, muoiono centinaia di civili rei di aver dato ospitalità ai briganti. Nel 1862, a solo un anno dall’Unità, il governo di Urbano Rattazzi dichiara lo stato d’assedio in Sicilia e nelle province del mezzogiorno continentale. È la prima di una lunga serie di leggi speciali volte a eliminare il problema del “brigantaggio”  nel sud.
Brigantaggio l’ho scritto tra virgolette per farmi arrasso dalle tesi della storiografia ufficiale, almeno come ancor oggi risulta dai libri di scuola, che mistificano, spacciano per banditismo quella che in realtà fu anche una gigantesca rivolta contadina. E valgano le cifre. Dal Quadro numerico approssimativo fornito dal Gran Comando militare di Napoli (approssimativo per “mancanza di tempo” specifica lo stesso estensore del rapporto, generale Pompeo Bariola, personaggio che ritroveremo in seguito) e da altri documenti ufficiali risulta che la repressione contro il “brigantaggio”, nel periodo compreso tra il primo giugno 1861 e il 31 dicembre 1865, portò a questi tre risultati: fucilati o uccisi in combattimento: 5212; arrestati: 5.044; presentatisi (arresisi cioè): 3.587; per un totale di 13.843 persone.
(…) Un po’ troppi per trattarsi di puri e semplici banditi da strada. E del resto uno scrittore abbastanza lontano dai problemi del meridione come Riccardo Bacchelli tutto questo l’ha intuito nel suo bel racconto Il Brigante di Tacca del Lupo. Comunque fra quei morti c’era sicuramente incluso (…) il generale spagnolo Josè Borjes. Borjes era nato in Catalogna ed era figlio di un ufficiale fucilato nel 1833: aveva partecipato alla guerra partigiana carlista e da semplice sottufficiale era diventato, nel 1840, comandante di brigata. Andato in esilio, aveva vissuto a Parigi come rilegatore di libri e qui era stato scovato e arruolato dal comitato borbonico presieduto dal principe di Scilla. Gli venne assegnato il compito di sbarcare in Calabria e di assumere il comando di tutte le forze filo borboniche, briganti e no. A metà settembre del 1861 toccò terra a Bruzzano sul litorale jonico, con 17 compagni da lui personalmente convinti all’impresa. Era partito da Malta.
In pochissimo tempo si fece alleato un ex sottufficiale borbonico diventato brigante di primissimo rango, Carmine Crocco, e diede inizio a una impresa veramente leggendaria che mise spalle a muro l’esercito italiano. Era l’abbiamo detto un tecnico della guerriglia. Venne catturato nei pressi di Tagliacozzo ai primi del dicembre dello stesso anno, più per un personale scoramento che per effettiva sconfitta. La sua fucilazione fu eseguita poche ore dopo per ordine del maggiore dei bersaglieri Franchini, uno che aveva il plotone di esecuzione facile, e sollevò supposizioni, interrogativi e voci indignate magari nel nostro parlamento. Borjes portava sempre con sé un taccuino: veramente le macchie che facevano illeggibili qualche parola trasudavano travaglio e sangue, ma quello che più colpiva, a parte le notazioni sulle battaglie e sugli scontri, era l’attento commento ai modi di coltura agricola dei territori che via via conquistava. Il suo braccio destro, il brigante Crocco, diarii non ne tenne ma in compenso ebbe modo, in galera e in attesa di processo, di scrivere le sue memorie.
Crocco a un certo punto racconta che un momento delicato della guerriglia fu durante la marcia di avvicinamento a Stigliano (che poi venne conquistata). In quella precisa situazione le truppe italiane avrebbero potuto stroncare le forze di Borjes, invece si limitarono a tallonarle a debita distanza. Non si trattò di un errore tattico, spiega Crocco, ma di un preciso accordo, una componenda, fatta tra lui e il generale Della Chiesa o Dalla Chiesa come appare in altri documenti, comandante dei reparti italiani (…). L’oggetto della componenda Carmine Crocco non lo rivela ma si può e si deve facilmente pensare che si trattasse di tradire lo spagnolo. Può darsi benissimo che il brigante menta, però è documentato che Della Chiesa venne privato del comando e deferito al consiglio di disciplina. Ma prima di essere destituito definitivamente, Della Chiesa si dedicò anima e corpo a una vera e propria strage di contadini. Nel dicembre 1861, lo stesso giorno in cui Borjes e i suoi morivano fucilati (sarebbe meglio dire ammazzati) il generale La Marmora scriveva a Petitti, ministro della guerra, che Della Chiesa “nulla fece e ora fucila tutti quei che trova, senza pur ancor sapere ricavare quei ragguagli che ci sarebbero preziosi”. È evidente che Della Chiesa fucilava a ragion veduta: proprio perché quei ragguagli non venissero fuori, perché della componenda fatta con Crocco non restasse traccia alcuna.
