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Un filo di fumo



Autore Andrea Camilleri - a cura di Giuseppe Dipasquale
Prezzo E 11,90
Pagine CD + libretto di 32 pagine
Data di pubblicazione 21 giugno 2006
Editore Full Color Sound
Collana Audioracconti




Rosario Fiorello legge il romanzo, con interventi di Andrea Camilleri.


Prima pubblicazione il 9 giugno 2006 nella collana Audiolibri in edicola con L'espresso e La Repubblica

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Adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale, con la supervisione di Andrea Camilleri.

Musiche di Paolo Damiani, Pietro Leveratto, Enrico Rava e Olivia Sellerio.

Produzione Full Color Sound.


Una bellissima storia da ascoltare e riascoltare infinite volte per scoprire sempre qualcosa di nuovo: un accento, un suono, una melodia per il piacere di rivivere una storia già conosciuta eppure sempre nuova. Un incontro magico quello tra lo scrittore siciliano e il vulcanico show man che ha creato in studio un'alchimia tale da convincere lo stesso Camilleri ad aggiungere dei piccoli interventi in voce. Vigàta e i suoi personaggi prendono vita attraverso la voce "sicula" di Fiorello che si fa trascinare nella storia da raccontare e come un fiume in piena ci accompagna in un viaggio letterario che alla fine ci sembra davvero troppo breve. E non importa che l'abbiamo ascoltato viaggiando in macchina o in treno o seduti in poltrona o dipingendo o sistemando casa, la nostra sensazione sarà comunque stata quella di aver passato più di un'ora immersi nel profumo di zagare davanti al mare viola e verde di Sicilia.

Nella Vigàta di fine ’800 si dipana una vicenda di veleni e vapori sulfurei.
I notabili del paese hanno finalmente l’occasione di far pagare a don Totò Barbabianca, commerciante di zolfo, l’arroganza e le malavitose prepotenze all’origine della sua ricchezza. La vendetta si compirà quando, sull’orizzonte del mare, si leverà un filo di fumo. Ma il destino è animale che non risparmia i colpi di coda...


Sono particolarmente legato al mio romanzo “Un filo di fumo” per ragioni letterarie e soprattutto affettive.
Ho già lavorato con Giuseppe Dipasquale e conosco la sua bravura nell’adattamento dei miei testi.
Mi perdo da sempre nella purezza del suono della tromba di Rava.
Seguo dall’inizio l’appassionato e intelligente lavoro di Olivia.
Devo però dire che sono rimasto toccato, a tratti commosso, dall’interpretazione spontanea sincera e vulcanica di Fiorello.
Non aveva mai letto il mio libro, lo ha fatto mentre era in studio di registrazione e il suo talento genetico gli ha permesso di capire e di carpire, istante per istante quello che stava leggendo e intuire il modo migliore di renderlo.
Il suo modo di racconto ha un andamento rap, una lettura di un mio testo che mi ha sinceramente sorpreso, un vero work in progress tenuto da un vero maestro.

Andrea Camilleri


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Andrea Camilleri, Fiorello e Vincenzo Sicchio (Full Color Sound) alla Rai (17.1.2006)


Non è davvero un caso se tra i ricordi e le esperienze "forti" di ognuno di noi c’è quella di una sera trascorsa a perderci nella magia di un racconto, sotto un manto di stelle, in riva al mare, magari davanti a un camino, per chi vive al nord.
Per me questa suggestione ancestrale, di affascinare, di trasmettere emozione, di incuriosire alla lettura, ha preso, con “Un filo di fumo”, il profumo dei fiori di zàgara, che in Sicilia, d’autunno, è talmente intenso da stordire chiunque.
Intenso come le storie di Camilleri, capaci di restituire non solo il senso e il significato, ma anche l'anima universale di Vigàta, un’isola che c’è, eccome, ed è libera come la fantasia.

