L'associazione culturale
"Monade"
presenta
Edipo
Tragedia di Andrea Camilleri
Lunedì 14 dicembre 2009 ore 21.00
Teatro San Genesio
Via Podgora, 1 - Roma
Spettacolo solo a inviti
Personaggi e interpreti:
Coro: Alessandra Mortelliti, Ottavia Bianchi, Marco Grossi, Stefano Vona Bianchini
Corifeo: Marco Paparella
Uomo con barba bianca / Messaggero / la Pizia / l'Imperatore: Alessandro Scaretti
Pritolaso / Giornalista TV1 / Ermes / Tiresia: Emanuele Capecelatro
Cassandra / Giornalista TV2 / Donna anziana: Patrizia Ciabatta
Elementi di scena: Mariolina Camilleri
Disegno luci e fonica:
Luigi Orfeo
Mise en espace:
Ottavia Bianchi,
Patrizia Ciabatta, Alessandra Mortelliti
La tragedia è una riscrittura attualizzante, in chiave parodistica, dell'Edipo Re di Sofocle.
Un paese è sommerso da un'inspiegabile calamità. L'immondizia che sembra autogenerarsi in continuazione sta soffocando materialmente le case e la vita dei cittadini.
Nel tentativo di arrestare il fenomeno e spiegarsene anche le ragioni i maggiorenti del paese interpellano l'indovino Tiresia che non solo si rifiuta di rispondere ma avverte che queste indagini possono avere esiti drammatici e pericolosi per i cittadini stessi.
Mentre Cassandra profetizza le solite sciagure, i cittadini si rivolgono alla Pizia per avere la spiegazione dell'enigma. La Pizia parla però un linguaggio incomprensibile che Tiresia traduce. Per la Pizia si tratta di qualcosa di analogo a quello che accadde a Tebe quando Edipo ne divenne re. Come racconta la tragedia, Edipo indaga sull'origine del male oscuro dei suoi cittadini e scopre di essere lui stesso il male e perciò si acceca.
In questa tragedia invece, l'Imperatore viene scoperto come produttore unico dell'immondizia autogenerante e quindi viene tradotto in giudizio. Giudizio impedito dall'impossibilità del formarsi di una giuria, in quanto tutti i membri sono direttamente o indirettamente coinvolti nelle attività dell'Imperatore.
A questo punto la posizione di stallo viene risolta dal solito "Deus ex machina".
Tutti i riferimenti a personaggi attualmente esistenti non sono casuali.
C'è un paese che da un giorno all'altro è invaso dall'immondizia, e più se ne leva, più ne cresce. Immondizia che spunta e si moltiplica nel talamo degli sposi, che prende il posto dei cibi in cucina e dei libri nelle biblioteche. Corrono voci di sinistri prodigi: vitelli nati con quattro teste, neonati con otto gambe. Strade che franano per il crollo delle montagne di rifiuti, aria mefitica, frotte di ratti grandi come gatti che si aggirano famelici... «Maria Maria Maria! O murire 'ntussicati o mangiati vivi dai surci!».
Una favola nera siciliana, con tanti agganci nella realtà italiana. Ma non solo per via dell'immondizia. L'altra sera a Roma. Nel teatrino di San Genesio, all'angolo con viale Mazzini, gli invitati arrivano alla chetichella, con fare carbonaro. Meglio non dare nell'occhio, di questi tempi, non aggiungere strepito allo strepito. Una questione di stile (per chi ancora ci tiene). E per la sua serata, Andrea Camilleri ha scelto l'understatement assoluto. Ha scritto una tragedia, Edipo un adattamento attualizzante, in chiave parodistica, dell'Edipo re di Sofocle. Ha affittato una piccola sala, ha invitato un centinaio di amici. È il dono di Natale dello scrittore bestseller. Un divertissement, nulla di più, una mise en espace che si vedrà questa volta e poi mai più. Forse non si potrà neppure leggere (anche se Antonio Sellerio, il suo editore piombato in sala, è di diverso avviso).
Sorrisi amabili, risate complici, l'autore in prima fila, che sogghigna sornione. Avvistati Antonio Di Pietro, Furio Colombo, Sandro Baricco, Nino Frassica. Quella che va in scena è una tragedia con i toni della. farsa, specchio (neppure troppo) deformante della realtà che :rappresenta. O magari è un dramma satiresco, come quelli che nella Atene classica completavano,alleggerendolo, il ciclo della tetralogia.
