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RASSEGNA STAMPA

OTTOBRE 2004

 
ANSA, 1.10.2004
I fatti del giorno
Libri: Montalbano ricomincia da dove aveva finito

Palermo - E' da ieri in libreria l'ultimo romanzo di Andrea Camilleri, ''La pazienza del ragno'' (Sellerio, 272 pp., 10 euro). Il volume esce con una tiratura record di 300 mila copie e due giorni fa, quando il titolo non era ancora arrivato sugli scaffali, era in testa alla classifica di Internet bookshop, sito di prenotazioni online. ''La pazienza del ragno'', i cui diritti di traduzione sono gia' stati venduti a Francia e Germania e presto avra' una versione televisiva, inizia esattamente dove finiva ''Il giro di boa'', con il commissario Salvo Montalbano ferito in un conflitto e accompagnato nell'ospedale di Montechiaro dai suoi fidi Fazio e Gallo. Finita la degenza il commissario torna a casa con la prescrizione medica di un lungo periodo di convalescenza. E' abbattuto e depresso; la casa di Marinella, le premure di Livia, le attenzioni gastronomiche di Adelina lo confortano ma non lo rasserenano. E quando giunge la telefonata di Tatarella che lo informa della scomparsa di una ragazza, Montalbano si getta a capofitto nell'indagine. Nonostante le inquietudini che tormentano le sue notti, l'inchiesta va avanti. La ragazza non torna a casa, ma viene ritrovato il suo motorino e si fa strada l'ipotesi del rapimento... In questa indagine senza delitto e senza sangue, Montalbano ritrovera' la solita verve e spigliatezza. Il nuovo romanzo e' l'ottavo che ha per protagonista il commissario Montalbano. I precedenti sono ''La forma dell'acqua'', ''Il cane di terracotta'', ''Il ladro di merendine'', ''La voce del violino'', ''La gita a Tindari'', ''L'odore della notte'', ''Il giro di boa''.
 
 

Il Messaggero, 1.10.2004
La bimba scomparsa a Mazara
Una telefonata dai rapitori? I genitori di Denise interrogati in questura

Marsala - Un mese fa scompariva Denise. Che fine ha fatto questa bimbetta di 4 anni? «Si può ipotizzare -risponde Silvio Sciuto, procuratore di Marsala- che la bimba sia viva e che potrebbe essere utilizzata dai sequestratori per richiedere qualcosa alla famiglia, che non è il denaro». Sciuto resta ancorato alla speranza. Non tutti nello staff investigativo condividono, ma chi concorda cita ”La pazienza del ragno”, ultima fatica di Camilleri. Racconta proprio la scomparsa di una ragazza, è una storia senza delitto e senza sangue. Montalbano alla fine chiarirà, anche in Tv.
[…]
Lucio Galluzzo
 
 

Radio Deejay, 1.10.2004
Pinocchio
Intervista ad Andrea Camilleri

Breve intervista nel programma "Pinocchio", condotto dalla Pina.
Si è parlato di libri e televisione e l'intervento di Camilleri calzava a pennello.
(segnalazione di Luisa)
 
 

La Nazione, 2.10.2004
Pistoia
Camilleri ha dato forfait alla rassegna sul 'giallo'
 
 

Oggi, 6.10.2004 (in edicola 2.10.2004)
Clamoroso: Andrea Camilleri "ripudia" il suo personaggio più famoso
Aiuto! Sono prigionero di Montalbano, liberatemi
"Mi capita quello che purtroppo è già successo a Simenon con Maigret", confessa lo scrittorie siciliano, "ormai il pubblico si aspetta da me solo nuove storie del celebre poliziotto. Io invece preferisco dedicarmi ai romanzi storici e civili, di cui è appena uscita una raccolta"

Roma, settembre. “Il commissario Salvo Montalbano? Non me ne parli, per carità. Sono suo prigioniero. Mentre sto scrivendo altro, magari qualcosa che mi piace di più, mi è più congeniale, lui, il poliziotto italiano più famoso, fa capolino nella mia mente e mi distrae. L'ho inventato quasi per caso. Pensavo di fermarmi al primo romanzo,” La forma dell'acqua”, ma non è stato possibile. Dopo il clamoroso successo in tutto il mondo, sono costretto a raccontare sempre nuove storie. Mi è successo quello che è successo a Simenon con Maigret: entrambi ricattati dai nostri personaggi”.
Vestito con semplicità, seduto su una sedia nella stanzetta di pochi metri quadrati zeppa di libri dove nascono i suoi best sellers, sigaretta in bocca (“è un vizio stupido, da imbecilli, ma non posso farne a meno”), Andrea Camilleri ci parla volentieri e con affabilità del mestiere di scrittore, ma anche della sua vita quotidiana, dei valori in cui crede. E soprattutto della sua Sicilia.
Di Camilleri esce in questi giorni, da Sellerio, “La pazienza del ragno”, ottavo romanzo della serie su Montalbano. Mondadori invece pubblica il secondo dei due Meridiani a lui dedicati, “Romanzi storici e civili”, che comprende romanzi come “Un filo di fumo”, “Il birraio di Preston”, “La mossa del cavallo” e altri: storie in cui, partendo da fatti reali di cui trova traccia in documenti e archivi siciliani, lo scrittore narra vicende di pura fantasia e ricche di suggestione.
Chi è il vero Camilleri? Il “papà” di Montalbano o l'autore di “La concessione del telefono” e “Il re di Girgenti”?
Sono due filoni, il poliziesco e l'evocativo, entrambi figli miei. Preferisco il secondo, ma il primo ormai domina. Montalbano nasce da una scommessa con me stesso, da una necessità narrativa. Volevo misurarmi con un romanzo dai tempi, dai modi, assolutamente tradizionali. Un giallo ha delle regole narrative precise: devi stare in una gabbia, non puoi barare. La scommessa è andata fin troppo bene.
Montalbano le piace?
A dire il vero, no. O meglio, non è il mio personaggio ideale. Proprio perché ho dovuto rinchiuderlo in uno schema. Più che un personaggio a tutto tondo, risponde a una “funzione”, quella del bravo poliziotto. L'ho caratterizzato come brusco e chiuso in se stesso, ma leale con gli altri. E' un personaggio alla mano, che si può invitare a cena. Nella fiction tv l'attore Luca Zingaretti non corrisponde esattamente alle sue caratteristiche, per esempio è troppo giovane, ma è lo stesso bravissimo. E non mi sono mai perso una puntata.
Che cosa succede nel nuovo romanzo “La pazienza del ragno”?
Si collega esattamente al precedente, “Il giro di boa”, che si concludeva con Montalbano, ferito alle spalle, accompagnato all'ospedale di Montechiaro da Fazio e Gallo. Finita la degenza, il commissario torna a casa per la convalescenza. Ma è abbattuto e depresso, si annoia. Così, quando gli giunge la telefonata di Catarella che l'informa della scomparsa di una ragazza, Montalbano si getta nell'indagine a capofitto...
Che lingua è quella che lei usa?
E' un pastiche di lingue e dialetti che comprende italiano, spagnolo, siciliano, genovese... Una sorta di “lingua mediterranea”, che è poi la lingua dei pescatori. Forse è il mio contributo all'unità europea. La cosa sorprendente è che mi capiscono da Palermo e Bergamo, e negli Stati Uniti mi leggono in lingua originale, non in traduzione inglese. L'unica a non capirmi è la tecnologia. Ho dovuto togliere dal computer il programma di correzione automatica, perché... mi dava errore ogni tre parole!
Come si fa a tradurre Camilleri in altre lingue?
Non è facile. Ma ho ottimi traduttori. Per dare l'idea di una lingua arcaica e colorita, in Francia, per esempio, hanno fatto ricorso a un dialetto che lì si parlava prima del Cinquecento. Le traduzioni si moltiplicano: le lingue sono già venticinque, l'ultima è il coreano. Come per le figurine Panini, mi “mancano” il cinese e l'arabo.
Quanto ci mette a scrivere un nuovo romanzo?
Per Montalbano sei mesi, gli altri un po' di più.
Non la spaventa il successo, la gente che la ferma per strada?
La mia vita non è cambiata. Ho lavorato per il teatro e la tv, perciò sono abituato al pubblico. Mi fa piacere che i lettori mi riconoscono. E ricevo almeno una decina di lettere al giorno. Cerco di rispondere a tutti. Mi dedico alla posta per almeno due ore, aiutato da un collaboratore. Mi ha commosso sapere da una lettera che il padre di chi mi scriveva era morto sereno con in mano un mio libro...
Lei è nei Meridiani uno dei pochissimi autori viventi ad avere il privilegio di essere in quella collana. Si sente già un classico?
Premesso che non c'è stato tutto questo consenso critico nei miei confronti (sono più apprezzato dai lettori!), penso che siano solo le generazioni future a decretare la fama di uno scrittore.
Come siciliano, si sente più vicino a Pirandello o a Sciascia?
Sciascia ha scelto una letteratura di denuncia, soprattutto verso la mafia, che oggi ha fatto il suo tempo. La mafia va combattuta senza tregua, ma non diamole una cassa di risonanza: io non parlo quasi mai. Pirandello è un gigante, forse da lui ho preso l'ambiguità di certi personaggi. E l'ironia.
Cos'è la Sicilia per lei?
Tutto. E' il luogo delle radici e della memoria, ma soprattutto lo spazio dell'invenzione narrativa. Non saprei scrivere nulla che non sia ambientato in Sicilia. E le vacanze non le trascorro in luoghi esotici, ma nella mia Porto Empedocle, magari seduto al tavolino del bar a sorseggiare una birra fresca.
Il privato di Camilleri?
Sono sposato da quasi cinquant'anni con la stessa donna, mia moglie Rosetta, romana di nascita e milanese di adozione. Abbiamo tre figlie e quattro nipoti. Non viaggio quasi più. Vado pazzo per il pesce appena pescato e mi piacciono i film di 007 con Sean Connery. In casa non lavo i piatti, ma sto stirare alla perfezione pantaloni e camicie plissettate delle mie figlie. Criticate pure i miei romanzi, ma non come stiro!
Qual è il compito dello scrittore?
Raccontare la storia e la società in cui vive.
Ha dei rimpianti?
No. La mia vita mi ha dato molto.
Nel 2005 compie 80 anni. Che regalo si farà?
Continuare a scrivere.
Vincenzo Sansonetti
 
 

Supereva Guide, 2.10.2004
"La pazienza del ragno" di Andrea Camilleri
Romanzare l’attualità

Aveva cominciato con “Gita a Tindari”: quando l’attualità preme con tanta virulenza, quando l’arbitrio di chi governa offusca e confonde i più elementari criteri etici, la letteratura non può tacere.
Montalbano commentava en passant, allora, la violenta repressione alla sommossa dei no global in una Genova salottiera e ipocrita che ospitava il convegno del G8. Da quella volta lo sdegno di Camilleri è cresciuto, è esploso inarginabile negli interventi a Micromega e nei pubblici contributi, fino a coinvolgere e stravolgere la sua attività di romanziere.
”La pazienza del ragno” non è solo un romanzo e sicuramente non è un giallo: non ci sono omicidi, non si seguono piste complicate, non si prospettano soluzioni complesse. L’enigma del sequestro della giovane Susanna Mistretta è facilmente risolvibile, anche per chi non ha letto “La scomparsa di Patò”, di cui il nuovo romanzo ricalca in parte le dinamiche.
Svincolatosi facilmente dall’intreccio narrativo, Camilleri può quindi, in quest’opera come in nessun’altra, assolvere al dovere civile che lo pungola e additare, sotto lo schermo narrativo, la catastrofe in cui la nostra Nazione sta precipitando.
Nella nota che va a chiudere il libro, Camilleri declina canonicamente responsabilità su omonimie e attinenze del libro, eppure a tutti il viso da culo di gallina del direttore di un’emittente smaccatamente filogovernativa richiamerà un volto noto nel nostro panorama giornalistico e, nello schieramento politico attuale, nessuno equivocherà sull’identità di quel partito che vuol riformare l’Italia a furia di condoni edilizi, di escamotage giudiziari, di tangenti e corruzioni.
Non mancano poi frecciate sarcastiche alla viabilità, che si snoda tra mulattiere simili a radiografie intestinali, limiti di velocità kamikaze e conseguenti sciagure stradali, opere pubbliche di nessuna utilità se non per gli appaltatori.
Condisce il tutto un’insistita e serrata critica al terrorismo mediatico, che svilisce l’informazione, ostacola la giustizia e semina scompiglio nella popolazione; la foga per lo scoop a cui son sacrificate morale e lealtà, in mani abili, può generare inciampo per gli inquirenti e indirizzare violente correnti di opinione pubblica.
Il ragno, che pazientemente struttura la sua tela, tessendo instancabile, ordendo con geometrica precisione le sue trame, è allegoria dell’ingegnosa trovata dei rapitori e, ad un livello più profondo, degli orrori a cui può giungere un animo esasperato dall’odio, dal risentimento, dalla disperazione.
Antonio è sottoposto nel testo ad un linciaggio sociale sicuramente meritato alla luce del suo malavitoso passato, ma tuttavia eccessivo se considerato isolatamente: dove si annidi la giustizia è un interrogativo a cui Montalbano non sa e non vuole rispondere.
Liquida anzi i suoi turbamenti come retaggio della sparatoria con cui si concluse “Il giro di boa”: tuttavia questo libro, presentato come un sequel del precedente bestseller, è del tutto autonomo se si eccettuano due o tre allusioni di passaggio che non condizionano assolutamente l’intelligenza complessiva dell’opera.
La penna è quella del miglior Camilleri: tutti i personaggi sono tratteggiati con la solita incisività caricaturale, Catarella con la sua dislessia, Livia con le sue sciarratine, Enzo con le sue prelibate leccornie, il Questore nella sua ebete tracotanza, Lattes nel suo servilismo disgustoso e così via.
”La pazienza del ragno” dimostra che uno scrittore abile sa intessere un ottimo romanzo anche rinunciando alla tensione del thriller e al facile sensazionalismo del giallo.
Benedetta Colella
 
 

La Stampa -ttL, 2.10.2004
Siena: nel Palio l'odore della vita

Le grandi passioni: il calcio, il ciclismo. E una passione, vivaddio, «insana »: il Palio, qualcosa di unico, d'irripetibile nella sua ripetitività, qualcosa che si può raccontare ma che si deve vivere, se lo si vuol assaporare, portarselo dentro come un dono. Il Palio è. A Siena non ti spiegano molto di più. Che cosa sia, devi scoprirlo da solo.
[...]
Aggiunge Carlo Lucarelli, giallista straordinario: «In tutto il mondo c'è un posto solo e un solo luogo in cui sia possibile compiere il delitto perfetto. A Siena, durante il Palio». Eccessivo? Mica tanto. Ora ci viene presentato un libro sulle "Visioni di palio" (AAVV, Protagon editori, libro e Dvd, Euro 60), corredate da un Dvd che cattura e conserva suggestioni uniche e rarefatte e ce le ripropone a una a una. Un libro di autori, non un numero qualsivoglia: diciassette. Come le contrade che si contendono la vittoria. E ognuno, rigorosamente estraneo alla città, racconta le sue emozioni, che certo non sono quelle di un «contradaiolo», ma forse per questo capita le sentiamo così vicine. «Per il Palio sento affetto, attaccamento», dice Andrea Camilleri dopo aver precisato di non seguire gli avvenimenti sportivi salvo, saltuariamente, l'automobilismo «proprio perché non ho la patente».
[...]
Vincenzo Tessandori
 
 

La Provincia, 3.10.2004
Il libro. Un romanzo intriso di malinconia. E senza morti ammazzati
Il ritorno di Montalbano
Già best seller il nuovo Camilleri. Un giallo classico, ma non troppo

A pochi giorni dall’avvenuta pubblicazione del Meridiano Mondadori che riunisce i suoi “Romanzi storici e civili”, Andrea Camilleri è di nuovo in libreria con il romanzo giallo “La pazienza del ragno”, edito dalla prestigiosa casa editrice palermitana Sellerio. Ottavo libro della serie dedicata al commissario Salvo Montalbano, personaggio conosciuto ed amato anche dai lettori meno assidui grazie alla fortunata fiction televisiva — trasmessa dalla Rai — nella quale il commissario ha il volto di Luca Zingaretti, La pazienza del ragno è già un successo annunciato; basti pensare che la prima edizione arriva in libreria con una tiratura di trecentomila copie. Il romanzo inizia dove si concludeva il precedente “Il giro di boa”, edito sempre da Sellerio nel 2003. Il commissario Montalbano era stato ferito da un trafficante di bambini extracomunitari durante una sparatoria, e nell’ultima pagina l’avevamo lasciato in ospedale, alle prese con una spalla malridotta; adesso, all’inizio del nuovo romanzo, lo ritroviamo a casa in convalescenza, accudito dalla storica fidanzata, Livia. Ma nella sua Vigàta, l’ormai celebre cittadina creata dalla fantasia di Camilleri, scompare una ragazza, Susanna. E’ stata rapita. L’indagine spetta a un collega di Montalbano, ma il nostro commissario viene richiamato in servizio per un lavoro di appoggio, di consulenza. Il sequestro è anomalo, i genitori della ragazza sono stati ricchi, ma adesso sono caduti in disgrazia. L’ingente riscatto richiesto, sei miliardi (di vecchie lire, e questo è un indizio importante…), fa pensare una sfida, una provocazione. E Montalbano comincia ad indagare, per conto suo, con i modi poco ‘regolari’ che lo contraddistinguono e che lo rendono così amato dai lettori. La sua personale indagine lo porterà a scoprire una storia di appalti truccati e di rancori familiari. Di interessi illegali, di imprenditori senza scrupoli che entrano in politica; una storia di odio. Giallo fuori dall’ordinario, questo “La pazienza del ragno”. Senza omicidi né fatti di sangue; intimistico, con un Montalbano fragile e a tratti impaurito dalla presenza costante e incombente della morte. Tormentato dagli incubi e spesso in preda alla commozione; ha ormai 54 anni, e li sente tutti. Vittima del malumore e della malinconia, ma sempre e comunque capace di stupirci con la sua ironia, i suoi scatti d’ira, con la sua capacità di indignarsi e di farci indignare. Camilleri gioca con la struttura del giallo classico, la sconvolge, non si stanca mai di sperimentare. Smonta e rimonta il racconto, con grande efficacia. Usa l’ormai classico linguaggio vivo e originale che lo contraddistingue; lui che, tra l’incredulità e lo scetticismo dei critici letterari della prima ora, ha avuto il merito di aver reso il suo ‘siciliano contaminato’ comprensibile perfettamente anche ai lettori dell’estremo Nord della Penisola. La soluzione arriverà — come sempre e come nello stile di Montalbano — grazie a un miscuglio di logica e di intuizione, e alla inconsapevole complicità della tela di un ragno. Ma questa soluzione, forse, il commissario stavolta preferirà tenerla per sé.
Maddalena Bonaccorso
 
 

Nove da Firenze, 3.10.2004
Letture, lettori, letterature: a Pistoia nove giorni di iniziative per capire le ragioni del successo del giallo

Si chiama “Le ragioni del giallo” la seconda edizione di Letteraria, letture, lettori, letterature, la kermesse che il Comune di Pistoia dedica agli amanti di uno dei generi di maggior successo, ma che intende anche promuovere la scrittura, l’ascolto, e la diffusione dei libri. Da venerdì 15 a sabato 23 ottobre saranno oltre quaranta le iniziative in programma in numerosi spazi cittadini. Si inizia sotto il segno di Andrea Camilleri, per motivi di salute presente solo in video, per chiudere con Paco Ignacio Taibo II che si confronterà con i suoi lettori.
[…]
 
 

Famiglia Cristiana, 10.10.2004 (online 5.10.2004)
La biblioteca di famiglia
I tormenti di Montalbano, commissario a fine carriera
È un personaggio solo, malinconico e dilaniato dai dubbi quello che mette in scena Camilleri nell’ultima puntata della serie.
Un misterioso sequestro scatena il conflitto fra coscienza e legge.