 (La bolla di componenda, Sellerio, 2004, pp. 19-21)
Il disarmo dei briganti avviene solamente nel 1870. Senza che nulla nei fatti sia cambiato. La repressione nel sangue di numerosi episodi di resistenza non appianerà del tutto la questione; lascerà anzi in non poche aree del nuovo Stato nazionale una sorta di malcelata simpatia per tutte quelle organizzazioni – anche decisamente illegali e con finalità criminali – che si promuoveranno agli occhi dei più emarginati come soggetti capaci di una protezione non solo migliore di quella dello Stato, ma contro le prevaricazioni vere e presunte dello Stato. Precostituendo anche il terreno di coltura di uno dei fenomeni più devastanti ed “esclusivi” della storia nazionale italiana contemporanea: il controllo di interi territori da parte di forze criminali (mafia, camorra ecc…) capaci di coniugare con specifici interessi criminali una diffusa e profonda ideologia antistatuale. Che esista una problema meridionale, una questione, se ne accorge anche il Parlamento che nel 1875 decide di inviare una Commissione a studiare per quale motivo ancora una volta si sia reso indispensabile istituire misure eccezionali di pubblica sicurezza nel governo della Sicilia. (Giovanni De Luna, Fare gli Italiani).
Circa quindici anni fa, attorno al 75, stava dicendo il marchese Curtò, sbarcarono in Sicilia due commissioni d’Inchiesta, dico due, e magari nei nostri paraggi vennero, mettendosi a fare una tale quantità di domande che pareva d’essere tornati a scuola. (…) Quelli ogni volta che calano dalle nostri parti vengono sempre coll’aria di doversi insegnare qualcosa. Al principio queste commissioni parevano una cosa seria, e invece qual è stato il risultato? Tutti i signori commissari si sono lasciati fottere da questa storia della mafia e si sono messi a scrivere cose di fantasia. (…) Mettiamo che la Sicilia sia un albero, va bene? Un albero malato. Questi signori hanno cominciato a fare “quest’albero ha nel tronco macchie così e così, ha i rami mezzo purriti, ha le foglie metà di questo colore e metà giallose, e quindi se ne sono tornati a casa loro contenti e felici. Franchetti e Sonnino poi hanno scritto magari, che il governo non aveva fatto altro che mandare da noi in Sicilia i peggio impiegati e il peggio personale di polizia. All’annegato pietre addosso. Cioè se un albero è già malato e io ttti i giorni ci piscio sopra , l’albero muore più di prescia. Ma questo non significa che è stata la mia pisciata a far ammalare l’albero. Può darsi che leragioni sono più lontane, magari fra le radici sotto terra, e allora bisogna avere gana di scavare non sapendo cosa intanto trovi, un nido di vipere, una pietra ferrigna che t’azzanna lo scarpone. Non solo bisogna essere medici bravi per scoprire una malattia, bisogna magari saperla curare. (Un filo di fumo, Sellerio, 1997, pp. 35-38)
I primi governi nazionali hanno la ricetta per curare le ferite di questo nuovo Stato. Intanto il diritto: unificare i codici. Poi provvedere a un moderno sistema scolastico. Quindi riformare l’amministrazione. Hanno fiducia nel’estensione di un modello burocratico di tipo piemontese, in grado di controllare in modo verticale l’andamento della cosa pubblica. Prefetti vengono inviati in tutta Italia a vigilare sugli affari nazionali. Ma spesso le Autorità non sono all’Altezza:
