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RASSEGNA STAMPA

AGOSTO 2005

 
Donna Moderna, 1.8.2005
Letture estive
Questo mese ho voglia di... indagare
Andrea Camilleri, Luna di carta

E con chi altri se non con il commissario Montalbano? Alle prese, nel nuovo romanzo, con un omicidio che a prima vista sembra una vendetta d’amore, ma che, a mano a mano che le indagini si addentrano nella rete di menzogne, intrighi politici e passionali, diventa un caso complesso. Soprattutto per Montalbano: chi lo conosce sa che è un uomo indipendente ma fedelissimo alla storica fidanzata. Questa volta, però, viene insidiato da una donna sensuale, quasi morbosa, e il suo abituale autocontrollo viene duramente messo alla prova. I risvolti privati (e piccanti) delle indagini rendono la lettura ancora più gustosa. 
Elena Dallorso
 
 

ANSA, 2.8.2005
Tre giorni nel bolognese per indagare i misteri d'Italia

Bologna - Tre giorni ''d'indagine su misteri irrisolti e omissis inquietanti della nostra Repubblica'', per ''una sfida civile e culturale insieme che trova senso e radici nella storia di questa provincia che ha drammaticamente fatto da sfondo alla barbarie di stragi come quella del 2 agosto o dell' Italicus, o all'efferatezza degli innumerevoli omicidi degli assassini della Uno Bianca''. E' 'Politicamente scorretto-la letteratura indaga i gialli della politica', iniziativa che, dal 21 al 23 ottobre, chiamera' a Casalecchio di Reno (Bologna) scrittori, magistrati, giornalisti e artisti. 
L'iniziativa prevede proiezioni di film, incontri e dibattiti ma per Paola Parenti, assessore alla cultura del comune del bolognese, ''non sara' un Festival''. Perche' se da un lato ''e' vero che la divulgazione, a volte anche in chiave ludica, e' un ottimo strumento comunicativo per facilitare l'approccio a svariati 'saperi' di tante persone, in questo caso a guidarci sara' il rigore, nella consapevolezza che la materia che tratteremo e' intrisa di lutti e sofferenze e non daremo spettacolo dei gialli della politica, ma cercheremo insieme di capire per non dimenticare, anche per cercare di affrontare con maggiore lucidita' il clima di questi giorni''. 
Il progetto e' nato grazie alla collaborazione dello scrittore Carlo Lucarelli, e hanno gia' aderito, per il comitato scientifico, Andrea Camilleri e il magistrato Libero Mancuso. 
''Si tende a non parlare della nostra storia perche' c'erano coinvolti dei poliziotti - ha detto Rosanna Zecchi, dell' Associazione dei parenti delle vittime della Banda della Uno Bianca, che ha aderito all'iniziativa presentata proprio nella sua sede - Bisogna invece parlarne. L'altro giorno ero con il mio nipotino a Cattolica. Ha voluto allontanarsi da un cassonetto perche' pensava potesse esserci dentro una bomba. Penso che quando un bimbo di 10 anni e' cosi spaventato da queste cose, abbiamo il dovere di spiegare, raccontare anche per tranquillizzare i nostri giovani''. 
''A volte riferire solo quello che si e' accertato e' banale - ha spiegato Mancuso - perche' rischia di non avere l'interesse che meriterebbe se invece venisse raccontato nella chiave giusta''. 
''Ci interessa mettere assieme la memoria, la storia e i misteri, perche' la nostra storia e' fatta anche da tutti questi misteri irrisolti - ha spiegato Lucarelli - ma al contempo vedere come un certo tipo di letteratura ha contribuito a svelare quei meccanismi, per capire anche se esista oggi una nuova frontiera del giallo''. Tra le cose che infatti per Lucarelli ha sempre 'fatto' lo scrittore di gialli ce n'e' una particolare: ''ficcare il naso nelle cose che non vanno e raccontarle''. Riuscendo cosi' a fare cio' che, a volte, giornalismo e storia non riescono a fare: ''mettere in scena meccanismi, spiegare cosa vuol dire 'pensare male', per vedere cosa c'e' dietro le cose che vediamo in superficie''. 
 
 

I Viaggi di Repubblica, 4.8.2005
Viaggi paralleli
Camilleri - Zingaretti

Andrea Camilleri: Nato a Porto Empedocle, vergine. Il re del giallo, sempre in testa alle classifiche. E' il creatore del commissario Salvo Montalbano. 
Luca Zingaretti: nato a Roma, scorpione. Attore impegnato, di grande talento e amato dal pubblico. E' il commissario Montalbano nella fiction. 
Il primo viaggio senza genitori. Dove e con chi?
Camilleri: A Firenze, avevo 14 anni, per un raduno della gioventù fascista. 
Zingaretti: A Palinuro a 14 anni e mezzo, con dei miei amici. 
Il viaggio più importante?
Camilleri: Il Cairo. Andarci la prima volta è stato come ritrovarmi. 
Zingaretti: Parigi, a 30 anni, mi ha stregato. E' l'unica città dove vivrei. 
Le vacanze da piccolo con i tuoi?
Camilleri: In una casa in campagna vicino Porto Empedocle, con zii e cugini. 
Zingaretti: Senigallia, sulla riviera adriatica. 
Un posto dove sogni di andare?
Camilleri: A 80 anni non si sogna più. Ma a nord, verso la Finlandia. 
Zingaretti: Cuba, prima che muoia Fidel Castro. 
Il viaggio più pazzo che hai fatto?
Camilleri: Mai fatto. Sono stato pazzo a farmi 13 ore di aereo, ho il terrore. 
Zingaretti: Londra in autostop, da solo. Ho dormito in un cimitero. 
Il compagno di viaggio ideale?
Camilleri: Un libro. 
Zingaretti: Con Bruno Armando in Bretagna a guardare per ore il panorama. 
Con chi partiresti subito e per dove?
Camilleri: Con il primo che capita, purchè sia gradevole e intelligente. 
Zingaretti: A vedere Bahia con Jorge Amado. 
Cosa non manca mai nella tua valigia?
Camilleri: Libri, libri, libri... una penna biro e della carta. 
Zingaretti: Il caffè e la macchinetta elettrica. 
Un viaggio nel tempo. Dove andresti?
Camilleri: Nel '700 della rivoluzione.
Zingaretti: Nel '900. E' stata l'ultima generazione positiva. 
Sushi o riso alla cantonese?
Camilleri: Risi e bisi. 
Zingaretti: Spaghetti al pomodoro. 
In cosa siete diversi?
Camilleri: Nell'età. 
Zingaretti: Lui c'ha 'na capoccia così! Io no. 
Tratti in comune?
Camilleri: La passione per la lealtà. 
Zingaretti: Quel senso di giustizia "montalbanesco". 
Un pregio dell'altro?
Camilleri: La chiarezza. 
Zingaretti: E' un grandissimo affabulatore. 
Che meta sceglieresti per fare un viaggio con l'altro?
Camilleri: Tornerei in Africa dove lui è già stato per girare un documentario. 
Zingaretti: Dappertutto, scelga lui. 
La prossima partenza: dove vai e con chi?
Camilleri: Sicilia. Spero di muovermi ancora per un'altra laurea ad honorem. 
Zingaretti: Un tour dell'America Latina con un gruppo di amici. 
Emanuela Giovanni
 
