Incontri, spettacoli
teatrali, danza, esposizioni, rassegne musicali e appuntamenti dedicati al mondo
del libro e della letteratura, con un festival dedicato alla poesia
contemporanea. Sono solo alcune delle proposte che caratterizzeranno il
programma della cultura scledense nel 2025. In questi giorni, infatti, sono
stati selezionati e pubblicati i progetti del bando cultura per l’anno appena
iniziato: su 72 proposte, ne sono state scelte 46 dalla commissione formata dai
tecnici comunali responsabili del Servizio Cultura e della Biblioteca Civica R. Bortoli. Le iniziative
selezionate, infatti, saranno in grado di valorizzare gli spazi della cultura e
offrire un variegato calendario di proposte per tutti gli interessi: incontri su
tematiche di grande attualità, spettacoli, esposizioni, iniziative dedicate alla
lettura. Tra le iniziative, vengono riconfermati alcuni appuntamenti molto
apprezzati dal pubblico come il British Day, il Festival della Scienza dell’Alto
Vicentino, le iniziative musicali e la danza contemporanea. Schio:
bando cultura Gran parte
delle proposte selezionate interpretano in modo originale le tematiche
“speciali” del bando 2025:
[…] * i 100 anni
dalla nascita di Andrea Camilleri.
[…]
Nel 2025 celebreremo
il Centenario della nascita di Andrea Camilleri con un programma di eventi che
attraverserà l’Italia e il mondo.
Il 3
marzo state con noi per scoprire in anteprima le iniziative previste per il 2025
e tutto il 2026!
STAY TUNED!
#Camilleri100#CentenarioCamilleri#AndreaCamilleri
Si
è appena conclusa con ascolti record la serie "Il conte di Montecristo" (chi
l'ha persa può recuperarla
su RaiPlay), co-prodotta dalla Palomar di Carlo Degli Esposti. […] Ci sono novità sul fronte
Montalbano?
«Forse nascerà un terzo Montalbano, ma se accadrà dovrà essere più bello dei
primi due». Ma non ci sono libri nuovi di
Camilleri sul commissario di Vigata...
«Può esserci una rivisitazione, al passo con i tempi, di quello che è già stato
scritto e lavorato, sempre nel rispetto della storia letteraria».
Solange Savagnone
El Grup de lectura Punt de llibre ja ha fet les primeres trobades de 2025 amb la
novel·la La dansa de la gavina, d’Andrea Camilleri.
Com en una dansa macabra, des del porxo de la casa de Marinella, el comissari
Montalbano contempla l'aleteig desesperat d'una gavina moribunda.
Està a punt d'anar-se'n de vacances amb la Lívia.
Només ha de passar per comissaria per deixar-ho tot en ordre i acomiadar-se del
seu equip. Però, un cop allà, no hi troba en Fazio, el més puntual i fidel dels
seus homes. No ha tornat a casa i el mòbil està en silenci: el temor no triga a
convertir-se en alarma. Trasbalsat per aquesta absència inexplicable, l'infatigable
comissari comença una cursa contra rellotge per mirar de reconstruir les passes
de l'inspector, que ha estat vist a prop del moll. Tenia una cita amb un antic
company d'escola. Un altre testimoni el situa, més tard, enmig dels camps, en
una zona plena de pous secs, probablement un cementiri de la màfia. I aleshores
un cadàver emergeix de les profunditats... "La dansa de la gavina arrenca ni
més ni menys que amb la desaparició del seu home de confiança, l'inspector
Fazio, que arrossegarà el pobre comissari cap a un joc perniciós. Com que ja no
és un pardal de primera volada, rondina i està tip de treballar, però igualment
no podrà defugir el seu destí.
Ni tan sols el que li té reservat l'enèsima dona que encarna la temptació", en
paraules d'Andrea Camilleri.
[…]
Mercoledì 5 febbraio alle 18.00, presso la Feltrinelli Palermo (via Cavour
133), Gianfranco Marrone e Giorgio Vasta presentano Vi scriverò ancora.
Lettere alla famiglia 1949-1960 di Andrea Camilleri.
[…]
Cose nuove da fare ce ne sono sempre tante per Mattotti che ora sta lavorando
per Sellerio alle copertine di una serie di dodici titoli di Andrea Camilleri
per il centenario della nascita.
"Camilleri mi ha prestato la voce per un personaggio del film d'animazione 'La
famosa invasione degli orsi in Sicilia' presentato al Festival di Cannes 2019
nella selezione 'Un certain regard'. È stato un miracolo, l'ultima cosa che ha
fatto. Ho sempre la sensazione di essere in debito con Andrea.
Le copertine piano piano le sto facendo. I primi titoli sono La forma dell'acqua
e La rivoluzione della luna. Non ci sarà più il classico blu Sellerio,
varieranno i colori di fondo con sempre una immagine centrale. Ho buttato giù
gli schizzi, ne uscirà una al mese. Ho fatto anche il simbolino per il
centenario che utilizzerà anche la Fondazione Camilleri.
[…]
Mauretta Capuano
Siete pronti?
Tenetevi forte. Chiuso il Festival di Sanremo, RaiUno il 17febbraio sera ci
regalerà (per farsi perdonare) una puntatona di “Ulisse” di Alberto Angela sui
luoghi di Montalbano, puntata dedicata ai cento anni dalla nascita di Camilleri. Angela
(Alberto intendo) ci prenderà per mano per farci viaggiare in unincantevole
scorcio della Sicilia che, grazie al commissario nazionale, è stata a lungo (e
rimane ancora) la meta agognata di molti turisti. Riscopriremo iposti che sono
stati teatro e scenografie delle trame e disavventure dei personaggi (da Ragusa,
passando per Scicli, fino a Marzamemi …). Nel tragitto
in paradiso Angela sarà accompagnato dai protagonisti della serie: Catarella,
Fazio, Mimì Augello e infine Montalbano/Zingaretti. I quali non lesineranno
aneddoti sui tanti episodi della serie baciata da Dio in tutto il globo. Perché i
personaggi di Montalbano battono non di rado Sanremo negli ascolti? Intanto, per
cominciare, si vestono meglio. E secondo poi, i copioni e le battute della serie
sono più originali e profondi dei testi delle canzoni di oggi. Sia chiaro.
Io non snobbo affatto Sanremo. L’ho sempre seguito a spezzoni. Sanremo 2024,
nelle prime serate, poté vantare un bel successo. Ma rispetto al nostro
Montalbano non primeggiava nella classifica. Diciamocelo. Il vero Sanremo è qui.
Tra noi. Ecco,
tuttavia, non vorrei che si creasse uno spiacevole equivoco. Lo dico ai miei
contatti continentali di Facebook. Noi qui non siamo soliti solcare a febbraio
lo splendido mare di Punta Secca a grandi bracciate. Io almeno non me la sento.
Montalbano è pur sempre una fiction. Tonificante. Ma sempre fiction è. Non siamo usi
fare colazione con cinque cassate e dodici cannoli. Almeno la glicemia a me lo
sconsiglia. Perracchio è pur sempre un personaggio. Egli può. Meraviglioso. Ma
pur sempre fictionario. Non beviamo
solo vino e non ci addobbiamo quotidianamente di scampi e gamberoni
freschissimi. Mi costerebbe quanto una Germania. Non me la sento. E comunque
sono ubriaco già di mio. È solo una fiction. È gratis. Non
giocheremmo mai a scopone scientifico sotto un bassorilievo del 1600 o dietro
una caffettiera emozionata da un paesaggio mozzafumo. Pur sempre di fiction
trattasi. E tuttavia, questa è una finzione che pirandellianamente racconta una
parabola. Più autentica delle mille pirotecnie del circo mediatico. E forse
anche dei Sanremo a venire.
Forse questo è il segreto dei record metafisici di Montalbanone. Anche della sua
millesima replica. Milioni e spiccioli di sguardi abbacinati da questo spigolo
del pianeta. E da un mandarino di psicologie barocche mai scontate. In un
incanto da scanto. A manco due fichi d’india da casa mia.
Cesare Ammendola
Un incontro tra
parole e musica per celebrare uno dei maggiori scrittori italiani. In occasione
del centenario della nascita di Andrea Camilleri, il musicista romano Michele
Marco Rossi presenta il suo nuovo album, in uscita oggi in digitale (https://lnk.fuga.com/michelemarcorossi_intellettodamoreealtrebugie-1): un
progetto che fonde le improvvisazioni musicali di Rossi con la voce del grande
autore siciliano. L’appuntamento per raccontare questo originale progetto è in
programma martedì 11 marzo alle 18.30 presso il Fondo Andrea Camilleri di Roma.
Violoncellista solista più richiesto dai compositori di oggi, vincitore del IV
Premio Abbiati del Disco – con oltre 100 prime esecuzioni assolute da Milano
Musica al Teatro alla Scala fino alla Biennale di Venezia – Rossi spiega così il
progetto in collaborazione con Camilleri, coinvolto negli ultimi mesi della sua
vita: «Si parte da Dante per arrivare a parlare di ciascuno di noi. L’amore
diviene specchio e sonda della nostra natura, di quella umanità che Camilleri
conosceva così bene».
Una riflessione sull’amore e sull’uomo, da Dante e Petrarca fino ai nostri
giorni, è il tema che lega infatti le tredici tracce, anche a livello di ricerca
sonora ed espressiva: i brani al violoncello di Michele Marco Rossi ed
elettronica live, curata da Paolo Aralla, si alternano con la voce registrata di
Camilleri nell’album targato Stradivarius. «Granulazione del suono,
moltiplicazione, lavorazione sugli spettri armonici, distorsioni – dice ancora
il violoncellista. Ogni brano cerca in maniera astratta di entrare nei meandri
dei temi, tanto forti quanto tremendamente attuali, di cui parla Camilleri, in
un piccolo viaggio sonoro pieno di affetto e gratitudine. Per questo motivo il
disco non ha un titolo in copertina: sarebbe come dare un titolo a un ricordo, a
un pensiero o a una memoria. I ricordi non si intitolano».
Rossi aveva solo 29 anni nel maggio 2019 quando vide per la prima e unica volta
il maestro della letteratura italiana, che scomparve pochi mesi dopo, a 93 anni.
Grazie a quell’incontro, il musicista ha potuto incidere nella memoria di tutti
le “ultime parole sull’amore” di Camilleri.
Il progetto è sostenuto da Siae nell’ambito di "Per Chi Crea" 2023. Le edizioni
musicali sono proprietà di SZ Sugar. La presentazione del disco si terrà al
Fondo Andrea Camilleri, promotore con il Comitato Nazionale Camilleri 100 delle
celebrazioni del Centenario della nascita del grande scrittore siciliano.
ANSA, 7.2.2025
Donne, mafia ed eroi, Giuseppe Cerasa svela la sua terra
In 'Sipario siciliano' il racconto di 70 anni di storia italiana
GIUSEPPE CERASA, SIPARIO SICILIANO. STORIE DI DONNE, PASSIONI, SEGRETI, MAFIA ED
EROI SENZA GLORIA (Nino Aragno Editore, pp.180, 20 euro)
[…] Nelle
ultime pagine l'autore riserva parole d'affetto per altri due personaggi
eccellenti, emblemi anche loro della Sicilia più bella: Andrea Camilleri, di cui
ricorda i memorabili pranzi nella sua casa di Roma, lunghe ore a gustarsi
racconti, prelibati piatti isolani e la "munnizza", una ricetta speciale che lo
scrittore aveva cura di preparare in prima persona.[…]
Marzia Apice
TGR,
8.2.2025
Petrarca Di
Francesco Marino
A cura della TGR Piemonte
È sempre stato un genere particolarmente amato dai lettori italiani, il giallo,
ma ormai sono molti anche gli autori di casa nostra che vi si dedicano, peraltro
con grande successo. È il caso di Alice Basso, ospite di Elisabetta Terigi a “Petrarca”,
la rubrica della Tgr sui libri e sul mondo della cultura, in onda sabato 8
febbraio alle 12.55 su Rai 3. Con “Le 27 sveglie di Atena Ferraris” la giallista
milanese lancia un nuovo personaggio, enigmista di professione, risolutrice di
casi intricati per vocazione
[…]
Il 2025 è l’anno in cui si celebra il centenario della nascita di Andrea
Camilleri. Sellerio, la sua storica casa editrice, per l’occasione pubblica una
raccolta di sue lettere inedite e gli dedica una nuova collana con 12 titoli. E
non si esclude che ci siano ancora opere inedite dello scrittore siciliano.
[…]
Domani, 9.2.2025
Il centenario dello scrittore siciliano: la Nota d’Autrice a La rivoluzione
della luna
Quando Donna Eleonora s’affacciò, Camilleri e il romanzo in una riga
Un’opera nata da un cenno letto in una cronaca: dice meglio di un saggio come
funziona l’immaginazione letteraria. Così creò una figura totale, più decisa del
Conte di Montecristo, più conturbante di Esmeralda, più abile di Ulisse
«V’arricordo che aviti fatto atto
di bidienza». «E che ci trase? La bidienza è ’na cosa, aviri pariri diverso è
’n’autra». La rivoluzione della luna,
romanzo scritto da Andrea Camilleri nel 2013, racconta la storia di una donna
bellissima che si trova ad avere in mano un enorme potere e, nonostante sia
avversata da uomini che si sentono scalzati sia dalla sua bellezza che dalle sue
capacità, riesce a portare a termine la sua missione, a compiere la sua vendetta
e a non sacrificare alcun innocente. Siamo nel mese di settembre del
1677, a Palermo ci sono disordini, manca il cibo e il lavoro, la corruzione
dilaga e il Sant’Uffizio è triste perché non si riesce più a bruciare nessuno in
pubblica piazza. «Ed erano ancora tutte prisenti, e forsi aumentate, ’ste
conseguenzie, al momento della morti di don Angel. E quindi, se non era stato
capace d’arrisolvirle un omo, di certo non ’nni sarebbi stata capaci ’na fìmmina.
La quali, è cosa cognita, vali meno assà di un omo. E certe vote, meno ancora
d’una bona vestia». Il romanzo è straordinario per
almeno tre motivi. Il primo è, appunto, la sua protagonista, Eleonora di Mora,
marchesa di Castel de Roderigo e moglie di don Angel de Guzmán, viceré di Spagna
in Sicilia che muore improvvisamente. A lui succede il cardinale Luis Fernando
de Portocarrero, ma non subito. Prima, per ventisette giorni, Eleonora di Mora,
per volontà del marito, assume la carica di viceré e governa la Sicilia, prima e
unica donna in tutta la lunga travagliata, appassionante e spesso rissosa storia
dei viceré. Donna Eleonora è più decisa del Conte di Montecristo, più
comprensiva di Fra’ Cristoforo, più conturbante di Esmeralda, più abile di
Ulisse e, soprattutto, parla ancora meno del Conte Mosca. Il secondo motivo è il romanzo in
sé, che dice, meglio di qualsiasi saggio di critica letteraria, come funziona
l’immaginazione romanzesca. Andrea Camilleri sta leggendo una cronologia e una
storia dei viceré di Spagna in Sicilia e incontra il nome di donna Eleonora, ne
rimane affascinato e, nonostante le poche e sparute notizie, decide di scrivere
un romanzo. Solo una riga e niente altro. D’altronde, esiste strumento più
efficace del romanzo per indagare l’animo umano, e la storia degli uomini? No.
Per questo, categorie merceologiche a parte, i romanzi sono tutti gialli (non
tutti i gialli sono romanzi, va detto), solo che certe volte non ci sono
colpevoli (solo la vita). Leggendo La rivoluzione della
luna, ci si convince immediatamente, appena don Angel muore sul trono
durante una seduta del Regio Consiglio, che le cose siano andate esattamente
così, l’avventura di donna Eleonora, nonostante gli storici non siano arrivati a
scriverla, è andata come Camilleri l’ha immaginata. Il tempo, si sa, romanzifica
– inventiamo un verbo – e dunque, a distanza di quasi quattrocento anni dalla
reggenza di donna Eleonora, l’invenzione di Camilleri è storia. La riga col nome
di donna Eleonora nella cronologia dei viceré che sboccia in romanzo è un grande
classico degli scrittori che sono grandi lettori e la cui opera narrativa è
comparabile con l’opera critica – espressa attraverso diversi media, anche a
cena con amici. Succede a Virginia Woolf nel 1931
mentre legge il carteggio tra Elizabeth Barrett e Robert Browning e si diverte
con Flush, il cocker spaniel della poetessa. Woolf si sta divertendo ma è anche
impegnata a sedurre, come può – tutti facciamo come possiamo, grandi scrittori e
no –, Vita Sackville-West, e a distrarsi da un romanzo sul quale lavora, Le
onde. Il 16 settembre del 1931, Woolf scrive a VSW di mandarle una foto di
Henry, il cocker spaniel di Harold Nicolson, il marito: «hai una fotografia di
Henry? Lo chiedo per una ragione speciale, connessa a una scappatella tramite la
quale spero di arginare la rovina che subiremo col fallimento de Le onde».
Nel 1933, Flush è stato pubblicato e ha avuto un enorme successo, Woolf
scrive a Lady Ottoline Morrell: «La figura del loro cane mi ha fatto ridere
tanto che non ho potuto resistere a fargli una vita». La figura di Eleonora di
Mora deve aver impressionato tanto Andrea Camilleri che ha deciso di farle una
vita. Il terzo motivo è che La
rivoluzione della luna sintetizza tutta la letteratura di Camilleri – non ho
letto tutto, solo la maggior parte, questo romanzo, per esempio, non lo avevo
letto – e dunque tutta la letteratura. A un certo punto, donna Eleonora parla
con don Serafino, il protomedico, suo unico amico, come tutti innamorato di lei,
attonito e percosso di fronte alla bellezza della marchesa viceré, e sta per
confessarle che è innamorato, innamorato pazzo, forse potrebbe dirle che da
quando l’ha incontrata, anche se a bassa voce, canta tornando a casa, ma donna
Eleonora gli fa segno di no, di non dire niente. Non commetta l’errore di
parlare, dice donna Eleonora guardandolo con occhi neri come fiamme scure – se
esistessero. Donna Eleonora incarna la letteratura che non commette mai l’errore
di parlare, infatti non dichiara né amore né niente, ma racconta, sta, sente gli
odori, sputa, respira, ripete le frasi, allunga le mani, bacia, fa l’amore,
sistema le sedie, misura metri di stoffa. Donna Eleonora è irresistibile per
tutti coloro che la vedono, dal vescovo Turro Mendoza che vuole farla fuori,
alle vergini pericolanti, alle Maddalene pentite, alle maestranze, agli
inquisitori, ai siciliani. Ed è irresistibile per chi legge
perché donna Eleonora incarna la differenza tra il potere che serve solo se
stesso e il potere a servizio di una comunità. Donna Eleonora abbassa il prezzo
del pane, istituisce la figura del magistrato del commercio affinché riunisca le
maestranze palermitane, ripristina il Conservatorio per le vergini pericolanti e
quello per le prostitute che non possono più esercitare per sopraggiunti limiti
di età, riduce il numero dei figli per ottenere i benefici concessi ai padri
onusti (famiglie numerose), opera per debellare la corruzione, stabilisce la
Dote Regia, fonda il Conservatorio delle Maddalene pentite. Donna Eleonora fa la
rivoluzione in un solo ciclo lunare. «Il silenzio fu tali che si sintì persino
’na musca che volava vicino alla testa del protonotaro. “Minchia!” fu la prima
parola che lo ruppi. Era stato il viscovo a dirla». Il romanzo, per struttura,
ammicca ai feuilleton, ai romanzi storici, i capitoli sono numerati e ciascun
titolo di capitolo riassume o chiosa ciò che contiene. Ammicca perché invece il
romanzo è veloce come un apologo. Ammicca perché l’intenzione è picaresca. «La
filama era che la malatia aviva fatto ’ngrassari ’n modo lifantiaco tutte le
parti del corpo di don Angel meno una, propio quella che addistinguì l’omo dalla
fìmmina e che era addivintata, date le nove proporzioni del resto, squasi
’ntrovabili, ’na spingula in un pagliaro». In occasione dell’uscita del
romanzo, Andrea Camilleri rilascia un’intervista video al Corriere della Sera nella
quale racconta ciò che si può leggere anche nella nota, e cioè l’incontro con
Eleonora di Mora, e suggerisce che il romanzo fornisca una risposta a tutti
coloro che criticano il modo in cui mette in scena i personaggi femminili, pieni
di debolezze e difetti. Stessa eccezione che, nel necrologio sul New York
Times, è stata posta a Kundera. Certo, le donne di Kundera e le donne di
Camilleri non sono eccezionali – tranne donna Eleonora – ma non lo sono manco
gli uomini, e questo perché sono romanzieri, grandi romanzieri, e dunque si
occupano della vita che sta loro intorno senza giudicarla, senza sollevarla,
senza annichilirla, la osservano con acume, leggerezza e attenzione, e con
acume, leggerezza e attenzione la lasciano sulla pagina, la vita che sta intorno
a loro è la vita che sta intorno a noi e, grazie al cielo, così possiamo
godercela, cioè dimenticarcela, di eccezionale ha poco. Godiamoci il ridicolo,
la mancanza di coraggio, l’essere qualsiasi, la coscienza di tutto questo e la
meraviglia che, nonostante questo, le vite, pure le nostre, meritano un
racconto. Non c’è bisogno che dica che Camilleri è uno dei più grandi scrittori
che il Novecento abbia visto, lo sapeva da solo, non doveva dirlo, e non doveva
dirselo, era così e basta, spavaldo e tenero col suo dialetto sonoro che oltre
al senso porta il sentimento, e oltre al suono porta l’odore, e oltre al ritmo
porta l’assenza. L’assenza della giustizia nella vita di tutti che talvolta, per
un caso, un inciampo, per una donna che diventa viceré di Sicilia, si fa invece
presenza e di questa presenza – perché così è nelle cose umane, in quel
gigantesco sud malversato che sono le cose umane – non rimane che una riga. Però
quella riga c’è e scrivere, se serve a qualcosa, serve a colmare la memoria, a
produrla quando non c’è materiale con cui colmarla e dopo averlo fatto dire a
tutti andate, la strada è di nuovo percorribile, la buca è coperta. A questo
serve scrivere, se serve. «V’arricordo che aviti fatto atto
di bidienza». «E che ci trase? La bidienza è ’na cosa, aviri pariri diverso è
’n’autra». Ubbidire e essere d’accordo non sono sinonimi. Tuttavia, donna
Eleonora più decisa del Conte di Montecristo, più comprensiva di Fra’
Cristoforo, più conturbante di Esmeralda, più abile di Ulisse e, soprattutto,
più silenziosa del Conte Mosca, perché tutto si compia come immagina e come
vuole, ha bisogno di un amico. Don Serafino. Forse un bell’uomo, di certo
gentile, capace nella vita professionale (è il protomedico del palazzo del
Viceré), meno dal punto di vista sentimentale (vive con la madre e la sorella).
O forse, come mi risponde il mio amico Stefano Pisani, ex matematico e
co-fondatore di «Lercio»: «Attenzione, è mia madre che vive con me»). Fatto sta
che, quando don Angel muore, donna Eleonora manda a chiamare don Serafino, non
si fida di ciò che le hanno detto sulla morte del marito. Come tutti a Palermo,
don Serafino non ha mai visto donna Eleonora e, come tutti, appena la vede,
rimane senza fiato. Rimane senza fiato e si innamora. Donna Eleonora sa di avere
a disposizione tutta la vita per l’amore – forse l’ha già avuta a disposizione,
quella di don Angel – ma un’ora sola per il coraggio. Le forze che si addensano
intorno alla sua reggenza sono oscure e corrotte ma benedette e protette da
Santa Madre Chiesa e, talvolta, dalla sua Inquisizione. Donna Eleonora si
accorge di aver bisogno di don Serafino, ma sa che non può corrispondergli, lui
d’altronde vuole esserle amico ma spera pure di diventare altro, così i due,
consci dei sentimenti e delle aspettative dell’altro, cenano spesso insieme, si
confidano, si guardano, operano perché donna Eleonora abbia ciò che vuole, e con
lei i palermitani.
C’è sempre una certa malinconia nelle persone che pur avendo a disposizione il
corpo, lo trattengono. Donna Eleonora e don Serafino hanno a disposizione i loro
corpi ma intuiscono di essere capitati da due parti diverse della Storia ed è
più facile fare la rivoluzione a Palermo che condividere un letto. Certe volte
capita così. E accettare l’esistente è ciò che consente di vivere l’avventura.
Non ho capito se donna Eleonora è innamorata di don Serafino e non posso capirlo
fino in fondo perché non so cosa desiderare per loro, oltre il romanzo di
Camilleri. Riusciranno ad avere una vita sessuale, altrove e senza la carica di
viceré, come Elisabetta I e Leicester, al secolo, Sir Robert Dudley? Il resto ce
l’hanno, sono complici, possono stare da soli senza che nessuno li guardi,
parlare o tacere insieme senza imbarazzo, ridono, si capiscono, si fidano.
Elisabetta I e Leicester, da un certo punto in poi, non più. Quindi, chi lo sa
cosa è meglio.
Chiara Valerio
Per il centenario
della nascita di Andrea Camilleri l’Associazione Fondo Andrea Camilleri ha
promosso un ampio programma di iniziative per ricordare e promuovere la
conoscenza dell’esperienza intellettuale e artistica dello scrittore. Il programma
prevede convegni, incontri, spettacoli, attività di ricerca, pubblicazioni ed
eventi di diversa natura. Dal carattere
fortemente unitario pur essendo costituito da numerosi tasselli, il
progetto mette insieme, con i diversi ruoli di proponenti, partner e
collaboratori, la ricchissima rete di relazioni culturali, intellettuali e umane
che Camilleri è riuscito ad intessere nel corso della sua vita e che è stata
consolidata dopo la sua scomparsa, anche grazie alla nascita del Fondo.
