RASSEGNA STAMPA
AGOSTO 2005
Donna Moderna, 1.8.2005
Letture estive
Questo mese ho voglia di... indagare
Andrea Camilleri, Luna di carta
E con chi altri se non con il commissario Montalbano? Alle prese, nel
nuovo romanzo, con un omicidio che a prima vista sembra una vendetta d’amore,
ma che, a mano a mano che le indagini si addentrano nella rete di menzogne,
intrighi politici e passionali, diventa un caso complesso. Soprattutto
per Montalbano: chi lo conosce sa che è un uomo indipendente ma
fedelissimo alla storica fidanzata. Questa volta, però, viene insidiato
da una donna sensuale, quasi morbosa, e il suo abituale autocontrollo viene
duramente messo alla prova. I risvolti privati (e piccanti) delle indagini
rendono la lettura ancora più gustosa.
Elena Dallorso
ANSA, 2.8.2005
Tre giorni nel bolognese per indagare i misteri d'Italia
Bologna - Tre giorni ''d'indagine su misteri irrisolti e omissis inquietanti
della nostra Repubblica'', per ''una sfida civile e culturale insieme che
trova senso e radici nella storia di questa provincia che ha drammaticamente
fatto da sfondo alla barbarie di stragi come quella del 2 agosto o dell'
Italicus, o all'efferatezza degli innumerevoli omicidi degli assassini
della Uno Bianca''. E' 'Politicamente scorretto-la letteratura indaga i
gialli della politica', iniziativa che, dal 21 al 23 ottobre, chiamera'
a Casalecchio di Reno (Bologna) scrittori, magistrati, giornalisti e artisti.
L'iniziativa prevede proiezioni di film, incontri e dibattiti ma per
Paola Parenti, assessore alla cultura del comune del bolognese, ''non sara'
un Festival''. Perche' se da un lato ''e' vero che la divulgazione, a volte
anche in chiave ludica, e' un ottimo strumento comunicativo per facilitare
l'approccio a svariati 'saperi' di tante persone, in questo caso a guidarci
sara' il rigore, nella consapevolezza che la materia che tratteremo e'
intrisa di lutti e sofferenze e non daremo spettacolo dei gialli della
politica, ma cercheremo insieme di capire per non dimenticare, anche per
cercare di affrontare con maggiore lucidita' il clima di questi giorni''.
Il progetto e' nato grazie alla collaborazione dello scrittore Carlo
Lucarelli, e hanno gia' aderito, per il comitato scientifico, Andrea Camilleri
e il magistrato Libero Mancuso.
''Si tende a non parlare della nostra storia perche' c'erano coinvolti
dei poliziotti - ha detto Rosanna Zecchi, dell' Associazione dei parenti
delle vittime della Banda della Uno Bianca, che ha aderito all'iniziativa
presentata proprio nella sua sede - Bisogna invece parlarne. L'altro giorno
ero con il mio nipotino a Cattolica. Ha voluto allontanarsi da un cassonetto
perche' pensava potesse esserci dentro una bomba. Penso che quando un bimbo
di 10 anni e' cosi spaventato da queste cose, abbiamo il dovere di spiegare,
raccontare anche per tranquillizzare i nostri giovani''.
''A volte riferire solo quello che si e' accertato e' banale - ha spiegato
Mancuso - perche' rischia di non avere l'interesse che meriterebbe se invece
venisse raccontato nella chiave giusta''.
''Ci interessa mettere assieme la memoria, la storia e i misteri, perche'
la nostra storia e' fatta anche da tutti questi misteri irrisolti - ha
spiegato Lucarelli - ma al contempo vedere come un certo tipo di letteratura
ha contribuito a svelare quei meccanismi, per capire anche se esista oggi
una nuova frontiera del giallo''. Tra le cose che infatti per Lucarelli
ha sempre 'fatto' lo scrittore di gialli ce n'e' una particolare: ''ficcare
il naso nelle cose che non vanno e raccontarle''. Riuscendo cosi' a fare
cio' che, a volte, giornalismo e storia non riescono a fare: ''mettere
in scena meccanismi, spiegare cosa vuol dire 'pensare male', per vedere
cosa c'e' dietro le cose che vediamo in superficie''.
I Viaggi di Repubblica,
4.8.2005
Viaggi paralleli
Camilleri - Zingaretti
Andrea Camilleri: Nato a Porto Empedocle, vergine. Il re del giallo,
sempre in testa alle classifiche. E' il creatore del commissario Salvo
Montalbano.
Luca Zingaretti: nato a Roma, scorpione. Attore impegnato, di grande
talento e amato dal pubblico. E' il commissario Montalbano nella fiction.
Il primo viaggio senza genitori. Dove e con chi?
Camilleri: A Firenze, avevo 14 anni, per un raduno della gioventù
fascista.
Zingaretti: A Palinuro a 14 anni e mezzo, con dei miei amici.
Il viaggio più importante?
Camilleri: Il Cairo. Andarci la prima volta è stato come ritrovarmi.
Zingaretti: Parigi, a 30 anni, mi ha stregato. E' l'unica città
dove vivrei.
Le vacanze da piccolo con i tuoi?
Camilleri: In una casa in campagna vicino Porto Empedocle, con zii
e cugini.
Zingaretti: Senigallia, sulla riviera adriatica.
Un posto dove sogni di andare?
Camilleri: A 80 anni non si sogna più. Ma a nord, verso la Finlandia.
Zingaretti: Cuba, prima che muoia Fidel Castro.
Il viaggio più pazzo che hai fatto?
Camilleri: Mai fatto. Sono stato pazzo a farmi 13 ore di aereo, ho
il terrore.
Zingaretti: Londra in autostop, da solo. Ho dormito in un cimitero.
Il compagno di viaggio ideale?
Camilleri: Un libro.
Zingaretti: Con Bruno Armando in Bretagna a guardare per ore il panorama.
Con chi partiresti subito e per dove?
Camilleri: Con il primo che capita, purchè sia gradevole e intelligente.
Zingaretti: A vedere Bahia con Jorge Amado.
Cosa non manca mai nella tua valigia?
Camilleri: Libri, libri, libri... una penna biro e della carta.
Zingaretti: Il caffè e la macchinetta elettrica.
Un viaggio nel tempo. Dove andresti?
Camilleri: Nel '700 della rivoluzione.
Zingaretti: Nel '900. E' stata l'ultima generazione positiva.
Sushi o riso alla cantonese?
Camilleri: Risi e bisi.
Zingaretti: Spaghetti al pomodoro.
In cosa siete diversi?
Camilleri: Nell'età.
Zingaretti: Lui c'ha 'na capoccia così! Io no.
Tratti in comune?
Camilleri: La passione per la lealtà.
Zingaretti: Quel senso di giustizia "montalbanesco".
Un pregio dell'altro?
Camilleri: La chiarezza.
Zingaretti: E' un grandissimo affabulatore.
Che meta sceglieresti per fare un viaggio con l'altro?
Camilleri: Tornerei in Africa dove lui è già stato per
girare un documentario.
Zingaretti: Dappertutto, scelga lui.
La prossima partenza: dove vai e con chi?
Camilleri: Sicilia. Spero di muovermi ancora per un'altra laurea ad
honorem.
Zingaretti: Un tour dell'America Latina con un gruppo di amici.
Emanuela Giovanni
Gazzetta del Sud,
5.8.2005
«La luna di carta» di Andrea Camilleri
Montalbano indaga sfiduciato fra torbide vicende di provincia
Un Montalbano, questa volta stanco e un tantino sfiduciato (forse si
prepara ad andare fra non molto in pensione o a uscire di scena?) è
alle prese con un'indagine su un delitto apparentemente ordinario, ma che
ha sullo sfondo della scena cadaveri eccellenti e torbide vicende di vizi
di provincia e di droga. La trama di «La luna di carta» (Sellerio,
pagine 267, euro 11), ultimo, in ordine di uscita, romanzo di Andrea Camilleri,
è fosca e melmosa e s'intesse di contesti degradati che affondano
nella palude di una società decaduta e in stato di abbandono, che
solidarizza con una politica governativa, «drogata di ordinaria anormalità»,
come scrive Salvatore Silvano Nigro nelle «alette» di copertina
del libro. I personaggi dei romanzi di Camilleri, della serie dedicata
alle imprese del commissario di polizia Salvo Montalbano anche questa volta,
ci sono tutti: dall'irresistibile agente Catarella, alle prese con lo stravolgimento
della lingua sicula, al vice di Montalbano, Mimì Augello, ormai
accasato e con prole a carico, al questore rompiscatole e al suo capo gabinetto
Lattes, viscido e burocratico, che sta antipatico al commissario di Vigàta.
I fatti, per quest'ultimo episodio di cronaca da cui si dipana la storia
che ci racconta Camilleri, riservano al lettore, come in ogni giallo che
si rispetti, succulenti colpi di scena e circostanze, dal punto di vista
mediatico, sufficientemente morbose e quindi interessanti. Un informatore
medico scientifico, morto ammazzato con un colpo di pistola in faccia,
viene trovato, da un Montalbano che sfonda a spallate la porta della dependance
dell'appartamento dove l'uomo abitava, in posizione tale da far presupporre
di essere stato ucciso durante o alla fine di un rapporto sessuale. Nell'intreccio
dell'indagine, si fanno largo due donne, la sorella dell'uomo ucciso e
l'amante, segreta ma non tanto. Montalbano ha a che fare con queste due
astute e ingannevoli donne, nel cui passato emergono precedenti storie,
sfuggenti e per niente limpide, raccontate con una scaltrezza tale che
Montalbano deve tirare fuori tutta la sua abilità di poliziotto
per evitare di essere depistato e finire in un vicolo cieco con la sua
indagine. Ma, anche se stanco e svogliato, il commissario che non disdegna,
come al solito, la buona cucina e continua ad amare la sua Livia lontana,
storica fidanzata, riesce a non scivolare e cadere nelle trappole disseminate
sul suo cammino investigativo. Non abbocca alle esche e non crede più
che in cielo la luna è fatta di carta, come una volta da «picciliddro»,
per «babbiarlo», gli aveva fatto credere il padre. Le due donne,
che duellano con abilità e malizia nello sgranarsi della storia,
volevano fargli credere che la luna era fatta di carta e lui ancora una
volta stava per fidarsi, ma, ormai uomo maturo e poliziotto, la verità
era sua dovere farla venire a galla. Il giallo della morte dell'informatore
medico scientifico, che poi era un ex medico radiato dall'albo, trova una
soluzione che a un certo punto non è difficile intuire, ma per arrivare
alla verità, Camilleri conduce Montalbano lungo vie tortuose, disseminate
di passioni irascibili e di successioni sceniche teatrali, impregnate della
maestria e dell'antica cultura dell'autore e regista Andrea Camilleri.
Se non sbagliamo, «La luna di carta» è il nono romanzo
della coppia Camilleri-Montalbano, una lunga serie di narrazioni che comincia
con «La forma dell'acqua» e prosegue con altre storie che hanno
appassionato il pubblico di lettori dello scrittore siciliano, un fenomeno
letterario «stabilizzato» e consolidato nel panorama narrativo
italiano. Il mitico commissario Montalbano, alle prese con l'ultimo intricato
caso poliziesco s'interroga, diremmo con un poco di vanità, sulla
sua incipiente vecchiaia e riflette, con rimpianto del passato, sui sintomi
che tradiscono la ruggine degli anni. Ma ne esce alla grande e ripara a
qualche colpo perduto con la consueta bravura e l'umiltà del professionista
che ansiosamente cerca la verità per mestiere e per scelta di vita.