L’eterno dilemma tra la coscienza e la legge tormenta il commissario Montalbano, protagonista dell’ultima opera di Camilleri. "La pazienza del ragno" è un avvincente e sorprendente romanzo giallo, ricco di riflessioni e interrogativi esistenziali. Montalbano manifesta tutta la sua insofferenza verso il potere costituito, verso l’autoritarismo, verso i superiori che lo definiscono "un poliziotto". 
Dopo una lunga convalescenza seguita al conflitto a fuoco descritto nel "Giro di boa", il commissario Montalbano (nonostante l’opposizione del questore) indaga su un misterioso sequestro. La persona rapita è Susanna, una bella ragazza, figlia di un geologo (ormai non più ricco) e di una donna gravemente ammalata.
Gli altri personaggi principali della vicenda sono i due zii di Susanna: un noto medico e un potentissimo ingegnere (candidato alle elezioni politiche, nelle file del partito di maggioranza). Tra i protagonisti irrompe, prepotentemente, anche l’opinione pubblica, la vox populi. Ma chi ha rapito Susanna? Quali sono le vere cause? Motivi economici? Un movente passionale? Una vendetta privata? L’azione di un maniaco? Un finto sequestro? Nel corso delle indagini, Montalbano ascolta la sua coscienza, analizza il ruolo dell’amore e dell’odio, assiste malinconico alla solitudine e si chiede: «Può un uomo, arrivato alla fine della sua carriera, ribellarsi allo stato di cose che ha contribuito a mantenere?».
Di notevole interesse anche altre considerazioni contenute nel libro: «Era solo un uomo che aveva un personale criterio di giudizio riguardo a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato. E, certe volte, quello che pensava essere giusto risultava sbagliato per la giustizia. E viceversa. Allora, era meglio essere d’accordo con la giustizia, quella scritta nei libri, o con la propria coscienza?».
Nel romanzo non mancano le critiche al potere politico e a certi mass media. Il commissario Montalbano, ad esempio, attacca, con l’arma del sarcasmo, una televisione filogovernativa di Vigata (l’immaginaria cittadina dove sono ambientati i romanzi di Camilleri). Il noto commentatore dell’emittente locale si scaglia contro gli extracomunitari, indicandoli come i responsabili del misterioso sequestro di Susanna. Lo stesso personaggio televisivo si era distinto, nei precedenti romanzi, per le sue invettive contro gli immigrati (come se i disperati, in fuga dalle guerre e dalla fame, stremati dai viaggi della speranza, fossero pericolosi criminali).
Pietro Scaglione
 
 

La Sicilia, 5.10.2004
Interscambio culturale con alcuni scrittori svizzeri

Ribera. Che un semplice gemellaggio potesse trasformarsi in un'iniziativa di grande valenza scolastica e didattica, nessuno lo aveva previsto alla vigilia. Ci riferiamo alla visita della delegazione di scrittrici e poeti svizzeri che, guidati dal riberese Saro Marretta e in visita culturale e turistica a Ribera, ad Agrigento e Racalmuto, hanno voluto incontrare gli studenti delle scuole superiori della cittadina, l'Itcg «Giovanni XXIII» e il Magistrale «Crispi». Tra gli scrittori elvetici e gli studenti del liceo sperimentale riberese, ad indirizzo linguistico si è stabilito subito un feeling che ha portato ad uno scambio di pubblicazioni in lingua italiana e in lingua tedesca. A parte l'antologia per l'occasione pubblicata, con brani di narrativa e di poesie in italiano e in tedesco «Ciao Sicilia, Ciao Berna», il presidente degli scrittori svizzeri Daniel Himmelberger ha donato alla scuola e agli studenti una serie di volumi in tedesco che tracciano la storia dell'associazione, degli scrittori e della cultura elvetica.
«Gli studenti - spiega la preside, Antonina Triolo - avranno la possibilità con i loro docenti e con l'insegnante di madre lingua di approfondire meglio la conoscenza del tedesco e di creare un rapporto culturale che può durare al di là dei confini prettamente scolastici. L'entusiasmo che abbiamo notato tra i nostri giovani e gli scrittori svizzeri è stato davvero notevole perché sono stati fatti dei precisi riferimenti letterari a Pirandello, Tomasi Lampedusa, Sciascia e a Camilleri».
Gli scrittori ospiti di Ribera, della Provincia, della Camera di commercio e di Racalmuto sono stati: Kathrin Flury, Daniel Himmelberger, Els Jegen, Jurg Kilchherr, Bruno Adrian Luscher, Susanne Lutz, Rolf Mader, Luisa Schar Marretta, Saro Marretta, Lotti Ullman, Erika Von Gunten.
Enzo Minio
 
 

Magistratura Democratica, 5.10.2004
.....e' pronta!!
L'ageMDa 2005: un anno di Costituzione italiana (senza se e senza ma)

Agemda ci riprova. Abbiamo cominciato l’anno scorso, quasi per scommessa, spinti dalla voglia di fornire spunti di informazione non omologata sulla giustizia. L’impresa è riuscita: ci sono stati consensi, apprezzamenti, interesse. E, soprattutto, la nostra provocazione è diventata strumento di lavoro: nei palazzi di giustizia e anche altrove. Sarebbe, questa sola, una ragione sufficiente per riprovarci.
Ma c’è di più.
La Costituzione è – non da oggi, ma oggi più che mai – in pericolo. E occorre, perché resista, l’impegno di tutti quelli che la considerano un punto fermo per la nostra fragile democrazia. A questo impegno non intendiamo sottrarci.
Agemda propone dunque, quest’anno, 365 giorni in compagnia (e in difesa) della Costituzione.
Non potendo percorrerla tutta, ci siamo fermati su dodici articoli: uno al mese per dodici mesi.
Un’agenda non può essere né un commentario né un’opera con pretese di completezza: è un insieme di flash, di fatti, di avvenimenti, di riflessioni, di chiavi di lettura, di ricordi, di progetti…
Ci hanno aiutato in questo nuovo, avvincente viaggio, regalandoci i loro contributi (disegnati e scritti), Altan, Elle Kappa e Staino e, con loro, Tina Anselmi, Tom Benetollo, Enzo Biagi, Rita Borsellino, Luigi Ciotti, Adrea Camilleri, Tullio De Mauro, Guglielmo Epifani, Dario Fo, Fulvio Gianaria, Alberto Mittone, Domenico Ricca e Gianni Rognoni, testimoni attenti e sensibili – pur nella diversità di ruoli e idee - della nostra epoca.
Tutti li ringraziamo, con un ricordo affettuoso e commosso per Tom Benetollo.
Agemda è stata curata, quest’anno, da Eugenio Albamonte, Roberto Braccialini, Giovanni Cannella, Elisabetta Cesqui, Giovanni Diotallevi, Stefano Erbani, Ignazio Juan Patrone, Livio Pepino, Rita Sanlorenzo, Gianfranco Viglietta. Il testo è stato chiuso nel luglio 2004 (e con riferimento a tale data vanno, conseguentemente, lette le notizie relative agli avvenimenti in divenire).
Come sempre il senso e le ambizioni di questa agenda sono culturali e non commerciali: ogni utile conseguente alla sua diffusione sarà devoluto al Progetto Comunità ABEL – Costa D'Avorio del Gruppo Abele.
Buona lettura e buon lavoro.
luglio 2004
Livio Pepino
L'AgeMDa 2005 può essere richiesta a qualunque libreria, segnalando al libraio che il distributore è la CDA di Bologna.
L'AgeMDa è inoltre disponibile presso le librerie Feltrinelli.
Infine, per averne una copia ci si può rivolgere ai segretari sezionali di Md.
 
 

Corriere del Ticino, 7.10.2004
Andrea Camilleri, uno scrittore sempre attivissimo
Andrea Camilleri, a dispetto dell’età, rimane sempre uno scrittore attivissimo, e che soprattutto sa catturare l’interesse dei lettori. Ne fa fede l’uscita in questi giorni di un nuovo suo romanzo della serie dedicata al commissario Montalbano. Ma non solo: anche di un corposo volume dei «Meridiani» della Mondadori che raccoglie i suoi «romanzi storici». Una duplice buona occasione per intervistarlo.

E intanto è arrivato in libreria anche l'ultimo romanzo della serie dedicata al commissario Montalbano
La storia, fra la ragione e il sentimento
A colloquio con Andea Camilleri, mentre esce un suo nuovo Meridiano
L'intervista. "La vita è una scoperta dopo l'altra, un enigma dopo l'altro, un dubbio dopo l'altro..."

Dopo il primo volume con tutti i romanzi di cui è protagonista il commissario Montalbano, arriva in libreria il secondo Meridiano Mondadori dedicato ad Andrea Camilleri, con i suoi "Romanzi storici e civili". Si tratta di "Un filo di fumo", "La strage dimenticata", "La stagione della caccia", "La bolla di componenda", "Il birraio di Preston", "La concessione del telefono", "Il re di Girgenti" e "La presa di Macallè", "croniche ", che raccontano i fatti di Vigàta (il paese inventato che ha molte somiglianze con Porto Empedocle dove Camilleri è nato nel 1925), dalla fine del Seicento agli anni Trenta. Un lungo periodo storico che Camilleri ha indagato con lo stesso "fiuto" con cui Montalbano scova gli assassini, partendo da "indizi" minimi, come un volantino o un decreto, la trascrizione di un'udienza o una frase letta in un libro: su questi spunti Camilleri fantastica fino a trovare le connessioni plausibili, e quando serve "apre il laboratorio del falsario, e la prova se la fabbrica". Così anche la storia diventa romanzo, libera narrazione che però non perde mai di vista la sostanza dei fatti.
Incontro Camilleri nella sua casa di Roma. Spessi occhiali da vista, sorriso bonario, grande disponibilità, risposte bulinate dall'ironia. Gli domando come si senta ad essere diventato un classico.
«Il fatto è - dice - che si ha l'incoscienza di essere un classico non la coscienza. In realtà non credo di esserlo. E poi, lasciamo che se ne riparli fra qualche centinaio d'anni».
Quanto conta per lei la lezione di Sciascia, Bufalino, Brancati o Tomasi di Lampedusa?
«Lei ha fatto un bel po' di nomi, ma la lezione che mi interessa è quella di Sciascia, non quella di Bufalino e meno che mai di Tomasi di Lampedusa. E' Sciascia quello che avrei tanto voluto essere e non sono mai riuscito ad essere: un esercizio spietato della ragione. Io, dopo un po' che mi cimento nella ragione, vengo sopraffatto dai sentimenti. Allora rimane una sorta di diamante che brilla e purtroppo non riesco mai ad allungare le mani per prendermelo».
La sua Sicilia è diversa da quella descritta da Sciascia?
«Non credo che ci siano molte differenze: la Sicilia come la vedo è uguale a quella di Sciascia, sia sotto il profilo geografico e paesaggistico perché il mio paese dista pochi chilometri dal suo, sia dal punto di vista intellettuale perché le nostre idee sulla Sicilia molto spesso coincidono. Entrambi abbiamo una posizione critica nei riguardi dei siciliani».
Quali critiche muove ai suoi conterranei?
«Di avere il vizio di piangersi addosso e di addossare le proprie colpe ad altri, senza rendersi conto che di colpe, loro, ne hanno moltissime».
Ce ne può dire qualcuna?
«Faccio un esempio: noi siciliani godiamo di un'autonomia regionale da far invidia ai leghisti, ma non siamo mai riusciti ad amministrarla bene, e ogni volta troviamo degli alibi per giustificare questa inefficienza. La realtà è che non siamo stati e non siamo capaci di gestire un grandissimo patrimonio economico».
Vigàta, il paese al centro delle sue cronache, è lo specchio di tutta la Sicilia?
«Non c'è dubbio: completamente e compiutamente, almeno nelle mie intenzioni. Ho trovato molto bello che mettendo in scena il mio "Birraio di Preston", il regista Di Pasquale abbia voluto una scenografia dove Vigàta aveva la forma triangolare della Sicilia. Dirò di più: i romanzi civili, riflessione su alcuni eventi storici, in realtà rispecchiano la società italiana odierna, non solo siciliana. Lo storico come Giovanni De Luna ha scritto che alcune cose dell'Italia di oggi  si possono capire attraverso la ricostruzione fantasiosa che io faccio di certi episodi post unitari».
È stato detto che scrivendo un libro giallo non si può barare: concorda con questa opinione?
«Questa affermazione è una sorta di consuntivo di ciò che Sciascia ha detto a proposito del giallo. Sciascia sostiene che il giallo è una gabbia dentro la quale l'autore, una volta che ci si è infilato, sa di non poter barare sulle successioni temporali né tantomeno sulle concatenazioni logiche dei fatti. Invece in un "romanzo-romanzo", come direbbe Georges Simenon, si può barare sul tempo narrativo e sulla successione logica dei fatti».
Vigàta è sbocciato nella sua fantasia per puro istinto o per calcolo?
«Direi per calcolo. L'ho inventato per avere un paesaggio conosciuto e facilmente controllabile, come il Macondo di Gabriel Garcìa Màrquez o la contea impronunciabile di William Faulkner. Dentro questo paesaggio dai confini spostabili uno scrittore può mettere di tutto».
Qualche volta si sente "schiacciato" dalla personalità di Montalbano?
«Schiacciato no, ma molto importunato si».
Quali sono i motivi del fastidio?
«Ho scoperto sulla mia pelle - ma credo che l'avverta chiunque si cimenti con dei personaggi fissi - che il personaggio seriale è un killer di altri possibili personaggi. E' come camminare in una strada tranquilla - e torno a citare Simenon - dotata di corrimano e dunque più facile da seguire, e quindi c'è la tentazione di labbandonarvisi».
Bisogna escogitre delle strategie per trattenersi?
«Certamente. Io, ad esempio, ho scritto una gran quantità di racconti su Montalbano che erano come le polpette di carne che si buttavano ai lupi che inseguivano la slitta, per tenerli un po' a distanza. E' un metodo per tenerlo a bada e potere intanto scrivere altre cose, altrimenti è un personaggio che ti mangia, ti fagocita».
Come sta in questo momento Montalbano?
«Benino, grazie. Ha i suoi problemi, le paure dell'invecchiamento, comuni a tanti uomini ma che io per fortuna non ho avuto e quindi me la posso scialare e affibbiarle a lui. Comunque va avanti, e proprio in questi giorni esce da Sellerio il nuovo romanzo intitolato "La pazienza del ragno"».
Ci può anticipare qualcosa?
«"La pazienza del ragno" si ricollega al "Giro di boa", il precedente romanzo con Montalbano, ma questa volta il commissario non è direttamente coinvolto, è in convalescenza perché è stato ferito, e fa un'indagine di supporto. Ma quando arriva a delle conclusioni, si rende conto che non sono quelle definitive: c'è un'altra verità da scoprire. E quando la scopre, la scoperta lo getta in un'altra e più grave crisi».
Come succede nella vita, in sostanza...
«Esattamente. La vita è una scoperta dopo l'altra, un enigma dopo l'altro, un dubbio dopo l'altro. Montalbano attraversa tutto remando con lena, e tempeste e bonacce si alternano nel suo lavoro. Come nella vita, appunto».
A proposito di invecchiamento, come si predispone a festeggiare, nel 2005, i suoi ottant'anni?
«Come mi sono predisposto ai 79, ai 78 eccetera. Per me non sono un traguardo importante. Sono nato, dovrò morire, su questo non c'è il minimo dubbio. Che poi la morte sia per me un fatto disdicevole, è un altro discorso».
Francesco Mannoni
 
 

Corriere della sera (cronaca di Roma), 7.10.2004
Il libro
«La pazienza del ragno», Camilleri all’Ex Novo

Incontro con Andrea Camilleri, il padre del commissario Montalbano, che presenta «La pazienza del ragno», edito da Sellerio. Intervengono Giancarlo De Cataldo e Marino Sinibaldi (Libreria Il Seme - Centro Ex Novo, via Monte Zebio 9, alle 19. Infoline: 06.45427600).
 
 

Il Corriere della sera - Magazine, 7.10.2004
La recensione
Tema di Andreina Camilleri: "Papà fa la lavatrice"

Tema: "Mio padre". Svolgimento di Andreina, figlia dello scrittore Andrea Camilleri: "Mio padre quando torna a casa si chiude nello studio e legge copioni. La sera esce e non torna più. Quando mi sveglio, certe volte non c'è, questo è mio padre. Qualche volta fa andare la lavatrice". Buon sangue non mente. Il componimento fa parte della biografia (a cura di Antonio Franchini) compresa nel volume dei Meridiani dedicato ai “Romanzi storici e civili” (da “Un filo di fumo” a “La presa di Macallè” passando, tra gli altri, per “La stagione della caccia”, “Il birraio di Preston”, “La mossa del cavallo”, ecc.). Abbiamo già detto la volta scorsa che la biografia è bellissima (e i romanzi non sono da meno, compresi gli ultimi che sono stati un po' trascurati). Contiene anche una geniale interpretazione di Georges Simenon che spiega per sempre la sua grandezza di scrittore: "Simenon ricorre a un'astuzia che è tutta sua, muove da un punto di vista assolutamente inedito per la letteratura poliziesca: si mette dalla parte del morto, ciò che nessuno faceva prima di Maigret. E' chiaro che il morto è in grado di spiegarti le ragioni per le quali è stato ammazzato e quindi il tentativo, bellissimo, di Simenon, non è tanto scoprire chi è l'assassino ma chi era il morto".
A proposito di paternità, Camilleri racconta che Montalbano, il suo celebre commissario, somiglia sempre più col passare del tempo a suo padre e racconta un episodio inedito per spiegare com'era suo padre (direttore dell'azienda siciliana di trasporti) e com'è Montalbano: "Un giorno ero andato da lui per chiedergli dei soldi e il suo assistente -si chiamava Kunic, era uno slavo- mi ferma sulla porta e mi dice di non entrare. Io sentii un rumore di sedie smosse poi un autista uscì tenendosi un fazzoletto sul naso. Entrai, mio padre disse: l'ho menato. Che vergogna, menare un operaio che non si può difendere, dissi io. Senti, rispose lui, quell'uomo aveva caricato una puttana ed è uscito di strada perché guidava mentre s'intratteneva con lei. Davanti agli altri non potevo fare finta di niente. Che facevo? Lo menavo o lo licenziavo? Ha tre figli, che cosa dice la tua CGIL? Ecco, Montalbano avrebbe fatto così".
Anche lo stile di Camilleri, ormai inconfondibile, è nato grazie al padre. Le cose andarono così. Camilleri va a trovare il padre che si trova in clinica (non ne sarebbe uscito più), ma è nervoso a causa del suo lavoro. Il padre lo nota e gli chiede cosa succede. Camilleri gli risponde che sta cercando di scrivere un romanzo e non gli riesce. Il padre gli chiede di raccontarglielo. Lo scrittore ci prova e lo fa nel lessico familiare di casa Camilleri, parte in italiano e parte in siciliano, la formula magica dei suoi libri, "il modo di parlare della piccola borghesia siciliana; noi, a casa nostra, parlavamo in quel modo". Vede che funziona. Così, in nome del padre, Camilleri superò il blocco narrativo che lo affliggeva e si avviò per la sua straordinaria carriera.
Antonio D'Orrico
 
 

Corriere della sera, 7.10.2004
L’iniziativa del Corriere - La Grande Cucina
La letteratura racconta di un popolo affamato, ma anche gran macellatore di carni e ottimo produttore di vino, riso, grano, olio. Le ricette di Arlecchino e il menu del commissario Montalbano
Cibo e scrittori
Da Goldoni fino a Camilleri libri che profumano di intingolo

La letteratura italiana gronda di intingoli, è pervasa da mille profumi di sughi. E come non potrebbe, poiché racconta un popolo affamato però anche gran macellatore di carni e ottimo produttore di vino, riso, grano, olio.
[…]
Giuseppe Tomasi di Lampedusa amava perdutamente la cucina della sua terra siciliana, basta rileggere l’ingresso trionfale del timballo di maccheroni alla cena d’idillio tra Tancredi e Angelica: Ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti. E’ il padre nobile di un altro siciliano gastronomo dei nostri giorni, ovviamente Andrea Camilleri, padre del commissario Montalbano che, ne “L’odore della notte”, per esempio divora una teglia di patate al forno, un piatto che poteva essere nenti e poteva essere tutto a seconda della mano che dosava il condimento e faceva interagire cipolla con capperi, olive con aceto e zucchero, sale col pepe. Solo una briciola dello sterminato menu a disposizione del commissario. Anche lui, in fondo come Arlecchino, è attanagliato da una italica, secolare fame mista a quella dei nostri tempi, prodotta dalla nevrosi.
Paolo Conti
 
 

Il Giornale di Vicenza, 7.10.2004
Personaggi. Il regista dirige a teatro
Abruzzo e Olanda in cerca d’autore chiamano Stanisci