Le iniziative che avranno una diffusione nazionale e internazionale, si
svolgeranno a partire dal marzo 2025 e per tutto il 2026.
Per la ricorrenza è stato istituito dal Ministero della Cultura il “Comitato
nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Andrea Camilleri”. Ufficio
stampa PUNTO e
VIRGOLA
info@studiopuntoevirgola.com
Cominciamo a
sfogliare il calendario ideato dall’Associazione Fondo Andrea Camilleri per
festeggiare, nell’intero anno 2025 e per gran parte del 2026, con Camilleri 100
il centenario della nascita di Andrea Camilleri, nato il 6 settembre 1925 a
Porto Empedocle. Il progetto
coinvolge, con il contributo di proponenti, partner e collaboratori, la vasta
rete di relazioni culturali, intellettuali e umane che Camilleri ha intrecciato
nel corso della sua vita. Dopo la sua scomparsa, questa rete si è consolidata
ulteriormente, anche grazie alla nascita del Fondo.
Gli appuntamenti partiranno da marzo ma febbraio presenta un’anteprima di grande
interesse: una nuova collana dedicata dall’autore da parte della storica casa
editrice Sellerio. Dodici titoli, scelti tra i più amati e tra i meno conosciuti
dello scrittore, saranno pubblicati nel 2025. Le copertine sono firmate
da Lorenzo Mattotti, l’illustratore bresciano che firma anche il logo del
Centenario.
Primo arrivato “La forma dell’acqua” riproposto da Sellerio con la nota di
Antonio Manzini.
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#Sellerio #editoria #Camilleri100 #CentenarioCamilleri #AndreaCamilleri
Il sito dell’Associazione si
arricchisce di una nuova sezione dedicata alle attività promosse per le
celebrazioni del centenario della nascita di Andrea Camilleri: da oggi,
cliccando sulla voce di menu “centenario” si potrà accedere alla pagina di
presentazione del progetto destinata ad accogliere le informazioni sulle
celebrazioni e valorizzare le iniziative in programma. Tra gli obiettivi del
progetto Camilleri 100 vi sono lo studio della produzione narrativa di Camilleri,
il suo ruolo nella cultura letteraria contemporanea, in Italia e fuori d’Italia
(lo scrittore è tradotto in 40 lingue diverse!) gli approfondimenti su
Camilleri docente dell’Accademia Drammatica “Silvio d’Amico”, delegato alla
produzione della Rai, regista, uomo di teatro. Punto di forza saranno anche le
sue “carte”, conservate in archivio e spesso inesplorate, oggetto da tempo di
iniziative di cura e valorizzazione attraverso le multiformi attività
dell’associazione. Lo sforzo di
divulgazione e condivisione del patrimonio, affidato finora alla pubblicazione
online di un archivio digitale, sarà rafforzato con iniziative diversificate e
inclusive finalizzate a coinvolgere pubblici non specialistici e giovani
generazioni.Obiettivo
qualificato di questo progetto di conoscenza sarà infine quello di promuovere ,
attraverso le pagine e le esperienze di Camilleri, una riflessione sulla storia
d’Italia degli ultimi cento anni e, in particolare, sul presente, al centro di
numerose pagine e di significativi interventi dello scrittore nato a Porto
Empedocle.
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#AndreaCamilleri #CentenarioCamilleri #omaggioacamilleri
Corriere della Sera, 10.2.2025
1925-2025 Un blocco di fogli senza cancellature, una sfida (finire di leggere
prima di cena), la bocca seria del maestro, gli occhi sorridenti. L’inventore di
Rocco Schiavone ricorda. Un momento straordinario: «Eravamo nel salone di
Andrea. Maigret, Holmes, Poirot, Montale, Carvalho stavano tutti nella stanza».
L’omaggio nel centenario della nascita. “Ho
scritto un libro, cuntami”
Andrea Camilleri sottopose al giovane Manzini la prima storia di Montalbano: che
ne pensi?
Caro Andrea, non
avevo trent’anni e tu non ne avevi settanta quando un pomeriggio nel tuo salone
con il fornelletto a spirito che bolliva foglie profumate per ammazzare il fumo
delle Multifilter mi dicesti: ho scritto un libro. Un altro. Questo ha un
poliziotto come protagonista, che si chiama come lo scrittore di Barcellona,
però l’ho italianizzato. Chi, Montalbán? Sì. Si chiama Montalbano. Salvo. È un
emigrante? ti avevo chiesto, perché era di quello che stavamo parlando, di
Emigranti di Sławomir Mrozek, avevamo fatto lo spettacolo, ti ricordi? Nel
teatro che non esisteva e che tu ci hai fatto costruire a me e Tullio. E da
quando gli attori si costruiscono i teatri da soli? Da quando un teatro non ce
l’hanno, ci avevi risposto. Non capisco, Andrea, Montalbano è spagnolo? Bì che
camurria, hai detto. Ho italianizzato un nome, ti rincoglionisti in un vidiri e
svidiri? Poi sei andato nella tua stanzetta, che a malapena ci entrava il
tavolino con la macchina da scrivere. Ne sei uscito
poco dopo con un blocco di fogli A4 in mano e mi hai detto: Tiè, leggilo. Ma è
tipo Maigret? Camurria, hai detto, puoi leggere senza farmi girare i cabasisi…
Gnorsì. Ma perché io? Che manco ho 30 anni? Perché non uno dei tuoi amici di ben
altra levatura culturale? Sono morti, mi hai risposto. Ma a chi lo dai? A quella
signora che incontrasti quando andammo a fare Majakovskij a Palermo? Camurria… a
saperlo che era un terzo grado evitavo. Vuoi leggere sì o no? E io ho afferrato
il plico. Sono tante pagine. Ti scantano? mi hai detto. No, mi spaventa che se
Rosetta mi trova qui a ora di cena mi prende a calci in culo fino a viale
Mazzini. Tu leggi, che a ora di cena hai bello e finito. Una sfida, Andrea. Era
una sfida che avevi lanciato. Ma non a me come lettore, a te come scrittore. Se
questo scimunito lo finisce prima di cena il libro camina, avevi pensato, se non
ce la fa devo rivederlo. E così, seduto sulla poltrona vicino alla stufa di
mattoni con sopra il piccolo bollitore e le foglie che ci galleggiavano dentro,
ho cominciato. «Lume d’alba non filtrava nel cortiglio della “Splendor”» che a
me m’era parso un verso, non l’incipit di un romanzo. Non mi
ricordo dove te n’eri andato, Andrea, né se fuori c’era luce o era già buio, non
ricordo se avevi cambiato le foglie e l’acqua nella cuccuma sopra il fornelletto
a spirito. Se ti eri bevuto una birra o eri andato a scrivere qualcosa all’Olivetti.
O avevi già l’IBM mezza elettrica? Forse avevi telefonato a qualcuno, o eri
andato in cucina a parlare con Rosetta. Invece mi ricordo dove ero io. A Vigàta.
Che non esisteva, ma io l’avevo capito che era un po’ Porto Empedocle e quelle
erano le tue strade, e il palazzo del Comune, forse? Quello con le quattro
colonne che tu mi avevi raccontato che te ne stavi lì davanti, ragazzo, a
guardarlo con la voglia di scappare lontano, a Roma, a fare il teatro, e ti
ripromettevi che saresti tornato a Porto Empedocle solo quando ti saresti
dimenticato quante colonne c’erano davanti al palazzo del Comune. Ero con
Luparello trovato in mezzo alla monnezza dai netturbini, con Fazio, Augello, ero
con Livia a Genova, e Montelusa e Gallo e Galluzzo. E Salvo. Coi baffi e i
capelli spettinati, omu di liggi nella Sicilia che t’eri inventato e che era più
vera di quella vera. Non mi ricordo se mi guardavi mentre leggevo o se ti eri
messo pure tu con un libro sul divanetto. Ce l’ho ancora una foto dove io e te
stiamo seduti su quel divanetto a leggere chissà che libro. Teatro, sicuro. Tu
fumi, io guardo la pagina e sembra che sto aspettando una tua decisione. Non mi
ricordo se mi hai lasciato solo nella stanza, Andrea, non mi ricordo niente.
Fino a quando Salvo, già lo chiamavo Salvo, deve affrontare Anna che aveva visto
Ingrid seminuda sul letto e gli dice: «E tu saresti un uomo onesto?». «No, non
lo sono. Ma non per quello che pensi tu». E sotto c’era scritto FINE. Così ho
alzato lo sguardo e tu eri lì, vicino alla finestra. E mi guardavi. Tenevi in
mano un bicchiere di birra e il fumo della sigaretta ti tagliava via mezza
faccia. Allora? Che mi cunti? E che ti dovevo dire, Andrea? Quei fogli A4
pesavano sulle ginocchia come piombo. Mica lo sapevo che stavo sorreggendo Enola
Gay, mi sarei fatto scattare una fotografia all’istante. Sarei passato alla
storia. Era il primo libro di questo tizio, di questo commissario con il cognome
rubato a uno scrittore che mi avevi insegnato ad amare. Un poliziotto che… «I
pensieri che sono venuti a te, omu di liggi, sono precisi intifichi a quelli che
sono venuti a mia, omu di delinquenza. E tu volevi solo vedere se appattavano,
eh, Salvù?». Io la tua lingua la capivo, perché con quella lingua mi parlavi,
Andrea, addrumati una sigaretta magari tu, Antò, così mi cunti. E che ti dovevo
dire? Mi dovevo ripigliare. La sigaretta me la sono addrumata. Non la
Multifilter, io fumavo le Camel. Ti dissi che secondo me questo libro era una
rivoluzione, e che tu l’avevi portata a termine usando il racconto più classico,
usando il genere che gli schizzinosi linneiani consideravano la serie B della
letteratura. L’alto e il basso che si confondono, che fanno le capriole come il
tuo libro, Andrea, che fa ridere, e fa pensare, e che vorresti continuare a
leggere fino a perdere il fiato e i denti.
Andrea, ma questa parlata la gente la capirà? Tu avevi riso, ti ricordi? I
siciliani la capiscono, tanto chi lo deve leggere ’sto Montalbano? Antò, cuntami.
E che ti cunto? Maigret, Holmes, Poirot, Montale, Carvalho, stavano tutti dentro
la stanza, Andrea, te lo dissi, e ti dissi pure che stavano dando il benvenuto a
questo uomo coi baffi che, me l’avevi detto tu, ti somigliava tanticchia a
Pietro Germi nel pasticciaccio. Quello di Gadda, il film, e pure il libro era
argomento di quella chiacchierata, ti ricordi? Io così me l’ero visto Montalbano,
anche perché Pietro Germi un po’ mi ricordava mio padre. Se Salvo somiglia un
po’ a tuo padre, mi hai detto, sta a dire che ti è familiare. E questo è bono
assai. Allora ti è
piaciuto? E ancora sorridevi con gli occhi dello stregatto o come diavolo si
chiamava quello di Carroll, con la Multifilter appesa. Mi è piaciuto, mentre la
cenere della tua sigaretta cadeva sul bracciolo della sedia e la spegnevi fumata
a metà nel posacenere. Ma tu lo sapevi, Andrea, perché il manoscritto non aveva
una cancellatura. L’avevi già ribattuto in bella copia. Nonsi, mi hai detto. Non
c’è correzione perché non c’è. Cioè tu avevi scritto il libro dritto per dritto,
perché sapevi cosa stavi scrivendo, dove andavano personaggi mai sentiti prima,
dove andava a finire l’indagine, chi era chi, chi era il colpevole, la falsa
pista, le donne le armi e gli amori. Lo sapevi già, Andrea. E mi guardavi dietro
le lenti con gli occhi che ridevano mentre la bocca che stringeva la sigaretta
restava seria. Hai visto, Antò? Manco è ora di cena. E lo sai che c’è scritto
sulla mia copia quando l’hai stampato? Ad Antonio, con autentico affetto.
Andrea. Sembra una dedica fatta di corsa. Ma tu le parole le hai sempre pesate,
Andrea. Nei libri come nella vita. E dentro quell’autentico c’era tutta la
nostra amicizia. Andrea, questa lettera serviva solo a dirti grazie. Ora e per
sempre Tuo
Antonio
Antonio Manzini
Il commissario
Montalbano può essere considerato oggi il «personaggio più rappresentativo
dell’immaginario letterario italiano insieme a Pinocchio». Lo si legge nella
Nota dell’editore, in apertura de La forma dell’acqua, riproposto da
Sellerio con la Nota di Antonio Manzini (anticipata qui a fianco) e una nuova
veste grafica. Il libro di Andrea Camilleri uscirà domani - insieme alla nuova
edizione di un altro suo romanzo, La rivoluzione della luna (con una Nota
di Chiara Valerio) – a inaugurare una collana di dodici libri edita da Sellerio,
con le copertine di Lorenzo Mattotti. I titoli, scelti nell’opera di Camilleri
tra i più amati ma anche tra i meno conosciuti, usciranno entro il 2025. Il progetto
si inserisce tra le iniziative per il centenario della nascita dello scrittore
siciliano (6 settembre 1925 - 17 luglio 2019). Promossi dal Fondo che porta il
suo nome, con il Comitato nazionale Camilleri 100, gli appuntamenti si terranno
da marzo per tutto l’anno, in Italia e all’estero, e verranno annunciati il 3
marzo. La forma dell’acqua, primo titolo con Montalbano, inizialmente
edito da Sellerio nel 1994, è stato tradotto in oltre 30 Paesi. A questo romanzo
ne seguirono altri 27 con il commissario e 6 raccolte di racconti. In Italia
Camilleri ha venduto, con le storie di Montalbano e gli altri romanzi, oltre 25
milioni di copie. (Ri)accendendo l’interesse, colto e popolare, sulla sua
Sicilia, sulle magie di una lingua millenaria e salata come il mare, su
territori arsi dal sole, spazzati dal vento, su archetipi e miti di una regione
antica... La forma
dell’acqua:
«Il titolo — si legge ancora nella Nota dell’editore — è esemplare di quel
deposito di immagini, metafore, detti aforistici, di memoria storica e
personale, cui attinge anche la lingua di Camilleri (“Qual è la forma
dell’acqua? Ma l’acqua non ha forma! Piglia la forma che le viene data”). Il
vigatese non è quindi solo una commistione di parole italiane e parole
derivate dai vari dialetti di Sicilia. Il suo artefice ha spiegato più volte che
con quell’invenzione si riproponeva due scopi: innanzitutto modulare l’armonia
di un suono musicale — e lo riprova il fatto che un lettore estraneo al
siciliano è sempre in grado di ascoltare questo andamento al modo di uno
spartito, con parole al posto delle note. Il secondo scopo era di raffigurare
attraverso il loro modo di parlare i tratti e il carattere dei vari personaggi». Domani, come
si accennava, esce anche La rivoluzione della luna. Scrive Chiara
Valerio: «Donna Eleonora, finalmente l’ho capito, incarna la narrativa di
Camilleri che non commette mai l’errore di parlare, infatti non dichiara né
amore né niente, ma racconta, sta, sente gli odori, sputa, respira, ripete le
frasi, allunga le mani, bacia, fa l’amore, canta a bassa voce, o grida, sistema
le sedie, misura metri di stoffa».
Ogni volume della collana sarà introdotto da altri scrittori del panorama
nazionale e internazionale, appassionati di Camilleri della prima ora, ma anche
folgorati solo di recente. A loro non è stato chiesto un saggio di critica
letteraria ma di raccontare l’esperienza fra le pagine di Camilleri.
I prossimi titoli: a metà marzo uscirà La concessione del telefono con la
Nota di Alessandro Barbero, secondo il quale questo testo «è la prova definitiva
che, fra gli adoratori di Camilleri, ha ragione chi — pur amando le storie di
Montalbano — giudica ancora più belli i romanzi ambientati nell’Ottocento». Poi,
i primi di aprile, saranno pubblicati La strage dimenticata e La bolla
di componenda, uniti in un unico volume, con commento di Luciano Canfora:
«Un fatto diventa fatto storico — scrive quest’ultimo — se qualcuno lo
dissotterra e spiega perché fu nascosto. L’unione del Meridione all’Italia fu
teatro di eventi che aspettano ancora di essere accolti nel club dei fatti
storici. Camilleri, con questa ricerca, ha il merito di aver messo in salvo una
verità».
Helmut Failoni
Corriere della Sera, 10.2.2025
I libri di Camilleri e l’arte del risvolto
Visto che in questi giorni si parla di Andrea Camilleri, nel centenario della
nascita e in occasione della riproposta dei suoi romanzi, bisognerà rendere
omaggio anche al suo «sparring partner» Salvatore Silvano Nigro. Quella del «risvoltista»
è per lo più una figura redazionale, importante anche se anonima, ma a volte si
tratta di scrittori e intellettuali di primissimo piano
Non risulta che sia mai esistito, nella storia dell’editoria, un «risvoltista»
così fedele al suo autore. E visto che in questi giorni si parla di Andrea
Camilleri, nel centenario della nascita e in occasione della riproposta dei suoi
romanzi, bisognerà rendere omaggio anche al suo «sparring partner» Salvatore
Silvano Nigro. Quella del «risvoltista» è per lo più una figura redazionale,
importante anche se anonima, ma a volte si tratta di scrittori e intellettuali
di primissimo piano. Autori celebri di risvolti sono stati, tra gli altri, Elio
Vittorini per Einaudi e Bompiani, il grande critico Giacomo Debenedetti per il
Saggiatore, il poeta Vittorio Sereni per Mondadori, Italo Calvino per l’Einaudi,
come Ernesto Ferrero; Cesare De Michelis per Marsilio, Roberto Calasso per l’Adelphi,
Leonardo Sciascia per Sellerio… Nigro — critico, critico-scrittore, filologo,
studioso di Manzoni, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Manganelli eccetera —
appartiene alla umile ma eletta schiera degli artisti del risvolto. Perché
umile? Perché il bravo «risvoltista» si mette al servizio del libro senza
protagonismi: dall’alto della sua autorità, solo Vittorini si permetteva a volte
di esprimere dubbi su opere che lui stesso, da direttore, aveva scelto di
pubblicare per i «Gettoni» Einaudi.
Lo fece con Anna Maria Ortese, con Beppe Fenoglio e con Elémire Zolla. Calasso
spiegò che «il risvolto appartiene al libro, alla sua fisionomia, come il colore
e l’immagine della copertina». In un elegante librino pubblicato (in copie
numerate) da Sellerio nel 2007, e contenente dieci risvolti scritti da Nigro per
i romanzi di Camilleri, Salvatore Settis parlava di eleganza e levità della
farfalla. Ed era lo stesso Camilleri a tessere l’elogio del suo «bandellatore»
(così lo chiamava), costretto dentro spazi necessariamente angusti per cercare
di: lodare il libro senza esagerare, accennare alla trama, essere chiari, infine
dare anche un’idea critica dell’opera. È interessante poi l’identikit di Nigro
tracciato da Camilleri: dice in pratica Camilleri che si tratta di un detective
persino superiore al suo Montalbano, dando così una formidabile descrizione del
lettore e critico ideale, del suo «sguardo acutissimo, implacabile, una specie
di raggio laser». L’arte del risvolto appartiene alla letteratura. Molti
risvolti iperbolici che circolano appartengono al marketing.
Paolo Di Stefano
Gabriel García
Márquez, nel suo Vivere per raccontarla, afferma che siamo tutti degli
scampati a qualcosa, a una curva, a un incrocio stradale, a un vaso di fiori che
precipita da un balcone. Sopravvissuti. Miracolati. Un uomo del
Sud sa che la propria vita è governata, se non dai santi e dalla divinità
suprema, probabilmente da entità come il fato, il destino, il caos, da una
cosmologia metafisica appresa fin dall’infanzia. Se da una parte un
settentrionale basa la struttura della sua esistenza su robusti canoni pratici,
dall’altra un “sudista” vive di ciniche speranze e mette in campo i suoi talenti
sapendo perfettamente che una parte di ciò che avverrà ha a che fare con una
dimensione imperscrutabile. E partendo da
questa premessa un uomo del Sud sa essere beffardo, farsesco e disincantato di
fronte agli eventi, anche davanti a quelli drammatici. E al tempo stesso esterna
il dolore come a collocarlo fuori da sé stesso, come a rappresentarlo su un
palcoscenico, una sinistra giostra infinita che gli permette di sopravvivere
alle avversità ed eternare il sentimento. Dissacrare, dissacrare sempre e
stendere il proprio dolore come un lenzuolo commemorativo sono i due poli di un
modus vivendi dove tutto è possibile, o meglio tutto è credibile e dove le
regole esistono affinché si possano applicare le deroghe. La
letteratura del Sud, compresa la letteratura giallo noir, non dimentica mai
questi assunti, questi prerequisiti per poter narrare un mondo, una società
vista dalla prospettiva popolare. I personaggi
dello spagnolo naturalizzato messicano Paco Ignatio Taibo II o dell’argentino
Osvaldo Soriano o della scrittrice Claudia Piñeiro fanno dell’ironia un’arma per
scandagliare l’animo umano e la scrittura di molti di questi autori genera
storie dove è la satira a dettare il respiro della pagina, del paragrafo, della
frase. Le
gradazioni della sventura I personaggi
di Andrea Camilleri, probabilmente il più grande autore contemporaneo di gialli
italiano, rientrano in questa casistica e umilmente bisogna dire che se c’è un
punto di contatto tra la narrativa di Cosimo Argentina e quella del genio di
Porto Empedocle – a parte i luoghi del Sud d’Italia e l’uso di un dialetto
contaminato – questo legame si avverte nel senso dell’ironia anche dolorosa che
permea i loro personaggi. Nell’opera La
vampa di agosto Camilleri mette in scena, ad esempio, varie gradazioni di
dolore e sventura. Dall’avvento degli scarafaggi nella villetta presa in affitto
fino al ritrovamento del cadavere occultato di una ragazza stuprata e
assassinata. In ogni circostanza il dolore ha sempre un contraltare grottesco,
spiazzante, quasi dissacrante. Anche ne La pazienza del ragno,Camilleri
orchestra una dimensione dolorosa in cui si muove Montalbano impreziosendola di
quel lato dinamico, proiettato verso una moderata ilarità che rende la
narrazione ipnotica. Del resto, come regista, Andrea Camilleri ha adattato sul
finire degli anni ’50 l’opera di Samuel Beckett Finale di partita. Questo
per rimarcare che lo spirito del teatro dell’assurdo con quell’amalgama fatta di
genialità, surrealismo, ironia, comicità e atteggiamento provocatorio ben si
allinea alle idee dell’autore siciliano. Nel romanzo Noli
me tangere (fuori dalla cosmogonia montalbanesca) il dolore del personaggio
Laura deriva da giudizi troppo affrettati che la società esprime riguardo ai
comportamenti di una donna che desidera godere dei piaceri della vita. Anche in
questo caso Camilleri sonda l’animo umano e man mano che scende in profondità
cerca di compensare la narrazione attraverso un saggio e oculato modo di
irridere il comune senso del pudore. Un
decapitato dalla società Allo stesso
modo Argentina, ne L’umano sistema fognario, destabilizza il
lettore attraverso una serie di crudeltà ironiche di cui è protagonista Emiliano
Maresca, un decapitato dalla società che cerca attraverso la vendetta sessuale
un riemergere a una dignità intrisa di satira del mondo. Camilleri
contorna il protagonista delle sue storie di personaggi che rivestono il ruolo
di pezzi perfetti di un mosaico narrativo dove predomina l’equilibrio. Le storie
godono del principio dei pesi e contrappesi sicché se da un lato i vari Giuseppe
Fazio, Mimì Augello, Agatino Catarella, Nicolò Zito e il dottor Pasquano hanno a
che fare con sparizioni, delitti, profanazioni, assassini, dall’altro rendono
sulla pagina l’ironia e la satirica visione della vita fatta di momenti,
circostanze, svolte una diversa dall’altra e dove si mescolano il riso e il
pianto, l’afflizione e lo sberleffo. E sono spesso le incomprensioni tra
Montalbano e i suoi collaboratori a strappare un sorriso al lettore anche quando
la materia maneggiata è macchiata di sangue e l’argomento principe è un omicidio
o un rapimento. Nel libro Le
inchieste del commissario Collura, Camilleri mescola il reale a una
dimensione onirica, e nel farlo rende la narrazione ironica nonostante le
indagini svolte abbiamo in apparenza risvolti drammatici. E lo stesso Vincenzo
Collura detto Cecé è un finto marinaio, un uomo di fatto fuori posto, e diventa
la matrice scanzonata di una serie di avventure basate su una sorta di visione
subliminale degli eventi. In questo si
può ricollegare Cosimo Argentina ad Andrea Camilleri con le dovute differenze e
distanze. In Vicolo dell’acciaio un personaggio come Derviscio Dominik è
un mix di perversione, ripugnanza e forma umana caricaturale, quasi beffarda.