Se Vossignoria oso disturbare, piuttosto che indirizzarmi ad altra autorità a V.E. sottomessa, ciò è da rinvenire nella cagione che nella generalità rende i miei compatrioti riottosi ad illuminare i Funzionari responsabili circa fatti e circostanze che in quale che siasi altra parte del Regno troverebbero largo concorso di testimonianze e dichiarazioni. Non crede infatti ella che se l’Autorità ispirasse maggiore fiducia ne’ cittadini, molti che oggi non la soccorrono per timore della provata potenza de tristi, e per convinzione della debolezza e financo connivenza di certe Autorità, altrimenti obbedirebbero alla legge a fronte di Funzionari più abili, e più forti o quantomeno più circospetti? Non è stata sovente notata ne’ Funzionari, o in taluni di essi, negligenza abituale, aborrimento dal lavoro, eccessiva pigrizia e mollezza nel compiere il servizio, mancanza di assiduità e di zelo? E quante volte è avvenuto che siano state commentate dal pubblico abituali relazioni di Funzionari con individui pregiudicati nella comune opinione? Ma io non sono qui tratto per interporre processo ai modi co’ quali la cosa pubblica viene condotta – per quanto da Italiano sincero abbia di ciò non solo diritto ma dovere a lagnarmi – (…) (Un filo di fumo, Sellerio, 1997, p.56)
Alcune storie sono degne di nota. Come una di quelle raccontate negli Atti dell’Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia del 1875. Una storia dell’Italia unita. La storia di un Prefetto fiorentino che si intestardisce a imporre agli abitanti di Caltanissetta un’opera ai più ignota Il Birraio di Preston:
Dopo il Prefetto Polidori, un buon Prefetto che aveva fatto marciare la macchina amministrativa venne Fortuzzi. Si figuri la Commissione, Fortuzzi voleva studiare la Sicilia attraverso le figurine incise nei libri. Se un libro, unastoria di Sicilia, non aveva figure, non aveva importanza. Fortuzzi arrivò persino a fare il buttafuori del teatro, ad eccitare gli artisti a cantare, ad onta che un pubblico scelto disapprovava l’opera il Birraio di Preston. Voleva imporre anche la musica a noi barbari di questa città. E con il nostro denaro. Eppure il Birraio di Preston ebbe delle vittime: un povero diavolo impiegato postale che disapprovava il Birraio fu traslocato e dovette abbandonare il posto perché non aveva che 700 lire all’anno di stipendio e non poteva allontanarsi da Caltanissetta. (Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, ed. 1968, pp. 730-731)
Esiste fra il nord e il sud del paese una incomprensione profonda e una profonda diffidenza. I quotidiani hanno una tiratura essenzialmente locale. Quando nel 1876 il conservatore Torelli fonda a Milano Il Corriere della Sera lo fa per dare voce non tanto all’Italia unita quanto alla nuova classe dirigente del triangolo industriale. A Roma nel 1878 viene fondato il Messaggero. A Napoli pochi anni dopo, nel 1892 Edoardo Scarfoglio fonda il Mattino Voci diverse. Distanti. Sono le voci della nuova opinione pubblica che si forma nell’Italia unita. Ma quanti possono leggere? Al momento dell’unificazione il 70% degli italiani è analfabeta. Il sistema scolastico in gran parte è affidato alla Chiesa. Fino al 1877 quando con la legge Coppino l’istruzione primaria diventa gratuita e obbligatoria.
E assieme agli uomini di mare, agli spalloni, a non contare c’erano i carrettieri, o meglio i conduttori di carretti, perché cavallo e carretto non gli appartenevano, rimbecilliti dal percorso sempre uguale dal deposito di sulfaro alla plaja e dalla plaja al deposito, e più corse facevi, più guadagnavi ma attento a non strappiare il cavallo, a non rompere una ruota, allora ti giocavi due o tre settimane di una paga già ridotta all’osso dalla percentuale dovuta al padrone di cavallo e carretto; a non contare c’erano i pirriatori delle cave e i minatori di sulfaro e di sale, che gli occhi gli lacrimavano quando tornavano a vedere il sole e la notte la tosse li martoriava, i polmoni fatti più polvere e pietra che carne; a non contare c’erano i pescatori delle paranze che dopo una giornata di mare tinto nella quale s’erano giocati la vita, si portavano a casa mezzo chilo di trigliola che doveva levare la fame a dieci persone (pesce di scarto che quella gente grama non pesca per sé ). Ma dato che si era fatta l’ora di mangiare pure loro che non contavano stavano mangiando. Lo facevano però con fantasia, perché c’era da prendersi per il culo, convincersi cioè che la scanata di pane di frumento da un chilo fosse appena bastevole per il companatico che non andava più in là di una sarda salata, di un uovo ciruso, di un pugno di olive.