 

Gazzetta del Sud, 5.8.2005
«La luna di carta» di Andrea Camilleri
Montalbano indaga sfiduciato fra torbide vicende di provincia

Un Montalbano, questa volta stanco e un tantino sfiduciato (forse si prepara ad andare fra non molto in pensione o a uscire di scena?) è alle prese con un'indagine su un delitto apparentemente ordinario, ma che ha sullo sfondo della scena cadaveri eccellenti e torbide vicende di vizi di provincia e di droga. La trama di «La luna di carta» (Sellerio, pagine 267, euro 11), ultimo, in ordine di uscita, romanzo di Andrea Camilleri, è fosca e melmosa e s'intesse di contesti degradati che affondano nella palude di una società decaduta e in stato di abbandono, che solidarizza con una politica governativa, «drogata di ordinaria anormalità», come scrive Salvatore Silvano Nigro nelle «alette» di copertina del libro. I personaggi dei romanzi di Camilleri, della serie dedicata alle imprese del commissario di polizia Salvo Montalbano anche questa volta, ci sono tutti: dall'irresistibile agente Catarella, alle prese con lo stravolgimento della lingua sicula, al vice di Montalbano, Mimì Augello, ormai accasato e con prole a carico, al questore rompiscatole e al suo capo gabinetto Lattes, viscido e burocratico, che sta antipatico al commissario di Vigàta. I fatti, per quest'ultimo episodio di cronaca da cui si dipana la storia che ci racconta Camilleri, riservano al lettore, come in ogni giallo che si rispetti, succulenti colpi di scena e circostanze, dal punto di vista mediatico, sufficientemente morbose e quindi interessanti. Un informatore medico scientifico, morto ammazzato con un colpo di pistola in faccia, viene trovato, da un Montalbano che sfonda a spallate la porta della dependance dell'appartamento dove l'uomo abitava, in posizione tale da far presupporre di essere stato ucciso durante o alla fine di un rapporto sessuale. Nell'intreccio dell'indagine, si fanno largo due donne, la sorella dell'uomo ucciso e l'amante, segreta ma non tanto. Montalbano ha a che fare con queste due astute e ingannevoli donne, nel cui passato emergono precedenti storie, sfuggenti e per niente limpide, raccontate con una scaltrezza tale che Montalbano deve tirare fuori tutta la sua abilità di poliziotto per evitare di essere depistato e finire in un vicolo cieco con la sua indagine. Ma, anche se stanco e svogliato, il commissario che non disdegna, come al solito, la buona cucina e continua ad amare la sua Livia lontana, storica fidanzata, riesce a non scivolare e cadere nelle trappole disseminate sul suo cammino investigativo. Non abbocca alle esche e non crede più che in cielo la luna è fatta di carta, come una volta da «picciliddro», per «babbiarlo», gli aveva fatto credere il padre. Le due donne, che duellano con abilità e malizia nello sgranarsi della storia, volevano fargli credere che la luna era fatta di carta e lui ancora una volta stava per fidarsi, ma, ormai uomo maturo e poliziotto, la verità era sua dovere farla venire a galla. Il giallo della morte dell'informatore medico scientifico, che poi era un ex medico radiato dall'albo, trova una soluzione che a un certo punto non è difficile intuire, ma per arrivare alla verità, Camilleri conduce Montalbano lungo vie tortuose, disseminate di passioni irascibili e di successioni sceniche teatrali, impregnate della maestria e dell'antica cultura dell'autore e regista Andrea Camilleri. Se non sbagliamo, «La luna di carta» è il nono romanzo della coppia Camilleri-Montalbano, una lunga serie di narrazioni che comincia con «La forma dell'acqua» e prosegue con altre storie che hanno appassionato il pubblico di lettori dello scrittore siciliano, un fenomeno letterario «stabilizzato» e consolidato nel panorama narrativo italiano. Il mitico commissario Montalbano, alle prese con l'ultimo intricato caso poliziesco s'interroga, diremmo con un poco di vanità, sulla sua incipiente vecchiaia e riflette, con rimpianto del passato, sui sintomi che tradiscono la ruggine degli anni. Ma ne esce alla grande e ripara a qualche colpo perduto con la consueta bravura e l'umiltà del professionista che ansiosamente cerca la verità per mestiere e per scelta di vita. Forse anche per questo i lettori amano Montalbano. 
Domenico Nunnari
 
 

La Repubblica - Almanacco dei libri, 6.8.2005
Nella storia di Bacab, diavolo figlio di un demone d'aria e di una picciottedda di Canicattì, è possibile trovare anche luciferine e ironiche allusioni all'Italia di oggi
Il diavolo che tentò se stesso
Andrea Camilleri
"Il diavolo che tentò se stesso" è un racconto-introduzione che Andrea Camilleri ha dedicato al celebre libro di Jacques Cazotte, "Il diavolo innamorato", ristampato da Donzelli nella traduzione di Gaia Panfili, che arriverà nelle librerie dopo ferragosto. 
Lo scrittore siciliano, padre del commissario più amato dai lettori, ha pubblicato un'altra inchiesta di Montalbano, "La luna di carta", che ha venduto più di 450mila copie a solo un mese dalla sua uscita.
 
 

Castelbuono, 10.8.2005
Vigàta mon amour
In scena una versione rinnovata del lavoro teatrale tratto dalle opere di Andrea Camilleri.
 
 

Napoli.com, 10.8.2005
Francesco Paolantoni in crisi esistenziale

[…]
Il tuo calendario è fitto. Per l’inverno che novità ci sono?
“Ottobre, novembre e dicembre sarò con la Compagnia dello Stabile di Catania dove presenterò un lavoro di Andrea Camilleri, una sua traduzione teatrale dello spassosissimo libro "La concessione del telefono"… Parlerò in camilleriano!
[…]
Alessandra Giordano
 
 

L'Arena, 10.8.2005
Saranno capaci di tacere e sprofondare nella lettura? Intanto hanno portato in valigia qualche volume nei luoghi di villeggiatura
Tutti i libri dei politici in vacanza

