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RASSEGNA STAMPA

APRILE 2024

 

La Notizia, 1.4.2024
Anticipazioni per il Grande Teatro di Kaminka in TV del 1° aprile alle 16.30 su Rai 5: “La solitudine di un portiere”

Anticipazioni per il Grande Teatro in TV di Kaminka del 1° aprile alle 16.30 su Rai 5: “La solitudine di un portiere” con regia di Andrea Camilleri – Per il Grande teatro in TV andrà in onda oggi su Rai 5 lunedì 1° aprile alle 16.30 “La solitudine di un portiere” di Didier Kaminka, diretto da Andrea Camilleri nella versione Rai andata in onda nell’agosto 1978.
Mariano Rigillo interpreta il monologo in cui viene esplorata la professione del portiere descrivendone sia i lati positivi che quelli negativi e le frustrazioni derivanti dall’attesa che qualche giocatore tiri nella sua porta
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La Stampa, 3.4.2024
La classe media vista da Camilleri
Torna in libreria il romanzo più bizzarro e disincantato dello scrittore siciliano.
Il racconto di vecchi amici che incarnano la meschinità della piccola borghesia
Pubblichiamo un estratto della Nota inedita di Lagioia alla nuova edizione di Un sabato, con gli amici di Andrea Camilleri (Sellerio)


Lo scrittore Andrea Camilleri (1925-2019) ritratto dallo street artist Tvboy a Taormina, in Sicilia

Il 15 settembre del 1984, dal Teatro Antico di Taormina, durante la sua ultima apparizione pubblica, Eduardo De Filippo tenne un discorso diventato celebre. Non pronunciò parole facili da maneggiare, né da ricevere. Dopo aver parlato del proprio carattere difficile, De Filippo affrontò il tema delle sue abitudini. Disse che il figlio Luca (anche lui attore e regista), nonostante il cognome che portava, aveva fatto la gavetta, era venuto su dal nulla sotto il gelo delle abitudini paterne. Su questa parola, gelo, Eduardo si soffermò in modo stentoreo. «È stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! - disse - così si fa il teatro, così ho fatto».
Tra i figli putativi di Eduardo c’era Andrea Camilleri. Nel 1960 Camilleri fu incaricato da Maurizio Ferrara, un funzionario di Rai2, di curare come delegato alla produzione la prima serie televisiva tratta dalle commedie di Eduardo. Camilleri vide Eduardo alle prese con gli attori, gli scenografi, gli addetti del centro di produzione, i piccoli censori della tv di Stato. Il grande drammaturgo e il futuro romanziere strinsero un buon rapporto. «Tutti i registi sono cattivi - ebbe a dire Camilleri - Eduardo probabilmente era esplicitamente cattivo, ma torno a dire che era una cattiveria mirata, per tirare fuori dall’attore i suoi personaggi». Il teatro. La cattiveria. Il gelo. Sono queste le forze che muovono Un sabato, con gli amici, romanzo che Camilleri pubblicò nel 2009, quando il successo lo aveva reso già da tempo lo scrittore più popolare d’Italia e la morte era lontana dieci anni.
A chi ha conosciuto Camilleri attraverso le storie di Montalbano, Un sabato, con gli amici risulterà un libro totalmente imprevisto nella sua oscurità, un romanzo duro, perfino disturbante, un viaggio nelle tenebre della normalità borghese, in Italia, all’inizio del XXI secolo.
Come agiscono su di noi i traumi infantili? Quanto ci si può guastare nel passaggio dalla giovinezza all’età adulta? Questa storia ruota intorno a una delle più equivoche abitudini borghesi: la rimpatriata. Un gruppo di amici si rivede dieci anni dopo la fine dell’università, vent’anni dopo la fine del liceo. Oppure, un amico di cui tutti avevano perso le tracce ricompare dal nulla dopo tempo, fa irruzione nelle vite di chi ha continuato a frequentarsi o non è riuscito a farne a meno. Solo chi ci ha visti durante gli anni della formazione ci conosce davvero, solo con lui o con lei scatta (anche se non lo vogliamo) un’intimità profonda, a volte imbarazzante. Con quali occhi ci si rivede? Che cosa sono diventati il dolore, le speranze, le paure che avevano caratterizzato la nostra giovinezza? Quali virtù sono rimaste intatte? E quali guasti, allora germinali, sono cresciuti a dismisura? Soprattutto: che tipo di segreti legano gli amici di vecchia data? Tra chi si conosce da un pezzo c’è quasi sempre un patto di riservatezza. Quei segreti sono a volte terribili. Il patto diventa allora una bomba inesplosa.
A partire dalla seconda metà del Novecento, sono molte le letterature nazionali (e le cinematografie) che si occupano della questione. Con esiti e poetiche diversi. Negli Stati Uniti, ad esempio, è facile pensare a It di Stephen King o a Pastorale americana di Philip Roth. Un horror e un romanzo sociale, due generi lontani tra loro, accomunati da una medesima vibrazione di fondo: la nostalgia, la tenerezza (al limite un dolente e affettuoso senso del ridicolo) con cui King e Roth guardano i propri personaggi diventati adulti alle prese con gli amici di un tempo. Alcuni sogni sono infranti, d’accordo, ma verso le imperfezioni (e la fragilità) del camminare verso la vecchiaia (nel presagire, per la prima volta, la fine) c’è una quieta compassione. Nei casi estremi, il potere annichilente della tragedia travolge – nobilitandoli – alcuni di questi personaggi.
In Italia, niente di tutto questo. La tragedia ci è preclusa, la commedia non è quella di Billy Wilder. La commedia all’italiana è molto più dura, cattiva, sferzante, irriverente di qualunque genere analogo proveniente da altri Paesi. L’assoluta mancanza di autoindulgenza ci distingue. È una mancanza ammirevole e sospetta. E quale canovaccio segue, di solito, la commedia della rimpatriata all’italiana? Se altrove diventare adulti significa fare (anche dolorosamente) i conti con i propri limiti e fallimenti, in Italia vuol dire constatare la trasformazione dei ragazzi di un tempo in veri e propri mostri, e in un modo così conclamato, sbracato, assordante, ustorio, irredimibile da lasciare attoniti. Basti pensare a Compagni di scuola, film di Carlo Verdone del 1988, tra i meno scanzonati (e tra i più riusciti) del regista romano. In modo analogo, gli ex ragazzi di Un sabato, con gli amici, sono uomini e donne di buona presenza, vivace intelligenza e discreta posizione sociale a cui gli anni hanno infuso una dose di cinismo, malevolenza, perfidia, e uno sfrenato individualismo difficili da trovare in altri contesti. Ricatti, vendette, doppiogiochismi, esche e trappole pronte a scattare, il tutto allestito tra studi professionali ben avviati, uffici di rappresentanza e scannatoi nascosti nei quartieri residenziali: viene in mente il più tagliente dei secoli, il Settecento, e la cattiveria adamantina di Pierre de Laclos.
Ma perché Camilleri allestisce, intorno a questi personaggi, e in modo così chirurgico e spietato, il suo teatro della crudeltà? Tra le diverse, ho rintracciato almeno tre ragioni degne di nota. La prima riguarda il disprezzo, cioè l’opinione che Camilleri doveva essersi fatto del popolo italiano all’inizio del XXI secolo. O, perlomeno, di una sua particolare rappresentanza. Lo scrittore di Porto Empedocle aveva visto il fascismo da ragazzo (il cui disastro, non si stancava di ripetere, gli era sembrato pari solo al ridicolo di cui il regime era riuscito a circondarsi), ma aveva vissuto poi da giovane uomo la nascita della democrazia e del suffragio universale, il protagonismo dei partiti popolari, il riscatto degli umili, la conquista di diritti a lungo negati, il boom economico, la trasformazione di un paese arretrato in una potenza moderna. Aveva riposto speranze nel comunismo italiano, Camilleri, ma aveva creduto in modo ancora più intenso nella possibilità che gli italiani (da sudditi, sottoposti, conquistati, obbligati a saltare nei cerchi infuocati) diventassero un popolo libero, affrancato. Lui stesso (da scrittore, drammaturgo, insegnante, intellettuale, artista, quando l’arte era considerata istituzionalmente una forza emancipativa) aveva fatto la sua parte in questo lungo e appassionato cammino. Solo che poi qualcosa aveva cominciato ad andare storto.
«Ce l’avevamo quasi fatta, a diventare un popolo». È una frase attribuita al Mario Monicelli degli ultimi anni. Non è detto l’abbia davvero pronunciata lui, ma rende l’idea. L’arrivo del nuovo secolo e, ancora più, qualche anno addietro, il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica ha segnato (per dirla questa volta con Umberto Eco) l’evidenza di una marcia a passo di gambero. Il tracollo della classe politica con la politica ridotta a farsa e mercato, l’ingiustizia sociale di nuovo galoppante, la crisi economica e l’ancora più evidente smarrimento sociale e civico si sono fatti sempre più evidenti, la volgarità più conclamata, la gente comune di nuovo tentata dal diventare plebe. Questa ennesima mutazione ha trovato presto i suoi nuovi protagonisti, una nuova classe se non di privilegiati (il potere vero è altrove) di galleggianti. Sono i personaggi che mette in scena Camilleri in questo libro. Non sono più le facce in bianco e nero del neorealismo, non gli irresistibili gradassi del boom, non le masse rivoluzionarie, non i grandi notabili o i mafiosi e nemmeno quel certo tipo di borghesia «con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione» elogiata da Marco Pannella. Piuttosto, sono i discendenti ripuliti di quegli «avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi» di cui scriveva Pier Paolo Pasolini nella Ballata delle madri, i rappresentanti di una nuova classe media, istruiti, aggiornati, disinvolti, ma divorati da una terrificante amoralità che rischia di diventare la modalità emotiva standard del paese. Tutta la simpatia che Camilleri riserva altrove ai suoi commissari, agli ispettori capo, ai centralinisti, ai giornalisti locali, alle donne coraggiose, agli arrangiati e ai rubagalline qui è assente. C’è una grande differenza tra gente comune e uomo medio. La gente comune può ancora farsi popolo, l’uomo medio no. «Sa cos’è un uomo medio?» (questo è sempre Pasolini, attraverso la bocca e il corpo di Orson Welles ne La ricotta), «è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista».
Nicola Lagioia
 
 

TP24, 3.4.2024
A Marsala gli spettacoli "Lilith" e "Vigata Tour"

Nasce a Marsala la “N.O.M.E.A. Produzioni” e dà il via alla realizzazione di spettacoli teatrali e musicali: si parte il 10 aprile con “Lilith” e si prosegue con “Vigata Tour”.
Un primo spettacolo che mette al centro la donna “disobbediente” per eccellenza e un altro che assicura una full immersion nel mondo delle opere storiche di Andrea Camilleri sono i primi due eventi organizzati dall’associazione culturale “N.O.M.E.A”. “Si tratta di una sigla – spiega il fondatore Peppe Li Causi che sta per: Nuovi Orientamenti Musical Entertainment Academy. Lo scopo è quello di produrre e organizzare manifestazioni teatrali/musicali, culturali, ricreative, cinematografiche, rassegne, festival, conferenze, concorsi, premi, saggi, mostre, concerti, musical e ogni altra forma di spettacolo legata alla musica e alla cultura”. 
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Il secondo spettacolo in programma, mercoledì 24 aprile alle ore 21,00, sempre nel teatro comunale, è “Vigata Tour” costruito – spiega il regista Peppe Li Causi – su alcuni testi tratti dalle opere cosiddette “storiche” di Andrea Camilleri, sottoposte ad una elaborazione tale da configurarle come le tappe cruciali di un discorso teatrale unitario. Due professori universitari del Dams, nella prima parte dello spettacolo, e due alunni, nella seconda parte, ci faranno entrare nel mondo camilleriano. L’elaborazione consiste, in prima istanza, nella sceneggiatura degli episodi scelti, in modo da essere rappresentati come se si trattasse di testi propriamente teatrali. Qui la natura essenzialmente ritmico-musicale della scrittura camilleriana dove la musica, che pure ha una sua autonoma fisionomia nell’articolarsi del lavoro, non accompagna soltanto, né fa da sottofondo, ma diventa una realtà essenziale perché tutto ciò che sta nel testo camilleriano, e sotto la sua superficie, possa compiutamente esprimersi attraverso il compenetrarsi della musica insita nelle strutture stilistiche dell’autore con quella creata, in questo caso, da Vincenzo Li Causi, autore di alcune delle musiche di sottofondo”.
Adattamento testi di Calamia-Dixon-Li Causi, lo spettacolo si realizza con la regia di Peppe Li Causi e si avvale delle musiche originali di Vincenzo Li Causi. Questi gli interpreti: Raffaele Muti, Antonio Lungo, Tommaso Rallo, Andrea Figlioli, Marilena Colicchia, Laura Saladino, Stefania Parrinello, Nadia Zannelli, Angela Alagna, Gianpiero Soperga, Alessandro Patito, Loredana Salerno.
Prima dello spettacolo serata, Vigata Tour sarà proposto nella stessa giornata, come matinée per le scuole.
[…]
 
 

Famiglia Cristiana, 4.4.2024
Antonio Sellerio: «Camilleri è vivo e torna con un romanzo storico»
Parla il figlio di Elvira, che ha preso in mano le redini della casa editrice siciliana: «I suoi libri sono un esempio unico nella letteratura italiana di scrittura coltissima e popolarissima allo stesso tempo. La voce del loro autore tornerà a farsi sentire con un'opera postuma»
[Dal testo dell’intervista non si evince nulla sulla pubblicazione di un’opera postuma, che peraltro non ci risulta esistere, NdCFC]

Nell’ultima decade di maggio del 1984 Andrea Camilleri pubblicò la sua prima opera con la casa editrice Sellerio. Il titolo del romanzo storico, Una strage dimenticata, si riferiva a un doppio eccidio di contadini e detenuti durante i moti siciliani del 1848. Camilleri evidenziò come l’oblio sarebbe stato voluto sia dai Borbone sia dai Savoia.
Nella prima metà di marzo del 1994, invece, lo scrittore pubblicò – sempre con Sellerio – la sua prima inchiesta del commissario Salvo Montalbano: La forma dell’acqua, un giallo ironico ambientato nel sistema di potere politico-mafioso dell’immaginaria Vigàta, con un susseguirsi di delitti eccellenti.
Su questi due importanti anniversari letterari abbiamo intervistato Antonio Sellerio, direttore editoriale della storica casa editrice palermitana (animata anche dalla sorella Olivia, cantautrice, che ha composto, tra l'altro, le canzoni delle ultime stagioni delle fiction Il commissario Montalbano e Il giovane Montalbano). Per l’occasione, Antonio Sellerio ha annunciato la pubblicazione del romanzo Un sabatocon gli amici, scritto da Camilleri oltre 15 anni fa, ambientato nella società borghese non siciliana e accompagnato da una nota dello scrittore Nicola Lagioia.
Chi propiziò il debutto di Camilleri con voi?
«Andrea Camilleri è arrivato nella nostra casa editrice grazie a Leonardo Sciascia. Nei primi anni Ottanta, stava preparando la sceneggiatura della miniserie televisiva Western di cose nostre, tratta da un racconto dello stesso Sciascia. Dopo avere trovato documenti su una incredibile strage dimenticata avvenuta a Porto Empedocle nel 1848, Camilleri li consegnò al grande scrittore racalmutese proponendogli di trarne una delle sue celebri cronache. Sciascia – che conosceva e riconosceva il talento letterario del suo conterraneo – lo spinse a occuparsene direttamente, assicurandogli che, una volta completato il libro, ne avrebbe caldeggiato la pubblicazione a mia madre, Elvira Sellerio».
Trent’anni fa, invece, la Sellerio pubblicò il primo giallo di Camilleri sul commissario Montalbano, dal titolo La forma dell’acqua. Quale fu la genesi del romanzo?
«Si trattò di un romanzo molto “sciasciano”, forse diverso dagli altri della serie; Camilleri lo pensò come un unicum. Tuttavia, terminata l’opera, si accorse che aveva ancora molto da dire riguardo a quel poliziotto e così volle scrivere anche Il cane di terracotta. A quel punto, Camilleri si sarebbe voluto fermare, ma mia madre lo convinse allora a continuare la serie e, a poco a poco, il pubblico non solo si consolidò ma crebbe fino a farlo diventare un fenomeno unico nella storia editoriale italiana».
Cosa ha rappresentato, dunque, Andrea Camilleri per la letteratura italiana, per la storia italiana e per la casa editrice Sellerio?
«Un esempio unico di scrittore coltissimo e popolarissimo! Pochi conoscevano, al suo livello, la poesia e il teatro, la letteratura contemporanea e quella classica, gli scrittori di genere e quelli più sperimentali. E questa sua incredibile cultura l’ha riversata in migliaia di pagine di lettura piacevole e raffinata. Era un profondo indagatore dell’animo umano e della società italiana. Pochi hanno avuto un impegno civile pari al suo, pochi scrittori sono stati così amati quanto lo era lui, talvolta persino da chi aveva opinioni politiche opposte alle sue… Per noi è stato un successo irripetibile, ci ha fatto conoscere anche da un pubblico che fino a quel punto non avrebbe acquistato un oggetto raffinato come i nostri libri blu. È stato anche l’emblema del modo di lavorare di mia madre: percorrere strade nuove (il romanzo in una lingua inventata), percorrerle fino in fondo a prescindere dall’immediato successo».
Quali ricordi personali di Camilleri conservate in famiglia?
«Era una persona straordinaria, meravigliosa. Era affascinante, generoso di sé, disponibile, corretto… Ed era forse la persona più divertente che abbia mai incontrato. Ma era un lavoratore incredibilmente serio, sempre puntualissimo nelle consegne e negli appuntamenti. Lavorare con lui, sui suoi libri e per i suoi libri, è stato un privilegio per il quale io, mia sorella Olivia e tutte le persone che lavorano e hanno lavorato in questa casa editrice non finiremo mai di essergli grati».
Pietro Scaglione
 
 

Taccuino Italiano, 4.4.2024
Cultura e spettacolo
“Un sabato, con gli amici”: Andrea Camilleri torna in libreria con il romanzo più sorprendente

“Un sabato, con gli amici”: si intitola così l’opera di Andrea Camilleri appena pubblicata da Sellerio. Si tratta di un romanzo storico ambientato nella società borghese al di fuori della Sicilia. Un regalo bello e inatteso, questo, per i tantissimi lettori che ancora non si rassegnano alla morte del grande scrittore siciliano. L’opera, pubblicata la prima volta da Mondadori nel 2009, è ora arricchita da una nota di Nicola Lagioia, che scrive: <<Andrea Camilleri, in questo romanzo così attuale e luccicante, sembra dirci: attraversate questa porta, seguitemi giù per le scale, lì in fondo, non appena si fa buio, c’è qualcosa che riguarda anche voi>>.
Ad annunciare la pubblicazione postuma [in realtà si tratta di una riedizione, NdCFC] di questo romanzo è Antonio Sellerio, direttore editoriale dell’omonima casa editrice palermitana, in occasione di un’intervista al settimanale Famiglia Cristiana. <<Camilleri – spiega Sellerio – era un esempio unico di scrittore coltissimo e popolarissimo! Pochi conoscevano, al suo livello, la poesia e il teatro, la letteratura contemporanea e quella classica, gli scrittori di genere e quelli più sperimentali. E questa sua incredibile cultura l’ha riversata in migliaia di pagine di lettura piacevole e raffinata. Era un profondo indagatore dell’animo umano e della società italiana. Pochi hanno avuto un impegno civile pari al suo, pochi scrittori sono stati così amati quanto lo era lui, talvolta persino da chi aveva opinioni politiche opposte alle sue… Per noi è stato un successo irripetibile, ci ha fatto conoscere anche da un pubblico che fino a quel punto non avrebbe acquistato un oggetto raffinato come i nostri libri blu. È stato anche l’emblema del modo di lavorare di mia madre: percorrere strade nuove (il romanzo in una lingua inventata), percorrerle fino in fondo a prescindere dall’immediato successo>>.
Sellerio nell’intervista sottolinea anche l’estrema precisione di Camilleri: <<Era una persona straordinaria, meravigliosa. Era affascinante, generoso di sé, disponibile, corretto… Ed era forse la persona più divertente che abbia mai incontrato. Ma era un lavoratore incredibilmente serio, sempre puntualissimo nelle consegne e negli appuntamenti. Lavorare con lui, sui suoi libri e per i suoi libri, è stato un privilegio per il quale io, mia sorella Olivia e tutte le persone che lavorano e hanno lavorato in questa casa editrice non finiremo mai di essergli grati>>. 
D’altro canto è stato lo stesso Camilleri a chiarire con quanto rigore affrontasse il suo lavoro. Nel libro dal titolo “Come la penso. Alcune cose che ho dentro la testa”, scriveva:<<Alla base di ogni scrittura c’è un paziente, scrupoloso, estenuante lavoro di rifinitura, di correzione, di messa a fuoco, di puntualizzazione, di calibratura che costituisce la qualità e la forza del buon artigiano>>.
Gli artisti, quelli veri, non muoiono mai davvero. Così il genio di Andrea Camilleri rivive all’infinito, illudendoci di essere ancora qui con noi, seduto alla sua scrivania con quel sorriso a metà tra il bonario e il sardonico.
 
