Per la prima volta insieme tre brevi gialli ambientati in Sicilia, tre storie da
tempo introvabili, che confermano lo straordinario talento inventivo e di
narratore di Andrea Camilleri. Delitti, intrighi e sospetti, e un carosello di
personaggi memorabili.
Con una Nota di
Giancarlo De Cataldo
Una volta, era il 2005, fu
chiesto ad Andrea Camilleri quando avesse preso coscienza che stava per
diventare uno scrittore di successo: «Alla fine del 1998. Ero a Firenze in una
grandissima libreria, vidi arrivare dal fondo della sala un gruppo di una
quindicina di giovani; ebbi la speranza di una contestazione, questi, invece, si
sedettero per terra, e quando si svolse il rito degli autografi mi lanciavano il
libro e mi intimavano: “Avanti, scrivi a Giovanni”. Allora capii che il
ventaglio dei miei lettori si era allargato al massimo, ed entrai in una crisi
profonda di domande su che cavolo scrivevo, se agguantavo un ragazzo di diciotto
e un signore di settanta. Non riesco ancora a darmi delle risposte».
La risposta crediamo sia nella
immensa capacità di invenzione di Camilleri - documentata dagli oltre cento
libri scritti e dagli innumerevoli lettori in tutto il mondo - e nella
persistente passione di raccontare storie, come le tre qui riunite che, dopo la
prima uscita, non sono state più pubblicate. Sono brevi romanzi gialli
ambientati in Sicilia.
Il
giudice Surra.
All’indomani dell’Unità d’Italia Efisio Surra, cinquant’anni, viene trasferito
da Torino al tribunale di Montelusa. Imperturbabile, coraggioso, dotato di
scienza e coscienza, Surra sembra ignorare la Fratellanza, nome che designava
allora la mafia. «In un’epoca in cui il magistrato era considerato fratello
gemello dei ricchi, questo forestiero onesto vuole solo applicare la legge e si
mette al lavoro», come se la mafia non ci fosse «e così facendo,
inconsapevolmente l’annullò».
Troppi equivoci.
Un incontro casuale tra Bruno, tecnico dei telefoni, e Anna, traduttrice, si
trasforma rapidamente in una storia d’amore, spezzata dopo appena due giorni dal
feroce omicidio della donna. Bruno temendo di essere accusato del delitto si
mette a caccia dell’assassino. Un giallo classico sullo sfondo di una Palermo
abitata dalla mafia.
Il
medaglione.
Il maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato di servizio a Belcolle,
immaginario paesino che sovrasta Cefalù, si trova a fronteggiare non un delitto,
ma una situazione assai pericolosa: il vecchio Ciccino si è barricato nella sua
casa di campagna e minaccia di sparare a chiunque si avvicini, prete compreso. È
appena rimasto vedovo e ha scoperto nel medaglione che la moglie portava sempre
al collo il ritratto di uno sconosciuto e la cosa gli ha fatto perdere la testa.
Tocca al maresciallo, autorevole e comprensivo, agire senza indugio.
Il racconto Il giudice Surra è apparso per la prima volta in
Giudici,
Einaudi 2011; Troppi equivoci in
Crimini,
a cura di Giancarlo De Cataldo, Einaudi 2005; Il medaglione, scritto per
il Calendario 2005
dell'Arma dei Carabinieri,
è stato pubblicato in volume nello stesso anno con Mondadori.
Le storie di Camilleri sono sempre seducenti, anche quando tralasciano la
fascinazione sonora del vigatese per scavare dentro il rimestìo, sommesso ed
elusivo, di un italiano parlato tra torsioni e tocchi dialettali: come accade
nei tre racconti di questo volume. Conta, nell’un caso e nell’altro, la
straordinaria esattezza della scrittura dell’autore. Nella terna, che qui fa
libro, trovano assetto componimenti di diversa configurazione narrativa, di
uguale qualità inventiva, e di godibilissima lettura. Due dei racconti sono
datati 2005. L’altro è del 2011. Ora, dopo la dispersione, entrano nelle
partizioni e nell’arcata di un libro unitario, collaborando vicendevolmente con
i legami associativi suggeriti dagli ingegnosi giochi di quinte della regia di
Camilleri. Sintomatico è il racconto Troppi
equivoci con la sua costruzione severamente cinematografica. Sullo
schermo delle pagine scorrono le didascalie come in un film d’antan.
