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RASSEGNA STAMPA

SETTEMBRE 2004

 
LombardiaCultura, 9.2004
Stagione sinfonica 2004-2005
Favole al tramonto
Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi - Corso San Gottardo 42/a 20136 Milano

Marco Betta: Magaria
Sergej Prokof'ev: Pierino e il lupo
sabato 12 marzo 2005 ore 15.30
Testo: Andrea Camilleri
Voce recitante Massimo Boldi
Direttore: Fabrizio Dorsi
 
 

Carnet, 9.2004
Autori ai voti
Valutazione semiseria (anzi serissima) da parte dello Scrittore italiano, nei confronti dei suoi “colleghi”. Per lo più illustri assenti a Mantova.

Valutazione a braccio, ma non umorale, di alcuni dei principali autori italiani – se non vivi, viventi – da parte dello Scrittore; viene dato un voto da 1 a 10 tenendo conto, innanzitutto, della possibilità o meno di definirli “scrittori”: basta avere come punto di riferimento e di sostegno economico un’ideologia, un patito, un industriale, un mercato, una curia, una poltrona parlamentare, una redazione giornalistica, una demagogia del momento o un qualsiasi apparato di propaganda di parte per non essere Scrittore (“nessuno nasce scrittore, meno ancora lo diventa”, n.d.S, che sarei io, felice caso di Scrittore che senza mai nemmeno averlo pensato si ritrova, per palanche a fronte di bollini Siae, anche Autore; adesso non ho tempo per spiegare la differenza fra scrittore e Scrittore: lo Scrittore è lo scrittore che resta, se resta, dopo morto, e io se sono lo scrittore che sono senza mai essere ancora nato, figuriamoci dopo); dopo di che si è Autori solo se si ha successo di cassetta e quindi, senza una particolare gerarchia qualitativa, aspiranti autori, aspiranti scrittori, letterati, romanzieri autoriali, dattilografi di punta, insomma (scritti da autore sapienziale, ottocentesco, cruscante anche se fa ricorso a linguaggi giovanili, chi confonde il possedere uno stile per sottrazione con l’avere una cultura di cui fare man bassa, allorché lo Scrittore si tira via, sottrae ciò che sa, e se è il caso anche se stesso: sarebbe lunga spiegarlo per bene, e mi ripeterei, vedi Nudo di madre, Manuale del perfetto scrittore, Oscar Mondatori); prendendola in prestito da Harmony, la famosa collana a poco prezzo di romanzetti rosa, con la lettera H intendo valutare la bomba atomica del lealismo imploso, cioè il grado di malafede e di romanticume borghese, anche nel cosiddetto impegno, e l’ammontare di luoghi comuni e stereotipi nel testo (legati per esempio alla sessualità umana, al senso di colpa, di peccato, alla misoginia, al machismo, al “bisogno di trascendenza”, ecco, all’evangelismo spesso travestito da laicità, alla mimesi a sinistra del berlusconismo e del gesuitismo comunque: i valori eterni che tirano sempre); diciamo che con H intendo sottolineare nel suo insieme la mancanza di autocritica nell’analisi sociale, politica, economica e nel linguaggio/stile (quanto uno usa una lingua – ritmo!- di sua reinvenzione e quanto si  fa usare dalla sola che possiede lui come tutti: non bastano le buone intenzioni e i buoni sentimenti, e nemmeno il martirio di essere degli statali con le spalle coperte, per essere scrittore); in altre parole, con H intendo valutare il sentimentalismo di massa (l’elegia da oroscopo che ti viene in soccorso dandosi le arie della verità Vera) di cui sono impregnati più o meno i testi delle firme prese in esame, voglio enucleare l’elemento scatenante alla base del loro successo di vendita e di critica, quando è il caso (lo è sempre: la critica che non critica è speculare al capolavoro, millantato, che non c’è); metto un voto anche alla tenuta attuale dei nomi che “vanno per la maggiore” e a un’eventuale o possibile durata nel tempo (una volta morti), specifico quanto la loro esistenza  attuale dipenda dall’appoggio della carta stampata su cui scrivono articoli (clan, favori fra di loro, stessa redazione giornalistica, abilità mondana a sopperire con la presenza fisica all’assenza dell’opera ecc.: struscio di cappelle; non parlo di loro passaggi in televisione: se gli intellettuali non ci vanno è perché non ci vanno più, se osassero una sola altra volta ripresentarsi gli tirerebbero dietro anche le sedie della volta scorsa).
Il titolo di Autore con la A maiuscola, ribadisco, contrassegna il mio rispetto verso chi, fra i milioni di frustrati e di velleitari che ci tentano, è riuscito almeno a confezionare e a vendere il prodotto cartaceo giusto al momento giusto: invidioso omaggio al bestsellerista (non perché vende più di me, ma perché chi si crede più intelligente è un furbacchione più stupido di me, allorché io volessi potrei essere tre volte più stupido del più furbo in circolazione), tanto di cappello al pasticcio in cellulosa di ingredienti ben amalgamati, la Piccola Posta consegnata al Sublime, vale a dire valutazione industriale dell’anima e quindi del cattolico medio (consolazione, sostegno, eccitante, tranquillante, Aldilà di qua ovvero elettrizzazione del vuoto a perdere in scatola cranica col pallino dello scrivere ecc), Croce & Delizia con data di scadenza istantanea dei poveri di spirito (coloro che davvero comperano un libro in Italia dando luogo, se non vita, a un Autore: i non lettori) ovvero elogio non peloso della barzelletta stampata risaputa e risentita che ciclicamente  torna a piacere e a scalare le classifiche.
(Ho fatto in tempo a citare anche Melissa P., del cui caso sono venuto a sapere del tutto fortuitamente grazie a un giornalista free lance che un paio di settimane fa, appena dieci minuti dopo che ero rientrato da un lunga permanenza in Sud Africa mi fa al telefono “Lei che ne dice di Cento colpi di spazzola?”, e io, passandomi pensieroso la mano fra i pochi capelli e anche rattristato per tutti questi eruditi a spasso costretti a inventarsi le cose più turpi per tirare avanti: ”Mi scontenterebbero”).
Mantengo l’ordine alfabetico solo col primo, non c’è pericolo di malintesi, sono tutte prime donne a pari merito.
[...]
Camilleri Andrea: Autore.
Lingua, Joyce secondo la visione di Bernabei, Frizzi e Santa Rosalia: 2.
Tenuta attuale successo: 10, 9, tendenza verso 8, a sbalzi di nuovo 9, 10, è l’Italia, la marga di chi crede di aver letto un libro perché ha letto un libro di Camilleri.
Appoggio promozionale stampa: 10.
Valore storico: 0.
Per gli eredi, diritti d’autore post mortem: molto buoni i primi 3 anni, trascurabili i restanti 64; altri mille e tre Camilleri premono (tubetti di concentrato di pomodoro che fa tanto sangue) dalle redazioni televisive de La prova del cuoco e Il Lotto alle otto.
H: 8/9.
[...]
Aldo Busi
 
 

L'Adige, 2.9.2004
Prestigioso premio a Mirko Corradini e Maura Pettorruso
Camilleri per «Estroteatro»

Trento - È stato niente meno che il noto scrittore e regista Andrea Camilleri a consegnare i due ambitissimi premi che la compagnia Estroteatro si è aggiudicata al Festival Teatrale Nazionale "Città di Vigata" in provincia di Agrigento. Mirko Corradini ha "vinto" il premio per la Miglior regia con il lavoro «Il re muore» di Eugene Ionesco con la seguente motivazione: «Raffinatissimo interprete di un testo d´autore per uno spettacolo colto ed elaborato. Giovane ispirato nel tono e nel gusto ai grandi registi della teatralità. Da regista, ha rispettato l´originalità dell´opera con dosata misura e con precisione artistica, restituendo all´autore le atmosfere, i paradossi e le contraddizioni tipiche del teatro dell´assurdo pur nella, a volte forzata, riduzione del testo».
Il premio come Miglior attrice è invece andato a Maura Pettorruso, ormai habitueé di riconoscimenti prestigiosi, con la motivazione: «Sensibilissima e versatile, dotata di straordinaria padronanza del mezzo vocale nell´interpretare con spiccata originalità il ruolo della "Regina Margherita", rivestendolo con estro, creatività, fantasia e con acuta intelligenza artistica». 
Lo spettacolo, andato in scena venerdì scorso nella splendida cornice della piazza di Porto Empedocle, è stato applaudito da più di mille persone oltre che dalla raffinatissima giuria composta da Andrea Camilleri (presidente), Fioretta Mari (vice-presidente), Giovanni Volpe (direttore artistico della manifestazione).
In scena, insieme a Maura Pettorruso: Alessio Delai, Lara Righi, Arianna Paoli e Valeria Casatta, anch´essa apprezzata dalla giuria e dal pubblico.
Ora le attività di Estroteatro proseguono con i corsi per adulti e ragazzi, oltre alle nuove produzioni in cantiere: sicuramente previsti, entro la fine dell´anno, i debutti di due produzioni comiche e due spettacoli per ragazzi; mentre per il 2005 è prevista la realizzazione di altri due spettacoli di maggior spessore ed impegno.
C. S.
 
 

Radio24, 4.9.2004
Elementare Watson. Sulle tracce del giallo

Nel corso della trasmissione condotta da Tecla Dozio e Chiara Seronelli, Andrea Camilleri ha parlato della Sicilia e di come l'essere isolani caratterizza il modo di scrivere e i temi ed è stato protagonista della rubrica L'autore dall'A alla Z. Nella parte della trasmissione dedicata ai consigli di lettura è stato letto l'incipit del nuovo romanzo del commissario Montalbano, La pazienza del ragno (Sellerio).
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Festa de l'Unità del Vallone 2004, 5.9.2004
Videointervista a Andrea Camilleri

In occasione della Festa de l'Unità del Vallone 2004, svoltasi  a Mussomeli (CL), Andrea Camilleri ha rilasciato una videointervista in esclusiva messa in onda il 5 settembre 2004. Le foto e un videoclip dell'intervista sono disponibili sul sito della festa: www.dscaltanissetta.it.

Intervista ad Andrea Camilleri. Festa de l'Unità 2004 - Mussomeli (CL). Parte 1



Intervista ad Andrea Camilleri. Festa de l'Unità 2004 - Mussomeli (CL). Parte 2



Intervista ad Andrea Camilleri. Festa de l'Unità 2004 - Mussomeli (CL). Parte 3



Intervista ad Andrea Camilleri. Festa de l'Unità 2004 - Mussomeli (CL). Parte 4


 
A seguire una trascrizione parziale dell'intervista, pubblicata su Città Nuove Corleone, 1.10.2018
Intervista ad Andrea Camilleri: la politica e l’impegno civile