 

Maremosso – Feltrinelli, 5.4.2024
Scelti per voi
Un sabato, con gli amici di Andrea Camilleri
Torna in libreria, edito da Sellerio, uno dei romanzi più particolari di Andrea Camilleri, maestro d'intrecci mosso sempre da una finalità di denuncia e da una pressante esigenza etica. Recensione a cura di Wuz

Si alza dal divano e si risiede. Poi corre alla scrivania e preme il bottone del divieto d'accesso. Torna a sedersi, si asciuga il sudore dalla fronte. È anche peggio di quanto temesse, un brivido lo scuote. Proprio ora che è arrivato dove voleva... Chi può avere interesse a tirar fuori quella storia?”
Trama piuttosto complessa, circolare, in cui il primo capitolo viene poi spiegato ed esplicitato dall’ultimo. In tutta la parte centrale del romanzo di Camilleri, riedito in questi giorni da Sellerio, il gruppo di bambini, protagonisti e vittime di fatti narrati nel primo e ultimo capitolo, ormai adulti e tutti in relazione tra loro, pagano lo scotto di quei terribili traumi infantili.
Romanzo molto diverso da altri dello scrittore siciliano, vera e meritata gloria italica, che lascia forse perplesso il lettore. Diverso anche da quel “simenionano” Il tailleur grigio, intimista e psicologico, diverso dai romanzi storici più noti come lo straordinario ed ormai "antico" La concessione del telefono, diverso insomma...
Maestro di trame, maestro di intrecci, Camilleri ha qui scelto di giocare con questa sua abilità, forse però in modo un po’ meccanico e scoperto, forse sottovalutando il lettore, ha voluto spiegare il suo intento, chiarire nell’ultimo capitolo i singoli traumi subiti dai vari personaggi, causa remota, ma non così oscura, dei loro comportamenti adulti.
Incapaci di amare, vittime di morbose passioni, figli senza padri né madri con cui rapportarsi e da cui farsi consolare, questi giovani uomini e donne sembrano muoversi per autodistruggersi e per annientare chi sta loro accanto.
Certo lo scrittore, mettendo insieme un intero gruppo di persone in relazione tra loro e tutti vittime di vari tipi di traumi infantili o di comportamenti inconsciamente deviati, non vuole dare un quadro realistico di un vero odierno gruppo di amici, ma mostrare come il nostro agire adulto sia inscindibilmente connesso con ciò che ci portiamo dentro fin dall’infanzia.
Un’educazione sentimentale all’incontrario quella esercitata dal mondo dei grandi sui piccoli...

E questo libro è un modo per spingere il lettore a cercare dentro di sé i primi ricordi (come nel gioco doloroso che viene fatto dal gruppo nel sabato sera citato dal titolo), perché è là che troviamo le radici delle nostre azioni. Ed è là che, in ogni fatto di cronaca che vede adolescenti colpevoli di orrendi misfatti, bisogna indagare.
Nella scrittura di Camilleri c’è sempre, anche nei mitici gialli del commissario Montalbano, una finalità di denuncia e una pressante esigenza etica e in questo romanzo è davvero esplicita. Come possiamo insomma sperare che le nuove generazioni vivano in modo positivo ed equilibrato, che siano socialmente utili e disponibili al mondo se, nell’infanzia, li abbiamo violentati, traumatizzati, fatti assistere ad ogni orrore e miseria? Come sperare nel futuro se l’eredità che lasciamo è solo una montagna di macerie? Credo che sia questo il messaggio più interessante di questo romanzo, che mostra quanto l'autore fosse disgustato da ciò che vedeva tutt’attorno a sé per coltivare il solo piacere letterario.

 
 

Sherlock Magazine, 5.4.2024
L'angolo Giallo di Fabio Lotti
Il giudice Surra e altre indagini in Sicilia
Tre racconti di Camilleri…
Il giudice Surra e altre indagini in Sicilia di Andrea Camilleri, Sellerio 2023.

Ogni tanto mi piace rivisitare i classici della letteratura poliziesca come Camilleri. Soprattutto quando sono presentati da un certo Giancarlo De Cataldo.
Trattasi di tre racconti. Incominciamo dal primo.
Troppi equivoci
Lui è Bruno Costa, tecnico della società dei telefoni che vive da solo a Mondello. Caratteristica peculiare la sua eccitante curiosità. Lei è Anna Zanchi discreta bionda sui trent’anni, divorziata e laureata in lingua e letteratura ungherese che vive in affitto al centro di Palermo. Chiaro che i due si incontreranno per un controllo del suo telefono diventando amici e anche oltre. Tutto l’ambaradan parte dalla chiamata di un cellulare al ristorante da loro scelto. Il cameriere ascolta, poi chiede agli avventori chi sia il signor Zanchi richiesto. Al terzo squillo il nostro Bruno, sopraffatto dalla citata, irresistibile curiosità, risponde precipitando in una serie di malintesi, ovvero “in un’equivoca avventura come il Cary Grant di Intrigo Internazionale”. Per farla breve si troverà incasinato in un omicidio del quale sembra proprio lui il colpevole. Speriamo che almeno questa volta sia la stessa, innata curiosità a salvarlo…
Il giudice Surra
Il giudice Efisio Surra arriva da Torino a Montelusa nel 1862. Deve rifare di sana pianta il tribunale, togliendo di mezzo il vecchio presidente Fallarino di idee filoborboniche per applicare il nuovo codice piemontese. Subito si parla in giro del suo cognome come ventresca di tonno che promette bene, o come un’erba “amara e fitusa” con effetto opposto. Da una lettera anonima viene a sapere che sono sparite le carte istruttorie di alcune persone. E allora lui si darà da fare per recuperarle in ogni modo, non rendendosi conto del posto in cui è capitato dove vige la regola della Fratellanza, insomma della mafia. Tutto preso dal suo istintivo agire e dal suo bianco candore, non si accorge nemmeno di essere scampato per miracolo ad un attentato. Riesce addirittura a sorridere di fronte ad un eclatante significato di una minaccia. E a far sorridere tutta quanta la città per avere dato, senza rendersene neppure conto, “scacco matto” al capo della Fratellanza.
Il medaglione
Il maresciallo scapolo Antonio Brancato di Belcolle è chiamato a risolvere dalla popolazione le più svariate questioni. Fino a quando ne incontra una davvero difficile relativa alla morte di Marta Barbato, moglie di Ciccino che si è rinchiuso in casa e non vuole più vedere nessuno. Ha mandato via anche il parroco del paese sparando un colpo in aria con il fucile per intimorirlo. Il nostro maresciallo decide allora di andare lui stesso a trovarlo per capire quale sia il problema e risolverlo. Ma non sarà facile perché dovrà vedersela con un pericoloso latitante ed escogitare un trucco per calmare il profondo, angosciante dolore di Ciccino. Dovuto ad un medaglione, o meglio ad una foto custodita al suo interno…
Tre racconti dove la casualità, il Caso irrompe improvviso nella vita reale mescolando le carte e dando luogo a incredibili personaggi che restano impressi nella memoria, anche per merito di una scrittura esatta, spedita e sicura sfruttando pure il caro dialetto siculo senza esagerazioni di sorta.
Tre piccoli capolavori.
Buona lettura.
Fabio Lotti
 
 

Libreriamo, 6.4.2024
“Un sabato, con gli amici”, l’originale romanzo di Andrea Camilleri si veste di blu
Arriva in una nuova edizione "Un sabato, con gli amici", sorprendente romanzo di Andrea Camilleri che risulta fra i libri più venduti di questi giorni.
Un unicum nella produzione di Camilleri

Andrea Camilleri pubblica “Un sabato, con gli amici” nel 2009, quando i romanzi della serie di Montalbano lo hanno consacrato già da diverso tempo nell’Olimpo dei migliori giallisti europei.
Quando il romanzo viene dato alle stampe, sono numerosi i lettori rimasti basiti ad una prima lettura. “Un sabato, con gli amici” non somiglia a nessun altro titolo nato dalla penna di Camilleri: né ai gialli che vedono protagonista il commissario vigatese, né ai colorati romanzi storici del calibro de “Il re di Girgenti”.
“Un sabato, con gli amici” è misterioso, cupo, avvolto da un’aura di non detto che emerge poco a poco, affiorando da un passato che sembrava cancellato, svanito nel nulla.
Si tratta di una narrazione che salta dal presente al passato grazie ai ricordi d’infanzia dei protagonisti che, per via di un improvviso evento traumatico, tornano a fare i conti con realtà che avevano seppellito davvero bene, nel profondo del loro cuore.
La sinossi di “Un sabato, con gli amici”
“Un sabato, con gli amici” è il romanzo più sorprendente di Camilleri, pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2009. Non è un giallo. Anche se l’ingombro di un cadavere non manca, con gli interrogativi che pone, in margine a un finto quanto torbido tentativo di ricatto.
E neppure difetta, il non giallo, di una forte tensione narrativa: subito inaugurata in copertina da quel segnale d’allarme dato dalla virgola del titolo che rende quanto meno ambigua, se non micidiale, la qualifica di amicizia. Il romanzo è spietato.
Per esso, Camilleri ha dismesso gli estri umoristici e i colori del vigatese. Il non riscattabile teatro degli orrori gli ha imposto un italiano asciutto: veloce, affilato e freddo; addirittura raggelante. Volutamente imprecisata è l’ubicazione della storia. La città non ha nome. È astratta da ogni referenza.
È solo il luogo della composizione, in un variare di interni borghesi (completati da una garçonnière condivisa), di un susseguirsi di dialoghi come in scene di teatro: con scarne didascalie, che rendono agevole il transito al racconto. Sono sei gli amici: tre uomini e tre donne in carriera. Hanno trascorso insieme gli anni di liceo e università.
Formano adesso una comitiva esclusiva, rinsaldata da un lussuriare sostenuto dal cinismo e dall’ipocrisia; oltre che da un convulso ricambio di letti, che disegna un puzzle da ricomporre e continuamente aggiornare. La viziosità ha derive di depravazione, profondamente segnata com’è da infanzie violate o da traumi mai seppelliti.
Gli amici si danno un appuntamento settimanale. È la rimpatriata del sabato sera. Per una volta, coinvolgono nel rito un compagno da tempo dato per disperso. L’ospite è scomodo, socialmente diverso.
È gay dichiarato e comunista. Non ha soldi. Deve arrangiarsi. E soprattutto detiene fotografie pesantemente compromettenti per un componente del sodalizio. Viene trovato morto.
Era caduto accidentalmente, sporgendosi ubriaco dal parapetto del terrazzo, si convenne. Il provvido tonfo aveva liberato la trista brigata, chiusa e refrattaria che, indisturbata, poteva continuare a ravvolgersi su sé stessa. Ma chi aveva dato la spinta, se spinta c’era stata?
Chi era Andrea Camilleri
Papà del Commissario Montalbano, Andrea Camilleri è stato fra gli scrittori più amati del nostro tempo.
Con il suo stile colto e la sua arguzia ha saputo farci innamorare della sua scrittura, del suo linguaggio e delle storie che raccontava.
Nato il 6 settembre del 1925 a Porto Empedocle, Andrea Camilleri non è stato soltanto uno scrittore, ma anche un drammaturgo, un autore teatrale e televisivo, un regista radiofonico, ed infine un apprezzato accademico.
Oltre alla serie per cui è conosciuto in tutto il mondo – quella che vede protagonista l’arguto, affascinante, sempre affamato di buon cibo e di verità, Commissario Montalbano -, Andrea Camilleri ha scritto opere di grande spessore, che appassionano per l’incredibile uso della lingua, un simil siciliano che ha il merito di avvicinare il lettore al luogo dove le storie sono ambientate, e per le trame, intrecciate con sopraffina maestria, indissolubilmente legate al territorio siciliano.
Basti pensare al capolavoro “Il re di Girgenti“, un romanzo pubblicato nel 2001 da Sellerio, ambientato nel Seicento e scritto in una lingua, un siciliano misto allo spagnolo, concepita ad hoc per ricostruire l’atmosfera dell’epoca.
Ma lo ricordiamo anche per essere stato un militante antifascista armato da sempre del potere salvifico della parola. Malgrado fosse afflitto da cecità e da gravi condizioni fisiche negli ultimi anni, Camilleri non si abbandonò mai al dolore. Dove non riuscivano ad arrivare i suoi occhi, c’erano le sue parole, sempre giuste, calibrate, perfette lì dove si trovavano. Ci ha lasciati il 17 luglio del 2019, a Roma.
Nicoletta Migliore
 
 

Il Passaparola dei Libri, 6.4.2024
Premio Bancarella 2001: La gita a Tindari Andrea Camilleri

Anche questo giallo con protagonista il commissario Montalbano mi ha catturato.
Mi sto affezionando al personaggio, rude e sensibile al tempo stesso, e a tutti i suoi collaboratori.
L’indagine è molto complicata e quello che si scoprirà è a dir poco agghiacciante. Il viso del diavolo che appare in copertina, la rappresentazione del male in assoluto, descrive bene la sensazione che mi ha colto alla soluzione del caso.
Persone insospettabili, per brama di potere e possesso di beni materiali, possono compiere atti efferati e contro ogni principio di umanità.
Un po’ di difficoltà nella comprensione di alcuni termini in stretto dialetto siciliano ce l’ho ancora, ma va già molto meglio.
Sto procedendo in ordine sparso nella lettura del commissario Montalbano, ma il prossimo che leggerò sarà il primo della serie: “La forma dell’acqua”.
Perché, adesso che l’ho scoperto, un “Montalbano” ogni tanto è un alito di vento di mar Mediterraneo che mi porta mistero, amore e riflessione.
Loretta Rainato
 
 

Corriere della Sera, 7.4.2024
Cronache
«Camilleri quasi cieco mi spiegò la meraviglia di accarezzare un volto»
Maurizio de Giovanni racconta il collega (e idolo) diventato suo amico: «Incontrai le figlie e mi dissero: papà sarebbe felice di conoscerti»

