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Il Camilleri Fans Club intervista il Sommo per la Lettura - Corriere della Sera

 
Roma, 28 aprile 2015

 

Da sinistra, in alto: Maria Assunta e Alessandro
al centro: Giò, Fabio e Anna
in basso: Roberto, il Sommo e Linda

 
In occasione dell'uscita de La giostra degli scambi il supplemento letterario del Corriere della Sera, la Lettura, ha organizzato un'intervista ad Andrea Camilleri fatta dai suoi lettori. E così alcuni Soci del Camilleri Fans Club hanno avuto la possibilità di far visita al Sommo a casa sua...

 
Scherzando tra amici ci si definisce "grande" quando si fa qualcosa di speciale o di simpatico ma in realtà si è molto normali; tanta gente si sente "grande" esprimendosi in maniera complessa e complicata ma in realtà dimostrandosi ridicola e patetica ed ancor di più chi fa finta di capire e batte le mani. Poi ci sono le persone che NON si sentono "grandi" ma grandi lo sono davvero perché ti incantano con la loro cultura, la loro esperienza di vita che esprimono con grande semplicità ed autorevolezza...
Per due ore io ed un manipolo di fans siamo rimasti incantati da Andrea Camilleri, abbiamo avuto la fortuna di essere scelti dal Corriere della Sera e dalla Sellerio per fare un'intervista al Sommo in occasione dell'uscita del libro "La giostra degli scambi"; se me l'avesse proposto qualcun altro non ci avrei creduto ma era u Presidenti di pirsona pirsonalmente a telefonare quindi...
Vi giuro ragazzi non ho pensato ad altro fino a martedì mattina che alle domande che avrei fatto al Sommo Andrea!
Il Corriere della Sera mi ha cassato le domande a cui tenevo di più sui romanzi storici lasciandomi quella sul rapporto tra Montalbano e le donne ma vabbè chissenefrega...
Ho rivisto con piacere Linda e conosciuto gli altri camilleriani, poi abbiamo salito le scale di casa Camilleri emozionatissimi, imbarazzati e timorosi abbiamo atteso qualche minuto il Sommo nello studio e finalmente è arrivato scortato da Valentina, si è accomodato sulla poltroncina nello stesso punto dove lo ha intervistato Fabio Fazio, era tutto uguale solo che a intervistarlo stavolta eravamo noi!
Per due ore ce lo siamo letteralmente "bevuto"; ha risposto a tutte le domande con cura ed eloquenza con quel suo modo di parlare colto ma semplice che voi tutti conoscete benissimo, non ha risparmiato aneddoti e ricordi personali, almeno in un'occasione mi è parso anche leggermente commosso.
Finita l'intervista, cioè quando la giornalista Cristina Taglietti aveva terminato le domande ufficiali e l'operatore ha spento la telecamera, Andrea è andato avanti a rispondere a tutte le domande che facevamo senza sottrarsi, anzi, incitandoci!!
Ho passato due ore tra le più intense che mi sia mai capitato e per questo voglio ringraziare Maurizio Vento di Sellerio, Cristina Taglietti del Corriere ma sopratutto u Presidenti e Linda che hanno pensato a me per quest'esperienza meravigliosa.
Grazie di cuore e... 'n baciaipupi.

Fabio Angeletti

 
Il 3 maggio 2015 l'intervista è stata pubblicata su la Lettura e in video su Corriere.Tv.

 


All'evento è stato dedicato uno speciale della rivista LUMSA News, a cura di Anna Bigano, che riporta anche un'intervista al Presidente del Camilleri Fans Club.


Andrea Camilleri incontra i fan. A casa sua. Ve lo giuro, Montalbano non morirà
(la Lettura, 3 maggio 2015)

Posacenere, bicchiere d’acqua, luce bassa. Andrea Camilleri accoglie così i sette lettori inviati a casa sua da «la Lettura» per intervistarlo su La giostra degli scambi, nuova avventura del commissario Montalbano. Quattro donne e tre uomini di età e professione diverse che sono partiti da lì, dal libro, immaginando già che la conversazione avrebbe imboccato molte deviazioni, lontane dall’attualità editoriale. E così è stato: in due ore sono stati portati lungo le strade del ricordo, dell’aneddoto, della riflessione.