Forse anche per questo i lettori amano Montalbano.
Domenico Nunnari
La Repubblica - Almanacco
dei libri, 6.8.2005
Nella storia di Bacab, diavolo figlio di un demone d'aria e di una
picciottedda di Canicattì, è possibile trovare anche luciferine
e ironiche allusioni all'Italia di oggi
Il diavolo che tentò se stesso
Andrea Camilleri
"Il diavolo che tentò se stesso" è un racconto-introduzione
che Andrea Camilleri ha dedicato al celebre libro di Jacques Cazotte, "Il
diavolo innamorato", ristampato da Donzelli nella traduzione di Gaia Panfili,
che arriverà nelle librerie dopo ferragosto.
Lo scrittore siciliano, padre del commissario più amato dai
lettori, ha pubblicato un'altra inchiesta di Montalbano, "La luna di carta",
che ha venduto più di 450mila copie a solo un mese dalla sua uscita.
Castelbuono,
10.8.2005
Vigàta
mon amour
In scena una versione rinnovata del lavoro teatrale tratto dalle opere
di Andrea Camilleri.
Napoli.com, 10.8.2005
Francesco Paolantoni in crisi esistenziale
[…]
Il tuo calendario è fitto. Per l’inverno che novità
ci sono?
“Ottobre, novembre e dicembre sarò con la Compagnia dello Stabile
di Catania dove presenterò un lavoro di Andrea Camilleri, una sua
traduzione teatrale dello spassosissimo libro "La concessione del telefono"…
Parlerò in camilleriano!
[…]
Alessandra Giordano
L'Arena, 10.8.2005
Saranno capaci di tacere e sprofondare nella lettura? Intanto hanno
portato in valigia qualche volume nei luoghi di villeggiatura
Tutti i libri dei politici in vacanza
Tra saggi, romanzi e perfino poesie giapponesi non manca Camilleri
Abituati a parlare in aula, parlare nei talk show, parlare nei comizi
di partito, i politici in vacanza saranno capaci di tacere e sprofondare
nella lettura di un libro? L’intenzione, almeno quella, c’è: tutti
hanno portato con sè qualche volume. Come ogni estate, giurano che
ci si metteranno d’impegno; anche se poi la lettura preferita (o obbligata)
sarà come sempre quella delle notizie e dei commenti politici dei
giornali.
[…]
Per una volta più vicino a Rutelli, il leader del centrosinistra
Romano Prodi si dedicherà «obtorto collo» alla lettura
di studi e dossier di argomento economico da utilizzare per il programma
dell’Unione; anche se non dispera di ritagliarsi qualche ora per la lettura
dell’ultimo Camilleri.
[…]
Si sbaglierebbe a pensare che i politici non leggono romanzi.
[…]
«La luna di carta» di Camilleri riscuote successo soprattutto
nel centrosinistra: seguiranno l’ultima inchiesta del commissario Montalbano
il verde Pecoraro Scanio e il capogruppo della Margherita Willer Bordon.
[…]
Marco Dell'Omo
Thriller magazine,
12.8.2005
Tanti auguri Andrea Camilleri
Il 6 settembre il celebre scrittore compirà 80 anni e i suoi
più fedeli lettori hanno organizzato una sorpresa...
Andrea Camilleri è senza dubbio uno degli scrittori più
conosciuti e amati in Italia negli ultimi anni.
Il successo ottenuto dal suo commissario Salvo Montalbano, che lo ha
portato alla popolarità, e la sua vasta e varia produzione in ambito
non solo letterario gli hanno fatto conquistare l'affetto di un vasto pubblico.
A partire dal 1997 è stato fondato anche un fans club dedicato
a Andrea Camilleri. Il sito del fans club è www.vigata.org, dove
è raccolto un vastissimo materiale rigurdante lo scrittore: una
completa rassegna stampa, reportage di eventi e manifestazioni, nonchè
ricerche all'interno dei libri e molto molto altro.
Proprio il Camilleri Fans Club, che lo segue sempre con stima e affetto,
ha deciso di organizzare una simpatica iniziativa in occasione del compleanno
dello scrittore.
Il 6 settembre, infatti, Andrea Camilleri, compirà 80 anni e
il club di Vigata.org ha deciso di portargli i suoi migliori auguri in
una maniera originale.
Che regalo più bello, per un uomo che ha saputo far conoscere
e amare la Sicilia in tutto il mondo, se non quello di un giro del globo
virtuale?
L'iniziativa, infatti è quella di inviare a Andrea Camilleri
cartoline d'auguri da ogni parte d'Itaia e non solo, che saranno raccolte
dal direttivo del fans club in un album e recapitate all'autore.
Tutti coloro che volessere partecipare possono trovare tutte le informazioni
necessarie a questo link https://www.vigata.org/auguri.shtml.
Naturalmente anche la redazione di Thriller Magazine si unisce al coro
di auguri per questo autore, che si impone nel panorama del giallo italiano
in posizione assolutamente predominante.
Chiara Bertazzoni
ANSA, 14.8.2005
News - In primo piano
Camilleri re dell’estate nonostante il Sudoku
Roma - Andrea Camilleri best seller incontrastato dell'estate, Down
Brown record di resistenza, e il Su doku a scalfire le loro granitiche
posizioni in classifica. Cosi' appare il quadro dei libri piu' venduti
nell'estate.
[…]
L'affetto per Camilleri tiene ''La luna di carta'' (Sellerio) ultima
avventura di Montalbano (sembra sia proprio l'ultima se lo scrittore siciliano
non cambiera' idea) inattacabile al primo posto.
E al secondo troviamo ancora un racconto di Camilleri ''il Medaglione'',
con protagonista il maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato, si tratta
di un racconto scritto per il calendario dell'arma nei secoli fedele ripubblicato
da Mondadori. Ma un Camilleri appare pure in ''Crimini'' (Einaudi Stile
libero), che raccoglie i racconti dei migliori narratori noir italiani
(da Carlo Lucarelli a Nicolo' Ammanniti da Giorgio Faletti ad Andrea Camilleri
appunto), contribuendo a sospingerlo verso l'alto della Top Ten.
[…]
La Repubblica
(ed. di Palermo), 14.8.2005
Il fenomeno dei narratori siciliani entra nelle aule universitarie
del resto d´Italia e d´Europa
Scrittori da centodieci e lode
Camilleri e Piazzese diventano argomenti di tesi di laurea
Un´austriaca ha scritto sui personaggi femminili del giallista
di "Via Medina"
A Tunisi è stato esaminata la lingua del papà di Montalbano
Se una volta non era affatto facile che uno scrittore vivente facesse
il suo ingresso nelle aule delle nostre università, in qualità
di autore cui dedicare una tesi di laurea, negli ultimi anni invece le
cose stanno cambiando: gli scrittori contemporanei stanno scalzando i loro
colleghi più celebrati. Messi quasi in quarantena Pirandello, Brancati
e Sciascia, forse anche per eccesso di accanimento scientifico, oggi le
porte degli atenei si aprono ai romanzieri ancora palpitanti. E dunque,
ecco i giovani studenti universitari alle prese ora con la lingua pirotecnica
di Andrea Camilleri, ora con i meccanismi narrativi dei romanzi di Santo
Piazzese. Perché, se si dovesse oggi indicare una linea di tendenza,
si potrebbe dire che i giallisti la fanno da padrone. Sono loro, infatti,
gli autori prediletti dai laureandi: vuoi per la forza trainante che un
genere sempre verde come il noir sprigiona, vuoi per la possibilità
di accostare punti di vista e peculiarità di personaggi diversi.
Andrea Camilleri, in un´ipotetica classifica universitaria, occupa
senza dubbio il primo posto: sulla sua miscela linguistica continuano a
scervellarsi studenti italiani ma soprattutto stranieri, affascinati dalle
potenzialità linguistiche dello scrittore empedoclino. Come nel
caso di Amira Krifa, che nell´anno accademico 2003/2004 si è
laureata all´Istituto superiore di lingua di Tunisi, con una tesi
su "La lingua siciliana tra passato e futuro", il cui secondo capitolo
è dedicato alla presenza del dialetto siciliano nelle opere di Andrea
Camilleri. Indicato come l´autore che ha contribuito coi suoi romanzi
alla rinascita del dialetto siciliano, Camilleri - scrive Amira Krifa -
«ha compiuto un´operazione di tipo lessicale, non di sintassi.
Nei suoi romanzi ci sono dei termini dialettali ma l´impianto resta
italiano. Così facendo, è riuscito ad inventare un dialetto
letterario inimitabile e amatissimo dal pubblico dei lettori».
Sulla commistione dei codici linguistici praticata da Camilleri ha
basato la sua tesi il siciliano Giovanni Di Stefano, che si è laureato
nella sessione di giugno 2004 alla Libera Università di Lingue e
Comunicazione Iulm di Milano. Di Stefano ha preso in considerazione le
varietà linguistiche nei romanzi polizieschi di Camilleri, cercando
di fornire una spiegazione del successo straordinario ottenuto dall´autore
del "Birraio di Preston". Ha preso corpo nella tesi di Di Stefano una sorta
di diagramma linguistico, quasi una funzione algebrica dell´alchimia
verbale di Camilleri.
Per quanto riguarda invece Santo Piazzese, tre sono le tesi di laurea
già discusse che lo riguardano: nella prima, di Mariangela Agnone,
viene indagato l´impianto linguistico e stilistico dell´ultimo
suo romanzo, "Il soffio della valanga". Nella seconda, dell´austriaca
Evelyn Schwenner, a campeggiare sono invece le figure femminili, non solo
dell´autore dei "Delitti di via Medina-Sidonia", ma anche quelle
di Leonardo Sciascia e di Andrea Camilleri. La terza tesi riguarda direttamente
Santo Piazzese e il romanzo giallo siciliano: l´autrice si chiama
Marta Forno, una quarantenne già laureata in Statistica, ma con
la passione debordante per la letteratura siciliana. «Questo pullulare
di tesi sul mio conto - commenta Santo Piazzese - mi lusinga, certo, ma
nello stesso tempo mi imbarazza. Sono dell´avviso che gli autori
da prendere in considerazione, in ambito universitario, devono avere due
caratteristiche: essere di chiara fama, e possibilmente defunti.
Salvatore Ferlita
Stilos, 16-29.8.2005
Primo piano - Carofiglio, il vincitore del Bancarella
L'impegno civile è uno sbotto di rabbia
Tre romanzi, due seriali e uno sociale
Con "Il passato è una terra straniera" si afferma tra i maggiori
narratori italiani situandosi in un'area che non è solo di genere
L'esplorazione della società barese diventa strumento per denunciare
i mali dell'Italia
[...]
"Io credo che ci potranno essere una serie di opinioni differenti su
una serie di aspetti della lingua di Camilleri, ma certamente lui è
uno che sa costruire le storie, su questo non c'è dubbio. Non vado
pazzo per il linguaggio che usa, appunto, ma trovo che abbia una straordinaria
tecnica narrativa, di costruzione delle storie; ha ritmo narrativo ed incastro."