C’è qualcosa di peculiare nel mondo della scrittura nera, che caratterizza la branca rispetto al resto della letteratura italiana, ed è una specie di sindrome di Peter Pan che serpeggia tra gli autori ogni volta che si ritrovano insieme.
Non cambia niente la solennità dell’occasione, la rilevanza del festival internazionale o l’importanza del ricevimento al quale siamo invitati: metteteci insieme, e avrete una classe di liceo in gita che non vede l’ora di fare scherzi e di divertirsi. Tutto, purché nessuno si sogni di prendersi sul serio. Soprattutto, a ben guardare noterete l’assenza di rivalità. Eppure scriviamo degli stessi argomenti, delle stesse paure e delle stesse perversioni. Dovremmo essere in aperta lotta fra di noi, anche perché le vendite e le classifiche ci ospitano gentilmente nei piani alti e i grandi premi letterari e le riviste di raffinata critica ci snobbano con livida evidenza. Allora per quale motivo non solo non ci odiamo, ma siamo per la massima parte amici e ci rispettiamo o proviamo addirittura affetto reciproco?
Il motivo esiste, ha un nome e cognome e io l’ho incontrato personalmente. Ho avuto anzi la fortuna di essere suo amico, e di frequentare la sua casa.
Una bella sorpresa
Una decina di anni fa mi ritrovai a presentare un romanzo a Roma in occasione di un bellissimo festival con due grandi scrittori, miei amici, e un famoso, malcapitato giornalista che faceva da moderatore. Definisco malcapitato il giornalista perché quei due criminali di Alessandro Robecchi e Antonio Manzini, col conforto del sottoscritto (confesso, esibii il peggio di me nell’occasione), diedero luogo a uno dei dibattiti più surreali e divertenti che io abbia mai avuto la ventura di ascoltare. Un sacco di risate, il folto pubblico in visibilio e il moderatore che ebbe l’intelligenza e la sensibilità di cedere presto le armi, e di lasciarci fare e dire quello che ci veniva sul momento.
Al termine dell’incontro, alla fine della fila di spettatori che venivano a farsi dedicare una copia, mi ritrovo due belle signore che mi fanno immeritati complimenti e mi dicono che quando l’editore regala loro i miei romanzi c’è una simpatica gara a chi li legge per prima. Io chiedo, conoscendo la scarsa abitudine degli editori a questo tipo di elargizioni domiciliari gratuite: e come mai vi mandano i libri a casa? E loro rispondono, come fosse la cosa più normale del mondo: sa, noi siamo le figlie di Andrea Camilleri.
Ora dovrei spiegarvi l’effetto per un lettore appassionato e innamorato del corpus integrale di un autore il trovarsi di fronte alle sue due figlie. Prima di tutto scopri che in effetti l’uomo esiste realmente, in forma fisica, come spiegato con chiarezza dalla epigonica presenza della sua progenie. Poi pensi che i tuoi romanzi, assolutamente non all’altezza, arrivano in quella casa e magari transitano per quelle mani. Infine, che quei due splendidi sorrisi rappresentano un modo per mandare un deferente, umile saluto a quel Gigante.
In via Asiago
Colsi al volo l’occasione, e mi sentii candidamente rispondere che sarebbe stato per loro un piacere, e certamente anche per il papà, se fossi passato per casa a salutarlo.
Glissiamo sulle reazioni psicosomatiche (il vuoto allo stomaco, il tremore delle mani, il sudore sulla fronte) che ebbi, con grande gusto di quei due disgraziati di Manzini e Robecchi che, maledetti, erano già frequentatori abituali di casa Camilleri. A me stava prendendo un colpo. Battei il ferro caldo e rimandai il Frecciarossa che mi aspettava, per fiondarmi in via Asiago.
Cominciò così il mio rapporto di amicizia con Andrea.
Lo so, dovrei parlarvi della grandezza di un autore che è l’italiano che ha venduto più copie nel mondo dopo un certo Dante Alighieri, che pure è partito con qualche anno di vantaggio. Dovrei parlarvi di quello che per me, e spero non solo per me, è nettamente il più grande narratore che ha operato in questo Paese negli ultimi cinquant’anni.
I gialli sui comodini
Dovrei ribadire che è stato lui a portare il romanzo criminale italiano dalle edicole alle librerie, e poi sui comodini, richiamando alla lettura centinaia di migliaia di connazionali che avevano abbandonato questa pratica da decenni o che forse non avevano mai letto nulla. Dovrei indicare in lui l’autore che ha inaugurato e indicato la strada all’utilizzo, da parte della televisione generalista, della letteratura contemporanea per produrre fiction di universale, amplissimo e consolidato successo.
L’ironia e gli aneddoti
Dovrei discutere dell’importanza dell’impegno civile degli intellettuali, e di quanto manchi l’autorevolezza della sua voce forte e tagliente anche se sempre pacata.
Dovrei spiegare che il suo modo di raccontare il territorio, seguito da tutti noi dopo di lui, ha creato quel movimento per il quale, come vi dicevo, non c’è alcuna rivalità perché ognuno ha il suo pezzo di Italia da descrivere, che non somiglia a nessun altro.
Ma se dicessi tutto questo, poco apporterei di nuovo alla conoscenza che tutti avete di Camilleri e di quello che, se vi viene voglia di approfondire, troverete in centinaia di siti web. Quello che potrei invece dirvi è della persona che ho incontrato, con cui ho parlato e mangiato, e che soprattutto ho avuto la grande fortuna di ascoltare.
Avrete capito che ho conosciuto Andrea quando era già prossimo ai novant’anni. Nella maggioranza dei casi sarebbe stato un grave limite, per l’annebbiamento che colpisce la quasi totalità delle persone dopo una certa età. Nella fattispecie è stata invece una immensa fortuna, perché alla sterminata cultura, all’enorme e variegatissima aneddotica e all’ingente quantitativo di ricordi facevano supporto un’intelligenza limpidissima e affilata, un’ironia così acuta e tutta siciliana da aver bisogno di massima concentrazione per essere gustata fino in fondo e una sensibilità e un’attenzione all’interlocutore come mai mi è capitato di incontrare (e ho i miei anni anch’io, sia chiaro).
Una vita da argonauta
Non parlava mai di sé come scrittore, come autore, come operatore culturale. Non prendeva mai a oggetto dei racconti la sua indiscutibile importanza, e il valore di quello che aveva fatto, come sarebbe stato facile e come forse io, che ero un bulimico fruitore delle sue storie, avrei preferito.
Parlava di sé come argonauta, come testimone. Come passeggero di una nave che aveva percorso molto mare, e delle tante enormi persone che aveva incontrato. Simenon, Eduardo, García Márquez avevano in quelle meravigliose storie elargite con immensa generosità a tavola con Rosetta, Betta, Andreina, Mariolina, Guido, Arianna e Paola pari rilevanza di compagni di scuola di Porto Empedocle, impresari teatrali milanesi e improbabili presentatori di romanzi incontrati in giro per il mondo. Era l’uomo dall’egocentrismo più decentrato che abbia mai conosciuto.
Potrei dirvi di un tono di voce calmo, arrotondato e sereno: il contrario dei racconti costruiti con la variazione dei toni tesa a colpire gli ascoltatori. Eppure era impossibile distogliere l’attenzione, impossibile distrarsi, impossibile perdersi dietro alle immagini che pure evocava a decine. Si restava catturati, in balia di quelle onde calme e oscure come il mare estivo di notte, di quell’accento primordiale, di tutto quel passato che era identico al presente e al futuro. Potrei dirvi di quella volta che mi spiegò che essere ciechi è una fortuna, perché il ricordo delle cose è sempre più bello delle cose stesse; ma che l’unica cosa di cui aveva nostalgia era la lettura, perché se accarezzare il volto della moglie, delle figlie e dei nipoti aveva maggiore bellezza che vederli, una pagina ascoltata non sarà mai come quella percorsa in autonomia.
Potrei dirvi di quando mi disse che da grande, lui che era un ragazzo, avrebbe voluto solo sedersi sul bordo della fontana del suo paese e raccontare una storia, e poi girare con la coppola per raccogliere il giusto prezzo, fumare l’ennesima sigaretta, e poi raccontare un’altra storia. Che è quello che ogni raccontatore di storie deve fare, né più né meno.
Come faceva lui, il più grande di tutti, non abbastanza celebrato, non abbastanza ricordato. Che a me manca tanto, e ogni giorno di più.
Maurizio de Giovanni
 
 

Fonclaven, 8.4.2024
Fin de siècle 2.0 - Piero Guccione e gli arancini di Montalbano - prof. Roberto Cresti

Quando, nel 1979, Piero Guccione (1935-2018) decise di far ritorno da Roma, dove era già divenuto un pittore di successo, nella nativa Scicli, in provincia di Ragusa, Andrea Camilleri (1925-2019) non aveva ancora creato il personaggio del Commissario Montalbano. Siciliani entrambi, Guccione e Camilleri, hanno riportato le rispettive arti nello stesso quadrante dell’isola da cui provenivano, quello Sud-orientale, rivolto, come diceva Pirandello, verso il «mare africano». La solitudine che si avverte nelle indagini di Montalbano, proiezione dello spirito del suo autore, ma anche la simbiosi con la natura e la cucina locali, sono le stesse della luce dei paesaggi e delle marine di Guccione, che un grande critico come Jean Clair ha giudicato il più significativo e compiuto pittore italiano fra il XX e il XXI secolo.
 
 

L’Unione Sarda, 10.4.2024
Trent’anni fa usciva “La Forma dell’acqua”, il primo giallo del Commissario Montalbano
Nel 1994 uscì il romanzo di Andrea Camilleri destinato a diventare il primo di una delle serie letterarie più amate

Trent’anni fa usciva a Palermo, per la casa editrice Sellerio, il romanzo “La forma dell’acqua” di Andrea Camilleri, il primo nel quale compare il commissario Salvo Montalbano, uno dei personaggi - sia della letteratura che del piccolo schermo - più amati degli ultimi decenni.
I ventotto romanzi che raccontano le avventure del poliziotto di Vigàta, cittadina immaginaria della Sicilia che in realtà ricorda molto Porto Empedocle, hanno appassionato milioni di lettori di tutte le età e poi, diventati serie televisive, sono stati tra i prodotti televisivi più apprezzati dell’ultimo trentennio, venduti e trasmessi poi in diverse nazioni. Il fenomeno letterario creato dai libri di Camilleri è stato un caso senza precedenti, almeno in epoca moderna nel nostro Paese, riuscendo anche a trasformarsi in un volano per il turismo e per l’economia di un’intera zona della Sicilia. Da tutta Italia, e non solo, in tanti hanno viaggiato in lungo e in largo per cercare i luoghi più autentici raccontati dallo scrittore, capace non solo di regalare un ritratto indimenticabile del protagonista, alle prese con le proprie contraddizioni e con quelle del suo tempo, ma anche di trasformarsi nell’erede naturale dei grandi autori siciliani del passato.
Trent’anni fa, dunque, prendeva forma quel microcosmo letterario intriso di fascino e contraddizioni. “La forma dell’acqua” si configura come un giallo avvincente che intreccia suspense, umorismo e riflessioni profonde sulla natura umana. La trama, poi trasposta magistralmente sullo schermo da Luca Zingaretti, ruota attorno all'omicidio di un uomo, Franco Mannino, trovato senza vita in una vasca di acqua sorgiva. Le indagini del Commissario Montalbano lo conducono in un labirinto di segreti e bugie, dove nulla è come sembra. I personaggi che ruotano attorno alla vittima, dalla moglie al socio in affari, celano ombre e sospetti, alimentando il mistero e la tensione narrativa.
Ma è nella descrizione di Vigàta e nell’affresco della Sicilia degli anni Novanta che Camilleri fa centro, attirando su di sé prima la curiosità dei lettori più attenti e poi un numero sempre più alto di appassionati. Dai vicoli pittoreschi dei piccoli centri abbarbicati sulle colline, ai bar affollati da personaggi eccentrici, con un richiamo costante alle tradizioni locali e usando con sapienza il dialetto per aumentare l’autenticità e il realismo dell’opera.
Ma il grande segreto del successo del primo racconto sta nel suo protagonista assoluto, il commissario Montalbano, un uomo complesso e affascinante. Ma se nell’immaginario collettivo l’investigatore ha ormai il volto di Zingaretti, in realtà lo scrittore – come rivelato poi in un’intervista – svelò che il suo personaggio, per come l’aveva immaginato, era molto simile nei lineamenti al professor Giuseppe Marci, all’epoca docente di Filologia Italiana e Letteratura Sarda dell’Università di Cagliari.
Così con “La forma dell’acqua”, un giallo che è anche una storia di vita, di amicizia e di amore, lo scrittore inizia a rivelare quel mondo di immagini evocative e espressioni in dialetto siciliano che poi hanno regalato il successo ai 27 romanzi successivi. Il titolo assume un valore simbolico profondo: l'acqua, elemento mutevole e inafferrabile, rappresenta la vita stessa, con le sue sfumature e i suoi misteri. La sua forma, mutevole e imprevedibile, è come la verità che Montalbano cerca di scoprire, sfidando le ombre del male e le insidie della corruzione.
Da quel primo racconto, per 22 anni, Andrea Camilleri sfornò una lunga serie di romanzi sempre attesissimi e accolti con entusiasmo: da "Il cane di terracotta" a "La voce del violino", fino all’ultimo "Riccardino". Storie avvincenti, ma soprattutto un viaggio introspettivo alla scoperta di una terra antica, ricca di fascino e di mistero. Con un costante alla cultura letteraria dei padri nobili di quella terra: da Pirandello a Sciascia, Verga e Tomasi di Lampedusa.
Francesco Pinna
 
 

RTM, 10.4.2024
“La concessione del telefono” di scena al Garibaldi di Modica

Arriva al Teatro Garibaldi di Modica lo spettacolo “La concessione del telefono” di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, adattamento teatrale del divertente omonimo romanzo dello scrittore siciliano. Sabato 13 aprile alle ore 21.00 e domenica 14 aprile alle ore 18.30, con la regia di Giuseppe Dipasquale, l’attore Alessio Vassallo nel ruolo di Filippo Genuardi, lo stesso interprete dell’adattamento televisivo, insieme a Cesare Biondolillo, Franz Cantalupo, Cocò Gulotta, Paolo La Bruna, Alessandro Pennacchio, Ginevra Pisani, Alfonso Postiglione, Viviana Lombardo, Alessandro Romano e Valerio Santi, porteranno sul palco tutto l’umorismo di questa commedia degli equivoci ambientata alla fine dell’Ottocento nel suggestivo paese di Vigàta, località immaginaria che fa da sfondo anche alle tante avventure del celebre commissario Montalbano. Nella pièce, da una richiesta apparentemente banale – l’attivazione di una linea telefonica da parte del signor Genuardi – si sviluppa un’opera ricca di sorprese e dai risvolti surreali che in un susseguirsi di vicissitudini tragicomiche racconta vizi e virtù di una Sicilia che è allo stesso tempo metafora di un modo di essere e di ragionare, logico e paradossale. “Il giuoco della metafora c’è, ed è imponente – si legge nelle note di regia di Giuseppe Dipasquale – Nella Vigàta di Andrea Camilleri, si consuma una vicenda morale di ingiustizia sociale che pertiene alla incapacità cosmica dell’individuo, e aggiungeremmo dell’essere isolani e siciliani, di procedere al pari con la propria, semplice, coscienza di uomini”. Il testo de “La concessione del telefono” è tra i più divertenti dello scrittore agrigentino: tra malintesi e imbrogli, faccende personali e burocratiche, regala momenti di grande vivacità mostrando spaccati di una umanità sempre attuale. Produzione Teatro Biondo Palermo. “Andrea Camilleri è uno degli autori più amati – commenta il sovrintendente, Tonino Cannata – i suoi testi appassionano, narrando episodi, luoghi e personaggi che si muovono tra fantasia e realtà. Questo spettacolo, ambientato sempre nella “Vigata” resa famosa dal fortunato personaggio di Montalbano, con la regia di Dipasquale, che ha anche curato l’adattamento teatrale proprio con Camilleri, divertirà molto il nostro affezionato pubblico”.
 
 

Balarm, 10.4.2024
Il (vero) Montalbano era spagnolo: perché Andrea Camilleri ha scelto questo nome
Una scoperta letteraria fatta ad alta quota. Forse non tutti sanno che il personaggio più famoso di Camilleri è dedicato a uno scrittore spagnolo che porta il suo nome
[Non è mai troppo tardi per scorpirlo, NdCFC]

"La complicidad europeísta de Jaqueline me halagabra".
Ebbene, e se vi dicessi che il primo Montalbano di tutti i Montalbani comincia con questa frase ed è spagnolo?
Tutto inizia da un personalissimo disturbo post-traumatico da stress, causato dal troppo lavoro, per cui invento al mio capo che un mio parente già morto sta per morire l’ennesima volta e mi servono 4 giorni liberi per raggiungere il continente per dargli l’ultimo saluto.
Il biglietto per Barcellona ovviamente è già staccato.
Lo ammetto, soffro di aerofobia e ogni volta che prendo l’aereo saluto tutti, cane compreso, come fosse l’ultima volta che li vedrò.
In più sono uno di quei siciliani (e me ne vergogno) che basta che stacchi il culo dalla propria madre terra, sia anche per un salto, necessita di portarsi dentro le budella l’ultimo pezzo di sicilianità per alleviare la saudade da distacco.
Pertanto mi fermo al mio bar preferito e acquisto un’arancina a’ccarne bella fritta, che mangerò una volta in volo, tanto ho letto su National Geographic che: "mangiare ad alta quota, quando la pressione di ossigeno si riduce notevolmente, soprattutto sopra i 4000 metri, rende più difficoltoso per l'organismo trasformare in energia tali alimenti per questo si tende a consumarne minori quantità".
Questo si traduce nel mio cervello in “ne mangerò solo metà o a male cose mi salirà la sonnolenza da intoppo digestivo e riuscirò a dormire durante lo spostamento”.
Ovviamente non succede, anche perché la selezione casuale dei posti Ryanair decide di collocarmi al sedile 17E, tra l’ispettore Derrik e la signora Fletcher, due turisti tedeschi che invece di starsi a casa a guardare il gioco dei Pakken, investono il loro tempo viaggiando per tutto il globo terracqueo 365 giorni l’anno.
È a quel punto che esco dallo zaino un Montalbano di Camilleri, che, altra fobia, leggo esclusivamente in viaggio per lo stesso motivo dell’arancina, della saudade e blablà.
Questa volta è "Il cane di terracotta", uno dei must assoluti.
Vuoi il caso, vuoi il malo chiffare, mi imbatto in una scena (più di una) in cui Salvo Montalbano, notevolmente più scazzato di me, per ammazzare il tempo, legge, anche lui, un romanzo di un certo Manuel Vàsquez Montalbàn.
Montalbano che legge Montalbàn?
Ecco, se c’è una cosa che adoro del maestro Camilleri è questo suo continuo infilare citazioni dotte come fossero cazzilli fritti ad un aperitivo alla Vucciria. La cosa ovviamente mi incuriosisce provocandomi un’erezione intellettuale a 10.000 metri di altezza.
Tra una pagina e l’altra siamo quasi arrivati e mi sovviene alla mente un altro articolo secondo cui il 46% degli incidenti aeri avviene in fase di atterraggio (devo darci un taglio con National Geographic!).
Mi riprometto che se mai dovessi toccare terra, la prima cosa che farò è prendere informazioni a proposito di tale Vàsquez Montalbàn, fra l’altro esaltato dallo stesso Camilleri che con parole al miele lo definisce: “uno che sa scrivere bene i romanzi”.
Detto fatto!
Dopo chilometri e chilometri senza meta, vuoi le papole ai piedi, vuoi il vermouth spagnolo nella suggestiva Placa de Sant Just, che non poco mi ricorda uno dei tanti angoli di Cefelù, inizio la mia ricerca.
Il culo mi assiste: Vàsquez Montalbàn, guarda caso, nato a Barcellona nel 1939, è stato uno scrittore, saggista, giornalista, poeta e gastronomo, famoso soprattutto per i suoi romanzi polizieschi e vincitore di numerosi e prestigiosi premi.
Se il gioco dei puntini de "La Settimana Enigmistica" mi ha insegnato qualcosa, è che collegandoli ne verrà fuori un’immagine chiara e nitida (si fa per dire). Il doppio vermouth mi suggerisce che se mi trovo nella città natale di Montalbàn, allora deve esserci per forza qualcosa che parla di lui.
Il vermouth dice un sacco di minchiate ma questa volta ci ha azzeccato, perché il legame tra lui (Montalbàn, non il vermouth) e Camilleri è più forte di quello che si possa pensare e stupefacente. Intanto però il pititto che sta sbummichiàndo è atavico e necessita di essere colmato.
In Spagna ogni quattro vetrine, due sono di Mango, due di tapas. Essendo che non mi appassiona tanto la frutta esotica, abbraccio la seconda opzione e mi butto a capofitto da Anxoita (una trattoria che tiene la parola “anciova” nel nome non può sbagliare).
Pan con tomate (pane col pomodoro stricato), sarde salate, olive, bruschette con alici, pomodoro secco e pistacchi. È ufficiale, sono a casa e il duodeno e l’intestino crasso si mettono addritta per la standing ovation.
È proprio Bruno, il tutto fare, tra un vermouth servito e l’altro, a raccontarmi che Vàsquez Montalbàn è famoso soprattuto per il suo personaggio Pepe Carvalho, divenuto un vero e proprio simbolo di Barcellona.
Pepe, con un passato da militante antifranchista, dopo aver lavorato quattro anni per la CIA decide di mettersi in proprio e diventare un investigatore privato.
Il suo ufficio è sulla famosa Rambla e come assistente ha Biscuter, una sorta di storpio che vive nello sgabuzzino in compagnia di un paio di fornelli ed è un mago della cucina: un po’ come Adelina, la “cammarera”, per il nostro Salvo Montalbano.
L’esistenza di Pepe Carvalho, tra un caso e un altro, si districa sul travagliato rapporto sentimentale con la prostituta Charo e una vita fatta di eccessi tra alcol e cibo, come se non ci fosse un domami.
Le ricette del protagonista vengono descritte così minuziosamente e sono così famose, che lo stesso Vàsquez Montalbàn nel 1988 scriverà un libro intitolato: “le ricette di Pepe Carvalho”.
E così come Montalbano nostro non riesce fare a meno del ristorante Da Calogero, allo stesso modo anche Pepe non riesce a campare senza il suo Casa Lepoldo, divenuto in Spagna un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, ancora oggi aperto.
Solo questione di coincidenze? Solo questione di puntini collegati male?
Va bene, a questo punto della storia non resta che dirvelo.
In realtà quello che legò Andrea Camilleri a Vasquez Montalbàn non fu solo una stima intellettuale o un gradimento per la sua penna, ma fra i due si instaurò anche una profonda amicizia, tant’è che quando lo spagnolo venne a mancare nel 2003 a causa di un infarto, Camilleri espresse pubblicamente il suo immenso dispiacere.
Fu proprio a Vasquez Montalbàn, dopo aver letto il romanzo “Il Pianista”, che il maestro di Porto Empedocle volle dedicare il suo personaggio principale chiamandolo proprio Montalbano.
È lui stesso a dichiararlo: «Ho battezzato il commissario Salvo Montalbano in onore di Manuel Vàzquez Montalbàn, il mio caro amico di cui oggi piango la scomparsa».
Non solo è storia nota tra spagnoli, ma apprendo con estremo piacere che molti di loro conoscono anche il nostro Salvo Montalbano.
Vermouth, vermouth, vermouth, il mio viaggio purtroppo è giunto alla fine.
Mi chiamano al gate, ma sono felice perché sono riuscito a procurarmi una copia di “Yo maté a Kennedy”, il primo della serie di Pepe Carvalho, in lingua orinale, di cui, vuoi per il capogiro, vuoi per il mio spagnolo camilleriano, leggerò forse quell’unica frase che tutto inizia, tutto finisce: "La complicidad europeísta de Jaqueline me halagabra…".