Foto Camilleri Fans Club

Lei ci aveva abituato al dialetto soltanto nei romanzi storici, mentre in quelli montalbanici lo alternava all’italiano. Qui invece, per la prima volta, è usato soltanto il dialetto. E anche in una forma molto stretta. Perché? (Linda Polverari, 53 anni, impiegata statale).
«Era una sorta di scrupolo verso il lettore. In un poliziesco mi pareva di aggiungere un problema in più facendo decrittare al lettore il mio linguaggio. Però mi ero ripromesso, con il tempo, di uniformarli. Così, dopo 23 romanzi, ho pensato che fosse giunto il momento di non avere più questa particolare attenzione. Oltretutto mi viene più facile scrivere oggi un Montalbano senza tenere presente la casalinga di Voghera. Che poi va a finire che la mia lingua la capisce meglio di certi siciliani».


Foto Camilleri Fans Club

Per la prima volta dice di non aver preso spunto da un fatto di cronaca, ma già dal titolo mi pare ci sia un riferimento alla situazione politica italiana. Poi c’è la contestazione verso le banche, una battuta sul «poliziotto che si fa giudice». La cronaca in realtà sembra esserci, eccome. (Giovanna Pipari, 43 anni, libera professionista).
«Posseggo una scarsa fantasia. Per scrivere ho bisogno di un input. Nel caso dei romanzi storici può essere una frase, nei Montalbano, fatti di cronaca che mi tengo nella memoria. Il figlio di Simenon mi ha raccontato che anche il padre ripeteva la mia stessa frase. Quando creai Montalbano decisi di farlo vivere e invecchiare nel suo tempo. Questo nasceva dalla constatazione che in molti polizieschi il presente è assente. Per me un personaggio non può vivere al di fuori del suo tempo. Enrico Deaglio nella prefazione al Giro di boa ha detto che io, senza volerlo fare apparire, sto scrivendo la cronaca dell’Italia dell’ultimo trentennio. Certe cose che sembrano profezie sono dovute al fatto che ho un buon fiuto verso il vento che tira. In un romanzo di 7 anni fa Montalbano parla di questi uomini che ammazzano le ex zite, le mogliere, le amanti. Non era una profezia, ma già erano successi alcuni episodi e l’avevo registrato. Tutto qui».


Foto Camilleri Fans Club

In questo libro c’è un’immagine di cronaca vera: un morto sulla spiaggia nell’indifferenza dei bagnanti. Perché ha messo questo flash? Che cosa l’ha colpita? (Maria Assunta Zucco, 51 anni, avvocato).
«L’ho presa come paradigma dell’ottusione progressiva della sensibilità nei nostri tempi. Non ne faccio un fatto moralistico o di rispetto. La vicenda dei migranti per esempio: mi viene da ridere. Detto così sembra blasfemo. Ma vedete, nel ’43, nell’imminenza dello sbarco degli alleati in Sicilia, la mia famiglia era sfollata a Serradifalco, ospite di una zia che aveva una villa e un’immensa pistacchiera. C’erano una cancellata con quattro accessi. Mia zia li fece chiudere con i catenacci credendo che così la guerra sarebbe rimasta fuori. Naturalmente la prima cosa che fecero gli americani fu di abbattere la cancellata con i bulldozer. L’Europa è come mia zia: crede di poter tenere lontano un fenomeno bi-bli-co. Finge di lagnarsi per le guerre del continente africano, in realtà le alimenta. La verità è che o si affronta con chiarezza la situazione o sarà quella, insieme alle banche, che ci farà affondare. E forse è un bene, perché questa Europa avara, basata sul denaro non è degna di esistere. Quella pensata da Spinelli, Adenauer, De Gasperi era un’altra cosa. Forse bisognerà rifondarla».


Foto Camilleri Fans Club

Il commissario ha un rapporto felice con le donne. Perché gli ha fatto una fidanzata lontana? Non era meglio lasciarlo solo? (Fabio Angeletti, 52 anni, tecnico manutenzione metanodotti).
«La convivenza è difficile, bisogna prima di tutto accettare l’altro e smussare le punte che lo respingono. Convivenza, matrimonio sono un autentico esercizio di pazienza che puoi portare avanti solo se hai un amore estremo. Per non rendere infelice il mio personaggio non lo faccio convivere. Finché lui e Livia sono lontani stanno bene, dopo una settimana insieme cominciano i litigi. Ma guardate che è vero che Montalbano è un egocentrico atterrito dall’idea di sposarsi, ma è vero anche che Livia mica preme tanto per farsi sposare».


