RASSEGNA STAMPA
OTTOBRE 2004
ANSA, 1.10.2004
I fatti del giorno
Libri: Montalbano ricomincia da dove aveva finito
Palermo - E' da ieri in libreria l'ultimo romanzo di Andrea
Camilleri,
''La pazienza del ragno'' (Sellerio, 272 pp., 10 euro). Il volume esce
con una tiratura record di 300 mila copie e due giorni fa, quando il
titolo
non era ancora arrivato sugli scaffali, era in testa alla classifica di
Internet bookshop, sito di prenotazioni online. ''La pazienza del
ragno'',
i cui diritti di traduzione sono gia' stati venduti a Francia e
Germania
e presto avra' una versione televisiva, inizia esattamente dove finiva
''Il giro di boa'', con il commissario Salvo Montalbano ferito in un
conflitto
e accompagnato nell'ospedale di Montechiaro dai suoi fidi Fazio e
Gallo.
Finita la degenza il commissario torna a casa con la prescrizione
medica
di un lungo periodo di convalescenza. E' abbattuto e depresso; la casa
di Marinella, le premure di Livia, le attenzioni gastronomiche di
Adelina
lo confortano ma non lo rasserenano. E quando giunge la telefonata di
Tatarella
che lo informa della scomparsa di una ragazza, Montalbano si getta a
capofitto
nell'indagine. Nonostante le inquietudini che tormentano le sue notti,
l'inchiesta va avanti. La ragazza non torna a casa, ma viene ritrovato
il suo motorino e si fa strada l'ipotesi del rapimento... In questa
indagine
senza delitto e senza sangue, Montalbano ritrovera' la solita verve e
spigliatezza.
Il nuovo romanzo e' l'ottavo che ha per protagonista il commissario
Montalbano.
I precedenti sono ''La forma dell'acqua'', ''Il cane di terracotta'',
''Il
ladro di merendine'', ''La voce del violino'', ''La gita a Tindari'',
''L'odore
della notte'', ''Il giro di boa''.
Il
Messaggero,
1.10.2004
La bimba scomparsa a Mazara
Una telefonata dai rapitori? I genitori di Denise interrogati
in
questura
Marsala - Un mese fa scompariva Denise. Che fine ha fatto
questa bimbetta
di 4 anni? «Si può ipotizzare -risponde Silvio Sciuto,
procuratore
di Marsala- che la bimba sia viva e che potrebbe essere utilizzata dai
sequestratori per richiedere qualcosa alla famiglia, che non è
il
denaro». Sciuto resta ancorato alla speranza. Non tutti nello
staff
investigativo condividono, ma chi concorda cita ”La pazienza del
ragno”,
ultima fatica di Camilleri. Racconta proprio la scomparsa di una
ragazza,
è una storia senza delitto e senza sangue. Montalbano alla fine
chiarirà, anche in Tv.
[…]
Lucio Galluzzo
Radio Deejay, 1.10.2004
Pinocchio
Intervista ad Andrea Camilleri
Breve intervista nel programma "Pinocchio", condotto dalla
Pina.
Si è parlato di libri e televisione e l'intervento di Camilleri
calzava a pennello.
(segnalazione di Luisa)
La Nazione,
2.10.2004
Pistoia
Camilleri ha dato forfait alla rassegna sul 'giallo'
Oggi, 6.10.2004 (in edicola 2.10.2004)
Clamoroso: Andrea Camilleri "ripudia" il suo personaggio più
famoso
Aiuto! Sono prigionero di Montalbano, liberatemi
"Mi capita quello che purtroppo è già successo a Simenon
con Maigret", confessa lo scrittorie siciliano, "ormai il pubblico si
aspetta
da me solo nuove storie del celebre poliziotto. Io invece preferisco
dedicarmi
ai romanzi storici e civili, di cui è appena uscita una
raccolta"
Roma, settembre. “Il commissario Salvo Montalbano? Non me ne
parli,
per carità. Sono suo prigioniero. Mentre sto scrivendo altro,
magari
qualcosa che mi piace di più, mi è più congeniale,
lui, il poliziotto italiano più famoso, fa capolino nella mia
mente
e mi distrae. L'ho inventato quasi per caso. Pensavo di fermarmi al
primo
romanzo,” La forma dell'acqua”, ma non è stato possibile. Dopo
il
clamoroso successo in tutto il mondo, sono costretto a raccontare
sempre
nuove storie. Mi è successo quello che è successo a
Simenon
con Maigret: entrambi ricattati dai nostri personaggi”.
Vestito con semplicità, seduto su una sedia nella stanzetta
di pochi metri quadrati zeppa di libri dove nascono i suoi best
sellers,
sigaretta in bocca (“è un vizio stupido, da imbecilli, ma non
posso
farne a meno”), Andrea Camilleri ci parla volentieri e con
affabilità
del mestiere di scrittore, ma anche della sua vita quotidiana, dei
valori
in cui crede. E soprattutto della sua Sicilia.
Di Camilleri esce in questi giorni, da Sellerio, “La pazienza del
ragno”,
ottavo romanzo della serie su Montalbano. Mondadori invece pubblica il
secondo dei due Meridiani a lui dedicati, “Romanzi storici e civili”,
che
comprende romanzi come “Un filo di fumo”, “Il birraio di Preston”, “La
mossa del cavallo” e altri: storie in cui, partendo da fatti reali di
cui
trova traccia in documenti e archivi siciliani, lo scrittore narra
vicende
di pura fantasia e ricche di suggestione.
Chi è il vero Camilleri? Il “papà” di Montalbano
o
l'autore di “La concessione del telefono” e “Il re di Girgenti”?
Sono due filoni, il poliziesco e l'evocativo, entrambi figli miei.
Preferisco il secondo, ma il primo ormai domina. Montalbano nasce da
una
scommessa con me stesso, da una necessità narrativa. Volevo
misurarmi
con un romanzo dai tempi, dai modi, assolutamente tradizionali. Un
giallo
ha delle regole narrative precise: devi stare in una gabbia, non puoi
barare.
La scommessa è andata fin troppo bene.
Montalbano le piace?
A dire il vero, no. O meglio, non è il mio personaggio ideale.
Proprio perché ho dovuto rinchiuderlo in uno schema. Più
che un personaggio a tutto tondo, risponde a una “funzione”, quella del
bravo poliziotto. L'ho caratterizzato come brusco e chiuso in se
stesso,
ma leale con gli altri. E' un personaggio alla mano, che si può
invitare a cena. Nella fiction tv l'attore Luca Zingaretti non
corrisponde
esattamente alle sue caratteristiche, per esempio è troppo
giovane,
ma è lo stesso bravissimo. E non mi sono mai perso una puntata.
Che cosa succede nel nuovo romanzo “La pazienza del ragno”?
Si collega esattamente al precedente, “Il giro di boa”, che si
concludeva
con Montalbano, ferito alle spalle, accompagnato all'ospedale di
Montechiaro
da Fazio e Gallo. Finita la degenza, il commissario torna a casa per la
convalescenza. Ma è abbattuto e depresso, si annoia.
Così,
quando gli giunge la telefonata di Catarella che l'informa della
scomparsa
di una ragazza, Montalbano si getta nell'indagine a capofitto...
Che lingua è quella che lei usa?
E' un pastiche di lingue e dialetti che comprende italiano, spagnolo,
siciliano, genovese... Una sorta di “lingua mediterranea”, che è
poi la lingua dei pescatori. Forse è il mio contributo
all'unità
europea. La cosa sorprendente è che mi capiscono da Palermo e
Bergamo,
e negli Stati Uniti mi leggono in lingua originale, non in traduzione
inglese.
L'unica a non capirmi è la tecnologia. Ho dovuto togliere dal
computer
il programma di correzione automatica, perché... mi dava errore
ogni tre parole!
Come si fa a tradurre Camilleri in altre lingue?
Non è facile. Ma ho ottimi traduttori. Per dare l'idea di una
lingua arcaica e colorita, in Francia, per esempio, hanno fatto ricorso
a un dialetto che lì si parlava prima del Cinquecento. Le
traduzioni
si moltiplicano: le lingue sono già venticinque, l'ultima
è
il coreano. Come per le figurine Panini, mi “mancano” il cinese e
l'arabo.
Quanto ci mette a scrivere un nuovo romanzo?
Per Montalbano sei mesi, gli altri un po' di più.
Non la spaventa il successo, la gente che la ferma per strada?
La mia vita non è cambiata. Ho lavorato per il teatro e la tv,
perciò sono abituato al pubblico. Mi fa piacere che i lettori mi
riconoscono. E ricevo almeno una decina di lettere al giorno. Cerco di
rispondere a tutti. Mi dedico alla posta per almeno due ore, aiutato da
un collaboratore. Mi ha commosso sapere da una lettera che il padre di
chi mi scriveva era morto sereno con in mano un mio libro...
Lei è nei Meridiani uno dei pochissimi autori viventi
ad
avere il privilegio di essere in quella collana. Si sente già un
classico?
Premesso che non c'è stato tutto questo consenso critico nei
miei confronti (sono più apprezzato dai lettori!), penso che
siano
solo le generazioni future a decretare la fama di uno scrittore.
Come siciliano, si sente più vicino a Pirandello o a
Sciascia?
Sciascia ha scelto una letteratura di denuncia, soprattutto verso la
mafia, che oggi ha fatto il suo tempo. La mafia va combattuta senza
tregua,
ma non diamole una cassa di risonanza: io non parlo quasi mai.
Pirandello
è un gigante, forse da lui ho preso l'ambiguità di certi
personaggi. E l'ironia.
Cos'è la Sicilia per lei?
Tutto. E' il luogo delle radici e della memoria, ma soprattutto lo
spazio dell'invenzione narrativa. Non saprei scrivere nulla che non sia
ambientato in Sicilia. E le vacanze non le trascorro in luoghi esotici,
ma nella mia Porto Empedocle, magari seduto al tavolino del bar a
sorseggiare
una birra fresca.
Il privato di Camilleri?
Sono sposato da quasi cinquant'anni con la stessa donna, mia moglie
Rosetta, romana di nascita e milanese di adozione. Abbiamo tre figlie e
quattro nipoti. Non viaggio quasi più. Vado pazzo per il pesce
appena
pescato e mi piacciono i film di 007 con Sean Connery. In casa non lavo
i piatti, ma sto stirare alla perfezione pantaloni e camicie
plissettate
delle mie figlie. Criticate pure i miei romanzi, ma non come stiro!
Qual è il compito dello scrittore?
Raccontare la storia e la società in cui vive.
Ha dei rimpianti?
No. La mia vita mi ha dato molto.
Nel 2005 compie 80 anni. Che regalo si farà?
Continuare a scrivere.
Vincenzo Sansonetti
Supereva Guide, 2.10.2004
"La pazienza del ragno" di Andrea Camilleri
Romanzare l’attualità
Aveva cominciato con “Gita a Tindari”: quando l’attualità preme con tanta virulenza, quando l’arbitrio di chi governa offusca e confonde i più elementari criteri etici, la letteratura non può tacere.
Montalbano commentava en passant, allora, la violenta repressione alla sommossa dei no global in una Genova salottiera e ipocrita che ospitava il convegno del G8. Da quella volta lo sdegno di Camilleri è cresciuto, è esploso inarginabile negli interventi a Micromega e nei pubblici contributi, fino a coinvolgere e stravolgere la sua attività di romanziere.
”La pazienza del ragno” non è solo un romanzo e sicuramente non è un giallo: non ci sono omicidi, non si seguono piste complicate, non si prospettano soluzioni complesse. L’enigma del sequestro della giovane Susanna Mistretta è facilmente risolvibile, anche per chi non ha letto “La scomparsa di Patò”, di cui il nuovo romanzo ricalca in parte le dinamiche.
Svincolatosi facilmente dall’intreccio narrativo, Camilleri può quindi, in quest’opera come in nessun’altra, assolvere al dovere civile che lo pungola e additare, sotto lo schermo narrativo, la catastrofe in cui la nostra Nazione sta precipitando.
Nella nota che va a chiudere il libro, Camilleri declina canonicamente responsabilità su omonimie e attinenze del libro, eppure a tutti il viso da culo di gallina del direttore di un’emittente smaccatamente filogovernativa richiamerà un volto noto nel nostro panorama giornalistico e, nello schieramento politico attuale, nessuno equivocherà sull’identità di quel partito che vuol riformare l’Italia a furia di condoni edilizi, di escamotage giudiziari, di tangenti e corruzioni.
Non mancano poi frecciate sarcastiche alla viabilità, che si snoda tra mulattiere simili a radiografie intestinali, limiti di velocità kamikaze e conseguenti sciagure stradali, opere pubbliche di nessuna utilità se non per gli appaltatori.
Condisce il tutto un’insistita e serrata critica al terrorismo mediatico, che svilisce l’informazione, ostacola la giustizia e semina scompiglio nella popolazione; la foga per lo scoop a cui son sacrificate morale e lealtà, in mani abili, può generare inciampo per gli inquirenti e indirizzare violente correnti di opinione pubblica.
Il ragno, che pazientemente struttura la sua tela, tessendo instancabile, ordendo con geometrica precisione le sue trame, è allegoria dell’ingegnosa trovata dei rapitori e, ad un livello più profondo, degli orrori a cui può giungere un animo esasperato dall’odio, dal risentimento, dalla disperazione.
Antonio è sottoposto nel testo ad un linciaggio sociale sicuramente meritato alla luce del suo malavitoso passato, ma tuttavia eccessivo se considerato isolatamente: dove si annidi la giustizia è un interrogativo a cui Montalbano non sa e non vuole rispondere.
Liquida anzi i suoi turbamenti come retaggio della sparatoria con cui si concluse “Il giro di boa”: tuttavia questo libro, presentato come un sequel del precedente bestseller, è del tutto autonomo se si eccettuano due o tre allusioni di passaggio che non condizionano assolutamente l’intelligenza complessiva dell’opera.
La penna è quella del miglior Camilleri: tutti i personaggi sono tratteggiati con la solita incisività caricaturale, Catarella con la sua dislessia, Livia con le sue sciarratine, Enzo con le sue prelibate leccornie, il Questore nella sua ebete tracotanza, Lattes nel suo servilismo disgustoso e così via.
”La pazienza del ragno” dimostra che uno scrittore abile sa intessere un ottimo romanzo anche rinunciando alla tensione del thriller e al facile sensazionalismo del giallo.
Benedetta Colella
La
Stampa
-ttL, 2.10.2004
Siena: nel Palio l'odore della vita
Le grandi passioni: il calcio, il ciclismo. E una passione,
vivaddio,
«insana »: il Palio, qualcosa di unico, d'irripetibile
nella
sua ripetitività, qualcosa che si può raccontare ma che
si
deve vivere, se lo si vuol assaporare, portarselo dentro come un dono.
Il Palio è. A Siena non ti spiegano molto di più. Che
cosa
sia, devi scoprirlo da solo.
[...]
Aggiunge Carlo Lucarelli, giallista straordinario: «In tutto
il mondo c'è un posto solo e un solo luogo in cui sia possibile
compiere il delitto perfetto. A Siena, durante il Palio».
Eccessivo?
Mica tanto. Ora ci viene presentato un libro sulle "Visioni di palio"
(AAVV,
Protagon editori, libro e Dvd, Euro 60), corredate da un Dvd che
cattura
e conserva suggestioni uniche e rarefatte e ce le ripropone a una a
una.
Un libro di autori, non un numero qualsivoglia: diciassette. Come le
contrade
che si contendono la vittoria. E ognuno, rigorosamente estraneo alla
città,
racconta le sue emozioni, che certo non sono quelle di un
«contradaiolo»,
ma forse per questo capita le sentiamo così vicine. «Per
il
Palio sento affetto, attaccamento», dice Andrea Camilleri dopo
aver
precisato di non seguire gli avvenimenti sportivi salvo,
saltuariamente,
l'automobilismo «proprio perché non ho la patente».
[...]
Vincenzo Tessandori
La
Provincia,
3.10.2004
Il libro. Un romanzo intriso di malinconia. E senza morti ammazzati
Il ritorno di Montalbano
Già best seller il nuovo Camilleri. Un giallo classico, ma non
troppo
A pochi giorni dall’avvenuta pubblicazione del Meridiano
Mondadori che
riunisce i suoi “Romanzi storici e civili”, Andrea Camilleri è
di
nuovo in libreria con il romanzo giallo “La pazienza del ragno”, edito
dalla prestigiosa casa editrice palermitana Sellerio. Ottavo libro
della
serie dedicata al commissario Salvo Montalbano, personaggio conosciuto
ed amato anche dai lettori meno assidui grazie alla fortunata fiction
televisiva
— trasmessa dalla Rai — nella quale il commissario ha il volto di Luca
Zingaretti, La pazienza del ragno è già un successo
annunciato;
basti pensare che la prima edizione arriva in libreria con una tiratura
di trecentomila copie. Il romanzo inizia dove si concludeva il
precedente
“Il giro di boa”, edito sempre da Sellerio nel 2003. Il commissario
Montalbano
era stato ferito da un trafficante di bambini extracomunitari durante
una
sparatoria, e nell’ultima pagina l’avevamo lasciato in ospedale, alle
prese
con una spalla malridotta; adesso, all’inizio del nuovo romanzo, lo
ritroviamo
a casa in convalescenza, accudito dalla storica fidanzata, Livia. Ma
nella
sua Vigàta, l’ormai celebre cittadina creata dalla fantasia di
Camilleri,
scompare una ragazza, Susanna. E’ stata rapita. L’indagine spetta a un
collega di Montalbano, ma il nostro commissario viene richiamato in
servizio
per un lavoro di appoggio, di consulenza. Il sequestro è
anomalo,
i genitori della ragazza sono stati ricchi, ma adesso sono caduti in
disgrazia.
L’ingente riscatto richiesto, sei miliardi (di vecchie lire, e questo
è
un indizio importante…), fa pensare una sfida, una provocazione. E
Montalbano
comincia ad indagare, per conto suo, con i modi poco ‘regolari’ che lo
contraddistinguono e che lo rendono così amato dai lettori. La
sua
personale indagine lo porterà a scoprire una storia di appalti
truccati
e di rancori familiari. Di interessi illegali, di imprenditori senza
scrupoli
che entrano in politica; una storia di odio. Giallo fuori
dall’ordinario,
questo “La pazienza del ragno”. Senza omicidi né fatti di
sangue;
intimistico, con un Montalbano fragile e a tratti impaurito dalla
presenza
costante e incombente della morte. Tormentato dagli incubi e spesso in
preda alla commozione; ha ormai 54 anni, e li sente tutti. Vittima del
malumore e della malinconia, ma sempre e comunque capace di stupirci
con
la sua ironia, i suoi scatti d’ira, con la sua capacità di
indignarsi
e di farci indignare. Camilleri gioca con la struttura del giallo
classico,
la sconvolge, non si stanca mai di sperimentare. Smonta e rimonta il
racconto,
con grande efficacia. Usa l’ormai classico linguaggio vivo e originale
che lo contraddistingue; lui che, tra l’incredulità e lo
scetticismo
dei critici letterari della prima ora, ha avuto il merito di aver reso
il suo ‘siciliano contaminato’ comprensibile perfettamente anche ai
lettori
dell’estremo Nord della Penisola. La soluzione arriverà — come
sempre
e come nello stile di Montalbano — grazie a un miscuglio di logica e di
intuizione, e alla inconsapevole complicità della tela di un
ragno.
Ma questa soluzione, forse, il commissario stavolta preferirà
tenerla
per sé.
Maddalena Bonaccorso
Nove da
Firenze,
3.10.2004
Letture, lettori, letterature: a Pistoia nove giorni di
iniziative
per capire le ragioni del successo del giallo
Si chiama “Le ragioni del giallo” la seconda edizione di
Letteraria,
letture, lettori, letterature, la kermesse che il Comune di Pistoia
dedica
agli amanti di uno dei generi di maggior successo, ma che intende anche
promuovere la scrittura, l’ascolto, e la diffusione dei libri. Da
venerdì
15 a sabato 23 ottobre saranno oltre quaranta le iniziative in
programma
in numerosi spazi cittadini. Si inizia sotto il segno di Andrea
Camilleri,
per motivi di salute presente solo in video, per chiudere con Paco
Ignacio
Taibo II che si confronterà con i suoi lettori.
[…]
Famiglia
Cristiana,
10.10.2004 (online 5.10.2004)
La biblioteca di famiglia
I tormenti di Montalbano, commissario a fine carriera
È un personaggio solo, malinconico e dilaniato dai dubbi quello
che mette in scena Camilleri nell’ultima puntata della serie.
Un misterioso sequestro scatena il conflitto fra coscienza e legge.
L’eterno dilemma tra la coscienza e la legge tormenta il
commissario
Montalbano, protagonista dell’ultima opera di Camilleri. "La pazienza
del
ragno" è un avvincente e sorprendente romanzo giallo, ricco di
riflessioni
e interrogativi esistenziali. Montalbano manifesta tutta la sua
insofferenza
verso il potere costituito, verso l’autoritarismo, verso i superiori
che
lo definiscono "un poliziotto".
Dopo una lunga convalescenza seguita al conflitto a fuoco descritto
nel "Giro di boa", il commissario Montalbano (nonostante l’opposizione
del questore) indaga su un misterioso sequestro. La persona rapita
è
Susanna, una bella ragazza, figlia di un geologo (ormai non più
ricco) e di una donna gravemente ammalata.