Così come nel romanzo L’umano sistema fognario Emiliano Maresca è un
assassino che appare ridicolo, ebete, buffo, in una parola: farsesco. I numi
tutelari Tanto Salvo
Montalbano sa essere cinico e pragmatico conservando ironia e gioia di vivere,
sedersi a tavola o godere delle bellezze siciliane, tanto Danilo Colombia di Maschio
adulto solitario, nonostante la sua esistenza drammatica, riesce a guardare
il mondo come fosse un palcoscenico dove va in scena una commedia, magari nera,
ma pervasa da quel nonsense burlesco che non lo abbandona per tutte le 310
pagine del testo. E anche i
numi tutelari del maestro di Porto Empedocle e di Cosimo Argentina hanno un
passo letterario dove ironia e dolore sono i contraltari fondamentali. Per
Camilleri si tratta di Georges Simenon, Pirandello e, soprattutto in quanto a
satira, Manuel Vázquez Montalbán, mentre per Argentina i riferimenti sono a
Charles Bukowski, Philip K. Dick, Céline e Andrea G. Pinketts.
Bibliografia Camilleri,
A., Noli me tangere, Milano, Mondadori, 2016. ID., La
pazienza del ragno, Palermo, Sellerio, 2004. ID., Le
inchieste del commissario Collura, Alessandria, Libreria dell’Orso, 2002. ID., La
vampa di agosto, Palermo, Sellerio 2006. Argentina,
C., L’umano sistema fognario, Lecce, Manni, 2014. ID., Vicolo
dell’acciaio, Roma, Fandango, 2010.
ID., Maschio adulto solitario, Lecce, Manni 2008.
Márquez, G.G., Vivere per raccontarla, Milano, Mondadori, 2002.
Cosimo Argentina
Il Teatro Al Massimo di Palermo celebra il centenario della nascita di Andrea
Camilleri mettendo in scena "Il birraio di Preston", presentato oggi in
conferenza stampa dal regista, Giuseppe di Pasquale e dal patron del Teatro,
Aldo Morgante che coproduce con Marche Teatro e Teatro di Roma lo spettacolo. Il
debutto è previsto il 21 febbraio e resta in scena fino al primo marzo.
E' una delle opere di Camilleri, pubblicata da Sellerio, a sfondo storico, che
prende spunto da un fatto realmente accaduto a Caltanisetta. Aldo Morgante si è
detto "felice e orgoglioso di ospitare una prima nazionale di questo valore".
Camilleri come sempre sposta l'azione nella sua Vigata, dove avverrà "lo
spaventoso incendio- spiega Di Pasquale- che nella struttura narrativa
dell'opera costituisce l'inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto.
Seconda metà del'800, Vigata deve inaugurare il nuovo teatro "Re d'Italia" con
un'opera di Ricci, "Il birraio di Preston" che viene giudicata inappropriata e
inaccettabile, ma il prefetto obbliga il teatro e l'intero consiglio
d'amministrazione a metterlo in scena. Si arriverà a una vera guerra civile che
si concluderà tragicamente. "La vicenda narrata- aggiunge il regista- è
esemplare per raccontare oggi la Sicilia. L'eterna vacuità dell'azione siciliana
che spesso si traduce in un esasperato dispendio di energie per la futilità di
un movente, è la metafora più evidente del testo." Presenti alla conferenza gli
attori, da Edoardo Siravo a Federica de Benedittis a Mimmo Mignemi.
Il Teatro “Al
Massimo” di Palermo celebra il centenario della nascita del celebre scrittore
siciliano Andrea Camilleri portando in scena “Il birraio di Preston”, che è
stato presentato oggi, nel foyer del teatro, alla presenza del maestro Aldo
Morgante, del regista, Giuseppe Dipasquale e degli attori, Edoardo Siravo,
Federica De Benedittis, Mimmo Mignemi e di tutta la compagnia. Il debutto è
previsto per il 21 febbraio e si replica fino al 1 marzo. “Il birraio
di Preston” tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato da Sellerio
editore, con la riduzione teatrale di Andrea Camilleri - Giuseppe Dipasquale,
regia di Giuseppe Dipasquale, scene di Antonio Fiorentino, i costumi sono
ripresi da Stefania Cempini e Fabrizio Buttiglieri da un’idea di Gemma Spina, le
musiche sono di Luigi Ricci. In scena una
compagnia eccellente di undici attori: Edoardo Siravo, Federica De Benedittis
Mimmo Mignemi e con, (in o.a). Gabriella Casali, Pietro Casano, Luciano
Fioretto, Federica Gurrieri, Paolo La Bruna, Giorgia Migliore, Valerio Santi,
Vincenzo Volo. La produzione è di Teatro Al Massimo di Palermo, Marche Teatro
(diretto da Giuseppe Dipasquale), Teatro di Roma. “Siamo felici
e orgogliosi – spiega il direttore artistico Alfo Morgante – di ospitare questa
prima nazionale, in coproduzione con Marche Teatro e con il Teatro di Roma, per
rendere omaggio e celebrare un grande scrittore siciliano come Andrea Camilleri
in occasione del centenario dalla sua nascita”. La prima è in
programma venerdì 21 febbraio alle 21:15, si replica sabato 22, domenica 23,
mercoledì 26, giovedì 27 alle 17:15 e ancora venerdì 28 e sabato 1 marzo alle
21:15.
Il regista Giuseppe Dipasquale dichiara – Come ormai sembra essere chiaro nello
stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per sé
stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era
una volta” dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un
bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo
essere “fanciullino” è il motore dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura
del romanzo, la scoperta dell’unica grande tragedia che incombe su Vigàta; le
altre saranno come delle ipotragedie in questa contenute e da questa
conseguenti. Ossia lo spaventoso incendio che nell’originale struttura narrativa
costituisce l’inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto.
“Il Birraio di Preston”, la trama Ci troviamo
in un piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito
Vigàta, durante la seconda metà dell’Ottocento. L’occasione è data dal fatto che
è necessario inaugurare il nuovo teatro civico “Re d’Italia”. Il prefetto di
Montelusa, paese distante qualche chilometro, ma odiato dagli abitanti di Vigàta
perché più importante e perché sede della Prefettura, si intestardisce di
inaugurare la stagione lirica del suddetto teatro con un’opera di Ricci. Nessuno
vuole la rappresentazione di quel lavoro, tra l’altro realmente scadente. Il Prefetto
obbliga addirittura a dimettersi ben due consigli di amministrazione del teatro
pur di far passare quella che lui considera una doverosa educazione dei vigatesi
all’Arte, per seguirli paternamente nei primi passi verso il Sublime. Si arriva
quasi a una guerra civile tra le due fazioni: da un lato i vigatesi che, con
quel naturale e tutto siciliano senso di insofferenza verso tutto quello che
sappia di “forestiero” (e il Prefetto Bortuzzi lo è!), decidono di boicottare
l’ordine prefettizio; e dall’altra il prefetto Bortuzzi con Don Memè Ferraguto,
al secolo Emanuele, cinquantino, sicco di giusto peso, noto uomo d’onore del
luogo, sempre alleato al potere per atavica e pura convenienza. Da ciò si
diparte una storia divertentissima e al tempo stesso tragica, che culmina
nell’incendio del teatro. Una
narrazione interessante per il suo intreccio e intricata nello sviluppo specie
quando compaiono sulla scena i dinamitardi che hanno il compito di dare al
boicottaggio di quell’inaugurazione la fisionomia di un messaggio a livello
nazionale: dovranno infatti far esplodere il teatro per convincere il governo
che anche la Sicilia è allineata, contro lo Stato, a favore dei Carbonari. La
turbolenta vicenda si incastra con quella del Delegato Puglisi e della sua
amante, la cui sorella ha trovato atroce morte proprio in seguito all’incendio
del teatro, della cantante Maddalena Paolazzi vittima una delle più clamorose
“stecche” nella storia del bel canto, del Dottor Giammacurta, dell’avvocato
Fiannaca, dell’ingegnere Hoffer e di tanti altri. La vicenda narrata è una
vicenda esemplare per raccontare oggi la Sicilia.
L’eterna vacuità dell’azione siciliana, che spesso si traduce in un esasperato
dispendio di energie per la futilità di un movente, è la metafora più evidente
del testo. In un esempio sublime e divertito di narrazione dei caratteri, la
Sicilia, il suo mondo, i suoi personaggi vengono ammantati, attraverso la lingua
camilleriana, da una luce solare, vivida di colori e ricca di sfumature. Questa
Sicilia che non dimentica i morti, non dimentica i mali letali che cercano di
consumarla inesorabilmente dal di dentro, che non dimentica il tradimento verso
valori appartenuti a se stessa quando era culla di una civiltà, questa Sicilia
oggi può senza timore ricominciare a parlare di se stessa con la necessaria
ironia e distacco, affinché l’autocompiacimento delle virtù come dei vizi e dei
dolori, non costituisca lo stagno dal quale diviene difficile uscire.
Il Teatro “Al
Massimo” celebra il centenario della nascita del celebre scrittore siciliano
Andrea Camilleri portando in scena “Il birraio di Preston”, che è stato
presentato oggi, nel foyer del teatro, alla presenza del maestro Aldo Morgante,
del regista, Giuseppe Dipasquale e degli attori, Edoardo Siravo, Federica De
Benedittis, Mimmo Mignemi e di tutta la compagnia. Il debutto è previsto per il
21 febbraio e si replica fino all'1 marzo. Il birraio di
Preston tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato da Sellerio editore,
con la riduzione teatrale di Andrea Camilleri -Giuseppe Dipasquale, regia di
Giuseppe Dipasquale, scene di Antonio Fiorentino, i costumi sono ripresi da
Stefania Cempini e Fabrizio Buttiglieri da un’idea di Gemma Spina, le musiche
sono di Luigi Ricci. In scena una compagnia eccellente di undici attori: Edoardo
Siravo, Federica De Benedittis Mimmo Mignemi e con, (in o.a). Gabriella Casali,
Pietro Casano, Luciano Fioretto, Federica Gurrieri, Paolo La Bruna, Giorgia
Migliore, Valerio Santi, Vincenzo Volo. La produzione è di Teatro Al Massimo di
Palermo, Marche Teatro (diretto da Giuseppe Dipasquale), Teatro di Roma.
“Siamo felici e orgogliosi - spiega il direttore artistico Alfo Morgante - di
ospitare questa prima nazionale, in coproduzione con Marche Teatro e con il
Teatro di Roma, per rendere omaggio e celebrare un grande scrittore siciliano
come Andrea Camilleri in occasione del centenario dalla sua nascita”. La prima è
in programma venerdì 21 febbraio alle 21:15, si replica sabato 22, domenica 23,
mercoledì 26, giovedì 27 alle 17:15 e ancora venerdì 28 e sabato 1 marzo alle
21:15. Il regista Giuseppe Dipasquale dichiara - Come ormai sembra essere chiaro
nello stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per
sé stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era
una volta” dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un
bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo
essere “fanciullino” è il motore dell’azione. A esso è destinata, in apertura
del romanzo, la scoperta dell’unica grande tragedia che incombe su Vigàta; le
altre saranno come delle ipotragedie in questa contenute e da questa
conseguenti. Ossia lo spaventoso incendio che nell’originale struttura narrativa
costituisce l’inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto.
Ci troviamo in un piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è
il solito Vigàta, durante la seconda metà dell’Ottocento. L’occasione è data dal
fatto che è necessario inaugurare il nuovo teatro civico “Re d’Italia”. Il
prefetto di Montelusa, paese distante qualche chilometro, ma odiato dagli
abitanti di Vigàta perché più importante e perché sede della Prefettura, si
intestardisce di inaugurare la stagione lirica del suddetto teatro con un’opera
di Ricci. Nessuno vuole la rappresentazione di quel lavoro, tra l’altro
realmente scadente. Il Prefetto obbliga addirittura a dimettersi ben due
consigli di amministrazione del teatro pur di far passare quella che lui
considera una doverosa educazione dei vigatesi all’Arte, per seguirli
paternamente nei primi passi verso il Sublime. Si arriva quasi a una guerra
civile tra le due fazioni: da un lato i vigatesi che, con quel naturale e tutto
siciliano senso di insofferenza verso tutto quello che sappia di “forestiero” (e
il Prefetto Bortuzzi lo è!), decidono di boicottare l’ordine prefettizio; e
dall’altra il prefetto Bortuzzi con Don Memè Ferraguto, al secolo Emanuele,
cinquantino, sicco di giusto peso, noto uomo d’onore del luogo, sempre alleato
al potere per atavica e pura convenienza. Da ciò si diparte una storia
divertentissima e al tempo stesso tragica, che culmina nell’incendio del teatro.
Una narrazione interessante per il suo intreccio e intricata nello sviluppo
specie quando compaiono sulla scena i dinamitardi che hanno il compito di dare
al boicottaggio di quell’inaugurazione la fisionomia di un messaggio a livello
nazionale: dovranno infatti far esplodere il teatro per convincere il governo
che anche la Sicilia è allineata, contro lo Stato, a favore dei Carbonari.
La turbolenta vicenda si incastra con quella del Delegato Puglisi e della sua
amante, la cui sorella ha trovato atroce morte proprio in seguito all’incendio
del teatro, della cantante Maddalena Paolazzi vittima una delle più clamorose
“stecche” nella storia del bel canto, del Dottor Giammacurta, dell’avvocato
Fiannaca, dell’ingegnere Hoffer e di tanti altri. La vicenda narrata è una
vicenda esemplare per raccontare oggi la Sicilia. L’eterna vacuità dell’azione
siciliana, che spesso si traduce in un esasperato dispendio di energie per la
futilità di un movente, è la metafora più evidente del testo. In un esempio
sublime e divertito di narrazione dei caratteri, la Sicilia, il suo mondo, i
suoi personaggi vengono ammantati, attraverso la lingua camilleriana, da una
luce solare, vivida di colori e ricca di sfumature. Questa Sicilia che non
dimentica i morti, non dimentica i mali letali che cercano di consumarla
inesorabilmente dal di dentro, che non dimentica il tradimento verso valori
appartenuti a se stessa quando era culla di una civiltà, questa Sicilia oggi può
senza timore ricominciare a parlare di se stessa con la necessaria ironia e
distacco, affinché l’autocompiacimento delle virtù come dei vizi e dei dolori,
non costituisca lo stagno dal quale diviene difficile uscire.
Il Teatro “Al Massimo” di Palermo celebra il centenario della nascita dello
scrittore siciliano Andrea Camilleri. Il 21 febbraio la prima de “Il Birraio di
Preston” proprio di Andrea Camilleri. Sentiamo le interviste.
Dopo 16 anni dalla
prima al teatro Stabile di Catania, venerdì 21 alle 21,15 torna in scena al
teatro Al Massimo “Il birraio di Preston”, lo spettacolo tratto dal romanzo
di Andrea Camilleri e diretto da Giuseppe Dipasquale. È un omaggio allo
scrittore di Porto Empedocle, di cui Dipasquale è stato allievo all’Accademia
d’arte drammatica, nel centenario della sua nascita. «Camilleri ha sempre avuto
il teatro nel sangue e tutti i suoi romanzi sono costruiti come una
sceneggiatura, con dialoghi fitti e personaggi che si prestano perfettamente a
essere messi in scena con facilità. – racconta il regista catanese – La
complessità, invece, risiede nella trama, intricatissima: “Il birraio di Preston”
è un romanzo con un punto di vista circolare, si può leggere dall’inizio alla
fine o dalla fine all’inizio e non cambia nulla. Ed è per questo che in scena ho
scelto di sovrapporre più piani narrativi». Il sipario si
apre e si chiude con un incendio al teatro di Vigàta, un fatto che di ordinario
non ha nulla perché di mezzo ci sono lotte di mafia e rivendicazioni di
rivoluzionari mazziniani. Ma non per i siciliani. «Per noi è una roba
normalissima ed è proprio questo che ci vuole dire Camilleri: la vicenda narrata
è la metafora della Sicilia di ieri e di oggi, è un testo sempre attuale». Non a caso,
lo spettacolo resta fedele a quello portato in scena per la prima volta nel ’99
(la seconda fu vent’anni dopo, nel 2009). Cambia solo il cast, fatta eccezione
per Mimmo Mignemi nei panni di don Memè Ferraguto e di don Peppino Mazzaglia.
«Sono l’unico superstite della prima compagnia del Birraio di Preston»,
scherza l’attore. Con lui in scena, ci saranno tra gli altri anche Edoardo
Siravo, che interpreta il narratore-Camilleri, e Federica De Benedittis, che
presta il volto a Concetta e alla sorella. «I personaggi sono tantissimi –
spiega Dipasquale – Nella prima edizione, che inizialmente durava tre ore e tre
quarti, erano 120. Ora ce ne sono almeno 70 e a ciascun interprete sono affidati
più ruoli».
Per Dipasquale non sarà uno spettacolo come un altro: «Ha un significato
speciale a cent’anni dalla nascita di Camilleri e a trenta dalla pubblicazione
del romanzo per Sellerio. – racconta il regista - Andrea è sempre stato
esattamente come appariva: divertente, di una cultura spaventosa, centrato sulle
cose. Chiacchieravamo per ore, facendo voli pindarici sul teatro, sulla vita,
sull’arte e sul cibo. Per me è stato un maestro che continua, anche ora che non
c’è più, a regalarci autostrade di umanità».
Irene Carmina
“Man mano che facevamo degli strani ritrovamenti … glielo raccontavamo. E lui
era ben felice di sapere che tante cose che magari… lui pensava fossero andate
perse, noi le avessimo ritrovate”. Così la figlia Andreina ricorda in
un’intervista le giornate trascorse in garage, con il sole e con la pioggia, tra
i faldoni dell’archivio, quando il papà era ancora in vita.
La testimonianza è raccolta nel documentario “Camilleri sono” curato da
Francesco Vitale e firmato da Adriana Pannitteri per tg2 Dossier. Camilleri
viene ricordato con documenti inediti e ricordi personali, affidati anche ai
nipoti Alessandra, Arianna, Silvia e Francesco, ai suoi ex allievi
dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico. Tra questi, Sergio Rubini, uno
degli ultimi a incontrarlo prima della morte e Rocco Mortelliti, regista de “La
strategia della maschera”, in cui recitò lo stesso Camilleri.
Pubblichiamo in home page una pillola del reportage
La Repubblica (ed. di
Palermo), 12.2.2025
Il 22 febbraio esce in edicola con “Repubblica” il volume che raccoglie
reportage, interviste e testimonianze
Una e centomila: il racconto di Agrigento nel libro di Repubblica dal 22
febbraio in edicola
“La capitale del Mito” raccoglie reportage, interviste e testimonianze sulla
città dei Templi
Forse bisognerebbe avere l’animo fanciullesco di Lello Analfino quando dice che
questo 2025 da capitale della cultura può essere «il lieto fine della fiaba».
Significa che Agrigento, l’eterna bella addormentata come la chiama il
cantautore, potrebbe svegliarsi dal suo letargo, cavalcare la sfida che la vede
protagonista e farsi scoprire dal resto d’Italia. Oltre l’abusivismo edilizio
che ammorba la Valle dei templi, oltre i cartelli sgrammaticati, oltre la
pioggia nel teatro Pirandello, e oltre i ritardi e il campionario di amenità
gestionali invincibilmente provinciali. Questione di crederci. Insomma,
resistendo agli inevitabili gattopardismi sull’irrimediabilità siciliana,
proviamo a vedere se Agrigento davvero prova a vincere la scommessa su sé stessa
da capitale italiana della cultura. Del resto da quelle parti, a Favara, c’è chi
l’immobilismo e la rassegnazione li ha piegati a suon di fantasia, ostinazione e
opere d’arte. È quello che prova a raccontare il libro di “Repubblica”, La
capitale del Mito, in edicola con il giornale sabato 22 febbraio: un
racconto a più voci basato sulla città, sul territorio, sulle radici culturali,
sulle sue suggestioni, a partire da quella, fortissima, del genius loci,
Luigi Pirandello, il figlio da premio Nobel. Il libro sarà presentato il 19 ad
Agrigento e il giorno dopo a Palermo, al circolo nautico Lauria di Mondello.
L’apertura è dedicata al reportage di Gaetano Savatteri, giornalista-scrittore
che in quel territorio è cresciuto: Savatteri richiama a sé tutti i miti, i
patriarchi letterari, le memorie, il tessuto storico di quell’itinerario
personale che da Agrigento va a Porto Empedocle, passa da Racalmuto e sbarca a
Lampedusa. Savatteri parte dal suo passato remoto, da quegli interminabili
viaggi in treno che da Milano portavano la sua famiglia a Racalmuto, stazione di
passaggio prima della fermata ad Agrigento, capolinea inevitabile, come provava
a spiegargli il padre, perché oltre Agrigento c’era il mare, e oltre il mare
c’era l’Africa. Già, perché in fondo la latitudine è la stessa di Tunisi e
magari la mente di un bambino può immaginare che, facendo un po’ di silenzio, da
quell’altrove oltre il mare possa arrivare il ruggito dei leoni. Salvatore
Ferlita, invece, si è immerso nelle pagine pirandelliane per tirare fuori un
ritratto letterario in movimento della vecchia Girgenti, una e centomila,
miniera di spunti per l’immaginario del drammaturgo. Richieri, Montelusa,
Costanova e Zùnica, come Pirandello soleva ribattezzare la sua città, emerge
nelle sue novelle attraverso una precisa descrizione dei luoghi. Succede nello
“Scialle nero”, nel “Berretto a sonagli” ne “La veste lunga”, mentre nel
“Turno”, come scrisse Camilleri, «la descrizione della via percorsa per arrivare
ai Templi pare suggerita da una guida turistica». Cinque metri più in là, una
misura pari a quella di un’auto di media cilindrata, si sconfina, per modo dire,
a Porto Empedocle, luogo che si disputa i natali di Pirandello e culla di
Camilleri e del suo immaginario letterario. Lucio Luca riporta l’episodio,
questo sì, da romanzo, che vide il piccolo Andrea aprire la porta di casa a
quello che scambiò per un ammiraglio ma in realtà era Luigi Pirandello con la
divisa d’accademico d’Italia che cercava la nonna del futuro scrittore. E sempre
Camilleri fu uno dei protagonisti, prima e dopo la caduta del fascismo, della
richiesta di riportare Pirandello a casa, o meglio le sue ceneri, preludio di
quello che diventerà il più pirandelliano dei viaggi di ritorno. Ancora fantasmi
letterari, è inevitabile, con la testimonianza da Racalmuto di Salvatore Picone,
che fa rivivere l’atmosfera di un paese trascinato fuori dalla sua condanna
all’anonimato grazie al suo figlio più celebre, Leonardo Sciascia. «Di Racalmuto
amo la vita quotidiana, che ha una dimensione un po’ folle. La gente è molto
intelligente, tutti sono come personaggi in cerca d’autore». Tutto il resto è la
casa natale, l’aula scolastica degli anni da maestro elementare, il teatro e il
Circolo Unione, luogo di conversazione, di ascolto e serbatoio di personaggi. Il
territorio da capitale della cultura si inoltra poi nella scommessa vinta, che
serve come incoraggiamento al capoluogo, del Farm cultural park, ovvero la sfida
di due coniugi che ci hanno creduto raccontata da Eleonora Lombardo. L’anno da
capitale della cultura, invece, è declinato nei 44 progetti che daranno corpo al
ruolo assegnato dal ministero della Cultura, e illustrato da Marta Occhipinti. E
se Michele Placido, autore del film “Eterno visionario”, parla del suo debito
con Pirandello nell’intervista di Paola Pottino, il cantautore Lello Analfino,
nel dialogo con Irene Carmina dice che «da Agrigento non me ne sarei mai andato
e ogni volta che vengo non partirei mai», mentre quella di Gianfranco Jannuzzo,
altro figlio celebre, è una dichiarazione d’amore per la sua città, alla quale
ha dedicato le sue fotografie, la seconda passione dopo il teatro. «Se noi
giurgintani dedicassimo anche solo l’uno per cento delle energie che sprechiamo
per criticare sempre tutto e tutti per proporre una soluzione concreta ai nostri
disagi, questa sarebbe la città più bella ed efficiente del mondo». Uno slogan
perfetto per una città inciampata in una falsa partenza che di certo non
promette bene. Ma se davvero è riuscita a voltare pagina e vivere il suo
presente, Agrigento capitale dice che stasera al teatro Pirandello, ormai
rammendato, è di scena Alessio Boni con “Iliade, il gioco degli dèi”. Quegli
stessi dèi che abitano la Valle dei templi e che magari in qualche modo
metteranno lo zampino in questo lungo 2025.
Mario Di Caro
In questo libro Camilleri esprime alcune sue posizioni su temi concernenti la
politica (la fine del comunismo e delle ideologie politiche, il decadimento dei
valori), il capitalismo rampante e la sua rincorsa al denaro e al successo a
tutti i costi, l’ignoranza dilagante, la questione ambientale, le guerre (con
sempre più morti civili), l’immigrazione, la perdita dello spirito critico con
il dominio dell’emozione sulla ragione, la spettacolarizzazione della politica e
della vita intera, il fallimento dell’Europa unita priva di una politica comune
(“Il peccato originale di questa Europa è quello di essere partita da
Maastricht, cioè da una organizzazione bancario-economica. È un’Europa che prima
ha pensato al soldo e poi tenta disperatamente di trovare qualche cosa da
mettere attorno al soldo per nobilitare la faccenda”. (p. 79), l’egemonia
culturale della destra…
* Allora, il
problema di questa gente, come di Louis Ferdinand Céline, è quello che loro
umanamente sono di destra, scrivono magari articoli contro gli ebrei e a favore
del fascismo o a favore del nazismo, ma le loro opere hanno una tale forza
rivoluzionaria all’interno che diventano… di sinistra”. (p. 102) “Non so quali
possano essere i “contatti” tra lo Stato e la mafia, ma sicuramente le
implicazioni della politica con la mafia”. (p. 106) “La verità è
che c’è la volontà di tenere basso il livello della cultura degli italiani,
perché la cultura è pericolosa”. (p. 117) “Il livello
intellettuale dei nostri politici è sotto zero ma non in tutto il mondo è così”.