Gianluca Tantillo
 
 

Ragusa Oggi, 10.4.2024
Una troupe della Rai fa tappa a Scicli. Il team di Alberto Angela per filmare i luoghi di Montalbano

Il salotto storico della città con i suoi palazzi nobiliari e dell’alta borghesia sciclitana interamente restaurati, con le sue basole di pietra dura che riflettono non comuni raggi di luce abbagliante, con le sue preziose chiese barocche, farà da scenario in una delle prossime trasmissioni di divulgazione scientifica curate da Alberto Angela che andranno in onda con la nuova stagione. Il team dello studioso e la troupe della Rai sono attesi per domani e dopodomani. Pubblicata all’albo pretorio del Comune l’ordinanza sindacale che regolamenta la sosta dei mezzi della Rai in via Nazionale dalle12 di domani e fino alla fine delle riprese previste per venerdì. Dopo Modica e Santa Croce Camerina anche Scicli entra nel programma di Alberto Angela. Una tappa importante per una città che s’è fatta conoscere negli ultimi decenni per la bellezza del territorio e la preziosità delle sue bellezze artistiche ed architettoniche.
La fiction del commissario Montalbano ha fatto il resto.
[…]
Pinella Drago
 
 

Libri blog, 11.4.2024
Un sabato, con gli amici di Andrea Camilleri: recensione del libro

Andrea Camilleri, conosciuto per la sua abilità nel mettere a punto delle trame complesse, anche nell’occasione di Un sabato, con gli amici ha deciso di esibire questa sua capacità. Ma la modalità con cui ha scelto di farlo potrebbe sembrare un tantino artificiosa e trasparente, quasi come se avesse sottovalutato le capacità interpretative dei suoi lettori.
Nell’ultima parte del libro, l’autore si dedica a spiegare le motivazioni dietro ai comportamenti dei personaggi, risalendo ai traumi infantili che hanno subito. Queste ferite del passato, anche se remote, sono presentate come scatenanti degli atteggiamenti che adottano da adulti.
Giovani incapaci di provare amore
I personaggi del libro, incapaci di provare amore e consumati da desideri distorti, cresciuti privi di figure genitoriali di riferimento, appaiono come se fossero intrappolati in un ciclo di autodistruzione e desiderosi di causare dolore a coloro che li circondano.
Andrea Camilleri, attraverso la trama delle vite di questi giovani, intrecciate tra loro da un comune passato di sofferenze, non mira a dipingere un ritratto realistico di un gruppo di amici moderno. Vuole invece evidenziare come le nostre azioni adulte siano profondamente influenzate dai traumi e dalle esperienze vissute nell’infanzia.
Un messaggio profondo
Questa opera si propone di stimolare nei lettori una riflessione sui loro primissimi ricordi, quelli che spesso riemergono in momenti di condivisione, come quello descritto nel libro durante una serata tra amici. L’intento è quello di far comprendere che le radici dei nostri comportamenti si trovano in quelle esperienze passate.
In ogni episodio di cronaca in cui adolescenti si rendono protagonisti di gesti terribili, è necessario indagare nelle loro storie personali per trovare le cause. Andrea Camilleri, anche nei suoi famosi romanzi gialli con protagonista il Commissario Montalbano, non manca mai di inserire un messaggio di denuncia sociale e un forte richiamo alla responsabilità.
Questo libro fa emergere con chiarezza come l’autore fosse profondamente turbato dalla realtà che lo circondava, mostrando una forte preoccupazione per le generazioni future, messe a rischio da un’infanzia segnata da violenze e traumi. Il messaggio centrale del romanzo mette in evidenza l’importanza di un’eredità culturale e morale sana per garantire un futuro migliore, al di là del puro piacere letterario.
[…]
 
 

Palacongressi - Agrigento, 12.4.2024
Venerdì 12 aprile 2024 alle ore 20:30
La concessione del telefono

Biglietti it.ticketzeta.com/events/2024/aprile/ag-palacongressi-laconcessionedeltelefono
Poltrona Gold € 25,00 - Poltrona II° Settore € 15,00 - Poltrona III° Settore € 10,00
>>> Ridotto studenti € 15,00 (Gold) - € 10,00 (II° settore)
>>> ABBONAMENTI CHIAMARE 0922 25 019

 
 

Las lecturas de Guillermo, 12.4.2024
«La guerra privada de Samuele y otras historias de Vigàta», de Andrea Camilleri
«Las historias de Vigàta no dejan de sorprender, todas surgen de sugerencias literarias, huellas del pasado, crónicas, muchas de ellas se basan en la vida real de Camilleri, atravesando la historia. Seis historias perfectas y completas que casi constituyen una novela.»

Los seis relatos reunidos en este volumen son una nueva muestra de la capacidad inagotable de Andrea Camilleri para ahondar, con su fino ingenio y su imaginación desbordante, en los recovecos más absurdos del alma humana. Concebidas a partir de evocaciones literarias y vestigios del pasado del autor, estas historias perfectas y muy logradas suponen una magnífica oportunidad para saborear la estrambótica realidad de la Italia de ayer y de hoy a través del pequeño mundo de Vigàta.
El volumen incluye los cuentos inéditos La prueba y La guerra privada de Samuele, conocido como Leli; mientras que los demás fueron publicados en diferentes momentos:
 El hombre es fuerte – El homenaje – La triple vida de Michele Sparacino Las cuatro Navidades de Tridicino aparecieron ocasionalmente en otros periódicos y semanarios, incluidos los sectoriales. [Nota al final del libro]
Cuando muere un escritor de éxito y de lectura popular como Andrea Camilleri, nos parece que no sólo se interrumpe una vida sino también un flujo narrativo de historias. Por eso cuando recibo un ejemplar del libro de cuentos La guerra privada de Samuele me dio mucha alegría poder retomar y disfrutar del flujo narrativo del maestro, su voz de narrador, ronca y persuasiva, el gusto por la ironía, el arte de armar relatos amplios yuxtaponiendo situaciones kafkianas y fallos éticos y morales, así como apuntes de costumbres, de Italia o mejor dicho, de Sicilia.
Al abrir las páginas de esta colección de cuentos, encontramos dos inéditos: La prueba y La guerra privada de Samuele, conocido como Leli: el primero es un divertimento clásico del autor, el otro es un cuento profundamente moral, uno de los muchos mediante el cual, burlándose de la respetabilidad y de la sociedad conformista, continúa enseñándonos, a través de sus antihéroes, De los pensamiento no hay nadie más que pueda leer realmente sobre cada uno de ellos: la máscara social y las intenciones (máscara y rostro) son en realidad dos cosas diferentes, una lección que tomó prestada directamente de Luigi Pirandello. Con este «juego» profundo y nunca distraído del ideal traicionado sólo aparentemente, Camilleri resolvió muchas situaciones narrativas, todos los aspectos de la capacidad de sus personajes, muchos de los cuales eran personas normales o perseguidos por el destino, para vivir y afrontar «lo desconocido como lo desconocido». La diversión hecha de juicios sumarios de la opinión pública continúa con La triple vida de Michele Sparacino y la muy divertida, sobre la mucha ‘fama’ que se puede adquirir en el mundo; y luego la más dramática El hombre es fuerte, sin mencionar lo fuerte que es la esposa que lo apoya de por vida, y Las cuatro Navidades de Tridicino, un hermoso y poético cuento de hadas sobre vivir felizmente con los pequeños mientras se ama verdaderamente la vida y a los demás. La colección es una preciosa muestra de tipos camillerianos de gran éxito: la sonrisa se alterna con la lágrima, el golpe dramático, la risa amarga ante una realidad inefable.
El autor:
Andrea Camilleri nació en 1925 en Porto Empedocle, provincia de Agrigento, Sicilia, y murió en Roma en 2019. Durante cuarenta años fue guionista y director de teatro y televisión e impartió clases en la Academia de Arte Dramático y en el Centro Experimental de Cine. En 1994 creó el personaje de Salvo Montalbano, el entrañable comisario siciliano protagonista de una serie que en la actualidad consta de treinta y cuatro entregas. También publicó otras tantas novelas de tema histórico, y todas sus obras ocupan habitualmente el primer puesto en las principales listas de éxitos italianas. Andrea Camilleri, traducido a treinta y seis idiomas y con más de treinta millones de ejemplares vendidos, es uno de los escritores más leídos de Europa. En 2014 fue galardonado con el IX Premio Pepe Carvalho.

El libro:
La guerra privada de Samuele (título original: La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigàta, 2022) ha sido publicado por Ediciones Salamandra en su Colección Salamandra Narrativa. Traducción de Carlos Mayor Ortega. Encuadernado en rústica con solapas, tiene 240 páginas.

Como complemento pongo un vídeo en italiano titulado «La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigata». Letture di Alessandra Mortelliti.
 
 

Teatro Garibaldi - Modica, 13-14.4.2024
La concessione del telefono
Data Evento 13 Aprile ore 21 / 14 Aprile ore 18:30
di Andrea Camilleri
con Alessio Vassallo, Mimmo Mignemi, Carlotta Proietti, Paolo La Bruna, Cocò Gulotta, Ginevra Pisani, Cesare Biondolillo, Alfonso Postiglione, Alessandro Romano, Franz Cantalupo, Alessandro Pennacchio
regia Giuseppe Dipasquale


Il regista Dipasquale firma una nuova edizione del fortunato adattamento teatrale dell’opera di Camilleri. Una commedia degli equivoci dai risvolti surreali, ambientata sul finire dell’Ottocento a Vigàta, il paese immaginario in cui lo scrittore agrigentino ha ambientato tutti i suoi romanzi, fino alle avventure del commissario Montalbano. La semplice richiesta di attivazione di una linea telefonica, avanzata dal signor Genuardi, innesca una catena di equivoci e imbrogli che diventa metafora di una condizione esistenziale. La concessione del telefono è, tra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti, una sorta di commedia degli equivoci ambientata in una terra, la Sicilia, che è metafora di un modo di essere e di ragionare, arcaica e moderna nello stesso tempo, comica e tragica, logica e paradossale.
Cosa indica la ridicola e allo stesso tempo legittima pretesa di un personaggio come Pippo Genuardi, che vuole ottenere una linea telefonica per potersi meglio organizzare con la sua amante? È la metafora di un crudele gioco dell’inutilità umana e sociale o la pessimistica ipotesi di un atavico immobilismo del processo storico di evoluzione dell’individuo e della società? Camilleri sembra non voler dare risposte, ma allo stesso tempo, con gli strumenti ingegnosi della lingua e del gioco letterario e teatrale, ci pone dinanzi a situazioni paradossali che smascherano le ipocrisie, i pregiudizi e la cattiva coscienza di una comunità molto simile a quella in cui viviamo.

 
 

ServireSciacca, 13.4.2024
Gli studenti del Don Michele Arena tra il pubblico di “La Concessione del Telefono” di Andrea Camilleri

In un nuovo allestimento firmato da Giuseppe Di Pasquale, è tornato in scena ieri sera al teatro Palacongressi di Agrigento “La concessione del telefono”, l’originale testo teatrale scritto da Andrea Camilleri e dallo stesso Di Pasquale.
Una commedia degli equivoci dai risvolti surreali, ambientata sul finire dell’Ottocento a Vigàta, il paese immaginario in cui lo scrittore agrigentino ha ambientato tutti i suoi romanzi, fino alle avventure del commissario Montalbano. La semplice richiesta di attivazione di una linea telefonica avanzata dal signor Genuardi innesca una catena di equivoci e imbrogli che diventa metafora di una condizione esistenziale.
In un omaggio al grande maestro della letteratura siciliana, il palcoscenico si è trasformato in un viaggio avvincente attraverso gli intrighi e i personaggi indimenticabili creati dalla penna di Camilleri.
Lo spettacolo, perfettamente adattato per il palcoscenico, ha regalato agli spettatori un’esperienza unica e coinvolgente.
Anche gli studenti del Don Michele Arena erano presenti, aggiungendo un tocco speciale a questa bella serata.
Con il calare delle luci e l’apertura del sipario, gli studenti del Don Michele Arena si sono lasciati trasportare dall’incanto dello spettacolo. Gli attori con la loro maestria, hanno danno vita ai personaggi di Camilleri, trasportando il pubblico in un viaggio emozionante attraverso le strade polverose e i vicoli tortuosi della Sicilia di un tempo.
L’energia e l’entusiasmo degli studenti si sono fusi all’applauso del pubblico, creando un’atmosfera di condivisione e partecipazione.
“La Concessione del Telefono” si conferma non solo un capolavoro della letteratura contemporanea, ma anche un’opera capace di coinvolgere e ispirare il pubblico di tutte le età.
Grazie alla partecipazione degli studenti, la serata si è trasformata in un momento di condivisione e crescita culturale, testimoniando il potere dell’arte e della cultura nella nostra società.
Giuseppe Puleo
 
 

Mentinfuga, 14.4.2024
Camilleri, De Mauro, la lingua e il dente. Attualizzazione di una riflessione sull’italiano
Andrea Camilleri e Tullio De Mauro
La lingua batte dove il dente duole
Roma-Bari, Laterza, 2013
pp. 132, € 10