Gli altri personaggi principali della vicenda sono i due zii di
Susanna:
un noto medico e un potentissimo ingegnere (candidato alle elezioni
politiche,
nelle file del partito di maggioranza). Tra i protagonisti irrompe,
prepotentemente,
anche l’opinione pubblica, la vox populi. Ma chi ha rapito
Susanna?
Quali sono le vere cause? Motivi economici? Un movente passionale? Una
vendetta privata? L’azione di un maniaco? Un finto sequestro? Nel corso
delle indagini, Montalbano ascolta la sua coscienza, analizza il ruolo
dell’amore e dell’odio, assiste malinconico alla solitudine e si
chiede:
«Può un uomo, arrivato alla fine della sua carriera,
ribellarsi
allo stato di cose che ha contribuito a mantenere?».
Di notevole interesse anche altre considerazioni contenute nel libro:
«Era solo un uomo che aveva un personale criterio di giudizio
riguardo
a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato.
E, certe volte, quello che pensava essere giusto risultava sbagliato
per
la giustizia. E viceversa. Allora, era meglio essere d’accordo con la
giustizia,
quella scritta nei libri, o con la propria coscienza?».
Nel romanzo non mancano le critiche al potere politico e a certi mass
media. Il commissario Montalbano, ad esempio, attacca, con l’arma del
sarcasmo,
una televisione filogovernativa di Vigata (l’immaginaria cittadina dove
sono ambientati i romanzi di Camilleri). Il noto commentatore
dell’emittente
locale si scaglia contro gli extracomunitari, indicandoli come i
responsabili
del misterioso sequestro di Susanna. Lo stesso personaggio televisivo
si
era distinto, nei precedenti romanzi, per le sue invettive contro gli
immigrati
(come se i disperati, in fuga dalle guerre e dalla fame, stremati dai
viaggi
della speranza, fossero pericolosi criminali).
Pietro Scaglione
La Sicilia,
5.10.2004
Interscambio culturale con alcuni scrittori svizzeri
Ribera. Che un semplice gemellaggio potesse trasformarsi in
un'iniziativa
di grande valenza scolastica e didattica, nessuno lo aveva previsto
alla
vigilia. Ci riferiamo alla visita della delegazione di scrittrici e
poeti
svizzeri che, guidati dal riberese Saro Marretta e in visita culturale
e turistica a Ribera, ad Agrigento e Racalmuto, hanno voluto incontrare
gli studenti delle scuole superiori della cittadina, l'Itcg
«Giovanni
XXIII» e il Magistrale «Crispi». Tra gli scrittori
elvetici
e gli studenti del liceo sperimentale riberese, ad indirizzo
linguistico
si è stabilito subito un feeling che ha portato ad uno scambio
di
pubblicazioni in lingua italiana e in lingua tedesca. A parte
l'antologia
per l'occasione pubblicata, con brani di narrativa e di poesie in
italiano
e in tedesco «Ciao Sicilia, Ciao Berna», il presidente
degli
scrittori svizzeri Daniel Himmelberger ha donato alla scuola e agli
studenti
una serie di volumi in tedesco che tracciano la storia
dell'associazione,
degli scrittori e della cultura elvetica.
«Gli studenti - spiega la preside, Antonina Triolo - avranno
la possibilità con i loro docenti e con l'insegnante di madre
lingua
di approfondire meglio la conoscenza del tedesco e di creare un
rapporto
culturale che può durare al di là dei confini prettamente
scolastici. L'entusiasmo che abbiamo notato tra i nostri giovani e gli
scrittori svizzeri è stato davvero notevole perché sono
stati
fatti dei precisi riferimenti letterari a Pirandello, Tomasi Lampedusa,
Sciascia e a Camilleri».
Gli scrittori ospiti di Ribera, della Provincia, della Camera di
commercio
e di Racalmuto sono stati: Kathrin Flury, Daniel Himmelberger, Els
Jegen,
Jurg Kilchherr, Bruno Adrian Luscher, Susanne Lutz, Rolf Mader, Luisa
Schar
Marretta, Saro Marretta, Lotti Ullman, Erika Von Gunten.
Enzo Minio
Magistratura
Democratica, 5.10.2004
.....e' pronta!!
L'ageMDa 2005: un anno di Costituzione italiana (senza se e
senza
ma)
Agemda ci riprova. Abbiamo cominciato l’anno scorso, quasi per
scommessa,
spinti dalla voglia di fornire spunti di informazione non omologata
sulla
giustizia. L’impresa è riuscita: ci sono stati consensi,
apprezzamenti,
interesse. E, soprattutto, la nostra provocazione è diventata
strumento
di lavoro: nei palazzi di giustizia e anche altrove. Sarebbe, questa
sola,
una ragione sufficiente per riprovarci.
Ma c’è di più.
La Costituzione è – non da oggi, ma oggi più che mai
– in pericolo. E occorre, perché resista, l’impegno di tutti
quelli
che la considerano un punto fermo per la nostra fragile democrazia. A
questo
impegno non intendiamo sottrarci.
Agemda propone dunque, quest’anno, 365 giorni in compagnia (e in
difesa)
della Costituzione.
Non potendo percorrerla tutta, ci siamo fermati su dodici articoli:
uno al mese per dodici mesi.
Un’agenda non può essere né un commentario né
un’opera con pretese di completezza: è un insieme di flash, di
fatti,
di avvenimenti, di riflessioni, di chiavi di lettura, di ricordi, di
progetti…
Ci hanno aiutato in questo nuovo, avvincente viaggio, regalandoci i
loro contributi (disegnati e scritti), Altan, Elle Kappa e Staino e,
con
loro, Tina Anselmi, Tom Benetollo, Enzo Biagi, Rita Borsellino, Luigi
Ciotti,
Adrea Camilleri, Tullio De Mauro, Guglielmo Epifani, Dario Fo, Fulvio
Gianaria,
Alberto Mittone, Domenico Ricca e Gianni Rognoni, testimoni attenti e
sensibili
– pur nella diversità di ruoli e idee - della nostra epoca.
Tutti li ringraziamo, con un ricordo affettuoso e commosso per Tom
Benetollo.
Agemda è stata curata, quest’anno, da Eugenio Albamonte, Roberto
Braccialini, Giovanni Cannella, Elisabetta Cesqui, Giovanni Diotallevi,
Stefano Erbani, Ignazio Juan Patrone, Livio Pepino, Rita Sanlorenzo,
Gianfranco
Viglietta. Il testo è stato chiuso nel luglio 2004 (e con
riferimento
a tale data vanno, conseguentemente, lette le notizie relative agli
avvenimenti
in divenire).
Come sempre il senso e le ambizioni di questa agenda sono culturali
e non commerciali: ogni utile conseguente alla sua diffusione
sarà
devoluto al Progetto Comunità ABEL – Costa D'Avorio del Gruppo
Abele.
Buona lettura e buon lavoro.
luglio 2004
Livio Pepino
L'AgeMDa 2005 può essere richiesta a qualunque libreria,
segnalando
al libraio che il distributore è la CDA di Bologna.
L'AgeMDa è inoltre disponibile presso le librerie Feltrinelli.
Infine, per averne una copia ci si può rivolgere ai segretari
sezionali di Md.
Corriere del Ticino,
7.10.2004
Andrea Camilleri, uno scrittore sempre attivissimo
Andrea Camilleri, a dispetto dell’età, rimane sempre uno
scrittore
attivissimo, e che soprattutto sa catturare l’interesse dei lettori. Ne
fa fede l’uscita in questi giorni di un nuovo suo romanzo della serie
dedicata
al commissario Montalbano. Ma non solo: anche di un corposo volume dei
«Meridiani» della Mondadori che raccoglie i suoi
«romanzi
storici». Una duplice buona occasione per intervistarlo.
E intanto è arrivato in libreria anche l'ultimo romanzo
della
serie dedicata al commissario Montalbano
La storia, fra la ragione e il sentimento
A colloquio con Andea Camilleri, mentre esce un suo nuovo Meridiano
L'intervista. "La vita è una scoperta dopo l'altra, un enigma
dopo l'altro, un dubbio dopo l'altro..."
Dopo il primo volume con tutti i romanzi di cui è
protagonista
il commissario Montalbano, arriva in libreria il secondo Meridiano
Mondadori
dedicato ad Andrea Camilleri, con i suoi "Romanzi storici e civili". Si
tratta di "Un filo di fumo", "La strage dimenticata", "La stagione
della
caccia", "La bolla di componenda", "Il birraio di Preston", "La
concessione
del telefono", "Il re di Girgenti" e "La presa di Macallè",
"croniche
", che raccontano i fatti di Vigàta (il paese inventato che ha
molte
somiglianze con Porto Empedocle dove Camilleri è nato nel 1925),
dalla fine del Seicento agli anni Trenta. Un lungo periodo storico che
Camilleri ha indagato con lo stesso "fiuto" con cui Montalbano scova
gli
assassini, partendo da "indizi" minimi, come un volantino o un decreto,
la trascrizione di un'udienza o una frase letta in un libro: su questi
spunti Camilleri fantastica fino a trovare le connessioni plausibili, e
quando serve "apre il laboratorio del falsario, e la prova se la
fabbrica".
Così anche la storia diventa romanzo, libera narrazione che
però
non perde mai di vista la sostanza dei fatti.
Incontro Camilleri nella sua casa di Roma. Spessi occhiali da vista,
sorriso bonario, grande disponibilità, risposte bulinate
dall'ironia.
Gli domando come si senta ad essere diventato un classico.
«Il fatto è - dice - che si ha l'incoscienza di essere
un classico non la coscienza. In realtà non credo di esserlo. E
poi, lasciamo che se ne riparli fra qualche centinaio d'anni».
Quanto conta per lei la lezione di Sciascia, Bufalino,
Brancati
o Tomasi di Lampedusa?
«Lei ha fatto un bel po' di nomi, ma la lezione che mi interessa
è quella di Sciascia, non quella di Bufalino e meno che mai di
Tomasi
di Lampedusa. E' Sciascia quello che avrei tanto voluto essere e non
sono
mai riuscito ad essere: un esercizio spietato della ragione. Io, dopo
un
po' che mi cimento nella ragione, vengo sopraffatto dai sentimenti.
Allora
rimane una sorta di diamante che brilla e purtroppo non riesco mai ad
allungare
le mani per prendermelo».
La sua Sicilia è diversa da quella descritta da
Sciascia?
«Non credo che ci siano molte differenze: la Sicilia come la
vedo è uguale a quella di Sciascia, sia sotto il profilo
geografico
e paesaggistico perché il mio paese dista pochi chilometri dal
suo,
sia dal punto di vista intellettuale perché le nostre idee sulla
Sicilia molto spesso coincidono. Entrambi abbiamo una posizione critica
nei riguardi dei siciliani».
Quali critiche muove ai suoi conterranei?
«Di avere il vizio di piangersi addosso e di addossare le proprie
colpe ad altri, senza rendersi conto che di colpe, loro, ne hanno
moltissime».
Ce ne può dire qualcuna?
«Faccio un esempio: noi siciliani godiamo di un'autonomia
regionale
da far invidia ai leghisti, ma non siamo mai riusciti ad amministrarla
bene, e ogni volta troviamo degli alibi per giustificare questa
inefficienza.
La realtà è che non siamo stati e non siamo capaci di
gestire
un grandissimo patrimonio economico».
Vigàta, il paese al centro delle sue cronache, è
lo
specchio di tutta la Sicilia?
«Non c'è dubbio: completamente e compiutamente, almeno
nelle mie intenzioni. Ho trovato molto bello che mettendo in scena il
mio
"Birraio di Preston", il regista Di Pasquale abbia voluto una
scenografia
dove Vigàta aveva la forma triangolare della Sicilia.
Dirò
di più: i romanzi civili, riflessione su alcuni eventi storici,
in realtà rispecchiano la società italiana odierna, non
solo
siciliana. Lo storico come Giovanni De Luna ha scritto che alcune cose
dell'Italia di oggi si possono capire attraverso la ricostruzione
fantasiosa che io faccio di certi episodi post unitari».
È stato detto che scrivendo un libro giallo non si
può
barare: concorda con questa opinione?
«Questa affermazione è una sorta di consuntivo di
ciò
che Sciascia ha detto a proposito del giallo. Sciascia sostiene che il
giallo è una gabbia dentro la quale l'autore, una volta che ci
si
è infilato, sa di non poter barare sulle successioni temporali
né
tantomeno sulle concatenazioni logiche dei fatti. Invece in un
"romanzo-romanzo",
come direbbe Georges Simenon, si può barare sul tempo narrativo
e sulla successione logica dei fatti».
Vigàta è sbocciato nella sua fantasia per puro
istinto
o per calcolo?
«Direi per calcolo. L'ho inventato per avere un paesaggio
conosciuto
e facilmente controllabile, come il Macondo di Gabriel Garcìa
Màrquez
o la contea impronunciabile di William Faulkner. Dentro questo
paesaggio
dai confini spostabili uno scrittore può mettere di
tutto».
Qualche volta si sente "schiacciato" dalla personalità
di
Montalbano?
«Schiacciato no, ma molto importunato si».
Quali sono i motivi del fastidio?
«Ho scoperto sulla mia pelle - ma credo che l'avverta chiunque
si cimenti con dei personaggi fissi - che il personaggio seriale
è
un killer di altri possibili personaggi. E' come camminare in una
strada
tranquilla - e torno a citare Simenon - dotata di corrimano e dunque
più
facile da seguire, e quindi c'è la tentazione di
labbandonarvisi».
Bisogna escogitre delle strategie per trattenersi?
«Certamente. Io, ad esempio, ho scritto una gran quantità
di racconti su Montalbano che erano come le polpette di carne che si
buttavano
ai lupi che inseguivano la slitta, per tenerli un po' a distanza. E' un
metodo per tenerlo a bada e potere intanto scrivere altre cose,
altrimenti
è un personaggio che ti mangia, ti fagocita».
Come sta in questo momento Montalbano?
«Benino, grazie. Ha i suoi problemi, le paure
dell'invecchiamento,
comuni a tanti uomini ma che io per fortuna non ho avuto e quindi me la
posso scialare e affibbiarle a lui. Comunque va avanti, e proprio in
questi
giorni esce da Sellerio il nuovo romanzo intitolato "La pazienza del
ragno"».
Ci può anticipare qualcosa?
«"La pazienza del ragno" si ricollega al "Giro di boa", il
precedente
romanzo con Montalbano, ma questa volta il commissario non è
direttamente
coinvolto, è in convalescenza perché è stato
ferito,
e fa un'indagine di supporto. Ma quando arriva a delle conclusioni, si
rende conto che non sono quelle definitive: c'è un'altra
verità
da scoprire. E quando la scopre, la scoperta lo getta in un'altra e
più
grave crisi».
Come succede nella vita, in sostanza...
«Esattamente. La vita è una scoperta dopo l'altra, un
enigma dopo l'altro, un dubbio dopo l'altro. Montalbano attraversa
tutto
remando con lena, e tempeste e bonacce si alternano nel suo lavoro.
Come
nella vita, appunto».
A proposito di invecchiamento, come si predispone a
festeggiare,
nel 2005, i suoi ottant'anni?
«Come mi sono predisposto ai 79, ai 78 eccetera. Per me non sono
un traguardo importante. Sono nato, dovrò morire, su questo non
c'è il minimo dubbio. Che poi la morte sia per me un fatto
disdicevole,
è un altro discorso».
Francesco Mannoni
Corriere della
sera (cronaca
di Roma), 7.10.2004
Il libro
«La pazienza del ragno», Camilleri all’Ex Novo
Incontro con Andrea Camilleri, il padre del commissario
Montalbano,
che presenta «La pazienza del ragno», edito da Sellerio.
Intervengono
Giancarlo De Cataldo e Marino Sinibaldi (Libreria Il Seme - Centro Ex
Novo,
via Monte Zebio 9, alle 19. Infoline: 06.45427600).
Il Corriere
della sera
- Magazine, 7.10.2004
La recensione
Tema di Andreina Camilleri: "Papà fa la lavatrice"
Tema: "Mio padre". Svolgimento di Andreina, figlia dello
scrittore Andrea
Camilleri: "Mio padre quando torna a casa si chiude nello studio e
legge
copioni. La sera esce e non torna più. Quando mi sveglio, certe
volte non c'è, questo è mio padre. Qualche volta fa
andare
la lavatrice". Buon sangue non mente. Il componimento fa parte della
biografia
(a cura di Antonio Franchini) compresa nel volume dei Meridiani
dedicato
ai “Romanzi storici e civili” (da “Un filo di fumo” a “La presa di
Macallè”
passando, tra gli altri, per “La stagione della caccia”, “Il birraio di
Preston”, “La mossa del cavallo”, ecc.). Abbiamo già detto la
volta
scorsa che la biografia è bellissima (e i romanzi non sono da
meno,
compresi gli ultimi che sono stati un po' trascurati). Contiene anche
una
geniale interpretazione di Georges Simenon che spiega per sempre la sua
grandezza di scrittore: "Simenon ricorre a un'astuzia che è
tutta
sua, muove da un punto di vista assolutamente inedito per la
letteratura
poliziesca: si mette dalla parte del morto, ciò che nessuno
faceva
prima di Maigret. E' chiaro che il morto è in grado di spiegarti
le ragioni per le quali è stato ammazzato e quindi il tentativo,
bellissimo, di Simenon, non è tanto scoprire chi è
l'assassino
ma chi era il morto".
A proposito di paternità, Camilleri racconta che Montalbano,
il suo celebre commissario, somiglia sempre più col passare del
tempo a suo padre e racconta un episodio inedito per spiegare com'era
suo
padre (direttore dell'azienda siciliana di trasporti) e com'è
Montalbano:
"Un giorno ero andato da lui per chiedergli dei soldi e il suo
assistente
-si chiamava Kunic, era uno slavo- mi ferma sulla porta e mi dice di
non
entrare. Io sentii un rumore di sedie smosse poi un autista uscì
tenendosi un fazzoletto sul naso. Entrai, mio padre disse: l'ho menato.
Che vergogna, menare un operaio che non si può difendere, dissi
io. Senti, rispose lui, quell'uomo aveva caricato una puttana ed
è
uscito di strada perché guidava mentre s'intratteneva con lei.
Davanti
agli altri non potevo fare finta di niente. Che facevo? Lo menavo o lo
licenziavo? Ha tre figli, che cosa dice la tua CGIL? Ecco, Montalbano
avrebbe
fatto così".
Anche lo stile di Camilleri, ormai inconfondibile, è nato grazie
al padre. Le cose andarono così. Camilleri va a trovare il padre
che si trova in clinica (non ne sarebbe uscito più), ma è
nervoso a causa del suo lavoro. Il padre lo nota e gli chiede cosa
succede.
Camilleri gli risponde che sta cercando di scrivere un romanzo e non
gli
riesce. Il padre gli chiede di raccontarglielo. Lo scrittore ci prova e
lo fa nel lessico familiare di casa Camilleri, parte in italiano e
parte
in siciliano, la formula magica dei suoi libri, "il modo di parlare
della
piccola borghesia siciliana; noi, a casa nostra, parlavamo in quel
modo".
Vede che funziona. Così, in nome del padre, Camilleri
superò
il blocco narrativo che lo affliggeva e si avviò per la sua
straordinaria
carriera.
Antonio D'Orrico
Corriere della
sera,
7.10.2004
L’iniziativa del Corriere - La Grande Cucina
La letteratura racconta di un popolo affamato, ma anche gran
macellatore
di carni e ottimo produttore di vino, riso, grano, olio. Le ricette di
Arlecchino e il menu del commissario Montalbano
Cibo e scrittori
Da Goldoni fino a Camilleri libri che profumano di intingolo
La letteratura italiana gronda di intingoli, è pervasa
da mille
profumi di sughi. E come non potrebbe, poiché racconta un popolo
affamato però anche gran macellatore di carni e ottimo
produttore
di vino, riso, grano, olio.
[…]
Giuseppe Tomasi di Lampedusa amava perdutamente la cucina della sua
terra siciliana, basta rileggere l’ingresso trionfale del timballo di
maccheroni
alla cena d’idillio tra Tancredi e Angelica: Ne erompeva dapprima
un
fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette
dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa
untuosa, caldissima dei maccheroni corti. E’ il padre nobile di un
altro siciliano gastronomo dei nostri giorni, ovviamente Andrea
Camilleri,
padre del commissario Montalbano che, ne “L’odore della notte”, per
esempio
divora una teglia di patate al forno, un piatto che poteva essere
nenti
e poteva essere tutto a seconda della mano che dosava il condimento e
faceva
interagire cipolla con capperi, olive con aceto e zucchero, sale col
pepe.
Solo una briciola dello sterminato menu a disposizione del commissario.
Anche lui, in fondo come Arlecchino, è attanagliato da una
italica,
secolare fame mista a quella dei nostri tempi, prodotta dalla nevrosi.
Paolo Conti
Il
Giornale
di Vicenza, 7.10.2004
Personaggi. Il regista dirige a teatro
Abruzzo e Olanda in cerca d’autore chiamano Stanisci
Vicenza. Che cos'hanno in comune l'Abruzzo e l'Olanda? Mica
tanto, a
prima vista. Ma a unirli nel segno del teatro ci penseranno, l'anno
prossimo,
due eventi firmati da Renato Stanisci.