[...]
Maddalena Bonaccorso
La Repubblica
(ed. di Palermo), 17.8.2005
La curiosità. Intossicati gli ospiti di Camilleri
Giallo a tavola colpevole il gelato
Ci sarebbero anche alcuni ospiti dello scrittore empedoclino Andrea
Camilleri tra le dodici persone che sono state ricoverate nei giorni scorsi
all´ospedale di Caltanissetta perché affette da salmonellosi.
I dodici, sette romani e cinque agrigentini, avrebbero contratto il virus
in un noto locale situato nella Valle dei Templi dopo avere mangiato del
gelato artigianale. Subito dopo i primi malori si sono recati al pronto
soccorso dell´ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento e successivamente,
in mancanza di un reparto malattie infettive, tutti sono stati trasferiti
al Sant´Elia di Caltanissetta. Immediatamente sono scattati i controlli
del Dipartimento di prevenzione dell´Ausl 1 di Agrigento che ha imposto
la sospensione dell´attività del locale, almeno fino a quando
non sarebbero stati pronti gli esiti dei controlli eseguiti. Fino a ieri,
però, il locale in questione era regolarmente aperto.
f.r.
Il Giornale, 17.8.2005
Scerbanenco. Delitto e intrigo
«Che si potesse scrivere il giallo italiano io l'ho pensato dal
primo momento». Così raccontava tempo fa Andrea Camilleri
in un bel corsivo intitolato «Alcune cose che so di Montalbano»,
in cui cercava di spiegare l'origine letteraria ed emozionale del suo celeberrimo
personaggio.
Camilleri proseguiva così: «Non ho mai creduto che la
condanna del giallo italiano, come si continuava a dire allora, fosse l'implausibilità.
Augusto De Angelis l'aveva già dimostrato con il suo commissario
De Vincenzi che l'ambientazione italiana era plausibilissima per un giallo.
Non parliamo poi di Scerbanenco che è stato un grande anticipatore
della realtà. Quando noi leggevamo romanzi crudelissimi come “I
milanesi ammazzano al sabato pensavamo” “va bè, ha una fantasia
volta al male, poveraccio”. Invece non era così, lui sapeva come
sarebbero andate a finire le cose. Prevedeva. Quando lessi la Milano di
Scerbanenco, così viva, così al di fuori di ogni tipo di
convenzione e di luogo comune, mi sentii autorizzato anch'io a dare nomi
italiani, ambientazioni italiane ai miei personaggi,
alle mie storie. Questo adesso può apparire scontato, ma per
gli scrittori della mia generazione non lo era».
A chi leggerà l'antologia che comprende 34 “Racconti neri” di
Giorgio Scerbanenco, da poco edita da Garzanti (pagg. 466, euro 16), il
commento di Camilleri sembrerà estremamente calzante. Nessuna di
queste storie pare invecchiata con il passare del tempo e tutte potrebbero
essere state scritte ai nostri giorni. Molte paiono prese dalle pagine
della recente cronaca nera, altre potrebbero essere tranquillamente lucidi
resoconti del periodo della Seconda guerra mondiale raccontati attraverso
gli occhi di contadini, partigiani e ufficiali tedeschi. Vari gli scenari
presi in esame, dalla classica Milano Calibro 9 alla non meno venefica
Emilia di Ferrara e Collecchio, dalla riviera di Lignano alle assolate
lande greche di Olimpia e del lago di Giannina, dagli affollati boulevard
di Parigi alle polverose strade di un'anomala Odessa texana.
Nessuna delle storie raccontate ha un finale consolatorio, tutte lasciano
l'amaro in bocca per il loro modo realistico di raccontare lo svolgimento
dei fatti. Si tratta di racconti apparsi fra il 1959 e il 1970 su Novella
2000, Annabella, Stampa Sera, Sogno. Alcuni erano già apparsi nelle
raccolte “La notte della tigre” e “Millestorie” (da tempo irreperibili
sul mercato) e solo 8 non erano mai stati raccolti in volume (Mai domandare
alla gatta se ti vuole bene, Le ricerche continuano, Più forte del
killer, La fabbrica delle vedove, Perché vivere se puoi morire?,
Delitto all'italiana, Diario per un assassino e O mi aiuti o mi ammazzo).
Come sottolinea acutamente Carlo Lucarelli nell'introduzione, le storie
che Scerbanenco racconta «non sono storie delicate e queste lo sono
ancora meno di tante altre. Sono storie nere, nerissime, storie di delitti
efferati, di sentimenti abbietti, di trasgressioni e devianze, di bassifondi
brutti e di ambienti alti anche peggio. Sono le stesse storie maledette
che potremmo trovare nei racconti disperati di James Hadley Chase, in quelli
crudissimi di James Ellroy, nei romanzi noir di Patrick Manchette e Leo
Malet. Solo che queste sono storie nostre, ambientate in un'Italia di ieri
l'altro che non ha quasi niente di diverso da quella di oggi, perché
potere e politica, delitti e passioni, mafia e criminalità più
o meno o per niente organizzata sono ancora gli stessi, e che la gente
giri in Cinquecento, che i lavoratori siano ancora soprattutto gli operai
e che le ragazze portino gli stivaloni a mezza gamba, il cappottino corto
con i bottoni grandi e i capelli alla Patty Pravo, sono soltanto dettagli».
Giorgio Scerbanenco scrisse con una «frequenza infernale»
fin dagli inizi della sua carriera, nel 1931, mantenendo la sua produzione
costante fino al 1969 e frequentando tutti i generi possibili:
il nero, il giallo, il rosa, il western, la fantascienza, l'avventura,
le storie di guerra. «Se dovessimo per forza definire il genere di
appartenenza di Scerbanenco - aggiunge ancora Carlo Lucarelli -, se proprio
ci fossimo costretti con una pistola puntata alla schiena, tanto per restare
in tema, allora dovremmo dire che il suo genere è la narrativa,
punto e basta».
E sbirciando fra le tematiche sviscerate degli otto splendidi inediti
inseriti nella raccolta ci troviamo davanti a storie scritte con piglio
letterario forte che mostrano la capacità camaleontica di Scerbanenco
di immedesimarsi in storie e personaggi di diversa estrazione: un giovane
che trova una valigia piena di soldi e la usa per misurare la solidità
e la veridicità dei sentimenti della sua amante; una madre ossessionata
dalla scomparsa della sua bambina che accetta di varcare la soglia della
follia purché le indagini della polizia possano proseguire; una
narcotrafficante greca capace di «uccidere con amore»; un anziano
imprenditore torinese con l'insana passione per le bische che bara e finge
fino in fondo per vincere la sua ultima partita mortale con un losco mafioso;
una clinica parigina perfetta per eliminare i mariti anziani e far intascare
alle giovani vedove i premi stellari delle polizze sulla loro vita; un
supertestimone stanco di fuggire a continui attentati e disposto a tutto
per amore; uno squallido omicidio all'italiana fra poveri immigrati in
terra germanica; un giornalista che deve vendicare la tragica morte del
figlio punendo la moglie fedifraga che l'ha lasciato bruciare in casa;
un ginecologo alle prese con pazienti che minacciano il suicidio.
Come avrete capito quelli presi in esame sono racconti noir a tutti
gli effetti che ci mostrano uno Scerbanenco all'apice della sua produzione.
Sono storie appassionanti in cui, come dice sempre Lucarelli «si
sente una sensibilità appassionata, una partecipazione, una pietà
comunque e per chiunque, un dolore per quello che accade di brutto nel
mondo, in questo mondo, uno sguardo ferito. Nei racconti noir di Scerbanenco,
assieme alla suspense e al colpo di scena, alla tensione, alla violenza
e all'intrigo, c'è amore, un amore enorme per le storie brutte che
racconta e per i personaggi, sfortunati, tragici, disperati, ingenui, cattivi,
sbagliati e anche comici, che si trovano a viverle».
Luca Crovi
Il Tempo, 18.8.2005
Ne «Il medaglione» l’investigatore di un mistero siciliano
è un maresciallo
Un ipotetico medico di famiglia — con qualche sicura cognizione psicologica
— non avrebbe esitazioni nel consigliare qualche lettura estiva. Gli editori
aiutano il paziente sfoderando uno dopo l’altro testi che ti agguantano
dalla prima pagina e non ti lasciano più: non casualmente Andrea
Camilleri è da sempre in testa alle classifiche più o meno
sincere: lui, va bene d’inverno per le gelide sere in cui non ti va da
imbracarti in una telefiction, a meno che il protagonista non sia il commissario
Montalbano, e funziona anche sotto l’ombrellone in un torrido pomeriggio:
neanche a dirlo, eccolo con due libri costruiti su misura per questo tipo
di situazione, ma anche con quella tecnica sopraffina che lo ha designato
sicuramente il miglior nostro giallista del momento, con ogni rispetto
per tutti gli altri, in un contesto che abbonda di romanzi di questo tipo.
Dunque, eccolo Camilleri alle prese con due storie, una edita dal suo fedele
Sellerio, Luna di carta (pag. 265, 11,00 euro), l’altra negli Oscar mondadoriani,
Il medaglione (pag. 71, 7 euro). Nell’uno come nell’altro testo c’è
la duplice possibilità di realizzare una gita conoscitiva in un
ameno luogo siciliano, il delizioso Belcolle paese da cartolina, con una
barca sullo sfondo arenata su una montagna verde e giù in fondo
il mare inconfrontabile di Cefalù. Armi e bagagli e correre subito
sul luogo dove il simpatico maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato
cerca di capire perché e percome l’inconsolabile Ciccino è
ormai fuori di testa, dopo la scomparsa della moglie Marta. Ed ecco questo
Brancato/Montalbano dedicarsi all’inchiesta con tutte le armi indiziarie
in suo possesso. Se questo è il problema che sbuca fuori dalla lettura
accattivante de Il medaglione, la sfida con un testo come Luna di carta
è certamente più coinvolgente, poiché tante enormità,
in ogni campo e in ogni rapporto, che esistono nell’Italia di oggi così
difficile da farsi capire, emergono in chiara luce e non vengono sottaciute
da Camilleri, ovunque il suo randello vada a colpire. Insomma, la suggestione
del paesaggio sta lì, a portata di mano e di occhi, ma le magagne
ci sono tutte ed è un dovere dello scrittore riportarle in superficie,
dal mare melmoso in cui si nascondono. Dunque partiamo dal centro della
vicenda: c’è un cadavere, quello di un informatore farmaceutico,
ucciso con una fucilata in pieno viso mentre riposa sulla poltrona di casa.