Fiorello


La poetica dello stupore
di Giuseppe Dipasquale



È un preciso meccanismo, elettivo e narrativo insieme, che sta alla base dei racconti camilleriani, come dei suoi personaggi.
Un’oralità, concretata nella parola scritta, che riporta il lettore ad un racconto cuntato come nel ricordo di quei vecchi di paese con il gusto un po’ vizioso di fare discussioni importanti e vitali sulla bazzecola della giornata. Con gli occhi di poi si ricorda il modo in cui quelle discussioni venivano sviluppate e condotte, ma senza fare a meno di confessarsi che l’oggetto della questione era, il più delle volte, futile.
Ed ecco allora l’esasperazione dei caratteri, quel realismo fantastico che rende veri i personaggi solo quanto lo possono essere nella memoria di un vecchio bambino: Nenè Barbabianca che compie il suo pellegrinaggio di passione ed espiazione senza raggiungere il risultato, don Angelino Villasevaglios che spende l’ultimo sospiro, l'ultimo filo di vita per quel filo di fumo di speranza che darà quiete alla sua vendetta, Gaetano, inteso Stefano, Barbabianca che tra misticismo ed eros coglie il vantaggio della superstito finale, e don Totò, patriarca di una generazione che cinicamente ha conquistato ricchezze non sue. In questa cornice la vicenda de Un filo di fumo, assume anche un significato simbolico. La fortuna di una famiglia, che ha lucrato sulle debolezze altrui, dipende, come la vendetta di un intero paese di commercianti di zolfo, da un esile filo di fumo. Una fumata della speranza che porta a Vigàta la nave della rovina per i Barbabianca, come quella della vendetta cercata dei commercianti.
Ma tutto questo sarà smentito da uno stupefacente colpo di teatro: la nave arriverà all'orizzonte delle speranze e delle paure dei protagonisti, ma non nel porto di Vigàta, facendo salva la famiglia Barbabianca.
La storia viene cuntata con quel tanto di gioco paradossale della realtà di modo tale che stupore e meraviglia diventino non più stilemi, ma poetiche di fondo.
In un’altra occasione, sempre a proposito della rielaborazione drammaturgica di un romanzo camilleriano, mi era capitato di parlare di poetica dello stupore.
È un gioco della fantasia sviluppato per gradi, per assonanze, per sottigliezze ed ironie, al fine di rendere unico e irripetibile il materiale e gli elementi, sebbene non ancora nuovi, della fiaba, del cunto.
Come ogni bambino, in una sublime coazione a ripetere, ama stupirsi nel gioco che fa di sé e delle cose del suo mondo mostrandoseli, come d'incanto, sempre nuovi, e nascondendoseli poi per poterli far riapparire al gioco, così il racconto e l'affabulazione di Camilleri riescono a fare allo stesso modo con le parole. Il mondo dei giochi ha solo trasformato la materia - dai balocchi alle parole - ma sempre dello stesso gioco si tratta. E questo non per mero esercizio letterario, ma perché è un modo nuovo di costruire la chiave del comico. Una chiave di ‘riso’, non alla Bergson, per intenderci, ma vicino naturalmente a quello pirandelliano, ed oltre quello pirandelliano, su percorsi non esplorati, mai tentati di narrazione divertita e divertente, comica e tuttavia pregna di profonda serietà.
In Camilleri il filtro della ragione non è applicato a posteriori ad una realtà inaspettata, ma assimilato e sublimato ancor prima dei fatti. Egli non ha bisogno di dimostrare, ma di raccontare, di sapere, direi di ricordare, secondo la sua memoria creativa, come si sono svolti i fatti.
Poiché il mondo di Camilleri è popolato di ricordi. Sono ricordi di fatti veri, vissuti direttamente o indirettamente. Filtrati, nell’assimilarli, attraverso una estrema sensibilità interpretativa, e restituiti alla coscienza mediante la nave della fantasia.
Ma è questo il gioco del suo stupore: ricostruire, senza un voluto ordine preciso, la mappa di una memoria fatta di volti, di suoni, di sguardi, di odori, di sottintesi e di tanto altro di umano. Ricostruirla, stupendosi di trovarla del tutto nuova, come una prima volta: lì, dove invece era da sempre!
E stupendo noi perché ogni passaggio sembra non sia stato mai narrato fino ad allora.