A proposito del comunismo, dell’essere comunista, io che vengo dalla tradizione socialista, quando sento usare questo appellativo come un’offesa, con disprezzo, lo sai che mi sento onorato di essere divenuto comunista? Lo dico perché in questa festa dell’Unità, qui a Mussomeli, abbiamo ricordato Berlinguer, a venti anni dalla morte, con una brochure che per noi ha grande valore culturale, politico, etico, anche per ricordare che il comunismo italiano non era quello sovietico. Cosa ne pensa lei? Forse, oggi, non c’è più bisogno di dichiararsi comunisti?
Io penso di sì. Anche oggi che ci siamo venuti a trovare in una certa difficoltà. A me Giovanni Berlinguer chiese di scrivere la prefazione al libro, diciamo così, del “Correntone”, non so se l’avete letto. Io quella prefazione l’ho scritta elencando uno per uno quelli che, a mio parere, erano stati certi errori del partito, di cui, per me, il principale, è stato un progressivo distacco della dirigenza dalla base, fino a creare una sorta di frattura e d’incapacità della comunicazione. Noi, che eravamo tutt’uno con la base, abbiamo iniziato una sorta di diversificazione dalla base. Quando la base esprimeva, per esempio il proprio candidato, che era quello nel quale aveva fiducia e ci accostavamo ad eleggere, abbiamo cominciato a paracadutare candidati. O come il distacco grandissimo, tremendo secondo me, che si è creato tra il sindacato e il partito. Ma, scusate, cos’è il sindacato? Il sindacato sono i nostri uomini, i nostri iscritti. Che significa che c’è un distacco? Ci può essere una conduzione politica che non è una conduzione sindacale, questo è ovvio, lo vedevamo con Di Vittorio, l’abbiamo visto con Lama, figurati… Non doveva essere una cinghia di trasmissione, d’accordo, ma neanche bisognava tagliare la cinghia.
Secondo lei, questo vale solo per il sindacato?
Noi dobbiamo confrontarci quotidianamente con la realtà. Allora, se io sento che un amico si sta allontanando da me, perché lo sento, se sono un fesso non mi chiedo perché l’amico si sta allontanando da me, se sono uno che si confronta con la realtà gli dico: «Senti un po’, ma perché ti stai allontanando da me? Mi vuoi spiegare le tue ragioni?» Tutto qua, è di una semplicità estrema. Se noi non gli chiediamo le ragioni ce lo ritroviamo a Forza Italia, com’è avvenuto.
Vero, vero.
E' avvenuto a Sesto San Giovanni, che ora abbiamo recuperato. Insomma ci siamo persi Bologna.
No. Volevo dirle, ho un fratello che è segretario provinciale della Fiom di Palermo, che ha la tessera del partito all’interno del quale ha incontrato difficoltà nell’affrontare ogni giorno i problemi reali di quella grande città: crisi della Fiat, cantieri navali, ecc. La cosa è assurda. Allora, mi chiedo perché questo succede? Perché succede? Chiediamocelo! Forse, per il distacco della dirigenza?
Il distacco totale della dirigenza c’è. Cioè a dire, quando il povero Nanni Moretti dice: «Guardate che con questa gente non si vince», non è che dice una bestemmia, dice una mezza verità. Purtroppo! Perché la concezione della politica non è più berlingueriana, è una concezione di politica d’abord, come diceva il buon Pietro Nenni, ogni giorno viviamola, ogni giorno con gli accordi del giorno, non è modo di fare politica. Io non posso sentire un mio alleato che dice: «Beh, insomma, le leggi di Berlusconi non sono tutte da buttare via» Quale? Quale, per favore? Il conflitto d’interessi lo manteniamo? La Legge Cirami la manteniamo? Il falso in bilancio lo manteniamo?
Ha fatto una gaffe enorme.
Dice che ci fa guadagnare voti sul versante di Forza Italia. Non me ne frega niente di questa gente che porta danno alla nostra causa. Allora bisognerebbe che ci fosse un coordinamento forte, perché uniti si vince, su questo non c’è dubbio. Non è che possiamo dire: «Andatevene, noi ce ne andiamo per i fatti nostri». Siamo piccole unità frazionate, piccole o medie unità frazionate. Ma non bisogna parlare a vanvera perché altrimenti l’elettorato non capisce e perdiamo proprio le coordinate.
Lei comunque spera in un risveglio, le sembra che le cose stiano cambiando?
Sì, E’ chiaro che le cose stanno cambiando, ma stanno cambiando più per implosione che per nostro merito. Quando mi si dice: «Ti sei avvicinato troppo ai girotondini». Perché i girotondini rappresentano, hanno rappresentato almeno per un certo periodo, una sorta di spinta, di pungolo che veniva dato. Non è che i girotondini erano della gente equivoca, era della gente mirata a pungolare i nostri politici.
Anche se non possono certo sostituire i partiti, la politica, però un pungolo ci voleva.
Ma non lo volevano nemmeno, tant’è vero che sono morti nel momento in cui alcuni dei loro esponenti sono passati a fare politica.
E quello è stato un errore.
Cioè a dire: i girotondini erano un'altra cosa. Se io la mattina mi sveglio e bevo una tazza di caffè per svegliarmi meglio ed essere più attivo, non è che la tazza di caffè fa parte del circolo del mio sangue, me lo metto io in circolo: questo era il girotondo. Non era il corpo della persona, era qualche cosa: un additivo, che veniva dato perché ti facesse agire meglio. Tutto qua.
Sulla Letteratura e sui lettori.
La storia andrebbe narrata raccontata e basta, l’autore deve star lì a raccontare i fatti e i personaggi.
Me lo viene a raccontare e me che sto cercando di tirarmi fuori un romanzo con la scomparsa dell’autore. Addirittura l’autore non fa altro che fornire una serie di documenti, rigorosamente finti naturalmente, al lettore perché lui se ne faccia il suo romanzo. È il massimo che uno può fare come autore: scomparire.
Senta ma non pensa che questo dilagare del giallo come genere lo stia ricacciando nella para-letteratura com’ era all’inizio del secolo?
Non lo so. Il fatto è che non credo che la quantità escluda la qualità. Ovvero, una volta che si è aperta questa strada del giallo, bisogna che il lettore accorto, che poi in Italia i lettori sono pochi, sappia scegliere. Tutto qua. Sa, il problema vero dell’Italia non sono i gialli ecc. Il problema vero è che in Italia non si legge. Lo so io che sono oggi, probabilmente, l’autore più venduto in Italia ora. Quando io dico vendo dieci milioni di copie, il che è vero, non è che si tratta di dieci libri di un milione di copie l’uno, si tratta di venti libri a cinquecentomila copie l’uno, quindi si abbassa la quantità dei lettori. I lettori italiani non superano le cinquecentomila unità, che sono una miseria. Allora perché io sono l’autore più venduto? Perché ho la fortuna che i miei libri continuano ad essere in catalogo, quindi è un plotone che avanza tutto unito. Altrimenti col cavolo che si raggiungono queste tirature.
Senta ma a parte la difesa che, a proposito del giallo di genere, ha affidato a Montalbano in un racconto…. quel meta-racconto in cui lui telefona all’autore, è mai intervenuto poi con interviste con pubblicazioni critiche contro una certa critica che, diciamo, storce il naso di fronte al genere?
No. Mai. Io non rispondo mai alle critiche negative e non rispondo mai alle critiche positive. Ognuno è libero di pensare quello che crede su quello che scrivo e, soprattutto, su come lo scrivo. Come io sono libero di scrivere libri e il lettore è libero di comprarlo o non comprarlo. Non intendo mai fare autodifese né ne ho mai fatte.
Ma forse le imputano pure di non farle rispetto all’arte e alla letteratura.
Sì, ma vede il problema è molto serio e non può essere affrontato con polemiche da quattro soldi. Il problema è che cos’è la letteratura. E allora qui la domanda diventa molto vasta e ci sono molte difficoltà di risposta. In Italia noi abbiamo un concetto sacrale della letteratura: cioè dire che la letteratura è per pochi, che l’autore deve costruire, come minimo, la cattedrale di Notre Dame de Paris, anche quando scrive un “romanzucolo”; e che quindi chi non ha la pretesa, come me, di costruire la cattedrale di Reims, ma di costruire una piccola, meravigliosa, godibilissima chiesa di campagna non è preso sul serio.
Quindi diciamo che non è cambiata la sua posizione.
Sì, continuo a essere coerente con quella idea. Mi spiego. Mentre in Francia abbiamo l’esempio di un George Simenon che diventa famoso per aver scritto la serie di Maigret, ma nello stesso tempo scrive dei “romanzi romanzi”, come li chiama lui, che sono straordinari e sui quali si appassionano scrittori di tendenze opposte come può essere Luis Ferdinand Celine, o come può essere André Gide, cioè a dire non hanno remore nel riconoscergli, diciamo, l’altezza letteraria delle sue opere, tant’è vero che rientra nella Pléiade. Qua in Italia, sempre per questo concetto sacrale della letteratura, la difficoltà aumenta. Ora, la cosa che più mi colpisce, essendo marxista da sempre, da quando sono nato e non lo sapevo, è non riuscire a capire come nei miei riguardi si stia verificando l’auspicato fenomeno gramsciano di uno scrittore nazional-popolare; cioè a dire perché mi legge gente che non ha mai letto nessun libro, mi legge il piccolo operaio, mi legge anche una minima parte d’intellettuali. Nessuno ha considerato sociologicamente la mia letteratura, e invece avrebbe interessato me per primo uno studio di questo tipo. Invece, una parte dei critici mi ama, una minima parte, la maggior parte dei critici mi disprezza, non ci sono altre parole da poter usare, anche se sono critici marxisti.
Quindi il fatto, per esempio, che un Pietro Citati non si occuperà mai di lei non…
Mi lascia completamente indifferente, amico mio! Non è che si scrive per i critici, si scrive per il pubblico. Io scrivo per i miei lettori, non scrivo per queste persone. Io sono un cantastorie. Il cantastorie, se è bravo, raccoglie intorno a sé un pubblico che lo sta a sentire, poi si leva la coppola e passa in mezzo alla gente. Più gente l’ha ascoltato più soldi riceve. La comunicazione è, soprattutto negli ultimi anni, con un orizzonte così largo che già 10 milioni di lettori sono pochi. Stare lì a dire «questo è un romanzo per pochi intellettuali, per poche persone», chi lo dice che questa sia la funzione della letteratura.
Come spiega l’atteggiamento dei critici marxisti? La posizione di Alberto Asor Rosa ad esempio?
Questa è una cosa che mi domando sempre. Il nome giusto della persona giusta. Ma non mi ha mai letto, perché, entrando in contraddizione con sé stesso, pensa che il successo di pubblico sia un segno di scarsa qualità letteraria.
Per un marxista, questa non è una contraddizione? Pensare che il popolo sia…
Certo che è una contraddizione, è quello che sto dicendo. Ma non è che ce ne facciamo un cruccio.
Maestro, io sono convinto che la cultura è molto più cultura nel momento in cui non cadiamo in queste miserie…Tuttavia, non è così da sempre. C’è un problema di riconoscimento?
Non è un problema di volere dei riconoscimenti…
No, non riconoscimenti sul piano della gratificazione personale, ci mancherebbe.
La mia posizione nei riguardi della critica, delle critiche negative nei miei confronti è assolutamente serena, obbiettiva. Torno a ripetere: io sono stato negli anni ’50 un comunista vero, vero, e non rinnego nulla del mio passato. Dopo di ché, a forza di colpi di maglio in testa, mi avete fatto entrare in testa l’idea della democrazia intesa come l’intendiamo in Europa e in America, va bene? Allora io sto al gioco, se sto al gioco io sono libero di scrivere quello che penso, gli altri sono liberi di concordare con me, o di non concordare; l’unica cosa che non tollero è quando parlano di me senza avermi letto, o il dileggio: perché scrivere è comunque una fatica. Non un gran fatica, per carità! E’ sempre meglio che andare a fare il pirriaturi (picconiere), è sempre meglio che andare a scavare in miniera, è sempre meglio che portare la roba a spalla ai mercati generali, quindi siamo già personaggi estremamente fortunati, ma fortunati a livelli mostruosi. Se io non la dimostro questa fatica è per virtù mia. Poiché la mia aspirazione maggiore è la trapezista. Voglio dire, se voi andate al circo e vedete la trapezista: bella, elegante, truccata, con il sorriso sulle labbra che esegue un triplo salto mortale. Voi non avvertite la stanchezza, la tensione, il nervoso, la fatica, l’esercizio quotidiano che ci è voluto per arrivare a questa leggerezza che vi fa godere in quel momento, perché, se ne aveste minimamente coscienza del lavoro e della fatica che c’è dietro, voi non ve la godreste così quei due minuti. Questo è il mio ideale di letteratura. Quindi parlo di fatica sempre relativa. C’è un’altra cosa da considerare: io vengo dal teatro, da un’epoca teatrale nella quale tu facevi lo spettacolo, tu facevi Beckett per la prima volta in Italia, come ho fatto. Poi l’indomani mattina alle otto andavi a comprare il giornale e c’erano le critiche: positive, negative, un macello. Quindi io ho una certa mitridatizzazione nei riguardi della critica. Come scrittore, la mia grossa scoperta, sono i lettori…E quella è una cosa straordinaria. Cioè a dire, come regista di teatro io ero abituato ad annullare il pubblico, che si fa a teatro? Lo si annulla. Lo si mette al buio, noi recitiamo, gli attori recitano, poi alla fine ognuno dice la sua opinione. Ma rimane una moltitudine, un pubblico: il lettore è diverso. Ho scoperto che il lettore ti scrive, ti telefona, ti parla: il lettore ha un rapporto diretto con l’autore, e allo stesso modo, come tu gli racconti la tua storia, lui vuole raccontarti la sua storia di lettore. Ora per me, che sono curioso dell’uomo, curioso proprio: di come parla, di come si esprime, dei problemi che ha, questa è una gratificazione immensa. Io ricevo centinaia di lettere al mese, tant’è che per farvi fronte mi sono dovuto fare una segretaria…
Ho visto diversi siti dei fans…
Lascia perdere i siti! Io adopero il computer, non qui, non me lo sono portato, ma non è che ho internet, perché non voglio essere travolto anche da quella. Però la gente che ti scrive, che ti espone un problema… Io rispondo a tutti, nei limiti del possibile. Ma ricevi lettere che ti fanno star male per due giorni. Ho ricevuto una lettera da una signora, quale signora, ragazza, che mi dice: «Ho 33 anni, sto morendo, sono malata terminale, non mi posso muovere dal letto. Grazie di avermi fatto sorridere qualche volta con i suoi libri». La firma, ma non c’è indirizzo, non ho potuto rispondere. Perciò, questo rapporto diventa così forte. Certo quando scrivo non ci penso al lettore, ci mancherebbe altro, però io a loro mi rivolgo, cavolo!
La religione e il rapporto con Dio.
Sempre a proposito dell’intervista all’Espresso, del discorso sull’ateismo nel quale ha citato anche suo padre. Io sono d’accordo con lei sul discorso contro la religione, anche perché la religione viene da religio, dipende da qualcosa che poi è un’idea astratta della divinità dietro la quale ci sono dei meccanismi di potere.
Questa è una storia antica, lo sappiamo, mentre il discorso dell’ateismo, lei mi insegna, è una posizione filosofica inaccettabile, quanto meno inopportuna, forse illogica, nel senso che l’ateismo militante già è l’affermazione del suo contrario, che Dio esiste.
È chiaro, però, la condizione laica della ricerca è quella più dolorosa. Ecco lei come si pone di fronte a questo? La sua ricerca in rapporto al problema di Dio è ancora aperta o è un capitolo chiuso?
Guardi per me è un capitolo chiuso. Anche se non bisogna confondere la religione con la religiosità.
Che sono due cose diverse…
Sono due cose completamente diverse. Si tira a confondere l’ateismo militante con il non credere personale, per esempio, no? Come il caso mio: io non sono un ateo militante, solo che io non mi faccio convinto, tutto qua. Come il povero Norberto Bobbio, che lo dichiarava onestamente, non è che ci sono problemi a riguardo. Che poi abbia San Calogero per i fatti miei. Questo attiene a una bellissima superstizione e lì rimane. Giusto? Ecco. Però il positivismo ottocentesco è stato devastante, per me, perché ha chiuso le strade, le fessure, gli spiragli, ad altre possibili strade di ricerca. Quindi io, come posso dire, sono un non credente possibilista. Sembra un assurdo, un paradosso… un paradosso al quale credo.
Siamo in molti così, io pure, sono una possibilista…mi sorge sempre qualche dubbio…
Guardi che qualsiasi atto che sia assoluto, è sempre un atto di una presunzione mostruosa e, siccome ritengo di non avere una tale presunzione, dico: ma vabbé, per me le cose stanno così, poi…si vedrà. Per altro, non ho alcuna ironia verso chi crede, semmai posso avere un pizzico d’invidia. Veramente. E poi ho un enorme rispetto per le fedi, contrariamente ad altri. Quando vedo nei paesi arabi quale forza, non parlo dei kamikaze, ma quale forza per affrontare la spaventosa povertà quotidiana sia la fede, certo è un oppio, ma nello stesso tempo è una forza, non so come dire, sembra una cosa contraddittoria….
Intorno a Montalbano.
Una curiosità che riguarda Montalbano. Una cosa soprattutto mi ha colpito, cioè che lei avesse scelto di non descriverlo. È una scelta oppure una forzatura della scrittura?
No, no, non ho saputo descriverlo. Mi viene molto difficile descrivere fisicamente, che è un po’ in tutti i miei romanzi. L’undici settembre uscirà l’ultimo Meridiano, che farà impazzire di rabbia Dell’Utri: è uno di quelli che esce con Mondatori e lui ha scritto un articolo in cui dice che la bandiera rossa sventola su Segrate, figurati…. esce questo Meridiano che raccoglie romanzi non di Montalbano, e lei vedrà come, anche lì, mi risulta difficile descrivere fisicamente una persona, anche perché riflette esattamente come sono fatto io. Se una mi domanda: «Si ricorda di me?» Assolutamente no: provi a parlare. Quello parla e io me lo ricordo, ma fisicamente non ho tanta memoria…
E Zingaretti è stato accettato da lei comunque come personaggio?
Sì, perché sapevo che era un ottimo attore, era stato allievo mio. Signora mia, l’attore gliela deve dare a bere, l’attore la deve imbrogliare, per due ore lei deve credere che quello sia l’unico Montalbano possibile e lui ci riesce.
Sì, in effetti, leggendo i suoi libri vediamo …
Poi di Montalbano ce ne sono tanti. Non è il mio personaggio: è più giovane, calvo, cioè ha duemila cose che non è il mio personaggio, però è talmente bravo da dare una possibilità al personaggio.
Ospite a Mussomeli
Il tuo prossimo lavoro non potresti ambientarlo a Mussomeli, in questo nostro bel castello Chiaramontano? Faresti felici noi e l’intera provincia di Caltanissetta.
Ma ci fate rappresentazioni?
Qualche concerto di musica medioevale e la rappresentazione del corteo storico. Il castello è stato restaurato di recente, non so se lo ha già visitato. Per Mussomeli è un volano importante per lo sviluppo turistico. Il nostro è un paese povero dell’entroterra siciliano. Siamo preoccupati per il suo futuro, molti giovani stanno andando via… Maestro, noi la vorremo a Mussomeli per farle visitare il castello e la città che è molto bella.…
Verrò, verrò volentieri.
a cura di Tonino Calà, Michele Morreale
Si ringraziano:
Cettina Genco, Giuseppe Territo, Salvatore Ferro, Felice Stagnitto.

 
 

Famiglia Cristiana, 5.9.2004
Iniziative. La serie dei Nobel: "Sei personaggi in cerca d’autore" ed "Enrico IV"
Mio nonno Pirandello
Il padre di Montalbano, Andrea Camilleri, ripercorre il suo rapporto con il grande drammaturgo: «Noi siciliani gli dobbiamo moltissimo. Ma non potrei mai dargli del tu».

I personaggi hanno un’anima, una vita propria che vogliono vivere a tutti i costi, anche al prezzo di togliere il sonno al loro autore, a forza di bussare alla sua porta rivendicando senza tregua il diritto a esistere sulla carta.
Lo diceva Pirandello affidando a questo gioco di specchi, di teatro nel teatro la creazione dei Sei personaggi in cerca d’autore e del dottor Fileno, protagonista della novella, Tragedia di un personaggio. Realtà o finzione letteraria? Abbiamo chiesto una risposta ad Andrea Camilleri, creatore del commissario Montalbano e cultore della memoria pirandelliana.
Camilleri, a lei è mai successo di trovare un personaggio così?
«Quando lessi per la prima volta queste dichiarazioni di Pirandello pensai a un’esagerazione letteraria. Ero convinto che questi personaggi di un mondo di carta, sotto un cielo di carta, fossero destinati a restare sulla carta. Ma Montalbano mi ha fatto cambiare idea: mi si mette frequentemente tra i piedi. È anche troppo disturbante».
Ricorda la prima volta che ha bussato alla sua porta?
«Capitò quando pensai che con Il cane di terracotta, il secondo romanzo, l’avventura di Montalbano fosse finita. Mi sono accorto allora che per scrivere un romanzo storico civile come La concessione del telefono dovevo fare una sorta di bagno purificatore mentale per levarmi dalla testa Montalbano. Mi compariva continuamente proponendomi degli incipit meravigliosi, un sovradosaggio un po’ da delirio».
Nell’ultimo romanzo si è addirittura imposto più giovane...
«Montalbano è uno scocciatore terribile non si arrende mai. Da regista di teatro mi sono spesso chiesto a proposito di un personaggio come fosse da giovane. È stato naturale farlo con lui in La prima indagine di Montalbano».
Pirandello aveva con i personaggi un rapporto particolare. Lei, in Biografia del figlio cambiato, ha osato trasformare Pirandello in personaggio: piccola vendetta o tributo?
«Mai vendette nei riguardi di zio Luigi, perché abbiamo tutti dei debiti con lui. C’è stato un famoso saggio scritto agli inizi del Novecento da Benedetto Croce intitolato: Perché non possiamo non dirci cristiani. Lo stesso vale, parafrasando, per molti scrittori siciliani che non possono non dirsi pirandelliani».
Perché?
«Perché gli dobbiamo moltissimo. C’è già tanto Pirandello nella stessa problematica del nostro scrivere. M’è capitato una volta di mettere in scena I giganti della montagna e La favola del figlio cambiato. Un critico romano, Giorgio Prosperi, disse che io ero uno dei pochi registi italiani autorizzati a dare del tu a Pirandello. Gli risposi così: "Caro Prosperi, io non darò mai del tu a Pirandello. Dovessi mai incontrarlo nell’Aldilà gli darei di voscienza, che in siciliano significa vostra eccellenza". Farne un personaggio per me è stato un tentativo di capirlo. Non avendo io capacità saggistiche, mi è parso più naturale trovare a lui un approccio narrativo».
Questa esigenza di capire deriva dall’essersi confrontato con lui in teatro da regista?
«Certamente, perché c’è tanto di lui nelle sue opere. Anche nei Sei personaggi il tema del rapporto tra la figliastra e il padre adombra alla lontana il rapporto di Pirandello con il proprio padre. Io mi sento nei suoi confronti come un nipote che vuole conoscere il nonno».
Sei personaggi ed Enrico IV sono andati in scena infinite volte. Da regista ha mai pensato che fosse un’impresa titanica tornare ad affrontarli?
«Lo è. Proprio in quel momento ci si chiede che significhi conoscerli. A me è capitato di mettere in scena tre volte una stessa opera con attori diversi e in anni diversi. Ogni volta mi sono accorto che mi portavo dietro qualcosa che non ero riuscito a definire perfettamente. Alla fine del terzo allestimento, molte domande mi sono rimaste insolute, senza risposta. Pirandello è un pozzo senza fondo, come Shakespeare».
Sei personaggi ed Enrico IV sono, con Il fu Mattia Pascal, le opere più famose. Ricorda quando le ha incontrate per la prima volta?
«Il primo incontro è stato non con il teatro, ma proprio con la lettura del Fu Mattia Pascal, perché io vivevo in Sicilia allora, e fino ai 22 anni non è che abbia avuto grandi occasioni di vedere teatro. In tempo di guerra le compagnie sull’isola erano rare e per leggere un testo teatrale ci vuole un minimo di conoscenza dei fatti teatrali, altrimenti non si capisce fino in fondo. Sono partito, quindi, dai romanzi e dalle novelle, poi, quando sono venuto a Roma, ho conosciuto i Sei personaggi nella splendida regia, molto intelligente, di Orazio Costa».
C’è chi sostiene che Pirandello sia datato. Condivide?
«No, i grandi scrittori e i grandi drammaturghi non sono mai datati. L’indagine che Pirandello fa sull’uomo è sempre attuale. Ho provato una volta da regista alcune scene sperimentali dei Sei personaggi con giovani attori russi, italiani e inglesi, assieme. Ognuno di loro recitava nella propria lingua: erano ragazzi di vent’anni eppure sentivano che i problemi che Pirandello poneva nei suoi personaggi erano proprio i loro. Non li sentivano né astratti, né datati, né lontani nel tempo».
Si può dire lo stesso se si confronta la follia nell’Enrico IV con quella di questo nostro mondo?
«Senza dubbio. Una lettura tra virgolette politico-sociale dell’Enrico IV sarebbe oggi nella verità più assoluta».
Elisa Chiari
 
