Sei personaggi d’autore
Questa è la trascrizione, a cura di Paola Rossi (l'Amanuense), della puntata di "Sei personaggi d'autore" andata in onda su Tele+ il 31/10/2001. La trasmissione, in cui Curzio Maltese (nel seguito indicato con C.M.) intervista Andrea Camilleri (A.C.), aveva per titolo "La cultura popolare". Non sono stati riportati i brani di libri di Camilleri apparsi a video o letti dall'attore Francesco Foti.
Le trascrizioni dei vari inserti (scritte a video, film, TV, etc) sono parziali: del resto, non è facile riportare in testo scritto una trasmissione TV, anche se la nostra Amanuense c'è riuscita egregiamente!
Di seguito diamo una LEGENDA
dei simboli usati per indentificare gli inserti.
C.M. Tu hai provato nella vita molti modi di espressione, però, dovendo parlare di qualcosa che sta al centro di tutte queste tue attività si dovrebbe parlare di cultura popolare che è un concetto sul quale si dovrebbe tornare a riflettere. A.C Sai, è avvenuto che la cultura, in Italia, è
sempre stata aristocratica e naturalmente, su questa linea, si è
molto insistito, perché o c’era, da una lato, la scrittura grossa,
alta, importante del Manzoni e dall’altra c’era la scrittura del Guerrazzi,
parlo di uno scrittore popolare, cioè che era un po’ arrangiata,
un po’ approssimativa: popolare…
A.C. Un giorno, nel 1998, sul finire del ’98, presentando un mio libro in una grande libreria di Firenze, e davanti a me avevo il mio solito pubblico dai 45 agli 80 vidi in fondo alla sala arrivare un gruppo di giovani ventenni, con gli orecchini e tutto… mi dissi: ecco, questa è la contestazione, memore del ’68. Invece alla fine, dopo avermi ascoltato, dopo aver fatto due o tre domande molto intelligenti, si misero in fila con gli altri per l’autografo e invece di… l’unica differenza da quello di dire scusi, dottore, mi fa una dedica per mia figlia Giuseppina… buttavano sgarbatamente il libro sul tavolo e dicevano "scrivi a Giovanni", questa era l’unica differenza. Ma all’improvviso quelli rappresentarono l’allargamento del ventaglio che portò i miei libri da 5.000 a 100.000, 200.000, 300.000…
C.M. Perché è importante capire i meccanismi e in che cosa i meccanismi del giallo all’europea sono diversi da quelli del poliziesco all’americana? A.M. Mah, sai, incominciamo col dire una piccola, sostanziale differenza: in tutta Europa, proprio tutta, Germania, Inghilterra, Francia, Italia, l’occhio privato, il "Tom Ponzi", il poliziotto della situazione non può, per nessuna ragione, occuparsi di un fatto di sangue; negli Stati Uniti può.
A.C. È un trauma giovanile, il mio… mi veniva da ridere… non parlo di Hammett o Chandler, cioè i due scrittori, soprattutto Hammett, con tutte le carte in regola per essere prima scrittori e poi poter essere etichettati nel ghetto dei giallisti. Parlo di quello che è il grosso romanzo giallo, quello hard, soprattutto, dove il poliziotto vede irrompere due sconosciuti nel suo studio alle 10 di mattina e che lo malmenano…
A.C. …dopo di che va a mangiare, ha una rissa per l’hamburger, fa a cazzotti… alle 5 in un vicolo scuro gli sparano e lo pigliano di striscio…
A.C. …alle dieci lo colpiscono colle mazze da golf e a mezzanotte è a letto che fa l’amore con la bionda.
A.C. Questa sorta di superomismo dell’occhio privato o dell’"annusapatte", come viene chiamato con dispregio dalla polizia, mi ha sempre fatto ridere. Io vedevo i commissari di P.S. che avevo conosciuto, come persone tranquille, serene, come Maigret, che puoi invitare a cena, e che siccome vengono a cena a casa tua lasciano la pistola a casa.