Tra saggi, romanzi e perfino poesie giapponesi non manca Camilleri 
Abituati a parlare in aula, parlare nei talk show, parlare nei comizi di partito, i politici in vacanza saranno capaci di tacere e sprofondare nella lettura di un libro? L’intenzione, almeno quella, c’è: tutti hanno portato con sè qualche volume. Come ogni estate, giurano che ci si metteranno d’impegno; anche se poi la lettura preferita (o obbligata) sarà come sempre quella delle notizie e dei commenti politici dei giornali.
[…]
Per una volta più vicino a Rutelli, il leader del centrosinistra Romano Prodi si dedicherà «obtorto collo» alla lettura di studi e dossier di argomento economico da utilizzare per il programma dell’Unione; anche se non dispera di ritagliarsi qualche ora per la lettura dell’ultimo Camilleri.
[…]
Si sbaglierebbe a pensare che i politici non leggono romanzi. 
[…]
«La luna di carta» di Camilleri riscuote successo soprattutto nel centrosinistra: seguiranno l’ultima inchiesta del commissario Montalbano il verde Pecoraro Scanio e il capogruppo della Margherita Willer Bordon.
[…]
Marco Dell'Omo
 
 

Thriller magazine, 12.8.2005
Tanti auguri Andrea Camilleri

Il 6 settembre il celebre scrittore compirà 80 anni e i suoi più fedeli lettori hanno organizzato una sorpresa... 
Andrea Camilleri è senza dubbio uno degli scrittori più conosciuti e amati in Italia negli ultimi anni.
Il successo ottenuto dal suo commissario Salvo Montalbano, che lo ha portato alla popolarità, e la sua vasta e varia produzione in ambito non solo letterario gli hanno fatto conquistare l'affetto di un vasto pubblico.
A partire dal 1997 è stato fondato anche un fans club dedicato a Andrea Camilleri. Il sito del fans club è www.vigata.org, dove è raccolto un vastissimo materiale rigurdante lo scrittore: una completa rassegna stampa, reportage di eventi e manifestazioni, nonchè ricerche all'interno dei libri e molto molto altro.
Proprio il Camilleri Fans Club, che lo segue sempre con stima e affetto, ha deciso di organizzare una simpatica iniziativa in occasione del compleanno dello scrittore.
Il 6 settembre, infatti, Andrea Camilleri, compirà 80 anni e il club di Vigata.org ha deciso di portargli i suoi migliori auguri in una maniera originale.
Che regalo più bello, per un uomo che ha saputo far conoscere e amare la Sicilia in tutto il mondo, se non quello di un giro del globo virtuale?
L'iniziativa, infatti è quella di inviare a Andrea Camilleri cartoline d'auguri da ogni parte d'Itaia e non solo, che saranno raccolte dal direttivo del fans club in un album e recapitate all'autore.
Tutti coloro che volessere partecipare possono trovare tutte le informazioni  necessarie a questo link https://www.vigata.org/auguri.shtml.
Naturalmente anche la redazione di Thriller Magazine si unisce al coro di auguri per questo autore, che si impone nel panorama del giallo italiano in posizione assolutamente predominante.
Chiara Bertazzoni
 
 

ANSA, 14.8.2005
News - In primo piano
Camilleri re dell’estate nonostante il Sudoku

Roma - Andrea Camilleri best seller incontrastato dell'estate, Down Brown record di resistenza, e il Su doku a scalfire le loro granitiche posizioni in classifica. Cosi' appare il quadro dei libri piu' venduti nell'estate.
[…]
L'affetto per Camilleri tiene ''La luna di carta'' (Sellerio) ultima avventura di Montalbano (sembra sia proprio l'ultima se lo scrittore siciliano non cambiera' idea) inattacabile al primo posto.
E al secondo troviamo ancora un racconto di Camilleri ''il Medaglione'', con protagonista il maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato, si tratta di un racconto scritto per il calendario dell'arma nei secoli fedele ripubblicato da Mondadori. Ma un Camilleri appare pure in ''Crimini'' (Einaudi Stile libero), che raccoglie i racconti dei migliori narratori noir italiani (da Carlo Lucarelli a Nicolo' Ammanniti da Giorgio Faletti ad Andrea Camilleri appunto), contribuendo a sospingerlo verso l'alto della Top Ten.
[…]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 14.8.2005
Il fenomeno dei narratori siciliani entra nelle aule universitarie del resto d´Italia e d´Europa
Scrittori da centodieci e lode
Camilleri e Piazzese diventano argomenti di tesi di laurea
Un´austriaca ha scritto sui personaggi femminili del giallista di "Via Medina"
A Tunisi è stato esaminata la lingua del papà di Montalbano

Se una volta non era affatto facile che uno scrittore vivente facesse il suo ingresso nelle aule delle nostre università, in qualità di autore cui dedicare una tesi di laurea, negli ultimi anni invece le cose stanno cambiando: gli scrittori contemporanei stanno scalzando i loro colleghi più celebrati. Messi quasi in quarantena Pirandello, Brancati e Sciascia, forse anche per eccesso di accanimento scientifico, oggi le porte degli atenei si aprono ai romanzieri ancora palpitanti. E dunque, ecco i giovani studenti universitari alle prese ora con la lingua pirotecnica di Andrea Camilleri, ora con i meccanismi narrativi dei romanzi di Santo Piazzese. Perché, se si dovesse oggi indicare una linea di tendenza, si potrebbe dire che i giallisti la fanno da padrone. Sono loro, infatti, gli autori prediletti dai laureandi: vuoi per la forza trainante che un genere sempre verde come il noir sprigiona, vuoi per la possibilità di accostare punti di vista e peculiarità di personaggi diversi.
Andrea Camilleri, in un´ipotetica classifica universitaria, occupa senza dubbio il primo posto: sulla sua miscela linguistica continuano a scervellarsi studenti italiani ma soprattutto stranieri, affascinati dalle potenzialità linguistiche dello scrittore empedoclino. Come nel caso di Amira Krifa, che nell´anno accademico 2003/2004 si è laureata all´Istituto superiore di lingua di Tunisi, con una tesi su "La lingua siciliana tra passato e futuro", il cui secondo capitolo è dedicato alla presenza del dialetto siciliano nelle opere di Andrea Camilleri. Indicato come l´autore che ha contribuito coi suoi romanzi alla rinascita del dialetto siciliano, Camilleri - scrive Amira Krifa - «ha compiuto un´operazione di tipo lessicale, non di sintassi. Nei suoi romanzi ci sono dei termini dialettali ma l´impianto resta italiano. Così facendo, è riuscito ad inventare un dialetto letterario inimitabile e amatissimo dal pubblico dei lettori».
Sulla commistione dei codici linguistici praticata da Camilleri ha basato la sua tesi il siciliano Giovanni Di Stefano, che si è laureato nella sessione di giugno 2004 alla Libera Università di Lingue e Comunicazione Iulm di Milano. Di Stefano ha preso in considerazione le varietà linguistiche nei romanzi polizieschi di Camilleri, cercando di fornire una spiegazione del successo straordinario ottenuto dall´autore del "Birraio di Preston". Ha preso corpo nella tesi di Di Stefano una sorta di diagramma linguistico, quasi una funzione algebrica dell´alchimia verbale di Camilleri.
Per quanto riguarda invece Santo Piazzese, tre sono le tesi di laurea già discusse che lo riguardano: nella prima, di Mariangela Agnone, viene indagato l´impianto linguistico e stilistico dell´ultimo suo romanzo, "Il soffio della valanga". Nella seconda, dell´austriaca Evelyn Schwenner, a campeggiare sono invece le figure femminili, non solo dell´autore dei "Delitti di via Medina-Sidonia", ma anche quelle di Leonardo Sciascia e di Andrea Camilleri. La terza tesi riguarda direttamente Santo Piazzese e il romanzo giallo siciliano: l´autrice si chiama Marta Forno, una quarantenne già laureata in Statistica, ma con la passione debordante per la letteratura siciliana. «Questo pullulare di tesi sul mio conto - commenta Santo Piazzese - mi lusinga, certo, ma nello stesso tempo mi imbarazza. Sono dell´avviso che gli autori da prendere in considerazione, in ambito universitario, devono avere due caratteristiche: essere di chiara fama, e possibilmente defunti.
Salvatore Ferlita
 