 

Il Corriere della sera - Magazine, 9.9.2004
Sul comodino di
Andrea Camilleri

«Leggo di sera, seduto davanti alla tivù, dopo averne abbassato l’audio. Non solo romanzi, ma anche quotidiani e riviste. Poi, però, qualche libro me lo porto a letto, e allora lì la cosa si fa seria. Perché è come portarsi a letto una donna: visto che è con la sua immagine che mi addormento». Sono queste le abitudini di lettura di Andrea Camilleri, il giallista più amato d’Italia, che – va da sé – sceglie con attenzione i volumi da tenere sul comodino. «Ora ne ho quattro», spiega: «”L’uomo che sorrideva” di Henning Mankell (Marsilio), autore di cui amo lo stile; “Si è suicidato il Che” di Petros Markaris (Bompiani), il creatore del commissario Charitos; “La signorina Tecla Manzi” di Andrea Vitali (Garzanti), uno scrittore che non conoscevo, ma di cui avrei comprato “Una finestra vistalago” se non mi avesse preceduto mandandomi il suo ultimo lavoro con una dedica molto gentile. E infine, la biografia di James Joyce di John McCourt (Mondadori) che mi piace, ma che, essendo molto seria, mi prende meno di quella di Saul Bellow». Quattro libri che Camilleri legge contemporaneamente, divertendosi a intrecciare le trame «per scoprirne», racconta, «consonanze e similitudini». Regole? Una, ferrea: di arrivare alla fine anche se il libro non gli piace. Inoltre, non sottolinea, non prende appunti e persino quando interrompe la lettura non usa segnalibri né tantomeno orecchie («ricordo il numero di pagina»). Camilleri ha infatti un profondo rispetto per l’oggetto libro. La sua biblioteca è allestita in un garage vicino a casa, attrezzato con ventilatori e doppie pareti contro l’umidità. «Ma c’è un folto gruppo di libri che tengo nello studio», confessa, «sia per rileggerli sia per averli feticisticamente vicini: Sciascia, Faulkner, Gadda, Vázquez Montalbán, Manzoni».
A cura di Lorenzo Viganò
 
 

Il Tirreno, 9.9.2004
Il Canovaccio trionfa in Sicilia
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 9.9.2004
Trani si accinge a diventare per cinque settimane set naturale di due fiction che andranno in onda il prossimo inverno su Canale 5. Le fiction in questione sono “Ad occhi chiusi” e “Testimone inconsapevole”, entrambe tratte dagli omonimi romanzi di Gianrico Carofiglio.
La miniserie sarà diretta da Alberto Sironi, il regista del “commissario Montalbano”. Le riprese avranno inizio il 20 settembre e si protrarranno per quattro o cinque settimane. Il produttore, Franco Caduti.
[…]
 
 

La Sicilia, 9.9.2004
Stabile di Catania, debutto acrobatico

Catania - Pulci e trapezisti immaginari, acrobazie evocate sulle ali di un'alta poesia gestuale ed espressiva: è 'Le cirque invisible', ideato e interpretato da Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierree, che il 29 ottobre prossimo inaugurerà la stagione del Teatro Stabile di Catania. «Abbiamo scelto uno spettacolo internazionale, ponendo uno sguardo ai grandi eventi della scena europea», spiega Pippo Baudo, nelle vesti di presidente dell' Ente, alla presentazione del cartellone che prevede 35 spettacoli, comprese le manifestazioni collaterali.
Baudo fornisce anche un'anteprima del cartellone 2005-2006: «Abbiamo concluso un accordo - annuncia - con Andrea Camilleri per una trasposizione teatrale del suo libro 'La concessione del telefono', con la regia di Di Pasquale; inaugurerà la stagione successiva». E allo studio c'è anche la realizzazione di un'opera sull'epistolario Luigi Pirandello-Marta Abba.
[…]
 
 

Angeli Press, 9.9.2004
L'Auditorium di Milano per i bambini
A Milano dal 2 ottobre 2004 al 16 aprile 2005 Crescendo in musica: 10 concerti dedicati a un pubblico di bambini e ragazzi e alle loro famiglie

A partire da sabato 2 ottobre alle 15.30 presso l’Auditorium di Milano in Largo Gustav Mahler, si terranno 10 concerti dedicati a un pubblico di bambini e ragazzi e alle loro famiglie.
[…]
Tra gli artisti di maggior spicco segnaliamo Massimo Boldi, voce recitante in Magaria di Andrea.
[…]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 10.9.2004
Parla Elvira Sellerio: gli esordi, la decisione sul nome, gli amici e il caso di "Diceria dell´untore"
"Noi, Bufalino e Camilleri così scoprimmo i best seller"
"Lo scrittore di Comiso ci mandò il suo romanzo su carta velina: un disastro"
"In quel 1979 c´era una tendenza a dimenticare a noi invece premeva ricostruire il passato"

La svolta è stata nel 1978 quando Leonardo Sciascia ha consegnato il manoscritto de "L´affaire Moro". Centomila copie da stampare e diffondere in tutta Italia. Un´impresa titanica per una piccola casa editrice che fino ad allora gestiva tirature da 3.000 copie. Enzo ed Elvira Sellerio si sono ritrovati all´improvviso ad azzardare il passo più lungo della gamba. Poteva essere il capitombolo e invece è stato l´inizio del volo. Un volteggio nel labirinto della cultura che continua ancora. Comincia da qui la conversazione con Elvira Sellerio, signora dell´editoria italiana, per ripercorrere i 25 anni della collana La Memoria, pietra miliare dell´universo librario nazionale.
«Eravamo nati come casa editrice che si muoveva in un orizzonte strettamente locale, siciliano. Fin dalle origini però abbiamo puntato a scrittori isolani che esprimessero un valore nazionale. I libri della nostra collana "La civiltà perfezionata" uscivano intonsi, il lettore doveva avere la pazienza di tagliare pagina per pagina. E "L´affaire Moro", pubblicato con gli stessi criteri, ci ha posto di fronte a un bivio. Molti, soprattutto al Nord ci segnalavano che il libro intonso fosse difficile da fruire. Abbiamo così capito che ci serviva una collana che ci consentisse di fare libri belli ad alta tiratura. Con le Messaggerie avevamo trovato un distributore che smistasse le nostre opere in tutta Italia. Ci voleva ora il contenitore per fare il salto di qualità. Leonardo Sciascia ha avuto il colpo di genio di tirare fuori dal suo cilindro La Memoria».
È stata una scelta d´istinto?
«Per niente. Dietro ci stanno ore di scervellamenti e di animate discussioni. Ho ancora il biglietto su cui Leonardo appuntò le varie opzioni. Eccole: "Biblioteca minima", "Le plaisir du texte", "Orsa minore", "La rosa dei venti", "I sentieri che si biforcano", "La trasparenza e l´ostacolo", "Mimesis" e infine "El otro, el mismo", overo "L´altro, lo stesso", di suggestione borgesiana. Su quest´ultimo titolo Enzo Sellerio insorse, dicendo che nessuno sarebbe riuscito a memorizzare la collana. Ma per la verità anche Leonardo era consapevole che il nome dovesse essere di facile uso. E nacque La Memoria, che tra l´altro oltre a essere una parola efficace, rappresentava la sintesi di tutto ciò che noi pensavamo».
Cioè?
«Dobbiamo fare un passo indietro, fino a quel 1979: in quel momento c´era una tendenza generalizzata a dimenticare, a enfatizzare qualsiasi modernismo. A noi, invece, sembrava essenziale ricostruire il passato. Senza passato non c´è presente. E su questo io Leonardo ed Enzo ci siamo ritrovati in perfetta simbiosi».
Avete concordato paletti che delimitassero l´area di interesse?
«No, nessun paletto, ma simpatia per un autore o un argomento. Tanto istinto, e soprattutto la curiosità e il gusto di Leonardo».
Le scelte erano esclusiva pertinenza dell´autore di "Dalle parti degli infedeli", apripista della collana?
«All´inizio era proprio così. Leonardo decideva e basta. Poi con il suo impegno di parlamentare a Roma e con una certa stanchezza, cominciò a delegare».
Come erano suddivisi i ruoli alle origini?
«C´era Leonardo con tutto il suo peso culturale e civile. Le sue parole pesavano e lasciavano segni profondi. Poi la genialità grafica, e non solo, di Enzo e io che sono sempre stata la macchina tutto fare. E oggi c´è mio figlio Antonio che ha preso in mano le redini manageriali. Io quando scelgo un manoscritto non mi chiedo mai quanto venderà, lui, invece ha il dovere di farlo. E c´erano e ci sono, infine, tantissimi amici della casa editrice che ci hanno aiutato a crescere e a mettere radici».
I nomi?
«Luciano Canfora, Silvano Nigro, Salvatore Mazzarella, Beppe Scarafia, Antonio Tabucchi, Paolo Mauri, Giuseppe Bonaviri, Vincenzo Consolo, Daria Galateria, Nino Buttitta. Quest´ultimo è stato l´unico che ha tenuto i contatti con il mondo accademico. Leonardo ci diceva sempre: se fate entrare i professori qui dentro rovinano tutti».
Non dimentica nessuno?
«Ho voluto lasciare per ultimi i miei collaboratori, appassionati e preziosi, e due personaggi straordinari: Camilleri e Bufalino».
È davvero curioso come Bufalino arrivò da voi. Vuole ricordarlo?
«Avevamo pubblicato un libro di fotografie con l´introduzione di Bufalino, che noi abbiamo accettato dopo tanti tentennamenti. Non lo conoscevamo e ci sembrava una caduta di stile. Poi tutte le recensioni concordarono sull´alta qualità della scrittura, che finì con l´offuscare le foto, che pure erano belle. Una sera facevamo salotto con Enzo Siciliano e Vincenzo Consolo e il primo dopo avere elogiato lo stile di Bufalino si disse convinto che quell´introduzione era opera di uno avvezzo alla scrittura. Per cui chi aveva scritto quelle pagine doveva per forza avere nel cassetto qualche romanzo. Finì a scommessa. L´indomani chiamai al telefono Bufalino e glielo chiesi. Mi rispose che nel cassetto aveva due romanzi. "Uno lo butto e uno glielo mando", mi disse. Dopo qualche giorno arrivò il manoscritto di "Diceria dell´untore". Ci siamo messi le mani ai capelli: era un disastro. Fogli di carta velina, per farne più copie con la carta carbone, disordinatamente assemblati. Per fortuna abbiamo avuto la pazienza di leggerlo fino in fondo».
La memoria oggi annovera 620 testi. Quale ha amato di più?
«Tantissimi, ma se proprio debbo sceglierne uno non ho dubbi: "Il procuratore della Giudea" di Anatole France».
C´è chi sostiene che dopo la scomparsa di Sciascia la collana abbia avuto una certa caduta. Cosa ne pensa?
«Non c´è stata alcuna caduta, ma l´inevitabile processo di crescita che ci ha portato ad ampliare le aree di interesse. È vero che dopo la morte di Sciascia abbiamo vissuto un difficile momento, un certo disorientamento culturale e una grave crisi economica. Ma a quel punto è arrivato il salvatore: Andrea Camilleri. Il suo successo è stato immediato, strepitoso. Dobbiamo dire grazie a lui se la baracca è ancora in piedi. Grazie, innanzitutto per l´amicizia che ci ha dimostrato restando con noi anche quando altre case editrici gli offrivano contratti da 250 mila euro».
Anche il suo prossimo libro è marcato Sellerio.
«Si intitola "La speranza del ragno" ed è straordinario. È pervaso da una grande umanità. Una comprensione malinconica della vita che travolge».
E oltre Camilleri?
«Abbiamo trovato tanti giovani validissimi. Tre nomi per tutti: Santo Piazzese, un grande, Carlo Lucarelli e Sergio Atzeni, uno sfortunato scrittore sardo carpito dalle onde mentre passeggiava sul lungomare con la fidanzata».
Ieri La Memoria e oggi?
«Se fosse vivo Leonardo inventeremmo una collana sulla menzogna, diventata ormai il pane quotidiano con cui vengono nutriti gli italiani».
Tano Gullo
 

25 anni di "Memoria"
Così nacque la copertina blu
I Sellerio e Sciascia, storia di una collana

La collana di Sellerio La Memoria compie venticinque anni. E a scorrerne il vastissimo catalogo (più di seicento titoli), si ha come l´impressione di navigare in un arcipelago letterario votato graniticamente alla perdurabilità, al recupero salvifico del passato. «Intitolare una collana letteraria La Memoria - ha scritto Leonardo Sciascia a mo´ di giustificazione - presuppone questa considerazione d´ordine generale: una esortazione a non dimenticare certi scrittori, certi testi, certi fatti». Da quegli scrittori, da quei testi e da quei fatti è venuta fuori una prestigiosa collezione di libri, grazie all´incontro dell´autore de “Il giorno della civetta” con i coniugi Sellerio, Elvira ed Enzo. Da una parte, dunque, il fiuto di un lettore straordinario, vero e proprio topo di biblioteca; dall´altra, l´entusiasmo di un´impiegata regionale con la passione per i libri, e la maestria di un fotografo con una spiccata propensione per la grafica. E fu grazie a questo fulminante cortocircuito che nel 1979 nacque La Memoria. Una collana che fece subito tendenza, per via del suo caratteristico formato quasi quadrato in trentaduesimo, scelto per ridurre al minimo lo spreco di carta, e saccheggiato in abbondanza da grandi e piccoli editori.
«Quando si presentò il momento di scegliere il fondo della copertina - ricorda Enzo Sellerio - feci diverse prove. Mi accorsi subito che il blu andava bene per qualsiasi colore. Si trattava di una scelta rigorosa, in netto contrasto rispetto allo stile arlecchino dilagante presso le altre case editrici. In poche parole, era una grafica a prova di cretino, in quanto non poteva essere demolita da nessuno. Quel blu dava la possibilità di applicare qualsiasi immagine». E così fu. A inaugurare la collana, “Dalle parti degli infedeli” di Leonardo Sciascia, con in copertina il Ritratto di San Gerolamo nello studio, realizzato da Antonello da Messina. Un battesimo significativo, per La Memoria, e quasi il riconoscimento ufficiale del ruolo determinante svolto dall´autore di “A ciascuno il suo”, di cui altri testi sarebbero tornati ai numeri 10, 80 e 100; mentre, dopo la sua morte, nel 1989, i successivi numeri tondi, 200, 300 eccetera, sarebbero simbolicamente saltati. Quasi per ricordare un´assenza incolmabile.
Sin da subito, la collana si caratterizzò per la riscoperta di autori dimenticati e il ripescaggio di opere di scrittori dell´Ottocento e del Novecento ingiustamente ritenuti marginali, non solo siciliani e italiani, ma anche europei. Come testimoniano le prime uscite: da “Il diamante del Rajà” di Robert Louis Stevenson a “Il procuratore della Giudea” di Anatole France, da “Lo spadaccino” di Ivàn Turghèniev al “Clisson ed Eugénie” di Napoleone Bonaparte. Era lo stesso Sciascia a scriverne i risvolti di copertina, nei quali esortava spesso il lettore a prendere visione del testo in questione anche «a fronte» di scottanti vicende d´attualità.
Tra le riscoperte più efficaci della Memoria, la verista minore Maria Messina, ribattezzata dallo stesso Sciascia una "Mansfield siciliana". Della Messina videro la luce “Casa paterna” e “La casa nel vicolo”. Non andò a segno, invece, il rilancio di uno scrittore come Giuseppe Vannicola, autore de “Il veleno”. «Nelle storie letterarie del Novecento - si legge nel risvolto di copertina - anche in quelle che sembrano le più informate e accurate, è difficile trovare traccia di Giuseppe Vannicola? In una collana che s´intitola alla Memoria, ci pare di compiere un atto di giustizia ricordando Vannicola almeno con questo racconto, che dà la misura di una eccentricità che in un certo senso prelude alla grande eccentricità di Pirandello». In certi casi, come ha notato il critico Giuseppe Traina, la scelta di Sciascia cadeva su opere apparentemente prive di interesse, se non come particolare documento di un gusto o di un costume: basti pensare a “Grammatica italiana” di Alfredo Panzini o a “L´alfabeto delle stelle” di Marco Ramperti. Va poi ricordato che sovente Sciascia faceva ristampare opere conosciute grazie all´autorevole avallo dato ora da Emilio Cecchi, come nel caso del libro di Stevenson, ora da Giuseppe Antonio Borgese, attento lettore della già citata Maria Messina. Premonitrici si rivelano oggi le riprese di alcuni testi gotici, e soprattutto dei romanzi polizieschi. Due titoli si impongono subito all´attenzione: “La martingala rovesciata” del commediografo belga Fernand Crommelynck, e “La fine è nota”, di un autore misterioso e inafferrabile come Geoffrey Holiday Hall. Per non parlare della rivalutazione dei romanzi dello svizzero Friedrich Glauser, definito da Sciascia «scrittore davvero di lunga durata» e accostato a Simenon e a Durrenmatt. A questo proposito, va detto che era intenzione di Sciascia dar vita a una collana gialla, che però non fu mai realizzata. Anche se La Memoria risulta tutta quanta disseminata di polizieschi, più o meno canonici, tra i quali vanno ricordati quelli di Manuel Vàzquez Montalbàn, come “Assassinio al Comitato Centrale”.
Tra gli scrittori nuovi della Memoria va ricordato Gesualdo Bufalino, stanato grazie al fiuto di Enzo Siciliano e alla tenacia di Elvira Sellerio; Antonio Tabucchi, segnalato da Paolo Mauri, e successivamente Carlo Lucarelli, esordiente con “Carta bianca”. Il caso di Andrea Camilleri, poi, si inserisce a metà strada tra le riscoperte e gli esordi tardivi: già autore Garzanti, lo scrittore empedoclino si impone definitivamente all´attenzione dei lettori solo dopo il battesimo selleriano, con romanzi come “La forma dell´acqua”, “Il cane di terracotta”, “La voce del violino”. E per restare ancora in ambito isolano, non si può non citare uno dei più bei libri di Vincenzo Consolo, “Retablo”, per il quale Sciascia scrisse un appassionato risvolto di copertina.
Salvatore Ferlita
 