Vicenza. Che cos'hanno in comune l'Abruzzo e l'Olanda? Mica tanto, a prima vista. Ma a unirli nel segno del teatro ci penseranno, l'anno prossimo, due eventi firmati da Renato Stanisci.
[…]
Lo spettacolo di punta sarà “Vita Nuda”, testo che Stanisci nel 1986 ricavò dalle “Novelle per un anno” di Pirandello e che forse qualche vicentino ricorderà presentato al nostro pubblico, in occasione del debutto, da un Andrea Camilleri non ancora divenuto celebre autore delle avventure poliziesche del commissario Montalbano.
[…]
Antonio Stefani
 
 

La Repubblica, 8.10.2004
Cultura
Andrea Camilleri conquista subito la vetta

Fresco di stampa, conquista subito il primo posto nelle vendite “La pazienza del ragno” di Andrea Camilleri ovvero il nuovo "episodio" del commissario Montalbano. Storia gialla senza delitto né spargimenti di sangue, il romanzo inizia là dove terminava il precedente “Il giro di boa”, presentandoci un Montalbano in piena crisi esistenziale. Sarà la misteriosa scomparsa di una ragazza a scuoterlo dal suo inquieto torpore.
[…]
 
 

Adnkronos, 8.10.2004
Il trimestrale, per la Robin Edizioni, è distribuito da Messaggerie
Un 'Falcone Maltese' nell'universo del giallo
Anteprime, recensioni, interviste esclusive, ma anche casi di cronaca, notizie e curiosità nella nuova rivista diretta da Maurizio Testa, in libreria da metà ottobre

Roma, 8 ott. (Adnkronos Multimedia) - Una nuova realtà va ad arricchire il panorama editoriale italiano, la prima capace di dare voce al giallo non più solo come un genere di evasione, ma come un fenomeno culturale di massa. E' 'Il Falcone Maltese', rivista trimestrale in libreria da metà ottobre, che si propone come un autentico punto di riferimento per gli appassionati.
L'obiettivo è informare e divertire una fascia di utenti che negli ultimi anni si è accresciuta a dismisura, variegata per gusti e preferenze. Ne 'Il Falcone Maltese', che nasce con gli auguri di Andrea Camilleri, gli instancabili delle fiction, da 'La Omicidi' a C.S.I., potranno trovare i palinsesti televisivi e le interviste ai personaggi del piccolo schermo, mentre per gli amanti della lettura è previsto un ampio spazio dedicato ad anteprime e anticipazioni, nonché alle recensioni, e in più interviste esclusive a Pierre Magnan e Joe Lansdale.
E ancora, una panoramica sui gialli presentati al Festival di Venezia e, dedicato ai nostalgici, 'Quando la fiction si chiamava sceneggiato': il 'Nero Wolfe' di Tino Buazzelli e le indimenticabili 'Inchieste del commissario Maigret' con Gino Cervi, ricordate in un'intervista fatta a Camilleri. Rivolto ai cultori del noir è il servizio di apertura che, in omaggio al nome della rivista, esplora gli aspetti meno conosciuti e più originali della scuola dell'hard boiled.
Infine, spazio ai casi di cronaca e all'intervista a Giancarlo de Cataldo sul film tratto dal suo 'Romanzo Criminale'. Per tutti, rubriche di notizie, curiosità, fotografie, novità e anche un sito internet, www.falconemaltese.it, online dalla seconda metà di ottobre costantemente aggiornato.
Edita da Robin Edizioni e distribuita da Messaggerie, la rivista è diretta da Maurizio Testa, un giornalista 'veterano' del genere, autore di 'Omaggio a Georges Simenon', un cofanetto speciale di tre volumi pubblicato dalla Robin Edizioni proprio in occasione del centenario dalla nascita del romanziere padre del celebre Maigret. Dal 1997 al 2002 Maurizio Testa è stato inoltre ideatore e direttore della manifestazione dell'Estate romana, Giallo Estate.
 
 

Il Falcone Maltese, Anno 1 n. 1, ottobre-novembre-dicembre 2004
Auguri per l'esordio de "Il Falcone Maltese"
"Il Falcone Maltese è una splendida idea di testata.
Chi si ricorda di  che materia è fatto il "Falcone"? Secondo Hammett, che lo riprende da Shakespeare, è della stessa materia di cui sono fatti i sogni.
Che anche questo "Falcone" di carta possa avere tanti, tanti lettori capaci di sognare, di avere cioè fantasia".
Andrea Camilleri
 

Anteprima
Il ragno paziente di Camilleri
“La pazienza del ragno” (Sellerio Editore, uscito a ottobre 2004) è nato per caso dalla penna di Andrea Camilleri.
Lo scrittore, dopo “Giro di boa”, stava dedicandosi ad un racconto intitolato “La pazienza del ragno”, che idealmente seguiva la storia del romanzo precedente, riprendendo il discorso dalla stanza d’ospedale nella quale Montalbano era stato ricoverato a seguito di un conflitto a fuoco. Da semplice racconto, “La pazienza del ragno” è divenuto un vero e proprio romanzo, l’ottavo della serie.
È una storia particolare, senza omicidi e senza spargimento di sangue, ma capace di infondere una sensazione di ansia e di attesa per le sorti della “vittima” di turno, una ragazzina scomparsa nel nulla.
Per uscire dalla profonda apatia che il periodo di convalescenza gli ha provocato, Montalbano si getta a capofitto nel misterioso caso di rapimento, ma della ragazza viene ritrovato solamente il  motorino, e la crisi del Commissario anziché diminuire si acutizza tormentandolo anche di notte… Una perfetta opera poliziesca e una dettagliata indagine psicologica si alternano in questo romanzo, attraverso il quale conosciamo meglio la psicologia del protagonista.
Ovviamente, né il tormento interiore né l’ansia per il presunto rapimento fermeranno il Commissario Montalbano, che riuscirà anche stavolta a dipanare la matassa.
Tatiana Battini e Alessandra Buccheri
 

Giallo e tivù
Produttore Rai per Maigret e autore di Montalbano
Camilleri, al di qua e al di là dello schermo
Come delegato alla produzione Rai dei Maigret, Andrea Camilleri conosce a perfezione il funzionamento della televisione quando si adatta un testo.
Come scrittore, assiste oggi alla messa in scena televisiva della sua opera letteraria, il famoso Montalbano.
E’ il raro caso di chi si trova da una parte e dall’altra della barricata.
L’autore spiega come funzionava allora e come vive invece oggi questa opposta condizione.

Si è detto tanto su Camilleri, del suo grande successo, della sua popolarità recente, ma in fortissima crescita, e di doverlo considerare un fenomeno, non solo nell'ambito giallo, ma anche in quello letterario in senso più ampio.
In effetti chi ha creato un personaggio, come il commissario Montalbano, così popolare e conosciuto, che ha fatto il salto dalla pagina al piccolo schermo ottenendo altrettanto successo? 
Va riconosciuto allo scrittore siciliano il merito di aver sintetizzato in un commissario, siciliano pure lui e con tutte le caratteristiche della sua terra, una serie di tratti universali che ne fanno un personaggio a tutto tondo che oltrepassa i confini della sua cultura, per di più isolana e quindi più particolare, e diventa un punto di riferimento letterario e giallistico. E questo si riflette anche nella lingua in cui Camilleri scrive queste storie. Non che sia decisamente dialettale, ma è infarcita di termini e modi di dire siciliani non certo noti a tutti. Eppure anche in questo caso, quello che poteva essere un handicap per il lettore comune, pian piano è divenuta una caratteristica distintiva e irrinunciabile delle avventure del commissario Montalbano. Ed infine Camilleri, da fine conoscitore di gialli e del pubblico appassionato, ha puntato sulla serialità di questo personaggio, che è andato sempre più prendendo corpo e ha agganciato, come succede spesso nel giallo, un numero crescente di lettori che poi è riuscito anche a fidelizzare. 
Come avrete letto, nella prima pagina del primo numero di questa rivista, Camilleri ha salutato i lettori e fatto gli auguri a questa avventura. Dopo aver presentato, nella sezione "Anteprima libri” il suo nuovo romanzo della serie Montalbano, siamo a proporvi un'intervista su una situazione particolare in cui si trova grazie  alla sua esperienza in Rai. Insomma  in questo "Falcone Maltese" si parla molto di Camilleri e, a nostro parere giustamente. 
MT - Lei, per gli sceneggiati Rai di Maigret, è stato dalla parte di chi trasforma un prodotto letterario 
in uno televisivo. Ultimamente, invece, con il commissario Montalbano, è nella condizione di essere l’autore letterario che vede trasposta in televisione la propria opera scritta. Chi meglio di lei può illustrarci le difficoltà e i problemi del primo ruolo e le riserve e le sorprese (piacevoli o meno) del secondo? 
AC - Vorrei dire che tanto nel primo caso, quanto nel secondo, la mia posizione è stata alquanto marginale. Nel caso dei Maigret sceneggiati per la Tv, il mio compito era di ”delegato alla produzione”, una specie di produttore esecutivo. Non collaboravo con gli sceneggiatori, né alla scelta dei testi, né alla loro sceneggiatura: mi limitavo ad essere presente per intervenire nell'eventualità dell'eccesso di cambiamenti di scene (scenograficamente parlando) che avrebbe avuto come conseguenza tempi maggiori di lavorazione o troppe riprese in esterni. Collaboravo con il regista nella scelta degli interpreti soprattutto per problemi di costo. Un fatto molto "tecnico” come si vede. Che poi, osservando Diego Fabbri sceneggiare, abbia imparato qualcosa sul meccanismo del giallo, questo è un altro discorso. Come autore dei romanzi di Montalbano, devo dire che il mio compito, all'atto della trasposizione in Tv, si limita ad una collaborazione con lo sceneggiatore Francesco Bruni, che consiste nell'aggiunta di qualche piccola scena di raccordo, o nella sistemazione di qualche dialogo. Ammaestrato dalle mie precedenti esperienze, sia teatrali che televisive, non ho preso parte nè alla distribuzione, nè alla scelta dei luoghi, nè ad altro. Ho sempre avuto molta fiducia nella produzione, nel regista, in Zingaretti. Fiducia che è stata ripagata. 
MT - Rai: dai tempi di Maigret a quelli di Salvo Montalbano è cambiato molto (forse quasi tutto): chi e come produce, la velocità di lavorazione, i meccanismi di scelta del prodotto, la selezione degli attori... Lei appartiene a coloro che rimpiangono i bei tempi andati o tra chi apprezza le nuove possibilità offerte dalle tecnologie? 
AC - Certo, negli ultimi tempi in Rai è cambiato molto, soprattutto per quello che riguarda i tempi e i modi di lavorazione della fiction e della tecnologia. Per principio, non sono tra coloro che si spaventano delle nuove tecnologie, anzi. Però attenzione: bisogna saper essere al passo con tutte queste nuove possibilità. Oggi capita che alle tecnologie avanzate corrispondano contenuti narrativi decrepiti e forme obsolete di racconto. 
MT - Da più voci (per la verità, Montalbano a parte) si esprimono perplessità sulle nuove fiction-tv poliziesche: troppe concessioni al genere "commedia", a volte addirittura a quello "rosa" e un'eccessiva dose di "buonismo". Invece scarseggiano l'originalità, la necessaria dose di tensione e il ritmo della storia è spesso lento. Lei che ne pensa? 
AC - Devo confessare che non vedo le fiction-tv poliziesche. E dato che mi mandano le cassette di Montalbano prima che vadano in onda, va a finire che poi non lo guardo la sera della trasmissione. Comunque a quanti muovono la critica di "buonismo" alle fiction poliziesche italiane, faccio una proposta semplice semplice: perché non scrivono una bella sceneggiatura su quello che capitò nella genovese caserma di Bolzaneto e la propongano alla Rai o a Mediaset?
Maurizio Testa
 

Scuole generi & mode. Dopo il convegno internazionale a Prato
Ora il giallo è davvero “mediterraneo”
Prato, luglio 2004: consacrazione di quel genere giallo che va da Montalbán fino a Camilleri, grazie al convegno internazionale della North Australian Workd University e della Monash University, con professori, scrittori, critici da tutto il mondo, e dove anche “Il Falcone Maltese” è stato presente con un suo inviato-relatore
[…]
Fabio Troncarelli

Al convegno si è parlato tra gli altri di…
Andrea Camilleri
Consacrato erede di Sciascia, ha riscosso grande interesse. Tutti si interrogavano sulla mescolanza di vecchio e nuovo, sulla presenza di tradizione e innovazione nelle avventure del commissario Montalbano.

“… offrono un curioso e affascinante miscuglio di tradizione e cambiamento, sia sul piano letterario che culturale…”
“… il rispetto delle tradizioni siciliane è un elemento essenziale del suo successo professionale. Conosce le regole e i codici di comportamento: comprende la legge dell’omertà.”
Susan Briziarelli (University of San Diego)

“Montalbano è un nostalgico dei vecchi tempi, quando la mafia non agiva in termini prevedibili, al contrario di oggi, dove tutto si è trasformato in una società criminale che non rispetta neanche il suo ‘codice d’onore’”.
Cinzia Donatelli Noble (Brigham Young University)

“Montalbano sente la nostalgia di un mondo locale e non globalizzato e ha un’avversione per le nuove tecnologie. Rappresenta il mantenimento di una detectione tradizionale e il suo attaccamento a dei valori che sembrano non avere più posto nel mondo.”
Stephen Kolsky (University of Melbourne)
 

NewsNovitàPillole
Camilleri
Non tutti sanno che…
Il famoso scrittore siciliano, oltre che produttore della Rai negli anni sessanta, oltre che autore di testi tetrali è anche stato regista de “L’indizio” di E. Roda, uno sceneggiato trasmesso nel 1982 in cinque puntate. Ecco i titoli: “Il terzo colpo”, “Alibi a doppio taglio”, “Domenica di ferragosto”, “Ileana addio”, “Il cliente senza nome”. L’interprete principale era Lino Troisi. La serie è stata riproposta recentemente da RaiSat Premium tra giovedì 26/8 e martedì 31/8/2004.
 

Visti in Tivù
“Replay”, Studio Universal
Trucchi da film? Smascherati
Magari fosse così facile.
Invece questo programma sfata i luoghi comuni visti in molti film, soprattuttoo gialli
Intervista a Silio Bozzi

[…]
DM – Collaborando da anni con molti scrittori, quali sono le domande cui più spesso deve dare una risposta?
SB – I quesiti sono stati e sono i più svariati, a volte anche i più bizzarri. Si va dalle più semplici questioni balistiche a quelle chimiche, tanatologiche o procedurali. Il primo a capire quanto fosse importante dare solidità e veridicità tecnica alla struttura narrativa fu Lucarelli con “Almost blue”. Ma per un consulente le pseudo-domande di Andrea Camilleri sono le più gustose: le chiamo “pseudo” domande perché Camilleri con i suoi quesiti più che altro ti trscina “dentro” la storia, dentro un ironico gioco di chiaroscuri, cioè non si accontenta della fredda risposta tecnica, ma chiede anche pareri, pretende osservazioni e altre curiosità. Insomma riesce a sedurti ancor prima della fine del romanzo. Siamo entrambi siciliani, forse per questo ci siamo capiti al volo.
[…]
Dalila Mazzocchi
 

Club & Associazioni
Tutti insieme appassionatamente per il giallo
“Giallo & Co.” È un’associazione che si prefigge di diffondere la lettura e la cultura del giallo in tutte le sue espressioni e di essere promotrice di iniziative didattiche e di intrattenimento. Tra i fondatori alcuni tra i più famosi giallisti italiani

Alla fine dello scorso febbraio, è stata costituita l’Associazione Culturale “Giallo & Co.”  che ha come presidente l’ormai indiscusso giallista Giorgio Faletti e, come vice, l’onnipresente Tecla Dozio.
[…]
I soci fondatori sono 15 fra cui spiccano nomi famosi come Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Carlo Oliva, Luca Crovi, Fabrizio Gasparetto, Veronica Todaro. Fra gli amici sostenitori – e sono ancora pochi perché non è ancora stata fatta né la presentazione ufficiale dell’Associazione, né la campagna abbonamenti – Barbara Garlaschelli, Massimo Carlotto, Cooperativa casa del popolo Arona, Filippo Lupo (presidente del Camilleri Fans Club), Ernesto Vegetti, Ugo Mazzotta, Luca Bizzarri e altri (per ora 62 in tutto).
 
 

La Provincia di Sondrio, 9.10.2004
Interviste / Mentre esce la nuova avventura del celebre commissario
Andrea Camilleri oltre Montalbano

Dopo il primo volume che conteneva tutti i romanzi della saga del commissario Montalbano, dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, arriva in libreria il secondo Meridiano Mondadori, che comprende i Romanzi storici e civili. Sono: Un filo di fumo, La strage dimenticata, La stagione della caccia, La bolla di componenda, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, Il re di Girgenti e La presa di Macallè, "croniche ", che raccontano i fatti di Vigàta (il paese inventato che ha molte somiglianze con Porto Empedocle dove Camilleri è nato nel 1925), dalla fine del Seicento agli anni Trenta del Novecento. Inoltre, è ormai nelle librerie la nuova avventura del commissario Montalbano, «La pazienza del ragno», pubblicato da Sellerio. Non solo: il libro è ieri schizzato al primo posto delle classifiche di vendita.
Incontriamo Camilleri, nuovo classico dell'Olimpo letterario, nella sua casa di Roma. Spessi occhiali da vista, sorriso bonario, grande disponibilità, risposte bulinate da una divertente ironia. Gli chiediamo come si sente ad essere un classico? Sospira, sorride e poi sospira ancora.
«Il fatto è - dice - che si ha l'incoscienza di essere un classico non la coscienza. In realtà non credo di esserlo. La risposta comunque, non può essere data da me, lasciamo che se ne riparli fra qualche centinaio d'anni».
Quanto conta per lei la lezione di Sciascia, Bufalino, Brancati, o Tomasi di Lampedusa?
«Lei ha fatto un bel po' di nomi, ma la lezione che mi interessa è quella di Sciascia, non quella di Bufalino e meno che mai di Tomasi di Lampedusa. E dico Sciascia perché è lui quello che non sono mai riuscito ad essere e avrei tanto voluto essere: un esercizio spietato della ragione. Io, dopo un po' che mi cimento nella ragione, vengo sopraffatto dai sentimenti. Allora rimane una sorta di diamante che brilla e purtroppo non riesco mai ad allungare le mani per prendermelo».
Fra la sua Sicilia e quella di Sciascia, ci sono delle differenze o c'è un amalgama perfetto?
«Non credo che ci siano molte differenze. La Sicilia che vedo io è indubbiamente quella di Sciascia, anche paesaggisticamente parlando. Credo che ci siano pochi chilometri di distanza fra il paese di Sciascia e il mio, perciò come fatto logistico - geografico, siamo in assoluta armonia».
E come fatto intellettuale?
«Il punto di vista di Sciascia e quello mio per ciò che riguarda la Sicilia, molto spesso coincidono. Ma questo coincidere, non è la passiva accettazione di certi caratteri della Sicilia. Tutt'altro: è una posizione critica nei riguardi dei siciliani, e questo mi sta molto bene».
Perché?
«Perché i miei compatrioti hanno spesso la voglia di piangersi addosso e di addossare le loro colpe ad altri, senza rendersi conto che loro, colpe, ne hanno moltissime».
Ce ne può dire qualcuna?
«Faccio un esempio: noi abbiamo avuto e abbiamo un'autonomia regionale che Bossi schiatterebbe d'invidia per averla, e noi siciliani invece, questa autonomia regionale non siamo mai riusciti a gestirla bene, trovando ogni volta degli alibi, delle piccole scuse. La realtà è che non siamo stati capaci di gestire un grandissimo patrimonio di economia».
Le sue cronache si snodano nell'arco di tre secoli: un tempo commisurato alla territorialità storica di Vigàta?
«Quel tempo sono lo spazio delle mie opere, ma la territorialità di Vigàta ha una geometria variabile. Ho trovato molto bello che mettendo in scena il mio Birraio di Preston, il regista Di Pasquale abbia chiesto una scenografia dove Vigàta aveva la forma triangolare della Sicilia».
E questo cosa significa? Che Vigàta è lo specchio di tutta la Sicilia?
«Non c'è dubbio: completamente e compiutamente, almeno nelle mie intenzioni».
Rispetto ai gialli di Montalbano, cosa hanno di diverso o di più i romanzi storici e civili?
«I romanzi civili sono una considerazione e una riflessione su degli episodi storici, che in realtà si ribaltano completamente su quella che è la società nostra di oggi. Uno storico come Giovanni De Luna, a proposito di questo Meridiano ha scritto che in realtà alcune cose dell'Italia di oggi e non solo della Sicilia, si possono capire attraverso la ricostruzione fantasiosa che io faccio di certi episodi post unitari».
Forse perché lei riesce a cogliere nei suoi romanzi il vero senso dello sviluppo civile della Sicilia?
«Credo proprio di sì. E la ringrazio per aver recepito quello che volevo trasmettere con i romanzi storici e civili».
È stato detto che scrivendo un libro giallo non si può barare: perché?
«L'affermazione è una sorta di consuntivo su ciò che Sciascia ha detto a proposito del giallo. Sciascia sostiene che il giallo è una sorta di gabbia dentro la quale ci si infila l'autore che sa di non poter barare sulle successioni temporali, né tantomeno sulle concatenazioni logiche dei fatti. Invece in un romanzo-romanzo come direbbe Simenon, si può barare sul tempo narrativo e sulla successione logica dei fatti; nel giallo non è possibile perché ha delle regole che bisogna rispettare».
Vigàta nasce nella sua fantasia per puro istinto o per calcolo?
«Direi per calcolo. Ho inventato per avere un paesaggio conosciuto. Il Macondo o la contea impronunciabile di Faulkner credo che per uno scrittore sia come avere davanti un paesaggio facilmente controllabile. Dentro questo paesaggio dai confini spostabili, immettiamo di tutto».
Qualche volta si sente "schiacciato " dalla personalità di Montalbano?
«Schiacciato no, ma molto importunato si».
Quali sono i motivi del fastidio?
«Ho scoperto sulla mia pelle - ma credo che prima di me l'abbia avvertito chiunque si sia cimentato con dei personaggi fissi - che il personaggio seriale è un killer di altri personaggi. Voglio dire che essendo - e torno a citare Simenon -, un personaggio e delle situazioni che si possono descrivere con dei corrimano tranquilli, diventa una strada un po' più facile, e quindi c'è la tentazione di lasciarsi andare in questa strada più scorrevole».
Bisogna adottare dei metodi per trattenersi?
«Certamente. Io, ad esempio, ho scritto una gran quantità di racconti su Montalbano che erano come le polpette di carne che si buttavano ai lupi che inseguivano la slitta, per tenerli un po' a distanza e permettermi di scrivere altre cose, altrimenti è un personaggio che ti mangia, fagocita».
Come sta in questo momento Montalbano?
«Benino, grazie. Ha i suoi problemi, le paure dell'invecchiamento, cosa molto comune a tanti uomini, ma che non ho avuto io fortunatamente e quindi me la posso scialare e affibbiarle a lui. Comunque va avanti, e proprio in questi giorni esce da Sellerio il nuovo romanzo intitolato La pazienza del ragno».
Ci può anticipare qualcosa?
«La pazienza del ragno si ricollega a Il giro di boa, il precedente romanzo con Montalbano, ma lui non è direttamente implicato. È in convalescenza perché è stato ferito, fa un'indagine di supporto, ma quando arriva a delle conclusioni assolute, si rende conto che quelle non sono le conclusioni definitive: c'è un'altra verità da scoprire, la scopre, ma questa verità lo mette in un'altra e più grave crisi».
Francesco Mannoni
 