 

Stilos, 16-29.8.2005
Primo piano - Carofiglio, il vincitore del Bancarella
L'impegno civile è uno sbotto di rabbia
Tre romanzi, due seriali e uno sociale
Con "Il passato è una terra straniera" si afferma tra i maggiori narratori italiani situandosi in un'area che non è solo di genere
L'esplorazione della società barese diventa strumento per denunciare i mali dell'Italia

[...]
"Io credo che ci potranno essere una serie di opinioni differenti su una serie di aspetti della lingua di Camilleri, ma certamente lui è uno che sa costruire le storie, su questo non c'è dubbio. Non vado pazzo per il linguaggio che usa, appunto, ma trovo che abbia una straordinaria tecnica narrativa, di costruzione delle storie; ha ritmo narrativo ed incastro."
[...]
Maddalena Bonaccorso
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 17.8.2005
La curiosità. Intossicati gli ospiti di Camilleri
Giallo a tavola colpevole il gelato

Ci sarebbero anche alcuni ospiti dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri tra le dodici persone che sono state ricoverate nei giorni scorsi all´ospedale di Caltanissetta perché affette da salmonellosi. I dodici, sette romani e cinque agrigentini, avrebbero contratto il virus in un noto locale situato nella Valle dei Templi dopo avere mangiato del gelato artigianale. Subito dopo i primi malori si sono recati al pronto soccorso dell´ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento e successivamente, in mancanza di un reparto malattie infettive, tutti sono stati trasferiti al Sant´Elia di Caltanissetta. Immediatamente sono scattati i controlli del Dipartimento di prevenzione dell´Ausl 1 di Agrigento che ha imposto la sospensione dell´attività del locale, almeno fino a quando non sarebbero stati pronti gli esiti dei controlli eseguiti. Fino a ieri, però, il locale in questione era regolarmente aperto.
f.r.
 
 

Il Giornale, 17.8.2005
Scerbanenco. Delitto e intrigo

«Che si potesse scrivere il giallo italiano io l'ho pensato dal primo momento». Così raccontava tempo fa Andrea Camilleri in un bel corsivo intitolato «Alcune cose che so di Montalbano», in cui cercava di spiegare l'origine letteraria ed emozionale del suo celeberrimo personaggio.
Camilleri proseguiva così: «Non ho mai creduto che la condanna del giallo italiano, come si continuava a dire allora, fosse l'implausibilità. Augusto De Angelis l'aveva già dimostrato con il suo commissario De Vincenzi che l'ambientazione italiana era plausibilissima per un giallo.
Non parliamo poi di Scerbanenco che è stato un grande anticipatore della realtà. Quando noi leggevamo romanzi crudelissimi come “I milanesi ammazzano al sabato pensavamo” “va bè, ha una fantasia volta al male, poveraccio”. Invece non era così, lui sapeva come sarebbero andate a finire le cose. Prevedeva. Quando lessi la Milano di Scerbanenco, così viva, così al di fuori di ogni tipo di convenzione e di luogo comune, mi sentii autorizzato anch'io a dare nomi italiani, ambientazioni italiane ai miei personaggi,
alle mie storie. Questo adesso può apparire scontato, ma per gli scrittori della mia generazione non lo era».
A chi leggerà l'antologia che comprende 34 “Racconti neri” di Giorgio Scerbanenco, da poco edita da Garzanti (pagg. 466, euro 16), il commento di Camilleri sembrerà estremamente calzante. Nessuna di queste storie pare invecchiata con il passare del tempo e tutte potrebbero essere state scritte ai nostri giorni. Molte paiono prese dalle pagine della recente cronaca nera, altre potrebbero essere tranquillamente lucidi resoconti del periodo della Seconda guerra mondiale raccontati attraverso gli occhi di contadini, partigiani e ufficiali tedeschi. Vari gli scenari presi in esame, dalla classica Milano Calibro 9 alla non meno venefica Emilia di Ferrara e Collecchio, dalla riviera di Lignano alle assolate lande greche di Olimpia e del lago di Giannina, dagli affollati boulevard di Parigi alle polverose strade di un'anomala Odessa texana.
Nessuna delle storie raccontate ha un finale consolatorio, tutte lasciano l'amaro in bocca per il loro modo realistico di raccontare lo svolgimento dei fatti. Si tratta di racconti apparsi fra il 1959 e il 1970 su Novella 2000, Annabella, Stampa Sera, Sogno. Alcuni erano già apparsi nelle raccolte “La notte della tigre” e “Millestorie” (da tempo irreperibili sul mercato) e solo 8 non erano mai stati raccolti in volume (Mai domandare alla gatta se ti vuole bene, Le ricerche continuano, Più forte del killer, La fabbrica delle vedove, Perché vivere se puoi morire?, Delitto all'italiana, Diario per un assassino e O mi aiuti o mi ammazzo). Come sottolinea acutamente Carlo Lucarelli nell'introduzione, le storie che Scerbanenco racconta «non sono storie delicate e queste lo sono ancora meno di tante altre. Sono storie nere, nerissime, storie di delitti efferati, di sentimenti abbietti, di trasgressioni e devianze, di bassifondi brutti e di ambienti alti anche peggio. Sono le stesse storie maledette che potremmo trovare nei racconti disperati di James Hadley Chase, in quelli crudissimi di James Ellroy, nei romanzi noir di Patrick Manchette e Leo Malet. Solo che queste sono storie nostre, ambientate in un'Italia di ieri l'altro che non ha quasi niente di diverso da quella di oggi, perché potere e politica, delitti e passioni, mafia e criminalità più o meno o per niente organizzata sono ancora gli stessi, e che la gente giri in Cinquecento, che i lavoratori siano ancora soprattutto gli operai e che le ragazze portino gli stivaloni a mezza gamba, il cappottino corto con i bottoni grandi e i capelli alla Patty Pravo, sono soltanto dettagli».
Giorgio Scerbanenco scrisse con una «frequenza infernale» fin dagli inizi della sua carriera, nel 1931, mantenendo la sua produzione costante fino al 1969 e frequentando tutti i generi possibili:
il nero, il giallo, il rosa, il western, la fantascienza, l'avventura, le storie di guerra. «Se dovessimo per forza definire il genere di appartenenza di Scerbanenco - aggiunge ancora Carlo Lucarelli -, se proprio ci fossimo costretti con una pistola puntata alla schiena, tanto per restare in tema, allora dovremmo dire che il suo genere è la narrativa, punto e basta».
E sbirciando fra le tematiche sviscerate degli otto splendidi inediti inseriti nella raccolta ci troviamo davanti a storie scritte con piglio letterario forte che mostrano la capacità camaleontica di Scerbanenco di immedesimarsi in storie e personaggi di diversa estrazione: un giovane che trova una valigia piena di soldi e la usa per misurare la solidità e la veridicità dei sentimenti della sua amante; una madre ossessionata dalla scomparsa della sua bambina che accetta di varcare la soglia della follia purché le indagini della polizia possano proseguire; una narcotrafficante greca capace di «uccidere con amore»; un anziano imprenditore torinese con l'insana passione per le bische che bara e finge fino in fondo per vincere la sua ultima partita mortale con un losco mafioso; una clinica parigina perfetta per eliminare i mariti anziani e far intascare alle giovani vedove i premi stellari delle polizze sulla loro vita; un supertestimone stanco di fuggire a continui attentati e disposto a tutto per amore; uno squallido omicidio all'italiana fra poveri immigrati in terra germanica; un giornalista che deve vendicare la tragica morte del figlio punendo la moglie fedifraga che l'ha lasciato bruciare in casa; un ginecologo alle prese con pazienti che minacciano il suicidio.
Come avrete capito quelli presi in esame sono racconti noir a tutti gli effetti che ci mostrano uno Scerbanenco all'apice della sua produzione. Sono storie appassionanti in cui, come dice sempre Lucarelli «si sente una sensibilità appassionata, una partecipazione, una pietà comunque e per chiunque, un dolore per quello che accade di brutto nel mondo, in questo mondo, uno sguardo ferito. Nei racconti noir di Scerbanenco, assieme alla suspense e al colpo di scena, alla tensione, alla violenza e all'intrigo, c'è amore, un amore enorme per le storie brutte che racconta e per i personaggi, sfortunati, tragici, disperati, ingenui, cattivi, sbagliati e anche comici, che si trovano a viverle».
Luca Crovi
 