I musicisti


Paolo Damiani
Contrabbasso, violoncello, composizione, arrangiamento, direzione d’orchestra.
Si è laureato in architettura, e diplomato in contrabbasso e musica jazz, nel 1976 debutta con Giorgio Gaslini con cui collabora a lungo, suonando quindi con alcuni dei più prestigiosi musicisti del mondo, tra cui Cecil Taylor, Kenny Wheeler, Albert Mangelsdorff, Billy Higgins, Charlie Mariano, Trilok Gurtu, Miroslav Vitous, Barre Phillips, John Surman, Enrico Rava, Anouar Brahem, Louis Sclavis, Gianluigi Trovesi, François Jeanneau.
Alla testa di proprie formazioni e come membro dell’Italian Instabile Orchestra ha partecipato ai più importanti festival del mondo; è docente di musica jazz presso il Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, e direttore artistico dei festival di Roccella Jonica ‘Rumori Mediterranei’, che dirige dal 1982 e di Roma ‘Una striscia di terra feconda’, insieme ad Armand Meignan.
Attualmente dirige un proprio settetto e collabora stabilmente con scrittori e attori quali Stefano Benni, Ivano Marescotti, David Riondino, Angela Finocchiaro.
Il suo interesse per ogni tipo di ricerca dal jazz al pop, dalla musica etnica a quella contemporanea, è testimoniato dai dischi, dalle composizioni, dalla recente direzione dell’Orchestra Nazionale di Jazz di Francia, unico straniero ad aver vinto il relativo concorso.
Strumentista eccellente per la tecnica sofisticata e la bellezza del suono, è tra i solisti più dotati del jazz italiano.


Pietro Leveratto
Nato a Genova nel 1959, inizia la sua attività verso la metà degli anni settanta.
Ha collaborato dal vivo o in studio di registrazione con musicisti dalle più diverse collocazioni stilistiche, da Lee Konitz a Steve Lacy, da Dewey Redman a Johnny Griffin, da Enrico Pieranunzi a Massimo Urbani, coi quali ha registrato più di centocinquanta CD e suonato in tutta la penisola e all’estero tanto sui palchi di piccoli jazz clubs quanto in rassegne e festival di rilevanza internazionale.
Insegna musica jazz presso il Conservatorio di Genova ed è molto attivo anche come arrangiatore, direttore di big bands e compositore in ambito non solo jazzistico.


Enrico Rava
Enrico Rava, nato a Trieste nel ‘39, si è avvicinato alla tromba nel ‘57. È indubbiamente il jazzista italiano più conosciuto a livello internazionale.
Lo ha fatto davvero il “giro del giorno in ottanta mondi”, come auspicava il titolo del suo primo disco, uscito tre decenni fa.
Il 21 aprile 2002 il trombettista ha ricevuto a Copenaghen il Jazzpar Prize, il più prestigioso riconoscimento internazionale per un jazzista. Il jazz, quello vero, l’aveva chiamato senza appello, come una forza della natura. Un richiamo profondo, l’avventura della vita, una lunga avventura che dura ancora, oggi più di ieri.
In trent’anni di carriera, il trombettista, flicornista e compositore ha al proprio attivo oltre settanta incisioni, di cui sedici a proprio nome.
Grande ammiratore di Miles Davis e Chet Baker, Enrico Rava comincia a suonare giovanissimo nei club torinesi. Nel ‘63, conosce Gato Barbieri, al cui fianco due anni dopo incide una colonna sonora.
In quegli anni incontra Don Cherry, Mal Waldron e Steve Lacy, con il quale suona free jazz in quartetto tra Londra e Buenos Aires (ed è in Argentina, nel ’66, che il quartetto registra l’album “The Forest and The Zoo”). Nel ’67 Rava è a New York, ed entra in contatto con l’avanguardia free, tra cui Roswell Rudd, Marion Brown, Rashid Ali, Cecil Taylor, Carla Bley. Dopo una parentesi italiana, che lo vede esibirsi con vari musicisti, tra cui Franco D’Andrea, e registrare a Roma con Lee Konitz e a Brema con Manfred Schoof, nel ‘69 riparte per New York, dove rimarrà per otto anni. I primi tempi suona soprattutto con Rudd, Bill Dixon e la Jazz Composer’s Orchestra di Carla Bley, sotto la cui direzione partecipa all’incisione di “Escalator Over the Hill”. A partire dal ’72, anno in cui pubblica “Il giro del giorno in 80 mondi”, il primo disco a suo nome, Rava dirige quartetti (sia nei club newyorkesi che in tournée e in Europa e Argentina) quasi sempre privi di pianoforte. Le collaborazioni e le incisioni si susseguono, preziose, a ritmo serrato, al fianco di prestigiosi musicisti italiani, europei, americani: tra questi John Abercrombie, Joe Henderson, Roswell Rudd, Cecil Taylor, Ray Anderson, Dollar Brand, Franco D’Andrea, Urbani, Miroslav Vitous, Daniel Humair, Paul Motian, John Taylor, Archie Shepp, Misha Mengelberg, Richard Galliano, Lee Konitz, etc. Musicista rigoroso e strumentista raffinato, questo poeta della tromba è anche un sensibile ed abile compositore, amante del jazz, ma capace di suonare nei più disparati contesti e di fondere nel suo personalissimo stile influenze musicali molteplici.


