La pazienza del ragno inizia
esattamente dove terminava Il giro di boa:
Montalbano ferito durante un conflitto a fuoco che metteva la parola fine
all'indagine. Il celebre commissario, in questa inchiesta senza sangue indaga
con quella sua verve sbarazzina tanto amata dai lettori.
«Il prossimo romanzo con Montalbano è nato per caso. Stavo scrivendo un
racconto, intitolato, appunto, "La pazienza del ragno", che si
attaccava esattamente nel momento in cui Montalbano veniva ricoverato in
ospedale, nel "Giro di boa". Questo racconto cominciava a starmi
stretto, e allora lo portai a termine come romanzo. Non ci saranno cadaveri,
annuncio, ma ci sarà la continuazione della crisi di Montalbano». (Andrea
Camilleri, da un'intervista a La
Repubblica (ed. di Palermo) del 6.4.2004)
Cliccare qui per leggere la trascrizione della
presentazione del libro da parte di Andrea Camilleri, Giancarlo De Cataldo e
Marino Sinibaldi (Roma, 7.10.2004)
“Può un omo, arrivato oramà alla fine della so carriera, arribillarsi a uno
stato di cose che ha contribuito a mantiniri?” Il commissario Montalbano sente
il peso degli anni. E della solitudine. Si intenerisce, mentre cerca le parole e
i gesti che lo nascondano agli altri; le parole che facciano barriera. Ascolta
la voce di dentro. Si interroga: “Era solo un omo che aveva un personale
criterio di giudizio supra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. E certe
volte quello che lui pinsava giusto arrisultava sbagliato per la giustizia. E
viceversa. Allura, era meglio esseri d’accordo con la giustizia, quella
scritta supra i libri, o con la propria cuscienza?” Il dilemma è da tragedia
greca. Ma qui, nella malinconia e negli addolcimenti pudichi di una maturità
giunta quasi al consuntivo, non l’eccezionalità dell’eroe, importa; ma
l’integrità di un individuo normale, che gli adempimenti dell’ufficio mette
in rapporto con la falsità “politica”, con la personale ricerca della
franchezza, e con l’accertamento (se non pubblico, almeno privato) della verità.
Montalbano si confronta pure con le convenzioni romanzesche del genere giallo.
Per sottrarsi al “mestiere”: moralista senza moralismi, vulnerato dalla
ingiustizia e dalla “libertà” di rapina governativamente legalizzata e
accasata; e investigatore in servizio straordinario nel romanzo, che metaforiche
“ferite”, date o ricevute, fa pulsare nel non detto delle emozioni e nel
clamore dello scandalo. La pazienza del
ragno è un giallo anomalo. Senza “delitto” e spargimenti di sangue. A
meno che delitto cruento non venga considerato lo splendore di vite costrette a
consumarsi e a sprecarsi nell’odio. Nell’attesa di una catarsi che,
accompagnata dalla solidale e indulgente compassione di Montalbano, metta in
calma le coscienze e le riposizioni nel gioco delle parti: dopo che
l’agitazione “teatrale” della “ragnatela”, pazientemente tessuta
nell’odio, ha esaurito la funzione strategica di “menzogna” che sulla
scena ha portato, irretendolo, il vero colpevole. Camilleri sorprende ancora una
volta. E si rinnova. Con questo trepido romanzo dai tempi alternati e
dialoganti.
Salvatore Silvano Nigro
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«E pinsò che macari a quell’altro ragno, quello del quale aviva intravisto per un attimo il volto, l’idea di fabbricare una gigantesca ragnatela era vinuta sicuramente di notte, una delle tante e tante notti d’angoscia, di tormento, di rabbia. E con pazienza, con tenacia, con determinazione, senza arretrare davanti a nenti, la ragnatela l’aviva alla fine costruita. Un prodigio geometrico, un capolavoro di logica».
«Un libro sull’amore dunque, su Livia e Montalbano, almeno sotto traccia. È Livia stessa a indirizzare il commissario verso la comprensione del caso. Le loro “sciarriatine”, le loro litigate per motivi futili, suonano un contrappunto continuo all’indagine e gli forniscono le intuizioni decisive, fino al momento in cui si sofferma a contemplare la tela apparentemente perfetta di un ragno e il puzzle nella sua testa si completa».
P.G.
Nel sonno, a malappena avvertì il telefono che squillava e risquillava.
Raprì un occhio, taliò il ralogio. Erano le sei. Aviva durmuto appena un’ora e un quarto. Si susì di prescia, voliva fermare gli squilli prima che arrivassero a Livia, nel fondo del suo sonno. Sollevò la cornetta.
«Dottori, che feci, l’arrisbigliai?».
«Catarè, le sei del matino sono, spaccate».
«Veramenti il mio ralogio assegna le sei e tri minuti».
«Viene a dire che va tanticchia avanti».
«Sicuro è dottori?».
«Sicurissimo».
«Allora lo metto tri minuti narrè. Grazie, dottori».
«Prego».
Catarella riattaccò, Montalbano macari e principiò a tornari in càmmara di letto. A mezza strata si fermò, santianno. Ma che minchia di telefonata era? Catarella lo chiamava alle sett’albe solo per vidiri se il sò ralogio caminava giusto? In quel momento il telefono sonò nuovamente, il commissario fu lesto a isare la cornetta al primo squillo.
«Dottori, domando pirdonanza, ma la quistioni dell’ora che è mi fece scordari di diricci la scascione della tilifonata per cui le feci la suddetta tilifonata».
«Dimmela».
«Pare che hanno siquistrato il motorino a una picciotta».
«Rubato o sequestrato?».
«Siquistrato, dottori».
Montalbano arraggiò. Ma era obbligato ad assufficare le vociate che gli viniva di fare.
«E tu m’arrisbigli alle sei del matino per dirmi che la Finanza o i carrabinera hanno sequestrato un motorino? A mia lo vieni a contare? Io me ne catafotto, col tuo permesso!».
«Dottori, vossia per catafottersene non avi d’abbisogno del mio permesso» fece l’altro, rispettosissimo.
«E oltretutto non sono tornato in servizio, sono ancora in convalescenza!».
«Lo saccio, dottori, ma a fari il sequestro non fu né la Finanza e manco la Beneamata».
«La Benemerita, Catarè. E cu fu?».
«Questo è il busillisse, dottori. Non si sa, non s’acconosce. E propio pi quisto mi dissero di tilefonari a lei di pirsona pirsonalmenti».
«Senti, c’è Fazio?».
«Nonsi, sul loco è».
«E il dottor Augello?».
«Macari lui sul loco è».
«Ma in commissariato chi c’è restato?».
«Provvisoriamenti ci abbado io, dottori. Il signori e dottori Augello mi disse di fari le feci».
Matre santa! Un rischio, un pericolo da far finire al più presto, Catarella era capace di scatenare un conflitto nucleare partendo da un semplice scippo. Possibile che Fazio e Augello si erano scomodati per il banale sequestro di un motorino? E po’: pirchì lo facivano chiamari?
«Senti, fai una cosa, mettiti in contatto con Fazio e digli di telefonarmi subito qui a Marinella».
Riattaccò.
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