 

Il Tempo, 18.8.2005
Ne «Il medaglione» l’investigatore di un mistero siciliano è un maresciallo

Un ipotetico medico di famiglia — con qualche sicura cognizione psicologica — non avrebbe esitazioni nel consigliare qualche lettura estiva. Gli editori aiutano il paziente sfoderando uno dopo l’altro testi che ti agguantano dalla prima pagina e non ti lasciano più: non casualmente Andrea Camilleri è da sempre in testa alle classifiche più o meno sincere: lui, va bene d’inverno per le gelide sere in cui non ti va da imbracarti in una telefiction, a meno che il protagonista non sia il commissario Montalbano, e funziona anche sotto l’ombrellone in un torrido pomeriggio: neanche a dirlo, eccolo con due libri costruiti su misura per questo tipo di situazione, ma anche con quella tecnica sopraffina che lo ha designato sicuramente il miglior nostro giallista del momento, con ogni rispetto per tutti gli altri, in un contesto che abbonda di romanzi di questo tipo. Dunque, eccolo Camilleri alle prese con due storie, una edita dal suo fedele Sellerio, Luna di carta (pag. 265, 11,00 euro), l’altra negli Oscar mondadoriani, Il medaglione (pag. 71, 7 euro). Nell’uno come nell’altro testo c’è la duplice possibilità di realizzare una gita conoscitiva in un ameno luogo siciliano, il delizioso Belcolle paese da cartolina, con una barca sullo sfondo arenata su una montagna verde e giù in fondo il mare inconfrontabile di Cefalù. Armi e bagagli e correre subito sul luogo dove il simpatico maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato cerca di capire perché e percome l’inconsolabile Ciccino è ormai fuori di testa, dopo la scomparsa della moglie Marta. Ed ecco questo Brancato/Montalbano dedicarsi all’inchiesta con tutte le armi indiziarie in suo possesso. Se questo è il problema che sbuca fuori dalla lettura accattivante de Il medaglione, la sfida con un testo come Luna di carta è certamente più coinvolgente, poiché tante enormità, in ogni campo e in ogni rapporto, che esistono nell’Italia di oggi così difficile da farsi capire, emergono in chiara luce e non vengono sottaciute da Camilleri, ovunque il suo randello vada a colpire. Insomma, la suggestione del paesaggio sta lì, a portata di mano e di occhi, ma le magagne ci sono tutte ed è un dovere dello scrittore riportarle in superficie, dal mare melmoso in cui si nascondono. Dunque partiamo dal centro della vicenda: c’è un cadavere, quello di un informatore farmaceutico, ucciso con una fucilata in pieno viso mentre riposa sulla poltrona di casa. È un poco di buono, e le condizioni censurabili in cui viene trovato lo dimostrano in abbondanza. Non solo, ma l’indagine porta a scoprire che in vita si circondava di una flotta di personaggi loschi e ambigui, politici e corrotti a dir poco, amanti spietate, cocainomani sfaccendati, vogliose sorelle, mafiosi, falsi testimoni, omicidi: insomma c’è di tutto in questa lurida tana dove si rischia di finire anche con la tessera di innocenti. Lui, Montalbano, stavolta deve usare armi diverse, altro che Maigret o Poirot, qui ci vuole la riscoperta del mondo dell’infanzia, quando la furbizia è dote più naturale che acquisita: «Quann’era picciliddro, una volta sò patre per babbiarlo, gli aveva contato che la luna ’n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto. E ora, maturo, sperto, omo di ciriveddro e d’intuito, aviva nuovamente criduto come un picciliddro a dù fimmine...» Sono due donne forti e invidiose, quelle che vorrebbero incastrare Montalbano: sensuale e aperta l’una, misteriosa e morbosa l’altra, capace di aprirsi alla luce del sole nella sua estroversione, e chiudersi nel guscio come una conchiglia. Si odiano, si pugnalano alle spalle, e Montalbano lì a guardare, impassibile ma non troppo se poi saranno proprio queste due figure centrali ad aprirgli la strada verso la soluzione del mistero. Il quale si risolve soltanto a prezzo dell’inevitabile vendetta che aiuta il commissario, e ben venga poiché la verità non procura rimedio, e la vittoria è sinonimo di vendetta, rovinosa, tragica. Montalbano sta invecchiando, ha bisogno di questi aiuti per vincere, lo sa e se ne duole, pur dovendo accettarli per ricalibrare inevitabili negligenze. Hai voglia ad ergere barricate contro l’onda scomposta da comare secca e il suo dire si fa più dolce e suadente: le maniere forti e brusche addolcite con il nettare degli anni.
Walter Mauro 
 