Alcuni anni fa, Tullio De Mauro e Andrea Camilleri, poco prima di lasciarci, argomentarono sullo stato di salute della nostra lingua italiana. Questo dialogo piacevole, ironico e ricco di riferimenti autobiografici, è riportato nel volume La lingua batte dove il dente duole. Camilleri e De Mauro – attraverso una serie di riflessioni, aneddoti e memorie, in cui trovano posto Alessandro Manzoni e Vittorio Gassman, Pier Paolo Pasolini e il commissario MontalbanoBenigni e Pirandello – ci raccontano come la lingua esprima chi siamo veramente.
Per De Mauro la cura delle nostre parole è un atto di resistenza democratica. È il mezzo che ogni persona ha per non stare alla finestra. Tullio De Mauro afferma che il «potere della parola» è quello di contribuire al pieno sviluppo dell'essere umano. Per decenni criticò l'abitudine del sistema scolastico italiano a concentrarsi troppo sull'aspetto normativo della lingua («Si dice così e non si dice colà»), invece che esplorarne pienamente le numerose potenzialità espressive. In un suo saggio del 1975 scrisse che la scuola tradizionale ha concentrato i suoi sforzi a insegnare come si deve dire una cosa. In realtà, serve
«insegnare come si può dire una cosa, in quale fantastico infinito universo di modi distinti di comunicare noi siamo proiettati nel momento in cui abbiamo da risolvere il problema di dire una cosa. Possiamo dire una cosa disegnando, cantando, mimandola, recitando, ammiccando, additando, e con parole; possiamo dirla in inglese, in cinese, in turco, in francese, in greco, in piemontese, in siciliano, in viterbese, romanesco, trasteverino, e in italiano; possiamo dirla con una sintassi semplice, per giustapposizione di proposizioni, o con una sintassi contorta e subordinante; con parole antiche o nuove, nobili o plebee, usate o specialistiche; possiamo dirla come uno scienziato o un poliziotto, un comiziante o un cronista, un gruppettaro o un curato di campagna; possiamo gridarla, scriverla a caratteri cubitali o in appunti frettolosi – possiamo dirla tacendo, purché abbiamo veramente voglia di dirla e purché ce la lascino dire».
I due autori partono da una profonda, giusta, verità: in Italia abbiamo tante lingue. La competenza linguistica si forma, in ognuno di noi, per aggiunta, non per sostituzione. Non è necessario dimenticare una lingua per fare posto a un'altra nel nostro cervello, come alcuni ritenevano fino a pochi decenni fa. Si pensi alla profonda stigmatizzazione subita dal dialetto in Italia. Lo sforzo di molti maestri e molte maestre – soprattutto durante il fascismo – era di eradicarlo dai propri studenti, nella convinzione che una convivenza di lingue non fosse possibile. E invece è vero – come sostiene con forza la linguista Vera Gheno – l'esatto contrario:
«non solo più lingue possono convivere pacificamente nello stesso cervello, ma anzi, si notano veri e propri benefici cognitivi in chi ha accesso a più patrimoni linguistici (per esempio, una maggiore plasticità cerebrale, e di conseguenza una ritardata insorgenza dell'Alzheimer)».
Il fascismo credeva nella realizzazione dell'unità linguistica attraverso l'uso dell'italiano, un tentativo che era già stato fatto agli albori dell'Unità d'Italia. Ma il dialetto legato alle radici, anche comunali, della nostra storia è stato davvero di difficile estirpazione. Malgrado il fascismo, la liberazione e la democrazia, i dialetti hanno continuato a sopravvivere. A dar loro il colpo mortale, secondo De Mauro, non è stata la politica ma la televisione, che ha giocato un ruolo fondamentale nel diffondere l'uso dell'italiano: molte persone impararono a leggere e scrivere l'italiano attraverso le mitiche lezioni del maestro Manzi. Oltre all'età (entrambi erano quasi coetanei), Camilleri e De Mauro condividevano la provenienza da famiglie borghesi e l'essere legati alla cultura dialettale meridionale. Con qualche differenza: Camilleri – da bambino non ancora scolarizzato – parlava un dialetto siciliano non molto stretto; i genitori di De Mauro, laureati, usavano nella loro vita privata il dialetto napoletano.
De Mauro cita un significativo brano di Luigi Meneghello in Libera nos a Malo:
«Nell'epidermide di un uomo si possono trovare, sopra, le ferite superficiali, vergate in italiano, in francese, in latino; sotto ci sono le ferite più antiche, quelle delle parole del dialetto, che rimarginandosi hanno fatto delle croste. Queste ferite, se toccate, provocano una reazione a catena, difficile da spiegare a chi non ha il dialetto. C'è un nocciolo indistruttibile di materia, presa coi tralci prensili dei sensi; la parola del dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, percepita prima che imparassimo a ragionare, e immodificabile, anche se in seguito ci hanno insegnato a ragionare in un'altra lingua».
Camilleri ribatte che il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto. E confida:
«A me con il dialetto, con la lingua del cuore, che non è soltanto del cuore ma qualcosa di ancora più complesso, succede una cosa appassionante. Lo dico da persona che scrive. Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l'equivalente nella lingua italiana. Non è solo una questione di cuore, è anche di testa. Testa e cuore. È una relazione molto articolata. Non vivo in Sicilia da sessant'anni, non c'è nessun siciliano in famiglia, mia moglie è romana ma è stata educata a Milano, le mie figlie sono nate tutte a Roma, nessuna di loro conosce il dialetto.  Posso stare un anno, anche di più senza parlare in dialetto. Allora, la mia testa seleziona le parole del dialetto attraverso una formula di perdita e guadagno, tornano nella mia memoria parole che – attenzione – sono le più lontane dall'italiano, ma incise profondamente in me fin dalla nascita, mentre quelle venute dopo le dimentico».
Oggi i dialetti resistono, ma quasi dappertutto privati delle loro radici più antiche. Secondo l'Istat oggi l'italiano è nella sostanza un bene comune. Oltre il 90% degli italiani lo usa in modo esclusivo, lo sa parlare e lo padroneggia nei suoi elementi essenziali. Se, tuttavia, spostiamo l'attenzione allo scritto, al rapporto con l'informazione scritta e con la letteratura, le cose cambiano notevolmente. Il suo buon uso – sostiene De Mauro – richiede
«un ordito di base solido, che a me sembra dovrebbe consistere in una larga adesione alla cultura intellettuale, artistica, scientifica, buona informazione, teatro, musica, cinema, libri, amore o almeno rispetto per il sapere critico, storico, scientifico. Ma è proprio qui che le note si fanno dolenti. L'enorme crescita della scolarità formale in età giovanile non si è accompagnata in età adulta alla larga adesione di cui parlavo. Per troppa parte della popolazione l'italiano rischia di essere un guscio fonico, povero dei contenuti necessari a vivere nel complicato mondo contemporaneo».
Ma Camilleri si mostrò fiducioso. Consapevole che viviamo circondati da gente che parla altre lingue, lingue diverse dalla nostra, lingue non europee, egli nutriva la speranza che – visto che la lingua è sempre in movimento –
«in una progressione lenta e costante, da questo meticciato di lingue degli extracomunitari e dei migranti tutti, il guscio vuoto, come dici tu, possa essere riempito da queste nuove parole che arrivano da fuori. Un po' come succede con il tasso di natalità: noi italiani non facciamo più figli, ma il tasso di natalità regge in virtù della presenza degli stranieri. Ecco, io spero questo, che il guscio che si sta svuotando possa essere colmato, arricchito e non sostituito, da parole nuove e diverse che diventeranno parole nostre. Mi è capitato di leggere alcuni racconti scritti da extracomunitari e la forza e l'energia del loro italiano, nonostante la povertà linguistica, sono talmente dirompenti che l'italiano acquista un vigore nuovo, una nuova linfa che ringiovanisce la parola».
Antonio Salvati
 
 

Agrigento Ieri e Oggi, 16.4.2024
Andrea Camilleri: Tra Teatro, Narrativa e Impegno Civile
La vita e l’opera di Andrea Camilleri, dalla formazione teatrale agli influenti romanzi siciliani che rivelano un profondo impegno civile. Scopri più su come il teatro e la letteratura si intrecciano nella sua carriera.

ANDREA CAMILLERI
Nato a Porto Empedocle nel 1925. fa i suoi studi ad Agrigento ed ha tempo di dedicarsi ad attività teatrali con II gruppo “Poker d’Assi”. Poi si trasferisce a Roma dove prima frequenta il centro di cinematografia e poi con Orazio Costa l’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico.
Poi va alla RAI dirigendo centinaia di commedie radiofoniche. Per la TV ha diretto opero di Gozzi, Palazzeschi, Calderon de La Barca, Peppino De Filippo, Beckett, Adamov, Pirandello.
Ha messo in scena oltre cento spettacoli teatrali con prevalenza opere di Pirandello e del teatro dell’assurdo. Sue poesie si trovano nell’antologia: I poeti scelti, a cura di Bettelli, Nuovi Poeti, a cura di Fasoli.
Arrivano nel periodo ’75-’76 le famose Interviste Impossibili trasmesse dalla Rai e raccolte in due volumi da Bompiani. Camilleri si incontra con Stesicoro e Federico di Svezia.
Come saggista realizza un volume sui teatri stabili in Italia dal 1898 al 1918. Scrive i seguenti romanzi: Il corso delle cose, Un filo di fumo, La strage dimenticata, La stagione della Caccia, La bolla di componenda.
La forma dell’acqua Il birraio di Preston, Il cane di terracotta, Il gioco della mosca. È stato finalista al “Premio Viareggio”, ha vinto il Premio Vittorini, il “Premio Telamone e il “Premio Pirandello nel cuore.
Ha partecipato a diverse edizioni della Settimana Pirandelliana’’ con le sue opere dirigendo il Piccolo Pirandelliano “ed il “Gruppo L’Officina”.
INTERVISTA
Camilleri e la sua giovinezza tra Porto Empedocle ed Agrigento
Si sognava l’evasione, naturalmente, io sono uno che prende concretamente atto delle cose, prendo atto che prima ero un giovane e ora un uomo anziano, voglio dire che trovo sempre una precisa ragione a quello che capita nella vita.
Provo però una certa rabbia se penso alle condizioni di vita che c’erano in Sicilia, negli anni ‘43 – ‘45. Io sono stato costretto ad andarmene per potere trovare un certo tipo di comunicazione e un ambiente congeniale.
Oggi invece in Sicilia si ci può stare, anzi si deve.
Cosa sognavamo? Ma prima, chi erano i miei amici? Futuri uomini di cultura come Ciccio Burgio, Gaspare Giudice, Dante Bernini. E poi nel dopoguerra, Lauretta, Gaglio…
Devo dire che le nostre speranze di allora mi appaiono oggi saggiamente calibrate a quello che pensavamo sarebbe stato il nostro avvenire
Ecco sognando sognando si facevano le piccole compagnie teatrali. Siamo nell’immediato dopoguerra, e creata una compagnia, un gruppo col nome “Poker d’Assi”, che oggi chiameremmo amatoriale o dilettante. A che servì allora fare un gruppo teatrale?
Non nasce nel dopoguerra, ma prima, verso il ‘41, ai tempi della G.I.L., (Gioventù Italiana del Littorio). Ogni sabato pomeriggio c’era l’adunata e bisognava fare le esercitazioni paramilitari.
A noi non andava e così barattammo col Federale le esercitazioni col lavoro. Il lavoro consisteva nell’organizzare spettacoli e nell’andare ad imparare composizioni nella tipografia dell’avv. Macaluso.
Composizione che imparammo bene, tanto d fare un giornale per le scuole medie superiori, si chiamava “L’asino”, ne uscirono sei numeri che conservo gelosamente.
Redattori erano Ugo La Rosa, Dante Bernini, Gaspare Giudice, io, Luigino Giglia che poi prese la strada della politica.
Con alcuni di questo gruppo cominciammo a fare teatro e nel ‘42 a Firenze, risultammo secondi dopo un gruppo capeggiato da un giovane triestino che si chiamava Strehler.
L’attività continuò anche nel dopoguerra, si aggregò un giovane scenografo, l’architetto Cuffaro, e con Ugo La Rosa facemmo una compagnia che si chiamava “Poker d’assi”, la quale faceva rivista e teatro leggero.
Ma anche a Poto Empedocle c’era una compagnia che recitava commedie di Vittorio Calvino o di Grand Guignol. Qui c’erano Fofò Gaglio, Pepè Fiorentino, Paolo Rizzo… Recitavano nell’immortale teatro Mezzano.
C’è poi la partenza per Roma. Un siciliano di allora trapiantato a Roma che vive queste esperienze nel mondò dell’arte e della cultura, quali impressioni?
Dunque, io avevo scritto una commedia che si chiamava “Giudizio a mezzanotte” e avevo visto che c’era un concorso nazionale a Firenze per giovani autori.
La scrissi, la spedii e vinsi il primo premio.
Feci un viaggio mostruoso, non avevamo i soldi perché io andassi a Firenze e allora mio zio si vendette un quintale di ceci o di fave, non ricordo bene, e con questi soldi potei affrontare la cultura fiorentina e nazionale.
Presidente della giuria era Silvio D’Amico. L’anno dopo D’Amico mi scrisse una lettera: “Caro amico, dopo l’interruzione della guerra vorrei radunare i giovani, ecc.… le mando il bando per il concorso per l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica”.
Io che cercavo appunto tutte le occasioni per filare, aiutato dai genitori pur essendo figlio unico, feci il concorso e risultai il primo.
Ebbi la borsa di studio e cosi divenni l’unico allievo regista perchè da due anni non ammettevano nessuno in Accademia.
Docente di regia era Orazio Costa, e quindi avevo questo grande regista tutto per me in un aula enorme e deserta, perché eravamo noi due, tutte le mattine, dalle 8.00 a mezzogiorno, che Dio sulla terra.
È stato il mio maestro, ma sarebbe troppo lungo da spiegare, perché lo considero un maestro, un maestro di una lettura diversa dalla lettura letteraria che io allora facevo, un maestro di teatro, di lettura in senso proprio di teatro.
Ho imparato molto da lui, ma non ho mai condiviso totalmente le sue idee di teatro.
L’idea di teatro come chiesa, io sono un laico, non l’ho mai accettata, per me la chiesa è una cosa, il teatro è tutta un’altra cosa.
Io sono un allievo infedele di Orazio Costa, però va a merito della sua intelligenza, nel momento in cui dovette lasciare l’insegnamento, dopo 30 anni di regia All’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, di avere designato me come suo successore, ed io ho preso il suo posto e l’occupo da 23 anni.
E poi abbiamo la RAI. Come si faceva il lavoro dei radiodrammi come uscì fuori e come riuscivate a creare queste atmosfere?
Ma diciamo che qui il discorso è un pochino complesso.
Io ho fatto 1.300 regie radiofoniche di lavori che continuano a trasmettere, ora stanno ritrasmettendo I tre Moschettieri. Il radiodramma non è la riproduzione della realtà.
I tedeschi avevano fatto un premio radiofonico che era di un sadismo mostruoso.
In questo premio la giuria era composta da ciechi di guerra, cioè di gente che aveva visto la realtà e non la poteva più vedere, quindi allora il radiodramma era la riproduzione stimolante di alcuni effetti sonori della realtà, per potere ricreare una realtà.
Ma non è solo questo il radiodramma, anzi andando avanti nel tempo con l’istituzione di Fonologia e di altre cose…,
io per esempio, ho vinto il “Premio Italia Sperimentale” con un lavoro di Nanni Balestrini, dove vi era una sola voce, di Laura Betti nel caso specifico, che diventava 25 voci diverse, con un lavoro continuo di alterazioni di frequenze e altre diavolerie. Era una sorta di sinfonia vocale.
Addirittura mi chiesero di andarlo a fare in Ungheria questo stesso tipo di ricerca sonora. Quindi voglio dire, il campo del radiodramma è vastissimo.
È chiaro, quando era una cosa di mistero o di killer o di thriller, mettevi la porta che strideva e avevo ottenuto l’effetto che volevo, ma non c’era solo quello.
La tua impressione in questi armi vissuti in RAI, una RAI che in fondo è uno specchio molto importante della società italiana.
La RAI è lo specchio fedele dell’Italia.
E impressionante come sia speculare alla situazione italiana.
Se voi leggete sui giornali tutto quello che succede alla RAI allargate il campo e andate indietro con la telecamera e scoprite di più il panorama e quindi finite che da Viale Mazzini vi trovate “dalle Alpi al Libeo”, come diceva il poeta.
Io me ne nono andato dalla RAI per me sopravvenuti limiti di età. Avevo 65 anni e 30 di servizio, me ne sono andato contento di andarmene.
Questo è tristissimo, per uno che ha lavorato 30 anni in una Azienda, essere contento di andarsene. E non ci ho più messo piede.
Sono tornato negli studi, ora recentemente, perché chiamato come me stesso, come A. Camilleri, per la riduzione radiofonica de “Il Birraio di Preston”.
Cercherò di essere rapidissimo. Io nel 1957 avevo fatto la regia di un’opera lirica al Donizetti di Bergamo. Tornai a Roma e mia moglie mi disse: “Ha telefonato Lupo”. Io credevo si trattasse di Alberto Lupo.
Telefonai ad Alberto, buon’anima, e mi disse che non aveva chiamato lui, allora che Lupo era non lo so. Due giorni dopo mia moglie mi dice che ha ritelefonato Lupo. –
“Ma per l’amor del cielo fatti dire chi è” – le dissi. Finalmente riuscii a capire che era il direttore del Terzo programma radiofonico, Cesare Lupo, che mi chiamò: “La voglio vedere”.
Andai da lui e mi disse: “Senta, ho la responsabile della prosa teatrale, che era importantissima, di alto livello, che è andata in trattamento di maternità, mi hanno fatto il suo nome come persona in grado di sostituirla, perché lei ha collaborato alla Enciclopedia dello Spettacolo e ha scritto sul teatro.
Sappia una cosa: che chi mette piede qua dentro non esce più”.
Io in quel tempo insegnavo al Centro Sperimentale di cinematografia, insegnavo direzione dell’attore, avevo a che fare con allievi che sarebbero diventati importanti come Marco Cocchio o Liliana Cavani, e non avevo tutto questo tempo da dedicare alla RAI.
Allora mi fece un contratto a mezza giornata.
Sono entrato così, perché il mio nome venne segnalato come persona competente da Orazio Costa e Giulio Pacuvio, altro regista, uno cattolico e uno comunista, venni segnalato come persona adatta per quel posto. Lì ho conosciuto degli altri funzionari della RAI.
Quando questi funzionari sono passati alla seconda rete televisiva, che allora veniva inaugurata, mi portarono con loro. Mario Motta e Fabio Borrelli, il fratello maggiore dell’altro noto Borrelli di Milano.
Così si entrava, così si lavorava.
Cioè a dire, se uno valeva, allora lo prendevano, senza stare a guardare la tessera.
Ho visto, in 30 anni, arrivare il peggio della politicizzazione, il peggio del consociativismo, il peggio della politica, degli imbecilli che invadevano.
Io non sono mai stato dirigente, tre volte mi hanno fatto la proposta, ho sempre rifiutato, ho preferito sempre fare il mio mestiere di regista e ideatore di programmi.
Io non so quando finirà il male della politica, perché la politica è giusto che ci sia, ma il male della politica no, allora forse la RAI può essere rivissuta da qualche generazione futura assai meglio di quanto non l’abbia vissuta io, perché l’ho vissuta nella sua nascita, grandezza e decadenza.
Quanto ha influito la professione con la narrativa?
Io avevo cominciato come poeta. Avevo pubblicato nello “Specchio” di Mondadori con prefazione di Ungaretti in una antologia di giovanissimi e meno giovani.
Avevo 19 anni e mi dissi:   “Se io faccio il concorso all’Accademia d’Arte drammatica mi trasferisco a Roma e quindi potrò dedicarmi soltanto alla letteratura”.
Invece il teatro mi contagiò. Già c’era stato questo inizio di contagio.
Il teatro assorbe, se fatto sul serio, non hai altre vie d’uscita, infatti non ho più scritto.
Avevo anche pubblicato due racconti, e quando cercavo di scrivere in prosa mi mancava il respiro, seralmente, riuscivo a scrivere due tre pagine e se interrompevo e poi dovevo riprendere il tono era diverso, non riuscivo a legare, avevo il respiro corto, non ce la facevo, le cose non combaciavano, c’erano degli scalini da pagina a pagina.
L’esperienza teatrale ha fatto sì che io riuscissi a capire che cosa è un personaggio, a vederlo vivo davanti a me e farlo diventare vivo attraverso un attore.
Questa è la prima cosa, cioè capire il tutto tondo di un personaggio e poi tentare naturalmente di restituirlo sulla pagina.
Un altro è il taglio narrativo che mi proviene più dalla televisione e dal cinema, cioè la struttura a sequenze brevi della narrazione.
Devo dire che avevo paura a scrivere un romanzo.
Avevo paura. Il primo romanzo è nato in una situazione brutta per me.
Mio padre moriva nella clinica Gemelli di Roma e io negli ultimi tre mesi non mi sono mosso la notte dalla sua stanza. Non riuscivo a dormire e ho cominciato a ricordarmi delle cose sue e il modo di parlare misto di dialetto e lingua che noi avevamo nella nostra casa abitualmente.
E così è nato “Il corso delle cose”.
Qualcuno lo ha definito, e più di qualcuno, uno stile. C’è chi parla e lo fa in maniera molto chiara, la casa editrice Sellerio, di gialli veri e propri, gialli della memoria. Altri parlano invece di romanzi di evasione.
Ma l’autore che ne pensa, qual è la Sua indicazione sulle cose che scrive?
Chi dice che io sono uno scrittore di evasione, sbaglia. Io non ho nulla in contrario all’evasione, sono un mangiatore di libri così detti di evasione, sia chiaro.
Ma sbagliano perché credo che i miei libri non lascino un sapore di allegria dopo che uno ha finito di leggerli.
Quello che per i vini si chiama il retrogusto, non credo che il retrogusto dei miei libri sia dolce.
Non bisogna lasciarsi ingannare dall’ironia o anche dalla risata che viene fuori da alcune situazioni, c’è modo e modo di raccontare le situazioni tragiche o drammatiche.
Si possono raccontare sorridendoci sopra, ciò non toglie che le situazioni restino drammatiche.
Quindi non credo di essere né uno scrittore impegnato, né uno scrittore d’evasione.
Mi interessa molto la ricerca della mia comunicazione che èil linguaggio, ognuno si crea il suo proprio linguaggio. Non si può essere narratori usando un linguaggio notarile, a meno che non lo si faccia bella apposta. Questa è la mia lingua.
La mia lingua è quella che io parlavo a casa di mio padre con mia madre, con i miei zii, metà siciliano metà italiano. Però attenzione, che Vitaliano era una lingua minacciosa.
Quando io facevo discolerie, malacunnutterie, mia madre passava all’italiano, ed era la cosa preoccupante, perché diceva: “Andrea”, – finivo di essere Nenè, “Andrea attento, le prendi!”.
Quando si parlava in italiano la situazione era ad alto rischio. Quindi per me l’italiano è una lingua ad alto rischio.
Ognuno ne tragga le conseguenze che vuole.
Il linguaggio, l’argomento della narrazione, questo legame forte, intenso con la terra, un legame che più si è lontani più diventa forte?
Il legante è sempre stato forte. Inutile stare a ripetere cose banali, le radici sono le radici. E più invecchi, più passano gli anni e ti rendi conto che la verità sta in quelle radici e che il resto è sovrastruttura, superfetazione.
Allora ti accorgi che queste radici l’hai trascurate e vai a vedere disperatamente quali sono, quali sono morte, quali sono ancora da salvare, tutto qua.
La scrttura, credo per chiunque, non occorre essere Proust, è solo uno spaventoso esercizio della memoria, che noi perdiamo e proviamo.
Siamo l’unico animale al mondo che incespica due volte sullo stesso sasso, mentre altri animali una volta che ci sono incespicati su quel sasso non incespicano più.
Noi incespichiamo perché c’è questa intermittenza della memoria che è propria della poesia, della scrittura e del creare.
Il rapporto tra Camilleri e il mondo letterario italiano e il rapporto tra Camilleri e Pirandello.
Il rapporto tra Camilleri, che sarei io, e…
È bello ogni tanto parlare in terza persona, abituato con gli attori che parlano spesso di sé. Una volta stavo facendo una trasmissione che si chiamava “Tutto di Turi Ferro”. Una trasmissione televisiva che poi fu fatta vedere anche qui.
Turi Ferro non era contento dei testi che scriveva Ghigo De Chiara e che lui doveva ripetere e allora mi fece chiamare. Lo raggiunsi in camerino. Mi disse: “Senti, fratello mio, tu devi capire che il Signor Ferro non è abituato…”.
Finalmente presi il coraggio a due mani e ho cominciato a mettere in scena Pirandello, anche troppo, perché ho fatto poi 45 regie di Pirandello, tra teatro, televisione e radio. Che cosa è Pirandello? Pirandello è noi.
Nel “Gioco della mosca” io ricordo che avevo, non posso dire una vecchia cameriera perché era tutto, mi aveva visto nascere, crescere, si chiamava Gna Ciccina e aveva una figlia.
Questa figlia si maritò e suo marito ammazzò uno e andò a finire in galera. Quando il marito uscì di galera seppe che la moglie si era data un poco da fare.
Tutti si aspettavano il delitto di onore e invece non avvenne.
Lui divenne l’amante della moglie e quando io gli dissi: “Ma insomma…”, lui mi disse: “Iu da finestra trasu’”.
Ed entrava dalla finestra, andava a trovare la moglie ed entrava dalla finestra.
Mi diceva: “Vautri, chiddi cchiu granni di tia trasinu da porta e sunnu mariti, iu l’amanti”. Se lo andavamo a raccontare a Pirandello ci avrebbe scritto una novella.
Quando dico che il sofisma, lo spaccare il capello in quattro, un certo senso di sé, un certo volere apparire in un certo modo, dico che il succo di Pirandello siamo noi.
In un convegno su Pirandello a Cuneo, mi sono morto dalle risate quando un Professore tentava di interpretare i nomi della Nuova colonia che sono, che so, Burrania, Bacchi Bacchi, e tentava una spiegazione esoterica.
Beh, lasciamo perdere. Io a Pirandello devo tutto, devo anche il gusto della scrittura, devo il coraggio di scrivere in questo modo.
Perché Pirandello ha detto quando un siciliano e un fiorentino si incontrano decidono una comune lingua, l’italiano, ma in realtà, uno pensa in fiorentino e l’altro pensa in siciliano”.
Ma io mi sono posto la domanda e quando    parlo con me stesso? Io ho scritto come se parlassi con me stesso.
Che significato ha per Andrea Camilleri una frase che spesso ricorre in campo letterario “impegno civile”.
Enzo ha posto la domanda nei termini giusti, cioè a dire ha parlato di impegno civile che è assai diverso dall’engagement e altre cose come si pensava negli anni del dopo guerra.
L’impegno civile a mio avviso non è un impegno politico, ma un aprire le nostre responsabilità verso gli altri.
Che cos’è questa responsabilità verso gli altri? Secondo me la risposta è valida nella sua semplicità. Fare bene il proprio mestiere, non ingannare nessuno, (sembra un decalogo), non rubare, non rubare la fiducia degli altri, meritarla.
E sopra tutto, quando devi dire come la pensi, non tirarti indietro, dilla.
Leonardo non ha fatto altro che questo, che dire con pacatezza, con l’esercizio della ragione e non della passione quello che pensava su certi fatti.
È una grandissima lezione perché c’è anche dentro la tolleranza, cioè la tolleranza del fatto che tu la possa pensare esattamente al contrario di come la sto pensando io. Vale a dire la più grande lezione dell’illuminismo
Allora io scrivo come ritengo che debba scrivere.
Non credo di sapere fare diversamente. Il mio impegno attraverso i miei libri è di dimostrare una realtà della Sicilia che non sempre si arresta, come avviene dinanzi alle codificazioni facili.
Noi abbiano II Birraio di Preston che è autentico, io non me le invento le cose, di tutti i libri che ho scritto non mi sono inventato un rigo, io ho sempre colorito o colorato una situazione.
Vi hanno letto l’inizio, bene, de La stagione della caccia. Come nasce?
Io mi sono divorato l’inchiesta non la Franchetti – Sonnino, ma quella precedente, ministeriale, del 1875, sulle condizioni socio-economiche della Sicilia.
Me la sono studiata proprio domanda e risposta, domanda e risposta. Almeno quattro libri sono nati da quell’inchiesta. La stagione della caccia nasce da due battute.
Il senatore Cusa, presidente della commissione, domanda ad un sindaco di un piccolo paese della provincia di Caltanissetta (1875): “Signor sindaco, recentemente nel suo paese ci sono stati fatti di sangue?”.
E il sindaco risponde: “No, fatta eccezione per un farmacista che per amore ha ammazzato sette persone”.
Se non si è siciliani, non si può capire la risposta del sindaco, ma è bastata questa battuta a farmi nascere l’idea del libro.
Nel libro è un prefetto (e bisognerà farlo poi il consuntivo dei bei prefetti che lo stato unitario ci mandò da queste parti. Cominciò Luigi Pirandello nei I vecchi e i giovani a farlo un pochino) che impose un’opera lirica Il Birraio di Preston.
Finì a schifio a Caltanissetta per l’inaugurazione del teatro.
Non me la invento la realtà, la modifico come ognuno deve ed è libero di fare ma queste cose sono tutte cose assolutamente successe.
Il mondo dello zolfo coinvolge Pirandello, Sciascia ed altri autori locali (per tutti Alessio Di Giovanni); anche Camilleri con Un filo di Fumo ne avverte il fascino?
Ma nello zolfo in un modo o nell’altro ci siamo vissuti. Io ho a Porto Empedocle un documento che ho fatto vedere a Nino Borsellino e ad altri cultori Pirandelliani. È un abbasso di zolfi, cioè a dire lo zolfo della miniera veniva mandato ai magazzinieri.
Questi lo custodivano e lo commerciavano in conto terzi. Di questo zolfo poi se ne prelevava una certa quantità di cantara e chi prelevava firmava.
Io ho un abbasso di zolfi ma ne ho più di uno, ne ho una decina. In essi Portolano (si chiamava Portolano e non Portulano come scrivono nelle biografie) cioè a dire il padre della moglie di Pirandello è il magazziniere, da questo preleva Stefano Pirandello padre di Luigi, ma ancora il matrimonio dei figli non è in vista, da questo preleva anche Vincenzo Fragapane cioè mio nonno materno, da questo preleva pure Giuseppe Camilleri, cioè mio nonno paterno. In un unico foglio di carta ci sono due matrimoni di zolfo.
Ora i matrimoni certe volte riuscivano bene, certe volte riuscivano appunto di zolfo.
Il mondo dello zolfo era spietato. Il solo lavoro degli spalloni portuali, d’estate, con le ceste di vimini o di saggina o di quello che erano, con l’acqua fino alla cintola, il sudore, l’acqua ecc… lo ha descritto Pirandello assai meglio di me.
Io non mi sono rifatto a Pirandello, mi sono rifatto al Sindaco del mio paese, il Prof. Marullo di Porto Empedocle che sulla ferocia dello zolfo ha scritto pagine bellissime, poetiche, disperate, alle quali io mi sono immediatamente agganciato.
Perché poi non c’era solo il mondo di quelli che lavoravano nello zolfo, c’era il mondo di quelli che si rovinavano con lo zolfo.
Con le miniere che si allagavano, con il consorzio straniero che mise proprio in camicia tutti quelli che erano i nostri produttori di zolfo.
Quando mio nonno realizzò a Porto Empedocle la prima raffineria di zolfo, il governo italiano, su pressione dei deputati catanesi abbassò il costo del trasporto ferroviario tra Caltanissetta e Catania.
Veniva insomma a costare di più portarlo da Caltanissetta a Porto Empedocle che portarlo a Catania. Ci fu una sollevazione popolare mostruosa, incendi, devastazioni. Passata presto nel dimenticatoio.
Camilleri scrive La strage dimenticata sull’eccidio di 114 detenuti nella Torre Carlo V di Porto Empedocle. Non solo lo colpisce la morte, ma il silenzio sulle morti. Oggi ci sono ancora le stragi della memoria?
Perché appunto avviene la strage della memoria. Avviene una strage come quella della Torre di Carlo V, dove in una notte si fanno fuori 114 persone.
Certo, per ammazzare 114 persone in una sola notte, oltre che una fatica del diavolo, presumo sia stato determinato da un fatto di necessità. Nessuno uccide 114 persone per niente, può succedere per dare un esempio, o per tenere ferme delle possibilità di rivolta come il caso della Torre di Carlo V che era un carcere borbonico.
Quindi nel ‘48 il comandante del carcere doveva difendersi dagli insorti esterni temendo un’insurrezione all’interno della torre, militarescamente, come pure poi militari agiscono spesso e volentieri, eliminò il problema interno.
A me quello che ha dato fastidio, è che nel mio paese nessuno se ne ricordasse più, perché gli uccisi non erano persone da considerare, erano galeotti.
Infatti quando andai a vedere gli atti di morte, mi agghiacciò leggere: X.Y., nato a Misilmeri il 22 ecc.ecc., professione “servo di pena”. Erano ergastolani, erano servi di pena. E sapete qual era la cosa più terribile? Che il novantanove per cento di questi ergastolani assassinati, erano lì per delitti contro la proprietà.
Perché non lo facciamo tornare l’ergastolo per i delitti contro la proprietà comune dei cittadini italiani?
fonte Incontri con l’autore, a cura di Stefano Milioto, Agrigento, 1996
Elio Di Bella
 