E la narrazione intreccia due trame parallele di contrapposta colorazione: una
luminosa; l’altra torbidamente fosca, marcata dal corsivo. Bruno Costa, «tecnico
della società dei telefoni», è portato da una «curiosità innata» a verificare le
sue «supposizioni» partendo «da minimi indizi». È un dilettante
dell’investigazione. Un futile scherzo telefonico, con conseguenti combinazioni
di equivoci, fa precipitare lui e la donna di cui è innamorato nelle spire della
trama oscura. La donna viene orrendamente uccisa. L’esercizio della «curiosità»
consente a Bruno di venire a capo del giallo prima dello scrupoloso commissario
Chimenti. Un monile di onerosi ricordi dà il titolo a Il
medaglione. Il maresciallo Antonio Brancato comanda in Sicilia la
Stazione dei Carabinieri di un paesino di montagna. Più che altro è un
consulente per famiglie, un paciere. Può capitargli di doversi scontrare con un
pericoloso latitante di passaggio. Ma lui sa come regolarsi. Risolve tutto con
una furbata teatrale (in stile Montalbano). Ed è con una stupefacente furberia
che salva dall’attonita disperazione e dalla angosciata autoreclusione un vedovo
che, nella cassa del medaglione regalato alla moglie, al posto della sua
fotografia ha trovato il ritratto di uno sconosciuto. Ambientato a Montelusa,
nell’anno 1862, con propaggini nel biennio successivo, è Il
giudice Surra. Il protagonista del racconto storico (un piemontese
sceso in terra di Sicilia) è armato di un candore che disorienta la fratellanza,
o mafia, e lo rende enigmatico, alieno all’intero paese; gli fa ignorare
minacce, intimidazioni, e persino un attentato. È una corazza fantastica,
l’innocenza, una sfida, sostenuta com’è da un’integrità morale e da un
combattivo senso della giustizia che consentono al giudice di rintuzzare e
umiliare la mafia, consegnandola all’irrisione.
Salvatore Silvano Nigro
Il metronomo di Camilleri
Mi proclamo
orgogliosamente corresponsabile di due dei tre episodi narrativi che compongono
questa magnifica “compilation”. E che illustrano a perfezione una delle doti più
universalmente riconosciute e stimate del Maestro: la sua impareggiabile
generosità. Tutto cominciò intorno al 2005. Con Carlo Lucarelli nacque l’idea di
un’antologia di racconti a sfondo poliziesco che potesse, allo stesso tempo,
originare altrettante trasposizioni televisive. Un simile disegno non era
concepibile senza la presenza di Andrea Camilleri. L’idea, per nostra fortuna,
gli piacque. Era stato a lungo uomo di televisione, ci spiegò. Non era mai stato
preda dello snobismo che a volte inquina il rapporto fra l’autore letterario e
l’adattamento per immagini della sua opera. Pose un’unica condizione: che il
racconto non contemplasse la figura del commissario Montalbano, riservata,
letterariamente, disse, a Sellerio: il rapporto che lo legava alla casa editrice
era di profonda stima e autentica lealtà, e non di minore importanza era
l’affetto che lasciava trasparire per la gente di casa Sellerio. Nacque così
Troppi equivoci, che venne inserito nell’antologia einaudiana Crimini. Un
racconto contemporaneo dal ritmo incalzante che si dipana a partire da una
citazione metalinguistica che sa di sapido ammiccamento — Bruno risponde per
scherzo a una telefonata e viene scambiato per chi non è, e precipita in
un’equivoca avventura così come il Cary Grant di Intrigo Internazionale — e
prosegue in un crescendo di colpi di scena, agili e nervosi, nei quali la
casualità gioca un ruolo determinante. L’antologia funzionò, e dal racconto di
Camilleri fu tratto l’omonimo film per la Tv diretto da Andrea Manni e
interpretato, fra gli altri, da Beppe Fiorello e Claudia Zanella. Ma questa è
solo una parte della storia. Visto che il colpevole, com’è noto, prova
un’irredimibile attrazione per il luogo del delitto, qualche anno dopo tornai a
importunare il Maestro con una nuova proposta. Si trattava ancora di
un’antologia. Aveva per oggetto la figura e il ruolo del giudice. Correva l’anno
2010. L’idea era di raccogliere tre storie emblematiche (eravamo ancora insieme
a Lucarelli), nelle quali i giudici non recitassero, secondo la vulgata
dominante, il ruolo dei cattivi, ma, al contrario, fossero protagonisti in
positivo. E così mi rivolsi ancora a Camilleri, che in più occasioni aveva preso
posizioni pubbliche tanto equilibrate quanto ferme nel difendere non tanto i