A.C. Il personaggio del commissario Montalbano, con tutte le sue componenti, nasce dalla battuta finale de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, del capitano Bellodi, ex partigiano, che dice, trasferito, sa di dover tornare in Sicilia, e dice: "mi ci romperò la testa, ma ci torno".
A.C. É questa ostinazione nel voler pervenire ad alcuni risultati che è alla base del carattere di Montalbano.
C.M. Si ha l’impressione che questi eroi, questi commissari saggi, ironici, siano un po’ malinconicamente pervasi dalla consapevolezza che la giustizia si può ottenere, forse, solo in un singolo caso. A.C. Questo sì… questo senso di composto scetticismo sul fatto di sapere che non sempre la verità, alla quale uno faticosamente è pervenuto, coinciderà poi con la verità processuale. Allora, molto spesso, il gioco di questi grossi commissari si riduce a un esercizio di appassionata logica che è la parte più bella dell’investigazione.
A.C. Mentre prima i gialli rassicuravano che tutto sarebbe tornato nell’ordine costituito, il colpevole avrebbe pagato il fio delle sue colpe, la giustizia avrebbe trionfato, arrivati a un certo punto ci siamo venuti a trovare con delle possibilità di soluzioni aperte: siamo sicuri che il colpevole sia quello?
A.C. Questo è il segno di individuazione del romanzo giallo dei nostri giorni ed è anche, credo, la singolarità del giallo europeo.
A.C. Oggi il romanzo giallo è anche quello che dà la possibilità di illuminare meglio certe realtà locali, assai meglio di quanto non si possa fare con altri tipi di indagine. Quando io leggo i romanzi di Jean-Claude Izzo, ambientati nella Marsiglia dei giorni nostri, io capisco di Marsiglia assai di più di un trattato di socio-politica o socio-economia marsigliese.
A.C. Una cosa che ho sempre rimproverato a Simenon, leggendo Maigret, è che quando tu leggi Maigret, e sono ben 72 romanzi che occupano una vita, non riesci a capire niente di quello che sta succedendo in Francia in quegli anni. Ora, un personaggio come Montalbano che vive nel suo tempo, riceve le spinte del suo tempo e con queste spinte si confronta. C.M Come leggi il voto siciliano? A.C. Il voto siciliano ha scatenato alcune analisi, alcune delle quali mi hanno coinvolto in prima persona, cioè a dire che sul Corriere della Sera, un articolo di fondo di un notista politico dice che la responsabilità, in fondo, del voto politico siciliano è di Giancarlo Caselli, con lo strapotere della sua Procura e di uno scrittore come Andrea Camilleri al quale i siciliani si ribellano perché non fa altro che sputtanarli nel mondo con la sua letteratura. Magari… magari una regione si ribellasse alla letteratura di uno scrittore!
A.C. Mi ricordo, per esempio, la funzione politica della fiction. Questo non è smentibile perché io venni designato ad essere il produttore della serie di Maigret: misi in preventivo che non ce l’avrei fatta a mandare in onda la serie a marzo e venni chiamato dal direttore generale Ettore Bernabei, che è bello vivo e vegeto e che mi disse: "Ovvia, una ’osa ’osì non me la fa mi’a, sa… lei va in onda!". "Ma perché?". "Ci sono le elezioni, caro, bisogna che gli italiani stiano lì davanti alla televisione, a guardarsi il loro bravo Maigret, eh?, non facciamo storie". E io ho dovuto anticipare la produzione perché gli italiani stessero lì davanti al televisore, in attesa… bboni!… in attesa delle elezioni.
C.M. Simenon si faceva vivo? A.C. No, mai. Quando andammo a trovarlo all’inizio, gli portammo la foto di Gino Cervi, che lui già conosceva e che gli piaceva moltissimo, e la foto di Andreina Pagnani che avrebbe dovuto fare la signora Maigret, che lui scartò immediatamente: "È troppo bella".