 

La Stampa, 19.8.2005
Il delitto di Brescia
L'uomo che non ha passato
Andrea Camilleri
 
 

Giornale di Sicilia, 19.8.2005
Il regista di Montalbano al Parcomuseo Jalari

Barcellona. Oggi, alle 21 e 30, nell'ambito della rassegna estiva "Sicilia Fantastica" in corso al Parcomuseo Jalari, ospite della serata sarà Alberto Sironi, regista della popolare serie tv "Il commissario Montalbano". Nell'incontro col pubblico, Sironi traccerà i passaggi dal testo letterario di Andrea Camilleri alla narrazione filmica, accompagnato dalle letture degli attori Bianca Maria D'Amato e Giovanni Moschella e da alcuni brani tratti dallo sceneggiato tv.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 20.8.2005
Il personaggio. Il regista della serie televisiva torna sul set per "La pazienza del ragno" e "Il gioco delle tre carte"
Sironi: "Giro gli ultimi episodi e poi addio a Montalbano in tv"
"Forse lavoreremo a un nuovo racconto che sarà l´atto finale del commissario"

Barcellona (ME) - Saranno quattro i nuovi episodi della nuova serie de "Il commissario Montalbano" e poi il pubblico televisivo dovrà dire addio al personaggio più amato degli ultimi anni. È Alberto Sironi, il regista della serie televisiva, ad annunciarlo, proprio in Sicilia, il suo set ormai da molti anni, ospite in questi giorni del Parco Museo Jalari a Barcellona Pozzo di Gotto, per la manifestazione "Sicilia fantastica", durante la quale Sironi ha parlato del rapporto tra letteratura e cinema.
«Quando si raccontano storie così belle - dice - come quelle di Andrea Camilleri, non si può non parlare di cinema, anche se i film sono stati prodotti per la televisione. Negli anni Sessanta queste storie non sarebbero certo scappate al cinema italiano che ormai è stato sostituito dalla televisione».
A ottobre Sironi e la sua troupe riprenderanno a girare gli ultimi due episodi di "Montalbano". In autunno andranno in onda "Il giro di boa" e "Par condicio" quest´ultimo tratto dai racconti "Gli arancini di Montalbano". La serie si concluderà con "La pazienza del ragno", il penultimo libro di Camilleri, e "Il gioco delle tre carte. «Abbiamo girato in tutto dieci episodi in cinque anni - continua Sironi - poi c´è stato uno stop di due anni voluto dall´interprete principale, Luca Zingaretti, che ha sentito l´esigenza di "staccare" un attimo dal personaggio. Zingaretti ha interpretato il ruolo così bene che difficilmente riuscirà a scrollarsi di dosso il personaggio. Rispetto all´età descritta da Camilleri, abbiamo dovuto ringiovanirlo. L´ultimo Montalbano del romanzo ha circa sessanta anni, mentre nel film è sempre un quarantacinquenne».
La serie televisiva di Montalbano è amatissima in Italia come all´estero: ma che cosa riesce ad appassionare un pubblico così vasto e diverso? «Quello che piace delle storie di Camilleri è l´originalità del racconto, le atmosfere e i personaggi che in realtà sono i ricordi di una Sicilia che non c´è più, mixandoli ad avvenimenti dei nostri giorni. I personaggi sembrano ambientati nella Sicilia di oggi, ma in realtà vengono dal passato. Rappresentano la Sicilia di Camilleri da giovane. Abbiamo ricevuto persino i complimenti dal regista australiano di "A spasso con Daisy" che ha visto tutti i Montalbano».
Allora dopo questi quattro episodi la serie finirà davvero? Sì, credo proprio di sì, anche se non è escluso un ultimissimo episodio sull´ultimo romanzo di cui Andrea Camilleri ci ha dato delle anticipazioni. Un racconto straordinario che credo ispirerà l´ultimo film della fortunata serie televisiva».
Giovanna Betto
 
 

Il potere e la gloria, 20.8.2005
Andrea Camilleri - La luna di carta

L'abbiamo detto già più volte: dispiace che una parte sempe più ampia della critica letteraria italiana ritenga Giorgio Faletti o Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli o Valerio Massimo Manfredi i più grandi scrittori italiani viventi. Dispiace perché significa che, indipendentemente dai talenti di ognuno di questi scrittori (che, tra l'altro, non sono tutti sullo stesso livello), manca ormai in Italia una letteratura vera, profonda, seria che sappia coinvolgere critica e pubblico.
Prendiamo in esame Andrea Camilleri partendo dall'ultimo libro uscito proprio poche settimane fa, 'La luna di carta', ennesima avventura del celeberrimo commissario Montalbano. Ora, che Camilleri sappia scrivere, e che soprattutto sappia scrivere i gialli, è innegabile: il suo dialetto siciliano scorre benissimo, perfino meglio dell'italiano, e la trama è come sempre fitta, intrigante e appassionante, condita, qua e là, di gustose note sarcastiche o di costume che tanto hanno fatto la fortuna dello scrittore siciliano. Quello che manca, nonostante Camilleri sia probabilmente il migliore tra gli scrittori che abbiamo citato all'inizio, è il salto di qualità, quel qualcosa in più che rende cioè indimenticabile un romanzo, una storia. Certo, c'è Montalbano, un personaggio decisamente riuscito, ma quella del commissario non è un'invenzione recente, e anzi si potrebbe dire che Camilleri ci ha cavalcato sopra già abbastanza; dietro al detective, infatti, c'è ben poco: personaggi anche divertenti ma privi di spessore e una schiera di indiziati che rischiano di cadere troppo spesso nel grottesco.
Se a tutto questo si aggiunge una trama che per gran parte del libro è sì calibrata quasi al millimetro ma che finisce per fare dei passi fassi proprio nel finale (con un colpo di scena che era in realtà già preventivato da qualche capitolo e un epilogo quantomeno forzato e poco verosimile), si ha un giallo carino, simpatico e divertente, tutto sommato più che discreto, ma che di sicuro non rappresenta, con tutto il rispetto, la punta massima della nostra letteratura (e d'altronde crediamo che neppure lo stesso Camilleri ambisca a tanto). Il problema, quindi, è come sempre un altro: dove sono i grandi scrittori e, se ci sono, perché la critica non li promuove e il pubblico non li legge?
 