È un poco di buono, e le condizioni censurabili in cui viene trovato
lo dimostrano in abbondanza. Non solo, ma l’indagine porta a scoprire che
in vita si circondava di una flotta di personaggi loschi e ambigui, politici
e corrotti a dir poco, amanti spietate, cocainomani sfaccendati, vogliose
sorelle, mafiosi, falsi testimoni, omicidi: insomma c’è di tutto
in questa lurida tana dove si rischia di finire anche con la tessera di
innocenti. Lui, Montalbano, stavolta deve usare armi diverse, altro che
Maigret o Poirot, qui ci vuole la riscoperta del mondo dell’infanzia, quando
la furbizia è dote più naturale che acquisita: «Quann’era
picciliddro, una volta sò patre per babbiarlo, gli aveva contato
che la luna ’n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia
in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto. E ora, maturo, sperto,
omo di ciriveddro e d’intuito, aviva nuovamente criduto come un picciliddro
a dù fimmine...» Sono due donne forti e invidiose, quelle
che vorrebbero incastrare Montalbano: sensuale e aperta l’una, misteriosa
e morbosa l’altra, capace di aprirsi alla luce del sole nella sua estroversione,
e chiudersi nel guscio come una conchiglia. Si odiano, si pugnalano alle
spalle, e Montalbano lì a guardare, impassibile ma non troppo se
poi saranno proprio queste due figure centrali ad aprirgli la strada verso
la soluzione del mistero. Il quale si risolve soltanto a prezzo dell’inevitabile
vendetta che aiuta il commissario, e ben venga poiché la verità
non procura rimedio, e la vittoria è sinonimo di vendetta, rovinosa,
tragica. Montalbano sta invecchiando, ha bisogno di questi aiuti per vincere,
lo sa e se ne duole, pur dovendo accettarli per ricalibrare inevitabili
negligenze. Hai voglia ad ergere barricate contro l’onda scomposta da comare
secca e il suo dire si fa più dolce e suadente: le maniere forti
e brusche addolcite con il nettare degli anni.
Walter Mauro
La Stampa, 19.8.2005
Il delitto di Brescia
L'uomo
che non ha passato
Andrea Camilleri
Giornale di Sicilia, 19.8.2005
Il regista di Montalbano al Parcomuseo Jalari
Barcellona. Oggi, alle 21 e 30, nell'ambito della rassegna estiva "Sicilia
Fantastica" in corso al Parcomuseo Jalari, ospite della serata sarà
Alberto Sironi, regista della popolare serie tv "Il commissario Montalbano".
Nell'incontro col pubblico, Sironi traccerà i passaggi dal testo
letterario di Andrea Camilleri alla narrazione filmica, accompagnato dalle
letture degli attori Bianca Maria D'Amato e Giovanni Moschella e da alcuni
brani tratti dallo sceneggiato tv.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 20.8.2005
Il personaggio. Il regista della serie televisiva torna sul set per
"La pazienza del ragno" e "Il gioco delle tre carte"
Sironi: "Giro gli ultimi episodi e poi addio a Montalbano in tv"
"Forse lavoreremo a un nuovo racconto che sarà l´atto
finale del commissario"
Barcellona (ME) - Saranno quattro i nuovi episodi della nuova serie
de "Il commissario Montalbano" e poi il pubblico televisivo dovrà
dire addio al personaggio più amato degli ultimi anni. È
Alberto Sironi, il regista della serie televisiva, ad annunciarlo, proprio
in Sicilia, il suo set ormai da molti anni, ospite in questi giorni del
Parco Museo Jalari a Barcellona Pozzo di Gotto, per la manifestazione "Sicilia
fantastica", durante la quale Sironi ha parlato del rapporto tra letteratura
e cinema.
«Quando si raccontano storie così belle - dice - come
quelle di Andrea Camilleri, non si può non parlare di cinema, anche
se i film sono stati prodotti per la televisione. Negli anni Sessanta queste
storie non sarebbero certo scappate al cinema italiano che ormai è
stato sostituito dalla televisione».
A ottobre Sironi e la sua troupe riprenderanno a girare gli ultimi
due episodi di "Montalbano". In autunno andranno in onda "Il giro di boa"
e "Par condicio" quest´ultimo tratto dai racconti "Gli arancini di
Montalbano". La serie si concluderà con "La pazienza del ragno",
il penultimo libro di Camilleri, e "Il gioco delle tre carte. «Abbiamo
girato in tutto dieci episodi in cinque anni - continua Sironi - poi c´è
stato uno stop di due anni voluto dall´interprete principale, Luca
Zingaretti, che ha sentito l´esigenza di "staccare" un attimo dal
personaggio. Zingaretti ha interpretato il ruolo così bene che difficilmente
riuscirà a scrollarsi di dosso il personaggio. Rispetto all´età
descritta da Camilleri, abbiamo dovuto ringiovanirlo. L´ultimo Montalbano
del romanzo ha circa sessanta anni, mentre nel film è sempre un
quarantacinquenne».
La serie televisiva di Montalbano è amatissima in Italia come
all´estero: ma che cosa riesce ad appassionare un pubblico così
vasto e diverso? «Quello che piace delle storie di Camilleri è
l´originalità del racconto, le atmosfere e i personaggi che
in realtà sono i ricordi di una Sicilia che non c´è
più, mixandoli ad avvenimenti dei nostri giorni. I personaggi sembrano
ambientati nella Sicilia di oggi, ma in realtà vengono dal passato.
Rappresentano la Sicilia di Camilleri da giovane. Abbiamo ricevuto persino
i complimenti dal regista australiano di "A spasso con Daisy" che ha visto
tutti i Montalbano».
Allora dopo questi quattro episodi la serie finirà davvero?
Sì, credo proprio di sì, anche se non è escluso un
ultimissimo episodio sull´ultimo romanzo di cui Andrea Camilleri
ci ha dato delle anticipazioni. Un racconto straordinario che credo ispirerà
l´ultimo film della fortunata serie televisiva».
Giovanna Betto
Il potere e
la gloria, 20.8.2005
Andrea Camilleri - La luna di carta
L'abbiamo detto già più volte: dispiace che una parte
sempe più ampia della critica letteraria italiana ritenga Giorgio
Faletti o Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli o Valerio Massimo Manfredi
i più grandi scrittori italiani viventi. Dispiace perché
significa che, indipendentemente dai talenti di ognuno di questi scrittori
(che, tra l'altro, non sono tutti sullo stesso livello), manca ormai in
Italia una letteratura vera, profonda, seria che sappia coinvolgere critica
e pubblico.
Prendiamo in esame Andrea Camilleri partendo dall'ultimo libro uscito
proprio poche settimane fa, 'La luna di carta', ennesima avventura del
celeberrimo commissario Montalbano. Ora, che Camilleri sappia scrivere,
e che soprattutto sappia scrivere i gialli, è innegabile: il suo
dialetto siciliano scorre benissimo, perfino meglio dell'italiano, e la
trama è come sempre fitta, intrigante e appassionante, condita,
qua e là, di gustose note sarcastiche o di costume che tanto hanno
fatto la fortuna dello scrittore siciliano. Quello che manca, nonostante
Camilleri sia probabilmente il migliore tra gli scrittori che abbiamo citato
all'inizio, è il salto di qualità, quel qualcosa in più
che rende cioè indimenticabile un romanzo, una storia. Certo, c'è
Montalbano, un personaggio decisamente riuscito, ma quella del commissario
non è un'invenzione recente, e anzi si potrebbe dire che Camilleri
ci ha cavalcato sopra già abbastanza; dietro al detective, infatti,
c'è ben poco: personaggi anche divertenti ma privi di spessore e
una schiera di indiziati che rischiano di cadere troppo spesso nel grottesco.
Se a tutto questo si aggiunge una trama che per gran parte del libro
è sì calibrata quasi al millimetro ma che finisce per fare
dei passi fassi proprio nel finale (con un colpo di scena che era in realtà
già preventivato da qualche capitolo e un epilogo quantomeno forzato
e poco verosimile), si ha un giallo carino, simpatico e divertente, tutto
sommato più che discreto, ma che di sicuro non rappresenta, con
tutto il rispetto, la punta massima della nostra letteratura (e d'altronde
crediamo che neppure lo stesso Camilleri ambisca a tanto). Il problema,
quindi, è come sempre un altro: dove sono i grandi scrittori e,
se ci sono, perché la critica non li promuove e il pubblico non
li legge?
Adnkronos,
21.8.2005
TV: Zingaretti, altri due episodi di Montalbano e poi mi defilo
Avventura fantastica, ma occorre saper uscire di scena al momento giusto
Roma - Dal palcoscenico del 'Vasto Film Festival, Luca Zingaretti ha
annunciato il suo addio al commissario Montalbano, il celebre poliziotto
nato dalla penna di Andrea Camilleri a cui l'attore romano ha prestato
il volto. ''Ad ottobre inizieremo le riprese dei due ultimi episodi, dopodiche'
mi defilero' -ha spiegato- Del resto occorre saper uscire di scena al momento
giusto. E' stata un'avventura fantastica, ma c'e' un proverbio cinese che
dice: se un arcobaleno durasse un'ora e mezza nessuno lo guarderebbe piu'''.
The Independent,
21.8.2005
PICADOR £12.99 £11.99 (P&P FREE) 08700 798 897
The Voice of the Violin by Andrea Camilleri, trs Stephan Sartarelli
Inspector Morse, Sicilian style
Commissario Salvo Montalbano is in certain respects a Sicilian version of our own Inspector Morse: crabby, solitary, tolerated or even actively disliked by his superiors, but with an instinct for solving crimes by getting to know and care about a victim's friends and enemies. And like Morse, he became a national icon through a well-wrought television dramatisation of his cases.
This being Italy, there are evident differences too. Where Morse is shambling and beer-drinking, Montalbano is fit from swimming every morning in the sea by his beachfront home; and rather than drinking warm beer, he is a connoisseur of Sicilian cuisine, his meals as carefully chronicled as Morse's tastes in classical music.
The Voice of the Violin is the fourth of Andrea Camilleri's Montalbano novels to be published in English, all entertainingly translated by Stephan Sartarelli. As in many works of this genre, much of the reader's pleasure is provided by an immersion in local atmosphere: think of the world of Michael Dibdin's Commissario Aurelio Zen or Donna Leon's Venetian police inspector, Guido Brunetti. Camilleri's local colour is even more rooted than theirs, with casual references to such Italian commonplaces as "a Belfiore martyr's moustache and beard", "Pippo Baudo" and "Boldoni's ladies" - 19th century revolutionaries, a TV personality and a society painter - all helpfully explained in the translator's notes at the back of the book.
The storyline is spun around the discovery of a woman's naked body in a deserted house: she has been suffocated while making love and all her clothing has disappeared. Montalbano's principal task is to find out who killed her, but most of the interest of the book is taken up with various sub-plots: will Montalbano get romantically involved with the victim's attractive friend, Anna; what will happen to François, a young Tunisian boy that Montalbano and his fidanzata, Livia, took under their wing in a previous book in the series (The Snack Thief, now out in paperback); how will Montalbano deal with the attempts of a superior to take him off the case?
In fact, all of the Montalbano novels are as sloppily plotted as a Raymond Chandler book about Philip Marlowe. The plot line simply doesn't interest Camilleri. If it did, Montalbano, having established soon after he discovered the body of Michela Licalzi that she carried a mobile, might have thought to check the phone records to see if anyone had rung her. Had he done so, the story could have ended right there.
But an early conclusion would have deprived the reader of sampling the delights of Camilleri's fertile imagination, the inexhaustible fund of minor characters he invents, and the equally numerous surprising situations he places them in. Take Catarella, the police station's hapless officer, whose Sicilian dialect is rendered in these, obviously American, translations as a sort of Brooklyn patois: "What Langwich was I asposta speak? We spoke 'Talian, Chief." As a subversive joke, he is put forward to learn computing science for the office, but he turns out to have a talent for it, and by the end of the book his brief foray into higher education has also corrected his 'Talian. And somehow that matters much more to the reader than the unsurprising fact that Montalbano gets his killer.