[…]
Lo spettacolo di punta sarà “Vita Nuda”, testo che Stanisci
nel 1986 ricavò dalle “Novelle per un anno” di Pirandello e che
forse qualche vicentino ricorderà presentato al nostro pubblico,
in occasione del debutto, da un Andrea Camilleri non ancora divenuto
celebre
autore delle avventure poliziesche del commissario Montalbano.
[…]
Antonio Stefani
La Repubblica,
8.10.2004
Cultura
Andrea Camilleri conquista subito la vetta
Fresco di stampa, conquista subito il primo posto nelle
vendite “La
pazienza del ragno” di Andrea Camilleri ovvero il nuovo "episodio" del
commissario Montalbano. Storia gialla senza delitto né
spargimenti
di sangue, il romanzo inizia là dove terminava il precedente “Il
giro di boa”, presentandoci un Montalbano in piena crisi esistenziale.
Sarà la misteriosa scomparsa di una ragazza a scuoterlo dal suo
inquieto torpore.
[…]
Adnkronos,
8.10.2004
Il trimestrale, per la Robin Edizioni, è distribuito da
Messaggerie
Un 'Falcone Maltese' nell'universo del giallo
Anteprime, recensioni, interviste esclusive, ma anche casi di cronaca,
notizie e curiosità nella nuova rivista diretta da Maurizio
Testa,
in libreria da metà ottobre
Roma, 8 ott. (Adnkronos Multimedia) - Una nuova realtà
va ad
arricchire il panorama editoriale italiano, la prima capace di dare
voce
al giallo non più solo come un genere di evasione, ma come un
fenomeno
culturale di massa. E' 'Il Falcone Maltese', rivista trimestrale in
libreria
da metà ottobre, che si propone come un autentico punto di
riferimento
per gli appassionati.
L'obiettivo è informare e divertire una fascia di utenti che
negli ultimi anni si è accresciuta a dismisura, variegata per
gusti
e preferenze. Ne 'Il Falcone Maltese', che nasce con gli auguri di
Andrea
Camilleri, gli instancabili delle fiction, da 'La Omicidi' a C.S.I.,
potranno
trovare i palinsesti televisivi e le interviste ai personaggi del
piccolo
schermo, mentre per gli amanti della lettura è previsto un ampio
spazio dedicato ad anteprime e anticipazioni, nonché alle
recensioni,
e in più interviste esclusive a Pierre Magnan e Joe Lansdale.
E ancora, una panoramica sui gialli presentati al Festival di Venezia
e, dedicato ai nostalgici, 'Quando la fiction si chiamava sceneggiato':
il 'Nero Wolfe' di Tino Buazzelli e le indimenticabili 'Inchieste del
commissario
Maigret' con Gino Cervi, ricordate in un'intervista fatta a Camilleri.
Rivolto ai cultori del noir è il servizio di apertura che, in
omaggio
al nome della rivista, esplora gli aspetti meno conosciuti e più
originali della scuola dell'hard boiled.
Infine, spazio ai casi di cronaca e all'intervista a Giancarlo de
Cataldo
sul film tratto dal suo 'Romanzo Criminale'. Per tutti, rubriche di
notizie,
curiosità, fotografie, novità e anche un sito internet, www.falconemaltese.it,
online dalla seconda metà di ottobre costantemente aggiornato.
Edita da Robin Edizioni e distribuita da Messaggerie, la rivista
è
diretta da Maurizio Testa, un giornalista 'veterano' del genere, autore
di 'Omaggio a Georges Simenon', un cofanetto speciale di tre volumi
pubblicato
dalla Robin Edizioni proprio in occasione del centenario dalla nascita
del romanziere padre del celebre Maigret. Dal 1997 al 2002 Maurizio
Testa
è stato inoltre ideatore e direttore della manifestazione
dell'Estate
romana, Giallo Estate.
Il Falcone
Maltese,
Anno 1 n. 1, ottobre-novembre-dicembre 2004
Auguri per l'esordio de "Il Falcone Maltese"
"Il Falcone Maltese è una splendida idea di testata.
Chi si ricorda di che materia è fatto il "Falcone"?
Secondo
Hammett, che lo riprende da Shakespeare, è della stessa materia
di cui sono fatti i sogni.
Che anche questo "Falcone" di carta possa avere tanti, tanti lettori
capaci di sognare, di avere cioè fantasia".
Andrea Camilleri
Anteprima
Il ragno paziente di Camilleri
“La pazienza del ragno” (Sellerio Editore, uscito a ottobre 2004)
è
nato per caso dalla penna di Andrea Camilleri.
Lo scrittore, dopo “Giro di boa”, stava dedicandosi ad un racconto
intitolato “La pazienza del ragno”, che idealmente seguiva la storia
del
romanzo precedente, riprendendo il discorso dalla stanza d’ospedale
nella
quale Montalbano era stato ricoverato a seguito di un conflitto a
fuoco.
Da semplice racconto, “La pazienza del ragno” è divenuto un vero
e proprio romanzo, l’ottavo della serie.
È una storia particolare, senza omicidi e senza spargimento
di sangue, ma capace di infondere una sensazione di ansia e di attesa
per
le sorti della “vittima” di turno, una ragazzina scomparsa nel nulla.
Per uscire dalla profonda apatia che il periodo di convalescenza gli
ha provocato, Montalbano si getta a capofitto nel misterioso caso di
rapimento,
ma della ragazza viene ritrovato solamente il motorino, e la
crisi
del Commissario anziché diminuire si acutizza tormentandolo
anche
di notte… Una perfetta opera poliziesca e una dettagliata indagine
psicologica
si alternano in questo romanzo, attraverso il quale conosciamo meglio
la
psicologia del protagonista.
Ovviamente, né il tormento interiore né l’ansia per il
presunto rapimento fermeranno il Commissario Montalbano, che
riuscirà
anche stavolta a dipanare la matassa.
Tatiana Battini e Alessandra Buccheri
Giallo e tivù
Produttore Rai per Maigret e autore di Montalbano
Camilleri, al di qua e al di là dello schermo
Come delegato alla produzione Rai dei Maigret, Andrea Camilleri conosce
a perfezione il funzionamento della televisione quando si adatta un
testo.
Come scrittore, assiste oggi alla messa in scena televisiva della sua
opera letteraria, il famoso Montalbano.
E’ il raro caso di chi si trova da una parte e dall’altra della
barricata.
L’autore spiega come funzionava allora e come vive invece oggi questa
opposta condizione.
Si è detto tanto su Camilleri, del suo grande successo,
della
sua popolarità recente, ma in fortissima crescita, e di doverlo
considerare un fenomeno, non solo nell'ambito giallo, ma anche in
quello
letterario in senso più ampio.
In effetti chi ha creato un personaggio, come il commissario
Montalbano,
così popolare e conosciuto, che ha fatto il salto dalla pagina
al
piccolo schermo ottenendo altrettanto successo?
Va riconosciuto allo scrittore siciliano il merito di aver sintetizzato
in un commissario, siciliano pure lui e con tutte le caratteristiche
della
sua terra, una serie di tratti universali che ne fanno un personaggio a
tutto tondo che oltrepassa i confini della sua cultura, per di
più
isolana e quindi più particolare, e diventa un punto di
riferimento
letterario e giallistico. E questo si riflette anche nella lingua in
cui
Camilleri scrive queste storie. Non che sia decisamente dialettale, ma
è infarcita di termini e modi di dire siciliani non certo noti a
tutti. Eppure anche in questo caso, quello che poteva essere un
handicap
per il lettore comune, pian piano è divenuta una caratteristica
distintiva e irrinunciabile delle avventure del commissario Montalbano.
Ed infine Camilleri, da fine conoscitore di gialli e del pubblico
appassionato,
ha puntato sulla serialità di questo personaggio, che è
andato
sempre più prendendo corpo e ha agganciato, come succede spesso
nel giallo, un numero crescente di lettori che poi è riuscito
anche
a fidelizzare.
Come avrete letto, nella prima pagina del primo numero di questa
rivista,
Camilleri ha salutato i lettori e fatto gli auguri a questa avventura.
Dopo aver presentato, nella sezione "Anteprima libri” il suo nuovo
romanzo
della serie Montalbano, siamo a proporvi un'intervista su una
situazione
particolare in cui si trova grazie alla sua esperienza in Rai.
Insomma
in questo "Falcone Maltese" si parla molto di Camilleri e, a nostro
parere
giustamente.
MT - Lei, per gli sceneggiati Rai di Maigret, è stato dalla
parte di chi trasforma un prodotto letterario
in uno televisivo. Ultimamente, invece, con il commissario Montalbano,
è nella condizione di essere l’autore letterario che vede
trasposta
in televisione la propria opera scritta. Chi meglio di lei può
illustrarci
le difficoltà e i problemi del primo ruolo e le riserve e le
sorprese
(piacevoli o meno) del secondo?
AC - Vorrei dire che tanto nel primo caso, quanto nel secondo, la mia
posizione è stata alquanto marginale. Nel caso dei Maigret
sceneggiati
per la Tv, il mio compito era di ”delegato alla produzione”, una specie
di produttore esecutivo. Non collaboravo con gli sceneggiatori,
né
alla scelta dei testi, né alla loro sceneggiatura: mi limitavo
ad
essere presente per intervenire nell'eventualità dell'eccesso di
cambiamenti di scene (scenograficamente parlando) che avrebbe avuto
come
conseguenza tempi maggiori di lavorazione o troppe riprese in esterni.
Collaboravo con il regista nella scelta degli interpreti soprattutto
per
problemi di costo. Un fatto molto "tecnico” come si vede. Che poi,
osservando
Diego Fabbri sceneggiare, abbia imparato qualcosa sul meccanismo del
giallo,
questo è un altro discorso. Come autore dei romanzi di
Montalbano,
devo dire che il mio compito, all'atto della trasposizione in Tv, si
limita
ad una collaborazione con lo sceneggiatore Francesco Bruni, che
consiste
nell'aggiunta di qualche piccola scena di raccordo, o nella
sistemazione
di qualche dialogo. Ammaestrato dalle mie precedenti esperienze, sia
teatrali
che televisive, non ho preso parte nè alla distribuzione,
nè
alla scelta dei luoghi, nè ad altro. Ho sempre avuto molta
fiducia
nella produzione, nel regista, in Zingaretti. Fiducia che è
stata
ripagata.
MT - Rai: dai tempi di Maigret a quelli di Salvo Montalbano è
cambiato molto (forse quasi tutto): chi e come produce, la
velocità
di lavorazione, i meccanismi di scelta del prodotto, la selezione degli
attori... Lei appartiene a coloro che rimpiangono i bei tempi andati o
tra chi apprezza le nuove possibilità offerte dalle
tecnologie?
AC - Certo, negli ultimi tempi in Rai è cambiato molto,
soprattutto
per quello che riguarda i tempi e i modi di lavorazione della fiction e
della tecnologia. Per principio, non sono tra coloro che si spaventano
delle nuove tecnologie, anzi. Però attenzione: bisogna saper
essere
al passo con tutte queste nuove possibilità. Oggi capita che
alle
tecnologie avanzate corrispondano contenuti narrativi decrepiti e forme
obsolete di racconto.
MT - Da più voci (per la verità, Montalbano a parte)
si esprimono perplessità sulle nuove fiction-tv poliziesche:
troppe
concessioni al genere "commedia", a volte addirittura a quello "rosa" e
un'eccessiva dose di "buonismo". Invece scarseggiano
l'originalità,
la necessaria dose di tensione e il ritmo della storia è spesso
lento. Lei che ne pensa?
AC - Devo confessare che non vedo le fiction-tv poliziesche. E dato
che mi mandano le cassette di Montalbano prima che vadano in onda, va a
finire che poi non lo guardo la sera della trasmissione. Comunque a
quanti
muovono la critica di "buonismo" alle fiction poliziesche italiane,
faccio
una proposta semplice semplice: perché non scrivono una bella
sceneggiatura
su quello che capitò nella genovese caserma di Bolzaneto e la
propongano
alla Rai o a Mediaset?
Maurizio Testa
Scuole generi & mode. Dopo il convegno internazionale a
Prato
Ora il giallo è davvero “mediterraneo”
Prato, luglio 2004: consacrazione di quel genere giallo che va da
Montalbán
fino a Camilleri, grazie al convegno internazionale della North
Australian
Workd University e della Monash University, con professori, scrittori,
critici da tutto il mondo, e dove anche “Il Falcone Maltese” è
stato
presente con un suo inviato-relatore
[…]
Fabio Troncarelli
Al convegno si è parlato tra gli altri di…
Andrea Camilleri
Consacrato erede di Sciascia, ha riscosso grande interesse. Tutti si
interrogavano sulla mescolanza di vecchio e nuovo, sulla presenza di
tradizione
e innovazione nelle avventure del commissario Montalbano.
“… offrono un curioso e affascinante miscuglio di tradizione e
cambiamento,
sia sul piano letterario che culturale…”
“… il rispetto delle tradizioni siciliane è un elemento
essenziale
del suo successo professionale. Conosce le regole e i codici di
comportamento:
comprende la legge dell’omertà.”
Susan Briziarelli (University of San Diego)
“Montalbano è un nostalgico dei vecchi tempi, quando la
mafia
non agiva in termini prevedibili, al contrario di oggi, dove tutto si
è
trasformato in una società criminale che non rispetta neanche il
suo ‘codice d’onore’”.
Cinzia Donatelli Noble (Brigham Young University)
“Montalbano sente la nostalgia di un mondo locale e non
globalizzato
e ha un’avversione per le nuove tecnologie. Rappresenta il mantenimento
di una detectione tradizionale e il suo attaccamento a dei valori che
sembrano
non avere più posto nel mondo.”
Stephen Kolsky (University of Melbourne)
NewsNovitàPillole
Camilleri
Non tutti sanno che…
Il famoso scrittore siciliano, oltre che produttore della Rai negli
anni sessanta, oltre che autore di testi tetrali è anche stato
regista
de “L’indizio” di E. Roda, uno sceneggiato trasmesso nel 1982 in cinque
puntate. Ecco i titoli: “Il terzo colpo”, “Alibi a doppio taglio”,
“Domenica
di ferragosto”, “Ileana addio”, “Il cliente senza nome”. L’interprete
principale
era Lino Troisi. La serie è stata riproposta recentemente da
RaiSat
Premium tra giovedì 26/8 e martedì 31/8/2004.
Visti in Tivù
“Replay”, Studio Universal
Trucchi da film? Smascherati
Magari fosse così facile.
Invece questo programma sfata i luoghi comuni visti in molti film,
soprattuttoo gialli
Intervista a Silio Bozzi
[…]
DM – Collaborando da anni con molti scrittori, quali sono le domande
cui più spesso deve dare una risposta?
SB – I quesiti sono stati e sono i più svariati, a volte anche
i più bizzarri. Si va dalle più semplici questioni
balistiche
a quelle chimiche, tanatologiche o procedurali. Il primo a capire
quanto
fosse importante dare solidità e veridicità tecnica alla
struttura narrativa fu Lucarelli con “Almost blue”. Ma per un
consulente
le pseudo-domande di Andrea Camilleri sono le più gustose: le
chiamo
“pseudo” domande perché Camilleri con i suoi quesiti più
che altro ti trscina “dentro” la storia, dentro un ironico gioco di
chiaroscuri,
cioè non si accontenta della fredda risposta tecnica, ma chiede
anche pareri, pretende osservazioni e altre curiosità. Insomma
riesce
a sedurti ancor prima della fine del romanzo. Siamo entrambi siciliani,
forse per questo ci siamo capiti al volo.
[…]
Dalila Mazzocchi
Club & Associazioni
Tutti insieme appassionatamente per il giallo
“Giallo & Co.” È un’associazione che si prefigge di
diffondere
la lettura e la cultura del giallo in tutte le sue espressioni e di
essere
promotrice di iniziative didattiche e di intrattenimento. Tra i
fondatori
alcuni tra i più famosi giallisti italiani
Alla fine dello scorso febbraio, è stata costituita
l’Associazione
Culturale “Giallo & Co.” che ha come presidente l’ormai
indiscusso
giallista Giorgio Faletti e, come vice, l’onnipresente Tecla Dozio.
[…]
I soci fondatori sono 15 fra cui spiccano nomi famosi come Carlo
Lucarelli,
Marcello Fois, Carlo Oliva, Luca Crovi, Fabrizio Gasparetto, Veronica
Todaro.
Fra gli amici sostenitori – e sono ancora pochi perché non
è
ancora stata fatta né la presentazione ufficiale
dell’Associazione,
né la campagna abbonamenti – Barbara Garlaschelli, Massimo
Carlotto,
Cooperativa casa del popolo Arona, Filippo
Lupo
(presidente del Camilleri Fans Club), Ernesto Vegetti, Ugo
Mazzotta,
Luca Bizzarri e altri (per ora 62 in tutto).
La
Provincia
di Sondrio, 9.10.2004
Interviste / Mentre esce la nuova avventura del celebre commissario
Andrea Camilleri oltre Montalbano
Dopo il primo volume che conteneva tutti i romanzi della saga
del commissario
Montalbano, dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, arriva in
libreria
il secondo Meridiano Mondadori, che comprende i Romanzi storici e
civili.
Sono: Un filo di fumo, La strage dimenticata, La stagione della caccia,
La bolla di componenda, Il birraio di Preston, La concessione del
telefono,
Il re di Girgenti e La presa di Macallè, "croniche ", che
raccontano
i fatti di Vigàta (il paese inventato che ha molte somiglianze
con
Porto Empedocle dove Camilleri è nato nel 1925), dalla fine del
Seicento agli anni Trenta del Novecento. Inoltre, è ormai nelle
librerie la nuova avventura del commissario Montalbano, «La
pazienza
del ragno», pubblicato da Sellerio. Non solo: il libro è
ieri
schizzato al primo posto delle classifiche di vendita.
Incontriamo Camilleri, nuovo classico dell'Olimpo letterario, nella
sua casa di Roma. Spessi occhiali da vista, sorriso bonario, grande
disponibilità,
risposte bulinate da una divertente ironia. Gli chiediamo come si sente
ad essere un classico? Sospira, sorride e poi sospira ancora.
«Il fatto è - dice - che si ha l'incoscienza di essere
un classico non la coscienza. In realtà non credo di esserlo. La
risposta comunque, non può essere data da me, lasciamo che se ne
riparli fra qualche centinaio d'anni».
Quanto conta per lei la lezione di Sciascia, Bufalino,
Brancati,
o Tomasi di Lampedusa?
«Lei ha fatto un bel po' di nomi, ma la lezione che mi interessa
è quella di Sciascia, non quella di Bufalino e meno che mai di
Tomasi
di Lampedusa. E dico Sciascia perché è lui quello che non
sono mai riuscito ad essere e avrei tanto voluto essere: un esercizio
spietato
della ragione. Io, dopo un po' che mi cimento nella ragione, vengo
sopraffatto
dai sentimenti. Allora rimane una sorta di diamante che brilla e
purtroppo
non riesco mai ad allungare le mani per prendermelo».
Fra la sua Sicilia e quella di Sciascia, ci sono delle
differenze
o c'è un amalgama perfetto?
«Non credo che ci siano molte differenze. La Sicilia che vedo
io è indubbiamente quella di Sciascia, anche paesaggisticamente
parlando. Credo che ci siano pochi chilometri di distanza fra il paese
di Sciascia e il mio, perciò come fatto logistico - geografico,
siamo in assoluta armonia».
E come fatto intellettuale?
«Il punto di vista di Sciascia e quello mio per ciò che
riguarda la Sicilia, molto spesso coincidono. Ma questo coincidere, non
è la passiva accettazione di certi caratteri della Sicilia.
Tutt'altro:
è una posizione critica nei riguardi dei siciliani, e questo mi
sta molto bene».
Perché?
«Perché i miei compatrioti hanno spesso la voglia di
piangersi
addosso e di addossare le loro colpe ad altri, senza rendersi conto che
loro, colpe, ne hanno moltissime».
Ce ne può dire qualcuna?
«Faccio un esempio: noi abbiamo avuto e abbiamo un'autonomia
regionale che Bossi schiatterebbe d'invidia per averla, e noi siciliani
invece, questa autonomia regionale non siamo mai riusciti a gestirla
bene,
trovando ogni volta degli alibi, delle piccole scuse. La realtà
è che non siamo stati capaci di gestire un grandissimo
patrimonio
di economia».
Le sue cronache si snodano nell'arco di tre secoli: un tempo
commisurato
alla territorialità storica di Vigàta?
«Quel tempo sono lo spazio delle mie opere, ma la
territorialità
di Vigàta ha una geometria variabile. Ho trovato molto bello che
mettendo in scena il mio Birraio di Preston, il regista Di Pasquale
abbia
chiesto una scenografia dove Vigàta aveva la forma triangolare
della
Sicilia».
E questo cosa significa? Che Vigàta è lo
specchio
di tutta la Sicilia?
«Non c'è dubbio: completamente e compiutamente, almeno
nelle mie intenzioni».
Rispetto ai gialli di Montalbano, cosa hanno di diverso o di
più
i romanzi storici e civili?
«I romanzi civili sono una considerazione e una riflessione su
degli episodi storici, che in realtà si ribaltano completamente
su quella che è la società nostra di oggi. Uno storico
come
Giovanni De Luna, a proposito di questo Meridiano ha scritto che in
realtà
alcune cose dell'Italia di oggi e non solo della Sicilia, si possono
capire
attraverso la ricostruzione fantasiosa che io faccio di certi episodi
post
unitari».