Olivia Sellerio
Olivia Sellerio nasce a Palermo.
Si appassiona al canto ancora bambina e, grazie ad Elsa Guggino e agli incontri coi cantori urbani al Folkstudio di Palermo, si avvicina al repertorio siciliano, che approfondisce imparandone i diversi modi.
Collabora appena adolescente con musicisti quali Alfio Antico, attivi nel rinnovare profondamente le modalità e i materiali della musica di estrazione etnica e tradizionale.
Studia tecnica lirica.
Confermando il suo amore per la musica popolare studia la vocalità femminile nella musica latina da Violeta Parra a Cesaria Evora e, complice la padronanza del capoverdiano, canta la Morna e la Coladeira accompagnata da musicisti della comunità di lingua neolusitana durante la sua permanenza a Parigi.
Ma il jazz, che inizia ad amare ascoltando i dischi del padre, è da sempre la sua musica d’elezione; si perfeziona con Loredana Spata e Maria Pia De Vito e forma i suoi primi gruppi, che comprendono musicisti di rilevanza internazionale come Salvatore Bonafede e Stefano D’Anna, coi quali canta soprattutto in Sicilia.
Nel 2005 esce “Accabbanna”, il primo disco a suo nome, in collaborazione con Pietro Leveratto, pubblicato da Egea.


Glossario
In appendice a “Un filo di fumo” c’è un glossario in cui l’autore traduce e spiega alcuni vocaboli e modi di dire usati nel testo. Molti dei termini di questa bellissima lingua siciliana, alcune parole, non possono avere una traduzione letterale tanto che a volte ci vuole un’intera frase per spiegare il significato di un solo suono.
I termini dialettali sono a volte solo musica, suono appunto.
E nella musica di Pietro Leveratto, in questa canzone intitolata “Glossario” che fa da appendice all’audiolibro, Olivia Sellerio raccoglie in canto il suono puro di termini dialettali in modo che sembrino solo messi in fila, e con quelle parole e la musicalità stessa del linguaggio, racconta un’altra storia. Questa:



Non dissi né scu né passadà
(Scu e passadà sono dei suoni che si usano per scacciare gli animali, la frase significa che qualcuno non ti degna nemmeno di una parola)
Facci di bàsula
(faccia tosta, mentitore)
Cu nasce tunnu non po’ moriri quatru
(chi nasce tondo non può morire quadrato ovvero non si può cambiare il carattere e il destino)
Omini di panza
(si dice degli omertosi, che tengono tutto dentro, sinonimo di mafiosi)
Gana - Lèggia - Prescia - Raggia
(desiderio - leggera - fretta - rabbia)
Traineddu
(tranello)
Corpi all’urbigna
(botte da orbi)
Mala minnitta
(vendetta, strage)
Tringuliminguli
(barcollante,malfermo)
All’annigatu petri d’incoddu
(all’annegato pietre addosso ossia piove sul bagnato o disgrazia su disgrazia)
Li guai du linu
(i guai del lino, o passarne di tutti i colori: il lino viene tagliato, battuto...)
Bottu - Rantu - Scoppo - Scanto
(scoppio - vicinissimo - serratura, quella a scatto - paura, spavento)
Tirribìlio
(finimondo, fracasso, confusione)
Càlati juncu ca passa la china
(piegati giunco perché passa la piena, proverbio che indica la necessità di accettare una situazione difficile)
’Nzamà Signuri
(non sia mai)
Cu vene appresso aggruppa li fila
(annoda i fili ossia chi è sottoposto deve sottostare)
Pigghia lu fujutu
(datti alla fuga, scappa)
’Nzalanutu
(attonito, stordito)
’Mparpagliatu
(senza parole, impappinato)
Mutàngheru
(Silenzioso)




Last modified Wednesday, February, 21, 2018