Matthew Hoffman
Fahrehneit,
23.8.2005
Intervista ad Andrea Camilleri
Emuli
del male
Piromani. Contestatori. Lanciatori di sassi dal cavalcavia. Una volta
le mode dell`estate riguardavano canzonette e giochi da spiaggia, oggi
spronano alla violenza e al teppismo. Al punto da pensare che il male sia
un contagio sociale. Basta incendiare qualche macchina per diventare una
primula rossa, un modello da imitare per le vie di Roma e ora anche per
le strade di Bari e di altre citta`. Ma dove risiede il fascino del male?
E` plausibile pensare a una estetica del male che seduce e induce all`emulazione?
Se ne parla nel dibattito di Fahrenheit con il filosofo Sergio Givone,
con Isabella Pezzini, docente di semiotica e con Andrea Cotti, scrittore,
autore di "Un gioco da ragazze", Coloradonoir.
Di emulazione parleremo oggi nello spazio del tema del giorno di Fahrenheit.
L’occasione e lo spunto ce lo dà la vera e propria epidemia di roghi
di auto e motorini a Roma, ma anche molti altri fatti di cronaca, come
il lancio di sassi dall’alto di cavalcavia, che a sua volta ha avuto i
suoi emuli e vogliamo aprire questo discorso con una breve chiacchierata
con Andrea Camilleri.
Buon pomeriggio.
"Grazie!"
Andrea Camilleri ha pubblicato su La Stampa di venerdì un breve
testo in cui affronta una sorta di pettegolezzo o comunque un’osservazione
che è stata fatta riguardo alle analogie tra l’assassinio dei coniugi
Donegani, e il suo romanzo "La gita a Tindari". In questo breve testo Camilleri
spiega come mai è restio a riconoscere una parentela fra questi
fatti, in particolare una parentela sul tipo della emulazione.
Come mai, Camilleri?
"Mah, è perché io penso che il mio romanzo non sia incentrato
sull’uccisione dei due vecchietti, che in realtà c’è, ma
il mio romanzo è incentrato sul problema più grosso che è
il trapianto clandestino di organi, no? E quindi quello è un episodio
per me che rimane marginale. Poi i due vecchietti nel mio romanzo non vengono
mica assassinati da nessun consanguineo o sospettato come assassino un
consanguineo, è un estraneo assoluto, quindi io, francamente, rispetto
a quelli che mi hanno telefonato trovando le analogie… Va’ a sapere! Ne
ho trovate pochissime, quasi nulla."
Insomma, la base è semplicemente nel fatto che quando uno scrive
dei gialli attinge alla vita reale e quindi anche…
"Mah… Questo l’ho detto. Per forza di cose… Vede, io non so inventarmi
nulla, lo dico sinceramente. Cioè, piglio un fatto di cronaca, se
devo scrivere un Montalbano, un fatto di cronaca che mi interessa particolarmente,
poi naturalmente ci lavoro sopra, lo tramuto, lo rendo quasi irriconoscibile
rispetto al fatto di cronaca e comincio a lavorare sul romanzo. E’ chiaro
che comunque l’input è la cronaca. Ora è chiaro che si può
ritornare benissimo dal romanzo alla cronaca, no?"
Anche la cronaca si ripete, del resto.
"La cronaca si ripete, poi non c’è nulla di più. Io ho
detto che l’omicidio è prima di tutto un delitto contro la ragione.
Posso aggiungere: non c’è nulla di più noioso del delitto."
Ma lei crede che in generale ci sia un fenomeno di emulazione nel…
"In molti casi sì! Vede, in molti casi…"
Come mai?
"In molti casi credo che ci sia un’emulazione. Non tanto nel fatto,
nell’omicidio vero e proprio quanto in altre… Vede, lei poco fa citava
gli incendi di motorini, no? Beh, i motorini possono essere l’emulazione
della bravata, una ragazzata, tanto non si ammazza nessuno e anche quando
si tirano i sassi dal cavalcavia, che è una cosa da imbecillità
totale oltre che di criminalità totale, c’è sempre la possibilità
di far prendere solo uno spavento all’automobilista. Questo dimostra il
livello d’intelligenza di coloro che tirano i sassi, ma non c’è
l’omicidio vero e proprio.
Io credo che gli omicidi non nascano dalla carta stampata, non c’è
un’emulazione. Credo che nascano da un altro delitto, questo sì."
Poi c’è una differenza che lei fa notare in questo testo che
trovo molto interessante, le chiederei di spiegarcela meglio, cioè
il fatto che in fondo nel giallo il crimine viene punito, quindi se qualcuno
decidesse di emulare il giallo dovrebbe necessariamente andare incontro
alla sua punizione…
"Certo, dovrebbe mettere in conto: che cos’è, come dicevano
quelli che sono… come posso dire, che reputano i gialli “buonisti”, tutti
i gialli. Cioè a dire, si produce uno strappo nella società
con un omicidio, arriva il detective e ricuce questo strappo."
Certo, questa è la visione degli apologeti del noir, diciamo.
"E’ esatto! Allora, cosa succede… Che tutti gli assassini, tranne pochissimi
casi, dei romanzi vengono sempre beccati! E quindi se uno si ispira a un
romanzo deve sapere anche che sarà beccato. Invece credo che gli
assassini, soprattutto come questi della Val Camonica, pensino di farla
franca, perché sono di una, torno a ripetere, presuntuosità
che rischia e proprio sfiora l’imbecillità."
Sotto questo punto di vista il noir potrebbe essere uno specchio più
fedele, ma anche più pericoloso dal punto di vista dell’emulazione?
In fondo, nel noir il colpevole spesso non viene punito.
"Mah! Non lo so, non lo so. Sarà forse una sfiducia mia nella
letteratura alta o bassa che sia, ma non credo che possa produrre mai effetti
reali sulla vita reale."
Quali sono le responsabilità, allora, di uno scrittore?
"Sono di altro tipo, le responsabilità di uno scrittore credo
che riguardino il campo delle idee. Quando noi diciamo “cattivi maestri”,
“buoni maestri”, lavoriamo sul campo delle idee, non lavoriamo sul campo
dell’omicidio più o meno preterintenzionale o intenzionale."
Beh, però a volte ci sono degli scrittori, Camilleri, che sembrano
anche nello scrivere magari romanzi, per esempio, gli utopisti, no?, che
sembrano volersi allontanare dal campo semplicemente delle idee o della
finzione per influenzare il mondo reale.
"Beh, ci sono ma non credo che possano influenzare più di tanto…"
Non ci riescono, dice?
"Non ci riescono! Senta, c’abbiamo un libro bellissimo da duemila anni
a questa parte. Si chiama "I Vangeli" e avrebbe dovuto influenzare assai
di più la società nostra, no?"
Va bene, Andrea Camilleri. Grazie.
"Grazie a voi."
Con i Vangeli come modello di emulazione possiamo passare alla seconda
parte del nostro dibattito.
"Arrivederci e buon lavoro."
Arrivederci, grazie!
[Trascrizione di Chiara]
La Padania, 23.8.2005
Ne "La luna di carta" Andrea Camilleri spinge il commissario nel pantano
politico dei palazzi siciliani. Ma...
Il vecchio Montalbano annaspa nel torbido
Un Camilleri torbido, che invecchiando con il suo commissario Montalbano
sembra inasprire, invelenire i toni della polemica contro una società
e una politica che annaspano nel pantano di una “morta gora” di dantesca
memoria. È l'impressione che si ricava d'acchito leggendo l'ultimo
romanzo della serie del celebre investigatore, portato sul piccolo schermo
da Luca Zingaretti: "La luna di carta" (Sellerio editore).
Un’avventura in cui la parte che meno convince, anche se dà
l'imprinting di denuncia a senso unico dell'autore rigorosamente di sinistra,
è appunto quella dell'intreccio del business criminale tra malavita
organizzata, vertici e sottobosco del Palazzo: tutto troppo caricato, senza
sfumature né mezze tinte, tutto virato sul nero seppia della corruzione
alimentata questa volta dal vizio assurdo del consumo eccellente di droga
da parte dei soliti insospettabili. I quali, nemmeno a dirlo, appartengono
tutti senza distinzioni alla parte politica avversa a quella dell'autore...
Molto ben sviluppata, al contrario, appare la trama più strettamente
d'indagine, soprattutto perché dominata dalle figure di due donne
- la sorella della vittima, Michela e l'amante in carica, Elena - che risultano
tra i personaggi femminili più riusciti nell'intera serie poliziesca
inaugurata dallo scrittore siciliano con "La forma dell'acqua" nel 1994.
Due donne dai molti segreti, ma più che altro mosse da una determinazione
granitica nel difendere l'una la memoria e l'onore del fratello assassinato
e coinvolto in un giro di malaffare, e l'altra la propria estraneità
alla ideazione e alla esecuzione del delitto stesso.
Tra loro, Montalbano si affanna più del solito a cercare di
cogliere le sfumature di psicologie complesse se non contorte, a leggere
tra le righe di dichiarazioni che sono reticenti quando appaiono sincere
e viceversa. E in particolare a tenersi in equilibrio sul filo sottile
del ragionamento e dell'intuito, sentendo che gli anni avanzano e certe
facoltà, certi meccanismi prima attivati al semplice contatto con
la realtà del crimine, con l'ambiente della malavita, ora si appannano,
perdono di vigore e di rigore. Ma, si sa, l'esperienza e il fiuto servono
più di altro: anche se, per la seconda volta nella carriera, il
commissario si mette nelle condizioni di consentire a un aspirante suicida
di compiere il gesto che ha in mente (era già accaduto ne "La voce
del violino", 1997).
Anche il titolo, "La luna di carta", ha un sapore autobiografico per
Salvo Montalbano. Ricorda infatti uno scherzo del padre, che voleva convincere
il figlio ancora piccolo che di quella materia era appunto fatta la luna:
proprio come ora, con menzogne, mezze verità, veri e propri depistaggi,
Michela, Elena e gli altri protagonisti del racconto vorrebbero ingannare
i sensi e la mente del "vecchio" commissario.
Roberto Brusadelli
La Repubblica
(ed. di Napoli), 24.8.2005
Il 31 al Teatro Romano di Benevento
Aspettando il maestro Paolo Conte
La scheda
[...]
Nella sezione letteratura curata da Idolina Landolfi, Roberto Herlitzka
interpreterà le pagine di Andrea Camilleri (l´11 settembre).
La Sicilia, 26.8.2005
Ottanta candeline per Camilleri
Tanti big al museo archeologico per augurargli buon compleanno
Porto Empedocle. Tanti «big» con pochi, pochissimi soldi.
Questo è in estrema sintesi il succo del «Camilleri Day».