(p. 120) Le discipline
umanistiche, filosofia, poesia, letteratura, da sole non basteranno a fermare
l’imbarbarimento e l’ignoranza in atto.[…] Invece, oggi,
tra la prima e la seconda Repubblica è continuata la stessa classe dirigente in
Italia: cosa c’era da aspettarsi? Un rinnovamento? Ovviamente nulla, e nulla è
stato”. (p. 121)
Bisogna arrivare ad amare conclusioni: solo le dittature eliminano gli egoismi
personali. Ma il prezzo è alto e noi non ce lo auguriamo. Personalmente, non
vedo crescita nell’uomo, c’è, anzi, una perdita di tanti valori.” (p. 123)
Andrea Camilleri vede
arrivare Gorgia, un uomo dall’aria enigmatica, con lo sguardo che sembra
trapassare le cose. “Ah, ma
chiù nun ci cridu! Vui site Gorgia, lu gran sofista? Ora sì ca mi vinni ‘na
curiusità! Cu sta fami di discursu ca aviti, avemu tanti cosi di diri nuautri.” Gorgia: Con
aria solenne, quasi teatrale, ma con un sorriso ironico sulle labbra. “E vui, siti
u scritturi Camilleri veru? Ma arrivavu a vuci ca siti unu ca incanta cu li
paroli? Bonu, bravu propriu a tia vulissi parrari: scriviti veru, ma nenti è
veru, no?” Andrea
Camilleri: Senti, Gorgia, ‘scuta a mia: tu dici ca la virità nun esisti. Ma
comu? ‘Sta cosa mi pari troppu esaggerata. Gorgia: Ah,
ma picchì, mi stoni a testa: e chi è ‘sta virità ca dici? Nenti esisti! E puru
siddu esistissi, nun si putissi canusciri. E siddu puru si canuscissi, nun si
putissi parrari. Andrea
Camilleri: Ma vai dicennu, mi voi pigghiari pi’ fissa? ‘Sta cosa mi pari un
giocu di paroli. Ma a la genti, si ci levi puru la spiranza, comu finisci? Nun
vi scantati ca vi tiranu cu li petri? Gorgia: E chi
cci leva spiranza? Si leva illusioni! Spiranza e disperazioni su’ du’ facci da
stessa midaglia. A cu piaci la spiranza e a cu, forsi, la disperazioni? Andrea
Camilleri: Gorgia, Gorgia… ma unu ca nun esisti, comu fa a parrari ora? Nun
vi pariti un pocu cuntraddittoriu? Gorgia:
Cuntraddizzioni? La vita è tutta un teatru di cuntraddizzioni, amicu! A parola è
un ‘ncantesimu, e cu sapi parrari è comu lu magu. E tu, ca scrivi? Nun fai lo
stissu? I mondi ca costruisci su’ comu ‘na pinzata: su’ veri, ma sulu finu a
quannu la genti ci cridi. Andrea
Camilleri: Ah, ma ju lu sacciu ca su’ sonni. Ma dimmi ‘na cosa: siddu nenti
esisti, chi ci parri ancora? Gorgia:
Pirchì parrari è lu giuocu di l’omini! E cu sa parrari megghiu cumanna. Tu nun
ci cridi? Andrea
Camilleri: Ah, allura, lu mundu lu cumanna cu è chiù persuasu? Questa è la to
“murali”? Gorgia:
Murali? Ma quannu mai, prufissuri! La murali è n’autru specchiu p’addurmisciri
la genti comu carusi. Nun cumanna cu è ghjustu: cumanna cu sapi ‘ncantari. Andrea
Camilleri: “Ah, mancu avemu accuminzatu e già vurrissi scumbinari tuttu! Ma
prima facemu un salutamu comu si deve: vi porgo la me manu, mancu fussi un
arrinesciutu da un naufraggiu.” Si stringono
le mani. Gorgia: con
voce profonda: “Camilleri, un salutu tra ‘ncantatori vale comu ‘na cunfidenza.
Sulu cu sapi ‘ncantari può capiri cu sapi parrari.”
Andrea Camilleri: “Ma chi ‘ncantamentu e ‘ncantamentu? Quannu ‘sta
chiacchierata finisci, o siti cuntenti o mi lassi cu la testa tutta spinciata!
Ma beni accussì: accogliamo cu rispettu, cu ‘nchinu e surrisu.”
Si scambiarono un sorriso ironico e amichevole, come due vecchi teatranti pronti
a recitare la loro parte e ognuno se ne andò per la sua strada.
Massimo Stefano Russo
Cambios importantes
en las noches de La 2. Tras conseguir sus mejores datos de audiencia en un mes
de enero de los últimos 15 años, la segunda cadena de TVE reordena su parrilla
de programación para acentuar esa tendencia al alza.
Los cambios afectarán, de momento, a la oferta nocturna, y muy en particular a
dos de los programas más conocidos de La 2: Cachitos y El condensador
de fluzo abandonan el jueves y se trasladan al sábado.
Además, recupera El comisario Montalbano, una de las series más exitosas que
se han emitido en esta cadena durante los últimos años.
Detallamos a continuación cómo quedan las nuevas noches de La 2, según la
programación avanzada por la propia TVE.
[…] Martes:
Vuelve el Comisario Montalbano El martes 18,
a las 22.00 horas, vuelve a La 2 todo un clásico de la cadena, la aplaudida
serie italiana El comisario Montalbano. TVE volverá a emitir esta ficción
que relata las andanzas del peculiar inspector de policía siciliano ideado por
el escritor Andrea Camilleri. En cada episodio, Montalbano, interpretado
por Luca Zingaretti, resuelve complicados casos con su particular astucia. Cada
martes, doble capítulo, comenzando desde la primera temporada.
[…]
Ajuntament de
Barcelona, 13.2.2025
Centenario de Andrea Camilleri. BCNegra 2025
Jueves, 13 de febrero, a las 18.30 h. En la B. Canyelles - M. Àngels Rivas
A cargo de Pau Vidal, traductor, escritor y lingüista que ha traducido más de
treinta libros de Camilleri al catalán, y Raquel Gámez Serrano, escritora de
novela y ensayo.
En el marco de la BCNegra, Biblioteques
de Barcelona organiza esta conversación sobre el escritor Andrea Camilleri (1925-2019)
con motivo del centenario de su nacimiento.
Un encuentro, con Pau Vidal(traductor, escritor y lingüista que ha traducido más
de treinta libros de Camilleri al catalán) y Raquel Gámez Serrano (escritora de
novela y ensayo), para comentar el libro Km 123, que nos permitirá
conocer el universo del comisario Montalbano, su personaje más emblemático, y
descubrir las otras series del autor, analizando las tramas, el humor y el
retrato constando de la sociedad siciliana que hicieron de Camilleri un
referente indiscutible de la narrativa contemporánea y el autor más leído de
Italia.
Pau Vidal (Barcelona, 1967) es traductor, escritor y lingüista. Especialista en
la obra de Andrea Camilleri, ha traducido más de treinta libros del autor
siciliano al catalán, incluyendo las novelas del comisario Montalbano. Además,
ha publicado diversos ensayos sobre lengua, como El catanyol se cuida y En
peligro de extinción, dónde reflexiona sobre el uso del catalán y los retos
lingüísticos de hoy. También es autor de diversas novelas y ha participado en
numerosos proyectos de divulgación literaria y lingüística.
La conversación, abierta al público y sin inscripción previa, es el pistoletazo
de salida del club de lectura “Centenario de Andrea Camilleri” organizado en la B.
Canyelles – M. Àngels Rivas. Más información e inscripciones
E' "La Sicilia di Montalbano" il titolo dello speciale di "Ulisse, il piacere
della scoperta" che Rai Cultura propone lunedì 17 febbraio alle 21.30 su Rai 1.
Alberto Angela, in occasione del centenario dalla nascita di Andrea Camilleri,
dedica una puntata all'isola del commissario Montalbano. Un viaggio in un angolo
della Sicilia che, grazie alla figura creata dal grande scrittore e impersonata
da Luca Zingaretti, è diventato la meta desiderata di tanti turisti. Si andrà
alla scoperta dei luoghi in cui sono state ambientate le avventure del
commissario: Scicli, Ragusa, Modica, la Scala dei Turchi, la Fornace Penna. E
poi Marzamemi, Donnafugata, la Valle dei Templi di Agrigento, Tindari.
Ma non sarà soltanto un viaggio alla scoperta di paesaggi incantati della
Sicilia: ogni località, infatti, costituirà la tappa di un progressivo
avvicinamento a Montalbano. Nel suo cammino Alberto Angela sarà accompagnato dai
protagonisti della serie diretta per anni da Alberto Sironi. Incontrerà via via
il bizzarro personaggio di Catarella (l'attore Angelo Russo), il fedele
ispettore Fazio (Peppino Mazzotta), il "fimminaro" Mimì Augello (Cesare Bocci)
fino a imbattersi nel protagonista, Luca Zingaretti. Da tutti cercherà di farsi
raccontare i tanti piccoli e grandi episodi che hanno costellato i quindici anni
in cui si sono dipanati i 37 episodi in cui il commissario e i suoi
collaboratori sono stati coinvolti. A tutti rivolgerà l'augurio da parte del
pubblico di vederli tornare in azione.
Sarà, insomma, una festa in onore di Montalbano nella quale non potrà mancare un
omaggio al suo creatore: Andrea Camilleri. Arianna Mortelliti, nipote dello
scrittore, ricorderà il modo in cui il nonno scriveva mentre l'editore Antonio
Sellerio parlerà del suo successo in tutto il mondo.
Dire Sicilia, dire Montalbano, però, è anche parlare della cucina e della
pasticceria siciliana: e sarà questo il compito della scrittrice Simonetta
Agnello Hornby in un trionfo di cassate, cannoli e biancomangiare.
"La Sicilia di Montalbano", uno speciale "Ulisse, il piacere della scoperta" di
Alberto Angela scritto con Fabio Buttarelli e Vito Lamberti, Aldo Piro, Emilio
Quinto. A cura di Alessia Casaldi, Sara Signoretti. Produttore esecutivo
Caterina Del Papa. Capo progetto Anna Maria Tiberi. Regia di Gabriele Cipollitti.
SoloLibri, 15.2.2025
Recensioni di libri
Vi scriverò ancora di
Andrea Camilleri
Sellerio, 2024 - La raccolta delle lettere che il futuro padre di Montalbano
inviò alla famiglia da Roma, fra il 1949 e il 1960, ricca di resoconti
quotidiani, aspirazioni artistiche e intellettuali, umanissimi dubbi e
fondamentale ricerca delle cose più liete della vita.
Si tratta della vita
privata di Andrea Camilleri in questa sorta di epistolario, intitolato Vi
scriverò ancora (Sellerio, 2024), una raccolta di lettere inviate alla
famiglia a Porto Empedocle mentre si trovava a Roma nel periodo che va dal 1949
al 1960.
Generalmente gli aspetti della vita privata possono anche non intersecarsi o
interagire con l’opera letteraria, ma in questo caso alcune delle diverse
situazioni descritte sembrano trovare spunto e riflesso negli scritti.
Il libro è curato da Salvatore Silvano Nigro con la collaborazione di Andreina,
Elisabetta e Mariolina Camilleri e già dal titolo ben appropriato si riassume
tutta l’opera e si esprime la sua originalità stimolando la lettura e suscitando
l’interesse e la curiosità del lettore, adattandosi e conformandosi alla
personalità del prolifico autore. Un titolo così formulato, in quanto quello
scrivere era diretto ai genitori e ai lettori del tempo ma anche a quelli
presenti e futuri.
In una delle due introduzioni, le figlie di Camilleri, che hanno tirato fuori
dai cassetti questo patrimonio, sostengono giustamente come si tratti di una
grande testimonianza di vita. È effettivamente un enorme tassello per
ricostruire la biografia di questo grande personaggio. Nella sua introduzione
poi, Salvatore Nigro invece insiste sulle anticipazioni, cioè su quanto
contenuto in queste lettere che poi ritroveremo nelle opere del Camilleri
maturo, quello di “Montalbano” ma anche quello dei suoi romanzi storici e
civili. Si ricordano ad esempio alcune situazioni comiche e ridicole che vengono
riportate, ma vi sono anche anticipazioni da un punto di vista linguistico. E
questo sebbene lo stile delle lettere sia molto asciutto, quasi da resoconto
giornaliero, non mancando di certo il ricorso a forme dialettali.
Andrea Camilleri racconta dei libri che ha letto e dei libri che tradurrà, degli
incontri, agli esordi della sua carriera. Appare non un vero e proprio romanzo
epistolare, non essendovi uno scambio di corrispondenza e non vi è risposta alle
domande che i genitori a volte ponevano; vi sono peraltro anche dei vuoti
temporali non motivati, ma pur nondimeno è un volume che esercita una notevole
attrattiva.
I temi di cui si parla sono tanti, dagli affetti all’emigrazione intellettuale
cui Camilleri andò incontro per potere realizzare qualcosa che non poteva fare
nella sua terra natia. Si trasferisce a Roma per frequentare l’Accademia di Arte
drammatica e sono presenti e manifesti nelle lettere il sentire gli affetti
lontani, il senso della lontananza, il desiderio di volere tornare. Tra gli
argomenti poi che si ritrovano più frequentemente vi è la richiesta di denaro,
che chiede ai parenti e di cui ha sovente bisogno, poi dà notizie della sua
salute e raccomanda ai genitori di salvaguardarsi.
Si può parlare di un resoconto o di confessioni a volte manifeste, altre volte
nascoste. Parla di chi frequenta, con chi sta in compagnia ma è di interesse la
parte dove parla della regia e del suo rapporto con il Cinema, dove incontra i
personaggi più famosi dell’epoca. Vi è da una parte il suo iniziare a divenire
teatrante, sia come attore, regista e sceneggiatore, traduttore, critico
scrivendo tra l’altro su “Sipario”, e una parte molto intrigante è quella dove
racconta minuziosamente la sua prima regia teatrale. Il tentativo di fare Cinema
non ebbe risultati positivi, mentre come è noto andò meglio con la televisione.
Leggendo il libro, appare davanti al lettore un personaggio ancora dalle
aspirazioni non ben definite che si cimenta in più iniziative nel mondo dello
spettacolo. Emerge l’intelligenza dell’autore ma anche la sua innata ironia, lo
sguardo sul mondo che gli permette di osservare della vita sempre gli aspetti
più lieti. Un resoconto del quotidiano, dove racconta cosa ha fatto e a volte
racconta cosa vorrebbe fare e descrive le sue ambizioni. Si evince dalla lettura
delle lettere la sua voglia di affermarsi, farsi conoscere e far comprendere ai
genitori come quel suo trasferirsi sia stato un buon investimento.
Una minuziosa descrizione della quotidianità anche nel suo vestire, una
microbiografia in uno stile scarno dove appare il bisogno di recitare la parte
del bravo ragazzo che deve scrivere ogni settimana, che si deve preoccupare dei
suoi cari. Da un lato la storia dell’acquisizione di una competenza e dall’altro
il resoconto della vita quotidiana in un libro prezioso, che si potrebbe
trasformare anch’esso in una sceneggiatura televisiva.
Gaetano Celauro
Camilleri sono. La
Sicilia sono. Quella di Montalbano è la Sicilia che vorremmo essere, solare e
seduttrice, ghirighori di pietra e muretti a secco, cucina sontuosa e cittadine
presepe dove il tempo scorre lentamente. Quell’isola “normale” che vorremo
vivere al di là delle fiction, imperfetta ma vitale. In occasione
del centenario della nascita di Andrea Camilleri, Albero Angela, straordinario
divulgatore, prende per mano il pubblico e lo accompagna dentro il mondo del
Commissario Montalbano e del suo autore in una puntata di “Ulisse” in onda
lunedì alle 21.30 su Rai1. Per i tanti in crisi di astinenza un’occasione per
ritrovare i luoghi dove è stata ambientata la serie tv (da Scicli a Tindari),
alcuni dei suoi protagonisti storici e soprattutto Salvo Montalbano, ormai uno
di noi, il commissario solido e onesto che in una Paese dove la giustizia è
scontro politico, trova i colpevoli e protegge gli innocenti. Angela (che oggi
sarà sul palco del Festival di Sanremo) incontrerà anche Arianna Mortelliti,
nipote dello scrittore, e l’editore Sellerio che parlerà dell’impatto mondiale
dell’opera di Camilleri. Nello spot
della serata che ci fa Alberto Angela accanto a Catarella? «Incontro i
protagonisti in alcuni luoghi – anticipa Angela – Con Fazio, l’attore Peppino
Mazzotta, saremo sul set del “Cane di terracotta”, la bellissima grotta delle
Trabacche, Mimì Augello, con l’attore Cesare Bocci, nella tonnara di Marzamemi,
con Angelo Russo-Catarella nel commissariato. E’ un viaggio nelle emozioni che
dà la serie. Amo Montalbano e conosco i luoghi come tutti coloro che lo hanno
seguito in tv. Luca Zingaretti l’abbiamo incontrato nel castello di Donnafugata.
Tutti raccontano, tutti ricordano, tutti erano emozionati come un ritorno in un
luogo d’infanzia». Quale
immagine della Sicilia viene fuori? «L’intuizione
geniale della serie tv è stata quella di trasferire l’ambientazione nel Val di
Noto, luogo splendido che il mondo ci invidia. Montalbano ha rilanciato
turisticamente questa parte dell’isola. Ne è nata una meravigliosa sinergia tra
la tv e la Sicilia». Perché
avete unito “Ulisse” a Montalbano? «Hanno in
comune le atmosfere della Sicilia. Quando vediamo Montalbano sbirciamo di lato
rispetto a quello che sta accadendo, respiriamo le atmosfere, i tagli di luce,
la pietra riscaldata dal sole, il cielo azzurro, le bellissime case nobiliari
che sembrano un po’ dimenticate ma rivelano una storia antica. Non è un caso che
i greci si siano innamorati di questa terra. Abbiamo cercato di raccontare i
colori dell’Isola, dei sentimenti ma anche della storia. La serie televisiva la
raccontiamo facendo un po’ un’esplorazione: i commissariati, le auto, la casa
del commissario». Lei ha
conosciuto Camilleri? «L’ho
intervistato per una puntata di “Meraviglie” e mi ha raccontato che quando era
ragazzo, dopo lo sbarco degli Alleati, nella Valle dei Templi ha incontrato un
americano in divisa con 3-4 macchine fotografiche appese al collo. Era Robert
Capa». Questa
puntata di Ulisse fa sperare che la serie torni in tv? «E’ una
domanda che ho posto a tutti gli attori ma non c’è una risposta. Vorrei tanto
che ci fossero altri episodi. La mia sensazione è che se arrivasse una
telefonata che annuncia che si rifà la fiction, sarebbero subito a girare». La Sicilia
in tv fa sempre grandi ascolti. «In Sicilia
ci si sente a casa. Ecco perché abbiamo nostalgia di Montalbano. Adoro i momenti
in cui va a trovare qualcuno, suona alla porta e dentro c’è l’anziana nobile o
il medico legale che mangia una montagna di cannoli… Guardi questo luogo pieno
di storia di famiglia e dell’Italia, trovi una specie di accoglienza, di
nostalgia. E vorresti che non finisse mai». Dopo i
cannoli del dottore Pasquano, il compianto e bravissimo Marcello Perracchio,
nella puntata darà spazio ai dolci siciliani con la scrittrice Simonetta Agnello
Hornby. «Le
tradizioni che sono frutto di cultura millenaria si ritrovano anche nei piatti.
La Sicilia a tavola non delude mai. Abbiamo la grande fortuna di vivere in un
Paese speciale, dobbiamo tutelarlo, valorizzarlo». Un difetto
della Sicilia? «Soffre di
pregiudizi. Programmi come i miei, ma anche Montalbano, servono a far capire che
i pregiudizi vengono da chi ha paura, da chi non conosce. La Sicilia ha luci e
ombre, ma questo vale per tutta l’Italia. Nell’Isola ci sono luoghi
meravigliosi, la gente è straordinaria. E’ Italia, è Mediterraneo, è Storia:
siamo noi. Amo molto questa terra. I paesaggi diversi, il sole che non ti brucia
come altrove, ma è una carezza. Mi hanno sempre colpito i muretti a secco, sono
monumenti, saggezza popolare. E’ una terra magica».
C’è un cuore segreto dell’Isola?
«Sono venuto spesso. Ho fatto anche immersioni a Levanzo per filmare un relitto
romano e poi sull’Etna per vedere un fiume di lava. E mi si sono sciolte le
suole delle scarpe per il calore! Avete un sito pazzesco che è Piazza Armerina.
Quando sono sull’Isola faccio in modo di passarci sempre. Rivedo questo luogo
magnifico e poi vado in un agriturismo dove ho dei ricordi bellissimi. Lì, di
notte, ci sono cieli stellati che ho visto solo nei deserti. C’è un grande
silenzio, senti un cane abbaiare in lontananza, e ti senti al centro del mondo».
Ombretta Grasso
Commissariato di
Vigata. Siamo nell’ufficio di Montalbano. Dalla porta irrompe Catarella, ma alla
scrivania non c’è Luca Zingaretti. C’è Alberto Angela. Che succede? È presto
spiegato. In una sorta di originale “spin off” divulgativo, nello
speciale Ulisse dal titolo “La Sicilia di Montalbano” (in onda il 17
febbraio su Rai1) Angela ci porta alla scoperta dei luoghi della serie. E sui
diversi set interagirà con i veri protagonisti. Ma come è nata
l’idea di questo speciale? «Ci sono diversi motivi» spiega il conduttore.
«Avevamo girato spesso in Sicilia, una regione meravigliosa, carica di atmosfera
e di storia. C’è una poesia nell’aria, fatta di silenzi, di tagli di luce, di
pietra riscaldata al sole, e ti sembra ogni volta di percepirne il calore. Poi
c’è l’affetto per una serie che è entrata nel mio cuore, come in quello di tutti
gli italiani, e che da 25 anni fa parte della nostra cultura televisiva. E
infine, l’occasione più importante è che celebriamo i 100 anni dalla nascita di
Andrea Camilleri (1925-2019, ndr), il creatore di Montalbano». Abbiamo
chiesto ad Angela di portarci con lui, tappa dopo tappa, in questo viaggio tra
fiction e realtà. Ecco che cosa ci ha raccontato. Partiamo! [Cliccare
qui per la galleria fotografica] Porto Empedocle -
Da dove tutto è cominciato con Andrea Camilleri «A Porto Empedocle
il 6 settembre 1925 è nato Andrea Camilleri, il papà di Montalbano. Da questo
murale lo scrittore sembra spiare la vita nelle strade, per poi descriverla nei
romanzi. Lui si considerava un cantastorie» dice Angela. Il castello di
Donnafugata - La cassa dell'anziano boss della serie Da sinistra, il
regista Gabriele Cipollitti, Angela, Luca Zingaretti e l’autore Aldo Piro sul
set al castello di Donnafugata vicino a Ragusa, dimora dell’anziano boss della
serie Balduccio Sinagra. «Ho chiesto a Luca come avesse fatto a imparare la
cadenza siciliana per interpretare Montalbano. Il segreto è il suo amore per
questa terra» dice Angela. È proprio qui infatti che l’attore e Luisa Ranieri
hanno scelto di sposarsi. Punta Secca - La
casa di Montalbano - La mitica terrazza sul mare «La casa sorprende:
nella realtà è più grande. Per le riprese infatti è stato messo un tramezzo nel
salone per ricavare la camera da letto. Poi però quando ti affacci sulla
terrazza ritrovi esattamente la spiaggia e il mare dove Montalbano fa le sue
nuotate». La fornace Penna
- Alla "Mannara" in auto È uno dei luoghi più
riconoscibili della serie. «Sono arrivato lì guidando l’auto di Montalbano»
racconta il conduttore. «Per le riprese se ne utilizzano due all’apparenza
uguali, ma una è più scattante e viene usata dal commissario, mentre l’altra è
più lenta ed è quella guidata da Fazio». Marzamemi - Nella
tonnara Angela con Cesare
Bocci nella tonnara di Marzamemi. Bocci interpreta Mimì Augello, amico storico e
braccio destro di Montalbano, presente in tutte le puntate della serie. La Grotta delle
Trabacche - Il set di "Il cane di terracotta"
In questo sito archeologico è stato girato l'episodio "Il cane di terracotta".
Sopra, il conduttore con Peppino Mazzotta, l'ispettore Fazio. Il commissariato
di Vigata - Oggi il commissario sono io!
Alla scrivania di Montalbano: «Il commissariato, che in realtà è il palazzo del
Comune di Scicli, è proprio identico, fin nei dettagli, a quello delle puntate:
avrei potuto muovermi lì dentro a occhi chiusi» racconta Angela.
Stefania Zizzari
"Trovarsi qui è emozione incredibile".
Così Alberto Angela ospite della serata finale del festival di Sanremo 2025 per
presentare la puntata speciale di 'Ulisse' dedicata ai 100 anni della nascita
di Andrea Camilleri che andrà in onda su Rai 1 lunedì 17 febbraio. "Ci sono
gli attori principali - racconta - e quando ho chiesto loro se ci sarà mai la
possibilità di avere altre puntate, ho visto i loro occhi illuminarsi".
[…]
Girgenti, Porto Empedocle e Regalpetra formano un triangolo letterario da
guinness dei primati se pensiamo alla concentrazione di ingegni: Pirandello,
Camilleri e Sciascia, protagonisti di “la capitale del Mito”, il libro di
“Repubblica” in edicola con il giornale sabato 22 dedicato ad Agrigento ’25.