 

Letteraria
Fai una domanda ad Andrea Camilleri
C’è una domanda che vorresti rivolgere al papà del commissario Montalbano?

"Letteraria" ti offre questa possibilità: nel corso della sua intervista ad Andrea Camilleri Giovanni Capecchi (il primo biografo ufficiale dello scrittore) rivolgerà allo scrittore alcune domande scelte tra tutte quelle che i pistoiesi invieranno all’indirizzo e-mail letteraria@comune.pistoia.it specificando nome, cognome, età, a partire da oggi fino a domenica 10 ottobre. L’intervista sarà poi proiettata durante l’incontro dedicato a Andrea Camilleri curato da Giovanni Capecchi che si terrà durante la giornata inaugurale di "Letteraria" (venerdì 15 ottobre – ore 18.30) nella Sala Maggiore del Palazzo Comunale.
 
 

Tra le righe, 10.10.2004
Intervista ad Andrea Camilleri

Ospite della trasmissione radio "Tra le righe" in una lunghissima intervista assieme a Manfredi Piccolomini, il Sommo ha spaziato a ruota libera con quel suo meraviglioso vocione rauco e coinvolgente a tutto campo: dall'etimologia del verbo"tambasiare" che lui coniuga volentieri ogni giorno al contenuto de "La pazienza del ragno" del quale ha letto l'incipit, dalla sua gana di sbafarsi gelati nottetempo con qualche nipotino al passaggio dall'uischi (camillereggio anch'io) alla birra, dalla crisi che talvolta gli provoca Montalbano ormai diventato umano e non più personaggio letterario e che teme sia destinato a seppellirlo ed altre stupende serietà e amenità, riconfermando il suo debito a Simenon (Piccolomini peraltro lo paragona a Graham Greene).
(segnalazione di Ravaduka)
 
 

TG1 libri, 10.10.2004
Intervista ad Andrea Camilleri

C'è stata una breve intervista ad Andrea Camilleri, nel tradizionale "siparietto" culturale del TG1, roba da mezzanotte ed oltre.
L'intervista è avvenuta , credo, a ridosso del Tevere, ed ha preso spunto dalla pubblicazione dell'ultimo Meridiano.
Camilleri ha detto:
1) che messi assieme i due Meridiani - perchè saranno editi presto in cofanetto - ormai fanno un corpo contundente di notevole pericolosità. Quello che c'è dentro, non compete a lui dirlo;
2) fonti storiche: relativa importanza. "Me le invento rigorosamente, se necessario";
3) Gino Cervi: le famose pause se l'era inventate lui per leggersi i gobbi, visto che studiava poco;
4) Montalbano: si, ne ha piene la scatole, ma sopratutto questo è avvenuto verso il quinto romanzo della serie. Ora si è acquietato, e la cosa va avanti come un matrimonio per noia.
(segnalazione di Ignazio)
 
 

Avanti!, 11.10.2004
Arriva in libreria “La pazienza del ragno”, l’ultimo romanzo dello scrittore siciliano
Prigionieri nella “ragnatela” di Camilleri
Con una tiratura record di trecentomila copie ricominciano le avventure del commissario Montalbano

Palermo - Il nome di Andrea Camilleri ritorna in libreria affianco a quello del suo più celebre personaggio, il commissario Salvo Montalbano. “La pazienza del ragno”, questo il titolo del suo ultimo lavoro letterario, (Sellerio, 272 pagine, euro 10), esce con una tiratura record di trecentomila copie. Il nuovo romanzo, i cui diritti di traduzione sono già stati venduti a Francia e Germania, e che presto avrà una versione televisiva, inizia esattamente dove finiva "Il giro di boa", con il commissario Salvo Montalbano ferito in un conflitto a fuoco e accompagnato all'ospedale di Montechiaro dai suoi fidi Fazio e Gallo. All'inizio di questa nuova avventura, il commissario siciliano giace convalescente nel letto della sua casa di Marinella, accudito dall'amata Livia, ma la sua mente torna di continuo al momento della sparatoria, all'operazione, alle raccomandazioni dei medici. Quello che apre il nuovo romanzo di Andrea Camilleri è un Montalbano malinconico e depresso, un personaggio inquieto e tormentato dalla crisi esistenziale che compare sempre più spesso nelle pagine delle ultime storie della serie. L'avanzare dell'età, i problemi di salute, la lontananza dal lavoro lo rendono cupo e nemmeno la quiete domestica e le premure dell'eterna fidanzata Livia paiono dargli conforto. Solo la notizia di un nuovo inspiegabile caso di sparizione sembra rianimarlo. Eccolo allora gettarsi a capofitto nelle indagini, per senso del dovere, ma forse ancor di più per combattere la noia o per sentirsi nuovamente attivo e vitale. Un'inaspettata telefonata del fedele Catarella annuncia che è stato individuato, in una strada di campagna, il motorino abbandonato di una picciotta di Vigàta. La ragazza si chiama Susanna Mistretta, è molto bella, studia all'Università a Palermo e vive con i genitori in una villa poco lontana dal luogo del ritrovamento. Il padre, che aveva prontamente denunciato il mancato rientro della figlia, non ha dubbi: Susanna è stata rapita. Ma forse la verità è molto più complessa. Giallo insolito, senza spargimenti di sangue, “La pazienza del ragno” è la storia di un delitto sottilmente perpetrato dall'odio, capace di tessere una ragnatela a cui è arduo sfuggire. Tacere il finale della vicenda è d'obbligo; basti sapere che Montalbano, tra una sciarriatina e l'altra con la fidanzata Livia, riuscirà a sbrogliare l'intricata matassa del mistero. Come lui solo sa fare. “La pazienza del ragno” è l'ottavo romanzo che ha per protagonista il commissario Montalbano. I precedenti sono “La forma dell' acqua”, “Il cane di terracotta”, “Il ladro di merendine”, “La voce del violino”, “La gita a Tindari”, “L'odore della notte”, “Il giro di boa”.
e.p.
 
 

Note a margine.it, 12.10.2004
La pazienza del ragno
L’ultimo romanzo di Andrea Camilleri in due recensioni a confronto

Montalbano intimo
Dopo l’ultima raccolta di racconti, Camilleri torna nelle librerie con un nuovo romanzo con protagonista il commissario Montalbano. “La pazienza del ragno” esce il 30 settembre 2004 nelle librerie e schizza ai primi posti nelle classifiche di vendita.
Il libro fa ritrovare al lettore Montalbano esattamente dove lo aveva lasciato: in convalescenza dopo la ferita d’arma da fuoco ricevuta al termine di “Il giro di boa”.
Camilleri decide di mostrare l’evoluzione del commissario, che prosegue verso la riflessione e l’introspezione.
Come nell’ultimo romanzo, Montalbano si trova sempre più spesso a meditare su se stesso, sulla sua vita, sul suo futuro. Il burbero commissario arriva più volte persino a commuoversi. Insomma viene presentato un personaggio più umano, più fragile ed impaurito.
Anche le situazioni in cui il protagonista si trova ad agire non sono quelle in cui è abituato a vederlo il lettore affezionato.
Da Vigàta scompare una ragazza, pare si tratti di rapimento, Montalbano è richiamato in servizio, ma non si trova a dirigere le indagini, bensì solo a coadiuvare un collega, incaricato dal Questore i indagare. Quindi si vede un Montalbano più calato nella sua vita privata, anche perché, accanto a lui, c’è Livia, venuta a Vigàta per stargli vicino durante la convalescenza. Per la prima volta si vede il commissario condividere il quotidiano con la fidanzata, confrontarsi ogni giorno, mettere in comune. E, così, mentre Livia è un personaggio che ha un ruolo importante nel libro, passano in secondo piano altre figure conosciute e in precedenza sempre presenti. La grande pecca del libro è, forse, proprio questa: Fazio, Augello, Adelina sono ridotti a semplici comparse.
Il risultato è quello di un’opera originale, appassionante, di piacevole lettura, anche se ricca di atmosfere, forse, più cupe rispetto alle precedenti. Sebbene nel romanzo non si tratti di fatti di sangue, la morte vi aleggia come un presagio, legata a quella che potrà essere la sorte della ragazza rapita. Vengono meno molte delle scene quasi comiche in cui Montalbano “fa teatro” col Questore o chiacchiera con Catarella, per fare degli esempi.
Il ritmo comunque non manca, la trama coinvolge e alla fine Montalbano arriverà alla VERA soluzione del caso.
Chiara Bertazzoni

L’indolenza del ragno
Si respira aria di stanchezza nell’ultimo romanzo che Andrea Camilleri ha dedicato alle gesta del commissario Montalbano, che ritroviamo, riottoso convalescente a cui il colpo di pistola, preso nel precedente “Il giro di boa”, ha definitivamente strappato via la residua, giovanile e smargiassa baldanza, per lasciarlo con solo un perenne senso di caducità e di paura della morte che tutto intorno a lui sembra acuire, e che, lontanissimo dal fornire nuove sfumature al personaggio, lo trasforma in uno spiacevole piagnone.
Il procedere del romanzo ruota interamente intorno all’enigma principale (l’abusatissima e per niente interessante idea del rapimento-che-non-è-un-vero-rapimento) e si fa parecchio sentire la mancanza dei misteri-corollari che di solito arricchiscono e rendono vari i romanzi di Camilleri. Con essi sbiadiscono sullo sfondo i coprotagonisti abituali che con Montalbano dividono vita e lavoro.
Rimane sola, sempre più scialba, l’eterna fidanzata Livia, incapace come persona di essere la compagna di Montalbano e come personaggio di “riempire la scena”. Non è certo un caso se non la vediamo mai agire al di fuori delle mura della casa di Marinella per muoversi accanto al protagonista. Voce al telefono o “donna dell’harem”, Livia ribadisce dunque il suo essere “altro” dalla vita di Montalbano.
Quello che sembra venire fuori da questo romanzo è dunque una complessiva mancanza di interesse per il risultato finale che, oltre che nella scarsa inventiva della trama, emerge anche dal disinteresse con cui sono trattati i personaggi (inclusi quelli nuovi e più funzionali al procedere della vicenda) e dal superfluo ‘apologo del ragno e della ragnatela’ che lascia nel lettore una spiacevole sensazione di “appiccicato lì”, senza altra funzione che quella di fornire un titolo al racconto.
Marcella Musacchia
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.10.2004
La Sicilia protagonista al "Noir in festival" di Courmayer
Piazzese: noi giallisti abbiamo smentito Calvino

Al Noir in festival, che si svolgerà dal 7 al 12 dicembre [fino al 13, vedi anche http://www.noirfest.com, NdCFC] a Courmayeur, quest´anno è il turno della Sicilia. Saranno otto gli scrittori di genere coinvolti, tra cui Andrea Camilleri, Santo Piazzese, Domenico Cacopardo, Piergiorgio Di Cara e Gaetano Savatteri, i quali parleranno del rapporto con la propria terra, dell´esistenza o meno di una scuola isolana del giallo, della tradizione siciliana del poliziesco e dei nuovi scenari del noir.
«La letteratura poliziesca siciliana - spiega Santo Piazzese - è nel suo complesso interessante perché la letteratura isolana in generale è interessante. Si tratta, in definitiva, di una proiezione dell´attenzione dalla letteratura tout court al ramo poliziesco».
Dietro i giallisti contemporanei c´è una tradizione interessantissima, con Ezio d´Errico in prima fila, seguito da Franco Enna e persino da Sciascia...
«Sciascia è uno scrittore a trecentosessanta gradi. Lui ha usato il giallo alla stregua di un grimaldello, per cercare di interpretare la nostra realtà, per penetrarne i misteri».
Ma dietro all´exploit attuale di polizieschi e di noir, ci sta quella che potrebbe essere definita la «funzione» Camilleri: giusto?
«Il grande merito di Camilleri è stato quello di aver sdoganato la letteratura gialla, non solo in Sicilia, ma in tutta Italia. Dalle nostre parti, il giallo per troppo tempo ha sofferto della nomea di essere para-letteratura. Grazie allo strepitoso successo di vendite di Camilleri, e alla qualità dei suoi libri, si è innescato un meccanismo virtuoso, una sorta di reazione a catena».
E dire che Italo Calvino aveva parlato, a proposito di Sciascia, dell´impossibilità di ambientare un giallo in Sicilia...
«È vero, l´ha scritto Calvino, ma prima di lui Alberto Savinio aveva teorizzato l´impossibilità di scegliere, come scenario di un poliziesco, le città italiane, per l´assenza di nebbia e bruma, e per la presenza accecante del sole. Sia Savinio che Calvino sono stati smentiti dai fatti. C´è però da dire che non esiste un giallo italiano: ci sono i gialli regionali. La letteratura italiana tutta è policentrica, variegata. E di conseguenza anche il noir rispecchia questo carattere. Il giallo, in definitiva, obbedisce a quella regola di cui parlava Stendhal nella sua avvertenza alla "Certosa di Parma". Il grande scrittore francese scriveva infatti che se ci si sposta di cento leghe da mezzogiorno verso settentrione, non cambia solo il paesaggio, ma cambiano anche i romanzi. Questa è una sacrosanta verità».
Ma esistono caratteri che accomunano i giallisti siciliani? C´è un motivo di fondo, nella scrittura o nel rapporto tra autore e territorio?
«A me pare che non esista una scuola siciliana del giallo: ci sono troppe disomogeneità tra me, ad esempio, e Camilleri, tra Cacopardo e Di Cara. Ad accomunarci, è vero, c´è l´origine siciliana. Ma solo quella. La nostra situazione è opposta rispetto a quella sarda, ad esempio, più compatta e omogenea. Ecco, mi sento di dire che esiste una scuola sarda del poliziesco: c´è un unico punto di irradiazione, una matrice comune, da individuare in un libro, “Miele amaro”, di Salvatore Cambosu. Si tratta di una raccolta di scritti che a mio avviso sta alla base di quello che oggi gli autori contemporanei scrivono, del loro modo di rapportarsi all´isola. In Sicilia continuano a predominare la metafora, l´allegoria, ma declinate da punti di vista di volta in volta diversi».
s.f.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.10.2004
Quando il vento del sud soffia anche sui romanzi
L'età dello scirocco
I giorni caldi della Sicilia visti dagli scrittori

«Nel pomeriggio si mise a soffiare lo scirocco. Il segnale lo diede la banderuola di ferro sul terrazzo di fronte al mio balcone: cigolava sempre, ma quando soffiava lo scirocco pareva impazzisse addirittura e il suo stridìo esasperante penetrava nelle vene». Così scriveva Romualdo Romano, scrittore palermitano morto a Roma tre anni fa, nel suo romanzo intitolato appunto “Scirocco”. Romanzo tutto quanto attraversato dal tipico vento del sud, all´inizio caldo e secco, e via via sempre più umido, che «quando spira - si legge - par che voglia radere la terra», facendo precipitare gli animi in uno stato di prostrazione e di noia esistenziale.
La declinazione letteraria dello scirocco, da Romualdo Romano in poi, avrà grossa fortuna nelle pagine degli scrittori siciliani, diventando un vero e proprio motivo di fondo, quasi la colonna sonora di tanti racconti e romanzi isolani. A cominciare da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che però da Romano sembra ricavare piuttosto l´immagine di una Sicilia immobile, dannata all´oblio e al sonno, piagata da un´estate lunga, umida e prostrante. Non fu da meno il cugino di Tomasi, Lucio Piccolo, il quale intitolò una poesia al vento del Sahara, che «d´assalto prende le porte grandi / gli osservatori sui tetti di smalto, / batte alle facciate da mezzogiorno, / agita cortine scarlatte, pennoni sanguigni, aquiloni». È uno scirocco che ha poco di languido, quello del poeta di Capo d´Orlando, e che porta subbuglio ma non sfinimento o fiacchezza. 
Come accade invece nelle pagine di Vincenzo Consolo, quelle della “Ferita dell´aprile” (1963): «Lo scirocco è un tempo che spossa, che chiude gli occhi e ogni cosa, addormenta pensieri e sentimenti». Per restare ancora in ambito messinese, c´è poi lo scirocco che soffia nelle pagine dell´”Horcynus Orca” di Stefano D´Arrigo (1975): scirocco che «aveva infocato la posta», accompagnando il nocchiero ‘Ndrja Cambrìa nel suo viaggio da Napoli verso lo Stretto. È un vento che trascina parlate millenarie, quello di D´Arrigo, legandole al dialetto, in un miscuglio incomprensibile. Nell´”Affaire Moro” (1978) di Leonardo Sciascia lo scirocco penetra ogni cosa, come il pensiero della morte: «Nelle case patrizie siciliane c´era, ingegnosamente escogitata credo nel secolo XVIII, una camera dello scirocco: dove rifugiarsi nei giorni in cui lo scirocco soffiava. Ma una camera in cui rifugiarsi, in cui difendersi dal pensiero della morte?».
E a proposito della camera anti caldo, viene alla mente il romanzo di Domenico Campana (1986) da cui è stato tratto il film di Maurizio Sciarra del ´98, con Giancarlo Giannini e Tiziana Lodato: «La stanza dello scirocco è un grande locale bianco, disadorno, che s´affaccia nel cortile interno. Vi si accede da una scaletta di pietra e non ci sono finestre, solo qualche fessura per dare un po´ di luce. Lo si tiene quasi segreto perché sia meglio riparato». In quella caverna intonacata, da secoli la famiglia Acquafutura si rifugiava con i servi, perché i nervi umani non venissero divorati dal vento del deserto.
E un fiato che divora i nervi è lo scirocco di “Diceria dell´untore” (1981) di Gesualdo Bufalino: «Il soffio che ne nasce non fa nemmeno sudare, ma stringe dentro un pugno il cuore, scaglia le rondini a rompersi contro la sciara, dovunque fa luminello, seminando sabbia africana in ogni piega della pelle e del suolo». Un soffio che si porta dietro miasmi e tanfo di morte. Di tutt´altro genere è il vento che soffia nelle pagine di “Scirocco” (1993) di Silvana La Spina: «Dà alla testa. Non so se capisce, è come una furia che ti prende, un bisogno di mordere quasi; mentre il sangue che prima ti scorreva nelle vene improvvisamente fa groppo qua e là, e tu non sai dove battere il capo». C´è dunque lo scirocco furioso della La Spina, ma anche quello sofisticato e ironico dei “Delitti di via Medina-Sidonia” (1996) di Santo Piazzese: «Ma anche perché, tutto sommato, la storia comincia con una sciroccata, che del tempo atmosferico è contemporaneamente la parte dramma e la parte commedia. Forse che Dio, quando soffiò la vita in un Adamo di creta, non la soffiò da sud-est? Così lo scirocco nacque prima di Adamo. La Genesi non ne fa cenno: era troppo ovvio». Quello di Piazzese è un vento che fa drizzare e crepitare i peli delle braccia, «sbiellando» la testa di tutti, anche quella del leone, nella gabbia in fondo ai Giardini botanici.
E per concludere, c´è lo scirocco che annuncia l´apocalissi nella “Stanza dei lumini rossi” (1997) di Domenico Conoscenti: «Il treno arrivò in stazione poco prima di mezzogiorno. Era una giornata di scirocco, di quelle improvvise, prima dell´estate vera e propria e che finiscono di colpo, dopo due, tre giorni, lasciando il cielo più scuro e pesante di prima».
Si sa che, dopo circa tre giorni, per compensare le differenze di pressione atmosferica, lo scirocco viene sostituito da un vento freddo continentale che soffia da nord a sud: la tramontana, che abbassa la temperatura ma arreca bel tempo. E attraversate dalla tramontana sono le pagine di Andrea Camilleri, il quale sembra refrattario nei confronti dello scirocco. Basta prendere tra le mani gli “Arancini di Montalbano” (1999): «Tirava infatti una tramontana gelida e stizzosa, la rena s´infilava negli occhi e nella bocca, i cavalloni partivano alti sulla linea dell´orizzonte». Per non parlare dell´incipit dell´”Odore della notte” (2001), reso movimentato da una tramontana «gelida e determinata».
Salvatore Ferlita
 