Allora si faceva penzoliare dalla cima di una canna la sarda salata e si dava un mozzicone al pane e una leccata alla sarda, una sola passata di lingua pelle pelle: i denti sulla sarda si cominciavano ad adoperare verso la fine, quando il rapporto fra il pane e il companatico era diventato cosa ragionevole. Oppure si metteva in bocca tutto intero l’uovo ciruso, che per questo scopo doveva essere ben sodo, lo si teneva un poco fra la lingua e il palato e poi sempre tutto intero lo si ritirava fuori e su questo sapore uno poteva mangiarsi magari mezza scanata, e capace che in caso di bisogno l’uovo era ancora buono per il giorno dopo. I più fortunati, quelli ai quali il lavoro dava diritto per tradizione alla calatina, al companatico a spese del padrone, mangiavano caponatina, un’insalata di capperi, sugo, sedani e melanzane annegati nell’aceto, e si sentivano meglio di un re. Perché era martedì, e di martedì non c’era cotto nelle famiglie: il fonello di casa veniva solamente acceso il giovedì e la domenica, quando si calava la pasta.
(Un filo di fumo, Sellerio, 1997, pp. 68-69)
Ma i poveri, gli analfabeti sono pericolosi:
Mi vien fatto inoltre di considerare la situazione politica dell’Isola (e particolarmente di quest’orrida provincia) del tutto simile a un cielo coperto da nubi spesse e minacciose, foriere di imminenti tempeste. Come Voi ben sapete, turbolenti e dissennati agitatori bakuniani, maloniani, radicali, anarchici, socialisti, percorrono indisturbati il paese spandendo ovunque a piene mani il tristo seme della rivolta e dell’odio. Che fa il solerte e vigile contadino? Quand’egli vede nel canestro colmo d’appetitosa frutta una mela marcia, non esita immantinenti a gettarla via, perché non infetti di sé e il contagio non si propaghi. Di contra, qualcuno in alto loco pensa che non si debbano mettere in atto provvedimenti che altri ritener potrebbero repressivi; ma intanto, mentre si parla e discute, il mal seme alligna, mette salde ma purtroppo invisibili radici. E difatto essi sono abilissimi nel celare frequentemente i loro turpi proponimenti sotto apparenze di civile convivere. (La concessione del telefono, Sellerio, 1998, p. 29)
La repressione è durissima. Nel complesso, il numero delle vittime raggiunto nel giro di dieci anni supera quota 5.000. Tra la fine dell’anno 1893 e l’inizio del 1894 in Sicilia scoppiano tumulti e dimostrazioni di protesta. Il centro propulsore della rivolta sono le province di Enna e Catania, dove, nel maggio del 1891 il deputato socialista Giuseppe De Felice Giuffrida aveva fondato i Fasci dei Lavoratori siciliani. Le rivolte del popolo siciliano si scatenano all’inizio di dicembre del 1893. Il 24 dicembre, il governo presieduto da Crispi proclama lo stato d’assedio nell’intera isola di Sicilia. Vengono inviati più di 30.000 soldati per ripristinare l’ordine pubblico. Il generale Morra di Lavriano viene nominato Commissario con pieni poteri.
L’episodio più grave di sollevazione popolare avviene a Valguarnera (in provincia di Enna) il giorno di Natale del 1893: i lavoratori del luogo marciano verso il centro della città, incendiano i locali del comune, assaltano le case dei notabili, bruciano le carceri e gli uffici postali, procedono a saccheggi e distruzioni. Nel giro di pochi giorni la rivolta si estende ad altri centri della Sicilia e molti lavoratori perdono la vita negli scontri con l’esercito e la polizia: il 25 dicembre a Lercara ci sono 11 morti; il primo gennaio del 1894 a Pietraperzia si contano 8 deceduti fra la gente del popolo; tra il 2 e il 3 gennaio muoiono più di 40 persone nel corso delle manifestazioni avvenute a Belmonte, Mazzarino, Camporeale, Gibellina Marineo; il 5 gennaio 14 persone muoiono nel corso di una protesta organizzata a Santa Caterina Villarmosa. Nei mesi di aprile e maggio del 1894, il tribunale militare condanna i membri del Comitato Centrale dei Fasci siciliani: 18 anni di reclusione vengono inferti a De Felice Giuffrida, il fondatore dei Fasci di Catania.
Io ho visto l’esercito italiano, in più occasioni,e sempre più frequentemente, sparare su gente che protestava perché stava a muriri di fame. Hanno sparato macari su fimmine e picciliddri. E io ne ho provato raggia e vrigogna. Raggia perché non si può restarsene freschi e tranquilli a vedere ammazzare persone ‘nnucenti. Vrigogna perché io stesso, con le mie parole, i miei atti, con gli anni di galera, con l’esilio, ho dato mano a fare quest’Italia che è ad diventata così com’è, una parte che soffoca l’altra e se si ribella, la spara. (Andrea Camilleri)
Vanessa Roghi
 