Sono stati davvero, come mette bene in evidenza Lucio Luca, i tre grandi
moschettieri al servizio della scrittura immaginativa del Novecento. Non possono
non saltare all’occhio le loro radici etniche che hanno fatto da straordinario
collante: a tenere insieme i destini e le pagine di tutti e tre, tra l’altro, è
stato il sentiero dello zolfo (come viene fuori dalle pagine di Salvatore Picone
dedicate a Sciascia), così determinante e pervasivo nella storia e
nell’antropologia di questa provincia. Sia Pirandello che Sciascia e Camilleri
si ritrovarono in qualche modo legati all’universo della miniera. Stefano, il
padre di Luigi, fu commerciante, produttore ma soprattutto proprietario di
giacimenti; Pasquale Sciascia, il padre di Leonardo, lavorò assieme al figlio
Giuseppe nell’ufficio amministrativo della miniera di Assoro (in provincia di
Enna); e anche la famiglia di Camilleri fu legata alle zolfatare, per via del
nonno paterno e di quello materno. Ma va rilevato che lo zolfo non portò fortuna
a nessuno dei tre: incendi, allagamenti, condizioni di vita di «oppressura» e «imbestiamento»
segnarono tragicamente i destini delle tre famiglie di riferimento. Eppure, se
non ci fosse stata l’avventura della zolfatara, scrisse Sciascia in “Alfabeto
pirandelliano”, non ci sarebbe stata l’avventura della scrittura. C’è un altro
aspetto che salta all’occhio, prendendo in considerazione questi tre grandi
scrittori agrigentini: il loro essere profondamente legati, in una sorta di
catena esegetico-interpretativa: i primi passi di saggista Sciascia li ha fatti
dedicandosi a Pirandello. Ma anche fuori dalle pagine direttamente vergate sullo
scrittore premio Nobel, l’autore di “Una storia semplice” non ha mai smesso di
riferirsi all’universo pirandelliano, alla sua visione e interpretazione del
mondo. Fino a sentirsi addirittura intrappolato in una sorta di «pirandellismo
di natura», ma avendo la piena consapevolezza che l’autore de “I vecchi e i
giovani” aveva dato «nome a tutto il nostro sgomento, ai nostri rapporti umani,
alla nostra pietà». Assieme a pochissimi altri, rilevò Sciascia, Pirandello col
suo cognome aveva dato forma a un aggettivo, “pirandelliano” appunto, in grado
di sintetizzare una condizione che travalica i confini geografici, che tracima
dalle pagine per intercettare qualcosa di più vasto e di più inquietante,
catalizzando una rilettura dell’uomo e del mondo che era nell’aria nel secolo
scorso. «Tutto quello che ho tentato di dire, tutto quello che ho detto è stato
sempre, per me anche un discorso su Pirandello», ha affermato a un certo momento
Sciascia, il quale era stato, a sua volta, il punto di riferimento per gli
esordi di Camilleri. A lui si rivolse il padre del commissario Montalbano quando
racimolò i documenti relativi alla “strage dimenticata” consumatasi nella Torre
di Carlo V a Porto Empedocle. E del resto a Pirandello lo stesso Camilleri pagò
una specie di inevitabile pedaggio ideologico, esistenziale e linguistico: la
pronuncia policroma e mescidata che attecchirà nelle pagine di Camilleri nasce
anche da una costola pirandelliana, cioè dalla traduzione in dialetto del
“Ciclope” di Euripide.
Salvatore Ferlita
Lo scrittore Andrea
Camilleri, i romanzi in cui ha infuso lo spirito e la cultura della sua amata
terra, la grande isola come l'abbiamo vista nella fiction più celebre degli
ultimi vent'anni e gli attori, a cominciare da Luca Zingaretti, in un continuo
andirivieni dalla realtà. Così Alberto Angela celebra La Sicilia di
Montalbano per i cento anni dalla nascita del suo autore in una puntata
speciale di Ulisse. Il piacere della scoperta stasera su Rai 1. Che
Sicilia vedremo? «La chiave
sta nelle ambientazioni scelte da Alberto Sironi, il regista scomparso nel 2019
che ha diretto 14 stagioni di Montalbano tranne l'ultima girata in suo
onore da Zingaretti. Camilleri era di Porto Empedocle (Agrigento). Sironi ha
composto una specie di mosaico di luoghi diversi con al centro la Val di Noto e
il ragusano: il castello di Donnafugata (tanto bello che Zingaretti l'ha poi
scelto per sposarsi), Tindari, Modica, Marzamemi, la "mannara" ossia la fornace
Penna. E c'è il commissariato che nella realtà si trova al pianoterra del Comune
di Scicli: il set è stato mantenuto, apri una porta e sei subito in
Montalbano. Ci sono i luoghi ma anche le atmosfere, quei particolari tagli
di luce che fanno unica la Sicilia». E la casa
di Montalbano esiste davvero? «Certo, a
Punta Secca, con la sua verandina sul mare e gli splendidi tramonti. E l'interno
a essere diverso, come si vedrà». Insomma,
come si è trovato Alberto Angela sulle orme del commissario Montalbano? «Ho cercato
un incrocio di generi tra documentario e fiction. L'impressione così è di
attraversare la storia passando senza soluzione di continuità dalle nostre
riprese alle scene della serie. E una sorta di gemellaggio, cui partecipano come
ospiti anche gli attori: oltre a Zingaretti, Cesare Bocci, Peppino Mazzotta,
Angelo Russo. Tutti commossi: a quei luoghi, che hanno frequentato per quasi
vent'anni, li lega un rapporto emotivamente molto intenso di nostalgia». Una
domanda si impone: ha capito se ci saranno nuove puntate? «Confesso di
essermela posta anch'io. Da parte degli interpreti c'è la massima disponibilità:
i loro occhi trasmettevano il desiderio di dare compimento a questo viaggio. Il
che sarebbe fattibile perché ci sono ancora due racconti di Camilleri non
adattati, anche se al momento pare che sia tutto fermo». Oltre ai
luoghi e ai personaggi, avete interpellato altre persone per completare il
mosaico siciliano? «Visto il
centenario non potevamo non intervistare la nipote Arianna Mortelliti. Bisogna
ricordare il rapporto molto intenso e stretto che ebbe con il nonno: negli
ultimi anni era la sua "scrittura". E poi ovviamente l'editore palermitano
Antonio Sellerio». Montalbano
è un goloso. E la cucina è parte integrante dei romanzi. Ne parlerete,
considerando anche la tradizione gastronomica siciliana? «Un giorno
con Zingaretti siamo andati in un ristorante. Su una parete spiccava il cartello
"Qui Montalbano ha mangiato due volte". Questo testimonia anche il contributo
turistico dato dalla fiction. Il cibo fa parte della cultura di una comunità, e
non poteva mancare. Per questo abbiamo coinvolto la scrittrice Simonetta Agnello
Hornby. Ci siamo però concentrati sui dolci: un piacere per gli occhi oltre che
per il palato. Come i famosi cannoli della pasticceria di Modica, tanto cari al
medico legale Pasquano. Li abbiamo assaggiati anche noi e sono davvero
superiori: difficile resistere a certe prelibatezze. Per non ingrassare nelle
due settimane di riprese ho dovuto fare attenzione». Lei
conosceva Camilleri? «Sì, lo
intervistai per una puntata di Meraviglie. Mi raccontò una storia che
dava la dimensione del personaggio e degli incroci straordinari di cui era stato
protagonista: da ragazzino, il giorno dello sbarco alleato, partì in bici da
casa per andare al porto a cercare notizie del padre. Sulla strada del ritorno
si fermò per vedere se i templi erano stati danneggiati. C'era solo un militare
americano carico di macchine fotografiche. Immagino il dialogo tra questo
soldato e il giovane Camilleri. Andando via, l'americano gli porse il suo
biglietto da visita: era Robert Capa». Camilleri
e suo padre Alberto Angela appartenevano a un'epoca d'oro della tv di Stato. C'è
ancora quella Rai o, come il palazzo che la ospita a Roma in viale Mazzini,
necessita di una ristrutturazione? «Ho
conosciuto l'azienda in cui lavorava papà e, sì, posso dirle che c'è ancora. La
Rai ha un incredibile Dna composto dai suoi tecnici e dalle maestranze, persone
che con grande professionalità gestiscono attività complesse come possono per
esempio le puntate dei miei programmi. La sua sede, forse, è un po' malandata,
ma c'è e tornerà a splendere». Ricorda la
prima volta in cui entrò alla Rai di viale Mazzini? «Sinceramente
no. Certamente ci sono andato dopo aver cominciato a lavorare in Rai. Però
ricordo il senso di smarrimento che mi prendeva ogni volta per via della
stravagante numerazione degli uffici. E un posto dove è difficile orientarsi e
spero che con la ristrutturazione migliorino questo problema». E la sua
prima volta in Sicilia? «A vent'anni
feci una vacanza itinerante con i miei amici e mi entrò subito nel cuore. Ci
tornai ancora trovandola sempre meravigliosamente uguale a sé stessa. Ha questa
caratteristica di non cambiare e ancora oggi è bellissima come la ricordavo». Un luogo
siciliano del cuore? «Forse Piazza
Armerina, famosa nel mondo per i mosaici di Villa Romana del Casale. In
generale, l'interno meno conosciuto dell'isola. Con quel caldo mediterraneo che
abbraccia senza schiacciare».
Dopo La Sicilia di Montalbano dove approderà Ulisse?
«Ci sono quattro puntate già pronte per andare in onda più uno speciale. E poi
ci sono 50 puntante di Passaggio a Nord Ovest. Mentre sto lavorando a
quelle nuove di Stanotte a... e alla prossima stagione di Noos.
Poi, se questo speciale andasse bene, potremmo pensare a farne un format
dedicato a romanzi e film».
Adriana Marmiroli
Ulisse: il piacere della scoperta, 17.2.2025
Alberto Angela conduce il programma di divulgazione dedicato alla storia,
all'arte e alla cultura. Un racconto storico, archeologico, divulgativo, con la
presenza di alcuni protagonisti della scena culturale o artistica italiana. La Sicilia di Montalbano
21:30
Viaggiamo sulle orme del commissario Montalbano in un angolo della Sicilia che,
grazie alla figura creata da Andrea Camilleri e impersonata da Luca Zingaretti,
è diventato la meta desiderata di tanti turisti. Andiamo alla scoperta dei
luoghi in cui sono state ambientate le avventure del commissario: Scicli,
Ragusa, Modica, la Scala dei Turchi, la Fornace Penna. Poi Marzamemi,
Donnafugata, la Valle dei Templi di Agrigento, Tindari. Sarà un viaggio alla
scoperta dei paesaggi incantati della Sicilia
Come per un Isee dei propri averi, la Rai in pochi giorni ha ostentato con
lucida fermezza la parte più opulenta della produzione: c’è stato il presente di
Sanremo e, a seguire, il passato di Montalbano con Alberto Angela — altra
ricchezza — a condurre il folto pubblico negli incanti di Sicilia, teatro della
fortunata serie con Luca Zingaretti (La Sicilia di Montalbano, lunedì su Rai 1).
L’effetto: una sorta di “balorda nostalgia”, anche se è complicato spiegarne la
ragione, se non con banalità assortite. Gioielli di famiglia, comunque, dentro
un crossover difficilmente ripetibile altrove (la Val D’Aosta di Rocco Schiavone
suonerebbe un po’ così) e con Angela portatore di massimo rispetto, pur nella
diversità di genere, anche quando Angelo Russo, ovvero il leggendario Agatino
Catarella della serie diretta in origine da Alberto Sironi, rientrava nel ruolo
e nei luoghi resi celebri in decine di episodi e repliche. La nostalgia di cui
sopra cresceva con il racconto aneddotico degli attori — da Zingaretti a Peppino
Mazzotta nel ruolo di Fazio (il Fazio che non ha abbandonato l’azienda), a
Cesare Bocci, lo sciupafemmine Mimì Augello che comunque si chiamava Domenico [Mimì
è diminutivo di Domenico, NdCFC]. Tutti a rievocare con malinconia assoluta,
pressoché commossi nell’aggirarsi in quei luoghi-non luoghi, mentre si intuiva
davanti al video la massiccia presenza di spettatori ai quali piacerebbe assai,
ma proprio tanto, una ripresa prima o poi e comunque un tornare al divano sul
quale si è stati felici. Alberto Angela si è preso ovviamente anche la sua parte
geo-storica (via via si passava dagli Opliti a Donnafugata) e alla fine se a
molti è esplosa la voglia di un viaggetto nella Sicilia più profonda è del tutto
comprensibile. Una serata di restaurazione anche questa, dopo un Sanremo che
verrà ricordato: ma alla fine suona come una sorta di buon ripristino
sentimentale, al quale in pochi riescono a sottrarsi davvero. ***
Con felice intuizione, Alberto Angela e il suo team hanno dato ampio spazio
nella rievocazione a certi duetti tra Zingaretti-Montalbano e il medico legale
Pasquano, interpretato dal compianto Marcello Perracchio. Meriterebbero un best
of a parte.
Antonio Dipollina
[…]
Camilleri e Montalbano sono garanzia di successo. “Ulisse il piacere della
scoperta”, in onda ieri su Rai 1 in prima serata, la puntata speciale sulla
Sicilia del Commissario nato dalla penna dello scrittore agrigentino, condotta
da Alberto Angela, è stata infatti seguita complessivamente da 4 milioni 160mila
spettatori, con il 23,3% di share.
[…]
«Grazie a nostro
padre per questo bellissimo regalo. Andreina, Elisabetta, Mariolina Camilleri». Si conclude
così la nota introduttiva della famiglia Camilleri a Vi scriverò ancora (Sellerio,
2024), volume che raccoglie le lettere scritte da Andrea Camilleri alla madre,
alla Carmelina Fragapane e al padre Giuseppe. Una raccolta curata dal critico e
storico della Letteratura italiana, Salvatore Silvano Nigro. Un regalo anche per
noi lettori, amanti o solo curiosi; una finestra in cui intravedere un Camilleri
inedito, giovane, determinato, alle prese con la sua formazione. «È una
trincea che Camilleri, intrepido e tenace nel cercare la propria strada, spesso
sfiduciato ma senza mai deprimersi, armato di energia e decisione, vuole
“sfondare” per riuscire a farsi conoscere come poeta, autore di racconti,
soggettista di opere cinematografiche e di melodrammi, recensore su riviste e
giornali, regista. Salvatore Silvano Nigro». Vi
scriverò ancora di Andrea Camilleri: di cosa parla il libro Nel 2018 le
figlie di Camilleri, su indicazione del padre, iniziano il recupero della
documentazione cartacea inerente alla sua attività. Lo scopo è di catalogare
tutto il materiale e creare un archivio volto alla consultazione. In mezzo agli
scatoloni accatastati nel garage di famiglia, le figlie trovano anche, oltre al
primo racconto creduto perso e la prima opera teatrale scritta, circa duecento
lettere: si tratta di tutta la corrispondenza e il carteggio tra Andrea e i suoi
genitori, nel periodo dal 1949 al 1960; un rendiconto dettagliato sugli anni di
studio e formazione presso l’Accademia d’arte drammatica guidata dal 1935 dal
critico teatrale Silvio D’Amico. Le lettere
di un Andrea Camilleri inedito «Insomma, in
una maniera o nell’altra spero di spuntarla: voi capite, questa è la mia vita:
sarà un poco dura in principio ma ho tanta fiducia di riuscire». Camilleri era
molto legato alla famiglia, e in queste lettere si racconta senza
sovrastrutture. Scritte con spontaneità, questo carteggio testimonia il
carattere vivace e speranzoso dello scrittore. La costanza e l’assiduità con cui
narra alla madre gli ultimi sviluppi sulla sua carriera, e la preoccupazione che
mostra quando non riceve risposte, sono segni che denotano il suo attaccamento
alla famiglia. Attraverso le descrizioni accurate dei lavori svolti con il
regista e professore Orazio Costa, all’Accademia, possiamo sbirciare nella
genialità di questo grande maestro che fu il primo nel 1958 a portare e a
dirigere in Italia un’opera di Samuel Beckett. Grazie alla meticolosità con la
quale scriveva di tutte le persone che incontrava tra le sale e le lezioni in
Accademia apprendiamo la fierezza del suo carattere; grandi nomi, poi tutti
riuniti in fondo al volume nell’indice: Mario Soldati, Luchino
Visconti, Vittorio Gassmann, Vittorio De Sica, sono solo alcuni di questi.
Lo stile di Andrea Camilleri in Vi scriverò ancora
Questa è un’opera epistolare che a sua volta è anche
un’involontaria biografia dello scrittore siciliano. Il tono è ogni volta
diverso: umoristico, ai limiti della comicità teatrale; teso, per le
preoccupazioni di salute ed economiche della famiglia; curioso e deciso, per il
suo apprendimento in Accademia. Qui e là, l’opera è puntellata
dall’inconfondibile dialetto di Camilleri, soprattutto quando nelle lettere si
rivolge ai genitori, e da cui emerge anche un lessico familiare intimo e
poetico. Alcune lettere sono riportate nell’opera con la grafia dello scrittore;
non solo, si possono trovare anche schizzi o bozzetti di scenografie e messe in
scena, o planimetrie degli appartamenti in cui ha vissuto. Vi scriverò ancora è
a suo modo una guida nell’universo di una delle voci più importanti della
letteratura e dell’arte drammatica in Italia.
A cura di Caterina Incerti
[…] Andrea
Camilleri
Nel 2025 si festeggiano i 100 anni dalla nascita di Andrea Camilleri, un autore
che ha colpito al cuore lettrici e lettori come nessun altro e che troverà
spazio nella programmazione del Salone del Libro.
[…]
Marche
Teatro, 20.2.2025
Debutta Il birraio di Preston a Palermo
GIUSEPPE DIPASQUALE DIRETTORE DI MARCHE TEATRO PORTA IN SCENA AL TEATRO AL
MASSIMO DI PALERMO IL RIALLESTIMENTO DEL BIRRAIO DI PRESTON DI ANDREA
CAMILLERI
Ancona, 20 febbraio 2025 Al Teatro Al Massimo
debutta lo spettacolo “Il Birraio di Preston” di Andrea Camilleri, regia di
Giuseppe Dipasquale, con Edoardo Siravo, Federica De Benedittis, Mimmo Mignemi
che sarà in scena dal 21 febbraio al 1 marzo. Lo spettacolo
sarà poi in tournée la prossima stagione. Il Teatro “Al
Massimo” di Palermo celebra il centenario della nascita del celebre scrittore
siciliano Andrea Camilleri portando in scena “Il birraio di Preston”.
Ilbirraio
di Preston tratto dal romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato da Sellerio
editore, con la riduzione teatrale di Andrea Camilleri –Giuseppe Dipasquale,
regia di Giuseppe Dipasquale, scene di Antonio Fiorentino, i costumi sono ripresi
da Stefania Cempini e Fabrizio Buttiglieri da un’idea di Gemma
Spina, le musiche sono di Luigi Ricci. In scena una compagnia eccellente di
undici attori: Edoardo Siravo, Federica De Benedittis Mimmo Mignemi e con, (in
o.a). Gabriella Casali, Pietro Casano, Luciano Fioretto, Federica Gurrieri,
Paolo La Bruna, Giorgia Migliore, Valerio Santi, Vincenzo Volo.
La produzione è di Teatro Al Massimo di Palermo, MARCHE TEATRO (diretto da
Giuseppe Dipasquale), Teatro di Roma.
Il regista Giuseppe Dipasquale dichiara – Come ormai sembra essere chiaro nello
stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per sé
stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era
una volta” dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un
bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo
essere “fanciullino” è il motore dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura
del romanzo, la scoperta dell’unica grande tragedia che incombe su Vigàta; le
altre saranno come delle ipotragedie in questa contenute e da questa
conseguenti. Ossia lo spaventoso incendio che nell’originale struttura narrativa
costituisce l’inizio e al tempo stesso la conclusione del racconto.
Dopo 16 anni dalla prima al teatro Stabile di Catania, domani sera alle 21,15
torna in scena al teatro Al Massimo di piazza Verdi “Il birraio di Preston”, lo
spettacolo tratto dal romanzo di Andrea Camilleri e diretto da Giuseppe
Dipasquale. È un omaggio allo scrittore di Porto Empedocle, di cui Dipasquale è
stato allievo all’Accademia d’arte drammatica e “socio” nell’adattamento
teatrale dei suoi romanzi, nel centenario della sua nascita. «Camilleri ha
sempre avuto il teatro nel sangue e tutti i suoi romanzi sono costruiti come una
sceneggiatura, con dialoghi fitti e personaggi che si prestano perfettamente a
essere messi in scena con facilità. – racconta il regista catanese – La
complessità, invece, risiede nella trama, intricatissima: “Il birraio di Preston”
è un romanzo con un punto di vista circolare, si può leggere dall’inizio alla
fine o dalla fine all’inizio e non cambia nulla. Ed è per questo che in scena ho
scelto di sovrapporre più piani narrativi».
Il sipario si apre e si chiude con un incendio al teatro di Vigàta, un fatto che
di ordinario non ha nulla perché di mezzo ci sono lotte di mafia e
rivendicazioni di rivoluzionari mazziniani. Ma non per i siciliani. «Per noi è
una roba normalissima ed è proprio questo che ci vuole dire Camilleri: la
vicenda narrata è la metafora della Sicilia di ieri e di oggi, è un testo sempre
attuale». Non a caso, lo spettacolo, in programma nel teatro di piazza Verdi
fino al primo marzo, resta fedele a quello portato in scena per la prima volta
nel ’99 (la seconda fu vent’anni dopo, nel 2009). Cambia solo il cast, fatta
eccezione per Mimmo Mignemi nei panni di don Memè Ferraguto e di don Peppino
Mazzaglia: «Sono l’unico superstite della prima compagnia del “Birraio di
Preston” - scherza l’attore - ma anche ora faccio parte di una squadra
fortissima». Con lui in scena, ci saranno, tra gli altri Edoardo Siravo, che
interpreta il narratore-Camilleri, e Federica De Benedittis, che presta il volto
a Concetta e alla sorella. «I personaggi sono tantissimi – spiega Dipasquale –
Nella prima edizione, che inizialmente durava tre ore e tre quarti, erano 120.
Ora ce ne sono almeno 70 e a ciascun interprete sono affidati più ruoli». Il
primo incontro del regista con Camilleri risale al 1985. Al provino per entrare
all’Accademia d’arte drammatica, Dipasquale si trovò di fronte proprio lo
scrittore agrigentino. «Quando feci l’esame d’ammissione, Camilleri mi scelse
come suo allievo e mi riservò subito le sue attenzioni: lo stuzzicò il fatto che
io fossi siciliano come lui e quelle nostre origini comuni ci legarono sin da
subito – confida il regista - Poi, furono la mia determinazione e la mia serietà
a convincerlo e, alla fine, abbiamo creato un rapporto indescrivibile». Insomma,
per Dipasquale non sarà uno spettacolo come un altro: «Ha un significato
speciale a cent’anni dalla nascita di Camilleri e a trenta dalla pubblicazione
del romanzo per Sellerio – racconta il regista - Andrea è sempre stato
esattamente come appariva: divertente, di una cultura spaventosa, centrato sulle
cose. Quando divenne famoso, mantenne tutte le sue vecchie abitudini, tranne
una: mise una segreteria telefonica per filtrare i falsi amici. Chiacchieravamo
per ore, facendo voli pindarici sul teatro, sulla vita, sull’arte e sul cibo e
ogni volta che io esigevo troppo da me stesso, lui mi invitava alla leggerezza e
mi diceva “Futtitinne, vedrai che le cose si risolveranno da sole”. Per me è
stato un maestro che continua, anche ora che non c’è più, a regalarci autostrade
di umanità».
Irene Carmina
PALERMO.
C'è il prefetto «forestiero» che
vuole imporre un'opera sconosciuta soltanto perché gli ricorda il primo incontro
con la moglie; poi il delegato che ha unaliaison segreta, e la coppia che muore
mentre è appartata di
nascosto; ci sono i cittadini di Vigata che alzano la testa quando nessuno se ne
accorge e don Memè che ride male sotto i baffi; il Birraio è il convitato di
pietra, c'è sempre ma nessuno sene occupa, a dirla con Camilleri. Che
quando scrisse questo suo romanzo - II Birraio di Prestonè del 1995, pubblicato da Sellerio, e
l'anno successivo compete senza vincere al Premio Vittorini - non era ancora nel
suo pieno fulgore mediatico di montalbaniana memoria, ma già le sue 70 mila
copie le garantiva. Tutta la verace combriccola
del Birraioarriva in scena ben tre
volte, sempre con la mano di Giuseppe Dipasquale: la prima fu addirittura nel
1999 e in scena c'erano
Giulio Brogi, Tuccio Musumeci, Mariella Lo Giudice; poi nel 2006, e ora la terza
produzione: debutta infatti domani sera alle 21.15 al Teatro Al Massimo, che lo
produce e lo ospita fino a sabato 1 marzo, un nuovo adattamento del romanzo con
Edoardo Siravo, Mimmo Mignemi e Federica Benedittis, al fianco di Gabriella
Casali, Paolo La Bruna, Valerio Santi, Luciano Fioretto, Pietro Casano, Federico
Gurrieri e Giorgia Migliore.