 

Adnkronos, 21.8.2005
TV: Zingaretti, altri due episodi di Montalbano e poi mi defilo
Avventura fantastica, ma occorre saper uscire di scena al momento giusto

Roma - Dal palcoscenico del 'Vasto Film Festival, Luca Zingaretti ha annunciato il suo addio al commissario Montalbano, il celebre poliziotto nato dalla penna di Andrea Camilleri a cui l'attore romano ha prestato il volto. ''Ad ottobre inizieremo le riprese dei due ultimi episodi, dopodiche' mi defilero' -ha spiegato- Del resto occorre saper uscire di scena al momento giusto. E' stata un'avventura fantastica, ma c'e' un proverbio cinese che dice: se un arcobaleno durasse un'ora e mezza nessuno lo guarderebbe piu'''.
 
 

The Independent, 21.8.2005
PICADOR £12.99 £11.99 (P&P FREE) 08700 798 897
The Voice of the Violin by Andrea Camilleri, trs Stephan Sartarelli
Inspector Morse, Sicilian style

Commissario Salvo Montalbano is in certain respects a Sicilian version of our own Inspector Morse: crabby, solitary, tolerated or even actively disliked by his superiors, but with an instinct for solving crimes by getting to know and care about a victim's friends and enemies. And like Morse, he became a national icon through a well-wrought television dramatisation of his cases.
This being Italy, there are evident differences too. Where Morse is shambling and beer-drinking, Montalbano is fit from swimming every morning in the sea by his beachfront home; and rather than drinking warm beer, he is a connoisseur of Sicilian cuisine, his meals as carefully chronicled as Morse's tastes in classical music.
The Voice of the Violin is the fourth of Andrea Camilleri's Montalbano novels to be published in English, all entertainingly translated by Stephan Sartarelli. As in many works of this genre, much of the reader's pleasure is provided by an immersion in local atmosphere: think of the world of Michael Dibdin's Commissario Aurelio Zen or Donna Leon's Venetian police inspector, Guido Brunetti. Camilleri's local colour is even more rooted than theirs, with casual references to such Italian commonplaces as "a Belfiore martyr's moustache and beard", "Pippo Baudo" and "Boldoni's ladies" - 19th century revolutionaries, a TV personality and a society painter - all helpfully explained in the translator's notes at the back of the book.
The storyline is spun around the discovery of a woman's naked body in a deserted house: she has been suffocated while making love and all her clothing has disappeared. Montalbano's principal task is to find out who killed her, but most of the interest of the book is taken up with various sub-plots: will Montalbano get romantically involved with the victim's attractive friend, Anna; what will happen to François, a young Tunisian boy that Montalbano and his fidanzata, Livia, took under their wing in a previous book in the series (The Snack Thief, now out in paperback); how will Montalbano deal with the attempts of a superior to take him off the case?
In fact, all of the Montalbano novels are as sloppily plotted as a Raymond Chandler book about Philip Marlowe. The plot line simply doesn't interest Camilleri. If it did, Montalbano, having established soon after he discovered the body of Michela Licalzi that she carried a mobile, might have thought to check the phone records to see if anyone had rung her. Had he done so, the story could have ended right there.
But an early conclusion would have deprived the reader of sampling the delights of Camilleri's fertile imagination, the inexhaustible fund of minor characters he invents, and the equally numerous surprising situations he places them in. Take Catarella, the police station's hapless officer, whose Sicilian dialect is rendered in these, obviously American, translations as a sort of Brooklyn patois: "What Langwich was I asposta speak? We spoke 'Talian, Chief." As a subversive joke, he is put forward to learn computing science for the office, but he turns out to have a talent for it, and by the end of the book his brief foray into higher education has also corrected his 'Talian. And somehow that matters much more to the reader than the unsurprising fact that Montalbano gets his killer.
Matthew Hoffman
 
 

Fahrehneit, 23.8.2005
Intervista ad Andrea Camilleri
Emuli del male
Piromani. Contestatori. Lanciatori di sassi dal cavalcavia. Una volta le mode dell`estate riguardavano canzonette e giochi da spiaggia, oggi spronano alla violenza e al teppismo. Al punto da pensare che il male sia un contagio sociale. Basta incendiare qualche macchina per diventare una primula rossa, un modello da imitare per le vie di Roma e ora anche per le strade di Bari e di altre citta`. Ma dove risiede il fascino del male? E` plausibile pensare a una estetica del male che seduce e induce all`emulazione? Se ne parla nel dibattito di Fahrenheit con il filosofo Sergio Givone, con Isabella Pezzini, docente di semiotica e con Andrea Cotti, scrittore, autore di "Un gioco da ragazze", Coloradonoir.