Forse perché lei riesce a cogliere nei suoi romanzi il
vero
senso dello sviluppo civile della Sicilia?
«Credo proprio di sì. E la ringrazio per aver recepito
quello che volevo trasmettere con i romanzi storici e civili».
È stato detto che scrivendo un libro giallo non si
può
barare: perché?
«L'affermazione è una sorta di consuntivo su ciò
che Sciascia ha detto a proposito del giallo. Sciascia sostiene che il
giallo è una sorta di gabbia dentro la quale ci si infila
l'autore
che sa di non poter barare sulle successioni temporali, né
tantomeno
sulle concatenazioni logiche dei fatti. Invece in un romanzo-romanzo
come
direbbe Simenon, si può barare sul tempo narrativo e sulla
successione
logica dei fatti; nel giallo non è possibile perché ha
delle
regole che bisogna rispettare».
Vigàta nasce nella sua fantasia per puro istinto o per
calcolo?
«Direi per calcolo. Ho inventato per avere un paesaggio
conosciuto.
Il Macondo o la contea impronunciabile di Faulkner credo che per uno
scrittore
sia come avere davanti un paesaggio facilmente controllabile. Dentro
questo
paesaggio dai confini spostabili, immettiamo di tutto».
Qualche volta si sente "schiacciato " dalla personalità
di
Montalbano?
«Schiacciato no, ma molto importunato si».
Quali sono i motivi del fastidio?
«Ho scoperto sulla mia pelle - ma credo che prima di me l'abbia
avvertito chiunque si sia cimentato con dei personaggi fissi - che il
personaggio
seriale è un killer di altri personaggi. Voglio dire che essendo
- e torno a citare Simenon -, un personaggio e delle situazioni che si
possono descrivere con dei corrimano tranquilli, diventa una strada un
po' più facile, e quindi c'è la tentazione di lasciarsi
andare
in questa strada più scorrevole».
Bisogna adottare dei metodi per trattenersi?
«Certamente. Io, ad esempio, ho scritto una gran quantità
di racconti su Montalbano che erano come le polpette di carne che si
buttavano
ai lupi che inseguivano la slitta, per tenerli un po' a distanza e
permettermi
di scrivere altre cose, altrimenti è un personaggio che ti
mangia,
fagocita».
Come sta in questo momento Montalbano?
«Benino, grazie. Ha i suoi problemi, le paure
dell'invecchiamento,
cosa molto comune a tanti uomini, ma che non ho avuto io fortunatamente
e quindi me la posso scialare e affibbiarle a lui. Comunque va avanti,
e proprio in questi giorni esce da Sellerio il nuovo romanzo intitolato
La pazienza del ragno».
Ci può anticipare qualcosa?
«La pazienza del ragno si ricollega a Il giro di boa, il
precedente
romanzo con Montalbano, ma lui non è direttamente implicato.
È
in convalescenza perché è stato ferito, fa un'indagine di
supporto, ma quando arriva a delle conclusioni assolute, si rende conto
che quelle non sono le conclusioni definitive: c'è un'altra
verità
da scoprire, la scopre, ma questa verità lo mette in un'altra e
più grave crisi».
Francesco Mannoni
Letteraria
Fai una domanda ad Andrea Camilleri
C’è una domanda che vorresti rivolgere al papà del
commissario
Montalbano?
"Letteraria" ti offre questa possibilità: nel corso
della sua
intervista ad Andrea Camilleri Giovanni Capecchi (il primo biografo
ufficiale
dello scrittore) rivolgerà allo scrittore alcune domande scelte
tra tutte quelle che i pistoiesi invieranno all’indirizzo e-mail
letteraria@comune.pistoia.it
specificando nome, cognome, età, a partire da oggi fino a
domenica
10 ottobre. L’intervista sarà poi proiettata durante l’incontro
dedicato a Andrea Camilleri curato da Giovanni Capecchi che si
terrà
durante la giornata inaugurale di "Letteraria" (venerdì 15
ottobre
– ore 18.30) nella Sala Maggiore del Palazzo Comunale.
Tra le righe, 10.10.2004
Intervista ad Andrea Camilleri
Ospite della trasmissione radio "Tra le righe" in una
lunghissima intervista
assieme a Manfredi Piccolomini, il Sommo ha spaziato a ruota libera con
quel suo meraviglioso vocione rauco e coinvolgente a tutto campo:
dall'etimologia
del verbo"tambasiare" che lui coniuga volentieri ogni giorno al
contenuto
de "La pazienza del ragno" del quale ha letto l'incipit, dalla sua gana
di sbafarsi gelati nottetempo con qualche nipotino al passaggio
dall'uischi
(camillereggio anch'io) alla birra, dalla crisi che talvolta gli
provoca
Montalbano ormai diventato umano e non più personaggio
letterario
e che teme sia destinato a seppellirlo ed altre stupende serietà
e amenità, riconfermando il suo debito a Simenon (Piccolomini
peraltro
lo paragona a Graham Greene).
(segnalazione di Ravaduka)
TG1 libri,
10.10.2004
Intervista
ad Andrea Camilleri
C'è stata una breve intervista ad Andrea Camilleri, nel
tradizionale
"siparietto" culturale del TG1, roba da mezzanotte ed oltre.
L'intervista è avvenuta , credo, a ridosso del Tevere, ed ha
preso spunto dalla pubblicazione dell'ultimo Meridiano.
Camilleri ha detto:
1) che messi assieme i due Meridiani - perchè saranno editi
presto in cofanetto - ormai fanno un corpo contundente di notevole
pericolosità.
Quello che c'è dentro, non compete a lui dirlo;
2) fonti storiche: relativa importanza. "Me le invento rigorosamente,
se necessario";
3) Gino Cervi: le famose pause se l'era inventate lui per leggersi
i gobbi, visto che studiava poco;
4) Montalbano: si, ne ha piene la scatole, ma sopratutto questo
è
avvenuto verso il quinto romanzo della serie. Ora si è
acquietato,
e la cosa va avanti come un matrimonio per noia.
(segnalazione di Ignazio)
Avanti!,
11.10.2004
Arriva in libreria “La pazienza del ragno”, l’ultimo romanzo dello
scrittore siciliano
Prigionieri nella “ragnatela” di Camilleri
Con una tiratura record di trecentomila copie ricominciano le avventure
del commissario Montalbano
Palermo - Il nome di Andrea Camilleri ritorna in libreria
affianco a
quello del suo più celebre personaggio, il commissario Salvo
Montalbano.
“La pazienza del ragno”, questo il titolo del suo ultimo lavoro
letterario,
(Sellerio, 272 pagine, euro 10), esce con una tiratura record di
trecentomila
copie. Il nuovo romanzo, i cui diritti di traduzione sono già
stati
venduti a Francia e Germania, e che presto avrà una versione
televisiva,
inizia esattamente dove finiva "Il giro di boa", con il commissario
Salvo
Montalbano ferito in un conflitto a fuoco e accompagnato all'ospedale
di
Montechiaro dai suoi fidi Fazio e Gallo. All'inizio di questa nuova
avventura,
il commissario siciliano giace convalescente nel letto della sua casa
di
Marinella, accudito dall'amata Livia, ma la sua mente torna di continuo
al momento della sparatoria, all'operazione, alle raccomandazioni dei
medici.
Quello che apre il nuovo romanzo di Andrea Camilleri è un
Montalbano
malinconico e depresso, un personaggio inquieto e tormentato dalla
crisi
esistenziale che compare sempre più spesso nelle pagine delle
ultime
storie della serie. L'avanzare dell'età, i problemi di salute,
la
lontananza dal lavoro lo rendono cupo e nemmeno la quiete domestica e
le
premure dell'eterna fidanzata Livia paiono dargli conforto. Solo la
notizia
di un nuovo inspiegabile caso di sparizione sembra rianimarlo. Eccolo
allora
gettarsi a capofitto nelle indagini, per senso del dovere, ma forse
ancor
di più per combattere la noia o per sentirsi nuovamente attivo e
vitale. Un'inaspettata telefonata del fedele Catarella annuncia che
è
stato individuato, in una strada di campagna, il motorino abbandonato
di
una picciotta di Vigàta. La ragazza si chiama Susanna Mistretta,
è molto bella, studia all'Università a Palermo e vive con
i genitori in una villa poco lontana dal luogo del ritrovamento. Il
padre,
che aveva prontamente denunciato il mancato rientro della figlia, non
ha
dubbi: Susanna è stata rapita. Ma forse la verità
è
molto più complessa. Giallo insolito, senza spargimenti di
sangue,
“La pazienza del ragno” è la storia di un delitto sottilmente
perpetrato
dall'odio, capace di tessere una ragnatela a cui è arduo
sfuggire.
Tacere il finale della vicenda è d'obbligo; basti sapere che
Montalbano,
tra una sciarriatina e l'altra con la fidanzata Livia, riuscirà
a sbrogliare l'intricata matassa del mistero. Come lui solo sa fare.
“La
pazienza del ragno” è l'ottavo romanzo che ha per protagonista
il
commissario Montalbano. I precedenti sono “La forma dell' acqua”, “Il
cane
di terracotta”, “Il ladro di merendine”, “La voce del violino”, “La
gita
a Tindari”, “L'odore della notte”, “Il giro di boa”.
e.p.
Note a
margine.it,
12.10.2004
La pazienza del ragno
L’ultimo romanzo di Andrea Camilleri in due recensioni a confronto
Montalbano intimo
Dopo l’ultima raccolta di racconti, Camilleri torna nelle librerie
con un nuovo romanzo con protagonista il commissario Montalbano. “La
pazienza
del ragno” esce il 30 settembre 2004 nelle librerie e schizza ai primi
posti nelle classifiche di vendita.
Il libro fa ritrovare al lettore Montalbano esattamente dove lo aveva
lasciato: in convalescenza dopo la ferita d’arma da fuoco ricevuta al
termine
di “Il giro di boa”.
Camilleri decide di mostrare l’evoluzione del commissario, che prosegue
verso la riflessione e l’introspezione.
Come nell’ultimo romanzo, Montalbano si trova sempre più spesso
a meditare su se stesso, sulla sua vita, sul suo futuro. Il burbero
commissario
arriva più volte persino a commuoversi. Insomma viene presentato
un personaggio più umano, più fragile ed impaurito.
Anche le situazioni in cui il protagonista si trova ad agire non sono
quelle in cui è abituato a vederlo il lettore affezionato.
Da Vigàta scompare una ragazza, pare si tratti di rapimento,
Montalbano è richiamato in servizio, ma non si trova a dirigere
le indagini, bensì solo a coadiuvare un collega, incaricato dal
Questore i indagare. Quindi si vede un Montalbano più calato
nella
sua vita privata, anche perché, accanto a lui, c’è Livia,
venuta a Vigàta per stargli vicino durante la convalescenza. Per
la prima volta si vede il commissario condividere il quotidiano con la
fidanzata, confrontarsi ogni giorno, mettere in comune. E, così,
mentre Livia è un personaggio che ha un ruolo importante nel
libro,
passano in secondo piano altre figure conosciute e in precedenza sempre
presenti. La grande pecca del libro è, forse, proprio questa:
Fazio,
Augello, Adelina sono ridotti a semplici comparse.
Il risultato è quello di un’opera originale, appassionante,
di piacevole lettura, anche se ricca di atmosfere, forse, più
cupe
rispetto alle precedenti. Sebbene nel romanzo non si tratti di fatti di
sangue, la morte vi aleggia come un presagio, legata a quella che
potrà
essere la sorte della ragazza rapita. Vengono meno molte delle scene
quasi
comiche in cui Montalbano “fa teatro” col Questore o chiacchiera con
Catarella,
per fare degli esempi.
Il ritmo comunque non manca, la trama coinvolge e alla fine Montalbano
arriverà alla VERA soluzione del caso.
Chiara Bertazzoni
L’indolenza del ragno
Si respira aria di stanchezza nell’ultimo romanzo che Andrea Camilleri
ha dedicato alle gesta del commissario Montalbano, che ritroviamo,
riottoso
convalescente a cui il colpo di pistola, preso nel precedente “Il giro
di boa”, ha definitivamente strappato via la residua, giovanile e
smargiassa
baldanza, per lasciarlo con solo un perenne senso di caducità e
di paura della morte che tutto intorno a lui sembra acuire, e che,
lontanissimo
dal fornire nuove sfumature al personaggio, lo trasforma in uno
spiacevole
piagnone.
Il procedere del romanzo ruota interamente intorno all’enigma
principale
(l’abusatissima e per niente interessante idea del
rapimento-che-non-è-un-vero-rapimento)
e si fa parecchio sentire la mancanza dei misteri-corollari che di
solito
arricchiscono e rendono vari i romanzi di Camilleri. Con essi
sbiadiscono
sullo sfondo i coprotagonisti abituali che con Montalbano dividono vita
e lavoro.
Rimane sola, sempre più scialba, l’eterna fidanzata Livia,
incapace
come persona di essere la compagna di Montalbano e come personaggio di
“riempire la scena”. Non è certo un caso se non la vediamo mai
agire
al di fuori delle mura della casa di Marinella per muoversi accanto al
protagonista. Voce al telefono o “donna dell’harem”, Livia ribadisce
dunque
il suo essere “altro” dalla vita di Montalbano.
Quello che sembra venire fuori da questo romanzo è dunque una
complessiva mancanza di interesse per il risultato finale che, oltre
che
nella scarsa inventiva della trama, emerge anche dal disinteresse con
cui
sono trattati i personaggi (inclusi quelli nuovi e più
funzionali
al procedere della vicenda) e dal superfluo ‘apologo del ragno e della
ragnatela’ che lascia nel lettore una spiacevole sensazione di
“appiccicato
lì”, senza altra funzione che quella di fornire un titolo al
racconto.
Marcella Musacchia
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 12.10.2004
La Sicilia protagonista al "Noir in festival" di Courmayer
Piazzese: noi giallisti abbiamo smentito Calvino
Al Noir in festival, che si svolgerà dal 7 al
12 dicembre
[fino al 13, vedi anche http://www.noirfest.com,
NdCFC] a Courmayeur, quest´anno è il turno della
Sicilia.
Saranno otto gli scrittori di genere coinvolti, tra cui Andrea
Camilleri,
Santo Piazzese, Domenico Cacopardo, Piergiorgio Di Cara e Gaetano
Savatteri,
i quali parleranno del rapporto con la propria terra,
dell´esistenza
o meno di una scuola isolana del giallo, della tradizione siciliana del
poliziesco e dei nuovi scenari del noir.
«La letteratura poliziesca siciliana - spiega Santo Piazzese
- è nel suo complesso interessante perché la letteratura
isolana in generale è interessante. Si tratta, in definitiva, di
una proiezione dell´attenzione dalla letteratura tout court
al ramo poliziesco».
Dietro i giallisti contemporanei c´è una tradizione
interessantissima,
con Ezio d´Errico in prima fila, seguito da Franco Enna e persino
da Sciascia...
«Sciascia è uno scrittore a trecentosessanta gradi. Lui
ha usato il giallo alla stregua di un grimaldello, per cercare di
interpretare
la nostra realtà, per penetrarne i misteri».
Ma dietro all´exploit attuale di polizieschi e di noir,
ci sta quella che potrebbe essere definita la «funzione»
Camilleri:
giusto?
«Il grande merito di Camilleri è stato quello di aver
sdoganato la letteratura gialla, non solo in Sicilia, ma in tutta
Italia.
Dalle nostre parti, il giallo per troppo tempo ha sofferto della nomea
di essere para-letteratura. Grazie allo strepitoso successo di vendite
di Camilleri, e alla qualità dei suoi libri, si è
innescato
un meccanismo virtuoso, una sorta di reazione a catena».
E dire che Italo Calvino aveva parlato, a proposito di Sciascia,
dell´impossibilità
di ambientare un giallo in Sicilia...
«È vero, l´ha scritto Calvino, ma prima di lui
Alberto
Savinio aveva teorizzato l´impossibilità di scegliere,
come
scenario di un poliziesco, le città italiane, per
l´assenza
di nebbia e bruma, e per la presenza accecante del sole. Sia Savinio
che
Calvino sono stati smentiti dai fatti. C´è però da
dire che non esiste un giallo italiano: ci sono i gialli regionali. La
letteratura italiana tutta è policentrica, variegata. E di
conseguenza
anche il noir rispecchia questo carattere. Il giallo, in
definitiva,
obbedisce a quella regola di cui parlava Stendhal nella sua avvertenza
alla "Certosa di Parma". Il grande scrittore francese scriveva infatti
che se ci si sposta di cento leghe da mezzogiorno verso settentrione,
non
cambia solo il paesaggio, ma cambiano anche i romanzi. Questa è
una sacrosanta verità».
Ma esistono caratteri che accomunano i giallisti siciliani?
C´è
un motivo di fondo, nella scrittura o nel rapporto tra autore e
territorio?
«A me pare che non esista una scuola siciliana del giallo: ci
sono troppe disomogeneità tra me, ad esempio, e Camilleri, tra
Cacopardo
e Di Cara. Ad accomunarci, è vero, c´è
l´origine
siciliana. Ma solo quella. La nostra situazione è opposta
rispetto
a quella sarda, ad esempio, più compatta e omogenea. Ecco, mi
sento
di dire che esiste una scuola sarda del poliziesco: c´è un
unico punto di irradiazione, una matrice comune, da individuare in un
libro,
“Miele amaro”, di Salvatore Cambosu. Si tratta di una raccolta di
scritti
che a mio avviso sta alla base di quello che oggi gli autori
contemporanei
scrivono, del loro modo di rapportarsi all´isola. In Sicilia
continuano
a predominare la metafora, l´allegoria, ma declinate da punti di
vista di volta in volta diversi».
s.f.
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 12.10.2004
Quando il vento del sud soffia anche sui romanzi
L'età dello scirocco
I giorni caldi della Sicilia visti dagli scrittori
«Nel pomeriggio si mise a soffiare lo scirocco. Il
segnale lo
diede la banderuola di ferro sul terrazzo di fronte al mio balcone:
cigolava
sempre, ma quando soffiava lo scirocco pareva impazzisse addirittura e
il suo stridìo esasperante penetrava nelle vene».
Così
scriveva Romualdo Romano, scrittore palermitano morto a Roma tre anni
fa,
nel suo romanzo intitolato appunto “Scirocco”. Romanzo tutto quanto
attraversato
dal tipico vento del sud, all´inizio caldo e secco, e via via
sempre
più umido, che «quando spira - si legge - par che voglia
radere
la terra», facendo precipitare gli animi in uno stato di
prostrazione
e di noia esistenziale.
La declinazione letteraria dello scirocco, da Romualdo Romano in poi,
avrà grossa fortuna nelle pagine degli scrittori siciliani,
diventando
un vero e proprio motivo di fondo, quasi la colonna sonora di tanti
racconti
e romanzi isolani. A cominciare da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che
però
da Romano sembra ricavare piuttosto l´immagine di una Sicilia
immobile,
dannata all´oblio e al sonno, piagata da un´estate lunga,
umida
e prostrante. Non fu da meno il cugino di Tomasi, Lucio Piccolo, il
quale
intitolò una poesia al vento del Sahara, che
«d´assalto
prende le porte grandi / gli osservatori sui tetti di smalto, / batte
alle
facciate da mezzogiorno, / agita cortine scarlatte, pennoni sanguigni,
aquiloni». È uno scirocco che ha poco di languido, quello
del poeta di Capo d´Orlando, e che porta subbuglio ma non
sfinimento
o fiacchezza.
Come accade invece nelle pagine di Vincenzo Consolo, quelle della
“Ferita
dell´aprile” (1963): «Lo scirocco è un tempo che
spossa,
che chiude gli occhi e ogni cosa, addormenta pensieri e
sentimenti».
Per restare ancora in ambito messinese, c´è poi lo
scirocco
che soffia nelle pagine dell´”Horcynus Orca” di Stefano
D´Arrigo
(1975): scirocco che «aveva infocato la posta»,
accompagnando
il nocchiero ‘Ndrja Cambrìa nel suo viaggio da Napoli verso lo
Stretto.
È un vento che trascina parlate millenarie, quello di
D´Arrigo,
legandole al dialetto, in un miscuglio incomprensibile.
Nell´”Affaire
Moro” (1978) di Leonardo Sciascia lo scirocco penetra ogni cosa, come
il
pensiero della morte: «Nelle case patrizie siciliane c´era,
ingegnosamente escogitata credo nel secolo XVIII, una camera dello
scirocco:
dove rifugiarsi nei giorni in cui lo scirocco soffiava. Ma una camera
in
cui rifugiarsi, in cui difendersi dal pensiero della morte?».
E a proposito della camera anti caldo, viene alla mente il romanzo
di Domenico Campana (1986) da cui è stato tratto il film di
Maurizio
Sciarra del ´98, con Giancarlo Giannini e Tiziana Lodato:
«La
stanza dello scirocco è un grande locale bianco, disadorno, che
s´affaccia nel cortile interno. Vi si accede da una scaletta di
pietra
e non ci sono finestre, solo qualche fessura per dare un po´ di
luce.
Lo si tiene quasi segreto perché sia meglio riparato». In
quella caverna intonacata, da secoli la famiglia Acquafutura si
rifugiava
con i servi, perché i nervi umani non venissero divorati dal
vento
del deserto.