 

exibart, 30.7.2014
Andrea Camilleri alle prese con una storia d’amore e folle gelosia. Protagonisti Oskar Kokoshka, Alma Mahler e una bambola

Nel romanzo La creatura del desiderio di Andrea Camilleri, il mito di Pigmalione viene ribaltato in una chiave contemporanea e prosaica. Lo scrittore siciliano rievoca, in una narrazione lineare e dallo stile quasi cronachistico, la storia d’amore e di ossessione tra il pittore Oskar Kokoshka e Alma Mahler: due personaggi che, per ragioni diverse, dominano la scena culturale e artistica della Vienna di inizio Novecento.
Nel mito antico l’artista realizza il modello perfetto che la dea Venere può rendere vivo; per il pittore viennese l’ideale irraggiungibile è rappresentato da una donna reale, ma ormai perduta di cui desidera la riproduzione perfetta.



Alma Mahler aveva conquistato Vienna con la sua straordinaria bellezza; ancora giovanissima era stata l’amante di Klimt e poi aveva sposato il celebre compositore Gustav Mahler. Alma amava essere corteggiata ma non dagli uomini comuni «le interessano gli artisti, i musicisti, gli scienziati e tra essi sa perfettamente distinguere quelli con i quali intrattenere rapporti di semplice amicizia da quelli coi quali può concedersi rapporti molto più intimi. Ma di questi ultimi non intende solo essere l’amante, ma qualcosa di più, una sorta di musa ispiratrice», osserva Camilleri.
Oskar Kokoshka era tornato a Vienna nel 1911, viveva protetto dalla madre e stava conquistando la scena artistica. La donna chiede all’artista di essere ritratta e così inizia una storia d’amore appassionata, turbolenta e ossessiva fatta di viaggi, lettere e gelosia.
L’insicurezza di Oskar toglie il fiato: Alma deve rinunciare alle sue frequentazioni abituali e azzerare il suo passato; «la gelosia verso il passato di una donna è la forma più disperata e devastante di gelosia», sentenzia Camilleri. Il dubbio si insinua nella coppia e con le sue ossessioni, Oskar allontana Alma. Risale a questo periodo burrascoso la celebre opera La sposa del vento. L’opera ora a Basilea è nota anche con il titolo La tempesta, risale al 1914 e documenta la rottura definitiva: in un turbinio di colori, Kokoshka rappresenta due figure nude che si abbracciano, probabilmente lui e Alma, circondate dai un paesaggio notturno e inquieto.



Sopraffatto dal dolore, a 28 anni, parte in guerra; neanche la notizia delle gravi ferite riportate da Oskar distoglie Alma dal proposito di non rivederlo mai più. Intanto questo amore ossessivo e la malattia mentale che Oskar cerca di curare a partire dal 1917 si fondono in un nuovo macabro progetto: la costruzione di una bambola che riproduca esattamente il corpo di Alma. Richiede un lungo lavoro, lettere con minuziose descrizioni del corpo dell’amata e disegni per realizzare il simulacro perfetto: per la bambola Alma, Kokoschka sceglie abiti bellissimi e raffinata lingerie francese, organizza ricevimenti e serate a teatro e la ama con passione, possessività e turbamento fino ad ucciderla accecato dalla gelosia.
La fine della bambola non rappresenta la conclusione di questa folle storia d’amore, ma un accecamento parossistico che sfugge al controllo, alla razionalità, al comune senso del sentimento. Questa morte simbolica non aiuta il protagonista a ritrovare sé stesso, ma segna lo scacco definitivo dell’uomo e dell’artista che ormai in qualsiasi oggetto rappresentava una donna lontana che sentiva ancora come propria.
Andrea Camilleri ricostruisce la vicenda basandosi sugli scritti degli stessi protagonisti e sulle loro lettere, scelta che conferisce realismo e veridicità ad una storia a tratti surreale. La creatura del desiderio non è l’unico romanzo di Camilleri ispirato alle vite degli artisti, ma forse quest’ispirazione non è la più congeniale allo scrittore, il lettore abituato alle sue vivaci descrizioni non vi ritrova la pittoresca ricostruzione storica tipica de suoi romanzi, né la narrazione ironica e incalzante che caratterizza le avventure del commissario Montalbano.
Se in questi casi, il fatto storico costituisce l’ispirazione per una narrazione serrata e coinvolgente, nel caso della Creatura del desiderio la creatività dello scrittore si snoda in una vicenda disperata, narrata con un incedere sobrio e lineare e con un linguaggio impeccabile, privo delle contaminazioni dialettali tipiche di Camilleri. Lo scrittore conserva un perfetto equilibrio tra il decoro narrativo e una materia delicata e racconta con garbo una vicenda che facilmente poteva scadere nella volgarità.
 