 

Il Giorno, 10.9.2004
Caro lettore, adesso Montalbano sei […]
 
 

Panorama, 10.9.2004
Montalbano attento, hai un concorrente

Uno siciliano, l'altro pugliese: sono quasi pronti i due episodi tv tratti dai romanzi di Gianrico Carofiglio, che hanno come protagonista l'avvocato Guido Guerrieri, difensore per professione ma indagatore di misteri per passione. E la gente si è già affezionata al Perry Mason di Bari.
Se ci mettiamo dalla parte dei personaggi, possiamo dire che la casa di produzione Palomar si è messa una serpe in seno. Dopo la serie del commissario Montalbano, l'investigatore creato dalla penna di Andrea Camilleri, sono quasi pronti i due episodi tratti dai romanzi di Gianrico Carofiglio, che hanno come protagonista l'avvocato barese Guido Guerrieri, difensore per professione ma indagatore di misteri per passione. Montalbano deve dunque stare attento: c'è un concorrente dietro l'angolo. In più c'è da dire che, a sentire Carofiglio, la gente si è già affezionata al Perry Mason pugliese a tal punto che lo scrittore riceve centinaia di email che lo spronano a continuare con il suo protagonista.
ESPERTISSIMO DI ARTI MARZIALI
Le due avventure, “Testimone inconsapevole” e “Ad occhi chiusi”, sono state pubblicate da Sellerio. Carofiglio, classe 1961, è noto anche per essere un attivissimo magistrato antimafia. Recentemente si è occupato del traffico di bambini tra Italia e i Balcani. L'inventore del legal thriller all'italiana, espertissimo di arti marziali, mandò il suo primo dattiloscritto ad almeno tre editori. Uno di questi gli ha risposto quando il romanzo era già in vetrina:«Non lo riteniamo pubblicabile». Lui non se l'è presa e ha risposto: «Grazie per l'esperienza surreale».
I DUE ROMANZI CON L'EROE AVVOCATO
Che piace molto al pubblico per gli squarci umanissimi sulla sua sgangherata vita privata - hanno venduto oltre 40 mila copie e sono strati tradotti in inglese e tedesco. La Sellerio, come è sua consuetudine, non ha investito in pubblicità. E questo dimostra che la spinta vera viene dal passaparola tra i lettori. E la stessa cosa avverrà con la terza prova letteraria del magistrato Carofiglio. Salvo che questa volta il suo nuovo editore (pare che l'abbia ingaggiato offrendogli una cifra non rifiutabile), la Rizzoli, ha comprato larghi spazi pubblicitari. Il romanzo, appena uscito, s'intitola “Il passato è una terra straniera”. L'avvocato Guerrieri non c'è (la serie con l'eroe in toga continuerà con la Sellerio). Un lancio in piena regola.
I protagonisti sono due ventenni universitari, Giorgio laureando in legge e Francesco studente di filosofia. Giorgio, quello «perbene», viene traviato dall'amico, esperto di gioco d'azzardo, che spinge il suo gioco criminal-filosofico fino alle estreme conseguenze (traffico di droga e altro). C'è un'aria dostoevskiana in questo romanzo: il fascino della trasgressione ammantato da considerazioni deliranti e onnipotenti. Anche per la descrizione minuta e ossessionante del gioco d'azzardo, a danni di gente di malaffare. Accanto ai due, in un registro narrativo alternante, compare la figura, altrettanto problematica (per traumi infantili) del tenente dei carabinieri. Sarà questi a scoprire il volto dello stupratore di ragazze, negli oscuri androni di una Bari inquietante. Fino all'ultimo il lettore non saprà chi dei due giovani è il colpevole.
Pier Mario Fasanotti
 
 

Radio24, 11.9.2004
Elementare Watson. Sulle tracce del giallo

Nel corso della trasmissione condotta da Tecla Dozio e Chiara Seronelli, Carlo Oliva ha parlato della storia del giallo dal 1990 a oggi ("Non possiamo non citare Camilleri perché è quello che è riuscito, prendendo un po' da tutti, oltre alla sua esperienza personale, ad amalgamare tutti gli elementi introdotti anche da altri e a farne un grandissimo successo internazionale").
Sul tema del cibo nel giallo sono intervenuti Bruno Gambarotta (che ha citato Camilleri), Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Roberto Valentini e Andrea Camilleri.
Clicca qui per scaricare il file audio con l'intervento di Andrea Camilleri
 
 

La Sicilia, 15.9.2004
Promozione di Scicli
Intervista al sindaco a Rai International

Promuovere i luoghi d'arte attraverso il cinema e la televisione di qualità. Una lunga intervista radiofonica al sindaco di Scicli, Bartolomeo Falla, sulle ricadute economiche dovute alla identificazione di Scicli come la Vigata del Commissario Montalbano. E' quella che Rai International Radio ha confezionato ieri mattina nell'ambito di una delle trasmissioni dedicate agli italiani all'estero. In particolare, l'intervista al sindaco di Scicli è stata incentrata sull'aumento di presenze turistiche registrate a Scicli da quando la città ha ospitato le location del serial televisivo ispirato ai libri di Andrea Camilleri e interpretato da Luca Zingaretti. 
I giornalisti Rai hanno chiesto al sindaco quante volte, nel corso della giornata, è costretto a privarsi della sua stanza per consentire ai turisti di fotografarla. Sono in tanti infatti quelli che amano farsi immortalare tra il mobilio liberty della stanza del questore Luca Bonetti Alderighi. Rai International ha inoltre annunciato che Scicli diventerà di nuovo set, stavolta del film "Il regista dei matrimoni", di Marco Bellocchio.
Giuseppe Savà
 
 

La Sicilia, 16.9.2004
"Ma quale mobbing contro Baudo..."

Catania -  [...] Il direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce [...] alla presentazione del palisensto autunnale della rete al Prix Italia di Catania [...] annuncia poi le novità di primavera: [...] quattro avventure per il commissario Montalbano [...].
[...]
La prossima stagione potrà contare sicuramente sul ritorno di Montalbano con Luca Zingaretti.
[...]
 
 

Il Messaggero, 16.9.2004
Dopo otto anni dall'ultima rappresentazione, il Teatro ...

Dopo otto anni dall'ultima rappresentazione, il Teatro Finestra di Aprilia rimette in scena "Uscita di emergenza" e si piazza tra le prime cinque opere al Premio Vigata di Porto Empedocle in Sicilia. La giuria, presieduta da Andrea Camilleri, ha premiato quale migliore attore protagonista Salvatore Romano, uno dei due interpreti della commedia (nella foto con lo scrittore che ha dato vita al commissario Montalbano al Bar Vigata. Con loro l'altro attore Ermanno Iencinella, che firma la regia dello spettacolo insieme a Giò Esposito).
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 17.9.2004
La curiosità
Quando il padre di Montalbano entra in politica

È a tutti noto che Andrea Camilleri continua a dichiararsi comunista, orgogliosamente. Addirittura, nell'intervista di cui ci occuperemo rafforza la sua asserzione: "Sono stato un comunista vero e non rinnego nulla del mio passato… marxista da sempre, da quando sono nato e non lo sapevo". Quello che, forse, molti non sanno è che egli vive questa appartenenza come militanza attiva, appassionata e sofferta, con umano trasporto.
E´ questa la scoperta che abbiamo fatto, domenica scorsa a Mussomeli, ascoltando una lunga video-intervista che il "papà" del commissario Montalbano ha rilasciato a Tonino Calà e a Michele Morreale, per il festival dell'Unità del Vallone.
E non si tratta di un "altro" Camilleri o del suo doppio, ma dello stesso scrittore che, negli ultimi anni, abbiamo visto letteralmente subissato da uno strepitoso successo editoriale, in Italia e all´estero. Come hanno potuto constatare migliaia di persone riunite, a turno, intorno al monitor, come in un´assemblea generale degli iscritti, per ascoltare l´illustre relatore, arrivato da Porto Empedocle… via etere.
Un´atmosfera un po´ surreale animata dal faccione pacioso di Camilleri apparso per ragionare sopra un vasto catalogo di temi scottanti: dall´enorme successo dei suoi libri presso il pubblico alla scarsa fortuna incontrata presso i critici, anche di sinistra, ("la gran parte dei quali- ha affermato, citando il nome di Alberto Asor Rosa - disprezza le mie opere anche senza averle lette").
E, ancora, dalle convulsioni delle religioni ai gravi conflitti nel mondo, ai personaggi più emblematici (non solo Montalbano) dei suoi romanzi, alcuni dei quali hanno preconizzato la grave involuzione politica e morale che sta funestando la Sicilia.
Tuttavia, il tema centrale, e più coinvolgente, del suo conversare è stato quello relativo al suo impegno politico e civile: il Partito (con la p maiuscola), la sinistra, l´Ulivo, i loro errori e le speranze di cambiamento; e poi i girotondi, i sindacati, i lavoratori, i problemi reali che attanagliano la vita della gente. 
Le sue osservazioni critiche, a tratti severe, non erano frutto di una lamentazione senile, ma scaturivano da un ragionamento, da un pacato e suadente argomentare venato da un alto senso di giustizia e da uno spirito di lotta. Appare evidente che il tema lo tocchi intimamente.
Il suo volto, ora rubicondo e un po´ tirato, è sembrato varcare lo schermo per andarsi ad "assittari supra na seggia", di fronte ad una massa che, seppure stordita dai fragori di musiche profane e da un viluppo di scie appetitose odoranti di arrosti di salsicce e stigliole, di ‘mbriulate, cubbaita e mandorlati, si accalcava per non perdersi neanche una sillaba.
Parlava e fumava il "compagno" Camilleri, una sigaretta dopo l´altra. Parlavano anche le sue mani inquiete e gli occhi vigili dietro le lenti chiare. Ogni tanto un sorriso spezzava la sequela di movimenti minimi che, in filigrana, gli attraversavano il viso, tradendo l´amarezza per gli "errori compiuti dal Partito che- sottolinea- ho elencato ad uno ad uno nella prefazione, richiestami da Giovanni Berlinguer, per il libro del correntone dei Ds… dei quali il principale è stato quello di operare un distacco fra la base e la dirigenza, si è creata una frattura grave…".
Anche fra partito e sindacato si è verificato un distacco "grandissimo e tremendo" che ha spezzato il legame con i "nostri lavoratori"; "certo il sindacato non poteva diventare una cinghia di trasmissione, ma nemmeno si doveva rompere la cinghia?".
Per lo scrittore il problema è, dunque, la "dirigenza" che continua ad operare in "totale distacco" dalla base e dai bisogni della gente, senza nemmeno domandarsi il perché "i compagni e gli elettori si allontanano e magari poi li ritroviamo in Forza Italia".
"Quando il povero (sic) Nanni Moretti dice guardate che con questi non si vince non dice una fandonia, dice una mezza verità".
Da qui l´avvicinamento ai girotondini "perché rappresentavano un pungolo verso i nostri politici, erano movimenti mirati, un additivo per fare agire meglio il Partito…".
Tuttavia, la situazione sta cambiando ("per implosione" del Polo non tanto "per merito nostro"); è possibile ritornare a vincere "penso che il centro sinistra si unirà, purché si eviti, da parte di taluno, di parlare a vanvera… altrimenti perdiamo le coordinate".
Ecco, dunque, un Andrea Camilleri inedito, critico ma non pessimista, anzi proteso ad infondere la speranza di un cambiamento possibile, fors´anche imminente, per il quale lavorare.
Uno scrittore al quale lo scrivere - confessa - costa fatica, che si definisce "un cantastorie" [Forse “contastorie”, NdCFC] e un gran privilegiato dalla vita. Un uomo anziano, al culmine del successo, che ancora s´indigna contro le ingiustizie e si commuove, visibilmente, di fronte alla lettera scrittagli da una giovane lettrice, malata terminale.
Potrebbe snobbare i problemi reali e la politica. Invece, si è "presentato" al pubblico della festa de l´Unità di un piccolo centro della Sicilia interna, non come un divo ma come un cittadino che brucia perché ama la sua terra e il suo partito.
Gli scrittori, solitamente, lasciano parlare i loro libri, qui ha parlato Camilleri con parole semplici, efficaci e taglienti all´occorrenza, dettate da una straordinaria carica di umanità. Merce rara di questi tempi che non trova riscontro nella concezione e nell´agire politico dell´attuale ceto dirigente (o dominante?) che pare interessato soltanto al quoziente... elettorale, personale. Una bella lezione di umiltà e di solidarietà.
Agostino Spataro
 
 

Articolo21 Liberidi, 17.9.2004
TV
Ghini pensa ad una megafiction a tre col maresciallo Rocca

Il commissario Montalbano tornerà su Rai Uno per quattro puntate in primavera mentre il neo commissario Lazzaro, Massimo Ghini, sogna una superfiction a tre che veda investigare insieme i due commissari con il maresciallo Rocca.
La conferma del ritorno del commissario più irriverente d'Italia sugli schermi della rete ammiraglia Rai l'ha data il direttore Fabrizio Del Noce incontrando i giornalisti al Prix Italia che si celebra al Castello Ursino di Catania.
Sulla megafiction Del Noce sorride, nicchia, ma sul gradimento di Montalbano non lascia adito a dubbi: "Mi hanno dato solo quattro puntate, io ne avrei mandate in onda di più".
I produttori di Rai Fiction confermano che stanno lavorando su due nuove sceneggiature del personaggio di Camilleri ma lasciano al direttore Del Noce i dettagli: "La data esatta non la diciamo -  e si vede che pensa alla concorrenza Mediaset - ma possiamo confermarvi in Primavera".
La megafiction. L'idea è di Massimo Ghini, giunto a Catania con l'ispettrice Simona - l'attrice Luisa Ranieri resa famosa da uno spot tutto "siculo" e poi "svelata" da Antonioni in "Eros" - per presentare la fiction "La Omicidi", sei episodi di giallo all'italiana con inserti di sapore poliziesco d'oltreoceano. Massimo e Luisa ce la mettono tutta e danno corpo verosimilmente a dei personaggi che la bella penna dello sceneggiatore Sandro Petraglia ha tratteggiato un po' troppo in fretta, con qualche lentezza di troppo, contesti non ben definiti ed un uso delle armi e delle tecniche d'investigazione che faranno storcere il muso agli appassionati della fiction hi-tech americana con la quale si dovrà confrontare il venerdì sera. Considerato che si tratta di un personaggio nuovo, lasciamo il giudizio al pubblico. E' un prodotto italiano, non paragonabile alle fiction made in Usa, quindi duttile e migliorabile fuori  dagli schemi col passar del tempo.
"Negli ultimi anni - conferma Massimo Ghini - c'è stato un grande passo avanti. Luca Zingaretti con il commissario Montalbano ha avuto un grande successo, lo stesso per il maresciallo Rocca di Gigi Proietti. Io non sono l'erede di nessuno. Lazzaro è completamente diverso dagli altri due e sarà l'ennesimo personaggio che si aggiunge in questa galleria. Chissà se un domani non si possa fare un grande film dove il commissario Lazzaro, Montalbano e il maresciallo Rocca si incontrano e insieme risolvono un grande caso, sarebbe un'idea. Anche spiritosa".
Mentre Ghini e la Ranieri guadagnano l'uscita del Teatro Sangiorgi di Catania dove si tiene l'anteprima - scortatissimi da un nugolo di elegantissime e autentiche poliziotte - ci vien da pensare che Camilleri ha già fatto lavorare regia polizia e regi carabinieri insieme: amici-avversari nella "Concessione del telefono" [in effetti ne “La scomparsa di Patò, NdCFC] con risultati da capolavoro di letteratura umoristico-poliziesca.
Bella l'idea del romano Ghini-Lazzaro. Che ne pensa il sicilianissimo Montalbano: "Volete fare una megafiction? Fatela. Pensatevela e poi me lo fate sapere. Mentre voi ve la pensate mi 'va mancio 'n arancino e 'n bicchieri di vino".
Pino Finocchiaro (Ha collaborato Giuseppina De Gaetani)
 
 

Istoé Gente, 20.9.2004
Romance
O Rei de Girgenti
Autor italiano trata a desigualdade social com humor

Roteirista e diretor de cinema e teatro, Andrea Camilleri, 79, estreou tarde na literatura, mas logo conquistou milhões de leitores com as aventuras do comissário Montalbano. Agora, com o delicioso romance O Rei de Girgenti (Record, 382 páginas, R$ 44,90), o autor revisita sua terra natal, Agrigento, quando esta ainda se chamava Girgenti, no século 17. Inspirado em um episódio real, Camilleri conta com muito humor e ironia a história de Zósimo, um camponês autoproclamado rei.
Embora baseada em um fato histórico, a biografia de Zósimo é pura fantasia. O personagem já sabia falar aos três meses e, logo, aprende a ler em latim. Em meio a feudos povoados por nobres e clérigos corruptos, Zósimo torna-se líder popular, defendendo a idéia de que “quem tem fome tem sempre razão e quem neles atira, mesmo por necessidade, está sempre errado”.
Apesar de ambientado séculos atrás, o romance de Camilleri cabe como crítica à desigualdade social dos tempos atuais. Zósimo cria suas próprias leis e, em uma delas, diz que “além da abolição da nobreza queria aquilo que chamava de ‘desigualdade discreta’, obtida ‘com uma proporção mais prudente entre pobreza e riqueza’”. Tirando sua força de uma narrativa ágil, permeada por tiradas inteligentes, o romance lança mão do fantástico para tentar redimir a miséria. Dias iguais
Adriana Morelli
 
 

La Repubblica, 19.9.2004
Il volume in libreria da martedì raccoglie nove romanzi dell´autore.
Da "Il birraio di Preston" a "La presa di Macallè" sono d´ispirazione storica e civile.
La regola di Camilleri
Pubblichiamo parte del saggio introduttivo di Salvatore Silvano Nigro al Meridiano Mondadori di Camilleri.
 