E un fiato che divora i nervi è lo scirocco di “Diceria
dell´untore”
(1981) di Gesualdo Bufalino: «Il soffio che ne nasce non fa
nemmeno
sudare, ma stringe dentro un pugno il cuore, scaglia le rondini a
rompersi
contro la sciara, dovunque fa luminello, seminando sabbia africana in
ogni
piega della pelle e del suolo». Un soffio che si porta dietro
miasmi
e tanfo di morte. Di tutt´altro genere è il vento che
soffia
nelle pagine di “Scirocco” (1993) di Silvana La Spina: «Dà
alla testa. Non so se capisce, è come una furia che ti prende,
un
bisogno di mordere quasi; mentre il sangue che prima ti scorreva nelle
vene improvvisamente fa groppo qua e là, e tu non sai dove
battere
il capo». C´è dunque lo scirocco furioso della La
Spina,
ma anche quello sofisticato e ironico dei “Delitti di via
Medina-Sidonia”
(1996) di Santo Piazzese: «Ma anche perché, tutto sommato,
la storia comincia con una sciroccata, che del tempo atmosferico
è
contemporaneamente la parte dramma e la parte commedia. Forse che Dio,
quando soffiò la vita in un Adamo di creta, non la soffiò
da sud-est? Così lo scirocco nacque prima di Adamo. La Genesi
non
ne fa cenno: era troppo ovvio». Quello di Piazzese è un
vento
che fa drizzare e crepitare i peli delle braccia,
«sbiellando»
la testa di tutti, anche quella del leone, nella gabbia in fondo ai
Giardini
botanici.
E per concludere, c´è lo scirocco che annuncia
l´apocalissi
nella “Stanza dei lumini rossi” (1997) di Domenico Conoscenti:
«Il
treno arrivò in stazione poco prima di mezzogiorno. Era una
giornata
di scirocco, di quelle improvvise, prima dell´estate vera e
propria
e che finiscono di colpo, dopo due, tre giorni, lasciando il cielo
più
scuro e pesante di prima».
Si sa che, dopo circa tre giorni, per compensare le differenze di
pressione
atmosferica, lo scirocco viene sostituito da un vento freddo
continentale
che soffia da nord a sud: la tramontana, che abbassa la temperatura ma
arreca bel tempo. E attraversate dalla tramontana sono le pagine di
Andrea
Camilleri, il quale sembra refrattario nei confronti dello scirocco.
Basta
prendere tra le mani gli “Arancini di Montalbano” (1999): «Tirava
infatti una tramontana gelida e stizzosa, la rena s´infilava
negli
occhi e nella bocca, i cavalloni partivano alti sulla linea
dell´orizzonte».
Per non parlare dell´incipit dell´”Odore della notte”
(2001),
reso movimentato da una tramontana «gelida e determinata».
Salvatore Ferlita
Fahrenheit,
13.10.2004
I libri del giorno
C’è
Camilleri in libreria
Andrea Camilleri, La pazienza del ragno, Sellerio
Cliccare
qui per scaricare l'intervento di Andrea Camilleri
Comune
di Pistoia, 13.10.2004
Cultura
Camilleri: “Montalbano scende alla decima fermata”
Terminerà con il decimo romanzo la saga del commissario
più
famoso d’Italia. L’annuncio in un’intervista esclusiva per Letteraria,
la kermesse pistoiese, quest’anno dedicata al giallo e ai suoi autori.
Venerdì la proiezione integrale in Sala Maggiore.
Si concluderà con il decimo romanzo la saga del
commissario più
famoso d’Italia. Lo ha annunciato il suo autore, lo scrittore Andrea
Camilleri,
in un’intervista esclusiva che il suo primo biografo, il pistoiese
Giovanni
Capecchi, ha realizzato questa mattina a Roma nella casa dell’inventore
del commissario Montalbano. L’intervista sarà proiettata
venerdì
pomeriggio nella Sala Maggiore di Palazzo Comunale a Pistoia, durante
l’iniziativa
di apertura di “Letteraria. Letture, lettori, letterature”, la kermesse
organizzata dal Comune di Pistoia e quest’anno dedicata appunto al
giallo
e ai suoi autori.
Andrea Camilleri, che ha dovuto rinunciare ad essere presente di
persona
a Letteraria per problemi di salute, ha concesso però una lunga
intervista che verrà proiettata al pubblico pistoiese. Nel corso
della chiacchierata lo scrittore ha detto che l’ultimo dei romanzi
dedicati
al personaggio interpretato sullo schermo dall’attore Luca Zingaretti
“comincia
già ad averlo in testa”. La saga del commissario Salvo
Montalbano
è adesso all’ottavo romanzo, mentre il nono – in uscita da
Sellerio
nel 2005 – è già stato consegnato all’editore.
“Vorrei che i miei affezionati lettori – aggiunge Camilleri –
considerassero
che sono nato nel 1925 e che l’anno prossimo compirò 80 anni.
Sono
un uomo ordinato e lasciare le cose a mezzo mi dà fastidio. Per
questo mi sono proposto di arrivare a dieci romanzi”.
Già “La pazienza del ragno” era sembrato un giallo anomalo,
senza alcun delitto. “Se ne vedono già troppi – spiega Camilleri
nell’intervista – semplicemente guardando i telegiornali. E non se ne
avverte
quindi la mancanza”.
Il colloquio si chiude con lo scrittore che legge la pagina del romanzo
in cui si spiega la scelta del titolo. Parlando dei suoi esordi come
poeta
a vent’anni e della notorietà che ha raggiunto a settanta,
Camilleri
osserva infine che “io sono lo stesso di allora. Però dopo dieci
milioni di copie vendute è la mia dichiarazione dei redditi ad
essere
cambiata. Quando scrivo non sono condizionato dall’idea di avere decine
di migliaia di lettori ma sicuramente sento un po’ di
responsabilità
in più e giudico prezioso il rapporto con loro”.
Come finirà Salvo Montalbano? “E’ un personaggio letterario
– spiega Camilleri nell’intervista – e la sua non sarà una morte
violenta. Non verrà ucciso dalla mafia, ma scomparirà
letterariamente”.
Letteraria si apre a Pistoia venerdì 15 ottobre alle 17 con
la presentazione della rassegna a cura del sindaco Renzo Berti e
dell’assessore
alla cultura Rosanna Moroni, poi Luca Crovi parlerà dei classici
del genere, e Massimiliano Barbini leggerà alcuni brani celebri.
Alle 18.30 verrà proiettata l’intervista ad Andrea Camilleri.
Alle
23 presso il Pirobutirro, un po’ pub, un po’ locale off pistoiese,
iniziano
gli appuntamenti con la sezione giovanile di Letteraria con Rionenoir,
un tributo ad Andrew Cunanan.
Il
Messaggero,
13.10.2004
Arriva nel Maceratese l’opera da camera per quattro Comuni
Macerata. Ritorna “Opera Aperta”, progetto organizzato
dall'Associazione
Accademia della Libellula sotto la direzione artistica di Cinzia
Pennesi,
voluto dagli Assessorati alla Cultura dei comuni di Pollenza, Matelica
e Tolentino, ai quali si è aggiunto per questa nuova edizione,
anche
Corridonia. Il progetto ha visto circuitare nei diversi teatri della
provincia,
Opere da Camera di diverse epoche, divulgando un patrimonio musicale
quasi
sconosciuto alla stragrande maggioranza di pubblico ed ha fornito
occupazione
soprattutto ai professionisti locali, rispettando una delle principali
caratteristiche di questo progetto. La stagione avrà inizio nel
mese di dicembre e vedrà protagonista […] nel mese di
febbraio
“Il Quadro delle Meraviglie”, intermezzo in un atto su libretto di
Andrea
Camilleri e musiche di Franco Mannino, presso il teatro Vaccai di
Tolentino.
[…]
Westdeutsche
Allgemeine,
13.10.2004
Sizilien ist oft keine Reise wert
Der sizilianische Erzähler Andrea Camilleri steht im Ruf,
die Stimme
Siziliens in der italienischen, in der europäischen Literatur von
heute zu sein. Dieser Ruf wird durch seinen neuen Roman "Das kalte
Lächeln
des Meeres" auf beklemmende Weise bekräftigt.
Was er über die Seele der Sizilianer zu sagen hat, kleidet der
79-Jährige - darin seinem Landsmann Pirandello nicht
unähnlich
- in Alltagsgeschichten von einfachen Leuten. Von städtischen
Angestellten,
Bauern oder Fischern, von ein paar Vertretern der offiziellen und der
inoffiziellen
Oberschicht.
Welche Pastiches auch immer er dabei tupft, welche bezaubernden
Sittengemälde
er in seinen historischen Romanen oder Kriminalgeschichten entwirft:
Stets
ist das "Paradies der kleinen Sünder" (so heißt ein
Erzählungsband)
das ebenso fiktive wie typisch sizilianische Städtchen
Vigàta,
und stets durchzieht ein wärmender Wind mediterraner
Unbeschwertheit
das Geschehen. In seinem neuem Roman aber macht dieser Wind
plötzlich
frösteln.
Commissario Montalbano will aussteigen, die Brocken hinwerfen, weil
er angewidert ist von einer außer Kontrolle geratenden
Globalisierung,
von der Migrationspolitik der europäischen Staaten im allgemeinen
und der italienischen (Berlusconi-)Regierung im besonderen, weil er
nicht
länger Spielball obskurer Interessen sein will. Als Montalbano im
Hafen spontan einem afrikanischen Flüchtlingskind zu helfen
versucht,
erweist sich das als fataler Fehler. Unvermittelt sieht sich er sich
mit
einem internationalen Menschenhandel konfrontiert, dessen Dimension
kaum
zu ermessen ist.
Der brisante Roman, vielleicht Camilleris bester, enstand 2003. Im
Juli 2004 erlebte die Welt das Flüchtlingsdrama um die Kap Anamur.
Andrea Camilleri: Das kalte Lächeln des Meeres. Roman. Lübbe.
284 Seiten, 18 Euro.
Wolfgang Platzeck
Corriere
Adriatico,
13.10.2004
Cresce il successo della manifestazione, ora si punta su Camilleri
e Bergonzoni
Cartacanta regina delle fiere
Nata come piccola mostra-mercato per qualche collezionista, ha
abbracciato
il mondo dell'editoria abbinando il Salone del Libro Regionale;
è
cresciuta fino a diventare festival-expò ma da qui a tre anni
sarà
la vetrina dell'eccellenza grafica-cartaria delle Marche. Questa
l'evoluzione
di Cartacanta in sole 6 edizioni.
[…]
E in questi giorni sono stati allacciati i contatti per il prossimo
anno. Si pensa a una fiera vera e propria con contatti tra produttori
grafici-cartari
e operatori commerciali. Si pensa a partecipazioni illustri tramite
Valerio
Calzolaio che ha partecipato nella veste di esperto e appassionati di
libri
gialli. Circolano i nomi di Camilleri e Bergonzoni.
[…]
La Nazione,
13.10.2004
Pistoia
Ridendo con Montalbano
l’Unità,
14.10.2004
Montalbano muore nel decimo romanzo? Chissà, forse
nell'undicesimo:
parola di Camilleri
“Il decimo romanzo? E perché no l'undicesimo? Non
è una
questione di ordine numerico, ma di riflessione letteraria. Quel che
è
certo, è che la “scomparsa” del commissario Salvo Montalbano, la
deciderà il suo autore. E tra l'altro, le dirò, è
impegnato a pensarci”. Con la sua consueta ironia Andrea Camilleri ci
spiega
che non è detto che il decimo romanzo, sarà quello che
concluderà
la saga del commissario più famoso d'Italia. La notizia sulla
“fine”
di Salvo Montalbano era stata battuta da un'agenzia Ansa di ieri
pomeriggio,
che anticipava il contenuto di una videointervista allo scrittore
siciliano
di Giovanni Capecchi, fino a poche settimane fa assessore alla cultura
di Pistoia (L'intervista verrà proiettata domani pomeriggio nel
corso dell'iniziativa Letteraria. Letture, lettori, letterature).
“Vorrei
che i miei affezionati lettori – dichiara Camilleri nell'intervista –
considerassero
che sono nato nel 1925 e che l'anno prossimo compirò 80 anni.
Sono
un uomo ordinato e lasciare le cose a mezzo mi dà fastidio. Per
questo mi sono proposto di arrivare a dieci romanzi”. Ma parlando con
noi
Camilleri precisa: “Sto riflettendo sulle modalità della fine,
ma
è una questione complessa che attiene a una scelta critica e
filosofica
al tempo stesso. Inizio a intravedere la conclusione, ma ancora non mi
è del tutto chiara. Penso ad una contrapposizione fra l'autore
ed
il protagonista, ad un dialogo fra i due. Del resto non sarebbe la
prima
volta che il commissario parla con il suoi inventore. Quando in un
racconto,
non ne poteva più di una storia di violenza eccessiva, mi
telefonò
e disse sostanzialmente che non ci stava, non era una storia che poteva
andare bene per Montalbano”.
Insomma, la conclusione è tutt'altro che vicina, in divenire,
aperta. Montalbano ha una personalità forte, è il
protagonista
delle serie di romanzi gialli che sono parte essenziale, non solo del
successo
letterario di Camilleri, ma anche del nucleo centrale della sua
elaborazione
narrativa. Vanno letti non come esperienza narrativa diversa dai
romanzi
storici, ma come complementari. Del resto, la serie su Montalbano,
contiene
riflessioni storiche, sociali, di costume, ha più livelli
narrativi.
Li ha colti in maniera acuta, uno dei più grandi studiosi di
letteratura
italiana: Salvatore Nigro.
Sull'intervista Camilleri aggiunge: “Confermo i contenuti
dell'intervista
di Capecchi, ripresa dall'Ansa. Montalbano è un personaggio
letterario
e la sua non sarà una morte violenta. Non verrà ucciso
dalla
mafia. La sua sarà una scomparsa letteraria. Però questo
non vuol dire che avverrà nel decimo o nell'undicesimo romanzo.
Insomma, se mi vengono in mente altre storie, mica non le racconto.
Quel
che voglio sottolineare, è che sto già pensando al
romanzo
conclusivo. La cui struttura narrativa sarà naturaliter
collegata
all'uscita di scena di Montalbano. Il commissario ha diritto a una
scomparsa
di pura invenzione. Originale. Niente fini tragiche”. Ma non può
anticiparci qualcosa? “Ci sto riflettendo, è un a situazione in
fieri... a volte penso all'autore con una gomma che lo cancella”. E'
una
conclusione che può esser densa di metafore? “Non potrebbe
essere
altrimenti. Nel romanzo conclusivo, la riflessione filosofica
già
palese ne “La pazienza del ragno” sarà ancora più forte,
impregnerà la stessa narrazione”. Una riflessione
metaletteraria,
dunque? “Esatto: la lotta fra lo scrittore e Montalbano ha una valenza
metaletteraria...”
E' la fine di Montalbano? Con Camilleri, mai dire mai: in vidiri e
svidiri può succedere di tutto...
Salvo Fallica
Il
Messaggero,
14.10.2004
Camilleri, il sottile soffio della malinconia
«Dato che non c’è nisciuno a taliarlo, s’asciuca
una lacrima
con la punta del linzolo». E’ un Montalbano stranito e con incubi
notturni, sempre alla stessa ora, pieno di acciacchi per via di un
ferimento
e del successivo soggiorno in ospedale, portato a commuoversi
facilmente
e a nasconderne le conseguenze dinnanzi a chi gli è caro, come
Livia
in vacanza invernale litigiosamente e amorevolmente molto presente.
Forse
per la prima volta il commissario sente malinconicamente gli anni che
sono
ormai cinquantaquattro. Porta dentro di sé gli scoramenti, le
incertezze
esistenziali, i ripiegamenti, i dubbi su ciò che vede intorno a
sé. Il lampo dell’intuizione e la ragnatela della ragione
agiscono
ancora insieme per guidarlo alla “verità”, ma con quanta fatica
riescono a fissare «il centro della ragnatela» costruito
«dai
punti di convergenza di tutti i fili, tenuti assieme da un filo diverso
dagli altri, fatto a spirale». Ciò che per la giustizia
è
sbagliato può non esserlo per lui che, con i metodi di indagine
sempre meno canonici affianca un collega nell’inchiesta al centro de
“La
pazienza del ragno” (Sellerio, 256 pagine, 10 euro), l’ultima sua
avventura
in cui lo fa muovere Andrea Camilleri come un pesce intontito
nell’acqua
stessa in cui continua a nuotare.
Si tratta di un rapimento davvero anomalo, quello su cui egli indaga,
ad essere scomparsa è una ragazza di Vigata i cui genitori sono
quasi all’indigenza dopo essere stati molto ricchi. Il vero obbiettivo
è uno zio materno, imprenditore assai disinvolto, in procinto di
spiccare il volo anche in politica, che ha rovinato la famiglia della
rapita
e ne pagherà in modo imprevedibile ogni conseguenza. Un giallo
senza
delitto né alcun ammazzamento in cui Camilleri riesce a
distillare
un’ossatura drammaturgica secca ed essenziale con la sua lingua
meticcia,
granulata di idiomatismo che sempre più è una sorta di
clausola
ritmica, di cursus della memoria che ravviva, colorisce l’espressione e
muove l’azione. E a questa soluzione linguistica Camilleri è
giunto
gradualmente, come si può constatare leggendo i suoi “Romanzi
storici
e civili” (Mondadori 1772 pagine, 38 euro), il Meridiano ben curato da
Salvatore Silvano Nigro che ha anche un’ottima cronologia di Antonio
Franchini.
Renato Minore
Giornale di Sicilia,
15.10.2004
Andrea Camilleri parla della nuova avventura del commissario reso
celebre
da Luca Zingaretti. Ma, confessa, sono i "Romanzi storici e civili" i
lavori
a cui tiene di più e qui il poliziotto non c'è
La pazienza di Montalbano
Da pochi giorni nelle librerie ha già conquistato la
vetta delle
vendite. Una scalata apparentemente senza difficoltà, quella de
“La pazienza del ragno”, frutto della penna sempre felice e
dell'esperienza
di Andrea Camilleri. L'ultima fatica dell'acuto scrittore agrigentino,
edita da Sellerio, la casa editrice palermitana con cui - intercorrono
intese di lungo corso - prende il via là dove terminava il
precedente
“Il giro di boa”. I fili che intesse Montalbano mettono in luce un
commissario
più riflessivo e melanconico, in piena crisi esistenziale dopo
il
ferimento nel corso di un conflitto a fuoco. Sarà la scomparsa
di
una ragazza, a ridestare in lui l'interesse per la vita professionale.
Così improvvisamente una notte, Montalbano si sveglia trafelato
con Livia che gli dorme serenamente accanto: «A tirarlo fora dal
sonno era stata una fitta gelida come una lama alla ferita della spalla
mancina - spiega Camilleri nel libro -. Non ebbe bisogno di taliare il
ralogio sul comodino per sapiri che erano le tre e mezza di notte, per
la precisione le tri, 27 primi e 40 secondi». Da quel momento, si
risvegliano i sentimenti più reconditi dei commissario
più
amato d'Italia di cui il bravissimo Luca Zingaretti veste i panni.
«La pazienza del ragno» ci presenta un Montalbano
solitario
e più riflessivo, nella malinconia e negli addolcimenti di una
sopraggiunta
maturità, in un giallo senza spargimenti di sangue. Cosa non
«quadra»
stavolta a Montalbano? Qual è l'elemento chiave, catartico di
questo
romanzo?
«L'elemento chiave non è l'indagine sul nuovo rapimento,
è il dissidio fra la coscienza di Montalbano e la legge, le
regole
che deve rispettare. Nei romanzi precedenti, la crisi riguardava fatti
esterni, ora riguarda solo lui ed il rapporto col suo mestiere. Non so
se sarà motivo di altri romanzi, invento storie senza lasciarmi
nulla alle spalle».
Sono in libreria i «Romanzi storici e civili»,
editi
da Mandadori per la collana I Meridiani, cui lei tiene molto. Il volume
contiene, fra gli altri, «Il birraio di Preston», «La
concessione del telefono» e, in appendice, le inedite stesure
preliminari
de «Il re di Girgenti».
«Si tratta dei romanzi cui tengo di più, come ricerche
strutturali e linguistiche. Sono i romanzi dove non è presente
Montalbano».
Lei scrive romanzi traendo spunto da elementi apparentemente
insignificanti,
una voce, un orcio, un particolare di un oggetto o di un paesaggio e ci
fantastica sopra, sorprendendoci sempre per quel guizzo, quell' ironia,
quel sapore antico di storie che si riallacciano alle nostre tradizioni.
«Osservazione giustissima. Le mie storie nascono sempre da fatti
di cronaca, poi distruggo le stesure e gli articoli di giornale che
sono
serviti da input».
Nel suoi romanzi mostra affetto e sincero attaccamento ai
personaggi
e ad una Sicilia carica di storia, di tradizioni, di modi di dire che
sono
modi di essere, «il sale di una cultura», come ha detto a
Francesco
Guccini in un recente incontro in un teatro romano. Cosa la
«perplime»
e cosa la affascina di più oggi della Sicilia?
«Mi esprimevo così con Guccini perché anche lui
è attento ai messaggi che esprime il dialetto. Se la Sicilia
fosse
facilmente raccontabile non avrebbe il fascino che ha. È
contraddittoria,
si piomba nel cupo pessimismo, poi giri l'angolo e trovi cose che ti
invitano
all’ottimismo. Sta evolvendo in meglio, è un cambiamento dei
tempi
profondo che i siciliani capiscono, indipendentemente dalla politica.