E infatti il satiro c'è: il granni 'mperaturi del paisi, che invita le picciotte a palazzo e «fino a trenta a notte le regge».E ci sono i satirelli che gli fanno ala, il capo dei munnizzari Pritolaso che nega l'emergenza, un direttore di tg che sbuca dallo schermo a sostenere che, secondo un sondaggio, da quando c'è l'immondizia le malattie sono calate del 50%. Ma è proprio l'imperatore, si viene infine a sapere, la causa della munnizza che si autoriproduce senza fine. Lui non è un uomo come noialtri, «è una metafora diventata munnizza viva, la menzogna ca si fici carne».
È Tiresia, indovino cieco che campa vendendo pizzini con i numeri buoni del lotto, a rivelare come stanno le cose. Succede come nell'antica Tebe, flagellata dal morbo perché per le sue vie si aggirava impunito l’assassino di Laio. Lì fu Edipo a scoprire il colpevole: «iddru stissu era la malatia cuntagiusa che 'mpistava la cità», e per salvare il suo popolo si punì da solo con l'accecamento e l'esilio. Qui invece...
Al processo l'imputato grida alla persecuzione per odio e invidia. I giurati uno dopo l'altro devono rimettere l'incarico, perché tutti indirettamente legati all'imperatore. La situazione è senza sbocchi. Ma siamo a teatro. Tuoni e lampi e da un disco volante salta fuori il deus ex machina: Ermes, «protettore dei latri e quindi amico sò». Porterà l'imperatore con sé, perché «'u patri Zeus havi 'ntinzioni di tinirisillo allato». Castigo divino? In un certo senso... Il dio vuole servirsi di lui come di una calamità naturale: quando vuole punire un popolo, «ci manda iddu e tempu nenti 'stu populu è futtutu!».
Al coro dei cittadini non resta che armarsi di «santa pacienza» e spalare, «ci vorranno anni e anni per puliziare ‘u paisi di tutta.'sta lurdura». Amaro finale della fiaba nera. Nel foyer, il buffet, i saluti, gli auguri. Non solo per il Natale.
Maurizio Assalto (La Stampa, 16 dicembre 2009)
"Edipo": in scena una tragedia inedita del Sommo
Lunedì, teatro San Genesio, arrivo e stringo la mano al Sommo. Mi accomodo in SECONDA FILA dietro alla signora Rosetta, Di Pietro, Colombo, ... e altri "amici intimi"...
Il Sommo ci dà il benvenuto come se fossimo nel salotto di casa sua, auspicherebbe dice di avere un salotto così grande per poter accogliere sempre tutti i suoi amici, e ci spiega la sua riscrittura dell'Edipo Re come un'esigenza visto quel che sta succedendo al nostro Paese.
I fatti milanesi del giorno prima l'avevano messo nel dubbio di sospendere la messa in scena, ma poi no, è giusto farlo, visto anche il carattere privato e non pubblico, anche se molti giornalisti sono presenti, e quindi... si prosegue.
E' una mise en éspace, dura un'ora, "non vi annoierete", leggii e pochi elementi di scenografia ovvero tanta munnizza, sacchetti di plastica appesi, per terra. Pochi elementi ma scelti con cura e molto significativi. Cambi accessori più che cambi di costume degli attori in scena, tutti di una bravura da brividi.
Il testo è ricco, scorre via tra una miriade di battute che rubano, amaramente, spesso gli applausi fuori scena. Il ritmo è serrato, non c'è un attimo in cui la narrazione cede. Il vero delitto sarebbe se il testo non venisse pubblicato, è da rileggere, come tutta la sua opera, più e più volte, per essere sicuri di non essersi persi nulla.
La lingua siciliana viene lasciata per l'italiano solo per le televisioni rappresentate o per l'Imperator-Silvio, imitato alla perfezione soprattutto nella gestualità e fisicità.
La storia di Edipo Re, rivista dal Sommo è più che logica, è lui la causa di tutta la monnezza = di tutti i nostri mali, ma non sono accuse così buttate giusto per spararla grossa, per strappare la battuta banale. Si parla di giustizia, comunicazione, senso di dignità. Non ne viene risparmiata una, si ascolta ridendo tutto quello che ormai siamo tristemente abituati a sentire e vedere tutti i giorni. Alcuni momenti riescono a raggelare il pubblico, molto partecipativo, e si sente un silenzio che un po’ fa male.
A fine rappresentazione si passa al rinfresco al foyer, tutti che sorridono, non ride più nessuno. Tutti impressionati da tanta bravura e dal fatto di non essere da soli. Con la decisione, che no, neanche stavolta, grazie alla genialità di alcuni rappresentanti della nostra cultura come Camilleri,
voglio perdere la speranza.
Grazie Sommo.
Giò (18 dicembre 2009)
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Wednesday, January, 04, 2017
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