A.C. Una signora anziana, sa… "Sempre bella!"
A.C. "Possiamo invecchiarla…". "La bellezza non si nasconde". "Vabbè, ma ormai…". "No, guardi – disse a me – Maigret si è sposato giovane: lei immagina che un uomo giovane, posato, come Maigret, già con la testa sul collo, avrebbe corso il rischio – disse proprio così – di sposare una giovane così bella?".
A.C. Certo, c’era la censura. Era una censura piuttosto dura, una censura cattolica, quella del periodo. Però, comunque, non era strisciante, era "patti chiari amicizia lunga", questo si può fare questo non si può fare e lì finiva il discorso.
A.C. La censura era esplicitamente di carattere moralistico-sessuale, non era altro.
A.C. Mi ricordo che un giorno, occupandomi di una rivista, c’era quella castissima cantante e ballerina che è Zizi Jeanmaire.
A.C. Zizi aveva questa calzamaglia, lunga e poi aveva un grosso, come si …, pullover, eh?, che la copriva. Ricevetti una telefonata dal Vaticano… un Monsignore ci diceva se era possibile allungare di due dita questo maglione di Zizi Jeanmaire. Bene, andai dalla Zizi Jeanmaire e gli dissi queste cose… "Va bene" disse "due dita bastano? Fin qua basta?"… e ti sfottono, anche, vabbè, pazienza… e glielo allungammo. Passa, va in onda, e un giorno ritelefona il monsignore, dice "Senta, non va bene ancora". "Perché – dissi – non va bene, monsignore? L’ho fatto allungare". "Sa – dice – la signorina alza le braccia e quando alza le braccia gli Italiani guardano tutti lì.".
A.C. Per esempio, dover tagliare, modificare, la traduzione di Garcia Lorca che diceva "tu non hai idea come sono venuto precipitosamente appena tu…" nel senso del venire, arrivare… via, tutto tagliato! C.M. Ci pensavano in continuazione… A.C. Non pensavano che a quello!
C.M. Credi che adesso sia cambiata? Che ci sia una censura diversa, sicuramente c’è, oppure è una corruzione, piuttosto che una censura… A.C. Difficile, all’epoca, che ci fosse una censura politica, in RAI. Allora la politica di Bernabei era semmai una politica dell’inglobamento della opposizione.
A.C. Bernabei ci teneva moltissimo alla collaborazione di Eduardo, perché era la prima collaborazione seria che avveniva tra uno scrittore dell’area di sinistra e la RAI. (Scorrono immagini dei tre fratelli De Filippo col sottofondo di Malafemmina A.C. Quindi bisognava fare in modo che Eduardo lavorasse tranquillamente e serenamente alla RAI rompendo una sorta di tabù dell’intellettuale di sinistra di ostracismo verso la RAI.
A.C. Giocavano a casa sua, a casa del padre di mia moglie, suo padre, Titina, Eduardo, Peppino e Carloni, marito di Titina… giocavano a poker in cinque. Giocando a poker in cinque, che si fa? Si mettono i sei. Carloni si alza e va a bersi un bicchiere d’acqua, piglia ’sto bicchiere – era come di casa – scivola, si rompe il bicchiere… si taglia, proprio qui [indica il polso, NdT], esce sangue… succede un casino napoletano, essendo tutti napoletani a Milano, in quella casa. Eduardo rimane solo, seduto. Titina si precipita nella sala da pranzo e dice: "A Eduà… s’è tagliato ’a vena! Gli esce sangue! Come facciamo?", E Eduardo dice: "Leviamo i sei".