Ovvero della festa per l'ottantesimo compleanno dello scrittore empedoclino
che la Provincia Regionale di Agrigento e il comune marinaro stanno organizzando
per il prossimo 10 settembre. Il tutto con la collaborazione - a costo
zero - del Museo archeologico San Nicola che per l'occasione metterà
a disposizione la prestigiosa sala Zeus all'interno della quale si ritroveranno
personaggi della cultura, del giornalismo e dell'editoria giunti apposta
ad Agrigento per fare «la festa» al papà del commissario
Montalbano. Camilleri festeggerà il suo ottantesimo compleanno il
sei settembre nella tenuta di cui è proprietario in terra di Toscana,
attorniato dall'affetto dei propri cari. Poi salirà sul primo aereo
diretto in Sicilia per tornare nel suo paese d'origine dove le risorse
economiche sono a dir poco scarse. E quello dei soldi che scarseggiano
è il problema fondamentale che ha impedito agli amministratori locali
di fare del compleanno di Camilleri una sorta di maxi spettacolo.
L'evento però si prospetta ugualmente di rilievo, visto che
tra i vip che interverranno nella sala Zeus ci saranno Elvira Sellerio,
Marcello Sorgi, Paolo Mauri, Nino Borsellino e quasi certamente Pippo Baudo.
Tutta gente che conosce Camilleri e che intende fargli gli auguri in
prima persona, quasi a domicilio. E anche nel suo domicilio effettivo,
ovvero Porto Empedocle non si rimarrà con le mani in mano. L'appuntamento
è infatti fissato sempre per il 10 settembre nel cuore di piazza
Kennedy dove verranno piazzate due gigantesche torte «realizzate
- secondo l'assessore provinciale alla Pubblica istruzione Calogero Firetto
- dalle due scuole alberghiere di Agrigento e Sciacca anche se dobbiamo
ancora limare gli ultimi dettagli dell'iniziativa». In caso di mancata
disponibilità perché le scuole sono ancora chiuse, potrebbero
essere coinvolti i bar del paese. Ma al momento la prima ipotesi sembra
quella più percorribile. Nella piazza accanto alla chiesa è
atteso quello che per gli ideatori della festa dovrebbe trasformarsi in
un «bagno di folla» per un uomo come Camilleri tanto schivo
quanto poco incline alla confusione attorno a se. Il tutto senza che sia
l'ente provinciale, promotore della festa e il comune sborsino soldi a
palate nonostante il peso specifico e mediatico dell'illustre festeggiato.
«Siamo convinti di avere realizzato un programma di un certo
rilievo - dice Firetto - tenuto conto anche delle ridotte risorse finanziarie
di cui disponiamo».
F.D.M.
l'Unità, 26.8.2005
Orizzonti
Camilleri, il diavolo Delamaz e l'Arcangelo con i capelli trapiantati
E nel testo c'è anche un riferimento al fallito referendum con
un Dio favorevole alla fecondazione assistita
Un arcidiavolo, capo supremo di tutti i diavoli di terra, che porta
i baffetti e si esibisce in manovre nautiche e che, se non si fosse capito,
si chiama Delamaz; un arcangelo Gabriele vecchio bacucco ma che - proprio
come il nostro «Unto del Signore» - i truccatori fanno «tornare
picciotto» a forza di creme, fondotinta, «trapianti istantanei,
tiranti e tinture»; un Paradiso che è come una Bicamerale
dove demoni e angeli trattano e mediano. Vogliamo dirlo? Inciuciano. E
un poveretto, un diavolo del rango più basso - quelli che hanno
il compito d’infiltrarsi, sotto forma di vermetti, nelle interiora di santi
uomini e sante donne per cercare di suscitare in loro bramosie sessuali
- che ancora crede nella spartizione dei ruoli e nel suo compito di forza
del male e, così, si caccia nei guai. È un racconto a chiave
- lèggi d’un mondo sempiterno e in filigrana ti trovi dentro l’Italia
d’oggi - un apologo dove entra anche lo scontro sulla fecondazione assistita,
quello che Andrea Camilleri ha scritto in luogo di prefazione al "Diavolo
innamorato", la novella fantastica di Jacques Cazotte che Donzelli manda
oggi in libreria, nella nuova traduzione e cura di Gaia Panfili.
Ma chi è Jacques Cazotte? Ufficiale di marina, a lungo di stanza
alla Martinica, finisce sulla ghigliottina a Parigi per le sue idee antirivoluzionarie
nel 1792. Un reazionario, Cazotte, e un anti-illuminista attratto dall’occulto:
adepto della setta dei Martinisti, il cui credo è lottare contro
le potenze sataniche, produce una serie di opere dove Lucifero ha comunque
un ruolo. Fino a questo "Le Diable amourex" che gli vale un secolo e mezzo
dopo da Borges il giudizio che essa sia tra i fondamenti del genere narrativo
fantastico, il predecessore delle diaboliche presenze di Hoffman e Nerval.
E dove il signore del male assume panni inediti: è una bella e fragile
fanciulla, che finisce per farsi tentare dal giovane al quale è
stata inviata come esca di corruzione e allestisce con lui un rapporto
erotico a metà tra realtà, immaginazione, sogno. E così
il reazionario, clericale Cazotte, costruisce, quasi suo malgrado, un piccolo
monumento alla sensualità, all’ambiguità e al desiderio di
conoscenza che essa nasconde.
Nella sua introduzione al testo di Camilleri e a quello di Cazotte,
Carmine Donzelli spiega come gli sia nata l’idea di rieditare l’antico
racconto francese - la cui ultima traduzione, per i Tascabili La Spiga,
risaliva a undici anni fa - e, anche, di coinvolgere nell’iniziativa il
padre di Montalbano: è proprio il Commissario, spiega, che nel racconto
di Camilleri "L’arte della divinazione" , mostra di conoscere bene quel
«delizioso romanzo». Sicché, l’editore chiede al padre
di Montalbano di dargli una mano in un’operazione che, in fondo, «di
questi tempi», scrive, riabilita un po’ la figura del Diavolo.
Ed ecco il volume che ora va in libreria: un libro post-moderno, nel
suo essere un centone, un pastiche. Con la premessa dell’editore che è
già di suo un bel piccolo racconto, con la novella-prefazione dello
scrittore di Porto Empedocle, con il testo di Cazotte e la curata postfazione
della traduttrice. Una lettura a strati dove Bene e Male perdono i contorni,
sfumano, s’allacciano. Esattamente come avviene oggi nell’Italia che Camilleri
evoca: un paese dove non si sa più chi demonizza chi, dove il povero
vermetto, militante di base della diavoleria, scopre di essere stato mandato
dai suoi capi in una missione della quale non sa gli scopi, mentre lassù
l’arcangelo Gabriele coi capelli trapiantati e l’arcidiavolo Delamaz stanno
in ignoti conciliaboli. Mediano sul tema della fecondazione assistita,
che in Cielo dispiace.
Ma Camilleri, testimonial del fallito referendum, si piglia una soddisfazione:
Dio, nel suo racconto, alla fecondazione assistita, opera dell’ingegno
umano, è interessato, la trova una bella idea. La vuole fare sua.
Maria Serena Palieri
Gazzetta del Sud,
26.8.2005
Nuovo racconto ispirato a Jacques Cazotte
Quel diavolo tentatore di Andrea Camilleri
Un diavolo ha tentato quest'estate Andrea Camilleri, aveva le sembianze
dell'editore Carmine Donzelli e le seduzioni di Jacques Cazotte, scrittore
finito sulla ghigliottina nel 1792, noto agli appassionati per «Le
diable amoureux», una novella che finora era rintracciabile solo
nelle librerie antiquarie. «Sapevo che Camilleri conosceva profondamente
Jacques Cazotte e pensavo che forse avrei potuto chiedergli di scrivere
un'introduzione al "Diavolo innamorato" che avevamo in programma di pubblicare»,
racconta Donzelli. All'editore Donzelli non era sfuggito che nel racconto
«L'arte della divinazione», Camilleri, attraverso le parole
di Montalbano, evoca con grande competenza il romanzo di Cazotte e dimostra
di apprezzare lo scrittore francese, per lo più misconosciuto, uomo
dal passato misterioso e dalle alterne fortune letterarie. Questo è
bastato a Donzelli per chiedere a Camilleri di scrivere un'introduzione
al «Diavolo innamorato». Ma l'autore del «Birraio di
Preston» invece di un'introduzione ha preferito scrivere a sua volta
un racconto. È nato così «Il diavolo che tentò
se stesso» che esce in libreria insieme alla novella di Cazotte (ed.
Donzelli, pp.144, euro 14,50). «Durante il nostro incontro – racconta
Donzelli – ho avuto la sensazione di aver toccato un universo fantastico
e culturale che Camilleri aveva già pronto. La prova l'ho avuta
quando solo dopo 10 giorni la sua assistente mi ha fatto recapitare un
plico con dentro "Il diavolo che tentò se stesso"». Il nuovo
racconto di Camilleri ha per protagonista Bacab, un povero diavolo d'aria
che per fare carriera accetta il compito impervio di indurre in tentazione
la pronipote della Monaca di Monza. Per ottenere il suo scopo oltrepassa
i limiti delle diavolerie consentite suscitando le ire dell'arcidiavolo
Dalemaz (ogni riferimento a Massimo D'Alema è voluto), il quale
– coda e baffetti d'ordinanza – gli annuncia che la «parte avversa»
si è risentita assai, e ne è nato un grosso caso politico.
Urge aprire una trattativa con l'«Arcangiolo Gabriele». «Entrambi
i racconti – prosegue Donzelli – liberano la figura del diavolo dell'ambito
della pura cattiveria e negatività, ma riscoprono le potenzialità
della tentazione dandole umanità, curiosità, ironia. Credo
– aggiunge Donzelli – ce ne sia bisogno in questi giorni che il mondo sembra
chiuso da una cappa». Se «Il diavolo innamorato» di Cazotte
è immerso nel galante settecento napoletano, «Il diavolo che
tentò se stesso» di Camilleri allude invece molto chiaramente
ai tempi nostri e al dibattito sulla procreazione assistita a favore della
quale Camilleri si era pubblicamente schierato durante il referendum dichiarando
i suoi quattro «sì». Ma i riferimenti contemporanei,
a giudizio di Donzelli non sminuiscono la qualità letteraria del
racconto di Camilleri. «Ritengo – conclude l'editore – che questo
Camilleri sia assolutamente un Camilleri di serie A». Insieme ai
due racconti il volume è arricchito da una postfazione di Gaia Panfili
al racconto di Cazotte.
Maria Gabriella Giannice
Star TV, 26.8.2005
Camilleri sul set della popolare fiction: Zingaretti esce di scena
Io, lui e Montalbano
Che succederà al celebre commissario? Attenzione: c'è
un maresciallo che...
Il successo lo ha conosciuto tardi, quando aveva superato i settant’anni,
ma da allora è stato travolgente. Un’onda anomala che attraversò
L’Italia, superò i confini della penisola, dilagò in Europa
e conquistò anche mercati letterari lontanissimi da noi. E non solo
quelli, stante anche l'enorme successo che ha avuto la serie tivù
del commissario Montalbano, interpretato da Luca Zingaretti e girato nella
suggestiva e barocca Val di Noto, la Vigata della fortunatissima fiction.
Stiamo parlando, naturalmente, di Andrea Camilleri, classe 1925, maestro
indiscusso di un genere, il giallo, tornato prepotentemente di moda anche
e soprattutto grazie al suo irresistibile successo, un mix di dialetto,
simpatia, trama avvincente.