«Sarà il nostro omaggio ad Andrea Camilleri e aprirà le celebrazioni per il
centenario della sua nascita», dicono Aldo Morgante e Bibi Augugliaro,
che
con questa produzione vogliono inaugurare un nuovo corso del Teatro Al Massimo:
sempre commedie sì, ma impegnate, con un occhio particolare per le storie
siciliane e le compagnie legate al territorio, ma con attori di caratura
nazionale.
«Il
Birraio di Preston
è uno spettacolo che pesca in una Sicilia arcaica, ma che ha tutti gli
ingranaggi del
mondo contemporaneo - spiega il regista Giuseppe Dipasquale, che la prima volta
ha adattato il romanzo con lo stesso Camilleri - In quest'isola siamo l'esempio
di un'antropologia attorcigliata, complicata e convessa, dopo un foglio di carta
può essere letto in almeno dieci modi diversi. In altri posti bisogna trovare i
bandoli, in Siciliano,
ogni
fatto viene appesantito e ingrandito, interpretato e portato in scena in teatro
come nella vita. Il Birraio è una metafora siciliana, che va ben oltre Sciascia:
il racconto è stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio
come il
c'era una volta
dei bambini». Ed è infatti un bambino il vero narratore della storia, il
piccolo Hoffer, anche se ogni attore veste più ruoli, in tutto si tratta di una
settantina di personaggi (dei 120 originali), una cascata di piccole storie,
caratteri e affreschi di una Sicilia di provincia, surreale e blasfema, un po'
carbonara, tenuta al morso dall'Autore (Siravo). In scena, una squadra
agguerrita e molto ben strutturata, di ragazzi «belli ed educati» per dirla con
Mimmo Mignemi, felice di tornare a recitare a Palermo da dove manca da un po':
l'attore catanese interpreta Don Memè,
il piccolo soprastante che non è mai riuscito ad essere un boss ma
si comporta come tale. Le scene sono di Antonio Fiorentino, le musiche sono un
effetto di teatro nel teatro, visto che sono di quel Luigi Ricci (che è esistito
davvero). Tutto parte da un incendio che il ragazzino osserva in lontananza:
Vigata brucia, e brucia il teatro,
e questo «attacco» piacque tanto a Maurizio Costanzo che ne parlò nel
suo salotto.
Era il 1996, e da allora il Birraio è risorto tre volte.
Simonetta Trovato
In occasione dei 100 anni dalla nascita di Andrea Camilleri il regista Giuseppe
Dipasquale debutta al teatro Al Massimo di Palermo con lo spettacolo «Il Birraio
di Preston» tratto dall'omonimo romanzo che festeggia anche i 30 anni dalla sua
uscita. Il regista racconterà in studio nella rubrica di approfondimento Nomi,
cose, città in onda su Tgs del lavoro costante svolto in sinergia con Camilleri
e dei suoi ultimi progetti per omaggiarne la memoria. In studio anche l'attore
Edoardo Siravo protagonista dello spettacolo.
[…]
Wetzlar (red). Zu einer interaktiven Lesung laden die Deutsch-Italienische
Gesellschaft Mittelhessen (DIG) und die Phantastische Bibliothek Wetzlar am
Donnerstag, 6. März, um 19 Uhr in die Bibliothek (Turmstr. 20) ein. Dieses Jahr
wurde Andrea Camilleri (1925-2019) anlässlich seines 100. Geburtstags als Thema
der elften Ausgabe des deutsch-italienischen Lesemarathons ausgewählt.
Dank der von ihm erfundenen Figur des Commissario Montalbano ist er auch in
Deutschland sehr bekannt geworden. Die Textauswahl des Abends umfasst Auszüge
aus Romanen, Erzählungen, Gedichten und Theaterstücken. DIG-Vorstandsmitglied
Grazia C. Caiati wird eine Einführung auf Italienisch und Deutsch halten und die
Veranstaltung moderieren. Wer sich als aktiver Leser beteiligen möchte, kann
sich bis zum 1. März bei der DIG (kontakt@dig-mittelhessen.de, Tel.:
0173/3603916) melden, um die Textstelle (in der gewünschten Sprache) zum
Vorlesen zu erhalten.
Der Eintritt ist frei.
Teatro al Massimo,
21.2-1.3.2025
Edoardo Siravo
Federica De Benedittis
Mimmo Mignemi
Il Birraio di Preston Tratto dal romanzo
di Andrea Camilleri Riduzione
teatrale di A.
Camilleri – G. Dipasquale Regia di Giuseppe
Dipasquale Tratto dal
romanzo di Andrea Camilleri è uno spettacolo messo in scena con la regia di
Giuseppe Dipasquale, che firma insieme all’autore la riduzione teatrale.
DAL 21 FEBBRAIO AL 01 MARZO
Nell’estate del 1995 trovai,
tra vecchie carte di casa, un decreto ministeriale (che riproduco nel romanzo)
per la concessione di una linea telefonica privata. Il documento presupponeva
una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico –
amministrativi da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di
fantasia (l’ho terminata nel marzo del 1997).La concessione risale al 1892, cioè
a una quindicina di anni dopo i fatti che ho contato nel Birraio di Preston e
perciò qualcuno potrebbe domandarmi perché mi ostino a pistiare e ripistiare
sempre nello stesso mortaio, tirando in ballo, quasi in fotocopia, i soliti
prefetti, i soliti questori, ecc.. Prevedendo l’osservazione, ho messo le mani
avanti. La citazione ad apertura del libro è tratta da “I vecchi e i giovani” di
Pirandello e mi pare dica tutto. Nei limiti del possibile, essendo questa storia
esattamente datata, ho fedelmente citato ministri, alti funzionari dello stato e
rivoluzionari col loro vero nome (e anche gli avvenimenti di cui furono
protagonisti sono autentici). Tutti gli altri nomi e gli altri fatti sono invece
inventati di sana pianta. Questo era quello che
scrivevo in calce alla pubblicazione del romanzo e che mi sento di confermare
anche per questa occasione. Ora, questo romanzo, diventa teatro. Sarà il mio
destino, sarà la mia vita passata di uomo di teatro, sarà che Dipasquale
riesce sempre a convincermi, fatto sta che un altro mio romanzo si trasforma in
una pièce teatrale. Qui il lavoro, rispetto al Birraio, era
certamente più d’azzardo. Ma forse per questo più entusiasmante. Pirandello amava dire
che il lavoro dell’autore terminava quando egli riusciva a mettere la parola
“fine” alla scrittura teatrale. Bene, questo copione ha la parola fine, messa
nell’ultima pagina. Tuttavia mi sento di chiosare il buon Luigi: è proprio nella
messa in scena che inizia un nuovo viaggio del testo, sempre diverso e sempre
nuovo, sempre imprevedibile, sempre disperatamente esaltante. Per questo il
confine del teatro è come l’orizzonte dei viaggiatori nei mari d’Oceano: sempre
presente, mai raggiungibile. Andrea Camilleri
“Il birraio di Preston” tratto
dal romanzo di Andrea Camilleri è uno spettacolo messo in scena con la regia di
Giuseppe Dipasquale, che firma insieme all’autore la riduzione teatrale. Lo
spettacolo è andato in scena per la prima volta nella stagione 1998/1999 ed è
stato ripreso nelle stagioni 2008/2009 e 2009/2010 con una tournée nazionale che
ha toccato le maggiori città italiane, tra cui Milano, Roma, Torino, Genova,
Padova, Bologna, Bolzano, Verona, Palermo.
TRAMA Ci troviamo in un
piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito Vigàta,
durante la seconda metà dell’Ottocento. L’occasione è data dal fatto che è
necessario inaugurare il nuovo teatro civico “Re d’Italia”. Il prefetto di
Montelusa, paese distante qualche chilometro, ma odiato dagli abitanti di Vigàta
perché più importante e perché sede della Prefettura, si intestardisce di
inaugurare la stagione lirica del suddetto teatro con un’opera di Ricci. Nessuno
vuole la rappresentazione di quel lavoro, tra l’altro realmente scadente. Il Prefetto obbliga
addirittura a dimettersi ben due consigli di amministrazione del teatro pur di
far passare quella che lui considera una doverosa educazione dei vigatesi
all’Arte, per seguirli paternamente nei primi passi verso il Sublime. Si arriva quasi a una
guerra civile tra le due fazioni: da un lato i vigatesi che, con quel naturale e
tutto siciliano senso di insofferenza verso tutto quello che sappia di
“forestiero” (e il Prefetto Bortuzzi lo è!), decidono di boicottare l’ordine
prefettizio; e dall’altra il prefetto Bortuzzi con Don Memè Ferraguto, al secolo
Emanuele, cinquantino, sicco di giusto peso, noto uomo d’onore del luogo,
sempre alleato al potere per atavica e pura convenienza. Da ciò si diparte una
storia divertentissima e al tempo stesso tragica, che culmina nell’incendio del
teatro. Una narrazione
interessante per il suo intreccio e intricata nello sviluppo specie quando
compaiono sulla scena i dinamitardi che hanno il compito di dare al boicottaggio
di quell’inaugurazione la fisionomia di un messaggio a livello nazionale:
dovranno infatti far esplodere il teatro per convincere il governo che anche la
Sicilia è allineata, contro lo Stato, a favore dei Carbonari. La turbolenta vicenda
si incastra con quella del Delegato Puglisi e della sua amante, la cui sorella
ha trovato atroce morte proprio in seguito all’incendio del teatro, della
cantante Maddalena Paolazzi vittima una delle più clamorose “stecche” nella
storia del bel canto, del Dottor Giammacurta, dell’avvocato Fiannaca,
dell’ingegnere Hoffer e di tanti altri. La vicenda narrata è
una vicenda esemplare per raccontare oggi la Sicilia. L’eterna vacuità
dell’azione siciliana, che spesso si traduce in un esasperato dispendio di
energie per la futilità di un movente, è la metafora più evidente del testo. In
un esempio sublime e divertito di narrazione dei caratteri, la Sicilia, il suo
mondo, i suoi personaggi vengono ammantati, attraverso la lingua camilleriana,
da una luce solare, vivida di colori e ricca di sfumature. Questa Sicilia che non
dimentica i morti, non dimentica i mali letali che cercano di consumarla
inesorabilmente dal di dentro, che non dimentica il tradimento verso valori
appartenuti a se stessa quando era culla di una civiltà, questa Sicilia oggi può
senza timore ricominciare a parlare di se stessa con la necessaria ironia e
distacco, affinché l’autocompiacimento delle virtù come dei vizi e dei dolori,
non costituisca lo stagno dal quale diviene difficile uscire.
Calendario
spettacoli venerdì 21 Febbraio
2025 ore 21:15 sabato 22 Febbraio
2025 ore 17:15 domenica 23 Febbraio
2025 ore 17:15 mercoledì 26 Febbraio
2025 ore 17:15 giovedì 27 Febbraio
2025 ore 17:15 venerdì 28 Febbraio
2025 ore 21:15 sabato 01 Marzo 2025
ore 21:15
Credits Tratto dal romanzo
di Andrea Camilleri Pubblicato da
Sellerio editore Riduzione teatrale
di A. Camilleri – G. Dipasquale Regia di Giuseppe
Dipasquale Con Edoardo Siravo,
Federica De Benedittis, Mimmo Mignemi, e altri 8 attori
Produzione Teatro Al Massimo di Palermo
Sono Vigata, Montelusa e la Sicilia del commissario Montalbano le mete de
“L’atlante che non c’è”, il programma di Rai Cultura firmato da Davide Venturi e
Riccardo Marra condotto da Marco Vivio, in onda lunedì 24 febbraio alle 23.40 su
Rai 5 per “Sciarada, il circolo delle parole”. Un viaggio sulle tracce del
personaggio di uno tra gli scrittori più amati dal pubblico, Andrea Camilleri, e
dei luoghi della fantasia che rispecchiano quel micro-continente che è la
Sicilia reale. A fare da guida, sono Gaetano Savatteri, Antonio Sellerio,
Gianluca Maria Tavarelli, Stefania Auci, Mariolina Venezia, Donatella
Finocchiaro, Salvatore Silvano Nigro.
I ragazzi della V A dell’Istituto Falcone-Borsellino di Porto Empedocle, guidato
dal dirigente Claudio Argento, hanno conosciuto la figura del loro compaesano
Andrea Camilleri e le avventure del commissario Montalbano, attraverso un
progetto lettura che ha avuto come oggetto alcuno racconti brevi ambientati
nella nostra Vigata. I ragazzi, durante i pomeriggi del tempo pieno, hanno
realizzato degli opuscoli in cui sono raccolti i loro lavori, e non vedono l’ora
di fare una passeggiata in via Roma ad ammirare le testimonianze del Maestro.
Gaetano Ravanà
La Repubblica (ed. di
Palermo), 22.2.2025
La Capitale del Mito - Agrigento ’25: la scommessa della cultura
Oltre i templi, oltre l'alone di mito che va da Akragas a Pirandello, oltre gli
stereotipi e l'ineludibile falsa partenza, batte il cuore di una città che ha
scommesso forte sul presente. Agrigento capitale della cultura 2025 è una sfida
dell'intera Sicilia tutta da raccontare: attraverso le luci e le ombre della
città, attraverso le pagine del suo genius loci, il figlio più illustre
diventato premio Nobel, attraverso un territorio legato anch'esso ai grandi
scrittori, da Sciascia a Camilleri, e attraverso le testimonianze di chi
Agrigento continua ad amarla.
A Vigata sono!
Cinque
metri. La lunghezza di un'auto, nemmeno di quelle più voluminose. Un metro e
qualcosa in meno del record mondiale di salto con l'asta. Tre o quattro passi
con ampia falcata quando facciamo una passeggiata. Insomma, poco più di niente.
Eppure per Agrigento e Porto Empedocle - l'antico sbocco al mare del capoluogo -
cinque metri hanno fatto la differenza accentuando per decenni una disputa
"letteraria" che, seppur con toni assai meno accesi, continua ancora. Tutta
"colpa" dei genitori di Luigi Pirandello che decisero di far nascere loro figlio
in campagna, nella casa di contrada Càvusu, il Caos, lì in mezzo a quegli olivi
saraceni che il grande drammaturgo agrigentino, premio Nobel nel 1934, ha
raccontato in tante delle sue opere leggendarie. È proprio
questo il punto: Pirandello nacque ad Agrigento, anzi a Girgenti come si
chiamava allora, il 28 giugno del 1867. Ma, in realtà, sarebbe dovuto nascere a
Porto Empedocle, nella casa di sua madre Caterina Ricci Gramitto, famiglia
dell'alta borghesia locale, e di suo padre Stefano, ex garibaldino e
proprietario di uno dei più grossi depositi di zolfo di Molo di Girgenti. A
poche settimane dal parto, però, a causa di un'epidemia di colera che stava
colpendo la Sicilia, Stefano Pirandello decise di trasferire la famiglia nella
tenuta di campagna per evitare qualsiasi contatto con la pestilenza. Porto
Empedocle sino al 1863 si chiamava, appunto, Molo di Girgenti e solo dieci anni
prima era ancora una borgata del capoluogo. Insomma, pare che il confine tra
Girgenti e Porto Empedocle passasse proprio a cinque metri da quel casale di
contrada Càvusu e che il piccolo Luigino, di fatto, sia nato nel posto
sbagliato. O giusto, dipende dai punti di vista. Per fortuna degli empedoclini,
però, mezzo secolo più tardi o poco più nacque nel loro paese un altro grande
della letteratura, Andrea Camilleri, che in qualche modo ha colmato il
disappunto per lo "scippo" di Girgenti. Tanto che alla fine Porto Empedocle ha
dedicato una statua all'autore del
Fu Mattia Pascalmentre
Agrigento ha voluto conferire la cittadinanza onoraria al papà di Montalbano. Già,
perché nel giro di una trentina di chilometri, nel cuore della Sicilia più vera,
sono nate tre fra le voci più importanti della nostra letteratura. Pirandello,
certo, Camilleri senza dubbio. Ma poco più in là c'è anche Racalmuto, il "paese
della ragione" di Leonardo Sciascia, probabilmente il più importante scrittore
civile che abbiamo avuto in Italia. Agrigento-Porto Empedocle-Racalmuto, il
triangolo delle storie. Oppure, se piace di più, Montelusa-Vigàta-Regalpetra, i
luoghi letterari che i tre grandi autori siciliani si sono inventati per
ambientare i loro romanzi. E siccome
sempre in zona sono
venuti
al mondo altri grandi come Antonio Russello (Favara) e Rosso di San Secondo (Caltanissetta),
e alcuni luoghi di Palma di Montechiaro hanno ispirato Giuseppe Tomasi
di Lampedusa per il suo
Gattopardo,
da qualche
anno l'ex Statale 640 ha preso il nome di "Via degli scrittori" richiamando
turisti da ogni parte del mondo. Quella
lontana parentela Tra
Pirandello e Camilleri, poi, c'era anche un lontano legame di parentela: il
Nobel era cugino della nonna di "Nenè", come il maestro di Vigàta è sempre stato
chiamato in famiglia. E fu proprio Camilleri a raccontare il loro primo e unico
incontro avvenuto nel 1935, poco tempo prima della morte del grande drammaturgo,
quando il piccolo Andrea aveva soltanto dieci anni. Un approccio
scantusoche per
l'autore de
La concessione del telefonosi è
trasformato quasi in un trauma superato soltanto in età matura.
«Immaginate un pomeriggio nel profondo sud, di giugno, con un gran bel caldo -
scrisse in una delle storie dei
Racconti di Nené(Melampo
editore, ripubblicato da Zolfo) - Mia nonna paterna, che viveva con noi, era
andata a letto a farsi la pennichella, e così anche i miei genitori. Erano le
tre e mezza del pomeriggio, bussano alla porta, vado ad aprire e mi terrorizzo.
Mi trovo davanti un ammiraglio in grande uniforme. Ne avevo visti ammiragli, la
feluca, la mantellina, lo spadino e soprattutto una grande quantità di ori su
per le maniche. Mi guarda e mi dice:
"Tu
cu sì?".
"Io
sugnu Nené
Cammilleri."
"To'
nonna Carolina unn'è?".
"Dorme".
"Chiamala. Digli che c'è Luigino Pirandello". Io vado da mia nonna che dormiva,
e dico: "Nonna, di là c'è un ammiraglio che dice che si chiama Luigi Pirandello".
"Oh Madre Santa", esclama mia nonna, quasi precipitando dal letto. E
rivestendosi. Allora, vado nella stanza dei miei genitori: "Di là c'è un
ammiraglio che si chiama Luigi Pirandello". E anche loro. "Oh Madre Santa". Un
altro macello. Si spaventarono talmente che io mi terrorizzai. Mi nascosi dietro
una porta a guardare che cosa succedesse e vidi l'ammiraglio che stava
abbracciato con mia nonna, lei piangeva e lui ripeteva: "Oh Carolina, la nostra
giovinezza". Questo è statoil mio
incontro con Luigi Pirandello, che era venuto per inaugurare le scuole comunali
di Porto Empedocle e indossava la divisa d'Accademico d’Italia». Da lì in
poi il rapporto tra il giovane Camilleri e il ricordo dell'ammiraglio - in
realtà scrittore inarrivabile - diventa quasi conflittuale: «Devo confessare -
racconta ancora "Nenè" - che ne provai un tale rigetto che ho messo in scena
Pirandello solo molto tardi rispetto alla mia carriera e proprio tirato per i
denti, forse perché dovevo ancora elaborare lo spavento che mi ero preso quando
avevo dieci anni. Poi sono entrato nel suo mondo e non finisco di scoprirlo e
studiarlo ancora oggi, al punto di avere realizzato un'antologia in cui ho
raccolto le sue cose che mi hanno colpito particolarmente e che hanno influito
nella mia crescita artistica e umana». In quel
racconto, che sintetizza il suo rapporto con "nonno" Pirandello e la stessa
Girgenti, Camilleri svela anche la diatriba sulla nascita di "Luigino" e come
per gli empedoclini sia stata ritenuta quasi come un'offesa personale: «Nel mio
paese - continua - si sono rifatti qualche anno fa. In una piazza hanno messo
una statua di Pirandello, con un'improbabile scritta sotto: "A Luigi Pirandello,
la sua seconda città natale". Probabilmente non si nasce una sola volta. Ma io
sostengo che quello della statua non è Pirandello. Con la caduta del comunismo
c'è stata una grossa svendita di statue di Lenin, Stalin... Quello della statua
ha delle grosse scarpe da contadino, un abito completamente spiegazzato e punta
il dito indice in avanti. Beh, Pirandello semmai il dito lo avrebbe puntato
verso se stesso, o piuttosto verso il passato, e non certo verso il futuro,
vista la sua sfiducia nell'avvenire. E poi Pirandello era di un'eleganza e di
una raffinatezza... sulle sue scarpe Lucio D'Ambra ci ha scritto addirittura un
articolo, perché gliele invidiava. Secondo me, quello è Lenin!». Conclusione
pirandelliana di un ragionamento che da altre parti stenterebbero a capire ma
che per i siciliani è di una chiarezza disarmante. "Nipote"
di Gogol
Del resto, il legame indissolubile tra Andrea Camilleri e Agrigento rimonta sin
dall'adolescenza di "Nenè" e non certo da quel giorno di inizio febbraio del
2016 quando, finalmente, dopo oltre 30 milioni di libri venduti, fiction da
record di ascolti e titoli tradotti in tutto il mondo, qualcuno si ricordò di
lui e gli fece l'onore di conferirgli la cittadinanza: «Sono nipote di Luigi
Pirandello nell'albero genealogico letterario - disse alla folla che aveva
gremito il palazzo del Comune - ma considero mio nonno anche Nikolaj Gogol, un
russo. Chissà se lui mi accetterà come nipote». E poi giù una montagna di
ricordi: «Ad Agrigento mi sono formato, ho trovato i miei amici più cari. Ho
fatto il Liceo Classico dove ho avuto la fortuna di incrociare un paio di
professori degni di essere chiamati maestri. Il loro insegnamento me lo sono
portato dentro. Se posso prendere in prestito un'immagine, per me Agrigento è
come una nave gigantesca che con la sua prua di templi ha solcato la storia».
Formazione culturale non proprio ortodossa quella del giovane Camilleri, che noi
abbiamo conosciuto soltanto in tarda età - basti pensare che il primo romanzo di
grande successo, La forma
dell'acqua,
lo pubblica a quasi settant'anni con Sellerio - quando aveva già l'aspetto
bonario da vecchio zio che ci racconta le storie nei giorni di festa. E invece "Nenè",
da ragazzo, era tutt'altro che un tipo tranquillo. Tanto che, esasperati, i suoi
genitori un giorno decisero di chiuderlo in collegio: «Al ginnasio diventai così
delinquente che mamma e papà cominciarono a farmi credere, recitando, che io ero
un figlio cambiato, come Pirandello. E così mi mandarono al convitto vescovile
di Agrigento. Dove i pianti... Madonna mia... perché dalla finestra della mia
camera si vedevano le luci di Porto Empedocle dal mare. Lì stavano i miei amici
mentre io mi maceravo in quella cella. Quando capii che quei preti mi stavano
alterando il carattere - raccontò Camilleri in una intervista televisiva - feci
in modo di farmi cacciare. Tirai un uovo contro il crocifisso: prima dei
sacerdoti fui quasi linciato dai miei compagni per un atto di blasfemia
veramente grave. Tutt'ora, anche se non sono mai stato un buon credente, me ne
vergogno. Ma all'epoca pensai che quello fosse l'unico modo per salvarmi la
vita. Non sarei mai stato perdonato, e infatti mi buttarono fuori. E meno male
che lo fecero, perché ne sarei uscito sicuramente peggiore».
Chissà, forse anche ripensando a questo episodio, Andrea Camilleri ha voluto
dedicare a "nonno" Pirandello una delle sue opere più intime e profonde, Biografia
delfiglio
cambiato,
nata in
realtà da una lectio
tenuta nella seconda metà degli anni Novanta durante un convegno sulle parole
del teatro e poi trasformata in un romanzo che ha legato ancora di più lo
scrittore di Vigàta al capoluogo e al suo figlio più illustre:
«Ho
voluto raccontare la biografia di Pirandello da un angolo visuale molto
personale - spiegava Camilleri - incentrato soprattutto sul rapporto tra Luigi e
il padre Stefano. La loro fu davvero una convivenza drammatica: a un certo
punto Pirandello definì il padre "l'uomo di cui solo anagraficamente porto il
nome". Si era quasi convinto che, da piccolo, le "donne di fuori" lo avessero
scambiato con un altro portandolo in una famiglia non sua».
Una leggenda tutta siciliana che sopravvive ancora in alcune zone
dell'entroterra quando un bambino fa delle monellerie e viene "minacciato" da
mamme non proprio montessoriane: «Vedi che se continui così, vengono le donne di
fuori e ti portano via. E a me danno un bambino più buono». Le "donne di fuori",
streghe che a lungo hanno tormentato il piccolo Luigi, come ci ha svelato lui
stesso in un suo breve racconto. La famiglia Pirandello aveva una cameriera, di
nome Maria Stella che ogni sera deliziava - si fa per dire - i piccoli di casa
con spaventose storie popolari, come quella della "casa dei Granella abitata da
spiriti dispettosi o l'altra di tale Centuno che va di notte alla testa di una
schiera di angeli». Tra le tante leggende, Luigi era rimasto fortemente
impressionato da quelle delle fantomatiche rapitrici di bambini. Luigino, che
già si sentiva fuori posto in quella casa, ormai non aveva più dubbi: anche lui
era un figlio cambiato.