 

Fahrenheit, 13.10.2004
I libri del giorno
C’è Camilleri in libreria
Andrea Camilleri, La pazienza del ragno, Sellerio
Cliccare qui per scaricare l'intervento di Andrea Camilleri
 
 

Comune di Pistoia, 13.10.2004
Cultura
Camilleri: “Montalbano scende alla decima fermata”
Terminerà con il decimo romanzo la saga del commissario più famoso d’Italia. L’annuncio in un’intervista esclusiva per Letteraria, la kermesse pistoiese, quest’anno dedicata al giallo e ai suoi autori. Venerdì la proiezione integrale in Sala Maggiore.

Si concluderà con il decimo romanzo la saga del commissario più famoso d’Italia. Lo ha annunciato il suo autore, lo scrittore Andrea Camilleri, in un’intervista esclusiva che il suo primo biografo, il pistoiese Giovanni Capecchi, ha realizzato questa mattina a Roma nella casa dell’inventore del commissario Montalbano. L’intervista sarà proiettata venerdì pomeriggio nella Sala Maggiore di Palazzo Comunale a Pistoia, durante l’iniziativa di apertura di “Letteraria. Letture, lettori, letterature”, la kermesse organizzata dal Comune di Pistoia e quest’anno dedicata appunto al giallo e ai suoi autori.
Andrea Camilleri, che ha dovuto rinunciare ad essere presente di persona a Letteraria per problemi di salute, ha concesso però una lunga intervista che verrà proiettata al pubblico pistoiese. Nel corso della chiacchierata lo scrittore ha detto che l’ultimo dei romanzi dedicati al personaggio interpretato sullo schermo dall’attore Luca Zingaretti “comincia già ad averlo in testa”. La saga del commissario Salvo Montalbano è adesso all’ottavo romanzo, mentre il nono – in uscita da Sellerio nel 2005 – è già stato consegnato all’editore.
“Vorrei che i miei affezionati lettori – aggiunge Camilleri – considerassero che sono nato nel 1925 e che l’anno prossimo compirò 80 anni. Sono un uomo ordinato e lasciare le cose a mezzo mi dà fastidio. Per questo mi sono proposto di arrivare a dieci romanzi”.
Già “La pazienza del ragno” era sembrato un giallo anomalo, senza alcun delitto. “Se ne vedono già troppi – spiega Camilleri nell’intervista – semplicemente guardando i telegiornali. E non se ne avverte quindi la mancanza”.
Il colloquio si chiude con lo scrittore che legge la pagina del romanzo in cui si spiega la scelta del titolo. Parlando dei suoi esordi come poeta a vent’anni e della notorietà che ha raggiunto a settanta, Camilleri osserva infine che “io sono lo stesso di allora. Però dopo dieci milioni di copie vendute è la mia dichiarazione dei redditi ad essere cambiata. Quando scrivo non sono condizionato dall’idea di avere decine di migliaia di lettori ma sicuramente sento un po’ di responsabilità in più e giudico prezioso il rapporto con loro”.
Come finirà Salvo Montalbano? “E’ un personaggio letterario – spiega Camilleri nell’intervista – e la sua non sarà una morte violenta. Non verrà ucciso dalla mafia, ma scomparirà letterariamente”.
Letteraria si apre a Pistoia venerdì 15 ottobre alle 17 con la presentazione della rassegna a cura del sindaco Renzo Berti e dell’assessore alla cultura Rosanna Moroni, poi Luca Crovi parlerà dei classici del genere, e Massimiliano Barbini leggerà alcuni brani celebri. Alle 18.30 verrà proiettata l’intervista ad Andrea Camilleri. Alle 23 presso il Pirobutirro, un po’ pub, un po’ locale off pistoiese, iniziano gli appuntamenti con la sezione giovanile di Letteraria con Rionenoir, un tributo ad Andrew Cunanan.
 
 

Il Messaggero, 13.10.2004
Arriva nel Maceratese l’opera da camera per quattro Comuni

Macerata. Ritorna “Opera Aperta”, progetto organizzato dall'Associazione Accademia della Libellula sotto la direzione artistica di Cinzia Pennesi, voluto dagli Assessorati alla Cultura dei comuni di Pollenza, Matelica e Tolentino, ai quali si è aggiunto per questa nuova edizione, anche Corridonia. Il progetto ha visto circuitare nei diversi teatri della provincia, Opere da Camera di diverse epoche, divulgando un patrimonio musicale quasi sconosciuto alla stragrande maggioranza di pubblico ed ha fornito occupazione soprattutto ai professionisti locali, rispettando una delle principali caratteristiche di questo progetto. La stagione avrà inizio nel mese di dicembre e vedrà protagonista […]  nel mese di febbraio “Il Quadro delle Meraviglie”, intermezzo in un atto su libretto di Andrea Camilleri e musiche di Franco Mannino, presso il teatro Vaccai di Tolentino.
[…]
 
 

Westdeutsche Allgemeine, 13.10.2004
Sizilien ist oft keine Reise wert

Der sizilianische Erzähler Andrea Camilleri steht im Ruf, die Stimme Siziliens in der italienischen, in der europäischen Literatur von heute zu sein. Dieser Ruf wird durch seinen neuen Roman "Das kalte Lächeln des Meeres" auf beklemmende Weise bekräftigt.
Was er über die Seele der Sizilianer zu sagen hat, kleidet der 79-Jährige - darin seinem Landsmann Pirandello nicht unähnlich - in Alltagsgeschichten von einfachen Leuten. Von städtischen Angestellten, Bauern oder Fischern, von ein paar Vertretern der offiziellen und der inoffiziellen Oberschicht.
Welche Pastiches auch immer er dabei tupft, welche bezaubernden Sittengemälde er in seinen historischen Romanen oder Kriminalgeschichten entwirft: Stets ist das "Paradies der kleinen Sünder" (so heißt ein Erzählungsband) das ebenso fiktive wie typisch sizilianische Städtchen Vigàta, und stets durchzieht ein wärmender Wind mediterraner Unbeschwertheit das Geschehen. In seinem neuem Roman aber macht dieser Wind plötzlich frösteln.
Commissario Montalbano will aussteigen, die Brocken hinwerfen, weil er angewidert ist von einer außer Kontrolle geratenden Globalisierung, von der Migrationspolitik der europäischen Staaten im allgemeinen und der italienischen (Berlusconi-)Regierung im besonderen, weil er nicht länger Spielball obskurer Interessen sein will. Als Montalbano im Hafen spontan einem afrikanischen Flüchtlingskind zu helfen versucht, erweist sich das als fataler Fehler. Unvermittelt sieht sich er sich mit einem internationalen Menschenhandel konfrontiert, dessen Dimension kaum zu ermessen ist.
Der brisante Roman, vielleicht Camilleris bester, enstand 2003. Im Juli 2004 erlebte die Welt das Flüchtlingsdrama um die Kap Anamur.
Andrea Camilleri: Das kalte Lächeln des Meeres. Roman. Lübbe. 284 Seiten, 18 Euro.
Wolfgang Platzeck
 
 

Corriere Adriatico, 13.10.2004
Cresce il successo della manifestazione, ora si punta su Camilleri e Bergonzoni 
Cartacanta regina delle fiere

Nata come piccola mostra-mercato per qualche collezionista, ha abbracciato il mondo dell'editoria abbinando il Salone del Libro Regionale; è cresciuta fino a diventare festival-expò ma da qui a tre anni sarà la vetrina dell'eccellenza grafica-cartaria delle Marche. Questa l'evoluzione di Cartacanta in sole 6 edizioni.
[…]
E in questi giorni sono stati allacciati i contatti per il prossimo anno. Si pensa a una fiera vera e propria con contatti tra produttori grafici-cartari e operatori commerciali. Si pensa a partecipazioni illustri tramite Valerio Calzolaio che ha partecipato nella veste di esperto e appassionati di libri gialli. Circolano i nomi di Camilleri e Bergonzoni.
[…]
 
 

La Nazione, 13.10.2004
Pistoia
Ridendo con Montalbano
 
 

l’Unità, 14.10.2004
Montalbano muore nel decimo romanzo? Chissà, forse nell'undicesimo: parola di Camilleri

“Il decimo romanzo? E perché no l'undicesimo? Non è una questione di ordine numerico, ma di riflessione letteraria. Quel che è certo, è che la “scomparsa” del commissario Salvo Montalbano, la deciderà il suo autore. E tra l'altro, le dirò, è impegnato a pensarci”. Con la sua consueta ironia Andrea Camilleri ci spiega che non è detto che il decimo romanzo, sarà quello che concluderà la saga del commissario più famoso d'Italia. La notizia sulla “fine” di Salvo Montalbano era stata battuta da un'agenzia Ansa di ieri pomeriggio, che anticipava il contenuto di una videointervista allo scrittore siciliano di Giovanni Capecchi, fino a poche settimane fa assessore alla cultura di Pistoia (L'intervista verrà proiettata domani pomeriggio nel corso dell'iniziativa Letteraria. Letture, lettori, letterature). “Vorrei che i miei affezionati lettori – dichiara Camilleri nell'intervista – considerassero che sono nato nel 1925 e che l'anno prossimo compirò 80 anni. Sono un uomo ordinato e lasciare le cose a mezzo mi dà fastidio. Per questo mi sono proposto di arrivare a dieci romanzi”. Ma parlando con noi Camilleri precisa: “Sto riflettendo sulle modalità della fine, ma è una questione complessa che attiene a una scelta critica e filosofica al tempo stesso. Inizio a intravedere la conclusione, ma ancora non mi è del tutto chiara. Penso ad una contrapposizione fra l'autore ed il protagonista, ad un dialogo fra i due. Del resto non sarebbe la prima volta che il commissario parla con il suoi inventore. Quando in un racconto, non ne poteva più di una storia di violenza eccessiva, mi telefonò e disse sostanzialmente che non ci stava, non era una storia che poteva andare bene per Montalbano”.
Insomma, la conclusione è tutt'altro che vicina, in divenire, aperta. Montalbano ha una personalità forte, è il protagonista delle serie di romanzi gialli che sono parte essenziale, non solo del successo letterario di Camilleri, ma anche del nucleo centrale della sua elaborazione narrativa. Vanno letti non come esperienza narrativa diversa dai romanzi storici, ma come complementari. Del resto, la serie su Montalbano, contiene riflessioni storiche, sociali, di costume, ha più livelli narrativi. Li ha colti in maniera acuta, uno dei più grandi studiosi di letteratura italiana: Salvatore Nigro.
Sull'intervista Camilleri aggiunge: “Confermo i contenuti dell'intervista di Capecchi, ripresa dall'Ansa. Montalbano è un personaggio letterario e la sua non sarà una morte violenta. Non verrà ucciso dalla mafia. La sua sarà una scomparsa letteraria. Però questo non vuol dire che avverrà nel decimo o nell'undicesimo romanzo. Insomma, se mi vengono in mente altre storie, mica non le racconto. Quel che voglio sottolineare, è che sto già pensando al romanzo conclusivo. La cui struttura narrativa sarà naturaliter collegata all'uscita di scena di Montalbano. Il commissario ha diritto a una scomparsa di pura invenzione. Originale. Niente fini tragiche”. Ma non può anticiparci qualcosa? “Ci sto riflettendo, è un a situazione in fieri... a volte penso all'autore con una gomma che lo cancella”. E' una conclusione che può esser densa di metafore? “Non potrebbe essere altrimenti. Nel romanzo conclusivo, la riflessione filosofica già palese ne “La pazienza del ragno” sarà ancora più forte, impregnerà la stessa narrazione”. Una riflessione metaletteraria, dunque? “Esatto: la lotta fra lo scrittore e Montalbano ha una valenza metaletteraria...”
E' la fine di Montalbano? Con Camilleri, mai dire mai: in vidiri e svidiri può succedere di tutto...
Salvo Fallica
 
 

Il Messaggero, 14.10.2004
Camilleri, il sottile soffio della malinconia

«Dato che non c’è nisciuno a taliarlo, s’asciuca una lacrima con la punta del linzolo». E’ un Montalbano stranito e con incubi notturni, sempre alla stessa ora, pieno di acciacchi per via di un ferimento e del successivo soggiorno in ospedale, portato a commuoversi facilmente e a nasconderne le conseguenze dinnanzi a chi gli è caro, come Livia in vacanza invernale litigiosamente e amorevolmente molto presente. Forse per la prima volta il commissario sente malinconicamente gli anni che sono ormai cinquantaquattro. Porta dentro di sé gli scoramenti, le incertezze esistenziali, i ripiegamenti, i dubbi su ciò che vede intorno a sé. Il lampo dell’intuizione e la ragnatela della ragione agiscono ancora insieme per guidarlo alla “verità”, ma con quanta fatica riescono a fissare «il centro della ragnatela» costruito «dai punti di convergenza di tutti i fili, tenuti assieme da un filo diverso dagli altri, fatto a spirale». Ciò che per la giustizia è sbagliato può non esserlo per lui che, con i metodi di indagine sempre meno canonici affianca un collega nell’inchiesta al centro de “La pazienza del ragno” (Sellerio, 256 pagine, 10 euro), l’ultima sua avventura in cui lo fa muovere Andrea Camilleri come un pesce intontito nell’acqua stessa in cui continua a nuotare.
Si tratta di un rapimento davvero anomalo, quello su cui egli indaga, ad essere scomparsa è una ragazza di Vigata i cui genitori sono quasi all’indigenza dopo essere stati molto ricchi. Il vero obbiettivo è uno zio materno, imprenditore assai disinvolto, in procinto di spiccare il volo anche in politica, che ha rovinato la famiglia della rapita e ne pagherà in modo imprevedibile ogni conseguenza. Un giallo senza delitto né alcun ammazzamento in cui Camilleri riesce a distillare un’ossatura drammaturgica secca ed essenziale con la sua lingua meticcia, granulata di idiomatismo che sempre più è una sorta di clausola ritmica, di cursus della memoria che ravviva, colorisce l’espressione e muove l’azione. E a questa soluzione linguistica Camilleri è giunto gradualmente, come si può constatare leggendo i suoi “Romanzi storici e civili” (Mondadori 1772 pagine, 38 euro), il Meridiano ben curato da Salvatore Silvano Nigro che ha anche un’ottima cronologia di Antonio Franchini.
Renato Minore
 
 

Giornale di Sicilia, 15.10.2004
Andrea Camilleri parla della nuova avventura del commissario reso celebre da Luca Zingaretti. Ma, confessa, sono i "Romanzi storici e civili" i lavori a cui tiene di più e qui il poliziotto non c'è
La pazienza di Montalbano

Da pochi giorni nelle librerie ha già conquistato la vetta delle vendite. Una scalata apparentemente senza difficoltà, quella de “La pazienza del ragno”, frutto della penna sempre felice e dell'esperienza di Andrea Camilleri. L'ultima fatica dell'acuto scrittore agrigentino, edita da Sellerio, la casa editrice palermitana con cui - intercorrono intese di lungo corso - prende il via là dove terminava il precedente “Il giro di boa”. I fili che intesse Montalbano mettono in luce un commissario più riflessivo e melanconico, in piena crisi esistenziale dopo il ferimento nel corso di un conflitto a fuoco. Sarà la scomparsa di una ragazza, a ridestare in lui l'interesse per la vita professionale. Così improvvisamente una notte, Montalbano si sveglia trafelato con Livia che gli dorme serenamente accanto: «A tirarlo fora dal sonno era stata una fitta gelida come una lama alla ferita della spalla mancina - spiega Camilleri nel libro -. Non ebbe bisogno di taliare il ralogio sul comodino per sapiri che erano le tre e mezza di notte, per la precisione le tri, 27 primi e 40 secondi». Da quel momento, si risvegliano i sentimenti più reconditi dei commissario più amato d'Italia di cui il bravissimo Luca Zingaretti veste i panni.
«La pazienza del ragno» ci presenta un Montalbano solitario e più riflessivo, nella malinconia e negli addolcimenti di una sopraggiunta maturità, in un giallo senza spargimenti di sangue. Cosa non «quadra» stavolta a Montalbano? Qual è l'elemento chiave, catartico di questo romanzo?
«L'elemento chiave non è l'indagine sul nuovo rapimento, è il dissidio fra la coscienza di Montalbano e la legge, le regole che deve rispettare. Nei romanzi precedenti, la crisi riguardava fatti esterni, ora riguarda solo lui ed il rapporto col suo mestiere. Non so se sarà motivo di altri romanzi, invento storie senza lasciarmi nulla alle spalle».
Sono in libreria i «Romanzi storici e civili», editi da Mandadori per la collana I Meridiani, cui lei tiene molto. Il volume contiene, fra gli altri, «Il birraio di Preston», «La concessione del telefono» e, in appendice, le inedite stesure preliminari de «Il re di Girgenti». 
«Si tratta dei romanzi cui tengo di più, come ricerche strutturali e linguistiche. Sono i romanzi dove non è presente Montalbano».
Lei scrive romanzi traendo spunto da elementi apparentemente insignificanti, una voce, un orcio, un particolare di un oggetto o di un paesaggio e ci fantastica sopra, sorprendendoci sempre per quel guizzo, quell' ironia, quel sapore antico di storie che si riallacciano alle nostre tradizioni.
«Osservazione giustissima. Le mie storie nascono sempre da fatti di cronaca, poi distruggo le stesure e gli articoli di giornale che sono serviti da input».
Nel suoi romanzi mostra affetto e sincero attaccamento ai personaggi e ad una Sicilia carica di storia, di tradizioni, di modi di dire che sono modi di essere, «il sale di una cultura», come ha detto a Francesco Guccini in un recente incontro in un teatro romano. Cosa la «perplime» e cosa la affascina di più oggi della Sicilia?
«Mi esprimevo così con Guccini perché anche lui è attento ai messaggi che esprime il dialetto. Se la Sicilia fosse facilmente raccontabile non avrebbe il fascino che ha. È contraddittoria, si piomba nel cupo pessimismo, poi giri l'angolo e trovi cose che ti invitano all’ottimismo. Sta evolvendo in meglio, è un cambiamento dei tempi profondo che i siciliani capiscono, indipendentemente dalla politica. Ricordo che una volta la famiglia ergeva muri altissimi, un concetto che ora si è perso. Ho visto in televisione gli aiuti dati nel Siracusano ai disperati che approdano sulle nostre coste: ecco, in questi casi mi sento ancora orgoglioso di essere siciliano, detto naturalmente con la giusta polemica. Apprezzo questa generosità, lo slancio dei siciliani».
Presto cominceranno le riprese dei nuovi quattro episodi di Montalbano (che comprendono anche la trasposizione de «La pazienza del ragno») di cui lei curerà la sceneggiatura assieme al giovane Francesco Bruni: è lui il suo Fazio?
«Il 90% del merito va ascritto a Bruni, io rivedo i dialoghi e apporto integrazioni. Quanto alla messa in onda, non ne conosco i tempi».
È stato insegnante di Luca Zingaretti all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio d'Amico. Cosa ricorda di quell'esperienza?
«Già da allora Luca mi colpì molto, ne seguii i primi passi in teatro. Luca è più giovane del mio personaggio, né ha il fisico del ruolo, eppure ha reso un perfetto Montalbano. Molti di quei ragazzi sono diventati attori avendo più o meno fortuna».
Negli anni d'oro della Rai ha curato la trasposizione radiofonica e televisiva di romanzi e opere teatrali memorabili - a cominciare da quelle di De Filippo - che divennero patrimonio comune. Della tv di oggi, cosa pensa, che telespettatore è?
«Vedo molto poco la tv, ma se interessa così tanta gente evidentemente sono in minoranza. La mia è stata una stagione anche di grandi varietà, uno per tutti “Studio Uno”. Ora il livello è basso, salvo buone eccezioni».
Il Teatro Stabile di Catania ha in cartellone nella stagione 2005-2006 la trasposizione teatrale de «La concessione del telefono». Sono previsti altri appuntamenti nella sua terra?
«La riduzione teatrale è opera mia e di Giuseppe Di Pasquale che ne cura la regia. Quanto alla Sicilia, spero proprio di andarci senza appuntamenti per godermi la mia terra».
Ma intanto il carnet di Camilleri è fitto di impegni: domani stesso partirà da Roma per ritirare il Premio Vigevano. 
Carla Collodi
 
 

Café Letterario di Alice.it, 15.10.2004
Andrea Camilleri
La pazienza del ragno
“Tutto quello che succede nel nord, fascismo, liberazione, industrializzazione, da noi arriva con molto ritardo, come un’onda pigra. E quindi anche da noi qualche magistrato si risvegliò.”