 

La Stampa, 19.9.2004
Raccolti in un Meridiano Mondadori i «Romanzi storici e civili»: lo scrittore siciliano sfida gli studiosi accademici

Di certi maschi siciliani si dice che sono degli ingravidabalconi: si strusciano sui marciapiedi, lanciando sguardi sfrontati verso donne seminascoste da una persiana o segate a metà dalla balaustra di un balcone. L'ingravidabalconi sta sempre «con la testa all'aria a taliare le piccilidde e le caruse». Qualche volta alla taliata si risponde, i due sguardi si intrecciano e nasce una storia d'amore. Quasi sempre, però, quel dardeggiare di occhi è assolutamente fine a se stesso, non aspetta risposte, rientra in quelle che i napoletani chiamano parate: pure ostentazioni formali, tanta scena, pochissima sostanza. Gli ingravidabalconi hanno una complessiva diffidenza verso le donne, se ne tengono a distanza di marciapiede e scappano se quella distanza viene superata. Il rapporto di Camilleri con la storia è come quello di un ingravidabalconi con le donne. Tutto intero il suo percorso letterario corteggia la storia, tanto da farlo sembrare un suo innamorato; i romanzi di ispirazione storica accompagnano la sua Vigàta in un arco di tempo lunghissimo che va dalla fine del Seicento agli anni Trenta del Novecento, trascinando il lettore in un serrato intreccio tra gli eventi locali e i grandi scenari delle vicende nazionali. Nove di questi (da Un filo di fumo, 1980, a La presa di Macallè, 2003) sono stati raccolti in un Meridiano curato da Salvatore Silvano Nigro, a giorni in uscita da Mondadori. Ma questo fiume straripante di storia è appunto solo una parata; Camilleri in realtà diffida della storia, non la ama, ne riconosce l'importanza ma preferisce tenerla a distanza. Stiamo parlando ovviamente della storia raccontata dagli storici. Troppi silenzi, troppe menzogne in quelle pagine che fuoriescono dall'accademia. Troppo spesso quei libri hanno dimenticato «la gente grama» amata da Camilleri, la loro fatica di vivere, i loro saperi, la loro sensualità, i loro corpi, fame e sudore, forza e voglia di vivere. La storia raccontata da Camilleri si riempie invece proprio di questo, odora dell'afrore di donna che manda in estasi Purpigno (Il re di Girgenti), lussureggia come l'orto di Ricò (La stagione della caccia), ha il sapore di triglie fresche, si immerge, insomma, in quella che gli storici accademici chiamano «la cultura materiale». Certo, si tratta di dare voce agli esclusi, di riscattare dall'oblio la sorte di quelli dimenticati e cancellati dal tempo, come i 114 reclusi nel carcere della futura Porto Empedocle, massacrati in un'unica strage nelle convulse giornate rivoluzionarie del 1848 (La strage dimenticata, 1984). Ma non è solo questo. Se la grande storia parla soprattutto dei vincitori e dei potenti, non è colpa solo degli storici; è che le tracce del passato su cui lavorano, «i documenti», sono quelli lasciati da chi aveva già l'intenzione di sfidare i posteri, costruendo in anticipo i propri monumenti: in buona fede sono vittime di un'impostura ordita dal passato per imporre la sua immagine al futuro. Camilleri si ribella a questa impostura, costruendone un'altra, più raffinata e beffarda. Ed è questa una sfida sfrontata. L'intero abito professionale degli storici si è costruito sulla distinzione tra il vero e il falso; le basi dello statuto scientifico della disciplina poggiano sull'esercizio preliminare della verifica dell'autenticità e dell'esattezza dei documenti. Camilleri smonta questa operazione, corteggiandola da vicino, attento a non allontanarsene troppo per dare più spessore al suo attacco, più sapore alla sua beffa.
Così, all'inizio di un romanzo c'è spesso un documento vero (un volantino del 1919 come in Un filo di fumo, gli atti parlamentari dell'Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, 1875-1876, ecc...) che serve però a costruire il falso più pericoloso per lo storico, quello verosimile. Lo fa notare molto bene nell'Introduzione Salvatore Silvano Nigro. Nella costruzione del falso Camilleri mescola la sapienza letteraria con il piacere di raccontare («c'era più merito ad inventarla, la storia, che a trascriverla da vecchie carte, da antiche lapidi, da antichi sepolcri», diceva l'abate Giuseppe Vella, il sedicente arabista del Consiglio d'Egitto di Sciascia), spingendosi oltre una soglia che nessuno storico ha mai osato attraversare, pur avendone fortissima la tentazione: creare le proprie fonti, permettere alla propria ricerca di «generare da sé i propri documenti». La biografia del villano Zosimo (Il re di Girgenti, 2001), che tra il '600 e il '700 guidò una rivolta popolare dando effimera vita alla millenaristica utopia contadina del «mondo alla rovescia», è costruita così, su falsi documenti d'archivio che hanno però il timbro della veridicità (forse perché modellati con paradossale scrupolo filologico sulla forza espressiva di un autentico capolavoro come I promessi sposi).
Sotto l'urto di questa sfida lo storico vacilla; con Camilleri, la partita sul fascino letterario della narrazione è già persa in partenza, e in più c'è anche il rischio di soccombere lungo un percorso al cui interno il suo mestiere diventa solo una gigantesca mistificazione. Naturalmente non è così. Passato un momentaneo turbamento, uno smarrimento dell'anima più che della ragione, la sua «critica delle fonti» ritorna a essere un caposaldo metodologico in cui trincerare le proprie certezze. E c'è di più. Con gli strumenti della sua disciplina è in grado di far parlare i romanzi di Camilleri «malgrado se stessi», di fargli dire più di quello che era nelle intenzioni del loro autore. Basta farli interagire non con il passato che raccontano ma con il presente in cui sono stati scritti, i vent’anni dal 1980 al 2003. Nelle pagine di Camilleri c'è un costante contrappunto settentrionale alle vicende vigatesi. Spesso si tratta di piemontesi (l'ingegnere Lemonnier, in Un filo di fumo, il tenente Emiliano di Saint-Vincent, nella Stagione della caccia, il generale Boglione, nella Bolla di componenda), ma ci sono anche fiorentini come il prefetto Bortuzzi, nel Birraio di Preston, che vuole educare i vigatesi all'arte imponendo nel 1874 di inaugurare il teatro comunale con un'opera «straniera», o come l'Ispettore capo ai mulini Giovanni Bovara (nella Mossa del cavallo), in Sicilia nel 1877, ai tempi della tassa sul macinato, nato a Vigàta e cresciuto a Genova, metà forestiero metà paesano che pensa e parla in genovese ma che verrà a capo del «giallo» solo parlando e pensando in siciliano. Tutti, oscillano tra il disprezzo (il generale Boglione, convinto assertore della delinquenza dei siciliani, «ci mise 24 ore esatte a torturare un contadino siciliano che si ostinava a non spiccicare parola durante un interrogatorio prima di farsi persuaso che aveva davanti un disgraziato sordomuto») e la voglia di capire («non erano le parole che dicevano, non erano i gesti che facevano... bisognava invece stare attenti a come dicevano quelle parole, a come facevano quei gesti...» borbottava Lemonnier), ma tutti sono diversi dai siciliani. A questa diversità Camilleri presta la lingua e i caratteri; al dialetto degli uni si contrappone l'italiano burocratico e scolastico degli altri.
Ampolloso e retorico, l'italiano è la lingua dello Stato; complicato e stratificato, il dialetto è la lingua della società civile. Erano entità separate nell'Ottocento, restano separate nei venti anni in cui Camilleri scrive i suoi romanzi. Alla fine del Novecento, è stato il momento dei bilanci e delle definizioni; sotto l'urto «secessionista» della Lega, anche il progetto ottocentesco di «fare gli italiani» è stato sottoposto a verifiche ed esami. Sono stati trovati brandelli di tessuto comune nel mercato, nei consumi, in una voglia feroce di sottrarsi alle regole, in una sorta di torpore verso le questioni di giustizia. Puntualmente, ogni volta che nei romanzi di Camilleri la «separatezza» si rompe, è perché italiani e siciliani si ritrovano in un marcato indifferentismo morale, appaiono ricongiungersi fuori dalla dimensione pedagogica delle istituzioni statali, liberandosi degli impacci fastidiosi dei funzionari «piemontesi», della loro violenza repressiva ma anche della religione civile che animava l'Italia liberale. È così che alla fine lo storico si prende la sua rivincita, storicizzando quei romanzi, trasformandoli da strumenti per raccontare la storia in fonti per la conoscenza storica; letto così, Camilleri ci conduce diritti nell'Italia di oggi, i suoi libri diventano documenti autentici dello «spirito del nostro tempo», ne intercettano le pulsioni più tempestose e profonde, ci permettono di
studiarlo e di interpretarlo.
Giovanni De Luna
 
 

Comune di Vigevano, 19.9.2004
Premio Internazionale alla Carriera Città di Vigevano a Johanne Harris
L'autrice del libro Chocolat da cui è stato tratto il film verrà premiata il 24 settembre in piazza Ducale.

Il premio, dedicato a Lucio Mastronardi, verrà consegnato alla famosa scrittrice inglese alle ore 20 e 30 di venerdì 24 settembre, in Piazza Ducale (presso il Teatro Cagnoni in caso di maltempo).
[…]
Questa serata sarà il preludio della settimana letteraria Libri in Tavola, dedicata al tema letteratura e gusto, e prevista dal 12 al 18 ottobre, durante la quale interverranno, fra gli altri, Andrea Camilleri, Clara Sereni, Margherita Oggero, Allan Bay, Francesca Marciano, Bruno Gambarotta e Carlo Petrini (presidente di Slow Food). Il programma dettagliato della rassegna è previsto a giorni.
[La presenza di Andrea Camilleri è prevista in data 16 ottobre, per ritirare il premio alla carriera. Ci sarà una cena 'siciliana' con menu montalbanesco (arancini compresi) organizzata da Slow Food, NdCFC]
 
 

Neue Zürcher Zeitung, 21.9.2004
So gut wie neu: Produkte aus der Textfabrik
Carlo Lucarellis Erfolg als italienischer Krimiautor

[…]
Renaissance eines Genres
Lucarelli gilt als einer der Initiatoren der neuen Krimiwoge, die seit Anfang der neunziger Jahre den italienischen Buchmarkt beherrscht und eine Renaissance des Genres einleitete. An der Spitze dieser Bewegung steht der Sizilianer Andrea Camilleri mit seinem schwermütigen Commissario Montalbano. Die Millionenauflagen von Camilleris Büchern im In- und Ausland haben nicht nur das kleine palermitanische Verlagshaus Sellerio saniert, sondern auch seinem Helden zu ungeahnter Publizität verholfen: Inzwischen beschloss man in dem Küstenstädtchen Porto Empedocle, wo der gebeutelte Polizist Jahr um Jahr im Widerstreit mit den Behörden Verbrechen aufklärt, den von Camilleri erfundenen Namen Vigàta anzunehmen - Porto Empedocle-Vigàta ist jetzt auf dem Ortsschild zu lesen. Eine derartige Wirkung fiktiver Entwürfe kann Carlo Lucarelli bis anhin nicht verzeichnen, aber er ist mit einer Auflagenhöhe um die 100 000 pro Buch und Übersetzungen in alle europäischen Sprachen der erfolgreichste Autor seiner Generation.
Wie seine Kollegen Giampiero Rigosi, Gianfranco Nerozzi, Marcello Fois oder Santo Piazzese beruft sich Lucarelli auf den Urvater des italienischen Noir, der lange Zeit in Vergessenheit geraten war und unter den hochkulturfixierten Neoavantgardisten eher als verpönte Adresse galt: Giorgio Scerbanenco. Ausgerechnet ein Italo-Ukrainer ohne Schulabschluss, 1911 in Kiew geboren, aufgewachsen in Rom und Mailand, hatte nämlich die italienische Variante des urbanen Kriminalromans überhaupt erst erfunden. Scerbanenco, als Mitarbeiter von Frauenzeitschriften und Verfasser unzähliger Heftchenromane mit allen Wassern der Massenkultur gewaschen, kannte keine Berührungsängste und hob mit seinem skandierten Erzählrhythmus, dem Gespür für soziale Randzonen, der entschlackten, schnörkellosen Sprache, den gut recherchierten Verbrechen und dem Serienhelden Duca Lamberti eine neue literarische Form aus der Taufe. Und schon bei Scerbanenco ist jede Ordnung prekär. Sein Detektiv ist ein geschasster Mediziner mit Gefängniserfahrungen und steht mit seinem melancholischen Pragmatismus in der Tradition des amerikanischen hard boiled. Gesetze sind in Scerbanencos Büchern kaum mehr als Handlungsempfehlungen, Gerechtigkeit wird nur vordergründig hergestellt, und in den Tiefen rumort immer das nächste Verbrechen.
Aber warum sind Lucarelli und seine kriminalistischen Mitstreiter so ungeheuer erfolgreich? Die neue Popularität des Genres lässt sich zum Teil mit den gesellschaftlichen Umbrüchen erklären. Anfang der neunziger Jahre kamen die grossen Korruptionsfälle ans Licht, die Aktion Mani pulite legte das Ausmass der moralischen Verwahrlosung des Landes bloss, und ein Politiker wie Berlusconi konnte plötzlich Millionen von Wählern auf sich vereinen. Viele jüngere Autoren suchten nach unverbrauchten Beschreibungsparametern, mit denen sie die komplexe Wirklichkeit in den Griff bekommen und gleichzeitig regional verankern konnten. Der Kriminalroman mit seinen eindeutigen Regeln bot da eine gute Grundlage. Und offensichtlich waren auch die Leser dankbar für die spannungsreichen Bücher mit literarischem Anspruch, die den Hautgout des Gewöhnlichen längst abgestreift hatten und zudem bestimmte Gegenden mit ihren Eigenarten erschlossen. Bei Camilleri ist es die sizilianische Provinz, bei Piazzese Palermo, Fois schreibt über Sardinien und Lucarelli über Bologna.
[...]
Maike Albath
 
 

Il Venerdì, 24.9.2004
Sicilitudini
Ora Montalbano indaga su se stesso
Incontro di fine estate con Andrea Camilleri. Che parla della crisi del Commissario (nel libro in uscita è addirittura depresso...). Ma anche di Pirandello e Sciascia e dello scrivere. Al bar