Il romanzo di Camilleri non era altro che viaggio interiore lungo la vita di
Pirandello, da sempre alla ricerca di una propria identità. Le liti con il
padre, il loro essere così completamente diversi, anche nell'aspetto fisico,
tanto da insinuare il tarlo nel giovane Luigi fino al momento in cui fuggirà, a
Roma prima e in Germania poi, salvo accettare
di essere mantenuto da Stefano ancora per molti anni.
La
"salvezza",
ma forse anche la dannazione per Pirandello, sarà la letteratura,
le opere nelle quali trasferisce le sue inquietudini facendo
indossare ai suoi personaggi le maschere che lui stesso era
costretto a portare per affrontare una vita difficile, piena di
dubbie
tragedie personali. Il fidanzamento tormentato con
una cugina,
il
matrimonio combinato con Antonietta Portolano,
figlia
di un
grosso produttore di zolfo, per legare due famiglie
di imprenditori
e
costruire un'azienda ancora più forte. La
pazzia di Antonietta,
"donna disgraziatissima che non guarirà, non può guarire"
dallaquale
Luigi avrà tre figli. Con i quali, così come
era successo con il
padre, non riuscirà ad avere un rapporto sereno: è egoista Pirandello,
invadente, possessivo.
Proprio come Stefano era con lui.
E dunque non è vero che è un figlio cambiato, lo capirà alla fine quando
riallaccerà con il padre i rapporti troncati molti anni addietro.
Una storia pirandelliana, quasi auto-pirandelliana, un omaggio che Camilleri
sentiva di dover fare al maestro che più di ogni altro ha segnato la sua
crescita umana e culturale: «Nel 1921 Pirandello viene rappresentato per la
prima volta a Roma, al Teatro Valle - raccontava anni fa "Nenè" al giornalista
Felice Cavallaro durante una intervista televisiva - Si trattava
de
I
sei personaggi in cerca d'autore.
Da quel momento il teatro mondiale non è stato più come prima. Ecco perché io,
uomo di teatro prima che di scrittura, non posso che dirmi pirandelliano. E
quella volta che un critico scrisse, per farmi un complimento, che a Pirandello
potevo dare del "tu" risposi che forse nemmeno avrei potuto dargli del voscenza.
Che in Sicilia significa Vostra Eccellenza».
Pirandelliano, girgentano, empedoclino, vigatese. Camilleri è stato questo e
tanto altro. Malgrado abbia lasciato la Sicilia a soli 24 anni per trasferirsi a
Roma e frequentare l'Accademia nazionale di arte drammatica, la sua terra è
rimasta fonte di ispirazione e argomento della sua intera produzione letteraria.
Con quella lingua tutta sua che è diventata un marchio di fabbrica malgrado
innumerevoli tentativi di imitazione, come direbbero i fan della Settimana
enigmistica.
Il viaggio delle ceneri
«Perché non posso non dirmi pirandelliano? Sono nato a Porto Empedocle, nei suoi
stessi luoghi, le nostre famiglie si incrociavano, La giara
si svolge al confine con le terre di mio nonno, l'aria che ha respirato lui è
quella che ho respirato io, il venditore di cappelli del mio paese, Cirlinciò, è
il personaggio di
una sua novella. Senza contare che fui io a riportare al Caos le ceneri del
maestro...». E sì, c'è anche quest'altra incredibile storia a
legare Andrea Camilleri a Pirandello e alla sua terra. "Nenè" ce l'ha
raccontata in uno dei suoi ultimi libri, Esercizi
di memoria,
quando
ormai, ultranovantenne senza più il dono della vista, si è voltato
indietro
e ha tirato fuori aneddoti e incontri che hanno reso unica la sua lunghissima
vita. Quando
Pirandello morì, i familiari trovarono un foglietto
sascritto
Mie ultime
volontà.
Pirandello voleva essere crematoe le sue
ceneri messe in un vaso greco di loro proprietà. Chiedeva
di
essere trasportato ad Agrigento e che le sue ceneri
fosserobuttate
nel gran mare africano, quello che stava davanti a casa
sua.
Oppure sepolte nella terra
ai piedi
del grande pino che sorgeva lì
sulla collina di contrada Cavùsu. I figli
riuscirono a farlo
cremare, pratica all'epoca non diffusa e anzi
considerata sconveniente, inserirono le ceneri nel vaso e le portarono nel
cimitero delVerano a Roma.
«Anni
dopo un gruppo di cinque universitari, tra i quali il
sottoscritto - scrive Camilleri - decisero che bisognava far
tornare queste
ceneri
ad Agrigento. Ci vestimmo in divisa fascista e chiedemmo
udienza
al federale di Agrigento. Lui ci riceve e fa "Cosa volete ragazzi?". "Camerata
federale noi vorremmo che le ceneri
di
Pirandello...". "Eh?". "Pirandello, le ceneri...". "Non pronunciate il nome di
questo sporco antifascista, il colloquio sichiude
qui, saluto al duce". "A noi". Aspettammo che
cadesse
il fascismo e nel '45 ci recammo dal prefetto democratico di Agrigento:
"Eccellenza noi vorremmo che le ceneri di Pirandello da
Roma ..." Lui ci lasciò parlare fino
alla
fine e
poi ci
disse: "Ma ragazzi, vi rendete conto che Pirandello è stato un grande fascista?
Non se ne parla nemmeno". Ci porse
la mano,
noi gliela stringemmo e ce ne andammo». Tutto e il contrario di tutto. Antifascista per i
fascisti, fascista per
gli
antifascisti. Pirandello, sempre e comunque. Anche da morto. Anche quando ormai
era solo cenere.
«Poi nel '48 si fecero le prime elezioni e venne eletto
un nostro quasi
compaesano, il professor Gaspare Ambrosini - riprende il racconto - Forse lui
può aiutarci, pensammo, e allora gli scrivemmo una lettera. Il professore si
fece letteralmente in quattro: andò al Verano,
ritrovò
l'anfora con le ceneri di Pirandello, ebbe l’autorizzazione a portarsela a casa,
fece confezionare una scatola di legno per poterci tenere dentro l'anfora e farla
viaggiare senza pericolo.
Dopodiché riuscì nell'impresa di pigliare questa cassetta e mettersi in
treno diretto a Palermo». Dopo
varie
vicissitudini - pare che dopo una "ritirata" al bagno Ambrosini trasalì non trovando più la
cassetta. Scoprì che l’avevano presa quattro buontemponi per usarla come
tavolino durante una partita a carte: tresette con il morto, è proprio il caso
di
dirlo
- dopo
varie vicissitudini, si diceva, le ceneri tornarono
finalmente in Sicilia e i cinque universitari organizzarono il funerale.
«Volevamo lare una cerimonia riservata, ma la notizia si sparse immediatamente e
nel piazzale della stazione si radunò una folla oceanica. Appena il prof.
Ambrosini scese dalla littorina, però, fui fermato dal Commissario di Pubblica
Sicurezza che mi minacciò: "Questo funerale non si può fare. Il vescovo ha
protestato con il questore". Allora io dissi: "Fermi tutti ragazzi, aspettate" e
corsi al vescovado per parlare con Sua Eccellenza. Ma quello mi gelò: "Non posso
permettere che attraverso la città passi un'anfora con le ceneri. La cremazione
è proibita". Mi sentii perduto». Ma fu
proprio in quel momento che Andrea ebbe un'idea. Pirandelliana. Forse anche di
più: "E se lo mettessimo dentro una bara?". Il vescovo ebbe un attimo di
esitazione. "Dentro una bara? Non ho nulla in contrario". Mi precipitai
nell'unica agenzia di pompe funebri che c'era e chiesi: "Me l'affittate una
bara?". "Ma le casse da morto non si affittano" mi risposero sbalorditi. Spiegai
loro a cosa serviva. "Va bene, ma pronta ne abbiamo soltanto una da bambini".
Mettemmo l'anfora dentro l'urna e il corteo funebre attraversò la città fino al
museo. L'anfora venne riposta insieme ad altre con una scritta che diceva:
"Contiene le ceneri di Pirandello".» Anni dopo
lo scultore Marino Mazzacurati prese un'enorme pietra nella zona del Caos, le
diede qualche colpo di scalpello, incise la maschera di Pirandello e nella parte
posteriore praticò un grosso buco per infilarci il cilindro di rame con i resti.
La volontà di Pirandello di riposare ai piedi del pino venne esaudita. Grazie a
un gruppo di studenti guidati da "Nenè". Potrebbe
anche finire qui, ma c'è un epilogo e Camilleri non ce lo nega: «Passa ancora
del tempo e ripulendo le varie anfore, qualcuno si accorge che dentro quella che
aveva contenuto i resti di Pirandello ci sono ancora ceneri. Decidono di
portarle nel luogo dove sono le altre. Il capo mastro leva la pietra muraria,
estrae il cilindro con le ceneri. Nel frattempo il professor Zirretta, storico,
amico di Luigi e direttore del museo, estrae dalla tasca un giornale, lo apre e
con un ramoscello fa cadere le ceneri su un foglio». Purtroppo, però, la nuova
polvere non stava dentro al cilindro, già colmo fino all'orlo, e allora Zirretta
decise di disperderle nell'acqua, così come aveva chiesto Pirandello: "Prende il
giornale, si avvia verso il ciglio della collina e dice: "Oh gran mare
africano...". Ma in quel preciso momento arriva una ventata. Il foglio di
giornale in faccia al professore, le ceneri si disperdono, lui è costretto a
sputacchiarne un po' e a spolverarsi.
E questa - conclude il papà di Montalbano - fu la conclusione dell'interramento
delle ceneri». Che al grande scrittore agrigentino, c'è da giurarci, sarebbe
piaciuta moltissimo. L'ultima
rivincita della fantasia
C'è infine l'ultimo, forse il più importante, anello di congiunzione tra
Camilleri e Agrigento. È il suo romanzo storico più ruvido e sofferto, quello
che probabilmente è costato allo scrittore di Vigàta maggiori studi e
approfondimenti prima della scrittura. «Una storia, ma anche un "cunto" -
scrisse Silvano Nigro nella seconda e terza di copertina - Un
récit-poème,
con il suo vibrato poetico». Stiamo parlando del
Re di Girgenti,
la biografia fantastica di un capopopolo, il contadino Zosimo, che nel 1718 si
autoproclamò davvero sovrano della sua città. Durò soltanto una settimana ma
prima di essere tradito da un giuda gentiluomo e finire sulla forca, Zosimo
riuscì a regalare un "sogno" di dignità ai suoi affamati e scalcagnati sudditi.
Quando sale sul patibolo, il contadino muore, sollevato da un aquilone che lui
stesso ha costruito e liberato nel venticello del mattino. Si prende la scena,
fino alla fine. Poi guarda giù verso la piazza, vede un palco e un corpo inerte,
che penzola dalla forca. Il suo corpo. Ma lui ride, perché quella è la sua
ultima rivincita della fantasia. Finisce così, ma chi può dirlo veramente? Del
resto, siamo in Sicilia, la terra in cui nulla è mai ciò che sembra. È questa è
la lezione più grande che Pirandello, Sciascia, Camilleri e tanti altri ci hanno
lasciato.
Lucio Luca
A sipario chiuso inizia la protesta, urla, dalla platea, dal loggione, entrano
da ogni porta, tutta Vigata è in subbuglio, la guerra civile è appena cominciata
e tutto per un’opera lirica programmata per l’inaugurazione del nuovo teatro “Re
d’Italia”. Due fazioni l’un contro l’altra armata a perpetuare quella
litigiosità destinata a diventare un segno distintivo della vita sociale e
culturale siciliana. Nel centenario della nascita del drammaturgo di Porto
Empedocle, e nel trentennale della pubblicazione del romanzo da parte di
Sellerio, ecco che “Il birraio di Preston” torna a teatro, in un adattamento
firmato dallo stesso Camilleri e dal regista, Giuseppe Dipasquale. Adesso lo
spettacolo è coprodotto dal Teatro Al Massimo, Teatro Marche e dallo Stabile di
Roma. E Camilleri vince ancora, ieri sera un grande successo di pubblico, teatro
sold out e applausi a non finire. Il successo ha più motivazioni: il testo
divertente, con battute fulminanti come “Ma l’incendio come scoppiò? Il soprano
stonò”. Ma ancora una regia agile e palesemente innamorata di questo testo e una
compagnia di attori bravi, duttili, inclini alla giusta comicità, pronti a far
decollare la farsa. Vigata e Montelusa si fanno la guerra, ma adesso con la
scelta della disgraziata opera di Luigi Ricci, siamo alla guerra civile. I
paesani si chiedono perché il prefetto, uno “straniero”, abbia scelto uno
spettacolo mediocre che strizza l’occhio e l’orecchio a Mozart e dove siano
finite le meravigliose opere di Verdi, che fine abbia fatto “Il Trovatore”? Il
conflitto non si placa fino all’esito drammatico dell’incendio che manda in fumo
il teatro e anche una [due, NdCFC] povera vittima. Giuseppe Dipasquale
avverte che in scena troviamo una grande metafora di come la Sicilia non abbia
mai perso né la litigiosità, né il gusto delle fazioni, né la connessione
mortifera tra potere e politica culturale. È emozionante ascoltare la voce di
Andrea Camilleri che dà l’inizio delle battute, e in effetti la prima
realizzazione dello spettacolo risale a Catania, quando Camilleri era ancora in
vita. Alla fine tutta Vigata scende in piazza, dal parroco al marchese,
all’intero circolo per dare vita all’eterno conflitto. Tantissimi sono i
personaggi e la regia non ne toglie nessuno, e il risultato è che gli attori si
caricano di più personaggi e spiccano Edoardo Siravo, veramente convincente e
bravo, Federica De Benedittis, Paolo La Bruna, Mimmo Mignemi, Valerio Santi e
Vincenzo Volo, Pietro Casano e Luciano Fioretto, Gabriella Casali, Giorgia
Migliore e Federica Gurrieri. Repliche fino al primo marzo.
Francesca Taormina
La Repubblica, 23.2.2025
Cresciuto ad Asti, amico d’infanzia di Paolo Conte, a Roma arrivò per fare la
tv. E ai tempi del monopolio fu cameraman, programmista e conduttore accanto a
Celentano e Costanzo. Ma senza afferrare il potere. “Ero solo uno sherpa” dice
adesso
La Rai è cambiata oggi è una palude come l’Italia intera
Ottantasette anni,
Bruno Gambarotta (da non confondere con Gambacorta «non sai quante delusioni mi
ha dato quello scambio di nomi») è un piemontese che ha fatto dell’umorismo la
sua veste leggera. Ha pubblicato un libro sfizioso: Fuori programma (Manni),
le memorie dei quarant’anni trascorsi in Rai. Sembrano giungere dal
“sottosuolo”. «Spero non da sottoterra», dice ironico, quasi in perfetto
equilibrio tra Dostoevskij e Macario. […] Tra gli
scrittori che hanno lavorato in Rai c’era Andrea Camilleri.
«Praticava il culto dell’amicizia ed era prodigo di attenzioni. Un affabulatore
meraviglioso. I suoi racconti orali erano ipnotici. Da ragazzo sognava di
diventare ammiraglio. Più Conrad che il commissario Montalbano».
[…]
Antonio Gnoli
In comune avevano il
nome di battesimo, un pubblico fedele che ama i loro libri e una dose di umiltà
che ha resistito allo straordinario successo di cui godono: sono Andrea Vitali e
Andrea Camilleri, due scrittori che hanno avuto modo di conoscersi e apprezzarsi
reciprocamente, per instaurare un legame di affetto e di amicizia. In
occasione del centenario della nascita di Andrea Camilleri (26 settembre 1925-17
luglio 2019) la famiglia del grande autore siciliano, grazie alla Fondazione che
porta il suo nome, ha dato vita alla prima edizione del Premio Andrea Camilleri
nuovi narratori, chiamando a raccolta, in qualità di giurati, nomi noti della
letteratura italiana, tra cui non poteva mancare quello di Andrea Vitali, medico
bellanese e prolifico autore.
«Quando la nipote di Andrea Camilleri, Arianna Mortelliti, scrittrice anch’essa,
di cui tra l’altro ho presentato anche il suo primo libro, mi ha invitato a far
parte della giuria ho accettato molto volentieri. Mi fa piacere dare il mio
piccolo contributo a rendere viva la memoria di questo grande scrittore italiano
e tenere vivo il suo nome. Io credo che lui abbia riaperto la strada alla grande
narrativa italiana dopo un periodo un po’ buio». Come lo
aveva scoperto da autore? «Era il
1995 mi pare, e alla fiera del libro di Erba mi sono imbattuto nel suo libro, La
stagione della caccia, edito da Sellerio. Non conoscevo ancora il suo nome,
ma mi fidavo del catalogo Sellerio, di cui praticamente compravo tutto a scatola
chiusa anche solo per la bellezza delle copertine. Ho scoperto quella scrittura
in dialetto così particolare e divertente e non riuscivo a smettere di
leggerlo e a ridere tanto che quella sera a letto mia moglie, che all’epoca era
incinta, sentendomi così ilare da impedirle di dormire, mi chiese cosa avesse di
tanto speciale quel libro. Beh, l’ho fatto leggere anche a lei, e a
innamorarcene siamo stati in due. Da lì ho letto tutti i suoi libri, quelli
storici, quelli di Montalbano… Praticamente ho dovuto comprare un pezzo di
libreria nuova dedicata alla sua produzione». C’è anche
chi l’ha definita il Camilleri del Nord… «Queste
etichette lasciano il tempo che trovano, mi onora che possano pensarlo ma c’è
una grande differenza tra i nostri libri. Oltretutto i miei libri neanche sono
gialli, tuttalpiù… giallognoli!». Invece
quando vi siete incontrati? «In tutto ci
siamo visti in tre occasioni: in due Andrea Camilleri ha presentato un mio libro
(uno dei quali era La signorina Tecla Manzi, a Roma, con Nico Orengo).
Lui per me era un mito, era già un pilastro, ma ho scoperto che umanamente erano
semplice e disponibile, senza spocchia. E una volta ho passato una mattinata a
casa sua, tra sigarette e caffè, a chiacchierare. O meglio, ha parlato quasi
sempre lui, ma era un piacere starlo ad ascoltare. Stava lavorando a Il
nipote del Negus, e mi mostrava il frutto di tutte le ricerche storiche, i
libri che si era fatto mandare dalla Sicilia, un vero affabulatore». Vi siete
mai scritti? «No, l’unica
lettera l’ho scritta dopo la sua morte alla figlia Andreina con l’unico scopo di
farle arrivare il mio affetto e il mio ricordo». Un’altra
cosa che vi unirà a breve è il fatto che i vostri libri sono stati trasformati
in una serie televisiva. Il Montalbano con Luca Zingaretti è già leggenda,
mentre sono state appena avviate le riprese della miniserie tratta da alcuni dei
suoi romanzi con protagonista il maresciallo Maccadò. Ma, come già accaduto per
i libri di Camilleri, ambientati a Porto Empedocle e girati invece nel ragusano,
le sue storie - rigorosamente bellanesi - saranno girate sul Lago d’Orta, che è
già stato lo scenario di altre produzioni televisive. I lettori non si
sentiranno un po’ traditi? «Noi
autori in questo non possiamo farci nulla. nel mio caso è stata la produzione a
decidere quella collocazione, per vari motivi: Bellano, come tutto il lago di
Como, è negli ultimi anni invasa letteralmente dai turisti e diventerebbe molto
complicato bloccare il lungo lago per le riprese; inoltre essendo storie
ambientare negli anni Venti, l’aspetto di Bellano è molto cambiato, mentre molti
scorci dei paesi sul Lago d’Orta sono rimasti più simili all’epoca». Lei è
stato sul set? «Non
ancora, anche perché finora hanno girato a Cernobbio. Ma conto di fare una
puntatina con l’editore sul set, forse verrà anche il sindaco di Bellano».
Un ricordo speciale?
«Un paio d’anni fa ero in via Asiago per un programma e uscendo ho incontrato
per caso la signora Rosetta, la moglie di Camilleri, loro abitano lì vicino, ed
è stata lei a riconoscermi per primo. Ci siamo salutati caramente, con
sincerità, ed è stata davvero emozionante. Questo è stata la conferma di un
affetto che ci legava, non motivato da interessi di bottega in quanto scrittori.
Gli ho voluto davvero bene».
Fulvia Degl'Innocenti
Difficile immaginare oggi un pubblico che non conosca Andrea Camilleri. A cent’anni
dalla nascita dello scrittore siciliano e a 30 anni dalla pubblicazione del
romanzo – il Teatro Al Massimo di Palermo porta in scena fino a sabato 1
marzo Il Birraio di Preston per la regia di Giuseppe Dipasquale e in
Coproduzione con Marche Teatro e Fondazione Teatro di Roma.
Sono stata alla prima e sono rimasta molto colpita dalla bravura degli attori
Edoardo Siravo, Federica De Benedittis, e Mimmo Mignemi straordinari interpreti
dei personaggi delineati dallo scrittore, comici quanto irreali, e che sembrano
caricature di una perfetta Vigata; metafora di una realtà che sembra più che mai
attuale tra abusi e lotte di potere, voglia di riscatto sociale, virtù e vizi di
un’Italia della fine dell’800.
Giulia Mormino
Nuovo debutto palermitano per il direttore di Marche Teatro Giuseppe Dipasquale.
Dopo quello assoluto de ‘Il male oscuro’, ‘preparato’ alle Muse di Ancona,
venerdì al Teatro Al Massimo è andata in scena la ‘prima’ de ‘Il Birraio di
Preston’, opera di Andrea Camilleri interpretata, tra gli altri, da Edoardo
Siravo, Federica De Benedittis e Mimmo Mignemi. Lo spettacolo diretto da
Dipasquale resterà a Palermo fino al 1 marzo, per poi andare in tournée la
prossima stagione. Così la città ha celebrato il centenario della nascita dello
scrittore siciliano. ‘Il birraio di Preston’ è tratto dal romanzo di Camilleri,
che ne firmò la riduzione teatrale con lo stesso Dipasquale. La produzione è del
Teatro Al Massimo, di Marche Teatro e del Teatro di Roma.
Il regista ha scritto che "il racconto parte da un fatto che vuole essere di per
sé stupefacente, misterioso e incantatore. Proprio come il ‘c’era una volta’ dei
bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un bimbo, per purezza
nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo essere ‘fanciullino’ è
il motore dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura del romanzo, la scoperta
dell’unica grande tragedia che incombe su Vigàta; le altre saranno come delle
ipotragedie in questa contenute e da questa conseguenti. Ossia lo spaventoso
incendio che nell’originale struttura narrativa costituisce l’inizio e al tempo
stesso la conclusione del racconto".
Raimondo Montesi
Un’anteprima lunga
un anno per traghettare Gibellina nell’anno che la incoronerà capitale dell’arte
contemporanea. Sarà un anno segnato dai nomi che hanno fatto la storia del
progetto Gibellina, da Emilio Isgrò ad Arnaldo Pomodoro, dalle trasferte
prestigiose, a Mantova e a Tunisi, e da un’edizione speciale del festival
teatrale che festeggerà la città e il centenario di Andrea Camilleri. Uno dei
protagonisti di quest’omaggio, se la trattativa approderà a un contratto,
potrebbe essere Luca Zingaretti, ovvero il commissario Montalbano in carne e
ossa, l’attore che più immediatamente rimanda al nome di Camilleri e al suo
personaggio più fortunato.
[…] Il sogno
proibito, ma neanche troppo, è quello di portare Luca Zingaretti sul Cretto, ma
l’omaggio ad Andrea Camilleri avrà anche un altro protagonista, Sergio Rubini,
che potrebbe recitare un soggetto cinematografico dello scrittore rimasto
inedito e che lo stesso attore lesse al Montevergini, per un Palermo teatro
festival, accompagnato dalla tromba di Enrico Rava.
[…]
Mario Di Caro
Le tre moschettiere, che sono poi quattro come i moschettieri, sono nate a un
colpo di frusta da via del Pratello, esattamente sopra al cinema Europa fu
Lumière di via Pietralata. È proprio lì, negli ex uffici della Cineteca dove nel
1982 iniziò a lavorare l’attuale direttore Gian Luca Farinelli, che la Palomar
del 71enne bolognese Carlo Degli Esposti ha appena trasferito il suo laboratorio
d’animazione dal Tecnopolo di Reggio Emilia. E alla Cineteca, ha detto a
margine, Degli Esposti vorrebbe che venissero affidati dalla Rai i negativi dei
37 episodi di Montalbano, la fiction di maggior successo della sua casa di
produzione, per garantirne la miglior conservazione. […]
Emilio Marrese
Palermo. Dagli arancini, che la “cammarera” Adelina “ci metteva due jornate sane
sane a pripararli” ne “Gli arancini di Montalbano”, alle sarde a beccafico, da
indigestione ne “Il ladro di merendine”, con il vino rosso che gli porta in dono
suo padre, che produce, bevuto invece senza esagerare per non perdere la
lucidità nelle indagini; dalla caponatina, che “sciavuròsa, colorita,
abbondante, riempiva un piatto funnùto” con il “solito Corvo bianco” ne “La gita
a Tindari”, alla Pasta ‘ncasciata di cui, ancora, è maestra Adelina, dalla
cassata ai cannoli, “il cui segreto sono le mandorle”, dalla granita al caffè
con panna ai mustazzoli con il Passito di Pantelleria, tutti piatti, insomma,
che “chiamavano vino”, come racconta ne “Le ali della sfinge”. Tra i più grandi
scrittori italiani del Novecento, e di tutti i tempi, amatissimo dai lettori di
ogni età, ai quali ha regalato uno dei personaggi preferiti in assoluto
dell’immaginario collettivo, come il Commissario Salvo Montalbano, Andrea
Camilleri, gastronomo di assoluto valore, come il suo protagonista più famoso,
in onore del quale nel 2025 si sono aperte le celebrazioni a 100 anni dalla
nascita, il 6 settembre 1925 a Porto Empedocle, promosse dal Fondo Andrea
Camilleri, ha raccontato al mondo il piacere della buona tavola e del vino
proprio della cultura italiana, e, in particolare di quella siciliana. E lo ha
fatto con dovizia di particolari da far venire l’acquolina in bocca, nonostante
il dialetto siciliano stretto.