Ricordo
che una volta la famiglia ergeva muri altissimi, un concetto che ora si
è perso. Ho visto in televisione gli aiuti dati nel Siracusano
ai
disperati che approdano sulle nostre coste: ecco, in questi casi mi
sento
ancora orgoglioso di essere siciliano, detto naturalmente con la giusta
polemica. Apprezzo questa generosità, lo slancio dei
siciliani».
Presto cominceranno le riprese dei nuovi quattro episodi di
Montalbano
(che comprendono anche la trasposizione de «La pazienza del
ragno»)
di cui lei curerà la sceneggiatura assieme al giovane Francesco
Bruni: è lui il suo Fazio?
«Il 90% del merito va ascritto a Bruni, io rivedo i dialoghi
e apporto integrazioni. Quanto alla messa in onda, non ne conosco i
tempi».
È stato insegnante di Luca Zingaretti all'Accademia
d'Arte
Drammatica Silvio d'Amico. Cosa ricorda di quell'esperienza?
«Già da allora Luca mi colpì molto, ne seguii i
primi passi in teatro. Luca è più giovane del mio
personaggio,
né ha il fisico del ruolo, eppure ha reso un perfetto
Montalbano.
Molti di quei ragazzi sono diventati attori avendo più o meno
fortuna».
Negli anni d'oro della Rai ha curato la trasposizione
radiofonica
e televisiva di romanzi e opere teatrali memorabili - a cominciare da
quelle
di De Filippo - che divennero patrimonio comune. Della tv di oggi, cosa
pensa, che telespettatore è?
«Vedo molto poco la tv, ma se interessa così tanta gente
evidentemente sono in minoranza. La mia è stata una stagione
anche
di grandi varietà, uno per tutti “Studio Uno”. Ora il livello
è
basso, salvo buone eccezioni».
Il Teatro Stabile di Catania ha in cartellone nella stagione
2005-2006
la trasposizione teatrale de «La concessione del telefono».
Sono previsti altri appuntamenti nella sua terra?
«La riduzione teatrale è opera mia e di Giuseppe Di
Pasquale
che ne cura la regia. Quanto alla Sicilia, spero proprio di andarci
senza
appuntamenti per godermi la mia terra».
Ma intanto il carnet di Camilleri è fitto di impegni: domani
stesso partirà da Roma per ritirare il Premio Vigevano.
Carla Collodi
Café
Letterario
di Alice.it, 15.10.2004
Andrea Camilleri
La pazienza del ragno
“Tutto quello che succede nel nord, fascismo, liberazione,
industrializzazione,
da noi arriva con molto ritardo, come un’onda pigra. E quindi anche da
noi qualche magistrato si risvegliò.”
Non c’è sangue, non ci sono assassini in quest’ultimo
romanzo
di Camilleri, anche se mai la sua scrittura ha prediletto l’effetto
cruento
per sollecitare il consenso del lettore. Eppure non manca la
drammaticità,
non manca la suspence, a dimostrazione che è possibile costruire
un buon poliziesco anche senza compiacimenti macabri. Centro
dell’indagine
condotta da Montalbano è un rapimento. Il commissario, che
nell’immaginazione
del lettore ha ormai le fattezze di Zingaretti, è convalescente
dal ferimento di cui era rimasto vittima alla fine del romanzo
precedente,
“Il giro di boa”, e non ha ancora ripreso servizio. Ma, nonostante la
debolezza
più psicologica che fisica che lo attanaglia (il pianto facile,
un’amarezza e una disillusione generale nei confronti della
realtà
che lo circonda), si attiva subito a seguire le indagini su di un caso
davvero inquietante: una bella ragazza, Susanna Mistretta, la cui
famiglia
è nota per non avere denaro, sembra essere stata rapita
perché,
alla fine di una normale giornata di studio a casa di un’amica,
è
inspiegabilmente scomparsa. I colloqui con il padre, un uomo distrutto
dalle gravissime condizioni di salute della moglie prossima alla morte,
e con lo zio paterno sembrano rendere sempre più oscuro il caso.
Quasi all’improvviso si ha però una svolta: il rapimento viene
rivendicato
in una drammatica telefonata, è chiesto un riscatto, e si viene
a conoscenza dell’esistenza di un altro familiare a cui va attribuita
sia
la catastrofe finanziaria della famiglia Mistretta sia la fatale forma
depressiva della madre.
Quando però il caso sembra del tutto risolto, e la ragazza
rilasciata,
alcune incongruenze creano in Montalbano l’urgenza di capire, di
arrivare
alla verità che l’apparenza dei fatti sembra nascondere.
È
pura curiosità intellettuale, anzi morale, quella che spinge il
commissario ad approfondire la vicenda e non ha nessuna intenzione di
dare
ufficialità e pubblicità alle proprie scoperte: è
per sé, per avere ancora qualche speranza negli uomini, che
vuole
sapere come sono andate le cose.
Un romanzo anomalo in cui il vero colpevole non può essere
assicurato
alla giustizia perché le sue responsabilità non hanno una
valenza giuridica, e l’unica condanna con cui lo si può punire
è
il giudizio pubblico negativo, è il disprezzo della
collettività.
Grazia Casagrande
Varesenews,
15.10.2004
Fiction - Intervista al regista bustocco Alberto Sironi, reduce dal
recente successo televisivo di “Virginia, la monaca di Monza” che ha
raccolto
oltre 9 milioni di spettatori
«Nel 2005 girerò altri quattro film di
Montalbano»
Busto Arsizio. "Virginia, la monaca di Monza" ha ottenuto
oltre 9 milioni
di spettatori. Un risultato che conferma le capacità del regista
bustocco, Alberto Sironi che da anni sforna per la Rai, fiction di
grande
successo. Su tutti i film della serie de "Il commissario Montalbano"
con
Luca Zingaretti. Sironi da anni vive a Roma e i vari successi
televisivi,
tra cui anche "Salvo d’Acquisto" e "Il grande Fausto", lo hanno portato
a essere uno dei registi televisivi di maggior garanzia per la Rai, con
un’ottica molto cinematografica e mai scontata, sia nel modo di
raccontare
le storie, sia nelle tematiche affrontate.
[...]
Adesso è di nuovo al lavoro. Cosa ha in cantiere?
«Si tratta di due film basati sullo stesso personaggio: un
avvocato.
Detto all’americana sarebbero dei "legal thriller". Le storie sono
basate
su due romanzi, pubblicati da Sellerio, scritti da un ex magistrato
della
Dia, Gianrico Carofiglio: "Testimone inconsapevole" e "Ad occhi
chiusi2.
L’ambientazione dei romanzi è a Bari, ma noi stiamo girando a
Trani
perché penso sia una cittadina con una dimensione più
umana».
Potrebbe essere l’inizio di una nuova serie alla Montalbano?
«Forse. Per ora giriamo i primi due capitoli. Lo scrittore
è
già al lavoro su un altro romanzo. Vediamo se piaceranno queste
due trasposizioni. Penso che andranno in onda il prossimo anno».
A proposito di Montalbano, Zingaretti aveva recentemente
dichiarato
che avrebbe partecipato agli ultimi due episodi della serie...
«Nel 2005 gireremo altri quattro episodi, due in primavera e
due in autunno, sempre basandoci sulle storie di Camilleri pubblicate
da
Sellerio. Zingaretti naturalmente sarà ancora dei nostri».
[...]
Ha in mente di realizzare qualcosa per il cinema?
«Ho sempre sognato di farlo e prima o poi succederà.
Adesso
però c’è molta crisi: in questi primi mesi del 2004 sono
stati realizzati in Italia solo 15 film, un dato mai visto. Inoltre,
tra
questa nuova fiction e Montalbano sono preso per almeno due anni. Ho in
cantiere un paio di progetti per il cinema e spero di poterci lavorare
nel 2006. Sicuramente non voglio realizzare il mio primo film con i
soldi
dello Stato».
Perché?
«Voglio fare un film per il pubblico, non fine a se stesso. Uno
dei motivi della crisi del cinema è anche il fatto che non ci
sono
più i produttori di una volta. La maggior parte di loro, se non
prende i soldi dallo Stato, li prende dalla televisione. I film non si
pagano più con gli spettatori. Perciò i produttori non
rischiano
più, vanno sul sicuro e poco importa la fine che farà il
film. Io, invece, vorrei realizzare una pellicola per gli
spettatori».
Manuel Sgarella
Parole
in tavola, 16.10.2004
Alle ore 21:00, presso la Cavallerizza del Castello
Visconteo Sforzesco di Vigevano,
nell'ambito della settimana letteraria dedicata al tema "Letteratura e
gusto" Andrea Camilleri riceverà il premio alla carriera.
La Nazione,
16.10.2004
Pistoia. Sala maggiore di Palazzo di Giano colma per l'esordio di
Letteraria
segnato dall'intervista [... ]
Giornale
di Brescia,
16.10.2004
La solitudine di Montalbano nella rete del ragno
Torna il celebre commissario creato da Andrea Camilleri
Spaventato, con gli occhi sbarrati nel buio della notte: lo
ritroviamo
così, Salvo Montalbano, solo pochi giorni dopo quella sparatoria
che chiudeva «Il giro di boa». Al suo fianco, Livia, corsa
alla villa di Marinella per seguire la convalescenza del commissario
più
amato dagli italiani. Lentamente, con fatica, Montalbano torna
all’indagine.
Anzi, lo fa quasi di striscio. Per conto suo. Se il «giro di
boa»
aveva portato il commissario di Vigàta a prendere coscienza
dell’età
che avanzava, in un mondo che gli piaceva sempre meno, la tela del
ragno
sembra ora ancor più isolarlo in una solitudine complessa e
dalle
molte sfaccettature. Una telefonata di Catarella riporta Salvo
Montalbano
all’azione: una ragazza, studentessa universitaria, non ha fatto
ritorno
a casa. È stata rapita. Ma perché, visto che la sua
famiglia,
un tempo ricca, ora è poco più che dignitosamente
indigente?
Famiglia sulla quale pesa l’alone cupo della morte, quella del geologo
Mistretta padre della sfortunata Susanna, che con la figlia si alterna
al capezzale della moglie ormai morente, consumata da un male oscuro e
implacabile. Che sequestro è mai questo? Eppure un riscatto
sarà
pagato: moneta sonante a saldo di un tradimento. E la vendetta
sarà
implacabile. Essenziale nel suo meccanismo, quest’ultima avventura
camilleriana
segue davvero l’andamento lento e stringente della ragnatela, senza
concedersi
divagazioni. Montalbano, chiamato a collaborare, ma malsopportato dai
suoi
superiori, andrà fino in fondo, in solitudine. Troverà la
verità e lascerà che questa, da sola, faccia giustizia.
Al
suo fianco c’è Livia. E si comprende perché i due mai
potranno
convivere: troppe liti, troppe spiegazioni da dare, in un rapporto che
è bello proprio perché dondola nell’altalena tra passione
e lontananza. Nè con te, nè senza di te: gli amanti del
gossip
vengono così liquidati, una volta per tutte. Defilati, quasi
solo
accennati, gli altri personaggi della scena di Vigàta: Mimi
Augello
sta per diventare padre ed appare solo marginalmente; Gallo, Galluzzo,
Catarella e compagnia si affacciano giusto quel che basta per far
procedere
la vicenda. Ora Salvo è solo, ancor più isolato di quel
che
lo ha sempre portato ad essere il suo caratteraccio. Troppi dubbi,
troppe
delusioni. E il tempo è passato: non è stato padre, non
sarà
nonno. Montalbano è uno dei pochi personaggi letterari che
invecchiano,
libro dopo libro. E nella sua ruvida fragilità fa tenerezza.
Claudio Baroni
La Sicilia,
16.10.2004
Gli studenti al «Margherita»
Racalmuto. Il teatro «Regina Margherita» di
Racalmuto
apre al mondo scolastico ed invita gli studenti delle scuole superiori
della provincia ad assistere all'opera teatrale dello scrittore
Leonardo
Sciascia dal titolo «Recitazione della controversia
liparitana»
che sarà portata in scena per la regia di Giuseppe Dipasquale.
L'iniziativa
è stata promossa dalla direzione aristica di Andrea Camilleri e
di Giuseppe Dipasquale, in stretta collaborazione con la locale
Fondazione
«Leonardo Sciascia». «Lo spettacolo è adatto
alle
scolaresche - spiega la dott.ssa Iolanda Salemi, responsabile della
promozione
culturale del teatro - per il suo valore didattico in quanto offre
spunti
di approfondimento storico e momenti di riflessione morale. Rivolgiamo,
pertanto, l'invito ai dirigenti scolastici e ai coordinatori didattici
di tutte le scuole dell'Agrigentino a valutare positivamente la nostra
proposta, come momento formativo ed arricchimento culturale degli
studenti».
Lo spettacolo comprende un cast di attori professionisti e si prevede
anche
che, per questa edizione unica ed esclusiva, la massiccia
partecipazione
della popolazione racalmutese. La regia dell'opera è di Giuseppe
Dipasquale, i costumi di Angela Gallaro, le luci di Franco Buzzanca.
Gli
attori impegnati saranno: Nino D'Agata, Orazio Mannino, Leonardo
Marino,
Mimmo Mignemi, Pietro Mondandon Sergio Seminara, Angelo Tosto, Paolo
Agrò,
Salvatore Chiarelli, Carmelo Marchese, Stefano Matteliano, Salvatore
Picone,
Linamaria Palumbo, Giovanni Bello, Lucia Capitano, Cecilia Carlino,
Valentina
Festa, Annarita Fomoso, Antonio Lauricella, Grazia Lauricella, Giusy
Mattina,
Rita Mattina, Salvatore Pino, Calogero Scibetta ed Angela Sintino. Per
la stagione teatrale racalmutese, dedicata alle istituzioni
scolastiche,
gli spettacoli saranno tenuti di mattine e tutti nel mese di marzo ed
aprile
dell'anno prossimo. Argomento dell'opera teatrale, scritta dallo
Sciascia,
è una contesa avvenuta nel 1711 tra il vescovato di Lipari e il
Regno di Sicilia, a causa di due decime di ceci. Nella fantasia di
Sciascia
il fatto storico diventa pretesto per un messaggio sociale ed artistico
e anche un progetto ideale di lotta e di resistenza contro i surpusi
del
potere degenerato.
Enzo Minio
Corriere
di Gela,
16.10.2004
L’amarezza di Camilleri
A. Hai letto l’ultima avventura del Commissario Montalbano?
B. Sì, ma non mi è piaciuta.
A. Molto bene. Visto che l’abbiamo letta entrambi e che ce l’abbiamo
tra le mani, proviamo ad applicare il metodo dell’osservazione
meticolosa
e della deduzione intelligente. Che cos’hai da dire contro La pazienza
del ragno? Che cosa noti?
B. Noto che è sempre la stessa musica: niente di nuovo sotto
il sole. E poi noto che l’autore di questo dialogo ci sta usando per
citare
qualcuno. Stiamo scimmiottando altri dialoghi, credo.
A. Beh, sì, ad esempio l’inizio del Dialogo sul metodo di Paul
Feyerabend…
B. … e l’“Indagine preliminare in forma di dialogo” di Fruttero &
Lucentini premessa a una delle edizioni italiane de Il mastino dei
Baskerville,
cioè il terzo romanzo di Conan Doyle dedicato a Sherlock Holmes.
Non credi?
A. Elementare, Watson. Ma è qui che ti volevo: Camilleri sa
benissimo che per certi versi deve pagare un tributo alla
serialità,
e del resto i lettori stanno al gioco. Ricordi cosa dicevano a tal
proposito
Fruttero & Lucentini? I consumatori abituali di Sherlock Holmes non
si annoiavano a ritrovarlo sempre identico a se stesso, anzi ne
godevano:
"e la delizia suprema è quando l’eroe sembra cambiato, ma poi si
scopre che non era vero, che era solo ‘per finta’. È un rapporto
affettuoso".
B. Sento odore di fregatura dialettica. Dove vuoi arrivare?
A. Voglio arrivare a farti ammettere la grande astuzia di Camilleri,
il quale fa continuamente i conti con Conan Doyle. Egli vuol portare i
suoi lettori più attenti alla delizia opposta: il mondo
dell’eroe
non sembra cambiato, ma poi si scopre che l’eroe è cambiato.
Catarella
continua a sbattere la porta quando entra e a parlare una lingua
assurda;
Mimì è il solito “fimminaro”, anche se si è
sposato;
la “zita” Livia e la “cammarera” Adelina continuano a evitarsi e a
detestarsi
tacitamente; il Questore Bonetti-Alderighi è sempre il
burocrate-superiore
un po’ tonto per ruolo istituzionale e il suo untuoso ed eternamente
democristiano
capo di gabinetto, il dottor Lattes, è sempre “Lattes e Mieles”
(anzi, ora semplicemente “Latte e Miele”, come apprendiamo a p. 189);
ecc.
Ma Montalbano è diverso: ha scatti di commozione, di paura, di
banale
saggezza senile (ma altamente se ne frega), perché la ferita
alla
spalla ereditata dal precedente episodio (quel Giro di boa che
rappresenta
davvero un “giro di boa” per il carattere dell’eroe e per lo stesso
Camilleri)
lo ha portato vicino alla morte e la morte stessa gli si è
presentata
sotto l’aspetto della consunta signora Giulia, circondata da un tanfo
di
medicine, di escrementi, di sudore, di malattia, di vomito, di pus, di
cancrena, come è detto a p. 251.
B. D’accordo, Montalbano non è Holmes: ma questo lo sanno tutti.
Holmes è tutto d’un pezzo, è un blocco glaciale di
intelligenza
deduttiva (anzi abduttiva, come sostiene a ragione Eco), è
misogino,
è cocainomane (sconvolgente, a tal proposito, l’incipit de Il
segno
dei quattro); mentre Montalbano è umano, pasticcione, acuto
quanto
basta, comprensivo, monogamo, e si fa cucinare dalla madre di un ladro
di polli che lui stesso ogni tanto mette dentro. E con questo?
A. Non è una questione così banale, perché se
Montalbano non è Holmes (come lui stesso ammette a p. 227,
allorché
non riesce a trovare a casa l’oggetto holmesiano che contraddistingue
lo
stereotipo del perfetto detective, cioè la lente
d’ingrandimento),
allora sarà e vuole essere qualcun altro. Ed è della
massima
importanza capire chi vuole essere Montalbano, perché in tal
modo
scopriremo che in Camilleri il “giallo” è un puro espediente di
genere per parlare d’altro.
B. Ho capito, vuoi arrivare all’abate Vella. In effetti, devo ammettere
che la p. 239 ha colpito anche me. Anzi, se devo essere sincero,
è
l’unica cosa di questo romanzo che mi ha dato, come dire, un’emozione
culturale.
A. Bene, vedo che sei di palato fine. Ma rifletti: cosa significa quel
riferimento al Consiglio d’Egitto? Intendo dire, al di là
dell’ennesimo
omaggio all’amatissimo Sciascia.
B. Significa che Montalbano, poiché sta per togliersi un peso
dalla coscienza facendo sapere al dottor Mistretta e a Susanna che lui
ha capito tutto, che ha visto la ragnatela geniale che loro hanno
saputo
tessere nel loro “teatro” del sequestro ed è pronto a mantenere
pietosamente il segreto, si sente finalmente “riposato, sereno,
affrancato”,
per poi rendersi conto che questi tre aggettivi che gli sono venuti in
mente provengono da un episodio preciso del libro tanto amato,
cioè
da quella “straordinaria pagina” 122 “della prima edizione del 1966”
(tra
parentesi, cito alla lettera per segnalarti una svista: la prima
edizione
è del 1963, e comunque la pagina si trova nell’ottavo capitolo
della
parte terza) in cui l’abate Vella, prima di andare a rivelare a
monsignor
Airoldi che il famoso codice arabo è una sua geniale
falsificazione
e impostura (cosa che avrebbe sconvolto la sua vita, facendolo finire
in
carcere), si rilassa con un bagno e un caffè, due cose rare per
quei tempi (fine ’700) e per quei luoghi (Palermo). E così il
commissario
fa come l’abate Vella, aggiungendo alla doccia e al caffè un bel
cambio di biancheria, una cravatta seria e una mangiata pantagruelica
di
pesce nella trattoria di fiducia. C’è altro, secondo te?
A. Eccome. Questo passo, a un primo livello di lettura, è un
semplice ammiccamento intertestuale, peraltro frequente in Camilleri
(pensa
ad esempio a come, ne L’odore della notte, Montalbano capisce che sta
rivivendo
un racconto di Faulkner letto molti anni prima), ma a un secondo
livello,
diciamo metalinguistico o metaletterario, è una vera e propria
dichiarazione
di poetica, un vero e proprio programma di impegno letterario e civile
in questa nuova Italia della destra imprenditoriale al potere.
Camilleri
vuole essere il nuovo Sciascia, non il nuovo Conan Doyle. Più
scanzonato,
forse, ma non meno incisivo, non meno incazzato.