 

Una stanza tutta per sé, 17.4.2024
“Riccardino”, recensione dell’ultimo romanzo della saga di Salvo Montalbano
Il testamento letterario di Andrea Camilleri

è un gioco tinto, quello dei ricordi, nel quale finisci sempre col perdere…
“Riccardino” è molto più di un semplice romanzo poliziesco; è un commosso addio a un’icona letteraria e un omaggio vibrante alla maestria narrativa di Andrea Camilleri. Questo volume, pubblicato postumo nel 2020 da Sellerio, rappresenta l’ultimo capitolo della celebre saga di Salvo Montalbano, il tenace commissario di Vigata.
Il libro inizia con una chiamata misteriosa alle prime luci dell’alba, che trascina Montalbano in un vortice di eventi apparentemente casuali, ma intrinsecamente legati alla sua stessa esistenza. La morte di Riccardino, l’uomo che lo ha chiamato scambiandolo per un amico (per errore o volutamente?) prima del tragico evento, scatena un’indagine che mette in luce non solo la complessità del crimine, ma anche il tormento interiore del commissario protagonista.
Ciò che rende “Riccardino” un’opera straordinaria è la sua capacità di superare i confini del genere. Camilleri introduce un elemento sorprendente: l’ingresso della televisione nella trama, con l’alter ego di Montalbano, l’attore che lo interpreta sullo schermo, nella forma di oracolo di Delfi. “Cosa farebbe l’attore per risolvere l’inghippo?”, si chiede spesso il Montalbano letterario. Questa inaspettata sovrapposizione tra realtà e finzione aggiunge un livello di profondità psicologica al personaggio principale, che si ritrova coinvolto in una sorta di continuo confronto identitario.
Inoltre, l’autore stesso appare nel libro, un gesto audace e metaletterario che sottolinea l’interconnessione tra scrittore, personaggio e lettore. È un’idea sorprendente che conferisce al romanzo una dimensione ulteriore, trasformandolo in un’esperienza letteraria unica e coinvolgente.
L’edizione di Sellerio include sia la stesura del 2005 che quella del 2016 (l’autore non pensava di vivere così a lungo, scrive Camilleri nella breve prefazione). Nella seconda redazione il Vigatese, lingua inventata e altro personaggio fondamentale della saga di Salvo Montalbano, prende piede, permettendo ai lettori di cogliere la sottile evoluzione stilistica dello scrittore nel corso degli anni.
Il finale di “Riccardino” è aperto a molteplici interpretazioni, come un enigma che invita il lettore a riflettere sulla natura stessa della narrazione. Camilleri dimostra ancora una volta la sua abilità nel tessere trame intricate e nel creare personaggi indimenticabili.
Ci sono varie voci sul finale, su cosa succederà a Montalbano. Non ve ne smentirò neanche una, perché dare un finale giusto alla saga di Vigata non era facile ma vi assicuro che Andrea Camilleri ci è riuscito alla perfezione. “Riccardino” è certamente un testamento d’amore di Camilleri ai suoi lettori e al suo celebre detective. È un romanzo che va letto con la stessa passione e devozione che Montalbano riserva alle sue indagini. Una lettura avvincente e commovente che conferma il talento immortale di uno dei più grandi maestri del giallo contemporaneo.
Camilla Tettoni
 
 

SiracusaOggi, 17.4.2024
“Ulisse”, la trasmissione di Alberto Angela fa tappa anche a Marzamemi

Giornate siciliane per la troupe del noto programma di Rai 1 “Ulisse, il piacere della scoperta”. La trasmissione condotta da Alberto Angela dedicherà una puntata a Camilleri e ad alcuni luoghi iconici resi celebri dalla serie del Commissario Montalbano. Questa mattina, le telecamere della Rai erano a Marzamemi per una serie di riprese tra balata e piazza Regina Margherita. Grande curiosità nel borgo marinaro dove è subito partita la “caccia” all’amato Alberto Angela. C’era invece, nei giorni scorsi, alle riprese tra Modica e Scicli.
Nel 2022, Alberto Angela dedicò una puntata di un altro suo fortunato programma – Meraviglie – a Siracusa.

Giuseppe Schifitto
 
 

Comune di Bari, 19.4.2024
Comunicato stampa
Presentata la stagione teatrale e di danza 2024-25 “Altri Mondi” del Comune di Bari - Assessorato alle Culture in collaborazione con il TPP

È stata presentata questa mattina, nel foyer del teatro comunale Niccolò Piccinni, la stagione teatrale e di danza 2024-25 Altri Mondi, organizzata dal Comune di Bari - Assessorato alle Culture in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese.
[…]
Dieci sono gli spettacoli in abbonamento per quattro giorni, dal giovedì alla domenica, dieci in fuori abbonamento, più otto titoli a scelta (4 teatrali / 4 di danza), eventi speciali, due segmenti drammaturgici, […] i cento anni dalla nascita di Andrea Camilleri, […].
[…]
TEATRO
[…]
Compagnia Malalingua con Un sabato con gli amici, di Andrea Camilleri, riadattamento e allestimento scenico di Marco Grossi (15 e 16 marzo in prima nazionale).
[…]
 
 

il Libraio, 19.4.2024
Maurizio de Giovanni e Mariolina Camilleri presentano "Il canto del mare" a Torino
Presentazione Libro
10 Maggio 2024 
H 19.45

Salone Del Libro Di Torino
Via Nizza 280
10126 Torino TO

Maurizio de Giovanni e Mariolina Camilleri presentano "Il canto del mare" a Torino, presso il Bosco Aboca del salone del libro di Torino.
 