“La cucina siciliana è parte fondamentale della nostra cultura, perché siamo
stati invasi da tanti popoli che ci hanno dato parte del loro amore per il loro
cibo. La cucina araba vive in Sicilia, io non me ne rendevo conto finché non
sono andata a Damasco o in Libano, e vedevo che si mangiavano gli stessi dolci.
E vedevo il grande orgoglio della donna araba e della donna siciliana di portare
a tavola un piatto che è sempre ben decorato: può essere un poco di prezzemolo,
un poco di pepe rosso, un po’ di zucchero, ma c’è sempre il culto del bello
oltre a quello del buono nella nostra cucina. E, se devo essere onesta, io non
ho mai mangiato bene come nelle nostre case in Sicilia. In Sicilia si parla
sempre del cibo, gli uomini come le donne. Se dovessi parlare della felicità del
mangiare in Sicilia penso ad una bella fetta di cassata, questo dolce nostro
siciliano, fatto con ricotta, pan di Spagna, e quella che noi chiamiamo pasta
reale, bellissimo e dolce da morire, anche ingrassante, ma meraviglioso. Per me
è andare in paradiso”, racconta la scrittrice siciliana Simonetta Agnello Hornby,
ne “La Sicilia di Montalbano”, lo speciale di “Ulisse, il piacere della
scoperta” di Alberto Angela per Rai Cultura che, nei giorni scorsi, su Rai 1 ha
dato il via alle celebrazioni di “Camilleri 100”, con Luca Zingaretti in
persona, l’amato Commissario in tv, in un omaggio della Rai per cui lo scrittore
siciliano è stato uno dei volti più amati, lavorandovi per molti anni.
Tra le iniziative in programma, non poteva mancare l’editrice Sellerio che
ripropone, in una nuova collana dedicata, una selezione dei romanzi di Camilleri:
12 libri, ognuno introdotto dalla lettura di alcuni dei più importanti scrittori
italiani e non solo, da Antonio Manzini a Chiara Valerio, da Alessandro Barbero
a Luciano Canfora, con la nuova veste grafica e le illustrazioni in copertina
realizzate dal maestro Lorenzo Mattotti. I primi titoli, già in libreria sono
“La forma dell’acqua”, “La rivoluzione della luna”, “La concessione del
telefono”, “La strage dimenticata” e “La bolla di componenda”. “C’erano un
tavolo da pranzo e quattro sedie in un angolo, un divano e due poltrone erano
invece rivolte verso la vetrata, una credenza ottocentesca piena di bicchieri,
piatti, bottiglie di vino e liquori, un televisore con videoregistratore”: era
il 1994, Montalbano faceva la sua comparsa nel primo romanzo “La forma
dell’acqua”, e il vino insieme al cibo era già protagonista nelle sue avventure
e nelle più belle pagine di Andrea Camilleri. Vino che, oggi, insieme alla buona
tavola, è l’orgoglio della Sicilia e dell’Italia.
Il 2025 segna il
centenario della nascita di Andrea Camilleri, uno degli scrittori italiani più
amati del XX e XXI secolo. Padre del celebre commissario Montalbano e autore di
una vastissima produzione letteraria, Camilleri ha saputo intrecciare
il giallo con la storia, la memoria e la denuncia sociale, creando uno stile
inconfondibile tra italiano e dialetto siciliano. Per celebrare
il centenario, ecco tre libri imperdibili per riscoprire la sua arte narrativa: 1. “La forma
dell’acqua” (1994) È il primo
romanzo della serie del commissario Montalbano e il punto di partenza per
immergersi nel mondo di Vigàta, la cittadina immaginaria in cui il poliziotto
siciliano risolve i suoi casi tra ironia, umanità e intuizioni geniali. Con
questo libro, Camilleri ha reinventato il giallo italiano, mescolando il
linguaggio burocratico con la vivacità del dialetto siciliano e dando vita a un
protagonista che è ormai leggenda. 2. “Il
birraio di Preston” (1995) Un’opera che
dimostra la capacità di Camilleri di spaziare oltre il genere poliziesco. Il
romanzo, ispirato a un episodio realmente accaduto nella Sicilia dell’Ottocento,
racconta l’imposizione da parte del governo piemontese di un’opera lirica
sconosciuta a un teatro siciliano. Tra personaggi grotteschi, intrecci politici
e una narrazione non lineare, il libro è un capolavoro di satira storica e
sociale. 3. “Il re di
Girgenti” (2001) Per chi ama
i romanzi storici, questa è una lettura imprescindibile. Camilleri si ispira a
un evento realmente accaduto nel XVII secolo, quando un contadino
siciliano, Michele Zosimo, si autoproclamò re di Agrigento. Scritto interamente
in un impasto linguistico tra italiano arcaico e siciliano, il romanzo è una
delle prove più alte dello stile dell’autore.
Un’eredità letteraria senza tempo
Andrea Camilleri ha lasciato un segno indelebile nella letteratura italiana, con
una scrittura capace di catturare la realtà attraverso il filtro della memoria,
della fantasia e dell’ironia. Nel centenario della sua nascita, riscoprire i
suoi libri significa non solo rendere omaggio a un grande scrittore, ma anche
ritrovare una Sicilia autentica e universale.
Non solo Montalbano.
E non solo romanzi. È stata immensa e poliedrica l’attività letteraria di Andrea
Camilleri, tra gli scrittori contemporanei più conosciuti e amati in Italia. Per i 100
anni dalla sua nascita, Audible ha deciso di celebrare l’amato scrittore
siciliano mettendo a disposizione nel suo catalogo 30 audiolibri in esclusiva:
dalle indagini del più celebre commissario italiano, Salvo Montalbano, ai
romanzi storici; dai suoi scritti di denuncia ai titoli meno conosciuti al
grande pubblico. I primi sei
audiolibri di Camilleri, Morte in mare aperto, La relazione, La strage
dimenticata, Gita a Tindari, Il giudice Surra, La bolla di componenda saranno
disponibili a partire dall’8 maggio. Insieme ai
nuovi titoli a firma Camilleri, Audible porterà in audio una selezione “del
meglio della narrativa gialla della storica casa editrice Sellerio con oltre 70
titoli in arrivo a catalogo da marzo”. Tra questi il
recente romanzo La fame del cigno di Luca Mercadante letto dalla voce di
Michele Albani per Audible. In un incontro speciale al Circolo dei Lettori di
Torino, in programma il 19 marzo alle 18, autore e narratore esploreranno
insieme i segreti del mestiere dello scrittore e di chi trasforma in voce le
parole. Il
nuovo progetto Audible darà voce a un’ampia selezione di romanzi crime.
Ascoltatrici e ascoltatori potranno tornare sulla scena dei delitti
rocambolescamente risolti dalla banda del BarLume, la cui serie di successo è
stata creata da Marco Malvaldi; rivivere i metodi investigativi al limite della
legalità del vicequestore Rocco Schiavone di Antonio Manzini; scoprire, o
riscoprire, le avventure della coppia ideata da Dolores Hitchens:
l’investigatrice dilettante Miss Rachel e la sua inseparabile gatta
Samantha; mettersi sulle tracce degli assassini insieme agli ispettori Morse e Spotorno di Colin
Dexter e Santo Piazzese; immergersi nel mondo crime della penna inaspettatamente
gialla di Alessandro Barbero. A seguire
l’elenco completo dei titoli Sellerio che diventeranno degli audiolibri
disponibili in esclusiva su Audible.it:
[…] -Gli
arancini di Montalbano, Andrea
Camilleri -Il birraio di Preston, Andrea Camilleri -Il campo del vasaio, Andrea Camilleri -Il cuoco dell’Alcyon, Andrea Camilleri -Il gioco degli specchi, Andrea Camilleri -Il giudice Surra, Andrea Camilleri -Il metodo Catalanotti, Andrea Camilleri -Il re di Girgenti, Andrea Camilleri -Il sorriso di Angelica, Andrea Camilleri -L’altro capo del filo, Andrea Camilleri -L’età del dubbio, Andrea Camilleri -L’odore della notte, Andrea Camilleri -La banda Sacco, Andrea Camilleri -La bolla di componenda, Andrea Camilleri -La caccia al tesoro, Andrea Camilleri
-La concessione del telefono, Andrea
Camilleri -La coscienza di Montalbano, Andrea Camilleri -La danza del gabbiano, Andrea Camilleri -La giostra degli scambi, Andrea Camilleri -La gita a Tindari, Andrea Camilleri -La guerra privata di Samuele, Andrea Camilleri -La paura di Montalbano, Andrea Camilleri -La pazienza del ragno, Andrea Camilleri -La piramide di fango, Andrea Camilleri -La pista di sabbia, Andrea Camilleri -La relazione, Andrea Camilleri -La scomparsa di Patò, Andrea Camilleri -La strage dimenticata, Andrea Camilleri -Le ali della sfinge, Andrea Camilleri -Morte in mare aperto, Andrea Camilleri -Un covo di vipere, Andrea Camilleri
-Un sabato, con gli amici, Andrea Camilleri -Una voce di notte, Andrea Camilleri -Vi scriverò ancora, Andrea Camilleri
[…]
È un legame profondo quello di Andrea Camilleri con la Toscana, terra scelta
dallo scrittore siciliano per trascorrere diversi anni della sua vita, a Bagnolo
di Santa Fiora sull’Amiata, e con Firenze, che oltre a riconoscere sin da subito
il valore della sua opera, premiandolo con il Faber nel 1947 per la sua prima
drammaturgia, Giudizio a mezzanotte — manoscritto che l’autore raccontò
di aver gettato dal finestrino del treno durante il viaggio di ritorno dal
capoluogo toscano — rappresenta anche un sogno mai realizzato: «Andare
all’università a Firenze perché mi appassionavano i suoi grandi maestri»,
confidò in un’intervista. Sabato 1 marzo alle 17, a cento anni dalla sua
nascita, Camilleri verrà ricordato nell’incontro «Camilleri fa Testo”» al
Gabinetto Vieusseux, organizzato nell’ambito del festival dell’editoria ideato
da Todo Modo e curato da Pitti Immagine.
Racconteranno il Maestro di Vigáta, insieme alla giornalista Laura Montanari, la
scrittrice Chiara Valerio e l’illustratore Lorenzo Mattotti, quest’ultimo come
disegnatore delle copertine della nuova collana edita da Sellerio in occasione
del centenario: dodici libri introdotti da autori e autrici contemporanei, come
Valerio che si è occupata della lettura di uno dei primi volumi ripubblicati,
La rivoluzione della luna. Tra gli autori che firmano le note alle altre
opere, Antonio Manzini per La forma dell’acqua, Alessandro Barbero per
La concessione del telefono e Luciano Canfora per il volume che unisce La
strage dimenticata e La bolla di componenda.
Non poteva che debuttare in Sicilia Il birraio di Preston, versione teatrale del
romanzo di Andrea Camilleri pubblicato nel 1995. La prima al Teatro Al Massimo
di Palermo, lo scorso il 21 febbraio. In realtà, più che che un debutto, un
ritorno in grande stile. Non stiamo parlando solo di una trasposizione teatrale,
ma dell’adattamento curato dall’autore stesso in collaborazione con Giuseppe
Dipasquale e rappresentato per la prima volta al Teatro Stabile di Catania nella
stagione 1998-1999. Ed è proprio Dipasquale che torna oggi con una compagnia di
fuoriclasse, a riportare in vita una gemma perduta, forse a torto messa in ombra
da una saga ben più celebre dello stesso autore. La storia è
cronologicamente lontana dai casi memorabili del commissario Montalbano, quelli
che valsero allo scrittore di Porto Empedocle buona parte della sua fortuna; ma
rimangono intatte la lingua, consueto impasto italo-siculo ormai inconfondibile,
la stessa ambientazione e la stessa rivalità campanilistica (o meglio, una
versione di essa naturalmente accentuata dal contesto storico) tra le
dirimpettaie città di Vigata e Montelusa, quest’ultima odiatissima dai vigatesi,
in quanto capoluogo amministrativo della zona ed espressione di uno Stato che
impone prima ancora di chiedere. Spiega il
regista, “Come ormai sembra essere chiaro nello stile di Camilleri, il racconto
parte da un fatto che vuole essere di per sé stupefacente, affabulatorio,
misterioso e incantatore. Proprio come il “c’era una volta” dei bambini. E di un
bambino si tratta: l’occhio innocente di un bimbo, per purezza nei confronti del
mondo, per incontaminazione, per il suo essere ‘fanciullino’ è il motore
dell’azione. Ad esso è destinata, in apertura del romanzo, la scoperta
dell’unica grande tragedia che incombe su Vigata; le altre saranno come delle
ipotragedie, in questa contenute, e da questa conseguenti. Ossia lo spaventoso
incendio che nell’originale struttura narrativa costituisce l’inizio e al tempo
stesso la conclusione del racconto.” Espedienti
metateatrali, dinamismo dell’azione, attori dalla vocazione trasformista e una
trama ramificata come l’edera sui vecchi muri: Il birraio di Preston non dà
tregua, tra piani temporali diversi e convergenti, scatole cinesi narrative che
si aprono e richiudono e cambi emotivi improvvisi, quasi surreali. La forza di
un’opera che ha l’ambizione di condensare tante sfumature umane in un piccolo
spazio, quello di una comunità dove le vite dei singoli non si annullano mai in
una sola vox populi. Ai personaggi principali come a quelli secondari viene data
pari dignità, e nessuno “si mangia la scena”. Sono tutti protagonisti, in un
modo o nell’altro. Dall’ambiguo Don Memè Ferraguto (Mimmo Mignemi) alla giovane
vedova (Federica De Benedittis) intenta a raccontare le sue avventure licenziose
a suon di metafore marinaresche. Dal testardo prefetto Bortuzzi (Paolo La Bruna)
al teutonico genio incompreso dell’ingegnere minerario (Edoardo Siravo, anche
nelle ottime vesti di narratore onniscente). Ciascuno ha
la propria ragione (e la propria verità, direbbe Pirandello). Tutti però
concordano su una cosa: i problemi sono arrivati grazie ai forestieri
-ricordiamoci che siamo nel 1874, in un’Italia appena adolescente- e dai
forestieri verranno espiati. Solo così tutto potrà tornare alla normalità, una
normalità fatta di gioie, dolori, prepotenze, bizzarrie, tresche extraconiugali
e drammi da romanzo d’appendice. Notevole la
prova degli attori, ognuno dei quali interpreta agilmente due, tre personaggi
diversi, anche in scene consecutive. Il ritmo è sostenuto e il livello
interpretativo è alto. La complessità di realizzazione di un’opera del genere è
evidente anche ad un occhio inesperto. Sorprende, nel corso del lungo applauso
finale, scoprire che i componenti del cast non sono quaranta ma una dozzina
scarsa. In scena sembrava ci fosse un’intera cittadina. Non è perciò un dramma
se qualcuno di loro non sia stato perfettamente preciso nell’usare una cadenza
regionale non propria: in questo coloratissimo mosaico umano c’è spazio per
tanti personaggi-tipo, provenienti da diversi angoli d’Italia e non solo. Il
birraio di Preston è tutto ciò: commedia dell’arte, arguta farsa metateatrale,
dramma neoverista, brillante racconto di costume, parodia sarcastica. In poche
parole, è Andrea Camilleri al 100%.
Il Birraio di Preston – Regia di Giuseppe Dipasquale – Tratto dal romanzo di
Andrea Camilleri – Riduzione teatrale di A. Camilleri – G. Dipasquale – Con
Edoardo Siravo, Federica De Benedittis e Mimmo Megnemi Teatro Al Massimo di
Palermo dal 21 febbraio al 1 marzo 2025
Tancredi Randisi
A due settimane
dalla messa in onda di “Ulisse, La Sicilia di Montalbano”, mi preme scrivere
alcune considerazioni. La trasmissione, curata da Alberto Angela e Aldo Piro con
la regia di Gabriele Cipollitti, ha colpito profondamente gli empedoclini che
ancora oggi, incontrandomi per strada, fanno un gran parlare del racconto e
delle meraviglie di una Sicilia a tratti mai vista. L’obiettivo dello speciale
Ulisse infatti era quello di raccontare la complessità, la ricchezza e la
bellezza dei luoghi della fiction di cui, attraverso lo schermo, ne percepiamo
solo una piccola parte. Per far ciò,
in occasione del Centenario di Andrea Camilleri e per omaggiare il Maestro, la
troupe è venuta a Porto Empedocle, nel luogo camilleriano per eccellenza, lì
dove ha avuto inizio tutto e non posso che essere d’accordo con chi ha
apprezzato la trasmissione, in particolar modo, i primi due minuti con il
racconto del nostro porto mentre Angela passeggiava per le vie del paese fino al
murales dello scrittore e con le successive immagini dall’alto della Scala dei
Turchi di Realmonte, sono stati da brividi! Pura poesia cinematografica. PORTO
EMPEDOCLE INSIEME ALLE PIU’ BELLE DELLA SICILIA Così, la
città di Porto Empedocle, con quanto di meglio poteva mostrare, è stata
raccontata insieme alla Scala dei Turchi, alla Valle dei Templi, Palermo, Scicli,
Ragusa, Modica, Marzamemi, Donnafugata, Tindari e la Fornace Penna. Cioè a dire,
è stata raccontata insieme a un sistema naturalistico, storico, paesaggistico e
architettonico di grandiosa importanza e bellezza. Una vera e propria apoteosi
di gran parte della Sicilia per cui nessun altro luogo della fiction poteva
prender posto e, tutto ciò, grazie alle pagine del Maestro Camilleri. A ciò si
aggiunga che la trasmissione è stata vista da 4.160.000 spettatori con il 23.3%
di share e che dire del passaggio alla serata finale di Sanremo, vista da
13.427.000 spettatori con il 73,1% di share, in cui Alberto Angela ha
chiaramente detto: “Abbiamo cominciato da Porto Empedocle…”. Un risultato
eccellente per il nostro paese che ha avuto un ritorno d’immagine senza
precedenti. Del resto
l’interesse per il nostro paese sta crescendo, basti ricordare il servizio
andato in onda a gennaio su Rai2, “Camilleri sono” di Adriana Pannitteri, un
racconto appassionato della vita più intima dello scrittore in cui molto spazio
è stato dato a Porto Empedocle e agli empedoclini oppure “Viaggio in Sicilia” di
Simonetta Agnello Hornby del 2023 e ancora nel novembre 2022, il documentario
della TV franco-tedesca: “Invitation au voyage – La Sicile d’Andrea Camilleri”.
Si aggiungano infine i tanti servizi dei tg nazionali venuti a Porto Empedocle
proprio per parlare di quanto qui è stato fatto o meglio si potrebbe ancor fare.
Da due anni, poco più, il nostro paese viene promosso anche in campo
internazionale, un’occasione che dovremmo cogliere invece di continuare a
polemizzare sulla sterile dicotomia tra “la Vigata letteraria e la Vigata della
fiction”. A mio avviso sono due facce della stessa medaglia che potrebbero
essere raccontate insieme a partire dall’assist che ci ha fornito Alberto
Angela. Prima però bisogna sottolineare alcuni aspetti che la trasmissione
andata in onda il 17 febbraio ci pone. ABBIAMO
VOLTATO LE SPALLE AL TITOLO DI “VIGATA LETTERARIA” Punto primo:
Ad aver scelto la location delle riprese è stato Carlo Degli Esposti che
sostanzialmente l’ha imposta ad Andrea Camilleri, inizialmente reticente. Poi
dinanzi ai fatti si è dovuto ricredere. Fossi stato io, avrei scelto Ragusa
mille volte pur amando il mio paese. La scenografia e la fotografia che offre il
Ragusano è assolutamente unica e irripetibile oltre che indispensabile per la
riuscita della fiction. Degna di rilanciare un’immagine rinnovata e positiva
della Sicilia, a quei tempi ricordata più per le stragi di mafia che per altro.
Ecco perché ogni polemica in tal senso, a oltre 25 anni di distanza dalla messa
in onda della prima puntata mi sembra anacronistica e inopportuna. Punto due: La
Val di Noto nel 1693 fu colpita da un terribile terremoto che distrusse gran
parte delle città con ingenti vittime. Dalle macerie gli abitanti della Sicilia
orientale si rialzarono e costruirono delle nuove città dando vita alla
meraviglia del Barocco Siciliano. Dalla tragedia alla grandezza di una
popolazione che ha saputo ricominciare da capo. Noi, a Porto Empedocle, dopo
l’alluvione del ’71, cosa abbiamo fatto? Abbiamo costruito un grandissimo
parcheggio multi piano mai completato. È questa la differenza tra noi e loro.
Abbiamo lasciato che i luoghi descritti nelle pagine cadessero nel
dimenticatoio. La Mannara (ex Montedison) è stata demolita, il palazzo Montagna
è un rudere, la Casina di Campagna (casa di campagna dei nonni di Camilleri)
demolita, il teatro Empedocle chiuso e posso continuare a lungo. Non vorrei
essere frainteso, non sto criticando questa o quella amministrazione, ma di
sicuro sto criticando la nostra comunità della quale orgogliosamente ne faccio
parte. Il problema non è politico ma culturale. Insomma abbiamo cancellato gran
parte dei luoghi e dei monumenti della nostra memoria e siamo stati noi a
voltare le spalle al titolo di “Vigata Letteraria” che invece ci spetta di
diritto.
RIPRENDIAMOCI CIO’ CHE CI SPETTA DI DIRITTO
Detto ciò si sta aprendo una finestra irripetibile da cogliere. Alcuni b&b
empedoclini registrano un 15% in più di presenze turistiche in questo periodo e
siamo soltanto all’inizio. La strada è quella giusta! Da percorrere senza grilli
per la testa ma con l’energia e l’entusiasmo dei giovani, con la capacità
contadina di saper aspettare e la costanza dell’operaio. Il Centenario potrebbe
permettere la realizzazione di altri eventi promozionalmente e culturalmente
importanti ma bisogna cominciare a programmare e realizzare alcuni interventi
strutturali. Ad esempio: Recupero di strade e marciapiedi, pulizia e decoro,
rifacimento di qualche intonaco, incentivare il recupero delle facciate dei
palazzi, incentivare l’offerta e la qualità dei nostri servizi commerciali e
comunali. Questi alcuni dei piccoli interventi da realizzare a breve investendo
anche sulla comunicazione e la promozione dei nostri luoghi. Ma poi ci sarebbero
quelli di maggiore entità come il recupero e il riuso dei maggiori edifici
storici, il recupero del Centro Storico, delle spiagge e il porto.
Il Comune di Porto Empedocle insieme alle associazioni locali sta cercando di
mettere su un calendario di attività da legare ai festeggiamenti previsti dal
Comitato Nazionale per il Centenario di Andrea Camilleri che verrà presentato
alla stampa il 3 marzo negli studi Rai di via Asiago a Roma e, credo, sia anche
auspicabile cercare collaborazioni con i paesi limitrofi come Agrigento e
Realmonte ma soprattutto servirebbe un investimento deciso della Regione sul
Centenario a Porto Empedocle e sulla figura del Maestro Camilleri, a partire dal
ricordo che ne ha fatto il Presidente della Repubblica in occasione
dell’inaugurazione di Agrigento Capitale della Cultura. Mettiamoci a lavoro e
Buon Centenario a tutti!
Danilo Verruso
La Repubblica (ed. di
Firenze),
27.2.2025
Al Vieusseux i classici italiani e la poesia. A Palazzo Capponi il restauro
della carta
Il fuori salone invade la città
Quest’anno Testo esce dalla Leopolda e conquista la città. Al Gabinetto
Vieusseux andrà in scena un palinsesto di incontri sui classici italiani e sulla
poesia. Tra gli eventi in programma c’è una retrospettiva sull’opera di Andrea
Camilleri. […]
[…]
La forma dell’acqua
Andrea Camilleri
Romanzo
Con una nota di Antonio Manzini
Illustrazione di copertina di Lorenzo Mattotti
Sellerio Palermo
2025 (1° ed. 1994)
Vigàta (Montelusa). I decenni di cambio millennio. Nel centenario della nascita,
la casa editrice Sellerio ha deciso di ripubblicare una scelta di 12 titoli
dell’immenso Andrea Calogero Camilleri (Porto Empedocle, Agrigento, 6 settembre
1925 – Roma, 17 luglio 2019). “La forma dell’acqua” fu edito nel 1994, primo
della serie di Montalbano, seguito da altri 27 romanzi e 6 raccolte di racconti.
Siamo alla novantesima ristampa, è stato tradotto in più di trenta paesi. Il
catanese Salvo Montalbano (come “lo scrittore di Barcellona”, italianizzato) è
un esperto commissario di polizia, nato anche lui il 6 settembre, coi baffi e i
capelli spettinati.
Lo chiamano mentre sta per fare di nuovo l’amore (in sogno) con Livia: in mezzo
alla monnezza dei netturbini hanno trovato morto l’ingegnere Luparello. L’allora
teatrante 30nne Manzini racconta con affetto di aver ricevuto il dattiloscritto
a casa dell’allora 70enne scrittore e di averlo dovuto leggere subito: una
prova, una sfida.
Imperdibile.
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