B. Spiegati meglio.
A. Vedi, egli con questo romanzo ha praticamente messo le carte in
tavola, rendendo esplicito ciò che era già implicito nei
testi precedenti. Il giallo è un pretesto, un dispositivo
narrativo
che serve a esprimere qualcosa di profondamente attuale: il disagio,
l’umore
nero suscitatogli dal momento storico che stiamo attraversando,
dall’Italia
berlusconiana, in cui sembrano ritornare, amplificati dalla
sfacciataggine
mediatica, i peggiori incubi della prima Repubblica. E lo rivela il
fatto
che questo romanzo è un giallo doppiamente finto: è finto
innanzi tutto perché è un giallo senza il morto
(cioè
senza il fatto che tradizionalmente mette in moto il meccanismo
investigativo),
dato che si tratta solo di un rapimento; ed è finto soprattutto
perché il rapimento è una finzione, una simulazione di
rapimento,
una messinscena, un teatro, una tela di ragno tessuta per vendetta, una
vendetta che i buoni, sconvolti dall’odio, mettono in atto per colpire
il cattivo, l’intrallazzista ingegner Peruzzo, cioè l’esponente
tipico della nuova classe imprenditoriale coccolata e cooptata dal
nuovo
ordine politico con la compiacenza di certe leggi, di certi avvocati e
di certi funzionari dello Stato (pensa all’insistenza sul suo essere in
odore di una candidatura con Forza Italia, cioè la Dc del nuovo
secolo, almeno in Sicilia). E la vendetta è condotta con la
stessa
arma del potere che essa vuole colpire: l’arma della manipolazione
mediatica
dell’immagine, l’arma che usa l’apparire al posto dell’essere, il
lifting
al posto della verità. L’ingegner Peruzzo sarà perduto
non
tanto per quello che ha fatto, ma per quello che si riesce a far
credere
che abbia fatto. E qui l’analogia con Il Consiglio d’Egitto si
approfondisce
ulteriormente, perché così come l’abate Vella si serve di
un’impostura, di un imbroglio filologico, per smascherare l’impostura e
l’imbroglio storico, politico e sociale su cui si regge l’ordine
anarchico-feudale
della distribuzione patrimoniale e del sistema di privilegi nobiliari
della
Sicilia borbonica, allo stesso modo Susanna e il dottor Mistretta si
servono
di un finto rapimento per mettere a nudo i loschi meccanismi
affaristici
e le complicità politico-giuridiche su cui si regge e prospera
la
nuova classe imprenditoriale che in Italia è diventata forza
egemone
e che ha a Palazzo Chigi il suo più emblematico rappresentante.
B. Vuoi dire che è questa la chiave di lettura per il Camilleri
degli ultimi anni? Intendi così, ad esempio, tutta quella tirata
sui fatti di Genova durante il famigerato G8 all’inizio del Giro di
boa?
In effetti lì Montalbano stava quasi per dare le dimissioni per
la vergogna di essere un poliziotto, per la vergogna, cioè, di
appartenere
allo stesso corpo che si macchiò dell’infamia della scuola Diaz…
A. Precisamente. E non dimenticare che in mezzo c’è stato quel
terribile romanzo storico sul fascismo, La presa di Macallè, in
cui lo sdegno per la dittatura è espresso da Camilleri con toni
così cupi da rasentare il furore e la ferocia.
B. Questa volta sono d’accordo. Quel libro l’ho trovato straziante,
dietro il grottesco e la ‘priapata’ picaresca: forse, oltre ad essere
il
libro di Camilleri più pieno di vastasate, è anche il
più
amaro e carico di pietas per la stupidità umana che si manifesta
sotto le dittature arroganti e guerrafondaie e che ci mette un attimo a
ribaltarsi in tragedia assurda.
A. E non ci vedi analogie con la più scottante attualità
nazionale e internazionale?
B. Devo dire che ho perso?
Marco Trainito
Il Giorno,
20.10.2004
Curioso destino quello di Salvo Montalbano. Amatissimo da lettori e
telespettatori […]
Rossella Martina
Corriere
di Gela,
20.10.2004
Grasso-Camilleri parallelismi... culinari
Tutto il meridione, e la Sicilia in particolare, possiede un
ricco patrimonio
gastronomico, in parte originale e in parte importato attraverso le
innumerevoli
dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli.
Gli scrittori-buongustai nostrani hanno saputo sfruttare tale filone
per le loro opere letterarie, con competenza di causa e di... palato.
Da Archestrato, riportato agli onori della cronaca letteraria dalla
scrittrice naturalizzata gelese Silvana Grasso, all’empedoclino Andrea
Camilleri, attraverso il suo eroe commissario Montalbano, sempre alle
prese,
nei momenti di pausa del suo lavoro investigativo, con arancini di riso
e ragù di carne di maiale capuliata.
Da alcuni anni la nostra penisola è tutto un proliferare di
fiere, di convegni gastronomici che coinvolgono piccole e grandi
città.
Non c’è più un assessorato all’agricoltura, al commercio,
al turismo, che non abbia la sua fiera di prodotti mangerecci esposti
in
bella vista, fra schieramenti di bottiglie di nettare bianco o rosso.
Nei vari padiglioni non mancano gli assaggini di dolcetti che furono
cari alle nostre nonne; ma, di contro, non si trova più la vulva
di scrofa che, ai tempi di Archestrato, veniva servita per i palati
più
raffinati!
Queste sagre dei golosoni, fra tagli di nastri tricolori da parte di
sindaci assessori, parroci e signore agghindate come per una serata di
ballo, sono tutto un tripudio di colori, di musiche, di profumi alla
rinfusa
che si diffondono fra i vicoli come per le feste comandate, così
abbondanti nel nostro allegro territorio.
Si tratta, in ogni caso, di una cucina “povera”; ma proprio per questa
ragione è più gustosa e poco indigesta, rispetto ai
precotti
o da scongelare nei forni a micro onde.
E’ la cucina dei “poveri” (come ci avverte Bianca Distefano nella
prefazione
a “Cucina che vai natura che trovi”, stampato nel 1984 per conto della
distilleria Averna di Caltanissetta) che “costituisce l’ossatura della
tradizione gastronomica siciliana, una tradizione che ha sempre mirato
a supplire con la fantasia alle congenite scarsità di risorse”.
Al riguardo come non ricordare il genuino pane di frumento che durava
per più e più giorni su tutte le mense; e le verdure
selvatiche,
come la buona e amara cicoria, che avevano un uguale destino su ogni
tavola?
Per Camilleri i pesci “nunnato, proibiti per legge pescarli, fatti
a polpettine, schiacciato, croccante, erano costellati di centinaia di
puntini neri: gli occhietti dei minuscoli pesciolini appena nati.
Montalbano
sacralmente, pur sapendo che stava ingoiando qualcosa di simile ad una
strage, uno sterminio…”.
E’ riposto in quel “sacralmente” di Montalbano che si rivela il
Camilleri
scrittore dalla buona forchetta e dalla morale indiscussa.
E lo è, soprattutto, con la cucina “povera” a base di “un ovo
fritto e appresso ci mangiò quattro angiovi con aglio,
acìto
e origano”. Eppure Camilleri giovane era abituato alla cucina gustosa,
raffinata ma pur sempre nostrana, di sua madre, la signora Carmelina,
che
fra i fornelli ci sapeva fare.
Ma sono le taverne empedocline, sature di odori “poveri” e marinari,
che continuano a rappresentare, a tutt’oggi’, la vera anima della
genuinità
mangereccia: fra aromi di pescherecci con i nomi dei santi alle
fiancate
e le essenze di mandorli in fiore.
Per Archestrato di Gela, cantore de “I piaceri della mensa”, Silvana
Grasso ci racconta che “agli occhi di Clearco (generale spartano e
discepolo
di Platone – ndr) fu una paraninfo del dio ventre, ossequioso solo ai
richiami
della gola e del letto…”.
I consigli di Archestrato di Gela riguardanti la gastronomia sacra
e profana, attraverso la lettura del libro-documentario di Silvana
Grasso
si traducono in gustosi e genuini miracoli, dove “la tavole diviene
luogo
sacro, i commensali diventano fedeli, il cibarsi un rito”.
La tavola di Andrea Camilleri non si discosta da quella di Silvana
Grasso con la complicità di Archestrato; e tutto procede secondo
un rituale che si perpetua nel tempo.
Il detto – tratto da “Sicilianate” di uno scrittore gelese – che “le
sarde arrostite aprono l’appetito agli ammalati e resuscitano i morti”,
trova conferma nelle vicende dei personaggi dei due scrittori. E
può
essere anche vero che “Dietro la collina/ che guarda la piana di
Licata/
la colazione è al quadrivio:/ acqua fresca di fonte”. Si tratta
di un verso tratto dalla silloge “Fra il muschio delle tegole di
argilla”
– Edizioni Il Messaggio, tipografia Athena, Gela 1978. I parallelismi
Silvana
Grasso-Archestrato e Andrea Camilleri-Montalbano, sotto il profilo
culinario
sono evidenti e ci intrigano piacevolmente. Sarebbe interessante
scorgerli
e spiarli i due, seduti ad un tavolo di una trattoria o “taverna”
siciliana,
alle prese con quel ben di Dio “povero” che riesce a fornire la nostra
terra ed il nostro mare; ma che non si tratti di un menù a
prezzo
fisso, con vino della “casa” fermentato con intrugli chimici!
Federico Hoefer
Inforete,
22.10.2004
In Castello con Montalbano
Andrea Camilleri ospite della Setttimana. Colloquio-intervista con
il grande scrittore
Mancava solo la nebbia nel cortile del Castello e poi
l’insolito turista,
testa in su, intento a spiare il Maschio, avrebbe perfettamente
combaciato
con l’iconografia dei commissari “all’europea”: più pensiero e
malinconia
che azione e pistolettate.
«È davvero affascinante: queste strade coperte e
sotterranee,
chissà quanti passaggi segreti…»; due parole e Andrea
Camilleri
scoglie la soggezione invitando la cronista ad una passeggiata, a due
chiacchiere
dal tono amichevole.
A Vigevano per ritirare il riconoscimento alla carriera, che segue
la consacrazione de i Meridiani (dopo il primo volume con le opere di
Montalbano,
è appena uscito quello degli scritti civici e storici),
Camilleri
non può esimersi dall’entrare nel tema della settimana
letteraria
e raccontarci il rapporto con il cibo del suo più illustre
personaggio.
«Montalbano non è un grande raffinato a tavola, ha
però
l’enorme fortuna di poter mangiare alimenti genuini, che non sono stati
sofisticati». «In fatto di gusti egli era più vicino
a Maigret che a Pepe Carvalho» scrive ne Il cane di terracotta.
Si
può saperne di più? «La cucina di Carvalho è
da genocidio», spiega Camilleri estendendo il giudizio anche
all’amico
Montalbàn, che la mattina gli voleva imporre la colazione a base
di «infernali salsicciòn».
Al contrario dello scrittore catalano, Camilleri non sa cucinare:
avrà
anche lui una sua Adelina? «La mia Adelina era la nonna. In
famiglia
quando facciamo gli arancini è una grande festa, che raccoglie
una
ventina di parenti e tanti amici, gli arancini sono buoni, ma non come
quelli della nonna… Eppure non potevi farle i complimenti: mi ricordo
il
gran calcio che mio zio mi tirò sotto il tavolo intimandomi di
stare
zitto, così, la prossima volta, la nonna avrebbe fatto di tutto
per superarsi!», e segue una grande risata.
Montalbano è arrivato alla sua nona avventura (che verrà
distribuita per i tipi di Sellerio nel 2005), e già si parla del
termine della serie con il numero dieci... «L’ultimo libro
può
essere il decimo oppure anche l’undicesimo… - liquida la faccenda lo
scrittore
– L’unica cosa certa è che non voglio lasciare le cosa a
metà.
Sicuramente la fine di un personaggio letterario non sarà quella
di imbattersi nella realtà, ma di arrivare ad una conclusione
letteraria.
Al limite, lo scontro finale di Montalbano sarà tra lui e me.
Ricordate?
In uno dei primi racconti Montalbano mi telefona nel mio ufficio a Roma
dicendomi di non voler entrare nella storia in cui l’ho infilato, di
inventarmi
un altro protagonista (allude a Montalbano si rifiuta, in Gli arancini
di Montalbano, N.d.R.)». Fa pensare a Dürrenmatt…
«Abbiamo
molto in comune, soprattutto quell’aspetto metapoliziesco dei suoi
romanzi.
Come nel caso di Requiem per un romanzo giallo, ecco, penso ad una cosa
del genere per finire la storia di Montalbano».
Immancabile, nella chiacchierata, una riflessione sul suo
personalissimo
siciliano. «Nell’edizione dei Meridiani appena uscita, l’ottima
introduzione
di Salvatore Silvano Nigro illustra bene l’uso della lingua nei miei
libri
– spiega Andrea Camilleri – Un siciliano mi direbbe: ma come scrivi?
Questo
non è siciliano! Ricordate il Concilio d’Egitto di Sciascia?
Racconta
la vicenda vera dell’Abate Velia, sedicente arabista, che ricrea la
storia
dei musulmani di Sicilia per rendere possibile la riforma dei
vicerè
Caracciolo e Caramanico contro i privilegi dei feudatari siciliani. I
documenti
falsificati sui quali si basa la sua finzione sono stati redatti dal
suo
aiutante, il monaco maltese Giuseppe Camilleri. Ecco, come il mio
possibile
avo, mi prendo una simile licenza con la lingua, inventando un
siciliano
che è l’elaborazione di quello piccolo-borghese che si parlava a
casa mia. Un’operazione simile a quella di Pirandello quando traduce il
Ciclope di Euripide; ne colorisce il linguaggio facendo parlare il
Ciclope
in siciliano contadino, Ulisse come un siciliano che ha fatto il
militare
a Cuneo, un po’ come Catarella, mentre al capo dei satiri dà un
linguaggio in stile siciliano mafioso. Ecco quest’opera l’ho portata in
scena sei volte ed il suo linguaggio mi è entrato dentro».
Un’estrema ricchezza… «L’uso del dialetto andrebbe rinvigorito
– conclude Camilleri – è la linfa della nostra lingua, che
altrimenti
rischia di diventare una colonia».
Lo salutiamo: a lui l’emozione di proseguire la scoperta di Vigevano,
a noi quella di averlo conosciuto.
Il
Venerdì,
22.10.2004
L'anti-Camilleri. Il detective di Piazzese diventa film
Dapporto sono e sfido Montalbano
Il duello a distanza tra i due giallisti siciliani Andrea
Camilleri
e Santo Piazzese si era già consumato in libreria: da un lato il
commissario di Vigata Salvo Montalbano, dall'altro il biologo-detective
Lorenzo la Marca. L'esito è noto... Ora la sfida si ripropone in
tv. La Rai infatti ha messo in cantiere due film, di cento minuti
ognuno,
tratti dai primi romanzi di Piazzese. Rimane un mistero: chi
interpreterà
La Marca, cercando di rubare la scena al Montalbano di Luca Zingaretti?
A quanto pare Massimo Dapporto.
s.f.
La
Stampa
-ttL, 22.10.2004
La burnia di Juvarra
DILETTO è infine la parola che meglio definisce
ciò che
spero tutti proveranno leggendo un volumettino edito da Sellerio
"Trentadueventotto",
di Renata Pucci Di Benisichi, insegnante, giornalista, nobildonna e
(indovinato!)
siciliana. Il titolo, che nega allegramente l’aritmetica, è un
modo
di dire corrente nel dialetto di quell’isola misteriosa. L’autrice
però
non ne conosce l’origine. Ci precisa soltanto che ha il significato del
nostro «ho fatto due più due», e cioé
colloquialmente
una sicura conferma, un’ovvia certezza. Paradosso prelibato che
smentisce
ironicamente, numeri alla mano, ciò che nello stesso tempo
intende
affermare. Di queste chicche è fatto il libro, spiegate e ancor
più raccontate con molto spirito e affettuosa indulgenza verso
la
mitica «sicilianità». La signora ha un buon numero
di
parenti, amici, amici di amici, è una riserva di testi eruditi
cui
attingere per mettere in scena le piroette del suo amato dialetto, a
volte
dissennato, contorto, a volte pungente, geniale, da lei sempre tuttavia
ben ricondotto a situazioni e dialoghi di vivacissima microstoria. Un
appunto
al volo: la parola «burnia», ce l’abbiamo anche noi con lo
stesso significato. Chissà da dove mai è arrivata nel
nostro
dialetto, forse se la portò dietro il messinese Filippo Juvarra,
in una burnia (dallo spagnolo «alburnia», sembrerebbe).
LA BOLLA Al dialetto di Andrea Camilleri la signora fa più volte
riferimento e non c’è dubbio che da quell’inaspettata irruzione
di «ammazzatine» e di «tanticchia» dipende in
buona
misura il successo del commissario Montalbano. Ma senza voler urtare le
predilezioni dei «giallisti» devo dire che io lessi per la
prima volta Camilleri una dozzina di anni fa, quando mi capitò
per
puro caso tra le mani «La bolla di componenda», ora
riproposto
del volume che i Meridiani Mondadori hanno dedicato ai testi non
polizieschi
dello scrittore siciliano. Rileggendolo ora mi saltano agli occhi poche
righe in cui si concentra, direi la sua ars poetica. «Mi accorgo
che sto divagando» confessa Camilleri all’inizio del quarto
capitolo.
«E’ un mio difetto questo di considerare la scrittura allo stesso
modo del parlare. Da solo e con il foglio bianco davanti, non ce la
faccio,
ho bisogno di immaginarmi attorno ai quei quattro cinque amici che mi
restano
stare a sentirmi, e seguirmi, mentre lascio il filo del discorso
principale,
ne agguanto un altro capo, lo tengo tanticchia, me lo perdo, torno
all’argomento».
E’ il tono della conversazione, anzi della chiacchierata attorno al
fuoco
«sgranocchiando ceci», come diceva quel greco. Uno dunque
dei
massimi piaceri del sapiens, che Camilleri dispensa amabilmente nei
suoi
libri offrendo a ogni lettore l’impressione (antica e ormai rara) di
far
parte anche lui della cerchia davanti al caminetto scoppiettante.
Ammessi
alla lieta festicciola, complici attenti e sorridenti; così si
sentono
i suoi affini, nonché gli affini della nobildonna dialettologa,
gran chiacchierona lei pure, infondo.
[...]
Carlo Fruttero
Feltrinelli
Libri
e Musica, 25.10.2004
Andrea
Camilleri presenta il libro di Simonetta Agnello Hornby "La zia
marchesa"
(Feltrinelli)
Sarà presente l'Autrice. Ore 18:30, Galleria Alberto Sordi,
Roma
L’espresso,
29.10.2004
Bestiario
Come andarono le fantaprimarie
Prodi al 44 per cento. Il commissario Montalbano al 22. La Melandri
al 14. La signora Mastella al 7 e Bertinotti al 6...
Già, le primarie! Romano Prodi le aveva volute per due
motivi.
Il primo era di ottenere una conferma popolare della propria
candidatura
alla guida della Grande Alleanza. Il secondo di far vedere ai partiti
quanto
lui, il Professore, fosse gradito agli elettori. E dunque che i partiti
non rompessero e gli lasciassero mano libera su tutto. Prodi era
sicurissimo
di centrare entrambi gli obiettivi. Il ricordo del trionfo nelle
suppletive
dell'ottobre 2004 lo confortava e lo eccitava. Il trio dei suoi
consiglieri
(Arturo Parisi, Giulio Santagata e Ricky Levi) coniò uno slogan
alla moschettiera: 'Prodi per tutti, tutti per Prodi!'. E decise come
sbarrare
il passo ad altre candidature: per presentarsi alle primarie
occorrevano
15 mila firme di cittadini, raccolte in almeno undici regioni diverse.
L'impresa sembrava bene avviata quando nel piano di Prodi comparve
una prima crepa: la norma delle 15 mila firme venne subito depotenziata
da un paio di società demoscopiche in grado di raccoglierle per
chiunque e a un prezzo modico. Poi emerse un secondo guaio: la
candidatura
di Fausto Bertinotti. "Non si possono fare le primarie su un nome
solo",
dichiarò il Parolaio Rosso. In realtà, Berty aveva un
obiettivo
segreto: raccattare i voti degli scontenti di Prodi, conquistando un
bottino
del 15-20 per cento. Per poi convincere un po' di partitini a seguirlo
in una nuova formazione, la Sau, la Sinistra Antagonista Unita.
Ma anche Bertinotti aveva fatto male i conti. Dopo di lui emerse un
terzo candidato a sorpresa: la deliziosa e bravissima Giovanna
Melandri,
diessina. Dichiarò di voler partecipare alle primarie
affinché
non fossero un affare soltanto tra maschi. E chiamò al voto
tutte
le elettrici della Grande Alleanza. La discesa in campo della Melandri
fu l'inizio di una valanga. Spuntò la candidatura di Armando
Cossutta
che spiegò: "Sono per Prodi, ma voglio battermi contro quel
comunista
fasullo di Bertinotti, un ribellista dannunziano". Dopo Cossutta, si
presentò
Cesare Salvi che voleva testare la forza del suo gruppo, Socialismo
Duemila.
Lo seguì a ruota Sergio D'Antoni che, approdato a Montecitorio
con
le suppletive, s'era montato la testa e aveva deciso di chiamare alle
armi
tutti i democristiani del Sud, di entrambi i poli.
A quel punto anche Clemente Mastella entrò in lizza, ma per
interposta persona. Infatti candidò la moglie Sandra, bella,
intelligente
e poliglotta, una perfetta rappresentante delle donne uliviste del
Mezzogiorno.
Pure i verdi non vollero essere da meno. Ma non si accordarono sul
candidato.