Preparatevi al ritorno di Salvo Montalbano. Stiamo parlando della “Pazienza del ragno”, il nuovo libro di Andrea Camilleri che sarà nelle librerie il 30 settembre. Il libro inizia dove era finito “Il giro di boa”: Montalbano ferito in un conflitto a fuoco finisce in ospedale.  A degenza finita torna a casa abbattuto e depresso dalla lunga convalescenza che lo aspetta. Un nuovo caso lo rimetterà ovviamente in moto, ma in questo libro c’è un Montalbano che, come e ancor più che nel “Giro di boa”, dopo i fatti del  G8 di Genova, si interroga sulla vita, sulla sua esistenza, e sul tema della giustizia, mettendo il dito nella piaga del contrasto fra coscienza e legge. E i suoi interrogativi non sono elucubrazioni teoriche, ma riflessioni sulla scelta di continuare o meno a fare il poliziotto. “La pazienza del ragno” sarà un anomalo giallo senza delitti. Camilleri lo ha consegnato all’editore Sellerio prima delle vacanze estive. E così quest’anno, nella sua Porto Empedocle, ad agosto, si è potuto riposare. Le ore le ha dedicate alla famiglia, figlie e nipoti. “Mi piace averli intorno. Anche quando scrivo. Tempo fa mi trovavo in Toscana, ero solo, stavo scrivendo uno dei miei romanzi. Dopo qualche giorno di quel silenzio assordante non ne potevo più. Così ho chiamato casa, a Roma, e ho detto: “Fate venire qualcuno, perché in questo silenzio non riesco più a scrivere”. Sia chiaro, non credo nella sacralità della scrittura. Non sono di quelli che si distaccano dal mondo per poterlo descrivere”.
Quest’estate, però, per evitare di “cadere in tentazione”, ha lasciato il computer a Roma. “Ho preso una macchina portatile da Elvira Sellerio, solo per qualche prefazione, qualche articolo”. In vacanza, qual è la giornata tipo? “Mi sveglio presto, leggo, scribacchio, poi vado al bar Albanese”.
Quando si siede a un tavolino, davanti si forma la fila. E al bar Albanese, di lavoro c’è anche quello arretrato: i libri che, nel corso dell’anno, i turisti hanno lasciato al proprietario Stefano perché venissero firmati dallo scrittore. Seduto al bar, Camilleri snocciola aneddoti e ricordi. Per esempio, memorie di altri caffè ai quali è affezionato. Racconta che il gelato del vecchio Caffè Castiglione incantò Mussolini, Pirandello e Sciascia. “Faceva gusti favolosi”. Adesso sembra vogliano riaprirlo. “Quella del Caffè Castiglione è una storia ricca di leggende. Una, straordinaria. Il sindaco si inventò una lapide vicino a un tavolo. “Qui Luigi Pirandello veniva a scrivere”. Si figuri, per Pirandello scrivere era una cosa sacra. Scrivere in pubblico, per lui, era peggio che commettere atti osceni”.
Camilleri sorride, poi aggiunge: “Mi è capitata a Napoli la stessa cosa. Ho sentito la stessa frase, rivolta a un forestiero. Qui veniva a scrivere Benedetto Croce. Questo era il suo tavolo. E i turisti, incuriositi, facevano a gara per sedersi a quel tavolo”. Sembra divertito: “Data questa teoria, si può sostenere che I vecchi e i giovani di Pirandello venne scritto al Caffè Castiglione. Ma ve lo immaginate Pirandello seduto a un tavolo con carta e penna? In mezzo alla confusione? Pirandello, al Caffè Castiglione, prendeva il gelato, ecco la verità. Quel gelato così buono che piaceva tanto anche a Leonardo Sciascia. Per fargli una sorpresa, alcuni amici gli facevano arrivare il gelato nelle campagne del suo buon ritiro, in contrada Noce, a Racalmuto. È una leccornia che piaceva pure a Mussolini. Il Duce venne in Sicilia, in visita ufficiale, nel 1924. Gli offrirono il gelato del Caffè Castiglione di Porto Empedocle e se ne innamorò. Si narra che facesse partire da Ostia un aereo che gli portava il gelato, ben conservato, con ghiaccio e sale, dalla Sicilia. Ora le svelo un altro aneddoto. Un mio zio antifascista mi raccontava che non fu un caso se la prima autostrada d’Italia fu la Ostia-Roma. Zio Cesare ne spiegava le ragioni: l’autostrada evitava che dopo un lungo tragitto il gelato si squagliasse”.
Ma se riaprono il Caffè Castiglione, Camilleri che fa? “Sarà una scelta tragica. Una scelta difficile”. Abbandona Albanese? Qui è la moglie, la signora Rosetta, a intervenire: “Ma che abbandona? È impossibile!”. Andrea guarda la moglie, che lo ha anticipato nella risposta, e conferma: “No, il Bar Albanese è il mio ufficio. Si figuri che l’altro giorno mi hanno chiamato per lavoro da Amburgo: non a casa mia, ma da Albanese. Mi hanno passato questa telefonata con assoluta naturalezza: “Prufissuri, la vogliono al telefono, è da Amburgo”. Capisce, è insostituibile. Semmai, dopo il lavoro in ufficio, andrò al Bar Castiglione per un caffè”.
In un racconto di fine estate può mancare il viaggio? No, non può mancare. Infatti, alla fine delle vacanze, è iniziato il viaggio di ritorno, insieme alla moglie. Destinazione: l’abitazione romana. Con diverse tappe, come i viaggi di una volta. In macchina da Porto Empedocle a Catania. Alla stazione li aspetta il treno. Sì, perché il papà di Montalbano viaggia pochissimo in aereo. “Quest’anno da Palermo in treno non c’erano più posti”. Così dalla città dell’Etna comincia il lungo viaggio, tradizionale, d’altri tempi. L’autista, “un tipo previdente”, li ha accompagnati da Porto Empedocle con largo anticipo. Del resto, per entrare a Catania bisogna mettere in conto il gran traffico. I coniugi Camilleri aspettano pazientemente, con i loro bagagli sul marciapiede.
Per ingannare il tempo Andrea parla della sua Porto Empedocle: “Non cresce. Non si sviluppa. Vogliono fare il turismo e mancano gli alberghi. Quelli che ci sono, distano troppo dal centro storico e dal porto. Tanti altri paesi siciliani sono attraversati da fermenti positivi: Racalmuto, Serradifalco, Scicli. A Porto Empedocle hanno aggiunto Vigàta al nome della città, ma occorre un progetto complessivo per rilanciare il turismo”. Infine, qualche battuta sul “Teatro di Sciascia”. D’altronde, tra gli impegni di questa estate siciliana, non poteva mancare un appuntamento al teatro di Racalmuto, quello che Camilleri ha fatto rinascere aiutato da molti amici fra i quali il sindaco della città Gigi Restivo, il giornalista Gaetano Savatteri e il regista Giuseppe Di Pasquale.
Lo scrittore e la moglie guardano i binari, si informano sull’orario del treno. Tra la gente che aspetta, qualcuno guarda incuriosito il creatore del Commissario Montalbano. “Arriva stu trenu?”. Lì, sui binari, il dialogo riprende finché il rumore del treno si fa nitido. Camilleri si gira e dice: “Spuntò u trenu”. E finiu a ‘stati, direbbero in dialetto siculo-paternese. Ed è finita l’estate.
Salvo Fallica
 
 

DS Caltanissetta, 24.9.2004
Comunicato stampa videointervista

L’unità di base Ds “F. Lo Brutto” di Mussomeli, considerate le ripetute richieste di tanti cittadini che vorrebbero vedere e rivedere la video-intervista con il famoso scrittore siciliano Andrea Camilleri, rilasciata e proiettata in esclusiva per la festa de l’Unità del Vallone 2004, riproporranno la stessa sabato 25/09/2004 alle ore 20.00, presso la sede dei Democratici di Sinistra in via Scalea n. 3.
Seguirà un incontro-dibattito con Agostino Spataro e il prof. Michele Morreale. Il primo ospite si occuperà di quella parte dell’intervista dove Camilleri parla della sua militanza politica di “comunista” e del suo impegno civile nella qualità di romanziere e letterato. Il secondo commenterà i tratti salienti dell’intervista riguardo al rapporto del padre di Montalbano con la critica letteraria e con il suo pubblico.
L’incontro sarà moderato dal prof. Tonino Calà che darà una sua testimonianza sull’intervista realizzata con lo scrittore di Vigàta.
E’ stata annunciata una nutrita e simpatica presenza dei soci del fans club Camilleri.
Nella lunga intervista lo scrittore parla specificatamente e positivamente dell’assessore regionale Fabio Granata. Il titolare dell’assessorato regionale del turismo, che ha declinato l’invito per sabato sera a causa di precedenti impegni, ha ricevuto in omaggio ed ha molto apprezzato il dvd della video-intervista realizzato dall’unità di base “F. Lo Brutto”.
In coda alla festa recentemente conclusa, una delegazione dei Ds di Mussomeli, formata dal segretario Pinuccio Favata e dal responsabile della festa Tonino Calà si è incontrata alla festa de l’unità di Palermo con il presidente nazionale dei Ds Massimo D’Alema, il quale ha assicurato la sua presenza alla festa de l’Unità del Vallone del prossimo anno, facendo dono ai rappresentanti diessini di una copia del suo ultimo libro sul grande segretario di partito Enrico Berlinguer, a vent’anni della sua scomparsa.
Tonino Calà (Responsabile festa Unità del Vallone)
 
 

Il Corriere della sera (cronaca di Roma), 25.9.2004
All'Argentina
Veltroni e «Senza Patricio», presentazione in teatro

Martedì alle 18, al Teatro Argentina presentazione del libro di Walter Veltroni «Senza Patricio», edito da Rizzoli. Intervengono con l'autore: Gianni Amelio, Andrea Camilleri, Melania Mazzucco, Vincenzo Mollica. Letture di Luca 
Zingaretti. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti.
 
 

La Repubblica (ed. di Roma), 26.9.2004
Colonne spezzate
Andrea Camilleri
 
 

La Stampa, 26.9.2004
Il nuovo giallo di Camilleri
Anche Montalbano piange

L’avevamo lasciato in ospedale, nell'ultima pagina della storia uscita un anno e mezzo fa, “Il giro di boa”, ferito alla spalla da un colpo di pistola rimediato durante l'indagine su un traffico di bambini. E proprio di qui riprende il filo nell'ottavo romanzo della serie Montalbano, “La pazienza del ragno”, che Andrea Camilleri sta per pubblicare da Sellerio (a pochi giorni dall’uscita del Meridiano Mondadori che raccoglie i suoi “Romanzi storici e civili”). Nella finzione narrativa sono passate soltanto poche settimane, il commissario è tornato a casa, ma i suoi pensieri uggiosi vagano ancora tra camici bianchi e sale operatorie, nelle lunghe ore insonni passate a rivoltarsi nel letto.
Montalbano è in convalescenza, amorevolmente (litigiosamente) accudito dalla fidanzata Livia, che per stargli vicina si è precipitata da Genova in un anticipo invernale di ferie. Nella nuova indagine il protagonista entra così di straforo, in via confidenziale, come consulente sollecitato dal collega formalmente investito e, al solito, (mal)sopportato dal Questore. È un espediente già sperimentato da Camilleri in altre storie, che serve a rendere accettabili sul piano della verosimiglianza i metodi sempre meno ortodossi del suo personaggio, e a segnarne il distacco sempre più avvertito dalla giustizia scritta «supra i libri» in favore di quella che si fa sentire dai recessi della «propia cuscenza».
La trama è semplice. A Vigàta, la città immaginaria di Camilleri, corrispondente alla natìa Porto Empedocle, viene rapita una ragazza che frequenta il primo anno di università. Tutto farebbe pensare a un sequestro lampo, uno dei tanti che accadono nella Sicilia reale. Invece, fin dalle prime battute, c'è qualche cosa che non quadra. Perché i genitori della «picciotta», un tempo ricchi, sono ora ridotti senza un soldo, e questo tutti lo sanno. Presto appare chiaro che il vero destinatario della richiesta di riscatto, l'unico in grado di pagare, è lo zio materno, imprenditore (diciamo così) «disinvolto», come ce ne sono tanti non solo in Sicilia ma in tutta Italia, che ha fatto fortuna mettendo nei guai i propri parenti: a cominciare dalla sorella (madre della rapita) che per il contraccolpo si consuma in un mortale abisso di depressione. E poco alla volta si capisce pure che gli anomali rapitori hanno scritto un copione e ora stanno manovrando tutti - la polizia, i giornalisti, i famigliari della giovane - come fossero pupi.
Montalbano viene a capo dell'intrigo alla sua maniera, con l'aiuto di un ragno che ha tessuto la sua labirintica geometria su un cespuglio accanto alla verandina del commissario, e di un libro di Simenon finito nascosto dietro il tavolino da notte. Come sempre, è un impasto di istinto e di logica in cui non si mai dire quanto l'uno sia una confusa prolessi dell'altra, o invece questa una razionalizzazione a posteriori di quello. La soluzione arriva in fondo a un gioco di corrispondenze tra ciò che avviene nella testa del commissario (ricordi, che si ripresentano involontariamente, di frasi ascoltate, di letture anche antichissime, di osservazioni casuali) e ciò che accade nella realtà esterna, tra metafore che alludono a fatti e fatti che rimandano a metafore, illuminandosi a vicenda. Ma è una soluzione che Montalbano terrà per sé, perché così esige il suo «pirsonale criterio di giudizio supra a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato».
Ed è una soluzione che a un certo punto anche i lettori possono intuire, grazie agli indizi sparsi dall'autore. Perché palesemente non è il meccanismo giallo che conta in questo strano poliziesco senza morti ammazzati, in cui però la morte è una sorta di basso continuo, una presenza latente e sommessa, sotto le forme di quel pre-sentimento che è la malinconia del protagonista, «quel Qualcosa che l'aviva marchiato mentre il proiettile gli spurtusava la carni». Camilleri si diverte pirandellianamente a mettere alla prova il suo personaggio, a prenderlo in giro: dopo averne già raccontato i momenti di paura, la crisi di coscienza dello sbirro ex sessantottino dopo la vergogna del G8 di Genova, i primi cedimenti fisici dovuti all'età, ora è la volta di qualche cosa più oscura e profonda che lo consegna definitivamente all'ultima parte della sua carriera, alla fase discendente della vita. E in questo il romanzo travalica i limiti del genere per aprirsi a una dimensione più universale.
Montalbano ha 54 anni e la malinconia lo assale a tradimento. Il suo sistema emotivo si è fatto più fragile. Conseguenza della ferita, come spesso si riscontra nei convalescenti da un evento traumatico; ma, come sospetta lui, «non potiva trattarsi di un principio di rincoglionimento senile?». Accade davanti a un piatto di couscous che torna a assaporare, quando ascolta la telefonata dei rapitori, quando arriva a casa e trova i bagagli di Livia che deve ripartire, e anche questa volta lui non è stato all'altezza delle sue attenzioni: la commozione gli tende trabocchetti di continuo e Montalbano deve imparare a prevenirla se possibile, a dissimularla se intorno ci sono altre persone. Se non c'è nessuno, può lasciarsi andare senza ritegno. E piangere. E sfogarsi. Poi passa.
Più difficile è venir fuori dall'umore nero. Che può condensarsi a partire dalla lettera di un coetaneo appena diventato nonno, mentre lui non farebbe più in tempo a vedere un figlio grande come il ragazzo della giovane rapita. Che talvolta gli fa «viniri in testa pinsèri banali e frasi fatte». Che perfino riesce a fargli mancare di colpo l'appetito, a metà di un piatto invitante. Sono soltanto attimi, ma attimi che rimodellano il carattere del personaggio.
Ovviamente lui continua a coltivare le sue idiosincrasie e i suoi sbocchi di rabbia, consentendo all'autore di accentuare le proprie trasparenti prese di posizione politiche. Lo zio che ha fatto fortuna approfittando delle smagliature della legge, e della legge per il rientro dei capitali, è vicino alla candidatura nelle liste del partito di governo che si chiama Progresso Italia. C'è pure una figura di avvocato, «misto di oratoria, furberia, corruzione, "saper campare"», che ha salvato dalla galera decine di politici dei quali esibisce le foto con dedica, tra cui quella di un Presidente in tenuta da jogging.
Ma quel che dà il tono al romanzo, più che la denuncia, è il ripiegamento intimistico, sia pure innervato d'ironia. Da questo punto di vista si capisce l'ambientazione invernale, che non è puramente estrinseca. Inverno, però: non autunno. E un inverno che qua e là lascia presagire la primavera, che si apre alla speranza (ecco una parola che un tempo Montalbano non avrebbe pronunciato). Dopo «l'acquata violenta» che chiude l'ultima pagina, sul cespuglio non c'è più la ragnatela, «i rami erano puliti puliti, si stiddravano di gocce».
Maurizio Assalto
 

L’incipit del romanzo
Tutte le notti, un tac nella sua testa

S’arrisibigliò di colpo, sudatizzo, col sciato grosso. Per qualichi secondo non capì indovi s’attrovava, doppo fu il respiro leggero e regolare di Livia addrummisciuta allato a lui a riportarlo alle dimensioni accanosciute e rassicuranti. Era nella sò càmmara di letto a Marinella. A tirarlo fora dal sonno era stata una fitta gelida come una lama alla ferita della spalla mancina. Non ebbe bisogno di taliare il ralogio sul comodino per sapiri che erano le tri e mezza di notte, per la precisione le tri, ventisette primi e quaranta secondi. Gli capitava accussì da vinti jorni, tanti ne erano passati da quella nuttata che Jamil Zarsis, trafficante di picciliddri extracomunitari, gli aviva sparato ferendolo e lui aviva reagito ammazzandolo, vinti jorni, ma lo scorrere del tempo si era come inceppato a quel momento preciso. Tac aviva fatto un ingranaggio in quella parte della sò testa indovi si misurava il passari delle ore e dei jorni, tac, e da allura se dormiva s’arrisbigliava se invece era vigliante c’era come un misterioso, impercettibile fermo immagine delle cose torno torno a lui. Sapiva benissimo che durante quel fulmineo duello non gli era manco passata per l’anticamera del ciriveddro l’idea di taliare che ora era, eppure, e questo se l’arricordava benissimo, nell’attimo che la pallottola sparata da Jamil Zarzis gli si conficcava nella carne, una voci dintra di lui, impersonale, una voci di fìmmina, tanticchia metallica come quelle che si sentono nelle stazioni o nei supermercati, aviva detto: «sono le tre, 27 primi e 40 secondi».
«Lei era col commissario?».
«Sì, dottore».
«Si chiama?».
«Fazio, dottore».
«Da quand’è che è avvenuto il ferimento?».
«Mah, dottore, il conflitto c’è stato verso le tre e mezzo. Quindi poco più di una mezzorata fa. Dottore...».
«Sì?».
«E’ grave?».
Stava stinnicchiato senza cataminarsi, con l’occhi inserrati, e perciò tutti si erano fatti persuasi che era fora conoscenza e quindi potivano parlari apertamente. Invece sintiva e capiva ogni cosa, era a un tempo strammato e lucito, solo che gli ammancava la gana di raprire la vucca e arrisponniri lui stisso alle domande del dottore. Le gnizioni che gli avivano fatto per non fargli sintiri duluri si vede che facivano effetto in ogni parte del corpo.
«Ma non dica fesserie! Dovremo solo estrarre la pallottola che è rimasta dentro».
«O Madonna Santa!».
«Ma non si agiti così! E’ una sciocchezza! Oltretutto non credo proprio che abbia fatto molto danno; l’uso del braccio, con un po’ di esercizi di riabilitazione, tornerà al cento per cento. Mi scusi, ma perché continua a essere così preoccupato?».
«Vede, dottore, qualche giorno fa il commissario se ne andò da solo a fare un sopraluogo...».