A.C. Quando facevo il produttore e regista televisivo, quanti attori facevano per la prima volta la televisione… All’origine pativano tanto la mancanza del pubblico. Io mi ricordo quando Eduardo improvvisò certe scenette che dovemmo registrare su due piedi e lui le improvvisava, quindi i signori tecnici, quelli che registravano, i cavisti, non avevano mai visto… non riuscivamo ad andare avanti perché sentivi ’ste risate continue…
A.C. Un giorno – stavo scendendo a via Teulada – e un signore
mi fa: "C’è Eduardo, c’è Eduardo". Mi raggiunge Eduardo e
mi fa: "Camilleri, come state". "Come state voi? So che vi hanno messo
il pace-maker". "Sto bene, sto bene", e poi mi fa: "So che dopo di me avete
lavorato con mio fratello Peppino". "Sì.".
C.M. L’impressione, il ricordo, è di una televisione più bella, più intelligente… A.C. …più seria, più intelligente, più incidente… incidente nel senso che incideva, no? Ricca, ricca di idee, di voglia di fare.
A.C. I momenti alti della televisione, per esempio l’intrattenimento televisivo, il varietà, è stato sempre importato in Italia da grossi personaggi dello spettacolo, ma proprio grossi: Walter Chiari, Alberto Lupo, ai suoi tempi, Mina.
A.C. Una volta mi misero in contatto, la RAI mi mise in contatto con un produttore americano che voleva fare delle produzioni televisive in Italia, uno show televisivo che faceva negli Stati Uniti. Questo produttore americano, così importante, si terrorizzò quando vide il nostro Giardino d’inverno, Studio Uno… e disse "Ma questo non ha senso" e io dissi "Perché non ha senso?", "Ma come? Ma quante star ci sono dentro questo programma? 5, 6…Ma è un modo di sprecare i soldi, questo? Un programma televisivo si fa con una star e una spalla, come facciamo noi negli Stati Uniti…"
A.C. Certo che Studio uno, splendidamente fatto, tra l’altro, da Antonello Falqui e da Guido Sacerdote, richiamava più pubblico della prosa che io facevo. Però, quando io ho fatto come produttore e come regista Finale di partita di Samuel Beckett, difficilissimo per il pubblico di allora, e l’ho fatto barando perché ho chiamato Renato Rascel per fare uno dei due personaggi e l’altro Adolfo Celi, allora notissimo (aveva fatto anche il cattivo con 007)… col contrabbandare Beckett attraverso due attori notissimi io ebbi 700.000 spettatori.
A.C. Ma dall’ufficio competente mi dissero "E’ un flop"… Era un flop rispetto alle televisioni private che già cominciavano a esserci, però erano 700.000 spettatori! Neanche lavorando sei anni in teatro a Roma io sarei mai riuscito ad avere quel numero di spettatori…
C.M. Con che occhi guardi adesso la televisione? Ammesso che tu la guardi… A.C. Mah, sai, la televisione oggi la guardo con un occhio estremamente disincantato, però è antipatico dirlo, non vorrei fare come ai miei tempi… "ai miei tempi" è una frase che io odio… I miei tempi non ci sono, ci sono altri tempi. Voglio dire che questi altri tempi non sono sfruttati al meglio. Quindi, allora, la domanda è: a che punto di calo di livello si è ridotto il pubblico televisivo?
C.M. Un’altra passione della tua vita, visto che le abbiamo citate quasi tutte, è stata la politica. Anche prima delle ultime elezioni sei entrato nel voto in maniera anche molto divertente. Come consideri questa stagione politica? Tu hai militato per anni nel Partito Comunista… A.C. Il problema, oggi, per uno come me che ha vissuto dentro certe idee, convinto fino all’ultimo di certe idee, è purtroppo quello di un tentativo di consuntivo che tu a tutti i costi non vuoi chiudere in termini fallimentari. Come posso dire? Denuncerebbero l’inanità e la vanità, in fondo, di quello che è stato tutta una vita. Certo è un umiliazione più grossa di farsi parare un gol da un portiere così stupido che non ha capito che stavi facendo una finta. Ma oggi temo proprio di avere parato tutti i tiri in porta.
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Last modified
Saturday, July, 16, 2011
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