E alle primarie si presentarono in tre: 'er Piotta', ossia Paolo Cento,
un tal Bulgarelli, critico d'arte a Riccione e l'eroico chirurgo Gino
Strada.
A quel punto i nomi in ballo risultavano già dieci. Una vera
inflazione che faceva stramazzare di rabbia Prodi. Ma la tragedia non
era
finita. Spuntò un undicesimo concorrente: Achille Occhetto,
sempre
alla ricerca di una disperata rivincita. Infine emerse il dodicesimo,
il
più imprevisto: il commissario Montalbano, al secolo Luca
Zingaretti,
attore quanto mai popolare e testa fine. "Chi lo manda?", ringhiarono
gli
altri candidati. "Nessuno", garantì il suo addetto stampa, Raul
Bova, specializzato nelle fiction sui carabinieri, "ha soltanto il
desiderio
di partecipare".
Dodici candidati e una campagna elettorale disastrosa. Per la
quantità
di soldi bruciati. E per le cosacce che tutti i candidati, tranne le
signore
Melandri e Mastella, si videro costretti a dire sui concorrenti. Era
una
deriva fatale, però i giornali del centro-destra ci inzupparono
il pane. Prodi se ne lamentò. Ma gli venne rinfacciato il suo
vecchio
motto: "Competition is competition". Il più scatenato si
rivelò
Bertinotti, capace di sposare qualunque causa: dalla lotta alla
Coca-Cola
a quella contro la Costituzione europea. E pronto ad accusare gli altri
candidati di essere fantocci al servizio del liberismo e, per Cossutta,
dei defunti capi sovietici.
Comunque, il clima di scontro favorì la partecipazione
elettorale.
Nel febbraio 2005 andarono a votare in 15 milioni. I risultati furono
uno
choc. Prodi si fermò al 44 per cento, seguito dal commissario
Montalbano
al 22 per cento e dalla Melandri al 14. La signora Mastella
conquistò
il 7 per cento, un punto più di Bertinotti, fermo al 6. Tutti
gli
altri rimediarono un misero 1 per cento. Amareggiato, Prodi
ritirò
la candidatura a premier e si esiliò sull'Appennino reggiano. Il
caos si placò tre giorni dopo. Quando Ds e Margherita
dichiararono
che, vista la rinuncia del Professore, avrebbero schierato contro il
Berlusca
un ticket di tre nomi: Enrico Letta, Pier Luigi Bersani e Giovanna
Melandri.
A quel punto, i cervelli prodiani capirono tutto. Le primarie erano
servite per liquidare Prodi. Strumento della congiura: il commissario
Montalbano.
Era o non era il fratello di un dirigente diessino e deputato europeo,
Nicola Zingaretti? Sì, lo era. Come reagire? Studia e ristudia,
il rimedio fu trovato. E un giorno di marzo del 2005 Prodi
annunciò
che...
Giampaolo Pansa
Corriere della
sera,
29.10.2004
Esce il Meridiano dello scrittore. Che recupera uno stile duro,
specchio
dell’America anni Venti-Trenta
Il vero Hammett, sotto il vestito di Bogart
Mettiamola così: se tra i Meridiani trova posto
Montalbano, non
può mancarvi quel Dashiell Hammett (1894-1961) che proprio
Camilleri
considera «uno dei suoi numi tutelari»: maestro di quella
«Hardboiled
School» che con Hammett diviene letteratura sic et simpliciter.
[…]
Ermanno Paccagnini
Il
Messaggero,
30.10.2004
Questa sera a Catania, al Centro Fieristico “Le Ciminiere”, il
Villaggio
della Tradizione 2004 ha organizzato una serata in onore di Turi Ferro
alla quale partecipano, fra gli altri, Igor Mann, Antonio Calenda,
Candido
Cannavò, Leo Gullotta. Anticipiamo qui il contributo di Andrea
Camilleri.
Turi
Ferro, con ironia un maestro nel Kaos
Andrea Camilleri
La
Stampa
-ttL, 30.10.2004
Montalbano, attento: l’illegalità giusta è una
cattiva
maestra
Dimentica, come i detective privati nei noir americani, che «la
caccia vale più della preda» e antepone la coscienza alla
legge, una scelta pericolosa
Secondo un detto sportivo, la squadra che vince non si cambia.
Il binomio
Camilleri-Montalbano ribadisce che la formula vale anche nel mondo
letterario,
e il loro ultimo caso, La pazienza del ragno, ne è la riprova.
Gli
ingredienti sono quelli consolidati che hanno tributato ormai da anni
un
successo travolgente, appassionando schiere di lettori divenuti
spettatori
televisivi. La storia sembra retrocedere sullo sfondo, in quanto la
forza
trainante è tutta nelle note di accompagnamento. Innanzitutto
l'invenzione
narrativa del quasi dialetto. La seconda nota di contorno è la
presenza
di quei connotati locali, siciliani, che i volumi di Camilleri
esibiscono
con orgoglio e compiacimento. Non è solo il mare, ma la campagna
con la terra battuta dalle trazzere e i muretti «a sicco»,
le nuvole cariche di acqua invernale. E poi ovviamente il cibo. Non ci
si imbatte nel goloso divorare cibi o vini alla Maigret o Montalbano,
ma
alla composta devozione per i prodotti della propria terra e
l'ammirazione
per i piatti della tradizione. E le donne: non solo le belle picciotte,
ma femmine sensuali pur in situazioni tragiche, come la donna del
casolare
impegnata nel mestiere di sempre per sopravvivere. Il commissario
Montalbano
ha di fronte un caso di sequestro di persona di cui è vittima
una
giovane, Susanna Mistretta, seria, alacre, per bene, di famiglia
altrettanto
corretta ma melanconicamente declinante verso una inspiegabile
indigenza.
Ed allora perché chiedere riscatti a chi non dispone di
alcunché,
come sa la gente? L'inchiesta non è stata affidata a Montalbano
ma questi, come spesso è capitato, se ne occupa ugualmente
perché
non ne può fare a meno. Così non si ferma alla superficie
e percorre contemporaneamente diverse ipotesi «senza dare la
preferenza
ad una». Sicuramente segue un ragionamento ma le sue non sono
fredde
astrazioni quanto piuttosto traiettorie dell'istinto, alimentate dal
guizzo
creativo del buon siciliano. Confidandosi altrove, sa che occorre
seguire
le dicerie, i pettegolezzi, tutto, e «tutto per me significa
magari
il “filame”». Ed ecco che in questo romanzo ritornano il ragno e
la sua pazienza con cui viene dipanata l'aggrovigliata matassa. Il
nostro,
sanguigno e coraggioso, riesce a penetrare in un dramma familiare,
fosco
e nel contempo nobile, in cui combattono le forze dell'amore,
dell'odio,
del denaro, del cinismo e dell'onestà. Il discorso su La
pazienza
del ragno potrebbe finire qui: l'intrigo, il commissario, lo sfondo, il
dialetto, in una parola Camilleri con il suo sperimentato Montalbano.
Ma
non è proprio così: l'autore non si è accontentato
del sicuro successo della formula e non si è adagiato sul pigro
automatismo che può discendere dall'esserne consapevoli. La
realtà
che Montalbano questa volta scopre è impensata. Il crimine non
sancisce
per definizione la distinzione tra buoni e cattivi come forse vorremmo,
non ci separa dagli «altri» che rappresentano il male come
propone la più consumata giallistica. Ma il crimine in effetti
può
contaminare chiunque, occultato tra le pieghe di una accettata
normalità,
sorretto da motivi seri come il desiderio di giustizia.
Camilleri in questo modo tocca alcuni temi di notevole densità.
Innanzitutto fa riemergere il contrasto, non a caso tipicamente
siciliano,
tra apparenza e realtà ma lo presenta sotto una luce un po'
particolare.
Non si tratta di smascherare il solito insospettabile che si nasconde
«tra»
noi ma che è pur sempre un criminale da punire. Si deve
accettare
che quell'insospettabile possa essere uno «come» noi.
L'altro
tema riguarda l'antico, lacerante conflitto in cui si imbatte chi viola
la legge ma ritiene nel contempo di comportarsi secondo giustizia,
quella
riparatrice e sostanziale. Non c'è scampo: la sanzione
interverrà
ugualmente e l'ordine verrà ristabilito, ma le motivazioni
forniranno
motivi di seria e tormentata riflessione. Il nostro commissario conosce
questa contraddizione e se ne fa interprete. Infatti egli «non
è
un dio... solo un omo che aviva un personale criterio di giudizio supra
a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. E certe
volte
quello che lui pinsava giusto arrisultava sbagliato per la
giustizia».
E' già un passo avanti rispetto a quando gli veniva rimproverato
dalla poco remissiva Livia di essersi «autopromosso a dio»
oppure quando il nostro si chiedeva se non rientrasse nel suo mestiere
«sostituirmi a dio».
Comunque sia questa contraddizione dà vita ad un messaggio
deontologico
che potremmo definire scadente, trattandosi pur sempre di un
commissario
che deve tutelare la legge e non stanare i colpevoli «a tutti i
costi»,
ad esempio occupandosi anche di casi affidati ad altri. La simpatia
umana
per il personaggio rischia di fuorviare i lettori entusiasti.
Così
si potrebbe dimenticare che, nelle indagini penali come nel processo,
il
modo di agire delle parti impegnate è più importante del
risultato, o come notava Cordero «la caccia vale più della
preda». Montalbano non è certo il primo a pensarla
così
e di cattivi maestri la letteratura ed il cinema hanno fornito generosi
esempi. Ci auguravamo però che la sua coscienza professionale e
soprattutto civile avesse un sussulto e che abbandonasse questo culto
per
la «illegalità giusta», propria del detective
privato
dei noir americani. Forse piacerà anche per questo: speriamo che
con gli anni possa cambiare. Forse già dal prossimo romanzo.
Fulvio Gianaria, Alberto Mittone
Il Sole 24
Ore
(suppl. "Domenica"), 31.10.2004
Narr'Italia
Rapimento nella ragnatela di Montalbano
No, non c'è un assassino nel nuovo romanzo di Andrea
Camilleri,
della serie del commissario Montalbano, La pazienza del ragno. E
però
un misfatto è stato commesso: il sequestro di Susanna Mistretta,
una bella ragazza, iscritta all'Università, che abita con i
genitori,
due ex ricchi ridotti in rovina per motivi poco chiari - lui geologo in
pensione, lei, malata e in fin di vita - in una villa in campagna.
Gente
che non ha un soldo per pagare. Sembrerebbe dunque opera di una banda
di
sprovveduti. Anche perché la telefonata rituale alla famiglia
avviene
poco dopo il rapimento, e non a distanza di giorni, come fanno i veri
professionisti
del crimine. Mentre l'unico indizio è la stranezza del percorso
scelto da Susanna per rientrare a casa quella sera: una strada
più
lunga, disagevole e poco battuta, dove è stato trovato
abbandonato
il suo motorino. Come se avesse appuntamento con qualcuno. Non
bastasse,
il riscatto viene chiesto in banconote di grosso taglio. Altra
stranezza.
Montalbano indaga. E anche noi, che abbiamo un po' troppo presto il
sentore
(nemmeno a metà libro) di chi sia la mente del sequestro. E
però
poco importa. Ci succede ormai di leggere via via le nuove storie di
Montalbano
con la stessa buona disposizione di spirito con cui si riincontra un
amico,
abbassando la guardia dell'analisi critica. Compiacendoci, piuttosto,
di
ritrovare caratteri, abitudini, manie. Soprattutto del protagonista. E'
il fascino della ripetizione. Camilleri lo sa, e insiste sui
cliché
(le mangiate di Montalbano; il linguaggio di Catarella). Qualche volta
con risultati meno brillanti: come capita per i litigi fra il
Commissario
e la fidanzata Livia, che troviamo, in questo caso, insediata da Salvo,
per accudirlo. Per il fatto che Montalbano è stato ferito ad una
spalla da un delinquente.
Bene, al solito Livia è la figura meno riuscita del romanzo;
con le sue irritazioni improvvise che appartengono a necessità
narrative
di piccoli spunti di colore: non convincenti. Mentre sono meglio
caratterizzate
le figure che rientrano nel mondo della ragazza rapita: specialmente
l'enigmatico
zio medico, Carlo Mistretta, e il fidanzatino Francesco.
Ma La pazienza del ragno, che alterna il verismo (alla De Roberto)
di una fosca vicenda familiare al thriller e alla commedia spicciola
della
vita quotidiana di Montalbano, è soprattutto una storia di
temperamenti.
Dove rabbia e sorriso ironico di Montalbano, quando scopre la
verità,
una verità difficile da accettare, e questa volta da nascondere,
per un poliziotto, ma umanamente giustificabile, convergono, infine,
nella
pietas per due persone che, a lungo, hanno maturato il sogno di una
opportuna
vendetta...
Importante per l'ampiezza della raccolta e per la qualità di
alcuni testi peraltro molto noti (La stagione della caccia; Il birraio
di Preston; La concessione del telefono), è da poco uscito un
nuovo
"Meridiano" di Camilleri, che comprende i "Romanzi storici e civili".
Ma
perché l'ottimo curatore, Salvatore Silvano Nigro, ha lasciato
fuori
dalla raccolta il più bel Camilleri storico, La scomparsa di
Patò?
Che, a suo dire, ripropone in qualche modo "la struttura del ben
più
corposo e impegnativo La concessione del telefono". Mentre noi pensiamo
che in una raccolta così ampia si debba guardare alla
qualità,
non ai modelli.
Giovanni Pacchiano
Sicilia
- L'isola del tesoro, 10.2004
Il papà di Montalbano, sono
Andrea Camilleri
sfoglia le pagine dell’isola che non c‘è, ma esiste
davvero. Quella
Sicilia nascosta nell’entroterra, preferita dallo scrittore, scelta per
rappresentare cosi l’isola e i siciliani.”Il posto solito era la
spiaggetta di
Puntasecca, una corta lingua di sabbia sotto una collina di marna
bianca, quasi
inaccessibile via terra, o meglio accessibile solo per Montalbano o
Gegè che fin
dalle elementari avevano scoperto un sentiero già difficoltoso a
farselo a piedi”.
Eccola la spiaggia di Capo Rossello,
a Porto Empedocle, raccontata ne “Il cane di terracotta”, uno dei tanti
romanzi
dello scrittore siciliano, capace di suscitare emozioni anche a chi
questi
luoghi non li ha mai visti. Peccato mortale presentare al pubblico uno
scrittore
di tale portata e popolarità: Camilleri è per tutti il
“sommo” di Porto Empedocle,
città che gli ha dato i natali.
Trascorre l’inverno nella capitale
ma, come dice lui stesso, “Non posso fare a menu di tornare ogni estate
nel mio
paese per respirare l’aria del mare”. Ed è lo stesso Camilleri a
far da
cicerone ai luoghi dei suoi libri, conversando amabilmente con amici e
fan al
bar dei paese, firmando autografi dalle prime ore del mattino tra un
sorso di
birra e l‘immancabile sigaretta tra le labbra. E che in barba alle
dissuasive
scritte da necrologio apparse sui pacchetti dice: “Ne fumo tre
pacchetti al
giorno e me ne fotto”.
Qual è la Sicilia di Camilleri?
“La mia Sicilia è tutta la Sicilia: non esiste un
posto in particolare che rappresenti per me quest’isola, da Porto
Empedocle, il
paese dove sono nato e dove sono vissuto per molti anni, a Palermo,
Ragusa,
Enna, Catania. Tutto per me è Sicilia. Gli italiani non
conoscono il loro Paese
e vanno fuori: questo avviene un po’ dovunque ed è un errore. La
lettura, in
questo senso, può aiutare a colmare questo vuoto, a stimolare la
scoperta dei
luoghi sconosciuti Per quello che
riguarda me e la mia narrativa, il paese di Vigata in realtà
rappresenta la
Sicilia. Se lei
dovesse chiedermi quanti abitanti fa Vigata sarebbe una risposta
impossibile:
dovrei dirle quanti abitanti fa la Sicilia. E
quando mi chiedono di suggerire un
itinerario turistico, trovo non poche difficoltà. Ai mie amici
che per la prima
volta visitano questa terra io propongo
un modo alquanto bizzarro: affittare un mezzo di trasporto e farsi
condurre in
visita nell’entroterra. Troppo spesso pensiamo a questa terra come ad
una lunga
costa da Palermo a Taormina, Siracusa,
Sciacca...”.
La costa siciliana tende a nascondere le bellezze
dell’entroterra.
“E proprio così: la natura
conserva come un tesoro prezioso le zone interne della Sicilia. Tutte
le nostre
leggende e le nostre culture hanno l’occhio rivolto verso l’interno
dell’isola,
fatta eccezione per “Colapesce”. E, stranamente, è un luogo
della memoria e
della cultura estremamente trascurato. Ogni siciliano dovrebbe fare un
viaggio
attraverso la Sicilia
non solo per conoscere la propria terra ma per entrare in contatto con
i suoi
popoli. Lo fece lo scrittore Laurence Dariel. Il luogo geografico
rimane un‘astrazione
quando non si conoscono le genti che ci abitano”.
Cosa è la sicilianità?
“La sicilianità mi interessa, la
sicilianitudine no. E’ il frutto di tredici dominazioni passate in
Sicilia. Da
ognuna di queste abbiamo preso qualcosa. Dove sta il bello di tutto
questo?
Nell’essere bastardi. Dove per bastardi intendo sintesi, mescolanza di
tutte le
culture che ci hanno dominato”.
Quanto è importante l’utilizzo di un
linguaggio ricercato, curato, per
il successo di un libro? Il riferimento va alle critiche mosse dello
scrittore
genovese Nico Orengo sulla scelta linguistica di Camilleri scrittore.
“Una premessa sul libro di
Orengo “L’intagliatore di nocciole”: l’ho letto e mi ha divertito
tanto. Ma io
vorrei chiedere ad Orengo perché il suo professore, protagonista
del romanzo,
si sia attardato a tradurmi in genovese quando io ho scritto pagine e
pagine in
dialetto ligure nella “Morsa [sic!, NdCFC]
del cavallo”. Il linguaggio è fondamentale: sono proprio i
dialetti delle
regioni d’Italia che fanno
l’unicità del
Paese. E di ciò me ne rendo conto quando i miei traduttori,
soprattutto tedeschi,
si trovano impantanati davanti alla scelta di un termine piuttosto che
di un
altro. La ricercatezza, l’abbondanza di termini e di lessico dei nostri
dialetti è imparagonabile. Questa è una ricchezza e non
può essere considerata
una limitazione. Per uno scrittore è come trovare una miniera
d’oro”.
Quali sono stati gli autori che hanno influenzato la
scrittura di Camilleri?
“Per tutta la vita non ho fatto
altro che leggere. Anche qui c’è un imbastardimento della
lettura. Quindi è
difficile dare una sola risposta. Se io dovessi prenderla alla larga
dovrei
dire Stern, Goethe, Manzoni. Soprattutto quest’ultimo mi ha colpito, in
età
adulta. Cosi diverso da come me lo avevano raccontato a scuola. E per
gli
scrittori siciliani è difficile parlare di uno soltanto. Il
nostro è un
mestiere di ladri: rubiamo qualcosa a tutti quelli che ci hanno
preceduto. Lo
scrittore assorbe dalla vita di tutti i giorni storie di vita vissuta.
Una
chiacchierata in un bar, un incontro rubato di amanti. E’ anche questa
la
ragione per la quale non riesco a stare lontano dalla Sicilia e
periodicamente
vi faccio ritorno. Qui, più che in altri luoghi d’Italia, il
contatto con
l’uomo è vero, profondo, concreto. Torno a casa, come si dice
altrove, per
risciacquare i panni in Arno. Per riascoltare “la mia parlata”, trovare
parole
che avevo dimenticato. L’altro giorno mi è capitato di ascoltare
una ragazza
che parlava con un gruppo di amici. Figuratevi il mio stupore quando ho
sentito
“trabacca”: una parola che non udivo da tanti anni”.
Ci sono giovani scrittori siciliani di successo?
“Quanti ne vuole? Sono tanti
quanti sono i siciliani. Penso a Roberto Alajmo, Sandro [sic!,
NdCFC] Piazzese, Roberto [sic!,
NdCFC] Di Cara, i palermitani Giacomo Cacciatore e Giosuè
Calaciura. Nomi di scrittori autentici che
con il tempo
si faranno grandi autori”.
Quanto è importante che gli autori siciliani
scrivano di mafia?
“Non è obbligatorio ma, per chi
lo fa tanto di guadagnato. C’è, comunque. sempre un rischio.
Quello cioè di fare
errori romanzeschi. Rileggendo le pagine de “Il giorno della civetta”
di
Sciascia, ci si rende conto che don Mariano era quasi un personaggio
simpatico.
Ebbene, lo scrittore non deve per nessun motivo rendere questo servizio
alla
mafia. Si può evitare di cadere in questo errore restando sulla
superficie del
racconto senza approfondire nulla, senza fornire particolari. Questo
è compito
della polizia e dei giudici. Scrivere giornalisticamente è
più che doveroso,
romanzare no”.
Sciascia diceva “La
Sicilia è il mondo”. Quanto è vero?
“Tutto vero. Come disse anche Goethe
“Per
capire gli italiani bisogna venire in Sicilia”. E’ proprio questa
prismaticità
di culture che si intrecciano a rendere la Sicilia unica. E
centro
del mondo.
Cristina Lombardo
|