Macari ora, come allora, sta tenendo l’occhi inserrati. Ma non sente più le parole, cummigliate dalla rumorata forte della risacca. Dev’esserci vento, la persiana sutta alle folate trimolìa tutta, fa una specie di lamentìo. Meno male che è ancora in convalescenza, accussì può restarsene quanto voli sutta le coperte. A questo pinsèro si sente sollevato e s’addecide a raprire l’occhi a fessura.

Pirchì non sintiva più a Fazio che parlava? Raprì l’occhi a fessura. I dù si erano tanticchia allontanati dal letto, erano vicini alla finestra, Fazio parlava e il dottore in càmmisi bianco ascutava serio serio. E tutto ’nzemmula seppe che non aviva bisogno di sintiri le parole per sapiri quello che Fazio stava dicendo al dottore. L’amico sò Fazio, il sò omo fidato lo stava tradendo come Giuda, stava evidentemente contando al dottore il fatto di quando era restato senza forze sulla spiaggia, doppo quel gran duluri al petto che gli era vinuto in mare... E ora figurati i medici a sintiri la bella novità! Prima di levargli quella pallottola mallitta gli faranno passari i guadolino, lo talieranno dintra e fora, lo spurtuseranno, gli solleveranno la pelle a pezzo a pezzo per vidiri quello che c’è sutta...

La sò càmmara di letto è come sempre. No, non è vero. E’ diversa ma è sempre la stissa. Diversa pirchì sul tangèr ora ci stanno cose di Livia, la borsetta, le forcine, dù flaconcini. E sulla seggia che si trova dalla parte opposta ci sono una cammisetta e una gonna. E macari se non lo vidi sa che da qualichi parte vicino al letto c’è un paro di pantofole rosa. S’intenerisce. Si scioglie, ammoddra dintra, si liquefa. Da vinti jorni gli è venuta questa strofella nova alla quale non arrinesci a porre rimeddio. Che basta un nenti a portarlo, a tradimento, sull’orlo della commozione. E di questa situazione di fragilità emotiva si vrigogna, s’affrunta, è costretto a elaborare complesse difese pirchì gli altri non se ne addunino. Ma con Livia no, con lei non ce l’ha fatta. E Livia ha deciso d’aiutarlo, di dargli una mano trattandolo con una certa durezza, non vuole offrirgli pretesti di cedimenti. Ma è tutto inutile, pirchì macari questo amoroso atteggiamento di Livia lo porta a un misto di commozione e cuntintizza. Pirchì è contento che Livia si sia jocate tutte le vacanze per dargli adenzia e sa che macari la casa di Marinella è contenta che ci sia Livia. La sò càmmara di letto, a taliarla alla luce del sole, da quanno c’è lei è come se avesse ripigliato colore, come se le pareti fossero state ripittate di luminoso bianco. Dato che non c’è nisciuno a taliarlo, s’asciuca una lagrima con la punta del linzolo.
Andrea Camilleri
 
 

Adnkronos, 27.9.2004
Cultura
Scrittori: Camilleri, 300mila copie per nuovo romanzo

Roma, 27 set. (Adnkronos) - Ancora tirature da record per Andrea Camilleri. E' prevista infatti una prima tiratura di 300mila copie per il nuovo romanzo del popolare scrittore siciliano che ha per protagonista l'altrettanto noto poliziotto Salvo Montalbano. ''La pazienza del ragno'' (pagine 255, euro 10), ottavo giallo poliziesco della serie del commissario di Vigata, sara' distribuito dall'editrice Sellerio nelle librerie italiane da giovedi' prossimo, 30 settembre. Si tratta di un'indagine senza delitto, senza sangue, grazie alla quale pero' Montalbano ritrovera' verve e spigliatezza e i lettori, nella perfetta geometria del meccanismo poliziesco, il commissario che conoscono con la sua prepotente simpatia, l'insofferenza per regole e gerarchie, la comprensione degli uomini, il senso di giustizia.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 28.9.2004
L’iniziativa
Antologia sulla Sicilia scritta dagli svizzeri

La Sicilia vista attraverso gli occhi e la penna di quindici scrittori svizzeri. È il tema di una antologia “Ciao Sicilia, ciao Berna” alla quale hanno contribuito alcuni tra i migliori poeti, romanzieri e autori di thriller elvetici contemporanei, e che si avvale della prefazione di Andrea Camilleri.
Il volume è stato presentato ieri a Ribera alla presenza di quindici scrittori svizzeri guidati dal vice presidente degli scrittori di Berna Saro Marretta, riberese da quasi quarant’anni trapiantato in Svizzera. “Ho invitato alcuni scrittori svizzeri a scrivere sulla Sicilia – ha detto Marretta – Poi i testi sono stati tradotti in italiano e contemporaneamente i brani di narrativa di quattro scrittori agrigentini sono stati tradotti in tedesco. È un modo per avvicinare le due culture e far conoscere meglio la nostra terra”.
“Per noi – dice lo scrittore Ralf Mader – è stata una esperienza che ci ha dato la possibilità di conoscere da vicino il paese di Pirandello e di Sciascia. In effetti chi non conosce Sciascia non può capire la Sicilia di ieri né quella di oggi”.
Accursio Soldano
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 29.9.2004
Il libro. Il ritorno di Montalbano
Niente delitti ma tanta paura il commissario diventa fragile
Il nuovo romanzo. Domani esce "La pazienza del ragno", ennesima avventura del poliziotto di Vigata
La trama. Camilleri smonta e rimonta il congegno narrativo che ruota attorno all´indagine su un sequestro

Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, “La pazienza del ragno” (Sellerio, da domani in libreria), comincia laddove “Il giro di boa finiva”. Sono appena trascorsi venti giorni da quando il commissario Salvo Montalbano è stato ferito a una spalla, in un conflitto a fuoco col trafficante di bambini extracomunitari Jamil Zarzis, ma è come se il tempo si fosse fermato al momento preciso dell´esplosione del colpo.
Ogni notte, infatti, alle tre, ventisette primi e quaranta secondi, nella testa di Montalbano uno strano ingranaggio fa tac, e addio al sonno. Tutto quello che sta attorno a lui viene risucchiato da un beffardo fermo immagine, e gli incubi lasciano il posto a qualcosa di più agghiacciante.
Per fortuna che accanto a un Montalbano in convalescenza c´è Livia, che lo assiste senza però eccedere nelle premure. Perché il nostro commissario, dal giorno del ferimento, si commuove in un istante, anche per motivi banali, persino di fronte a un piatto di cous cous preparato con otto tipi di pesci: «Basta un nenti a portarlo, a tradimento, sull´orlo della commozione. E di questa situazione di fragilità emotiva si vrigogna, s´affrunta, è costretto a elaborare complesse difese pirchì gli altri non se ne addunino».
Certo, c´entra anche la vecchiaia incalzante, come si legge a metà romanzo: «Oramà vecchio, principiava a girare a vacante come una vite spanata dall´uso». Ma il fatto è che, dopo le vicende narrate nel “Giro di boa”, Montalbano è cambiato parecchio: dapprima una disaffezione montante nei confronti del suo mestiere e del mondo intero, e ora il peso della solitudine e il faccia a faccia con la morte.
Nella parte iniziale de “La pazienza del ragno” Camilleri mostra tutta la sua capacità nello smontare e rimontare il congegno romanzesco con grande abilità, ricomponendolo alla fine con un avvicendamento dei tempi narrativi davvero efficace. Non tanto, dunque, la progressione, ma l´altalena dei ricordi, il pendolo delle emozioni e delle paure. Lo scrittore empedoclino è andato però oltre, volendosi cimentare in un giallo anomalo, senza omicidi. È come se a un direttore di orchestra togliessero di mano la sua buona bacchetta: ma Camilleri non si intimidisce affatto, anzi ci mostra fino a dove è lecito spingersi, fino a che punto è possibile rinnovare un genere letterario logorato come quello poliziesco. Questa volta, infatti, Montalbano è alle prese con un sequestro a tutta prima anomalo, dal momento che la famiglia di Susanna, la ragazza rapita, non tiene un euro. Il titolare delle indagini è il collega Minutolo, è vero, ma il nostro commissario non si mette certo di lato, dando subito avvio alla sua indagine, quasi privata. Le ricerche, intanto, non danno grossi risultati, e i rapitori non tardano ad avanzare le loro richieste, servendosi anche delle televisioni locali, e quindi adottando certe strategie che ci riportano a ben altri sequestri, mediatici anch´essi, ma tragicamente veri.
I conti non tornano: i sei miliardi richiesti dai carcerieri a Salvatore Mistretta, il padre di Susanna, geologo caduto in disgrazia con la moglie in fin di vita, sembrano quasi una provocazione. Montalbano non ci vede chiaro e comincia la sua personale indagine nei meandri degli odi, dei rancori e degli interessi familiari. E così viene fuori una storia di imbrogli e di appalti truccati, al centro della quale si trova lo zio di Susanna, imprenditore che ha fatto dell´illegalità l´unico credo, e che vorrebbe scendere in politica, manco a dirlo «tra le fila di quelli che stavano rinnovando l´Italia». In questa discesa agli inferi, Montalbano si trova costretto a guardare ancora una volta in faccia la morte: non la propria, ma quella della madre di Susanna. «Un corpo morto non gli faciva ‘mpressione, era l´imminenza della morte che lo stravolgeva dal profondo, o meglio, da una profondità abissale». E di nuovo la sua testa fa tac: lo scatto della molla inceppata dà la stura al panico che lo attanaglia. Il nostro commissario è diventato vulnerabile, sempre più esposto com´è agli attacchi di una paura quasi ancestrale. Ma per fortuna, la sua lucidità non si annebbia, il suo cervello è ancora ben oleato. E così, come gli capita spesso, a un tratto «alcuni dati apparentemente incollegabili tra loro improvvisamente si saldano e ogni pezzo s´assistema al posto giusto nel puzzle da comporre».
Basta un niente, come una ragnatela sul rametto di un cespuglio selvatico: «Una costruzione geometrica sbalorditiva», «una trintina di fili a cerchi concentrici», una «tessitura dei fili a cerchi tenuta e scandita da fili radiali che si partivano dal centro e arrivavano alla circonferenza estrema della ragnatela». Montalbano la guarda, e pensa alla pazienza del ragno nel realizzarla così perfetta. O quasi, visto che «la distanza tra una filama e l´altra non era regolare e addirittura dù filame, per piccolissimi tratti, zigzagavano». Come non è del tutto perfetto il piano tramato all´oscuro che sta dietro al rapimento. Ma ora che sa come sono andate le cose, il commissario deve affrontare il vero problema: «Era solo un omo che aviva un pirsonale criterio di giudizio supra a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. E certe volte quello che lui pinsava giusto arrisultava sbagliato per la giustizia. E viceversa. Allura, era meglio essiri d´accordo con la giustizia, quella scritta supra i libri, o con la propia cuscenza?».
A questa domanda, Montalbano sa bene cosa rispondere, sentendosi alla fine «riposato, sereno, affrancato». E questi tre aggettivi non sono altro che una citazione, ricavata dal “Consiglio d´Egitto” di Leonardo Sciascia (pubblicato nel 1963, e non nel ´66 come si legge nel romanzo), dove sono riferiti alla persona dell´abate Vella nel momento in cui prende la decisione di rivelare la sua impostura. Ma quello narrato da Camilleri è un inganno costruito sull´odio, un odio vero che, come l´amore, «non s´arresta manco davanti alla disperazione e al chianto di chi è ‘nnuccenti». Un odio che però, quasi inopinatamente, può trasformasi alla fine in «estrema capacità d´amare». Ed è quello che succede in questo nuovo, ossimorico romanzo di Camilleri, in cui la soluzione del giallo classico viene quasi sostituita dalla catarsi della tragedia greca.
Salvatore Ferlita
 

Centinaia di copie già pronte nei punti vendita più importanti
Le librerie fanno scorta e i lettori si prenotano

Non c´è il clima da grande attesa degli altri romanzi, ma pur sempre di un nuovo giallo di "Montalbano" si tratta. Così le librerie palermitane si sono preparate in tempo per fronteggiare le richieste di lettori e clienti affezionati, che hanno già prenotato la loro copia de "La pazienza del ragno", in uscita domani. Da Flaccovio di via Ruggero Settimo, la scorta iniziale è di cinquecento - mille copie, secondo la richiesta media degli altri romanzi di Andrea Camilleri. «Ma la voce dell´uscita del libro non si è ancora sparsa - dicono dalla libreria - deve ancora partire la campagna promozionale in tv». Stesso numero di copie per la libreria Feltrinelli: «La domanda per Camilleri è sempre alta, abbiamo già un buon numero di prenotazioni - spiegano da via Maqueda - Allestiremo anche un´apposita vetrina». «Partiamo con un centinaio di copie - dice Piero Onorato di Broadway - un numero per noi già considerevole, soprattutto se paragonato a quelli delle grandi librerie. Anche se ho la sensazione che stavolta l´attesa per questo romanzo sia inferiore a quella dei precedenti». «Duecento copie, come le altre volte - dice invece Fabrizio Piazza di Modusvivendi - C´è sempre un´aspettativa maggiore, quando si tratta di un nuovo romanzo di Camilleri. Anche noi abbiamo già un certo numero di prenotazioni».
Laura Nobile
 
 

Corriere della sera (cronaca di Roma), 29.9.2004
Finalmente libere!
La festa in città
Al Teatro Argentina, dove il primo cittadino presentava il suo libro con Andrea Camilleri, Gianni Amelio e Luca Zingaretti, la comunicazione ufficiale è stata accolta da un lungo applauso. Stasera alle 19 manifestazione in Campidoglio
Questa volta il sindaco ed Annamaria Torretta, la mamma di Simona, si sono semplicemente abbracciati. La buona notizia Walter Veltroni l’aveva già data alla famiglia per telefono: «Sono in aereo e stanno tornando».
[…]
Ma il momento del ricordo e del via libera alle emozioni è stato per Walter Veltroni al teatro Argentina, dove è andato per la presentazione del suo libro «Senza Patricio» e dove la notizia è stata accolta con un grande applauso da Andrea Camilleri e Melania Mazzucco, Vincenzo Mollica, il regista Gianni Amelio e l’attore Luca Zingaretti.
[…]
Lilli Garrone
 
 

La Repubblica (ed. di Roma), 29.9.2004
Le reazioni
Andrea Camilleri. Con gli occhi lucidi: "Abbiamo sofferto ma adesso le ragazze sono libere"
Gianni Amelio. "Se non ci fossero persone come le due volontarie il mondo sarebbe più povero"
Luca Zingaretti. "Siamo tutti sollevati, come se ci fossimo tolti un gran peso"
 
 

Il Messaggero, 29.9.2004
La storia
In teatro risuona l’annuncio: «Sono già in volo»
Il sindaco alla presentazione del suo libro “Senza Patricio”: letteratura e realtà si mescolano, «un’esplosione di gioia»

La letteratura e la realtà si prendono per mano. E la presentazione di un libro (il libro scritto da Walter Veltroni) diventa una sorta di misuratissima celebrazione, senza un filo di retorica, del lieto fine di una brutta storia. «Le due Simona sono state liberate», annuncia il sindaco al Teatro Argentina. Qui si festeggia il suo talento letterario in «Senza Patricio» ma i pensieri, a cominciare da quelli di Veltroni, sono anche rivolti altrove in un misto di commozione e di sollievo. «Patricio tornerà», recita l’attore Luca Zingaretti citando un passo del libro. Fuori dalla letteratura, sono tornate le due Simona. «Sono già in volo - dice Veltroni - e fra qualche ora saranno a Roma. In futuro, torneranno a fare quello che hanno sempre fatto: stare vicine alla gente che soffre, in qualche parte del mondo».
Un libro incentrato sul tema dell’assenza e del vuoto diventa quasi naturalmente uno spartito adatto per un giorno come questo.
[…]
Andrea Camilleri, che è uno dei presentatori insieme a Melania Mazzucco, Gianni Amelio e Vincenzo Mollica, sostiene addirittura che «quella di Veltroni non è una semplice raccolta di racconti. E’ una sinfonia per voci e coro».
[…]
Mario Ajello
 
 

La Sicilia, 30.9.2004
Esce oggi il nuovo romanzo dello scrittore Andrea Camilleri
Montalbano in «La pazienza del ragno»

E' in libreria da oggi «La pazienza del ragno», nuovo libro di Andrea Camilleri sul Commissario Salvo Montalbano. Il nuovo lavoro inizia esattamente dove terminava Il giro di boa: Montalbano ferito durante un conflitto a fuoco che metteva la parola fine all'indagine. Il celebre commissario, in questa inchiesta senza sangue indaga con quella sua verve sbarazzina tanto amata dai lettori. 
«Il prossimo romanzo con Montalbano è nato per caso. - dice lo scrittore empedoclino - Stavo scrivendo un racconto, intitolato, appunto, "La pazienza del ragno", che si attaccava esattamente nel momento in cui Montalbano veniva ricoverato in ospedale, nel "Giro di boa". Questo racconto cominciava a starmi stretto, e allora lo portai a termine come romanzo. Non ci saranno cadaveri, annuncio, ma ci sarà la continuazione della crisi di Montalbano».
Il libro è edito da Sellerio e costa 10 euro.
Camilleri con «La pazienza del ragno» sorprende ancora una volta. E si rinnova. Con questo trepido romanzo dai tempi alternati e dialoganti. Come al solito, il successo è praticamente assicurato visto che già da parecchi mesi i fans del commissario più amato d'Italia attendono con trepidazione buone nuove sul caro Salvo.
Deborah Annolino
 
 