 

La Stampa, 31.7.2014
Scrivendo scrivendo mi allungo la vita
“Tre ore tutti i giorni, per mantenermi in esercizio” I segreti dello scrittore fenomeno dell’ultimo ventennio



“Quando mi siedo davanti al computer io in realtà metto in bella le idee che sono andato pensando il giorno avanti. Una volta finito il romanzo, però, lo lascio «decantare» per un mesetto, poi ci rimetto mano. La scrittura di un Montalbano dura in media tre mesi”
“Procedo così: scrivo una pagina, poi la stampo e me la leggo e rileggo ad alta voce: la lettura ad alta voce è per me fondamentale, perché sento il ritmo del racconto, e dove trovo un intoppo cerco di sciogliere, di correggere. Finché non sono soddisfatto”

Camilleri, ma si rende conto? Se avesse sempre mantenuto il ritmo degli ultimi vent’anni, forse avrebbe battuto il record del suo amato Simenon. Invece, prima, soltanto quattro titoli: dal 1959, quando, trentaquattrenne, pubblicò un seriosissimo studio su I teatri stabili in Italia 1898-1918, ai tre romanzi usciti tra il ’78 e l’84. Poi, nel ’92, La stagione della caccia, e da allora l’esplosione: perché così tardi?
«Perché è solo dal ’92 che mi sono dedicato esclusivamente alla scrittura. Prima mi occupavo anche di teatro, televisione, radio, insegnavo al Centro Sperimentale di Cinematografia, all’Accademia d’Arte Drammatica…».
Ecco, appunto: era distratto. E tra le occupazioni che lo distraevano c’era proprio (anche) il Maigret di Simenon, il commissario della Sûreté parigina di cui curava le sceneggiature per la serie con Gino Cervi nella tv in bianco e nero degli anni 60. Come se lo stesso scrittore belga, autore di 224 romanzi lunghi (di cui solo un terzo polizieschi) e circa 450 tra romanzi brevi e racconti, avesse presentito l’insidia, si fosse voluto cautelare.
E ora che Camilleri di anni ne ha quasi 89, la stessa età raggiunta dal papà di Maigret, e ha anche lui un suo commissario noto ai lettori come al più vasto pubblico televisivo, è il momento di fare due conti: 22 romanzi della serie Montalbano e 23 di quella cosiddetta storica e civile pubblicati con Sellerio (che gongola: 18 milioni di copie vendute, diritti ceduti in 35 Paesi), a cui bisogna aggiungere le innumerevoli raccolte di racconti e i romanzi e i saggi di varia natura, che spaziano dall’Otto-Novecento (ma anche molto più indietro) ai giorni nostri, dalla critica alla linguistica all’arte all’attualità. Senza che la quantità nuoccia mai alla qualità. Un vero Stakanov della produzione letteraria, con una media di quattro titoli nuovi ogni anno (ma punte anche di otto-nove, includendo gli scritti occasionali), per un totale di un centinaio di volumi.
«Sì, sì…», riconosce lui.
E oltre ai libri ci sono gli articoli per giornali e riviste, le prefazioni, e naturalmente la collaborazione all’adattamento televisivo di Montalbano, e le prese di posizione e gli interventi nel dibattito politico da intellettuale naturaliter impegnato a sinistra. Ma è soprattutto quella cifra che fa impressione…
Cento libri in 22 anni, è mostruoso: Camilleri, un po’ non è spaventato?
«Sì, dicono tutti che io scrivo troppo, però non so che farci. Nel momento in cui smetterò di scrivere credo che avrò poco da fare su questa terra. Cerco di allungarmi la vita scrivendo».
Andrea Camilleri parla nello studio lungo e stretto della sua casa romana vicina alla Rai, dove ha lavorato per una vita, nell’altra sua vita. La voce è quella cavernosa di sempre, come nella famosa imitazione di Fiorello («No, non ho smesso di fumare, ormai i medici si sono stancati. Solo al whisky ho rinunciato, è l’unica concessione che gli ho fatto»). È in partenza per la montagna, dove passerà l’estate: scrivendo. Intorno ci sono quadri e sculture (Canevari, Messina, Greco, Attardi: i suoi amici), fotografie e poster, i suoi cd di jazz, scaffali rigurgitanti volumi. È qui che nascono, in gran parte, i suoi libri.
Ma com’è: nella vita di prima queste storie non le urgevano dentro? Oppure non le venivano proprio le idee?
«Le idee mi venivano, ma non mi piacciono le interferenze mentre faccio un’altra cosa. Siccome sono un uomo ordinato, le mettevo accuratamente da parte. E ogni tanto le utilizzavo. Infatti capita spesso che gli ex allievi dell’Accademia mi dicano: queste storie le abbiamo già sentite, Andrea. Perché me ne servivo per fare esercizi di recitazione. Ma non le mettevo per iscritto: erano storie che avevo nella mia memoria».