Ma, proprio quando il successo è al top, Camilleri deve fare
i conti con l'addio di Zingaretti: «Questa volta è l'ultima,
almeno per me», ha dichiarato l'attore sul set dei quattro nuovi
episodi dì Montalbano. La scelta di Zingaretti come protagonista
era stata condivisa da Camilleri: «Sapevo che era un ottimo attore,
era stato mio allievo. L’attore la deve dare a bere, deve imbrogliare,
per due ore lo spettatore deve credere che quello sia l’unico Montalbano
possibile e lui ci riesce. Poi di Montalbano ce ne sono tanti. Quello televisivo
non è il mio: è più giovane, è calvo, ha duemila
cose che non ci sono nei miei libri, ma è talmente bravo da dare
credibilità al personaggio».
Che succederà adesso? Stavolta abbiamo provato a indagare noi.
Con domande apparentemente innocue, ma che agli occhi di un attento lettore
di gialli...
Camilieri, lei ha avuto modo di gustare la “mbriulata” di Mussomeli,
una particolare focaccia ripiena di frittoli, salsiccia, olive nere e altro,
che ha promesso di far mangiare anche a Montalbano. La verità, com'era
la "mbriulata"?
«Ottima, senza se e senza ma».
Ha mai pensato di riesumare il suo originario personaggio, vale
a dire il maresciallo Corbo de “Il corso delle cose”, il suo primo romanzo?
«In realtà l'ho riesumato dandogli un altro nome nel calendario
dell'Arma dei Carabinieri del 2005, in un racconto appena pubblicato anche
negli Oscar Mondadori con il titolo “Il medaglione”. Si chiama in modo
diverso, maresciallo Antonio Brancato, ma le caratterístiche sono
le stesse».
E allora: in uno dei prossimi romanzi con protagonista Montalbano il
commissario mangerà la “mbriulata”. Fin qui siamo nel campo delle
curiosità, non dei colpi di scena. Ma se fosse, invece, il maresciallo
Brancato a prenderne il posto in libreria e in tivù?
Roberto Mistretta
La Repubblica
(ed. di Palermo), 27.8.2005
L´intervista. Camilleri "Vi racconto i miei ottant´anni"
Lo scrittore festeggerà il prossimo 6 settembre: "Ma è
solo un anno in più"
"La notte delle nozze volevo fuggire, ma il mio è un matrimonio
riuscito: decisivo anche sul lavoro"
"Troppa grazia: ho esaurito tutti i sogni nel cassetto"
"Mi meraviglio di esserci arrivato, ecco tutto. A questa età
si ha la sensazione di essere superstiti perché gli amici, per dirla
con Gadda, hanno provveduto a rendersi defunti. E devo confessare che l'esperienza
del sopravvissuto non è poi così piacevole"
Con la sua inconfondibile voce roca, e la sigaretta appiccicata alla
bocca, Andrea Camilleri, ormai vicinissimo al traguardo degli ottant´anni
(che compirà il 6 settembre), mette subito le mani avanti: «Non
voglio dare troppo peso a questa ricorrenza. Per me, compiere ottant´anni
significa in fin dei conti avere sulle spalle un anno in più. Mi
meraviglio di esserci arrivato, ecco tutto. A questa età si ha la
sensazione di essere un superstite, perché via via gli amici hanno
provveduto a "rendersi defunti", per dirla con Gadda. Insomma, le confesso
che l´esperienza del sopravvissuto non è poi così piacevole».
C´è chi ha detto che compiere ottant´anni significa
salire su una montagna, e da lì osservare ogni cosa con distacco
e serenità. Ne è convinto anche lei?
«Sinceramente, con tutto il rispetto per chi l´ha scritto,
io non sono uomo di montagna. Non conosco le vette e oltretutto mi darebbero
le vertigini. Quindi, preferisco di gran lunga la piattezza del mare. Punto
e basta».
Con chi berrebbe un bicchiere per festeggiare?
«La domanda mi mette in un estremo imbarazzo: almeno quattro
amici dovrei portarmi dietro. Uno è Ruggero Jacobbi, l´altro
Dante Troisi, il terzo è Flaminio Bollini e il quarto Pino Passalacqua.
Naturalmente, nume tutelare della tavolata sarebbe Peppe Fiorentino, mio
compare di sempre. Come vede, sono stato davvero fortunato ad avere un
bel giro di amici veri».
Ha per caso un sogno nel cassetto?
«Sogni, cose non realizzate non ne ho. In questo senso, mi sento
davvero pacificato. Sono stato un uomo fortunato, mi sono guadagnato il
pane facendo quello che volevo fare, e ho pure conosciuto considerata fortuna.
Mio Dio, troppa grazia. Perché io, fino alla pensione, ho fatto
il regista di teatro, di televisione, il produttore. Cioè, ho fatto
quello che desideravo fare. E questa è una fortuna immensa».
Riguardo al suo esordio tardivo, si porta appresso qualche malinconia,
o qualche rancore?
«L´esordio tardivo… A conti fatti, il primo romanzo l´ho
scritto nel 1967. Cioè a dire, tanto vecchio non ero. Poi le cose
sono andate come sono andate. Sarà stata forse colpa degli editori?
C´è da dire però che dopo avere pubblicato i miei primi
due libri, ci sono stati alcuni anni di silenzio. Il fatto è che
dovevo chiudere definitivamente i conti con il teatro. Dovevo fare una
o due cose alle quali tenevo, e le ho fatte».
Nella sua lunga carriera, le è mai capitato di dire, alla stregua
di Leonardo Sciascia, "Pirandello, mio padre"?
«No, per niente. A questo proposito, è successa una cosa
che le devo assolutamente raccontare. Uno dei conti in sospeso con il teatro
di cui prima le parlavo, era un´idea di messa in scena dei "Giganti
della Montagna" e della "Favola del figlio cambiato" recitati integralmente
tutti e due, mentre si sa che nei "Giganti" c´è solo un pezzo
della "Favola". E lo spettacolo si intitolava "Recitazione della favola
destinata ai Giganti". Questo spettacolo l´ho fatto, e come può
ben capire si è trattato di una rappresentazione piuttosto complessa
e impegnativa. Due giorni dopo apparvero le critiche, e Giorgio Prosperi,
che allora era il maggiore critico per anzianità, cultura e tutto,
scrisse un pezzo nel quale pressappoco diceva che Camilleri era l´unico
teatrante italiano autorizzato a dare del tu al drammaturgo agrigentino.
Allora io risposi a Prosperi innanzitutto ringraziandolo e specificando
che dovunque avessi incontrato Pirandello, gli avrei dato del voscenza.
Ecco, quindi non è che me lo sento come padre: lo si può
leggere, lo si può studiare, lo si può andare a trovare al
Caos, ma a tutt´oggi, quando lo rileggo, mi accorgo per esempio che
per quello che riguarda il teatro ancora non lo abbiamo capito bene. Allora
ogni filiazione sarebbe un atto di superbia, e lo dico sinceramente».
Lei più volte ha detto che Leonardo Sciascia è stato
il suo "elettrauto". Vuole spiegarsi meglio una volta per tutte?
«Visto che ci siamo, chiariamo questa faccenda: Leonardo, quando
lo leggo, mi dà una carica di energia autentica, ma non è
detto che condivida anche tutte le scosse che mi dà. Cioè
a dire, io sono molto distante da Sciascia. In alcuni punti sono più
vittoriniano che sciasciano, e credo che questo sia anche evidente. In
che senso tutto ciò? È come qualche cosa che io non potrò
mai essere, cioè la ragione, la limpidità di scrittura di
Sciascia, sono così irraggiungibili per me che rappresentano una
carica ad andare avanti. Ma qui ci fermiamo».
In questi anni, è cambiato il suo rapporto con la Sicilia, e
soprattutto con la sua gente?
«Abitare a Roma mi ha dato la possibilità di osservazione
distaccata della Sicilia e dei siciliani. Oggi posso essere assai più
critico di una volta. In questo senso adopero la parola distacco. Ma sinceramente
non so se questo dipenda dal fatto di vivere a Roma o dal fatto di essere
invecchiato. Sono convinto che vivendo sempre qui, avrei avuto oggi lo
stesso tipo di sguardo».
In "Un filo di fumo", quando cita l´elenco degli abitanti di
Porto Empedocle, vengono fuori alcuni nomi di scrittori siciliani anche
poco noti (Antonio Russello, Antonio Pizzuto, Angelo Fiore, e altri). Qual
è stato secondo lei il più sfortunato?
«Devo dire che quello del quale abbiamo tutti un po´ intuito
la grandezza ma in nessun modo siamo riusciti ad aiutarlo, anche se io
me ne tiro fuori subito in quanto allora non ero nessuno, è stato
Angelo Fiore, che ha scritto dei libri straordinari, tra cui "Il supplente",
che io considero il suo capolavoro. Ma anche tra la critica più
accreditata, con pochissime eccezioni, Fiore non ha avuto quel riscontro
che sinceramente meritava».
Per tornare a lei: c´è un suo libro che oggi rilegge con
vero piacere?
«Io non sono capace di rileggermi. Qualcuno analizzi questo aspetto
psicanaliticamente. Una volta che il libro è pubblicato, io non
sono in grado di riprenderlo tra le mani. Ed è un tormento quando
i traduttori stranieri, scrupolosi e coscienziosi sino all´esagerazione,
mi mandano chilometrici fax per avere ragguagli su una frase tormentata
e mi costringono a rileggermi. Non solo, ma io disperdo le tracce. Anche
del libro pubblicato, io distruggo tutto quello che è stato il lavoro
di preparazione, le varie redazioni. L´unico che ha potuto lavorare
con le varianti è stato il professore Silvano Nigro, il quale ha
trovato nella casa editrice Sellerio cinquanta pagine della prima versione
di un mio romanzo che avevo inviato a Elvira. Non rileggendomi, spesso
dimentico le cose, i personaggi. Per dimenticanza, farei resuscitare personaggi
belli e sepolti. Mentre mi ricordo di tutto nel momento in cui scrivo».
Quando ha avuto la coscienza che stava per diventare uno scrittore
di grande successo?
«Alla fine del 1998. Quando sono arrivati i rendiconti, e mi
sono trovato di fronte alla cifra stellare di un milione di copie vendute.
La percezione esatta però l´ebbi a Firenze. Stavo facendo
un lavoro promozionale da lasciarci la pelle. Quando presentavo i miei
libri, le persone che venivano (dieci, quindici) avevano pressappoco l´età
di cinquant´anni. Era un pubblico placato e pacato. Negli ultimi
tempi, questo pubblico cominciò a diventare di cento, centocinquanta
persone. Ma l´età degli astanti non variava sensibilmente.
A Firenze invece, era inverno ricordo, in una grandissima libreria, vidi
arrivare dal fondo della sala un gruppo di una quindicina di giovani, proprio
in tenuta da giovani. Ed ebbi la speranza di una contestazione, perché
di solito alle presentazioni mi annoio quando mi fanno solo complimenti.