Non c’è sangue, non ci sono assassini in quest’ultimo romanzo di Camilleri, anche se mai la sua scrittura ha prediletto l’effetto cruento per sollecitare il consenso del lettore. Eppure non manca la drammaticità, non manca la suspence, a dimostrazione che è possibile costruire un buon poliziesco anche senza compiacimenti macabri. Centro dell’indagine condotta da Montalbano è un rapimento. Il commissario, che nell’immaginazione del lettore ha ormai le fattezze di Zingaretti, è convalescente dal ferimento di cui era rimasto vittima alla fine del romanzo precedente, “Il giro di boa”, e non ha ancora ripreso servizio. Ma, nonostante la debolezza più psicologica che fisica che lo attanaglia (il pianto facile, un’amarezza e una disillusione generale nei confronti della realtà che lo circonda), si attiva subito a seguire le indagini su di un caso davvero inquietante: una bella ragazza, Susanna Mistretta, la cui famiglia è nota per non avere denaro, sembra essere stata rapita perché, alla fine di una normale giornata di studio a casa di un’amica, è inspiegabilmente scomparsa. I colloqui con il padre, un uomo distrutto dalle gravissime condizioni di salute della moglie prossima alla morte, e con lo zio paterno sembrano rendere sempre più oscuro il caso. Quasi all’improvviso si ha però una svolta: il rapimento viene rivendicato in una drammatica telefonata, è chiesto un riscatto, e si viene a conoscenza dell’esistenza di un altro familiare a cui va attribuita sia la catastrofe finanziaria della famiglia Mistretta sia la fatale forma depressiva della madre.
Quando però il caso sembra del tutto risolto, e la ragazza rilasciata, alcune incongruenze creano in Montalbano l’urgenza di capire, di arrivare alla verità che l’apparenza dei fatti sembra nascondere. È pura curiosità intellettuale, anzi morale, quella che spinge il commissario ad approfondire la vicenda e non ha nessuna intenzione di dare ufficialità e pubblicità alle proprie scoperte: è per sé, per avere ancora qualche speranza negli uomini, che vuole sapere come sono andate le cose.
Un romanzo anomalo in cui il vero colpevole non può essere assicurato alla giustizia perché le sue responsabilità non hanno una valenza giuridica, e l’unica condanna con cui lo si può punire è il giudizio pubblico negativo, è il disprezzo della collettività.
Grazia Casagrande
 
 

Varesenews, 15.10.2004
Fiction - Intervista al regista bustocco Alberto Sironi, reduce dal recente successo televisivo di “Virginia, la monaca di Monza” che ha raccolto oltre 9 milioni di spettatori
«Nel 2005 girerò altri quattro film di Montalbano»

Busto Arsizio. "Virginia, la monaca di Monza" ha ottenuto oltre 9 milioni di spettatori. Un risultato che conferma le capacità del regista bustocco, Alberto Sironi che da anni sforna per la Rai, fiction di grande successo. Su tutti i film della serie de "Il commissario Montalbano" con Luca Zingaretti. Sironi da anni vive a Roma e i vari successi televisivi, tra cui anche "Salvo d’Acquisto" e "Il grande Fausto", lo hanno portato a essere uno dei registi televisivi di maggior garanzia per la Rai, con un’ottica molto cinematografica e mai scontata, sia nel modo di raccontare le storie, sia nelle tematiche affrontate.
[...]
Adesso è di nuovo al lavoro. Cosa ha in cantiere?
«Si tratta di due film basati sullo stesso personaggio: un avvocato. Detto all’americana sarebbero dei "legal thriller". Le storie sono basate su due romanzi, pubblicati da Sellerio, scritti da un ex magistrato della Dia, Gianrico Carofiglio: "Testimone inconsapevole" e "Ad occhi chiusi2. L’ambientazione dei romanzi è a Bari, ma noi stiamo girando a Trani perché penso sia una cittadina con una dimensione più umana».
Potrebbe essere l’inizio di una nuova serie alla Montalbano?
«Forse. Per ora giriamo i primi due capitoli. Lo scrittore è già al lavoro su un altro romanzo. Vediamo se piaceranno queste due trasposizioni. Penso che andranno in onda il prossimo anno».
A proposito di Montalbano, Zingaretti aveva recentemente dichiarato che avrebbe partecipato agli ultimi due episodi della serie...
«Nel 2005 gireremo altri quattro episodi, due in primavera e due in autunno, sempre basandoci sulle storie di Camilleri pubblicate da Sellerio. Zingaretti naturalmente sarà ancora dei nostri».
[...]
Ha in mente di realizzare qualcosa per il cinema?
«Ho sempre sognato di farlo e prima o poi succederà. Adesso però c’è molta crisi: in questi primi mesi del 2004 sono stati realizzati in Italia solo 15 film, un dato mai visto. Inoltre, tra questa nuova fiction e Montalbano sono preso per almeno due anni. Ho in cantiere un paio di progetti per il cinema e spero di poterci lavorare nel 2006. Sicuramente non voglio realizzare il mio primo film con i soldi dello Stato».
Perché?
«Voglio fare un film per il pubblico, non fine a se stesso. Uno dei motivi della crisi del cinema è anche il fatto che non ci sono più i produttori di una volta. La maggior parte di loro, se non prende i soldi dallo Stato, li prende dalla televisione. I film non si pagano più con gli spettatori. Perciò i produttori non rischiano più, vanno sul sicuro e poco importa la fine che farà il film. Io, invece, vorrei realizzare una pellicola per gli spettatori».
Manuel Sgarella
 
 

Parole in tavola, 16.10.2004
Alle ore 21:00, presso la Cavallerizza del Castello Visconteo Sforzesco di Vigevano, nell'ambito della settimana letteraria dedicata al tema "Letteratura e gusto" Andrea Camilleri riceverà il premio alla carriera.
 
 

La Nazione, 16.10.2004
Pistoia. Sala maggiore di Palazzo di Giano colma per l'esordio di Letteraria segnato dall'intervista [... ]
 
 

Giornale di Brescia, 16.10.2004
La solitudine di Montalbano nella rete del ragno
Torna il celebre commissario creato da Andrea Camilleri

Spaventato, con gli occhi sbarrati nel buio della notte: lo ritroviamo così, Salvo Montalbano, solo pochi giorni dopo quella sparatoria che chiudeva «Il giro di boa». Al suo fianco, Livia, corsa alla villa di Marinella per seguire la convalescenza del commissario più amato dagli italiani. Lentamente, con fatica, Montalbano torna all’indagine. Anzi, lo fa quasi di striscio. Per conto suo. Se il «giro di boa» aveva portato il commissario di Vigàta a prendere coscienza dell’età che avanzava, in un mondo che gli piaceva sempre meno, la tela del ragno sembra ora ancor più isolarlo in una solitudine complessa e dalle molte sfaccettature. Una telefonata di Catarella riporta Salvo Montalbano all’azione: una ragazza, studentessa universitaria, non ha fatto ritorno a casa. È stata rapita. Ma perché, visto che la sua famiglia, un tempo ricca, ora è poco più che dignitosamente indigente? Famiglia sulla quale pesa l’alone cupo della morte, quella del geologo Mistretta padre della sfortunata Susanna, che con la figlia si alterna al capezzale della moglie ormai morente, consumata da un male oscuro e implacabile. Che sequestro è mai questo? Eppure un riscatto sarà pagato: moneta sonante a saldo di un tradimento. E la vendetta sarà implacabile. Essenziale nel suo meccanismo, quest’ultima avventura camilleriana segue davvero l’andamento lento e stringente della ragnatela, senza concedersi divagazioni. Montalbano, chiamato a collaborare, ma malsopportato dai suoi superiori, andrà fino in fondo, in solitudine. Troverà la verità e lascerà che questa, da sola, faccia giustizia. Al suo fianco c’è Livia. E si comprende perché i due mai potranno convivere: troppe liti, troppe spiegazioni da dare, in un rapporto che è bello proprio perché dondola nell’altalena tra passione e lontananza. Nè con te, nè senza di te: gli amanti del gossip vengono così liquidati, una volta per tutte. Defilati, quasi solo accennati, gli altri personaggi della scena di Vigàta: Mimi Augello sta per diventare padre ed appare solo marginalmente; Gallo, Galluzzo, Catarella e compagnia si affacciano giusto quel che basta per far procedere la vicenda. Ora Salvo è solo, ancor più isolato di quel che lo ha sempre portato ad essere il suo caratteraccio. Troppi dubbi, troppe delusioni. E il tempo è passato: non è stato padre, non sarà nonno. Montalbano è uno dei pochi personaggi letterari che invecchiano, libro dopo libro. E nella sua ruvida fragilità fa tenerezza.
Claudio Baroni
 
 

La Sicilia, 16.10.2004
Gli studenti al «Margherita»

Racalmuto.  Il teatro «Regina Margherita» di Racalmuto apre al mondo scolastico ed invita gli studenti delle scuole superiori della provincia ad assistere all'opera teatrale dello scrittore Leonardo Sciascia dal titolo «Recitazione della controversia liparitana» che sarà portata in scena per la regia di Giuseppe Dipasquale. L'iniziativa è stata promossa dalla direzione aristica di Andrea Camilleri e di Giuseppe Dipasquale, in stretta collaborazione con la locale Fondazione «Leonardo Sciascia». «Lo spettacolo è adatto alle scolaresche - spiega la dott.ssa Iolanda Salemi, responsabile della promozione culturale del teatro - per il suo valore didattico in quanto offre spunti di approfondimento storico e momenti di riflessione morale. Rivolgiamo, pertanto, l'invito ai dirigenti scolastici e ai coordinatori didattici di tutte le scuole dell'Agrigentino a valutare positivamente la nostra proposta, come momento formativo ed arricchimento culturale degli studenti». Lo spettacolo comprende un cast di attori professionisti e si prevede anche che, per questa edizione unica ed esclusiva, la massiccia partecipazione della popolazione racalmutese. La regia dell'opera è di Giuseppe Dipasquale, i costumi di Angela Gallaro, le luci di Franco Buzzanca. Gli attori impegnati saranno: Nino D'Agata, Orazio Mannino, Leonardo Marino, Mimmo Mignemi, Pietro Mondandon Sergio Seminara, Angelo Tosto, Paolo Agrò, Salvatore Chiarelli, Carmelo Marchese, Stefano Matteliano, Salvatore Picone, Linamaria Palumbo, Giovanni Bello, Lucia Capitano, Cecilia Carlino, Valentina Festa, Annarita Fomoso, Antonio Lauricella, Grazia Lauricella, Giusy Mattina, Rita Mattina, Salvatore Pino, Calogero Scibetta ed Angela Sintino. Per la stagione teatrale racalmutese, dedicata alle istituzioni scolastiche, gli spettacoli saranno tenuti di mattine e tutti nel mese di marzo ed aprile dell'anno prossimo. Argomento dell'opera teatrale, scritta dallo Sciascia, è una contesa avvenuta nel 1711 tra il vescovato di Lipari e il Regno di Sicilia, a causa di due decime di ceci. Nella fantasia di Sciascia il fatto storico diventa pretesto per un messaggio sociale ed artistico e anche un progetto ideale di lotta e di resistenza contro i surpusi del potere degenerato.
Enzo Minio
 
 

Corriere di Gela, 16.10.2004
L’amarezza di Camilleri

A. Hai letto l’ultima avventura del Commissario Montalbano?
B. Sì, ma non mi è piaciuta.
A. Molto bene. Visto che l’abbiamo letta entrambi e che ce l’abbiamo tra le mani, proviamo ad applicare il metodo dell’osservazione meticolosa e della deduzione intelligente. Che cos’hai da dire contro La pazienza del ragno? Che cosa noti?
B. Noto che è sempre la stessa musica: niente di nuovo sotto il sole. E poi noto che l’autore di questo dialogo ci sta usando per citare qualcuno. Stiamo scimmiottando altri dialoghi, credo.
A. Beh, sì, ad esempio l’inizio del Dialogo sul metodo di Paul Feyerabend…
B. … e l’“Indagine preliminare in forma di dialogo” di Fruttero & Lucentini premessa a una delle edizioni italiane de Il mastino dei Baskerville, cioè il terzo romanzo di Conan Doyle dedicato a Sherlock Holmes. Non credi?
A. Elementare, Watson. Ma è qui che ti volevo: Camilleri sa benissimo che per certi versi deve pagare un tributo alla serialità, e del resto i lettori stanno al gioco. Ricordi cosa dicevano a tal proposito Fruttero & Lucentini? I consumatori abituali di Sherlock Holmes non si annoiavano a ritrovarlo sempre identico a se stesso, anzi ne godevano: "e la delizia suprema è quando l’eroe sembra cambiato, ma poi si scopre che non era vero, che era solo ‘per finta’. È un rapporto affettuoso".
B. Sento odore di fregatura dialettica. Dove vuoi arrivare?
A. Voglio arrivare a farti ammettere la grande astuzia di Camilleri, il quale fa continuamente i conti con Conan Doyle. Egli vuol portare i suoi lettori più attenti alla delizia opposta: il mondo dell’eroe non sembra cambiato, ma poi si scopre che l’eroe è cambiato. Catarella continua a sbattere la porta quando entra e a parlare una lingua assurda; Mimì è il solito “fimminaro”, anche se si è sposato; la “zita” Livia e la “cammarera” Adelina continuano a evitarsi e a detestarsi tacitamente; il Questore Bonetti-Alderighi è sempre il burocrate-superiore un po’ tonto per ruolo istituzionale e il suo untuoso ed eternamente democristiano capo di gabinetto, il dottor Lattes, è sempre “Lattes e Mieles” (anzi, ora semplicemente “Latte e Miele”, come apprendiamo a p. 189); ecc. Ma Montalbano è diverso: ha scatti di commozione, di paura, di banale saggezza senile (ma altamente se ne frega), perché la ferita alla spalla ereditata dal precedente episodio (quel Giro di boa che rappresenta davvero un “giro di boa” per il carattere dell’eroe e per lo stesso Camilleri) lo ha portato vicino alla morte e la morte stessa gli si è presentata sotto l’aspetto della consunta signora Giulia, circondata da un tanfo di medicine, di escrementi, di sudore, di malattia, di vomito, di pus, di cancrena, come è detto a p. 251.
B. D’accordo, Montalbano non è Holmes: ma questo lo sanno tutti. Holmes è tutto d’un pezzo, è un blocco glaciale di intelligenza deduttiva (anzi abduttiva, come sostiene a ragione Eco), è misogino, è cocainomane (sconvolgente, a tal proposito, l’incipit de Il segno dei quattro); mentre Montalbano è umano, pasticcione, acuto quanto basta, comprensivo, monogamo, e si fa cucinare dalla madre di un ladro di polli che lui stesso ogni tanto mette dentro. E con questo?
A. Non è una questione così banale, perché se Montalbano non è Holmes (come lui stesso ammette a p. 227, allorché non riesce a trovare a casa l’oggetto holmesiano che contraddistingue lo stereotipo del perfetto detective, cioè la lente d’ingrandimento), allora sarà e vuole essere qualcun altro. Ed è della massima importanza capire chi vuole essere Montalbano, perché in tal modo scopriremo che in Camilleri il “giallo” è un puro espediente di genere per parlare d’altro.
B. Ho capito, vuoi arrivare all’abate Vella. In effetti, devo ammettere che la p. 239 ha colpito anche me. Anzi, se devo essere sincero, è l’unica cosa di questo romanzo che mi ha dato, come dire, un’emozione culturale.
A. Bene, vedo che sei di palato fine. Ma rifletti: cosa significa quel riferimento al Consiglio d’Egitto? Intendo dire, al di là dell’ennesimo omaggio all’amatissimo Sciascia.
B. Significa che Montalbano, poiché sta per togliersi un peso dalla coscienza facendo sapere al dottor Mistretta e a Susanna che lui ha capito tutto, che ha visto la ragnatela geniale che loro hanno saputo tessere nel loro “teatro” del sequestro ed è pronto a mantenere pietosamente il segreto, si sente finalmente “riposato, sereno, affrancato”, per poi rendersi conto che questi tre aggettivi che gli sono venuti in mente provengono da un episodio preciso del libro tanto amato, cioè da quella “straordinaria pagina” 122 “della prima edizione del 1966” (tra parentesi, cito alla lettera per segnalarti una svista: la prima edizione è del 1963, e comunque la pagina si trova nell’ottavo capitolo della parte terza) in cui l’abate Vella, prima di andare a rivelare a monsignor Airoldi che il famoso codice arabo è una sua geniale falsificazione e impostura (cosa che avrebbe sconvolto la sua vita, facendolo finire in carcere), si rilassa con un bagno e un caffè, due cose rare per quei tempi (fine ’700) e per quei luoghi (Palermo). E così il commissario fa come l’abate Vella, aggiungendo alla doccia e al caffè un bel cambio di biancheria, una cravatta seria e una mangiata pantagruelica di pesce nella trattoria di fiducia. C’è altro, secondo te?
A. Eccome. Questo passo, a un primo livello di lettura, è un semplice ammiccamento intertestuale, peraltro frequente in Camilleri (pensa ad esempio a come, ne L’odore della notte, Montalbano capisce che sta rivivendo un racconto di Faulkner letto molti anni prima), ma a un secondo livello, diciamo metalinguistico o metaletterario, è una vera e propria dichiarazione di poetica, un vero e proprio programma di impegno letterario e civile in questa nuova Italia della destra imprenditoriale al potere. Camilleri vuole essere il nuovo Sciascia, non il nuovo Conan Doyle. Più scanzonato, forse, ma non meno incisivo, non meno incazzato.
B. Spiegati meglio.
A. Vedi, egli con questo romanzo ha praticamente messo le carte in tavola, rendendo esplicito ciò che era già implicito nei testi precedenti. Il giallo è un pretesto, un dispositivo narrativo che serve a esprimere qualcosa di profondamente attuale: il disagio, l’umore nero suscitatogli dal momento storico che stiamo attraversando, dall’Italia berlusconiana, in cui sembrano ritornare, amplificati dalla sfacciataggine mediatica, i peggiori incubi della prima Repubblica. E lo rivela il fatto che questo romanzo è un giallo doppiamente finto: è finto innanzi tutto perché è un giallo senza il morto (cioè senza il fatto che tradizionalmente mette in moto il meccanismo investigativo), dato che si tratta solo di un rapimento; ed è finto soprattutto perché il rapimento è una finzione, una simulazione di rapimento, una messinscena, un teatro, una tela di ragno tessuta per vendetta, una vendetta che i buoni, sconvolti dall’odio, mettono in atto per colpire il cattivo, l’intrallazzista ingegner Peruzzo, cioè l’esponente tipico della nuova classe imprenditoriale coccolata e cooptata dal nuovo ordine politico con la compiacenza di certe leggi, di certi avvocati e di certi funzionari dello Stato (pensa all’insistenza sul suo essere in odore di una candidatura con Forza Italia, cioè la Dc del nuovo secolo, almeno in Sicilia). E la vendetta è condotta con la stessa arma del potere che essa vuole colpire: l’arma della manipolazione mediatica dell’immagine, l’arma che usa l’apparire al posto dell’essere, il lifting al posto della verità. L’ingegner Peruzzo sarà perduto non tanto per quello che ha fatto, ma per quello che si riesce a far credere che abbia fatto. E qui l’analogia con Il Consiglio d’Egitto si approfondisce ulteriormente, perché così come l’abate Vella si serve di un’impostura, di un imbroglio filologico, per smascherare l’impostura e l’imbroglio storico, politico e sociale su cui si regge l’ordine anarchico-feudale della distribuzione patrimoniale e del sistema di privilegi nobiliari della Sicilia borbonica, allo stesso modo Susanna e il dottor Mistretta si servono di un finto rapimento per mettere a nudo i loschi meccanismi affaristici e le complicità politico-giuridiche su cui si regge e prospera la nuova classe imprenditoriale che in Italia è diventata forza egemone e che ha a Palazzo Chigi il suo più emblematico rappresentante.
B. Vuoi dire che è questa la chiave di lettura per il Camilleri degli ultimi anni? Intendi così, ad esempio, tutta quella tirata sui fatti di Genova durante il famigerato G8 all’inizio del Giro di boa? In effetti lì Montalbano stava quasi per dare le dimissioni per la vergogna di essere un poliziotto, per la vergogna, cioè, di appartenere allo stesso corpo che si macchiò dell’infamia della scuola Diaz…
A. Precisamente. E non dimenticare che in mezzo c’è stato quel terribile romanzo storico sul fascismo, La presa di Macallè, in cui lo sdegno per la dittatura è espresso da Camilleri con toni così cupi da rasentare il furore e la ferocia.
B. Questa volta sono d’accordo. Quel libro l’ho trovato straziante, dietro il grottesco e la ‘priapata’ picaresca: forse, oltre ad essere il libro di Camilleri più pieno di vastasate, è anche il più amaro e carico di pietas per la stupidità umana che si manifesta sotto le dittature arroganti e guerrafondaie e che ci mette un attimo a ribaltarsi in tragedia assurda.
A. E non ci vedi analogie con la più scottante attualità nazionale e internazionale?
B. Devo dire che ho perso?
Marco Trainito
 