E poi le ha ritirate fuori quando ha cominciato con i romanzi.
«Soprattutto nel caso dei primi due, Il corso delle cose e Un filo di fumo: sono i libri che ho maturato più a lungo dentro di me. Ne raccontavo episodi, pezzetti. Tessere di un mosaico, che poi quando ho cominciato a scrivere ho messo assieme».
Quindi i suoi libri sono tutti scritti sul momento, non è che sta svuotando i cassetti.
«Tutti freschi di giornata, come le uova! Nessun cassetto da svuotare. Casomai, per ragioni di opportunità editoriale, può accadere che si rimandi la pubblicazione di un libro di uno o due anni».
Come si fa a scrivere così tanto? Quanto tempo le occorre per completare un romanzo?
«In realtà quello della scrittura è una sorta di momento conclusivo, perché nel corso della giornata, anche se sono impegnato in altre faccende di poca importanza, continuo a pensare al romanzo che ho in mente. Quindi va a finire che quando mi siedo davanti al computer io in realtà metto in bella alcune idee che sono andato via via pensando il giorno avanti. Questo, insieme con una sistematicità di orario, quasida impiegato, dalle 7 e mezzo-otto fino alle 11 del mattino, mi consente di scrivere tanto. Una volta finito il romanzo, però, io lo lascio “decantare”, lo lascio per un mesetto, poi ci rimetto mano, me lo rileggo tutto, lo correggo… La durata di scrittura di un Montalbano è in media tre mesi».
La prima stesura, prima della decantazione, quanto tempo porta via?
«Parecchio. Vede, succede così: io scrivo al computer una pagina. Dopodiché questa pagina la stampo e me la leggo e rileggo ad alta voce – la lettura ad alta voce per me è fondamentale, perché sento il ritmo del racconto, e dove c’è un intoppo, un ingorgo, mi rimetto al computer e cerco di sciogliere, di correggere, finché non sono soddisfatto. Diciamo che una pagina viene riscritta minimo tre o quattro volte».
Ci sono periodi dell’anno più produttivi?
«No no, io scrivo tutti i giorni. Anche se non ho niente da raccontare: scrivo a un signore che ho incontrato per caso a un’edicola che comprava dei giornali diversi dai miei…, gli scrivo una lettera, che poi naturalmente cancello. Ritengo assolutamente indispensabile mantenersi in esercizio. Come un pianista».
Luoghi preferiti?
«Naturalmente quando sono qui a Roma scrivo nel mio studio, ma posso scrivere dovunque, non ho preferenze o rituali particolari. Per esempio nei giorni scorsi sono stato in campagna da mia figlia, e lì ho lavorato col portatile».
Come nascono le sue storie?
«Io sono assolutamente incapace di inventarmi una storia ex novo, credo che non mi sia accaduto più di tre o quattro volte. Per ciò che riguarda la serie di Montalbano mi servo di vecchie notizie che poi rielaboro fino renderle irriconoscibili. Nel caso degli altri romanzi parto da pagine e frasi lette in qualche saggio storico, che mi sono rimaste particolarmente impresse e mi hanno “eccitato” la voglia di ricamarci sopra».
Quanti libri già pronti giacciono da Sellerio, in attesa di essere pubblicati?
«I Montalbano saranno… aspetti… uno, due… cinque, mi pare».
Quindi si può dire che l’editore non riesce a stare dietro al suo ritmo di scrittura.
«Beh sì, certo, anche lui deve spaziare. Mica può fare una casa editrice soltanto per me».
C’è un romanzo che giace da molto tempo?
«L’ultimo Montalbano, che ho scritto nel 2005, quando ho fatto 80 anni. Mi era balenata l’idea di come far finire la serie, e temendo la vecchiaia l’ho concluso subito e mandato a Elvira Sellerio, che era ancora viva, perché lo pubblicasse quando avrei smesso di scrivere sul commissario. Nel finale c’è una contrapposizione tra il personaggio letterario e quello televisivo, ma Montalbano non va in pensione e non muore: sparisce come personaggio, e quindi non c’è possibilità poi di riprenderlo, come è successo a Sherlock Holmes e altri».
E in questo 2014, in cui siamo già a cinque titoli nuovi tra romanzi e raccolte di scritti, che cosa possiamo ancora aspettarci?
«A settembre uscirà per Rizzoli un libro intitolato Donne, a fine ottobre per Sellerio una serie di racconti del giovane Montalbano. E per quest’anno può bastare, no?».
Maurizio Assalto
 