Foto Camilleri Fans Club

Mi sono riavvicinato alla lettura grazie a lei e ho sviluppato una sorta di monomania. Ormai leggo soltanto riviste mediche e libri di Camilleri. Avrebbe qualcos’altro da consigliarmi? (Roberto Ciardo, 51 anni, medico).
«Che fa Montalbano? Spesso cita libri: quelli sono come consigli di lettura. Lei legge solo Montalbano? Individui gli aspetti che di questi romanzi le piacciono. Cominci con Simenon, con Dürrenmatt e vedrà che poco a poco il suo orizzonte si slarga. Legga i romanzi dei medici. Ce n’è uno il cui nome è impresentabile: Céline. Vabbé, forse era fascista, filo nazista. Non me ne frega niente. Era un grandissimo scrittore. Legga Mario Tobino, medico dei pazzi. Ha scritto romanzi splendidi. Tenga presente che poi nessuno la obbliga fino in fondo. Se non le piace lo butta. Io no, lo devo finire. Un po’ per punirmi di averlo scelto e un po’ nella speranza che nelle ultime tre pagine avvenga il miracolo che mi costringe a dire: oh cazzo era un capolavoro e non l’avevo capito. Ma non accade mai».

Nel corso delle sue ultime avventure, Montalbano comincia a perdere qualche colpo: un problemino all’udito, la difficoltà a ricordare un nome… (Anna Bigano, 26 anni, studentessa).
«È una domanda tendenziosa: Montalbano invecchia, perde qualche colpo ma questo non significa che vada in pensione. Maigret ci è andato e ha continuato a fare indagini. Io avevo una mezza idea di come farlo sparire. Tempo fa ci trovammo a Parigi con due amici: Manuel Vázquez Montalbán e Jean-Claude Izzo. Scherzavamo su come far finire i nostri personaggi: Fabio Montale per Jean-Claude, Pepe Carvalho per Montalbán e il mio commissario. Izzo disse: io lo lascerò ferito mortalmente su una barca in mezzo al mare, ma chissà, potrà anche sopravvivere. Manolo pensò a una fine barocca. A quel punto, tutti e due si voltarono verso di me, ma in quel momento ci interruppero: “Monsieur Camillerì au telephone”. Quando tornai, cambiammo discorso. Allora mi ripromisi che col cavolo che avrei fatto morire Salvo Montalbano. Quindi le posso dire che Montalbano non morirà, e nemmeno andrà in pensione».