 

Il Giorno, 20.10.2004
Curioso destino quello di Salvo Montalbano. Amatissimo da lettori e telespettatori […]
Rossella Martina
 
 

Corriere di Gela, 20.10.2004
Grasso-Camilleri parallelismi... culinari

Tutto il meridione, e la Sicilia in particolare, possiede un ricco patrimonio gastronomico, in parte originale e in parte importato attraverso le innumerevoli dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli.
Gli scrittori-buongustai nostrani hanno saputo sfruttare tale filone per le loro opere letterarie, con competenza di causa e di... palato.
Da Archestrato, riportato agli onori della cronaca letteraria dalla scrittrice naturalizzata gelese Silvana Grasso, all’empedoclino Andrea Camilleri, attraverso il suo eroe commissario Montalbano, sempre alle prese, nei momenti di pausa del suo lavoro investigativo, con arancini di riso e ragù di carne di maiale capuliata.
Da alcuni anni la nostra penisola è tutto un proliferare di fiere, di convegni gastronomici che coinvolgono piccole e grandi città. Non c’è più un assessorato all’agricoltura, al commercio, al turismo, che non abbia la sua fiera di prodotti mangerecci esposti in bella vista, fra schieramenti di bottiglie di nettare bianco o rosso.
Nei vari padiglioni non mancano gli assaggini di dolcetti che furono cari alle nostre nonne; ma, di contro, non si trova più la vulva di scrofa che, ai tempi di Archestrato, veniva servita per i palati più raffinati!
Queste sagre dei golosoni, fra tagli di nastri tricolori da parte di sindaci assessori, parroci e signore agghindate come per una serata di ballo, sono tutto un tripudio di colori, di musiche, di profumi alla rinfusa che si diffondono fra i vicoli come per le feste comandate, così abbondanti nel nostro allegro territorio.
Si tratta, in ogni caso, di una cucina “povera”; ma proprio per questa ragione è più gustosa e poco indigesta, rispetto ai precotti o da scongelare nei forni a micro onde.
E’ la cucina dei “poveri” (come ci avverte Bianca Distefano nella prefazione a “Cucina che vai natura che trovi”, stampato nel 1984 per conto della distilleria Averna di Caltanissetta) che “costituisce l’ossatura della tradizione gastronomica siciliana, una tradizione che ha sempre mirato a supplire con la fantasia alle congenite scarsità di risorse”.
Al riguardo come non ricordare il genuino pane di frumento che durava per più e più giorni su tutte le mense; e le verdure selvatiche, come la buona e amara cicoria, che avevano un uguale destino su ogni tavola?
Per Camilleri i pesci “nunnato, proibiti per legge pescarli, fatti a polpettine, schiacciato, croccante, erano costellati di centinaia di puntini neri: gli occhietti dei minuscoli pesciolini appena nati. Montalbano sacralmente, pur sapendo che stava ingoiando qualcosa di simile ad una strage, uno sterminio…”.
E’ riposto in quel “sacralmente” di Montalbano che si rivela il Camilleri scrittore dalla buona forchetta e dalla morale indiscussa.
E lo è, soprattutto, con la cucina “povera” a base di “un ovo fritto e appresso ci mangiò quattro angiovi con aglio, acìto e origano”. Eppure Camilleri giovane era abituato alla cucina gustosa, raffinata ma pur sempre nostrana, di sua madre, la signora Carmelina, che fra i fornelli ci sapeva fare.
Ma sono le taverne empedocline, sature di odori “poveri” e marinari, che continuano a rappresentare, a tutt’oggi’, la vera anima della genuinità mangereccia: fra aromi di pescherecci con i nomi dei santi alle fiancate e le essenze di mandorli in fiore.
Per Archestrato di Gela, cantore de “I piaceri della mensa”, Silvana Grasso ci racconta che “agli occhi di Clearco (generale spartano e discepolo di Platone – ndr) fu una paraninfo del dio ventre, ossequioso solo ai richiami della gola e del letto…”.
I consigli di Archestrato di Gela riguardanti la gastronomia sacra e profana, attraverso la lettura del libro-documentario di Silvana Grasso si traducono in gustosi e genuini miracoli, dove “la tavole diviene luogo sacro, i commensali diventano fedeli, il cibarsi un rito”.
La tavola di Andrea Camilleri non si discosta da quella di Silvana Grasso con la complicità di Archestrato; e tutto procede secondo un rituale che si perpetua nel tempo.
Il detto – tratto da “Sicilianate” di uno scrittore gelese – che “le sarde arrostite aprono l’appetito agli ammalati e resuscitano i morti”, trova conferma nelle vicende dei personaggi dei due scrittori. E può essere anche vero che “Dietro la collina/ che guarda la piana di Licata/ la colazione è al quadrivio:/ acqua fresca di fonte”. Si tratta di un verso tratto dalla silloge “Fra il muschio delle tegole di argilla” – Edizioni Il Messaggio, tipografia Athena, Gela 1978. I parallelismi Silvana Grasso-Archestrato e Andrea Camilleri-Montalbano, sotto il profilo culinario sono evidenti e ci intrigano piacevolmente. Sarebbe interessante scorgerli e spiarli i due, seduti ad un tavolo di una trattoria o “taverna” siciliana, alle prese con quel ben di Dio “povero” che riesce a fornire la nostra terra ed il nostro mare; ma che non si tratti di un menù a prezzo fisso, con vino della “casa” fermentato con intrugli chimici!
Federico Hoefer
 
 

Inforete, 22.10.2004
In Castello con Montalbano
Andrea Camilleri ospite della Setttimana. Colloquio-intervista con il grande scrittore

Mancava solo la nebbia nel cortile del Castello e poi l’insolito turista, testa in su, intento a spiare il Maschio, avrebbe perfettamente combaciato con l’iconografia dei commissari “all’europea”: più pensiero e malinconia che azione e pistolettate.
«È davvero affascinante: queste strade coperte e sotterranee, chissà quanti passaggi segreti…»; due parole e Andrea Camilleri scoglie la soggezione invitando la cronista ad una passeggiata, a due chiacchiere dal tono amichevole.
A Vigevano per ritirare il riconoscimento alla carriera, che segue la consacrazione de i Meridiani (dopo il primo volume con le opere di Montalbano, è appena uscito quello degli scritti civici e storici), Camilleri non può esimersi dall’entrare nel tema della settimana letteraria e raccontarci il rapporto con il cibo del suo più illustre personaggio. «Montalbano non è un grande raffinato a tavola, ha però l’enorme fortuna di poter mangiare alimenti genuini, che non sono stati sofisticati». «In fatto di gusti egli era più vicino a Maigret che a Pepe Carvalho» scrive ne Il cane di terracotta. Si può saperne di più? «La cucina di Carvalho è da genocidio», spiega Camilleri estendendo il giudizio anche all’amico Montalbàn, che la mattina gli voleva imporre la colazione a base di «infernali salsicciòn».
Al contrario dello scrittore catalano, Camilleri non sa cucinare: avrà anche lui una sua Adelina? «La mia Adelina era la nonna. In famiglia quando facciamo gli arancini è una grande festa, che raccoglie una ventina di parenti e tanti amici, gli arancini sono buoni, ma non come quelli della nonna… Eppure non potevi farle i complimenti: mi ricordo il gran calcio che mio zio mi tirò sotto il tavolo intimandomi di stare zitto, così, la prossima volta, la nonna avrebbe fatto di tutto per superarsi!», e segue una grande risata.
Montalbano è arrivato alla sua nona avventura (che verrà distribuita per i tipi di Sellerio nel 2005), e già si parla del termine della serie con il numero dieci... «L’ultimo libro può essere il decimo oppure anche l’undicesimo… - liquida la faccenda lo scrittore – L’unica cosa certa è che non voglio lasciare le cosa a metà. Sicuramente la fine di un personaggio letterario non sarà quella di imbattersi nella realtà, ma di arrivare ad una conclusione letteraria. Al limite, lo scontro finale di Montalbano sarà tra lui e me. Ricordate? In uno dei primi racconti Montalbano mi telefona nel mio ufficio a Roma dicendomi di non voler entrare nella storia in cui l’ho infilato, di inventarmi un altro protagonista (allude a Montalbano si rifiuta, in Gli arancini di Montalbano, N.d.R.)». Fa pensare a Dürrenmatt… «Abbiamo molto in comune, soprattutto quell’aspetto metapoliziesco dei suoi romanzi. Come nel caso di Requiem per un romanzo giallo, ecco, penso ad una cosa del genere per finire la storia di Montalbano».
Immancabile, nella chiacchierata, una riflessione sul suo personalissimo siciliano. «Nell’edizione dei Meridiani appena uscita, l’ottima introduzione di Salvatore Silvano Nigro illustra bene l’uso della lingua nei miei libri – spiega Andrea Camilleri – Un siciliano mi direbbe: ma come scrivi? Questo non è siciliano! Ricordate il Concilio d’Egitto di Sciascia? Racconta la vicenda vera dell’Abate Velia, sedicente arabista, che ricrea la storia dei musulmani di Sicilia per rendere possibile la riforma dei vicerè Caracciolo e Caramanico contro i privilegi dei feudatari siciliani. I documenti falsificati sui quali si basa la sua finzione sono stati redatti dal suo aiutante, il monaco maltese Giuseppe Camilleri. Ecco, come il mio possibile avo, mi prendo una simile licenza con la lingua, inventando un siciliano che è l’elaborazione di quello piccolo-borghese che si parlava a casa mia. Un’operazione simile a quella di Pirandello quando traduce il Ciclope di Euripide; ne colorisce il linguaggio facendo parlare il Ciclope in siciliano contadino, Ulisse come un siciliano che ha fatto il militare a Cuneo, un po’ come Catarella, mentre al capo dei satiri dà un linguaggio in stile siciliano mafioso. Ecco quest’opera l’ho portata in scena sei volte ed il suo linguaggio mi è entrato dentro».
Un’estrema ricchezza… «L’uso del dialetto andrebbe rinvigorito – conclude Camilleri – è la linfa della nostra lingua, che altrimenti rischia di diventare una colonia».
Lo salutiamo: a lui l’emozione di proseguire la scoperta di Vigevano, a noi quella di averlo conosciuto.
 
 

Il Venerdì, 22.10.2004
L'anti-Camilleri. Il detective di Piazzese diventa film
Dapporto sono e sfido Montalbano

Il duello a distanza tra i due giallisti siciliani Andrea Camilleri e Santo Piazzese si era già consumato in libreria: da un lato il commissario di Vigata Salvo Montalbano, dall'altro il biologo-detective Lorenzo la Marca. L'esito è noto... Ora la sfida si ripropone in tv. La Rai infatti ha messo in cantiere due film, di cento minuti ognuno, tratti dai primi romanzi di Piazzese. Rimane un mistero: chi interpreterà La Marca, cercando di rubare la scena al Montalbano di Luca Zingaretti? A quanto pare Massimo Dapporto.
s.f.
 
 

La Stampa -ttL, 22.10.2004
La burnia di Juvarra

DILETTO è infine la parola che meglio definisce ciò che spero tutti proveranno leggendo un volumettino edito da Sellerio "Trentadueventotto", di Renata Pucci Di Benisichi, insegnante, giornalista, nobildonna e (indovinato!) siciliana. Il titolo, che nega allegramente l’aritmetica, è un modo di dire corrente nel dialetto di quell’isola misteriosa. L’autrice però non ne conosce l’origine. Ci precisa soltanto che ha il significato del nostro «ho fatto due più due», e cioé colloquialmente una sicura conferma, un’ovvia certezza. Paradosso prelibato che smentisce ironicamente, numeri alla mano, ciò che nello stesso tempo intende affermare. Di queste chicche è fatto il libro, spiegate e ancor più raccontate con molto spirito e affettuosa indulgenza verso la mitica «sicilianità». La signora ha un buon numero di parenti, amici, amici di amici, è una riserva di testi eruditi cui attingere per mettere in scena le piroette del suo amato dialetto, a volte dissennato, contorto, a volte pungente, geniale, da lei sempre tuttavia ben ricondotto a situazioni e dialoghi di vivacissima microstoria. Un appunto al volo: la parola «burnia», ce l’abbiamo anche noi con lo stesso significato. Chissà da dove mai è arrivata nel nostro dialetto, forse se la portò dietro il messinese Filippo Juvarra, in una burnia (dallo spagnolo «alburnia», sembrerebbe).
LA BOLLA Al dialetto di Andrea Camilleri la signora fa più volte riferimento e non c’è dubbio che da quell’inaspettata irruzione di «ammazzatine» e di «tanticchia» dipende in buona misura il successo del commissario Montalbano. Ma senza voler urtare le predilezioni dei «giallisti» devo dire che io lessi per la prima volta Camilleri una dozzina di anni fa, quando mi capitò per puro caso tra le mani «La bolla di componenda», ora riproposto del volume che i Meridiani Mondadori hanno dedicato ai testi non polizieschi dello scrittore siciliano. Rileggendolo ora mi saltano agli occhi poche righe in cui si concentra, direi la sua ars poetica. «Mi accorgo che sto divagando» confessa Camilleri all’inizio del quarto capitolo. «E’ un mio difetto questo di considerare la scrittura allo stesso modo del parlare. Da solo e con il foglio bianco davanti, non ce la faccio, ho bisogno di immaginarmi attorno ai quei quattro cinque amici che mi restano stare a sentirmi, e seguirmi, mentre lascio il filo del discorso principale, ne agguanto un altro capo, lo tengo tanticchia, me lo perdo, torno all’argomento». E’ il tono della conversazione, anzi della chiacchierata attorno al fuoco «sgranocchiando ceci», come diceva quel greco. Uno dunque dei massimi piaceri del sapiens, che Camilleri dispensa amabilmente nei suoi libri offrendo a ogni lettore l’impressione (antica e ormai rara) di far parte anche lui della cerchia davanti al caminetto scoppiettante. Ammessi alla lieta festicciola, complici attenti e sorridenti; così si sentono i suoi affini, nonché gli affini della nobildonna dialettologa, gran chiacchierona lei pure, infondo.
[...]
Carlo Fruttero
 
 

Feltrinelli Libri e Musica, 25.10.2004
Andrea Camilleri presenta il libro di Simonetta Agnello Hornby "La zia marchesa" (Feltrinelli)
Sarà presente l'Autrice. Ore 18:30, Galleria Alberto Sordi, Roma
 
 

L’espresso, 29.10.2004
Bestiario
Come andarono le fantaprimarie
Prodi al 44 per cento. Il commissario Montalbano al 22. La Melandri al 14. La signora Mastella al 7 e Bertinotti al 6... 