singoli giudici, quanto il ruolo istituzionale. Mi ricevette nella sua storica
casa in Prati un pomeriggio d’autunno. C’era un tempaccio che sembrava smentire
tutti i luoghi comuni sulle gaie ottobrate romane. Camilleri era avvolto da una
nube di fumo e vagamente polemico contro il “proibizionismo salutista” che si
faceva strada a larghi passi. Gli ricordai un passaggio di un Montalbano di
qualche tempo prima, il brindisi di un “parrino” (nel senso di Michael Corleone)
all’annuncio della strage di Capaci. Mi raccontò della sua amicizia con il
giudice Suriano, fine giurista e ancor più fine autore: io stesso, d’altronde,
avevo incontrato Camilleri grazie al figlio Francesco. Poi, di colpo, dopo
l’ennesima boccata, mi disse: «dalle mie parti c’è un’erba maligna che si chiama
surra. È un’erba tenace, che non riesci ad estirpare. Ho sempre considerato la
tenacia una qualità essenziale. Perciò scriverò un racconto che si chiamerà Il
giudice Surra, dal nome dell’erba. Sarà un racconto storico. Si comporrà di
quarantotto pagine. Te lo consegnerò il…» e sparò una data, di lì a un po’ di
mesi. «Ma se l’hai già scritto» obbiettai «perché non me lo dai subito? Poi lo
impaginiamo a tempo debito». Si irrigidì. Capii, dalla sua risposta, di aver
sfiorato l’incidente diplomatico: «io non ho già scritto il racconto»
puntualizzò, ora serissimo, «se l’avessi scritto certo che te l’avrei dato. Io
so come lo scriverò perché già lo vedo. È il mio modo di procedere. Quando devo
scrivere, subentra una forma di razionalità che prende la forma di una sorta di
metronomo interiore. Un regolatore di ritmo che mi fa vedere in anticipo come
sarà la storia che ho in mente, e quando sarà pronta». Fui fortunatamente
perdonato. Il racconto venne consegnato esattamente nei tempi previsti. Finì
nell’antologia Giudici. Constava di esattamente 48 pagine. Camilleri era stato
di parola, e con una precisione che lascia sbalorditi. Il giudice Surra ci
appare, a un primo livello, indifferente alle minacce mafiose semplicemente
perché, neanche fosse un novello Mister Magoo, sembra non accorgersene.
Pensi,
leggendo: gli manca l’algoritmo per interpretare certi codici territoriali. Poi,
però, ti viene un altro pensiero (che Camilleri, peraltro, suggerisce): Surra ci
lascia intendere di non capirli, quei codici. In realtà, agisce nel modo
migliore per neutralizzarli. Li ignora, procede dritto per la via maestra della
giustizia. È “surra”, tenace e inestirpabile, perché questa è la sua natura. E
in questa tenacia, in questa resistenza sta la forza del suo essere integerrimo
magistrato. Un segnale sottile, e sottilmente “politico”, di quelli che solo
Camilleri, nella leggerezza del suo fluire narrativo, sapeva comunicare. Il
medaglione, infine, è una storia profondamente camilleriana, una novella gentile
nella quale il Maestro dimostra, una volta di più, la sua personalissima, e per
certi versi unica, abilità nel declinare il genere poliziesco secondo una ricca
pluralità di registri. L’impianto è “mistery”, ma il mistero in questione
attiene alla sfera più intima dei sentimenti: è un mistero della memoria, e
nello stesso tempo dell’anima. In termini di giallo classico, il finale del
Medaglione equivale alla scena in cui il detective smaschera il colpevole,
riaffermando il primato della giustizia.
Se
sostituiamo alla giustizia degli uomini la serenità di un animo tormentato,
vediamo come, ancora una volta, Camilleri sia riuscito a piegare le regole del
genere alla sua inimitabile polifonia, qui declinata sulle note tenere e
patetiche di una sinfonia campestre. E, nello stesso tempo, questo girotondo di
vite ordinarie illuminate da un’ironica “pietas” ci ricorda che, fra le radici
del Maestro, si annidano i profili mesti e severi di tanti “vinti” di verghiana
memoria.
Giancarlo De Cataldo
(Il brano sopra riportato della nota di De Cataldo, intitolata "Tre pezzi
facili", è stato pubblicato su
La Repubblica
del 13-14 novembre 2023)

Nell'ambito dell'edizione 2023 di
Più libri più liberi, la
Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria tenutasi a Roma, si è tenuto il
reading
Le parole di Andrea Camilleri, la voce di Neri Marcorè, introdotto da
Gaetano Savatteri, con letture da
questo volume. Le foto e il disegno sopra sono di
Andrea Musso, u
Pitturi del Camilleri Fans Club.
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