Il Corriere della sera - Magazine, 30.9.2004
La recensione
Quando Camilleri tirava uova a Gesù e scriveva a Mussolini

In casa del nonno materno di Andrea Camilleri, una casa assai fastosa, il water era di marmo. "Una cosa monumentale, costruita su misura, un trono". Naturalmente il marmo ha la caratteristica di essere gelido. Il nonno di Camilleri aveva perciò preso l'abitudine di far scaldare il sedile "con una seduta preventiva, senza diritto di uso, a una vecchia e fedele cameriera".
In casa dei genitori di Camilleri c'era invece un lampadario che era stato donato da un personaggio di Pirandello. Si trattava di Pepè Malato, una simpatica canaglia che fu sindaco di Porto Empedocle e che ispirò a Pirandello l'atto unico di Cecè.
Andrea Camilleri da ragazzo era molto bravo ma attraversò un periodo difficile e fu mandato in collegio. Lui non sopportava di starci e pensò che l'unico modo per uscirne fosse commettere un atto blasfemo. Così lanciò un uovo contro il crocifisso e fu espulso all'istante ma, prima di lasciare il convitto, fu preso a botte dai compagni inorriditi dal suo gesto. Quel gesto "turberà per tutta la vita" Camilleri.
Da ragazzino, Camilleri scrisse poesie dedicate a Mussolini e anche una lettera in cui chiedeva al duce di essere mandato volontario in Africa. Mussolini gli rispose. Camilleri fu convocato da Innocenzo Pirandello, fratello di Luigi e presidente della sezione locale dell'Opera Nazionale Balilla, che gli mostrò la lettera del duce, che non accoglieva la sua richiesta ma gli garantiva che in futuro non sarebbe mancata occasione. La lettera era firmata con l'inconfondibile M che siglava la corrispondenza del duce. Camilleri pagherebbe qualcosa per possedere ancora la lettera ma gliela rubò il fratello di Pirandello.
Camilleri confessa che il libro che lo ha appassionato e turbato fino all'ossessione è la “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni, "un'opera che si porterà dentro per sempre". Confessa anche di non amare i russi e di trovare pesante la loro "profondità abissale". Fa eccezione solo per Gogol' e, naturalmente, per il teatro di Cechov.
Al liceo, Camilleri ebbe un professore di lettere geniale, si chiamava Cassesa, giocatore accanito, di notte non dormiva mai. Il primo giorno di scuola fece un discorso agli studenti: "Ho fatto i conti, per quello che io valgo, e per quello che mi passa lo Stato, io non vi posso fare più di sei lezioni all'anno". Le fece. I ragazzi ne rimasero travolti ma il professore non continuò. Approfittava delle ore di lezioni per recuperare un po' di sonno perduto (chiudeva le finestre e pregava gli studenti di fare un casino moderato in modo da non destare sospetti nel preside). I ragazzi chiesero che riprendesse le lezioni. Lui accettò a patto che gli facessero trovare un pacchetto di sigarette Milit sulla cattedra ogni mattina. Camilleri e i compagni si autotassarono per comprarle.
La vita di Camilleri raccontata da Antonio Franchini nel Meridiano che raccoglie romanzi storici e civili è un capolavoro. (Fine prima puntata).
Antonio D'Orrico
 
 

Canale 5, 30.9.2004
Tutte le mattine

Andrea Camilleri è stato ospite della trasmissione televisiva "Tutte le mattine", condotta da Maurizio Costanzo. Credo abbia presentato il suo ultimo libro, ma faceva bella mostra l'ultimo dei "Meridiani".
(segnalazione di Emanuele)
 
 

Luna, 9.2004
Luna anticipazioni / Il personaggio
Una seduttrice per Montalbano
Dopo anni di fedeltà alla sua Livia, nel prossimo romanzo il commissario di Vigàta incontrerà un "fimmina" che gli farà perdere la testa. Parola di un signore che lo conosce bene: Andrea Camilleri

«E sì, questa volta Montalbano potrebbe davvero perdere sul serio la testa per una donna. Dopo anni di fedeltà alla fidanzata, Livia, arriverà una donna che lo tenterà molto. Se tradirà? Chi può dirlo». Ad anticipare una delle prossime indagini di Montalbano è uno che il commissario di Vigàta lo conosce bene: lo scrittore Andrea Camilleri. È lui perché, da qualche giorno, di Salvo Montalbano non si sa più niente. Un vuoto che parte da Vigàta (il luogo immaginario identificato con Porto Empedocle) e si espande a tutta la provincia di Montelusa (Agrigento). Il telefono a casa sua continua a squillare, ma a rispondere non c'è nessuno. E nemmeno al commissariato sanno niente. Alla fine a svelare il mistero è stata una lettera anonima di poche parole: «Prova a ciccari pagghiri daccapu» (prova a cercare al Nord dell'Italia, ndr). E come spesso accade in Sicilia, le voci anonime hanno un fondamento. Pare che Montalbano, soffocato dal vento caldo che soffia dall'Africa, si sia rifugiato fra le dolci asprezze dell'Amiata, in Toscana. Ma al fresco di Santa Fiora solo un signore dai modi gentili, che fuma cento sigarette al giorno mentre pensa e scrive, ci parla di lui.È Andrea Camilleri: classe 1925, siciliano di Porto Empedocle (Ag), fino a settant'anni regista televisivo e teatrale. E da dieci anni in cima a tutte le classifiche dei libri più venduti proprio con le indagini del commissario Montalbano, tradotte in Giappone come in America, per le quali è stato anche insignito dell'onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana.
Allora Camilleri, cos'è questa storia di fimmini, tradimenti e compagnia bella?
Si tratta di un'indagine a cui sto pensando per Montalbano e che potrebbe essere difficile da gestire.
Difficile in che senso?
Nel senso che si troverà in mezzo a due forti figure di donna, contrapposte l'una all'altra. Entrambe possibili assassine. Montalbano sarà chiamato al compito più arduo della sua carriera: capire la psicologia femminile. E a forza di capire...
Annunciamo il primo tradimento del commissario?
Diciamo che una delle due lo tenterà parecchio. Per la prima volta il lato sentimentale del personaggio emergerà chiaramente.
Fuori dalle indagini, chi sono le donne del commissario?
Da quello che si apprende dai romanzi, sono due. La prima è sua madre, che muore quando Salvo è bambino e della quale conserva un ricordo vago ma ricorrente. Poi c'è Livia, l'eterna fidanzata. Certo, in passato ci sono state altre donne, come la Mery di “La prima indagine di Montalbano”, ma sono storie senza importanza.
Cominciamo dalla madre: quanto la sua assenza influisce nella quotidianità del commissario di Vigàta?
Influisce molto. Ma soprattutto ha influito sulla formazione del suo carattere, essendo cresciuto da solo. Il padre gli ha voluto bene, ma una cosa è crescere con entrambi i genitori e una cosa è crescere con uno solo. Questa mancanza Salvo cerca di riempirla con Livia.
Ma Livia è la fidanzata: come si possono conciliare le due figure, materna e amorosa?
Livia può essere definita come «l'ampio bacino di Venere». Lei è tutto: una fidanzata, un'amica, un'amante, ma è anche quella madre che non ha avuto. Soprattutto è l'unica persona che, conoscendolo a fondo, può dirgli le verità che da altre non sopporterebbe.
Un rapporto molto forte, malvissuto a metà. Livia vive a Boccadasse, in Liguria. E non sembra che al poliziotto la distanza pesi più di tanto…
Un giorno ricevetti una cartolina da Boccadasse. Era indirizzata a Salvo Montalbano, presso il commissariato di Vigàta. C'era scritto: «Mi sto cominciando a stancare dei tuoi sì e dei tuoi no, delle tue tergiversazioni, delle tue bugie. Non so quanto resisterò, ma per ora ti amo», firmato Livia. Ecco, lei avrebbe avuto ragione a scrivere questo.
E se Livia scrivesse veramente questa lettera, aggiungendo un aut aut: o mi sposi, oppure ti lascio?
Lei non glielo darà mai l'ultimatum. È più furba di lui.
Perché Montalbano rimane un eterno fidanzato?
Un matrimonio regge se ci si sposa con un certo grado di maturità, quando si è disposti a limare gli spigoli dei propri caratteri. Ma i matrimoni in età matura o sono matrimoni rassegnati o sono destinati a finire. Il protagonista dei miei romanzi comincia ad avere una certa età, e non si è mai voluto sposare.
Quindi dobbiamo escludere in futuro il loro matrimonio?
Questo io non lo so. Salvo ha già 55 anni. Forse pensa più alla pensione (fare il poliziotto è un mestiere usurante) che alle nozze.
Ma alla sua età non sente il desiderio di avere un figlio?
C'è stato un momento in cui ha sentito questo bisogno. Nel “Ladro di merendine” si affeziona a François, un bimbo tunisino rimasto orfano. Pensa anche a un'adozione, ma finisce per rinunciarci.
Segno che Montalbano, con gli anni è diventato più maturo. Anche Livia è cambiata?
No, lei non si è evoluta molto. Crede a poche cose ma ci crede veramente e con costanza.
Il loro diverso modo di vedere le cose, in qualche modo, rappresenta il divario fra Nord e Sud?
Rappresenta un modo diverso di ragionare. Quello di Livia è più freddo e più oggettivo. E io ne so qualcosa: mia moglie è di Milano. Queste donne del Nord hanno una capacità di oggettivazione diversa rispetto ai siciliani che buttano cavallo e carretto. Da ragazzo mi accendevo come un fiammifero. Le siciliane quando mi arrabbiavo mi dicevano: «Perché te la prendi!». E io mi arrabbiavo quattro volte di più. Quando ho conosciuto mia moglie, e capitava di discutere, lei sulle prime mi dava sempre ragione. Dopo venti minuti, poi, veniva e mi diceva: «Se ci pensi bene, però, hai torto». E io a mente fredda mi accorgevo che non si sbagliava. Anche Livia è così: grazie alla calma, riesce ad avere ragione di Salvo.
Però non riesce a distrarlo dalla debolezza per «l’odore di fimmina e di letto». In decine di romanzi non ha mai tradito, però ha già incontrato donne che lo hanno tentato.
È vero, avrebbe potuto tradire. Si conserva fedele fisicamente ma, in realtà, non lo è con la mente. Ingrid, una svedese che incontra in “La forma dell'acqua”, gli piace moltissimo. Per lei sbarella, ma alla fine si controlla. Non è poi detto che il tradimento (che è una parola grossa) sia indispensabile nella vita di un uomo. Conosco tanti miei coetanei che hanno fatto a meno dell'infedeltà.
E Livia è a conoscenza di questi «tradimenti morali»?
Credo di sì, ma è sicura del suo uomo. È lui semmai che pensa di essere superiore a Livia, non accorgendosi che, come tutte le donne, gli fa fare quello che vuole.
Come nasce la figura di Livia?
Negli anni 50 ho conosciuto una ragazza che mi portò a Boccadasse e ne io rimasi incantato. Così mi è venuto naturale collocare la fidanzata del mio protagonista in questa città.
È stata una sua fidanzata?
È stata una storia durata una ventina di giorni. Ma quando sono andato a Genova a presentare “La mossa del cavallo” si è presentata una vecchietta ed era proprio Livia di Boccadasse dopo quarant'anni. Siamo rimasti amici.
Confessi, Camilleri: non è che le donne di Montalbano sono in buona parte anche le sue?
Assolutamente no! A Montalbano ho solo prestato alcune caratteristiche dei siciliani Per carità, non è che questo personaggio mi stia così simpatico. Sono felicemente sposato da 45 anni e vivo circondato dall'affetto di mia moglie, delle mie figlie e delle mie nipoti. Insomma, a me le mie donne piace averle vicine.
Ignazio Marino
 
 

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C’era una volta in Sicilia

Secondo dei due “Meridiani” dedicati all’opera di Andrea Camilleri, il volume (curato dal critico  Salvatore Silvano Nigro, che firma pure l’ottima introduzione) raccoglie i nove romanzi d’ispirazione storica e civile dell’autore, ambientati in Sicilia in un periodo - con l’eccezione de “La presa di Macallé”, che si svolge in epoca fascista -  compreso tra la fine del Seicento e l’Ottocento. Si tratta di “Un filo di fumo” (1980), “La strage dimenticata” (1984), “La stagione della caccia” (1992), “La bolla di componenda” (1993), “Il birraio di Preston” (1995), “La concessione del telefono” (1998), “La mossa del cavallo” (1999), “Il re di Girgenti” (2001), “La presa di Macallé” (2003). A detti lavori, disposti in ordine cronologico di pubblicazione, segue una sezione intitolata “Archivio”, nella quale trova posto il racconto “Ballata per Fofò La Matina” (1985) - quasi un abbozzo de “La stagione della caccia” - ed un dossier mai edito di finti documenti storici e bibliografici, destinati ad accompagnare il testo de “Il re di Girgenti”.
Il metodo seguito da Camilleri nell’approccio alla materia narrata è qui, più o meno, sempre lo stesso: prendendo spunto da avvenimenti reali di cui trova traccia in carte ed archivi siciliani del Settecento e dell'Ottocento, egli inscena vicende immaginarie ricche di suggestione. Costantemente in bilico tra comicità e tragedia, i personaggi al centro delle storie servono a farci meglio comprendere le condizioni sociali ed economiche del tempo ed ancor meglio la realtà, la cultura e le tradizioni dell’isola. Adoprando sovente - come, prima di lui, il suo illustre conterraneo Leonardo Sciascia - i meccanismi del giallo d'inchiesta, lo scrittore di Porto Empedocle si muove in un paesaggio dominato da squilibri e ingiustizie:  tra accadimenti delittuosi e intrighi, egli delinea un quadro di sopraffazioni da parte delle classi alte, servendosi del consueto - ed inimitabile - miscuglio di lingua e di dialetti.
Dalla beffa ordita senza successo da un intero villaggio nei confronti dell’arricchito Totò Barbabianca in “Un filo di fumo” all’evocazione delle verità cadute nell’oblio - sul modello del  Manzoni della “Storia della Colonna infame” - nel vigoroso “La strage dimenticata”, dalla terribile vendetta di Fofò La Matina nei confronti della famiglia che lo umiliò da ragazzo ne “La stagione della caccia” alla movimentata prima teatrale nel teatro di Vigata del memorabile “Il birraio di Preston”, sino alla celebrazione della volontà del popolo ne “Il re di Girgenti” ed alla denuncia della “anormalità politica e morale di qualsivoglia dittatura” (S.S.Nigro) ne “La presa di Macallé”, il magistero di Camilleri si dispiega pieno e potente: ad indicare, se mai ve ne fosse bisogno, quanto egli sia degno di far parte a pieno titolo del pantheon degli scrittori trinacri.
Francesco Troiano
 
 

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Anche gli investigatori invecchiano

Sarà il lento ma implacabile trascorrere degli anni, o la lunga e forzata immobilità dovuta al colpo di pistola rimediato nell’indagine precedente, od ancora la sensazione che anche la propria vita privata è ferma in uno stallo che ha i crismi della definitività: fatto sta che il Montalbano protagonista de “La pazienza del ragno”, ottavo romanzo della saga dedicata al più celebre poliziotto della letteratura indigena, è un uomo stanco e scorato, un indagatore che non  comprende o condivide del tutto le ragioni del proprio mestiere. L’avevamo lasciato, alla fine del precedente “Il giro di boa”, in un letto d’ospedale, ferito alla spalla al termine di un’inchiesta sul traffico di bambini: lo ritroviamo, poche settimane dopo, nella sua casa, alle prese con una difficile convalescenza resa appena meno gravosa dalla presenza di Livia, la fidanzata storica giunta da Genova per curarlo amorevolmente. L’umore del Nostro è, tuttavia, “nivuro” come nei momenti peggiori: lo assalgono i ricordi delle interminabili giornate trascorse in ospedale, tra sale operatorie e camici svolazzanti, tormentato da un’insonnia indomabile. Peggio ancora, lo strazia una malinconia senza fondo, figliata forse da “quel qualcosa che l’aviva marchiato mentre il proiettile gli spurtusava le carni”: una sorta di basso continuo, una immedicabile sensazione d’inutilità che gli traversa di continuo la mente. E’ quasi per distrarsi, o per fare un favore al collega investito della faccenda, che egli decide di interessarsi del misterioso rapimento di una ragazza che frequenta il primo anno di università: il mistero sta nel fatto che - a differenza di tanti sequestri comuni, con annessa richiesta di riscatto - qui la famiglia della giovane, un tempo assai benestante, è ormai ridotta (come tutti a Vigàta sanno) quasi in miseria. Risulta, perciò, presto evidente che il vero destinatario della manovra è lo zio materno: un imprenditore disinvolto, che ha fatto fortuna irridendo disinvoltamente le leggi o servendosene a proprio uso e consumo, prossimo alla candidatura nelle liste del partito di governo Progresso Italia. Lo scioglimento dell’enigma è meno complesso di quel che può parere, e Montalbano ci arriva col ragionamento e l’intuizione come di consueto, più l’aiuto d’un libro di Simenon finito dietro il tavolino da notte e la tela che un ragno tesse su un cespuglio: ma è una soluzione che il commissario sceglie di non rendere pubblica, secondando il suo “pirsonale criterio di giudizio supra a ciò che era giusto e ciò che era sbagliato”. Si conclude così questo “giallo” atipico, senza cadaveri, con un Montalbano che si commuove con sospetta frequenza ed addirittura paventa i segni della vecchiaia (“non potiva trattarsi di un principio di rincoglionimento senile?”). L’ultima pagina dice di una “acquata violenta”, di quelle che di solito chiudono l’inverno ed aprono spiragli alla primavera: portatrice, chissà, di rinnovate speranze...
Francesco Troiano
 

 


 
Last modified Sunday, January, 29, 2023