Foto Camilleri Fans Club

Quando trova il commissario particolarmente antipatico, insopportabile, indifendibile? Per usare sue parole, quando lo prenderebbe «a tumpulate »? (Alessandro D’Andrea, 51 anni, magistrato).
«Spesso e volentieri. Certe sue risposte non mi piacciono, ha dei modi di affrontare le situazioni che non condivido. Montalbano vorrebbe essere un uomo come gli altri, in realtà sa di non esserlo e questo a volte lo porta a essere irritante. E in quel momento lo trovo irritante anche io. Come autore poi, devo per forza perdonargli il successo che mette in ombra altri libri miei ai quali tengo di più».
Italo Calvino diceva che nei classici ritroviamo i nostri stessi pensieri, ma scritti in maniera mirabile e noi non facciamo altro che riscriverli. Da salentino della Magna Grecia, chiedo a lei, siciliano della Magna Grecia: qual è il suo rapporto con i classici? (Roberto Ciardo).
«Nel momento in cui tre signori che si chiamano Eschilo, Sofocle ed Euripide hanno composto le loro tragedie, tutti noi scrittori, dai grandissimi ai minimi, non abbiamo fatto altro che vivere di briciole, di resti. Per me sono tutto, sono nel mio sangue, anche perché, da regista, mi sono calato nelle loro opere. Anche se non credo che abbiano influenzato la mia scrittura. Le racconto una cosa: quando ci fu lo sbarco in Sicilia degli americani feci 52 chilometri in bicicletta da Serradifalco a Porto Empedocle, in senso contrario rispetto a tutto l’esercito che procedeva. Avevo tre preoccupazioni: vedere se c’era ancora la casa, come stava papà e assicurarmi che i templi di Agrigento non li avessero buttati giù con le bombe. Perché sono nel mio Dna».
Un elemento fondamentale de «La giostra degli scambi» sono i sentimenti, più o meno sani, che uomini maturi provano per donne molto più giovani. Perché ha provato interesse per questo aspetto? (Maria Assunta Zucco).
«Oggi la maturità arriva quando nell’Ottocento sarebbe arrivata la vecchiaia. Un uomo che ha una certa età, ancora fa palestra, va in bicicletta, si tiene in forma. Non sentendo il declino del sentimento amoroso, crede di avere le possibilità che gli darebbero dieci anni in meno. Poi, forse, i giovani di oggi sono meno interessanti, quindi è anche una cosa reciproca. Insomma, è un fenomeno dei nostri tempi. Perché Montalbano non dovrebbe interessarsene?».
Spesso nei romanzi e nelle fiction poliziesche il magistrato è una figura goffa, insicura, superficiale, dipendente dall’acume del poliziotto. Il suo pm Tommaseo sembra corrispondere a questo stereotipo, anche se l’altro magistrato che ha introdotto, Platania, riscatta un po’ la categoria. È un modo di ridicolizzare i magistrati nella finzione non potendo farlo nella realtà? (Alessandro D’Andrea).
«Il pm Tommaseo nasce da una frase di Manzoni che detestava il Tommaseo scrittore, suo contemporaneo, perché, diceva, “ha un piede in chiesa e l’altro in un casino”. Così mi è venuta l’idea di farne un magistrato sessualmente represso. È una presa in giro che sottende una mia convinzione mai espressa: il modo di procedere italiano sempre più ha attribuito la direzione delle indagini alla magistratura, levando spazio agli investigatori di professione, mentre i magistrati dovrebbero limitarsi al controllo delle indagini, tirando alla fine le conclusioni. Questa opinione, personalissima, fa emergere magistrati come Tommaseo».
So che il 25 aprile e il primo maggio sono per lei date importantissime. Ha mai pensato a un romanzo sulla Resistenza o sulle lotte operaie? (Fabio Angeletti).
«Io amo scrivere di cose che conosco a fondo. La Resistenza non l’ho fatta perché in Sicilia nel ’43 arrivarono gli americani e i tedeschi se ne andarono che erano anche nostri alleati. Sicuramente se mi fossi trovato al Nord ne avrei fatto parte. Ma è un tema troppo importante per scriverne. I libri più belli sono quelli di chi l’ha vissuta: Il sentiero dei nidi di ragno, I piccoli maestri, Il partigiano Johnny. Potrei scrivere un romanzo sulle lotte contadine, non su quelle operaie: in Sicilia non avevamo fabbriche».
Posso chiederle il suo parere sulla riforma della scuola del governo Renzi? (Linda Polverari).
«La conosco soltanto superficialmente. Posso dirle però che mi sono rotto i cabasisi delle riforme, cioè a dire del chiamare riforme cose che riforme non sono. Riforma significa capovolgere una situazione preesistente e proporne un’altra. Intervenire sulla scuola è creare il tessuto sociale degli anni a venire di un Paese. Subito dopo l’Unità d’Italia, Ruggero Bonghi, nonostante avessimo il 70 per cento di analfabetismo, disse: privilegiamo le scuole superiori perché abbiamo bisogno di una classe dirigente. Soltanto dopo ci fu un grandissimo incremento alle scuole elementari da cui vennero fuori le maestrine dalla penna rossa. La riforma Gentile significò privilegiare l’insegnamento classico su quello tecnico. Queste sono riforme, gli altri sono tagli».
Lei ha scritto le sue opere migliori in tarda età. È difficile esordire subito con un capolavoro? (Alessandro D’Andrea).
«Ci sono quelli come Alain-Fournier che pubblica Il grande Meaulnes a 23 anni e l’anno dopo muore sparato nella Prima guerra mondiale. O come Raymond Radiguet che a 17 anni scrive Il diavolo in corpo, e a 20 muore. Poi ci sono quelli che scrivono il loro capolavoro a 80 anni perché è la summa del loro percorso. A proposito della poesia, Rilke diceva che il primo verso ci viene direttamente da Dio, tutti gli altri vengono da noi e sono cazzi amari. Mi sono andato a guardare i manoscritti di Leopardi ed è vero. Il primo verso: “Dolce e chiara è la notte e senza vento”. Non c’è una correzione. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”: niente. Le correzioni iniziano al secondo verso. Vuoi vedere che Rilke aveva ragione? Insomma salvo per quelli toccati da Dio di solito il capolavoro non arriva a prima botta, perché c’è anche la bottega, cioè a dire: imparare a scrivere».
Mi dice un libro che le è rimasto nel cuore? (Fabio Angeletti).
«Ci sono libri ai quali sono particolarmente legato e che non hanno avuta nessuna influenza. Hanno determinato la mia vita, non la mia scrittura, come La condizione umana di Malraux letto a 17 anni e mezzo che mi fece venire la febbre. Altri hanno influenzato non la mia scrittura, ma la mia visione della scrittura: Gogol, Laurence Stern con Tristram Shandy, il Manzoni odiato a scuola e straordinariamente amato dopo, quando l’ho letto per piacere mio. Ma avevo scoperto il segreto del libro. Nella prima edizione, quella del 1840, alla fine segue La storia della colonna infame. Io la considero un sacchetto di spezie: alla fine tu condisci i Promessi sposi, te li rileggi e vedi che sapore diverso hanno».