Questi, invece, si sedettero per terra, e quando si svolse il rito degli
autografi arrivarono questi giovani che invece di essere gentili, mi lanciavano
il libro e mi intimavano: "Avanti, scrivi a Giovanni". Allora capii che
il ventaglio dei miei lettori si era allargato al massimo, ed entrai in
una crisi profonda di domande su che cavolo scrivevo, se agguantavo un
ragazzo di diciotto e un signore di settanta. Non riesco ancora a darmi
delle risposte».
Per quel che riguarda la sua ideologia, e il rapporto con la sinistra,
cosa è cambiato in questi anni?
«Innanzitutto, io non sono più iscritto al partito, mentre
prima lo ero. Io non sono uno di quelli che se ne andarono per i fatti
d´Ungheria. Tutt´altro. Io me ne sono andato quando mi accorsi
del progressivo e inarrestabile imborghesimento del partito. Però
poi ci tornai quando si trattò del divorzio, dell´aborto.
Mi sentii in dovere di schierarmi apertamente. Oggi io rimango sempre un
uomo di sinistra, un comunista. E mi sono avvicinato a quelli che erano
i movimenti esterni, ma di pungolamento del partito, come i girotondi ad
esempio. Devo confessare che alle ultime elezioni, Folena, che allora era
coordinatore dei democratici di sinistra, mi chiese di candidarmi come
senatore e io gli risposi di levarselo dalla testa. Non è detto
che io avrei potuto vincere, ma di sicuro non avrei potuto sostenere fisicamente
l´impegno stesso che quell´incarico richiedeva».
Lei ha più volte ammesso il legame forte che lo tiene unito
alla famiglia, ai nipotini…
«Io mi sono sposato a trent´anni ed ero perfettamente consapevole
del fatto che stavo per prendere in moglie una donna, e soprattutto che
una donna volesse sposare me, altro elemento non indifferente. La notte
che precedette il matrimonio per me fu veramente infame. Ero completamente
schizofrenico: da una parte volevo schizzare dal letto e prendere il primo
treno per sparire, dall´altra volevo vedere se ero all´altezza
della situazione. Poi ho pensato che ero stato io a decidere, liberamente;
il panico era di non riuscire a mantenere la parola data, perché
questo è per me il matrimonio. Sarò in grado tra dieci anni,
mi chiedevo, di sostenere questa scelta? Ora, non è che io sono
stato fedele a questo matrimonio perché avevo dato la parola. No,
il mio è un matrimonio riuscito. Oggi, che sono spariti i miei compagni,
la persona che legge i miei libri dattiloscritti appena usciti dalla stampante
e che mi terrorizza, è mia moglie, la quale è di una severità
assoluta ed estrema. I rapporti tra due persone, col passare degli anni,
si modificano. Vai a sapere che tipo di osmosi, di complicità si
viene a creare. Questo senso della famiglia, con la f maiuscola (per amor
del cielo, se no si pensa subito alla famiglia mafiosa), l´ho sempre
avuto anche perché vengo fuori da famiglie di questo tipo, sia da
parte di padre che di madre. Famiglie tipicamente siciliane. Però,
la mia è stata una famiglia senza barriere. C´è da
dire poi che il mio lavoro mi ha portato spesso a essere lontano da casa,
e tutto il peso dell´educazione delle figlie è ricaduto su
mia suocera e su mia moglie. Non è che io me le sia tanto godute
le mie figlie, nella loro infanzia. L´avvento dei nipotini è
come un risarcimento per me, oltretutto non avendo grosse responsabilità.
La famiglia, soprattutto per il mestiere che ho fatto, è stato per
me un contrappeso sempre fortissimo. Io sapevo che mi potevo piegare più
della torre di Pisa, perché ero contrappesato. Spero che la metafora
sia abbastanza chiara».
Prima del Camilleri scrittore, c´è stato un Camilleri
poeta. Però è come se lei avesse cancellato quell´esperienza…
«Il fatto è che la poesia ha cancellato me. È vero,
ho scritto parecchi versi, ma a un certo punto non ho più avuto
modo di continuare».
E dire che la giuria che l´aveva premiato, aveva visto bene.
Lei era in buona compagnia, assieme a David Maria Turoldo, Andrea Zanzotto,
Danilo Dolci…
«Nel suo Meridiano, Zanzotto ha voluto ricordare questo episodio.
E ha fatto bene. Riguardo alla mia carriera di poeta, c´è
poi stato il premio Saint Vincent. Quello aveva come presidente della giuria
Ungaretti, il quale poi fece una sua personale antologia dei poeti che
parteciparono al premio e la pubblicò nello "Specchio" di Mondadori,
che allora era una cosa prestigiosissima. Poi c´è stato un
decennio, verso il Sessanta, nel quale ho scritto sei, sette poesie. E
lì mi sono fermato».
Abbiamo parlato di tante cose… la volevo ringraziare.
«Sì, però io mi auguro che questa intervista non
si trasformi in un coccodrillo».
Faremo tutti gli scongiuri del caso…
«Mi raccomando».
Salvatore Ferlita
Il Sole 24 Ore
(suppl. "Domenica"), 28.8.2005
Sicilia
Montalbano batte il marchio Unesco
È duello sulla fama del commissario Montalbano, il personaggio
inventato da Andrea Camilleri e divenuto celebre in tutto il mondo grazie
alle fiction Rai.
Da una parte ci sono i vari luoghi della Provincia di Ragusa, Scicli
in testa, set naturale del film, dall'altra invece Porto Empedocle, il
paese della provincia di Agrigento dove è nato Andrea Camilleri
e che ha scelto di chiamarsi anche Vigata (il nome letterario del paese
di Montalbano).
Per il momento ad avere avuto i maggiori vantaggi dalla grande promozione
televisiva sono state le aree della provincia di Ragusa: da Donnalucata
(Scicli) a Samperi, da Modica a Ragusa Ibla. Un vantaggio sulle altre aree
della Sicilia ormai consolidato. Ne è testimone il sindaco di Scicli
Bartolomeo Falla, la cui stanza nel palazzo municipale è stata prestata
alla fiction per ospitare l'ufficio del questore: «È ormai
un flusso continuo di visitatori, il fenomeno Montalbano ha inciso nella
crescita turistica più dell'inserimento della provincia di Ragusa
nella lista Unesco».
Gli ultimi dati disponibili dicono che nel solo mese agosto dell'anno
scorso «la stanza del questore» è stata visitata da
quasi 8mila persone. Secondo stime della Regione siciliana la provincia
Iblea ha registrato nel 2005 una crescita degli arrivi del 20% «dovuti
essenzialmente - spiega il direttore del dipartimento Turismo della Regione
Agostino Porretto - all'effetto Montalbano. Ed è proprio muovendoci
su questa scia che stiamo sostenendo le produzioni cinematografiche in
Sicilia».
Nino Amadore
La Sicilia, 29.8.2005
Se Shakespeare fosse stato palermitano...
Catania. Grandi applausi per «Troppu trafficu ppi nenti»,
versione siciliana del capolavoro di William Shakespeare («Molto
rumore per nulla») redatta da Andrea Camilleri e Giuseppe Di Pasquale,
presentata dall'associazione «Lunaria Teatro» per la regia
di Giuseppe Di Pasquale. Il pubblico ha seguito la rappresentazione di
grande effetto per i costumi sfarzosi e orientaleggianti di Angela Gallaro,
indossati dai personaggi che si muovevano attorno ad una grande e originale
pedana al centro. Un'azione scenica molto veloce e movimentata che ha scandito
l'altrettanto movimentata vicenda «'u trafficu» ruotante attorno
a Eru (Valeria Contadino) e Claudio (Giovanni Carta) il cui matrimonio
proposto da Don Petru (Pietro Montandon) e avallato da Lionatu padre di
Eru (Giampaolo Poddighe), viene dapprima mandato a monte dal malvagio Don
Giovanni (Filippo Brazzaventre) con la complicità di Burracciu (Franz
Cantalupo) e di Margherita (Chiara Seminara) e poi sventato grazie all'arguzia
di Frati Cicciu (Sergio Seminara).
Bellissime le figure di Binidittu (Angelo Tosto) e Biatrici (Alessandra
Costanzo) oggetto di uno scherzo giocoso, che alla fine scoprono di amarsi
veramente. Ogni personaggio ha una sua caratterizzazione ben precisa, così
Orsola (Daniela Ragonese), Carruba (Mimmo Mignemi), Sorba (Aldo Toscano),
Un cancilleri messu (Sergio Seminara) e una guardia (Giovanni Vasta).
Maestro Di Pasquale come è nata l'idea di "Troppu trafficu ppi
nenti"?
«È nata da uno scherzo fatto ai danni del prof. Martino
Iuvara il quale sosteneva che Shakespeare non era inglese bensì
palermitano ed era fuggito in Inghilterra e si chiamava Michelangelo Crollalanza
(che traduce in italiano i termini shake-speare). Abbiamo inventato di
aver trovato il testo. In realtà lo abbiamo creato noi».
Avete compiuto una nuova sperimentazione linguistica?
«L'operazione ha un valore linguistico nuovo, perché è
un testo che nella sintassi e nella morfologia linguistica non esiste.
Infatti io e Camilleri abbiamo mescolato un insieme di prestiti presi dal
siciliano antico, dal castigliano, dal catalano e abbiamo dato vita ad
un nuovo linguaggio con matrice comune».
Questa nuova lingua è comprensibile?
«Sì, perché il significato di qualsiasi lingua
in scena è dato dal contingente, ossia dall"'hic et nunc" della
rappresentazione. Così questo siciliano antico ha una sua veste,
ma la sostanza è contemporanea e universale».
Quanto è durata la stesura di "Troppu trafficu ppi nenti"?
«Abbiamo impiegato circa un anno e mezzo, perché dietro
c'è tutto un lavoro certosino di ricerca della memoria storica e
di ricostruzioni fedeli del testo shakespeariano».
Questo prestigioso lavoro vi ha portato molti riconoscimenti esteri:
in Romania un premio speciale da parte del ministero della Cultura e della
giuria giornalistica e un altro premio in Polonia come rappresentanti dell'Italia
al Festival shakespeariano.
Cosa prova un siciliano premiato all'estero?
«Il piacere di scoprire che il nostro temperamento ha per i paesi
esteri una forza espressiva che è il nostro vero tesoro e lo dobbiamo
coltivare e custodire».
Enza Barbagallo
La Stampa, 31.8.2005
Hollywood-Sicilia in cerca delle radici
San Vito Lo Capo (Trapani). E' una storia strana, quella di Vincent
Schiavelli, terza generazione di immigrati siciliani in America, caratterista
di Hollywood, un carniere ricco di film di grandi registi (da Milos Forman
a Ridley Scott) e di telefilm di successo, e adesso fiero assertore del
ritorno alle origini. Da un anno questo attore di 57 anni è tornato
a vivere a Polizzi Generosa, il paese delle Madonie dal quale suo nonno
partì, un centinaio di anni fa, alla volta di «Bruculinu America».
Proprio così si intitola il libro che Schiavelli ha pubblicato per
Sellerio, un libro di memorie e di ricette.
[...]
Ascoltare quest'attore bizzarro, originale, a suo modo avventuroso,
dalla risata potente e catarrosa, è come ascoltare un personaggio
di Camilleri; Polizzi è come Vigata, un po' più vera, ma
proprio perché vera, persino un po' più falsa.
Alessandra Comazzi
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