 

Adnkronos, 31.7.2014
Mostre: a Bologna 'Camilleri a prima vista' attraverso le sue copertine

Roma - Artelibro 2014, Festival del Libro e della Storia dell'Arte, vuole onorare Andrea Camilleri, uno degli scrittori più amati dal pubblico italiano e autore della fortunata serie poliziesca del commissario Montalbano, prendendo spunto da un aspetto forse meno indagato ma non meno sorprendente della sua produzione letteraria: l'immagine e la grafica delle copertine dei suoi libri. Dal 17 settembre al 19 ottobre il Museo della Musica di Bologna ospiterà una mostra curata da Stefano Salis, con i contributi critici di Salvatore Silvano Nigro (autore di tutti i risvolti di copertina dei libri di Camilleri editi da Sellerio) e di Antonio Sellerio (erede e continuatore della casa editrice fondata dai suoi genitori Elvira ed Enzo Sellerio) dedicata a oltre cento copertine dei libri che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Verranno esposte oltre 40 copertine pubblicate dall'editore Sellerio, suo primo e storico editore, a partire da 'La strage dimenticata' del 1984, dove ad ogni cover è associata graficamente l'immagine di un'opera d'arte, felice esempio di come l'editoria può elevare un'immagine d'arte a espressione simbolica di un contenuto letterario, più una buona selezione di quelle estere, provenienti dall'archivio della casa editrice palermitana. (segue)
 
 

Adnkronos, 31.7.2014
Mostre: a Bologna 'Camilleri a prima vista' attraverso le sue copertine (2)

Autore italiano dal più vasto e popolare successo, Camilleri costituisce una di quelle rare occasioni in cui la critica va d'accordo con il giudizio dei lettori. Le avventure del commissario Montalbano, le molte rappresentazioni della Storia (quella con la maiuscola), spesso vista dal punto di osservazione di chi è protagonista di storie (con la minuscola) e le indagini sullo spirito della sicilianità sono state le principali direttive lungo le quali si è mossa la fertile e inconfondibile scrittura dell'autore di Porto Empedocle. In un colpo d'occhio prolungato il visitatore potrà guardare all'intera produzione di Camilleri per Sellerio e avrà l'occasione di verificare come le immagini selezionate per le copertine, vero biglietto da visita per autore ed editore nel complesso terreno dello scaffale del libraio, siano talora coerenti con il contenuto del libro, talora semplicemente evocative, o, come capita in alcune traduzioni, piuttosto stereotipe. Si tratta di una galleria personale di dipinti e immagini che sono funzionali a disegnare un ritratto mosaico dello scrittore siciliano e della forza comunicativa dei suoi libri. La mostra sarà accompagnata da un incontro intitolato 'Una nuova arte del risvolto', in programma per sabato 20 settembre alle 19.00 presso la Sala di Re Enzo del Palazzo Re Enzo e del Podestà a cui parteciperanno Salvatore Nigro, Stefano Salis e l'editore Vincenzo Campo, per parlare del recentissimo libro di Nigro: 'La Sirena e il suoi libri. Ritratto di Elvira Sellerio', pubblicato dalle Edizioni Henry Beyle.
 
 

Il Tirreno (ed. di Massa), 31.7.2014
Bandabardò e Celestini al festival della Resistenza

Fosdinovo. Festa in grande stile da oggi fino a martedì prossimo (5 agosto) al Museo audiovisivo della resistenza a Fosdinovo: il circolo Edoardo Bassignani, con il supporto delle istituzioni locali, celebra i 10 anni di “Fino al cuore della rivolta” il festival degli artisti per la resistenza.
[…]
Lunedì Ascanio Celestini presenterà “Niccioleta” tratto da un’idea di Andrea Camilleri.
[…]
Cinzia Chiappini
 
 

TV Sorrisi e Canzoni, 31.7.2014
Il commissario Montalbano
Lunedì 4 agosto
Raiuno ore 21:30

Dieci mesi fa il direttore di Raiuno Giancarlo Leone aveva "twittato" la sua intenzione di rinunciare per due anni alle repliche di Montalbano.
Per fortuna ci ha ripensato e oggi potremo rivedere Luca Zingaretti in "Le ali della sfinge", trasmesso per la prima volta nel 2008.
 
 

 


 
Last modified Friday, August, 01, 2014