 

Sala Banti - Montemurlo, 19.4.2024
Venerdì 19 aprile, ore 21,15
La prima indagine di Montalbano
di Andrea Camilleri
con Massimo Venturiello


L’idea di portare per la prima volta in teatro il commissario più famoso della narrativa contemporanea italiana è nata in seguito allo straordinario successo che hanno ottenuto gli audiolibri, recentemente pubblicati dalla Storytel, che Venturiello stesso ha avuto il privilegio di interpretare.
La lingua di Camilleri, carica di musicalità, arriva nella sua interezza a chiunque, la parola diventa immagine ammaliante e la trama inchioda e non consente distrazione alcuna.
Un reading per la prima indagine del famoso commissario nella quale nascono tutti i personaggi dei successivi numerosi romanzi che hanno conquistato l’interesse di milioni di lettori 
 
 

Crónica Económica, 19.4.2024
La masacre olvidada
Andrea Camilleri
Destino (2024)
97 págs.
T.o.: La strage dimenticata
Traducción: Juan Carlos Gentile Vitale

La masacre olvidada, un nuevo-viejo Camilleri
Novela histórica, donde el Camilleri que se dio a conocer con sus inolvidables novelas policiacas, se emplea en otros de los géneros que le apasionaron, la historia de Sicilia.

Esta novela, publicada en Italia en 1984, entra dentro de la preocupación de su autor de que no se borren de la memoria sucesos, que aunque pequeños relativamente, no forman parte de las historias universales.
La acción transcurre en Porto Empedocle, localidad siciliana, en 1848 y trata de describir objetivamente la revolución contra los Borbones y que según los historiadores forma parte de un universo de pequeñas revoluciones y sublevaciones populares que se fueron sucediendo en los países mediterráneos. Camilleri se va a centrar en dos matanzas de inocentes sublevados en Porto Empedocle, la más numerosa, 114 hombres y en Pantelleria donde murieron 15. La muerte de presos en el castillo de Girgenti (Agrigento) por miedo a que se sublevaran, fue algo terrible por las condiciones en las que se los dejó morir.

Camilleri, se sirve para construir sus relatos de dos fuentes, la abuela materna y los documentos que investigó a fondo, dando origen a un relato muy ameno, en el que no faltan los momentos de humor socarrón del escritor que hacen de su lectura un momento agradable de solaz y descanso.
 
 

Cinecittà News, 19.4.2024
Tutti pazzi per ‘Hollywood Party’
Il mondo del cinema festeggia i primi 30 anni dello storico programma di Radio 3 Rai. Ospiti e sorprese della doppia puntata in diretta dalla Sala A di via Asiago

Liliana Cavani, Paolo Sorrentino, Alice Rohrwacher, Enrico Vanzina, Pilar FogliatiRiccardo Milani, Anna Foglietta, Italo Moscati, Vanessa Scalera, Vincenzo Mollica, Paolo Del BroccoNicola GiulianoFrancesco De Gregori, David Grieco, Roberto Anile e il direttore di Rai Radio 3 Andrea Montanari. Nonostante il traffico della capitale in tilt per la pioggia e la partita di coppa, gli ospiti che eroicamente riescono ad arrivare nella storica Sala A di via Asiago per festeggiare il compleanno di Hollywood Party sono davvero tantissimi. Ma le vere star sono loro: tutti i conduttori che da trent’anni danno vita a “la più grande trasmissione della radio dai tempi di Marconi.
[…]
Poi l’ospite tra gli ospiti, da un altro universo: Andrea Camilleri, intervistato per il Tg1 dal geniale Vincenzo Mollica, riesce a regalare ancora oggi ai presenti e a chi è in ascolto momenti di palpabile emozione.
[…]
 
 

Gela, 19.4.2024
Niscemi, 20.4.2024
Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni


 
 

il Gazzettino di Gela, 22.4.2024
A Niscemi Arianna Mortelliti

Niscemi – S’intitola “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni” il romanzo di Arianna Mortelliti presentato al Museo civico di Niscemi dall’Inner Wheel presieduto da Carmelina Pepi e dalla Fidapa rappresentata da Lucia Spata.
La scrittura ‘di famiglia’ l’ha contagiata e con risultati ragguardevoli: non a caso Arianna Mortelliti è la nipote del maestro Andrea Camilleri, l’orgoglio nazionale della letteratura contemporanea nato in Sicilia.
A fare gli onori di casa l’assessore alla cultura del Comune di Niscemi Marianna Avila, il sindaco Massimiliano Conti ed il direttore del Museo Civico Franco Mongelli.
Il protagonista della storia del libro è Arturo Baldi che, a seguito d un incidente casalingo, è finito in stato vegetativo e di semi incoscienza durante il quale ripercorre la sua infanzia insieme al fratello Dado. Un romanzo che si costruisce a poco a poco tra realtà, ricordi e sogno diventando sempre più incalzante e avvincente.
Un romanzo dalla scrittura e dalla trama davvero originale, in cui l’autrice concede al novantacinquenne Arturo, caduto in coma profondo, la possibilità di sentire i suoi cari mentre si alternano giorno dopo giorno al suo capezzale. E gli parlano, tanto, di tutto ciò che avrebbero voluto dirgli, proprio come se lui potesse ascoltarli.
Mescolando i ricordi di Arturo, sollecitati dalle conversazioni che in una sorta di limbo intrattiene con il fratello Dado, e le confessioni a cui si abbandonano, nel dolore e nella speranza, l’amata moglie, le figlie e le nipoti, Arianna Mortelliti dà forma a questa famiglia da cui emergeranno lontani segreti e recondite verità, che nel presente aiuteranno – tanto chi è destinato a restare quanto chi se ne andrà – a fare pace con la propria vita e a guardare oltre.
 
 

PalermoToday, 23.4.2024
Da Drusilla Foer ad Ambra Angiolini, ecco la nuova stagione di spettacoli del Teatro Al Massimo
Un cartellone variegato con commedie di successo. Spazio anche al musical e al flamenco. Sul palco, tra gli altri, gli show di Gabriele Cirilli, Chiara Francini, Arturo Brachetti e Flavio Insinna

Un cartellone ricco di commedie e spettacoli travolgenti, che hanno riscosso uno straordinario successo a livello nazionale, ma che dà spazio anche ai musical, tra magia e illusione, e al flamenco. E’ questo il mix vincente che caratterizza la prossima stagione del Teatro Al Massimo.
[…]
Non mancherà un omaggio al grande scrittore siciliano Andrea Camilleri con il romanzo “Il birraio di Preston”, il melodramma giocoso che vedrà protagonisti Eduardo Siravo, Federica De Benedictis e Mimmo Mignemi.
[…]
 
 

CO.AS.IT., 23.4.2024
Food as a Political Weapon in Inspector Montalbano Crime Series.
For the launch of the book Mediterranean Crime Fiction: Transcultural Narratives in and around the “Great Sea”, 
Presented by CO.AS.IT. and Barbara Pezzotti present
Date: Tuesday 23 April 2024
Time: 6:30-8pm.
Location: CO.AS.IT. 199 Faraday Street, Carlton.
Free Event.
Booking required – click here to book
Food as a Political Weapon in Inspector Montalbano Crime Series. 
A talk by Dr Barbara Pezzotti.

Food, and especially its consumption, is an important part of Andrea Camilleri’s crime novels featuring Inspector Montalbano. A few scholars have analysed the representation of food in Camilleri’s novels, highlighting its function as a symbol of Montalbano’s visceral connection with his motherland and a statement “about a postmodern, consumer-driven society”. Barbara’s talk enters this lively debate, arguing that the importance of food in the Inspector Montalbano series is a reaction to the rhetoric of the Northern League, the secessionist political party that rose to power in the 1990s with the infamous Prime Minister Silvio Berlusconi, and that has recently regained power in Italy. Not only does the traditional food tasted and consumed by Montalbano characterise the protagonist, add precise regional flavours to the plot, and facilitate social and political commentary, but it becomes a veritable ‘militant’ weapon. This speech derives from Barbara’s research into Mediterranean crime fiction that culminated in the publication of Mediterranean Crime Fiction: Transcultural Narratives in and around the “Great Sea” (Cambridge University Press, 2023).
 
 

Quaderni camilleriani, 24.4.2024
Comunicato
Quaderno camilleriano 21

La collana Quaderni camilleriani (fondata nel 2016, reperibile all’indirizzo https://www.camillerindex.it/quaderni-camilleriani/) ha pubblicato il suo ventunesimo volume, curato da Giuseppe Marci e Paolo Lusci: è intitolato La cululùchira e altri temi di Vigàta (https://www.camillerindex.it/quaderni-camilleriani/quaderni-camilleriani-21/) e propone i contributi di Teresa Agovino, Simona Demontis, Maria Antonietta Epifani, Lorenzo Lozzi Gallo, Paolo Lusci, Giuseppe Marci e Alberto Sebastiani.
Il volume affronta aspetti ancora poco studiati dell’opera camilleriana: la scabrosa tematica del malamuri, la musica che risuona nel Birraio di Preston, le problematiche relative alle traduzioni in svedese e in tedesco, gli adattamenti a fumetti di alcune avventure del commissario Montalbano, l’intrigante storia della parola cululùchira.
A corredo, due note dedicate una ad Angelo Maria Ripellino che con Camilleri ebbe un’importante consuetudine, e l’altra al romanzo La condizione umana di André Malraux, la cui lettura impresse una svolta decisiva nella vita dello Scrittore.
 

 

TV Sorrisi e canzoni, 25.4.2024
Rai: nuove fiction, nuove stagioni e… Montalbano
Abbiamo incontrato la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati che ci anticipa novità, produzioni e grandi ritorni

La prima volta ci siamo incontrate a Napoli, sul set di “Mina Settembre”. Avevo di fronte la direttrice di Rai Fiction, Maria Pia Ammirati, e, da grandissima appassionata di serie, avrei voluto chiederle tutto: novità, produzioni, sequel... Ma non c’era tempo. Le mie curiosità (e credo anche le vostre), però, sono state presto soddisfatte con questa lunga, piacevolissima e generosa chiacchierata.
Partirei da “Il commissario Montalbano”: non tutti i libri della saga di Andrea Camilleri sono stati trasformati in episodi tv. Si faranno?
«Stiamo ragionando col produttore (la Palomar, ndr) se girare un ultimo capitolo. Bisogna valutare tante cose e, tra queste, gli impegni degli attori. Io ci conto».

[…]
Silvia Perazzino
 
 

La Notizia, 27.4.2024
Anticipazioni per il Grande Teatro in TV di Petito del 27 aprile alle 16.20 su Rai 5: “Francesca da Rimini: tragedia a vapore”

Anticipazioni per il Grande Teatro in TV di Antonio Petito del 27 aprile alle 16.20 su Rai 5: “Francesca da Rimini: tragedia a vapore” con Aldo e Carlo Giuffrè – Per il Grande Teatro di Antonio Petito in TV Rai Cultura propone oggi sabato 27 aprile alle 16.25 su Rai 5 la commedia “Francesca da Rimini: tragedia a vapore” tratta dall’opera di Silvio Pellico nella rilettura umoristica del Petito scritta nel 1857, proposta nella versione trasmessa dalla Rai nel gennaio 1980.
Regia di Andrea Camilleri ed interpretazione dei fratelli Aldo e Carlo Giuffrè.
Attraverso il gioco tutto particolare della satira e della parodia, Petito scrive la farsa prendendo spunto dalla nota tragedia omonima di Silvio Pellico, con la regia e la interpretazione di Aldo e Carlo Giuffrè e la regia televisiva di Andrea Camilleri.
 

 

La Repubblica (ed. di Palermo), 28.4.2024
Il produttore delle serie di maggior successo parla della sua scoperta di Camilleri e del momento della Rai
Carlo Degli Esposti
“Montalbano avrà un seguito ma l’Isola rischia l’overdose tv”

“Non so come, ma il commissario di Camilleri avrà degli sviluppi: voglio festeggiare i cent’anni dello scrittore”. “Dissi una bugia all’allora governatore Crocetta per continuare a girare in Sicilia”

«Montalbano è ancora un “pischelletto”: la serie è solo al primo tempo». Carlo Degli Esposti, produttore e fondatore di Palomar, non ha alcuna intenzione di far calare il sipario sulla fiction Rai che da 25 anni incolla oltre un miliardo di spettatori allo schermo. Se la Sicilia è un set a cielo aperto e una delle mete più battute dal cineturismo, il merito è anche suo. “Il commissario Montalbano”, “Màkari”, “Vanina” sono alcuni dei titoli della casa di produzione romana ambientati nell’Isola. «È difficile ambientare la Sicilia da qualche altra parte - spiega Degli Esposti - mentre nell’Isola si possono girare anche storie non siciliane».
Ha in mente una nuova storia da girare in Sicilia?
«Quella di Salvatore Giuliano. Sto scrivendo, girerò nei prossimi anni».
E poi?
«Ci saranno altre stagioni di Màkari e di Vanina. E Montalbano è un titolo giovane».
Anche se Camilleri non c’è più?
«Non so esattamente come, ma di certo Montalbano avrà degli sviluppi. Farò anche qualcosa per il centenario della nascita di Camilleri: sto vedendo altri titoli».
Montalbano senza la Sicilia cosa sarebbe?
«Non potrebbe esistere senza Ragusa. Coma “Màkari” senza il Trapanese e “Vanina” senza Catania».
Lei, però, anni fa minacciò di girare Montalbano in Puglia, se non le fossero arrivati i finanziamenti regionali.
«Una balla. Ma diede subito i suoi effetti. Crocetta, allora presidente della Regione, mi rispose subito al telefono, dopo mesi di silenzio».  
Ci spiega che sta accadendo in Rai? Dal caso Fazio a quello di Scurati, il sospetto per molti è che si sia trasformata in un megafono del governo Meloni.
«Auguro alla Rai di essere libera quanto più possibile dai laccioli. A chi la dirige, di scegliere persone intelligenti, versatili ed entusiaste che vogliano rischiare: per prendere decisioni intelligenti bisogna osare. È essenziale perché, dopo la pandemia, questo è l’anno in cui si riassesta tutto il mercato dell’audiovisivo nel mondo e in Italia».
Decisioni intelligenti prese rischiando. Mi dica le sue.  
«La vita è fatta di scontri e di occasioni e i rari momenti in cui ho fatto delle riflessioni intelligenti li devo a Elvira Sellerio. Le racconto com’è nato Montalbano».  
La ascolto.
«Mi ero appena dimesso dalla guida di Cinecittà, contrario alla sua privatizzazione. Partii per una vacanza di decompressione di dieci giorni sui Nebrodi. Quando ero lì, pensai: “Sei in Sicilia e non vai a trovare la tua grande amica Elvira Sellerio?”. Cambiai il volo di ritorno da Catania a Palermo e la raggiunsi in macchina. Fu lei a intuire per prima il potenziale televisivo di Montalbano».
Perché? Che le disse?
«“Ho questi due libri di uno scrittore siciliano che sta a Roma, secondo me possono diventare una fiction stupenda. Leggili e quando arrivi a Roma incontralo”. E così feci».
La conquistarono subito i gialli di Camilleri?
«Da bolognese fu una fatica terribile entrare nel siciliano letterario di Camilleri, ma non ebbi alcun dubbio e andai a trovarlo».  
Come andò l’incontro?
«Ci accordammo per un’opzione di soli tre mesi: non potevo bloccare i diritti per più tempo perché non avevo una lira. La Palomar, appena nata, era ancora piccolina. Quando mancavano due mesi e mezzo risollecitai Sergio Silva, il padre” de “La piovra” all’epoca direttore di Rai Cinemafiction, a cui avevo già consegnato i due libri. Non avevano convinto i lettori a cui li aveva sottoposti: pensavano che farne una fiction sarebbe stata un’operazione pericolosa, in quanto complicati».
Come lo convinse allora?
«Gli consegnai altre due copie: però doveva leggerli lui assolutamente. Era un venerdì e il lunedì mattina alle 8,15 mi chiamò: “I miei lettori non hanno capito un cazzo, questi libri sono bellissimi. Quando posso venire?”. Lo raggiunsi io: alle 9 ero da lui e alle 11 era già pronta una lettera che dava il via alla saga di Montalbano. La conservai e anni dopo, quando Silva andò via dalla Rai, la incorniciai e gliela regalai. La tiene ancora appesa vicino alla sua scrivania. Devo tutto all’intelligenza della famiglia Sellerio e alla lungimiranza di Sergio Silva».
Si aspettava un successo del genere?
«È la dimostrazione che un prodotto ben fatto è longevo, se non immortale».
Un altro superpotere di Montalbano: “il pellegrinaggio” dei turisti nei luoghi della fiction.
«Per il primo Montalbano facevamo base in un albergo che era l’ultimo del lungomare di Marina di Ragusa. Ora è a metà del lungomare: la ricezione turistica è più che raddoppiata. Montalbano è stato venduto in più di 60 paesi».
Anche “Màkari” ha fatto centro, diventando una calamita per spettatori e turisti.
«La serie è stata una scommessa della pandemia. Il perfetto antidoto contro la sindrome della depressione della domenica sera: quando ti rendi conto che hai tutta la settimana davanti e non ti sei riposato abbastanza, l’ideale è una fiction lieve. Con Màkari possiamo sbagliare solo noi, la serie è amatissima dal pubblico».  
Camilleri per “Montalbano”, Malvaldi, sempre Sellerio, per “I delitti del BarLume”, Savatteri per “Màkari”, Cassar Scalia per “Vanina”. Non è un caso che dietro queste grandi serie tv che ha prodotto ci sia sempre un libro.
«Sono un buon lettore ed è bello questo circolo virtuoso: il successo letterario contribuisce a quello televisivo e viceversa».
Cosa manca alla Sicilia per fare il salto di qualità e trasformarsi in un’industria cinematografica?
«Mancano teatri di posa e piscine cinematografiche per gli effetti speciali, come quelle di Malta. È lì che abbiamo girato gran parte del Conte di Montecristo per le scene con le navi. In Sicilia servono anche stabilità nelle risorse e intelligenza politica. Per il resto sono stati fatti tanti passi in avanti dal primo Montalbano e le location non mancano: nell’Isola, con “Cefalonia” ho anche ricreato un’ambientazione greca».
Finirà per stancare la Sicilia “da cartolina” vista in tv?
«Bisogna stare attenti all’overdose da location: l’effetto visto e rivisto non va bene. Le produzioni andrebbero aiutate a trovare luoghi diversi e meno battuti. Vorrei girare nelle zone più interne della Sicilia e sui Nebrodi».
Irene Carmina
 
 

Sicilian Post, 28.4.2024
Sicilitudine
“Biografia del figlio cambiato”: Camilleri racconta il giovane Pirandello
Dal celebre episodio della (non) nascita della Contrada Caos ai rapporti tesi con il padre, fino alle storie raccontate in casa dalla balia Maria Stella che finiranno per dare vita ad alcune novelle. La vita dell’autore dei Sei personaggi somiglia essa stessa ad una grande rappresentazione teatrale. Così, nel 2000, il creatore di Montalbano ne fece una peculiare ricostruzione, che meglio ci aiuta a comprendere la genesi di alcune grandi riflessioni pirandelliane sull’identità e sull’assurdità dell’agire umano