Già, le primarie! Romano Prodi le aveva volute per due motivi. Il primo era di ottenere una conferma popolare della propria candidatura alla guida della Grande Alleanza. Il secondo di far vedere ai partiti quanto lui, il Professore, fosse gradito agli elettori. E dunque che i partiti non rompessero e gli lasciassero mano libera su tutto. Prodi era sicurissimo di centrare entrambi gli obiettivi. Il ricordo del trionfo nelle suppletive dell'ottobre 2004 lo confortava e lo eccitava. Il trio dei suoi consiglieri (Arturo Parisi, Giulio Santagata e Ricky Levi) coniò uno slogan alla moschettiera: 'Prodi per tutti, tutti per Prodi!'. E decise come sbarrare il passo ad altre candidature: per presentarsi alle primarie occorrevano 15 mila firme di cittadini, raccolte in almeno undici regioni diverse.
L'impresa sembrava bene avviata quando nel piano di Prodi comparve una prima crepa: la norma delle 15 mila firme venne subito depotenziata da un paio di società demoscopiche in grado di raccoglierle per chiunque e a un prezzo modico. Poi emerse un secondo guaio: la candidatura di Fausto Bertinotti. "Non si possono fare le primarie su un nome solo", dichiarò il Parolaio Rosso. In realtà, Berty aveva un obiettivo segreto: raccattare i voti degli scontenti di Prodi, conquistando un bottino del 15-20 per cento. Per poi convincere un po' di partitini a seguirlo in una nuova formazione, la Sau, la Sinistra Antagonista Unita.
Ma anche Bertinotti aveva fatto male i conti. Dopo di lui emerse un terzo candidato a sorpresa: la deliziosa e bravissima Giovanna Melandri, diessina. Dichiarò di voler partecipare alle primarie affinché non fossero un affare soltanto tra maschi. E chiamò al voto tutte le elettrici della Grande Alleanza. La discesa in campo della Melandri fu l'inizio di una valanga. Spuntò la candidatura di Armando Cossutta che spiegò: "Sono per Prodi, ma voglio battermi contro quel comunista fasullo di Bertinotti, un ribellista dannunziano". Dopo Cossutta, si presentò Cesare Salvi che voleva testare la forza del suo gruppo, Socialismo Duemila. Lo seguì a ruota Sergio D'Antoni che, approdato a Montecitorio con le suppletive, s'era montato la testa e aveva deciso di chiamare alle armi tutti i democristiani del Sud, di entrambi i poli.
A quel punto anche Clemente Mastella entrò in lizza, ma per interposta persona. Infatti candidò la moglie Sandra, bella, intelligente e poliglotta, una perfetta rappresentante delle donne uliviste del Mezzogiorno. Pure i verdi non vollero essere da meno. Ma non si accordarono sul candidato. E alle primarie si presentarono in tre: 'er Piotta', ossia Paolo Cento, un tal Bulgarelli, critico d'arte a Riccione e l'eroico chirurgo Gino Strada.
A quel punto i nomi in ballo risultavano già dieci. Una vera inflazione che faceva stramazzare di rabbia Prodi. Ma la tragedia non era finita. Spuntò un undicesimo concorrente: Achille Occhetto, sempre alla ricerca di una disperata rivincita. Infine emerse il dodicesimo, il più imprevisto: il commissario Montalbano, al secolo Luca Zingaretti, attore quanto mai popolare e testa fine. "Chi lo manda?", ringhiarono gli altri candidati. "Nessuno", garantì il suo addetto stampa, Raul Bova, specializzato nelle fiction sui carabinieri, "ha soltanto il desiderio di partecipare".
Dodici candidati e una campagna elettorale disastrosa. Per la quantità di soldi bruciati. E per le cosacce che tutti i candidati, tranne le signore Melandri e Mastella, si videro costretti a dire sui concorrenti. Era una deriva fatale, però i giornali del centro-destra ci inzupparono il pane. Prodi se ne lamentò. Ma gli venne rinfacciato il suo vecchio motto: "Competition is competition". Il più scatenato si rivelò Bertinotti, capace di sposare qualunque causa: dalla lotta alla Coca-Cola a quella contro la Costituzione europea. E pronto ad accusare gli altri candidati di essere fantocci al servizio del liberismo e, per Cossutta, dei defunti capi sovietici.
Comunque, il clima di scontro favorì la partecipazione elettorale. Nel febbraio 2005 andarono a votare in 15 milioni. I risultati furono uno choc. Prodi si fermò al 44 per cento, seguito dal commissario Montalbano al 22 per cento e dalla Melandri al 14. La signora Mastella conquistò il 7 per cento, un punto più di Bertinotti, fermo al 6. Tutti gli altri rimediarono un misero 1 per cento. Amareggiato, Prodi ritirò la candidatura a premier e si esiliò sull'Appennino reggiano. Il caos si placò tre giorni dopo. Quando Ds e Margherita dichiararono che, vista la rinuncia del Professore, avrebbero schierato contro il Berlusca un ticket di tre nomi: Enrico Letta, Pier Luigi Bersani e Giovanna Melandri.
A quel punto, i cervelli prodiani capirono tutto. Le primarie erano servite per liquidare Prodi. Strumento della congiura: il commissario Montalbano. Era o non era il fratello di un dirigente diessino e deputato europeo, Nicola Zingaretti? Sì, lo era. Come reagire? Studia e ristudia, il rimedio fu trovato. E un giorno di marzo del 2005 Prodi annunciò che...
Giampaolo Pansa
 
 

Corriere della sera, 29.10.2004
Esce il Meridiano dello scrittore. Che recupera uno stile duro, specchio dell’America anni Venti-Trenta
Il vero Hammett, sotto il vestito di Bogart

Mettiamola così: se tra i Meridiani trova posto Montalbano, non può mancarvi quel Dashiell Hammett (1894-1961) che proprio Camilleri considera «uno dei suoi numi tutelari»: maestro di quella «Hardboiled School» che con Hammett diviene letteratura sic et simpliciter.
[…]
Ermanno Paccagnini
 
 

Il Messaggero, 30.10.2004
Questa sera a Catania, al Centro Fieristico “Le Ciminiere”, il Villaggio della Tradizione 2004 ha organizzato una serata in onore di Turi Ferro alla quale partecipano, fra gli altri, Igor Mann, Antonio Calenda, Candido Cannavò, Leo Gullotta. Anticipiamo qui il contributo di Andrea Camilleri.
Turi Ferro, con ironia un maestro nel Kaos
Andrea Camilleri
 
 

La Stampa -ttL, 30.10.2004
Montalbano, attento: l’illegalità giusta è una cattiva maestra
Dimentica, come i detective privati nei noir americani, che «la caccia vale più della preda» e antepone la coscienza alla legge, una scelta pericolosa

Secondo un detto sportivo, la squadra che vince non si cambia. Il binomio Camilleri-Montalbano ribadisce che la formula vale anche nel mondo letterario, e il loro ultimo caso, La pazienza del ragno, ne è la riprova. Gli ingredienti sono quelli consolidati che hanno tributato ormai da anni un successo travolgente, appassionando schiere di lettori divenuti spettatori televisivi. La storia sembra retrocedere sullo sfondo, in quanto la forza trainante è tutta nelle note di accompagnamento. Innanzitutto l'invenzione narrativa del quasi dialetto. La seconda nota di contorno è la presenza di quei connotati locali, siciliani, che i volumi di Camilleri esibiscono con orgoglio e compiacimento. Non è solo il mare, ma la campagna con la terra battuta dalle trazzere e i muretti «a sicco», le nuvole cariche di acqua invernale. E poi ovviamente il cibo. Non ci si imbatte nel goloso divorare cibi o vini alla Maigret o Montalbano, ma alla composta devozione per i prodotti della propria terra e l'ammirazione per i piatti della tradizione. E le donne: non solo le belle picciotte, ma femmine sensuali pur in situazioni tragiche, come la donna del casolare impegnata nel mestiere di sempre per sopravvivere. Il commissario Montalbano ha di fronte un caso di sequestro di persona di cui è vittima una giovane, Susanna Mistretta, seria, alacre, per bene, di famiglia altrettanto corretta ma melanconicamente declinante verso una inspiegabile indigenza. Ed allora perché chiedere riscatti a chi non dispone di alcunché, come sa la gente? L'inchiesta non è stata affidata a Montalbano ma questi, come spesso è capitato, se ne occupa ugualmente perché non ne può fare a meno. Così non si ferma alla superficie e percorre contemporaneamente diverse ipotesi «senza dare la preferenza ad una». Sicuramente segue un ragionamento ma le sue non sono fredde astrazioni quanto piuttosto traiettorie dell'istinto, alimentate dal guizzo creativo del buon siciliano. Confidandosi altrove, sa che occorre seguire le dicerie, i pettegolezzi, tutto, e «tutto per me significa magari il “filame”». Ed ecco che in questo romanzo ritornano il ragno e la sua pazienza con cui viene dipanata l'aggrovigliata matassa. Il nostro, sanguigno e coraggioso, riesce a penetrare in un dramma familiare, fosco e nel contempo nobile, in cui combattono le forze dell'amore, dell'odio, del denaro, del cinismo e dell'onestà. Il discorso su La pazienza del ragno potrebbe finire qui: l'intrigo, il commissario, lo sfondo, il dialetto, in una parola Camilleri con il suo sperimentato Montalbano. Ma non è proprio così: l'autore non si è accontentato del sicuro successo della formula e non si è adagiato sul pigro automatismo che può discendere dall'esserne consapevoli. La realtà che Montalbano questa volta scopre è impensata. Il crimine non sancisce per definizione la distinzione tra buoni e cattivi come forse vorremmo, non ci separa dagli «altri» che rappresentano il male come propone la più consumata giallistica. Ma il crimine in effetti può contaminare chiunque, occultato tra le pieghe di una accettata normalità, sorretto da motivi seri come il desiderio di giustizia.
Camilleri in questo modo tocca alcuni temi di notevole densità. Innanzitutto fa riemergere il contrasto, non a caso tipicamente siciliano, tra apparenza e realtà ma lo presenta sotto una luce un po' particolare. Non si tratta di smascherare il solito insospettabile che si nasconde «tra» noi ma che è pur sempre un criminale da punire. Si deve accettare che quell'insospettabile possa essere uno «come» noi. L'altro tema riguarda l'antico, lacerante conflitto in cui si imbatte chi viola la legge ma ritiene nel contempo di comportarsi secondo giustizia, quella riparatrice e sostanziale. Non c'è scampo: la sanzione interverrà ugualmente e l'ordine verrà ristabilito, ma le motivazioni forniranno motivi di seria e tormentata riflessione. Il nostro commissario conosce questa contraddizione e se ne fa interprete. Infatti egli «non è un dio... solo un omo che aviva un personale criterio di giudizio supra a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. E certe volte quello che lui pinsava giusto arrisultava sbagliato per la giustizia». E' già un passo avanti rispetto a quando gli veniva rimproverato dalla poco remissiva Livia di essersi «autopromosso a dio» oppure quando il nostro si chiedeva se non rientrasse nel suo mestiere «sostituirmi a dio».
Comunque sia questa contraddizione dà vita ad un messaggio deontologico che potremmo definire scadente, trattandosi pur sempre di un commissario che deve tutelare la legge e non stanare i colpevoli «a tutti i costi», ad esempio occupandosi anche di casi affidati ad altri. La simpatia umana per il personaggio rischia di fuorviare i lettori entusiasti. Così si potrebbe dimenticare che, nelle indagini penali come nel processo, il modo di agire delle parti impegnate è più importante del risultato, o come notava Cordero «la caccia vale più della preda». Montalbano non è certo il primo a pensarla così e di cattivi maestri la letteratura ed il cinema hanno fornito generosi esempi. Ci auguravamo però che la sua coscienza professionale e soprattutto civile avesse un sussulto e che abbandonasse questo culto per la «illegalità giusta», propria del detective privato dei noir americani. Forse piacerà anche per questo: speriamo che con gli anni possa cambiare. Forse già dal prossimo romanzo.
Fulvio Gianaria, Alberto Mittone
 
 

Il Sole 24 Ore (suppl. "Domenica"), 31.10.2004
Narr'Italia
Rapimento nella ragnatela di Montalbano

No, non c'è un assassino nel nuovo romanzo di Andrea Camilleri, della serie del commissario Montalbano, La pazienza del ragno. E però un misfatto è stato commesso: il sequestro di Susanna Mistretta, una bella ragazza, iscritta all'Università, che abita con i genitori, due ex ricchi ridotti in rovina per motivi poco chiari - lui geologo in pensione, lei, malata e in fin di vita - in una villa in campagna. Gente che non ha un soldo per pagare. Sembrerebbe dunque opera di una banda di sprovveduti. Anche perché la telefonata rituale alla famiglia avviene poco dopo il rapimento, e non a distanza di giorni, come fanno i veri professionisti del crimine. Mentre l'unico indizio è la stranezza del percorso scelto da Susanna per rientrare a casa quella sera: una strada più lunga, disagevole e poco battuta, dove è stato trovato abbandonato il suo motorino. Come se avesse appuntamento con qualcuno. Non bastasse, il riscatto viene chiesto in banconote di grosso taglio. Altra stranezza. Montalbano indaga. E anche noi, che abbiamo un po' troppo presto il sentore (nemmeno a metà libro) di chi sia la mente del sequestro. E però poco importa. Ci succede ormai di leggere via via le nuove storie di Montalbano con la stessa buona disposizione di spirito con cui si riincontra un amico, abbassando la guardia dell'analisi critica. Compiacendoci, piuttosto, di ritrovare caratteri, abitudini, manie. Soprattutto del protagonista. E' il fascino della ripetizione. Camilleri lo sa, e insiste sui cliché (le mangiate di Montalbano; il linguaggio di Catarella). Qualche volta con risultati meno brillanti: come capita per i litigi fra il Commissario e la fidanzata Livia, che troviamo, in questo caso, insediata da Salvo, per accudirlo. Per il fatto che Montalbano è stato ferito ad una spalla da un delinquente.
Bene, al solito Livia è la figura meno riuscita del romanzo; con le sue irritazioni improvvise che appartengono a necessità narrative di piccoli spunti di colore: non convincenti. Mentre sono meglio caratterizzate le figure che rientrano nel mondo della ragazza rapita: specialmente l'enigmatico zio medico, Carlo Mistretta, e il fidanzatino Francesco.
Ma La pazienza del ragno, che alterna il verismo (alla De Roberto) di una fosca vicenda familiare al thriller e alla commedia spicciola della vita quotidiana di Montalbano, è soprattutto una storia di temperamenti. Dove rabbia e sorriso ironico di Montalbano, quando scopre la verità, una verità difficile da accettare, e questa volta da nascondere, per un poliziotto, ma umanamente giustificabile, convergono, infine, nella pietas per due persone che, a lungo, hanno maturato il sogno di una opportuna vendetta...
Importante per l'ampiezza della raccolta e per la qualità di alcuni testi peraltro molto noti (La stagione della caccia; Il birraio di Preston; La concessione del telefono), è da poco uscito un nuovo "Meridiano" di Camilleri, che comprende i "Romanzi storici e civili". Ma perché l'ottimo curatore, Salvatore Silvano Nigro, ha lasciato fuori dalla raccolta il più bel Camilleri storico, La scomparsa di Patò? Che, a suo dire, ripropone in qualche modo "la struttura del ben più corposo e impegnativo La concessione del telefono". Mentre noi pensiamo che in una raccolta così ampia si debba guardare alla qualità, non ai modelli.
Giovanni Pacchiano
 
 

Sicilia - L'isola del tesoro, 10.2004
Il papà di Montalbano, sono

Andrea Camilleri  sfoglia le pagine dell’isola che non c‘è, ma esiste davvero. Quella Sicilia nascosta nell’entroterra, preferita dallo scrittore, scelta per rappresentare cosi l’isola e i siciliani.”Il posto solito era la spiaggetta di Puntasecca, una corta lingua di sabbia sotto una collina di marna bianca, quasi inaccessibile via terra, o meglio accessibile solo per Montalbano o Gegè che fin dalle elementari avevano scoperto un sentiero già difficoltoso a farselo a piedi”.
Eccola la spiaggia di Capo Rossello, a Porto Empedocle, raccontata ne “Il cane di terracotta”, uno dei tanti romanzi dello scrittore siciliano, capace di suscitare emozioni anche a chi questi luoghi non li ha mai visti. Peccato mortale presentare al pubblico uno scrittore di tale portata e popolarità: Camilleri è per tutti il “sommo” di Porto Empedocle, città che gli ha dato i natali.
Trascorre l’inverno nella capitale ma, come dice lui stesso, “Non posso fare a menu di tornare ogni estate nel mio paese per respirare l’aria del mare”. Ed è lo stesso Camilleri a far da cicerone ai luoghi dei suoi libri, conversando amabilmente con amici e fan al bar dei paese, firmando autografi dalle prime ore del mattino tra un sorso di birra e l‘immancabile sigaretta tra le labbra. E che in barba alle dissuasive scritte da necrologio apparse sui pacchetti dice: “Ne fumo tre pacchetti al giorno e me ne fotto”.
Qual è la Sicilia di Camilleri?
“La mia Sicilia è tutta la Sicilia: non esiste un posto in particolare che rappresenti per me quest’isola, da Porto Empedocle, il paese dove sono nato e dove sono vissuto per molti anni, a Palermo, Ragusa, Enna, Catania. Tutto per me è Sicilia. Gli italiani non conoscono il loro Paese e vanno fuori: questo avviene un po’ dovunque ed è un errore. La lettura, in questo senso, può aiutare a colmare questo vuoto, a stimolare la scoperta dei luoghi sconosciuti  Per quello che riguarda me e la mia narrativa, il paese di Vigata in realtà rappresenta la Sicilia. Se lei dovesse chiedermi quanti abitanti fa Vigata sarebbe una risposta impossibile: dovrei dirle quanti abitanti fa la Sicilia. E quando mi chiedono di suggerire un itinerario turistico, trovo non poche difficoltà. Ai mie amici che per la prima volta visitano questa terra io  propongo un modo alquanto bizzarro: affittare un mezzo di trasporto e farsi condurre in visita nell’entroterra. Troppo spesso pensiamo a questa terra come ad una lunga costa da  Palermo a Taormina, Siracusa, Sciacca...”.
La costa siciliana tende a nascondere le bellezze dell’entroterra.
“E proprio così: la natura conserva come un tesoro prezioso le zone interne della Sicilia. Tutte le nostre leggende e le nostre culture hanno l’occhio rivolto verso l’interno dell’isola, fatta eccezione per “Colapesce”. E, stranamente, è un luogo della memoria e della cultura estremamente trascurato. Ogni siciliano dovrebbe fare un viaggio attraverso la Sicilia non solo per conoscere la propria terra ma per entrare in contatto con i suoi popoli. Lo fece lo scrittore Laurence Dariel. Il luogo geografico rimane un‘astrazione quando non si conoscono le genti che ci abitano”.
Cosa è la sicilianità?
“La sicilianità mi interessa, la sicilianitudine no. E’ il frutto di tredici dominazioni passate in Sicilia. Da ognuna di queste abbiamo preso qualcosa. Dove sta il bello di tutto questo? Nell’essere bastardi. Dove per bastardi intendo sintesi, mescolanza di tutte le culture che ci hanno dominato”.
Quanto è importante l’utilizzo di un linguaggio ricercato, curato, per il successo di un libro? Il riferimento va alle critiche mosse dello scrittore genovese Nico Orengo sulla scelta linguistica di Camilleri scrittore.
“Una premessa sul libro di Orengo “L’intagliatore di nocciole”: l’ho letto e mi ha divertito tanto. Ma io vorrei chiedere ad Orengo perché il suo professore, protagonista del romanzo, si sia attardato a tradurmi in genovese quando io ho scritto pagine e pagine in dialetto ligure nella “Morsa [sic!, NdCFC] del cavallo”. Il linguaggio è fondamentale: sono proprio i dialetti delle regioni d’Italia che  fanno l’unicità del Paese. E di ciò me ne rendo conto quando i miei traduttori, soprattutto tedeschi, si trovano impantanati davanti alla scelta di un termine piuttosto che di un altro. La ricercatezza, l’abbondanza di termini e di lessico dei nostri dialetti è imparagonabile. Questa è una ricchezza e non può essere considerata una limitazione. Per uno scrittore è come trovare una miniera d’oro”.
Quali sono stati gli autori che hanno influenzato la scrittura di Camilleri?
“Per tutta la vita non ho fatto altro che leggere. Anche qui c’è un imbastardimento della lettura. Quindi è difficile dare una sola risposta. Se io dovessi prenderla alla larga dovrei dire Stern, Goethe, Manzoni. Soprattutto quest’ultimo mi ha colpito, in età adulta. Cosi diverso da come me lo avevano raccontato a scuola. E per gli scrittori siciliani è difficile parlare di uno soltanto. Il nostro è un mestiere di ladri: rubiamo qualcosa a tutti quelli che ci hanno preceduto. Lo scrittore assorbe dalla vita di tutti i giorni storie di vita vissuta. Una chiacchierata in un bar, un incontro rubato di amanti. E’ anche questa la ragione per la quale non riesco a stare lontano dalla Sicilia e periodicamente vi faccio ritorno. Qui, più che in altri luoghi d’Italia, il contatto con l’uomo è vero, profondo, concreto. Torno a casa, come si dice altrove, per risciacquare i panni in Arno. Per riascoltare “la mia parlata”, trovare parole che avevo dimenticato. L’altro giorno mi è capitato di ascoltare una ragazza che parlava con un gruppo di amici. Figuratevi il mio stupore quando ho sentito “trabacca”: una parola che non udivo da tanti anni”.
Ci sono giovani scrittori siciliani di successo?
“Quanti ne vuole? Sono tanti quanti sono i siciliani. Penso a Roberto Alajmo, Sandro [sic!, NdCFC] Piazzese, Roberto [sic!, NdCFC] Di Cara, i palermitani Giacomo Cacciatore e Giosuè Calaciura.  Nomi di scrittori autentici che con il tempo si faranno grandi autori”.
Quanto è importante che gli autori siciliani scrivano di mafia?
“Non è obbligatorio ma, per chi lo fa tanto di guadagnato. C’è, comunque. sempre un rischio. Quello cioè di fare errori romanzeschi. Rileggendo le pagine de “Il giorno della civetta” di Sciascia, ci si rende conto che don Mariano era quasi un personaggio simpatico. Ebbene, lo scrittore non deve per nessun motivo rendere questo servizio alla mafia. Si può evitare di cadere in questo errore restando sulla superficie del racconto senza approfondire nulla, senza fornire particolari. Questo è compito della polizia e dei giudici. Scrivere giornalisticamente è più che doveroso, romanzare no”.
Sciascia diceva “La Sicilia è il mondo”. Quanto è vero?
 “Tutto vero. Come disse anche Goethe “Per capire gli italiani bisogna venire in Sicilia”. E’ proprio questa prismaticità di culture che si intrecciano a rendere la Sicilia unica. E centro del mondo.
Cristina Lombardo


 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011