Qual è il suo rapporto con lo sport? (Roberto Ciardo).
«Credo di essere l’unico studente in Italia ad essere stato rimandato in una sola materia, educazione fisica, al secondo ginnasio. Devi tener presente che sono cresciuto in età fascista. Lo sport era obbligatorio e già questo te lo faceva detestare. Avevamo questo feroce professore, diplomato alla Scuola di educazione fisica della Farnesina, fascisti rigorosi. Usava sempre un’espressione: scattare. Un giorno ero esausto e dissi: ma professore voi sbagliate verbo, dovreste dire schiattare. Si incazzò talmente che mi rimandò».
Qual è il suo personaggio più vicino a una persona reale? (Alessandro D’Andrea).
«Mia moglie, dopo sei romanzi di Montalbano mi disse: ma ti rendi conto che stai facendo un lungo ritratto di tuo padre? In effetti sono suoi molti aspetti del commissario: il modo di concepire il rapporto con gli altri, la lealtà, l’attaccamento alla parola data, un senso profondo dell’onesta, il discorso sulla verità relativa e l’autonomia rispetto alla autorità, l’opinione personale che si distacca sempre dall’opinione comune. Papà era squadrista, aveva fatto la marcia su Roma. Nel ’38 il mio compagno Pera mi viene ad abbracciare e a dire che dall’indomani non sarebbe più venuto a scuola. Perché? chiesi. Perché sono ebreo. E che significa? Tornato a casa lo dissi a mio padre. Lui che solitamente era calmo, riflessivo, divenne furioso. Questa è una stronzata che sta facendo Mussolini, disse. Anni dopo capii la sua libertà interiore rispetto alla fede che aveva».

A quando un altro romanzo storico? (Linda Polverari).
«I romanzi storici comportano la consultazione di molti testi e ora questo mi viene difficile. Se riesco a recuperare un po’ con la vista, una cosa breve la scriverò. Ma vorrei che fosse intensa, che mi pigli sul serio, un po’ come La rivoluzione della luna che ho scritto in istato di trance. C’è una storia che mi piacerebbe raccontare ma non so se ci riuscirò: è su come, nel Settecento, venne levato il potere ai nobili siciliani e trasferito nella mani di gente scappata dal Nord. Ho anche un libro epistolare già pronto, Noli me tangere. È lì, dentro l’armadio. Ne ho due o tre, per la verità, ma se non escono vuol dire che non mi persuadono a fondo. L’augurio di scrivere ancora me lo faccio: l’altro giorno mi hanno rilasciato il passaporto, valido fino al 2025. Il problema è come ci arrivi, perché se ci arrivi come un tronco vivente che senso ha? Io la vedo così: quando nasci ti danno un ticket. È come il biglietto di un tram in cui sei costretto a salire. Ci trovi quello che ti deruba, quello che ti pesta un piede, il caldo, il freddo, e poi il fine corsa. È tutto previsto, è inutile arrivare a ottant’anni e dire: ma porca miseria la vecchiaia… Era tutto compreso nel ticket».
A cura di Cristina Taglietti

 
Il video è di Cristina Taglietti e Fabrizio Ravenna (Corriere della Sera)

Dove non diversamente indicato le foto sono di Benvegnù-Guaitoli-Panegrossi (JPEG)
(pubblicate su Corriere della Sera - la Lettura)

Grazie a
Maurizio Vento (Sellerio Editore)
Cristina Taglietti (Corriere della Sera - la Lettura)

 


 
Last modifiedSunday, October, 11, 2015