Istituire un rapporto diretto tra la poetica di un letterato e il suo vissuto socio-familiare è un’operazione spesso destinata a rimanere infruttuosa. Troppe varianti, troppe asimmetrie, troppi fattori emotivi e lontani dalla linearità finiscono per intercorrere in quel fascinoso e delicato passaggio che è la trasposizione in scrittura di un’emozione. Qualcuno, addirittura, a riprova estremizzata di tale concetto, ha persino sostenuto che le opere letterarie andrebbero studiate per ciò che sono, attraverso il volto che di sé offrono al lettore, senza mai sconfinare nella tentazione di ricostruirne la genesi storica. Sarà. Una cosa, tuttavia, è certa: non dar conto a quella tentazione è tutt’altro che semplice. Perché esiste, in ogni scritto, una sorta di intercapedine della memoria, dove vita e finzione si stringono apertamente la mano, scambiandosi persino le fattezze. Così la realtà dell’esperienza si tramuta in un artefatto di parole, e viceversa. Di casi illustri, poi, di questa necessaria contaminazione tra vissuto e non vissuto si potrebbe riempire una lista potenzialmente infinita. Si può ignorare, ad esempio, il trauma dell’esilio e dell’invasione straniera approcciandoci alla poesia di Ugo Foscolo? Si può tralasciare, immergendoci nei suoi straordinari romanzi che come nessun altro sanno scandagliare le profondità dell’animo umano, di considerare quanto decisiva fu per Fëdor Dostoevskij l’esperienza da condannato a morte graziato proprio qualche istante prima dell’esecuzione sul patibolo? E ancora: quale Hemingway leggeremmo senza il suo doloroso coinvolgimento nei due conflitti mondiali? È un tema, quello del riflesso del reale nell’immaginario, che naturalmente coinvolge anche i grandi scrittori isolani. Pirandello su tutti. Di lui, per di più, si è occupato uno “studioso” d’eccezione, vale a dire Andrea Camilleri. A lui si deve infatti Biografia del figlio cambiato (1° edizione Rizzoli, 2000), una peculiare ricostruzione delle dinamiche familiari entro cui si snodò l’esistenza dell’autore dei Sei personaggi. Un contributo prezioso, che fuor da ogni pretesa di esattezza – come lo stesso Camilleri tiene a sottolineare fin dall’esordio della sua fatica – ripercorrendo a più riprese i passi compiuti dal giovane Luigi, riesce tuttavia a gettare luce su alcuni degli aneddoti e degli eventi-chiave che più contribuirono a rendere Pirandello un osservatore implacabile delle assurdità umane.
In cima a questa sfilza di dissonanti vicissitudini non poteva che esserci il luogo di nascita dello scrittore. O, piuttosto, come lo definisce Camilleri tingendo il suo scrivere con il pensiero pirandelliano, un non-luogo. Quella contrada, del resto, divenuta celebre per il suo nome – Caos – da un giorno all’altro, per decreto di Ferdinando II, si era ritrovata a fungere da linea di spartizione tra Girgenti e il neonato comune di Porto Empedocle. Ad essere, essa stessa, né carne né pesce. Frastagliata, ricoperta di terreni boschivi, divisa a metà tra due comuni. Esistente nella sua inesistenza. Dotata solo di quel nome altisonante. Anch’esso, tra l’altro, nato dal nulla: «La linea di confine tra i due comuni, lungo la litoranea, venne fissata all’altezza della foce di un fiume da tempo immemorabile essiccato che tagliava in due una contrada, chiamata ora “’u Càvusu ora “’u Càusu”. Ora, in dialetto siciliano, tanto càvusu quanto càusu significano la stessa cosa: pantaloni. E veramente un paio di pantaloni doveva parere quel pezzo d’altopiano taliàto da chi vi giungeva per via di mare, spaccato com’era in due proprio dal quel greto asciutto, arido, pietroso che ci stava in mezzo. E dunque, di questo Càvusu, una metà apparteneva al nuovo Comune di Porto Empedocle e l’altra metà al comune di Girgenti. Un bel giorno, a qualche impiegato dell’ufficio anagrafe, parse che non era cosa scrivere sul registro delle nascite che qualche figlio di viddrani era nato dentro a un paio di pantaloni e cangiò quel volgare “Càusu” in “Caos”. E da allora la contrada si chiamò così».
A più riprese – è noto – Pirandello amò definirsi figlio del Caos. Ma quel paradosso, quella incomprensibilità così radicata nel suo sentire, non fu certo il risultato soltanto di quel singolo, e singolare, episodio. Fu soprattutto il burrascoso rapporto col padre Stefano a suscitare in lui un certo malessere di fondo. Malessere nei confronti della sua autorità, a volte percepita come gretta e asfissiante, incapace di comprendere i nascenti slanci del suo giovanile ingegno. Malessere nei confronti della sua ipocrisia, quando scoprì, all’età di quattordici anni, che la felice facciata del connubio matrimoniale celava in realtà tradimenti e vite parallele. Da una di queste, spesa ad amoreggiare con una cugina, il padre di Pirandello aveva visto nascere persino un figlio, che Luigi finirà per detestare con acrimonia per tutta la vita. Sempre di più, fa notare Camilleri nella sua appassionata ricostruzione, nella mente dello scrittore – nella quale rimbombavano anche le infauste predizioni dei paesani, che gli attribuivano una connaturata vicinanza al male per il solo fatto di essere nato prematuro, al settimo mese di gravidanza – si faceva largo l’idea di un’estraneità totale al mondo che lo aveva bizzarramente accolto. Sempre più, in quella visionaria sensibilità, si facevano largo le storie narrate dalla balia Maria Stella, a cui Pirandello tornerà a più riprese per prendere ispirazione per alcune sue novelle. Tra queste, non a caso, ce n’era una che più di ogni altra l’aveva impressionato: la storia del figlio cambiato. Una vicenda classica del repertorio popolare, che fra varianti folkloristiche, fra streghe e principi, racconta sostanzialmente della ricerca disperata messa in atto da una madre che ha visto il proprio legittimo figlio scambiato in culla. E Luigi, che in quella famiglia si sentiva tutto fuorché compreso, ha la sensazione che quella storia parli di lui. Che le sue intuizioni sull’insensatezza dell’agire umano, sull’incomunicabilità e sull’impossibile compiutezza del concetto di identità, abbiano l’aspetto di una amara scoperta. «Appena in età di ragione, Luigino comincia ad avere dei dubbi sulla sua appartenenza. Cosa ha da spartire lui, compassato, tutt’altro che discolo, incline al raccoglimento, con grandi occhi attenti tra i riccioli castani che scendono sino ai lati del viso con quell’omaccione ululante, iroso, impulsivo, che tanto fa piangere la mamma?». Altrove Camilleri scriverà: «Tra loro, perciò, non correva né la manifestazione di un sentimento né la possibilità di un rapporto ragionato».
Dallo sgretolamento dell’identità alla poetica delle maschere il passo è breve. Così come dalla compressione alla follia. O forse, in fondo, il passo non è così breve. Forse la storia di quel bambino nato in un luogo mai esistito non è che la storia di altri bambini. La storia di bambini divenuti ragazzi in famiglie non idilliache, certo, ma comunque famiglie. Forse, anch’essa divenuta, col tempo, una commedia da teatro della vita. La storia di uno scrittore che versa il proprio inchiostro su quello di un altro scrittore. In un cerchio infinito tra essere e non-essere. Tra vita e parole che le somigliano.
Joshua Nicolosi   

 

Sicilia Report, 28.4.2024
Teatro Brancati in scena ‘Troppu trafficu ppi nenti’ di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale, sarà in scena al Teatro Brancati di Catania da giovedì 2 maggio (debutto ore 21) fino al 10 maggio

«Se davvero Shakespeare fosse siciliano? Ci piacerebbe, per spirito di patria, poterlo credere, ma la storia, si sa, non la si fa coi se»! Da questa suggestione, prende avvio lo spettacolo Troppu trafficu ppi nenti di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale (che cura anche regia e scene). Lo spettacolo, prodotto dal Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale, sarà in scena al Teatro Brancati di Catania da giovedì 2 maggio (debutto ore 21) fino al 10 maggio. Un’occasione imperdibile per vedere la pièce che, dalla sua prima rappresentazione nel 2000, è stata accolta con grande successo in Italia e all’estero. In scena, in questa nuova edizione, un nutrito cast formato da – in ordine di apparizione – Angelo Tosto, Ramona Polizzi, Lucia Portale, Anita Indigeno, Lorenza Denaro, Filippo Brazzaventre, Ruben Rigillo, Daniele Bruno, Cosimo Coltraro, Luciano Fioretto, Alex Caramma, Vincenzo Volo, Valerio Santi, Rosario Valenti, Pietro Casano. I costumi sono di Dora Argento e Angela Gallaro Goracci.
«Michele Agnolo o Michelangelo Florio (Scrollalanza dal lato materno), di origine quacquera, visse parte della sua vita, sfuggendo alle persecuzioni religiose, nelle isole Eolie, a Messina, a Venezia, a Verona, a Stratford e a Londra», introduce così il lavoro l’autore e regista Giuseppe Dipasquale. «E fu autore di molte tragedie e commedie ambientate nei luoghi suddetti, che dimostrava di ben conoscere, così come dimostrava di ben conoscere la lingua italiana ed il teatro italiano, nonché di avere una buona dimestichezza con la scena italiana. Alcune sue opere rinvenute sembrano essere la versione originaria di altre ben note opere attribuite a Shakespeare, come Troppu trafficu pì nnenti, scritta in messinese, che potrebbe essere l’originale di Troppo rumore per nulla di Shakespeare, apparsa 50 anni dopo».
Una bella suggestione, senza dubbio.

Da cui è nata l’idea di un Troppo rumore per nulla in salsa siciliana. «Immaginiamo, quindi – continua -,  una Messina in mezzo al Mediterraneo così come Shakespeare se la poteva immaginare: esotica, viva, crocevia di magheggi, che avrebbero fatto di una festa nuziale il complicato intreccio per una  giostra degli intrighi. Immaginiamola seguendo con le orecchie la parlata di quei personaggi che nel vivo di un dialetto carico di umori e ambiguità, dipana le trame di una vicenda originariamente semplice, ma dai risvolti complicatissimi. Immaginiamo che tutto ciò sia il frutto di un carattere tipicamente mediterraneo, se non propriamente siciliano ed ecco che potremo anche credere, anche solo per una volta, che William Shakespeare, di Stratford- on Avon , sia potuto essere quel tale Michele Angelo Florio Crollalanza partito in fuga da Messina.  Poiché non c’è nulla di meravigliosamente siciliano che il potere complicare, da un dato semplice, una vicenda fino a farla diventare surreale».
«Questo Troppu trafficu ppi nenti – conclude Dipasquale – è il modello eterno di un carattere terribilmente semplice, come quello siciliano, che ama complicarsi l’esistenza in un continuo  arrovugliarsi su se stesso. Merito particolare di questa creazione, la lingua siciliana illustre ricostruita nelle sue scaturigini più nobili, con qualche spazio per la modernità del proverbiare e scelte fonetiche che appaiono insolite oggi, ma che dovevano essere consuete in corti dove il latino era la lingua diplomatica. Solennità di portamento e dizione rotonda per tutti tranne nei riquadri burleschi che il Bardo inframmetteva anche nelle più cupe storie per stemperarne l’amaro. Allora (nell’episodio della ronda notturna) si sprigiona l’umor faceto di tre guardie dai modi levantini, dal linguaggio misto di assonanze orientali e di comiche caricature espressive. Per il resto è teatro di parola, in cui espressioni arcaiche danno lo spessore di una cultura antica di secoli ai più ignota, di avere esitato a montare la macchina degli inganni che poi non vengono neanche mostrati».
Non a caso, il regista ha proposto come centrale a fine primo atto la scena del balcone, che l’originale riserva a un veloce racconto pur essendo il perno di tutto, falciando invece tra i frondosi dialoghi che talora fanno sfuggire i caratteri.

 
 

Consulta Universitaria Cinema, 28.4.2024
70 anni in 7 fiction

Scegliere non è facile ma le definizioni aiutano: se parliamo di fiction escludiamo i primi vent’anni della tv italiana (niente sceneggiati) e consideriamo solo la produzione nazionale (niente telefilm né serie statunitensi).
[…]
L’erede dello sceneggiato: Il Commissario Montalbano (Rai 2-Rai 1, 1999-)
Trasmessa da Rai 2 nel 1999 e da Rai 1 a partire dalla quarta stagione, Il Commissario Montalbano è l’adattamento televisivo dei romanzi di Andrea Camilleri. Due o quattro episodi autoconclusi per ciascuna stagione, dove il protagonista (Luca Zingaretti) risolve casi ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigata con l’aiuto di un microcosmo di personaggi ricorrenti adorati dal pubblico. Gli ascolti si mantengono altissimi anche nelle repliche dei singoli episodi trasmesse nel corso degli anni. L’aderenza al linguaggio letterario, l’equilibrio tra comico e tragico, il ritmo blando della narrazione, l’attenzione alle relazioni rivisitano alcuni stilemi classici, e molto amati, dello sceneggiato.
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Daniela Cardini
 
 

Treccani, 29.4.2024
Dal tenente Sheridan alle avvocate Battaglia
Indagine sulle contraddizioni dei serial polizieschi

[…]
Un balzo nel tempo ed eccoci al ricordo di Andrea Camilleri, il quale, attentissimo nello scegliere per i suoi personaggi siciliani cognomi altrettanto siculi (e spesso esclusivi della provincia di Agrigento), quando si muoveva fuori della sua isola non era più così impeccabile. Nel Cane di terracotta, una delle più celebrate avventure del commissario Montalbano (1996), cava dal cilindro un certo agente Balassone che «malgrado il cognome piemontese, parlava milanese». Solo che quel nome di famiglia è decisamente abruzzese, con epicentro Sulmona e Pettorano sul Gizio, nell’Aquilano. Illustre precedente nei Promessi sposi: a far arrestare Renzo, dopo la rivolta del pane a Milano, è un tale Ambrogio Fusella, che dal racconto non si direbbe abruzzese come inconfondibilmente lo è il suo cognome.
[…]
Certo, questi grandi della letteratura non disponevano degli elenchi degli abbonati telefonici o di altri documenti utili. E forse se pure li avessero avuti non li avrebbero consultati. E i casi sono tanti: in Cuore, il calabrese Coraci, che giunge in classe ad anno scolastico avanzato, pur se ben connotato come reggino porta un nome di famiglia esclusivamente sardo. Perfino il teatro di Eduardo ha più cognomi siciliani, pugliesi e romani che napoletani (a cominciare da Marturano, siciliano e pugliese, mentre Cupiello è d’invenzione). E per tornare su Camilleri, la famiglia Carlesimo, con un nome di battesimo Turiddruzzu che non lascia dubbi sulla sicilianità, ha un cognome in realtà ciociaro. Catarella è invece del tutto inventato [Errore: il cognome Catarella esiste realmente, NdCFC] e per questo con diritto di cittadinanza in una fiction.
[…]
Enzo Caffarelli
 
 

Gazzetta del Sud, 30.4.2024
"Un sabato, con gli amici": il non giallo di Camilleri torna in libreria

Faceva crescere le storie Andrea Camilleri, abile tessitore di regie, costruttore di stilemi, un maestro ora manzoniano e sciasciano nel penetrare le crepe della storia consultando archivi e documenti per i suoi romanzi storico-sociali, ora volterriano nell’osservare, anche con la cifra dell’ironia, la realtà, i fatti della quotidianità che a partire da un dettaglio restituiscono verità di degrado morale, derive di cinismo e corruzione, di avidità insaziabile (soldi, sesso e potere) nei compromessi abituali degli esseri umani. Spunti che sarebbero diventati romanzi, sceneggiati televisivi – fiction come si dice oggi, epopea del commissario Montalbano compresa – , spettacoli teatrali. Un destino, quello di raccontare, sin da quando, ragazzo, scriveva poesie di carattere sociale (era un lettore di Majakovskij); sin da quando, adulto, curava gli sceneggiati in bianco e nero della vecchia tv, come certi straordinari Maigret con Gino Cervi, e si appassionava ai caratteri dei personaggi.
Aveva fatto molte cose nella sua vita Andrea Camilleri, e sicuramente il regista per gran parte del suo tempo terreno, poi con il suo Montalbano era divenuto il “caso Camilleri”, tuttavia nel suo inesauribile scrigno narrativo non c’erano solo Vigàta e gli stilemi di una lingua inventata, ma altri romanzi scritti in un italiano terso e di forte tensione narrativa.

Come quello di «Un sabato, con gli amici», pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2009 e ora ristampato da Sellerio con una bella postfazione di Nicola Lagioia. «Non è un giallo – scrive Salvatore Silvano Nigro nel risvolto di copertina – anche se l’ingombro di un cadavere non manca con gli interrogativi che pone, in margine a un finto quanto torbido tentativo di ricatto». Ma non c’è “solo” un cadavere, c’è molto altro, dispiegato sin dal titolo (di forte valenza allusiva è la virgola dopo «sabato»), dialogo dopo dialogo, scena dopo scena: abusi, sesso malato, intrighi, guasti che finiscono per appestare i personaggi.
Al centro della trama c’è una rimpatriata tra amici, un sabato, topos cui ha attinto spesso il cinema: si conoscono sin da bambini, sono stati compagni di scuola, e nonostante i traumi infantili che più o meno hanno toccato tutti, e che non sono riusciti ad elaborare, sono diventati adulti apparentemente ben inseriti nelle professioni e in una vita sociale di elevato tenore. Ma ci sono segreti, doppie vite, cinici conformismi, che in quel sabato riaffiorano drammaticamente: tutto innescato dall’improvviso ritorno di un amico di cui avevano perso le tracce. Un «teatro della crudeltà – scrive Lagioia – costruito da Camilleri in modo chirurgico e spietato» intorno a questi ragazzi divenuti “mostri” come per un’orribile mutazione, tra volgarità, cinismo, malevolenze, invidia, e «uno sfrenato individualismo, insieme a doppiogiochismo e ricatti». Metafora amara per dire del popolo italiano, suggerisce Lagioia, da parte di chi, come Camilleri, dopo il disastro del fascismo, da lui vissuto, aveva sperato «nella possibilità che gli italiani (da sudditi, sottoposti, conquistati, obbligati a saltare nei cerchi infuocati) diventassero un popolo libero, affrancato».

Patrizia Danzè
 
 

 

  

 


 
Last modified Tuesday, April, 30, 2024