Di emulazione parleremo oggi nello spazio del tema del giorno di Fahrenheit. L’occasione e lo spunto ce lo dà la vera e propria epidemia di roghi di auto e motorini a Roma, ma anche molti altri fatti di cronaca, come il lancio di sassi dall’alto di cavalcavia, che a sua volta ha avuto i suoi emuli e vogliamo aprire questo discorso con una breve chiacchierata con Andrea Camilleri.
Buon pomeriggio.
"Grazie!"
Andrea Camilleri ha pubblicato su La Stampa di venerdì un breve testo in cui affronta una sorta di pettegolezzo o comunque un’osservazione che è stata fatta riguardo alle analogie tra l’assassinio dei coniugi Donegani, e il suo romanzo "La gita a Tindari". In questo breve testo Camilleri spiega come mai è restio a riconoscere una parentela fra questi fatti, in particolare una parentela sul tipo della emulazione.
Come mai, Camilleri?
"Mah, è perché io penso che il mio romanzo non sia incentrato sull’uccisione dei due vecchietti, che in realtà c’è, ma il mio romanzo è incentrato sul problema più grosso che è il trapianto clandestino di organi, no? E quindi quello è un episodio per me che rimane marginale. Poi i due vecchietti nel mio romanzo non vengono mica assassinati da nessun consanguineo o sospettato come assassino un consanguineo, è un estraneo assoluto, quindi io, francamente, rispetto a quelli che mi hanno telefonato trovando le analogie… Va’ a sapere! Ne ho trovate pochissime, quasi nulla."
Insomma, la base è semplicemente nel fatto che quando uno scrive dei gialli attinge alla vita reale e quindi anche…
"Mah… Questo l’ho detto. Per forza di cose… Vede, io non so inventarmi nulla, lo dico sinceramente. Cioè, piglio un fatto di cronaca, se devo scrivere un Montalbano, un fatto di cronaca che mi interessa particolarmente, poi naturalmente ci lavoro sopra, lo tramuto, lo rendo quasi irriconoscibile rispetto al fatto di cronaca e comincio a lavorare sul romanzo. E’ chiaro che comunque l’input è la cronaca. Ora è chiaro che si può ritornare benissimo dal romanzo alla cronaca, no?"
Anche la cronaca si ripete, del resto.
"La cronaca si ripete, poi non c’è nulla di più. Io ho detto che l’omicidio è prima di tutto un delitto contro la ragione. Posso aggiungere: non c’è nulla di più noioso del delitto."
Ma lei crede che in generale ci sia un fenomeno di emulazione nel…
"In molti casi sì! Vede, in molti casi…"
Come mai?
"In molti casi credo che ci sia un’emulazione. Non tanto nel fatto, nell’omicidio vero e proprio quanto in altre… Vede, lei poco fa citava gli incendi di motorini, no? Beh, i motorini possono essere l’emulazione della bravata, una ragazzata, tanto non si ammazza nessuno e anche quando si tirano i sassi dal cavalcavia, che è una cosa da imbecillità totale oltre che di criminalità totale, c’è sempre la possibilità di far prendere solo uno spavento all’automobilista. Questo dimostra il livello d’intelligenza di coloro che tirano i sassi, ma non c’è l’omicidio vero e proprio.
Io credo che gli omicidi non nascano dalla carta stampata, non c’è un’emulazione. Credo che nascano da un altro delitto, questo sì."
Poi c’è una differenza che lei fa notare in questo testo che trovo molto interessante, le chiederei di spiegarcela meglio, cioè il fatto che in fondo nel giallo il crimine viene punito, quindi se qualcuno decidesse di emulare il giallo dovrebbe necessariamente andare incontro alla sua punizione…
"Certo, dovrebbe mettere in conto: che cos’è, come dicevano quelli che sono… come posso dire, che reputano i gialli “buonisti”, tutti i gialli. Cioè a dire, si produce uno strappo nella società con un omicidio, arriva il detective e ricuce questo strappo."
Certo, questa è la visione degli apologeti del noir, diciamo.
"E’ esatto! Allora, cosa succede… Che tutti gli assassini, tranne pochissimi casi, dei romanzi vengono sempre beccati! E quindi se uno si ispira a un romanzo deve sapere anche che sarà beccato. Invece credo che gli assassini, soprattutto come questi della Val Camonica, pensino di farla franca, perché sono di una, torno a ripetere, presuntuosità che rischia e proprio sfiora l’imbecillità."
Sotto questo punto di vista il noir potrebbe essere uno specchio più fedele, ma anche più pericoloso dal punto di vista dell’emulazione? In fondo, nel noir il colpevole spesso non viene punito.
"Mah! Non lo so, non lo so. Sarà forse una sfiducia mia nella letteratura alta o bassa che sia, ma non credo che possa produrre mai effetti reali sulla vita reale."
Quali sono le responsabilità, allora, di uno scrittore?
"Sono di altro tipo, le responsabilità di uno scrittore credo che riguardino il campo delle idee. Quando noi diciamo “cattivi maestri”, “buoni maestri”, lavoriamo sul campo delle idee, non lavoriamo sul campo dell’omicidio più o meno preterintenzionale o intenzionale."
Beh, però a volte ci sono degli scrittori, Camilleri, che sembrano anche nello scrivere magari romanzi, per esempio, gli utopisti, no?, che sembrano volersi allontanare dal campo semplicemente delle idee o della finzione per influenzare il mondo reale.
"Beh, ci sono ma non credo che possano influenzare più di tanto…"
Non ci riescono, dice?
"Non ci riescono! Senta, c’abbiamo un libro bellissimo da duemila anni a questa parte. Si chiama "I Vangeli" e avrebbe dovuto influenzare assai di più la società nostra, no?"
Va bene, Andrea Camilleri. Grazie.
"Grazie a voi."
Con i Vangeli come modello di emulazione possiamo passare alla seconda parte del nostro dibattito.
"Arrivederci e buon lavoro."
Arrivederci, grazie!
[Trascrizione di Chiara]
 
 

La Padania, 23.8.2005
Ne "La luna di carta" Andrea Camilleri spinge il commissario nel pantano politico dei palazzi siciliani. Ma...
Il vecchio Montalbano annaspa nel torbido

Un Camilleri torbido, che invecchiando con il suo commissario Montalbano sembra inasprire, invelenire i toni della polemica contro una società e una politica che annaspano nel pantano di una “morta gora” di dantesca memoria. È l'impressione che si ricava d'acchito leggendo l'ultimo romanzo della serie del celebre investigatore, portato sul piccolo schermo da Luca Zingaretti: "La luna di carta" (Sellerio editore).
Un’avventura in cui la parte che meno convince, anche se dà l'imprinting di denuncia a senso unico dell'autore rigorosamente di sinistra, è appunto quella dell'intreccio del business criminale tra malavita organizzata, vertici e sottobosco del Palazzo: tutto troppo caricato, senza sfumature né mezze tinte, tutto virato sul nero seppia della corruzione alimentata questa volta dal vizio assurdo del consumo eccellente di droga da parte dei soliti insospettabili. I quali, nemmeno a dirlo, appartengono tutti senza distinzioni alla parte politica avversa a quella dell'autore...
Molto ben sviluppata, al contrario, appare la trama più strettamente d'indagine, soprattutto perché dominata dalle figure di due donne - la sorella della vittima, Michela e l'amante in carica, Elena - che risultano tra i personaggi femminili più riusciti nell'intera serie poliziesca inaugurata dallo scrittore siciliano con "La forma dell'acqua" nel 1994. Due donne dai molti segreti, ma più che altro mosse da una determinazione granitica nel difendere l'una la memoria e l'onore del fratello assassinato e coinvolto in un giro di malaffare, e l'altra la propria estraneità alla ideazione e alla esecuzione del delitto stesso.
Tra loro, Montalbano si affanna più del solito a cercare di cogliere le sfumature di psicologie complesse se non contorte, a leggere tra le righe di dichiarazioni che sono reticenti quando appaiono sincere e viceversa. E in particolare a tenersi in equilibrio sul filo sottile del ragionamento e dell'intuito, sentendo che gli anni avanzano e certe facoltà, certi meccanismi prima attivati al semplice contatto con la realtà del crimine, con l'ambiente della malavita, ora si appannano, perdono di vigore e di rigore. Ma, si sa, l'esperienza e il fiuto servono più di altro: anche se, per la seconda volta nella carriera, il commissario si mette nelle condizioni di consentire a un aspirante suicida di compiere il gesto che ha in mente (era già accaduto ne "La voce del violino", 1997).
Anche il titolo, "La luna di carta", ha un sapore autobiografico per Salvo Montalbano. Ricorda infatti uno scherzo del padre, che voleva convincere il figlio ancora piccolo che di quella materia era appunto fatta la luna: proprio come ora, con menzogne, mezze verità, veri e propri depistaggi, Michela, Elena e gli altri protagonisti del racconto vorrebbero ingannare i sensi e la mente del "vecchio" commissario.
Roberto Brusadelli
 
 

La Repubblica (ed. di Napoli), 24.8.2005
Il 31 al Teatro Romano di Benevento
Aspettando il maestro Paolo Conte
La scheda

[...]
Nella sezione letteratura curata da Idolina Landolfi, Roberto Herlitzka interpreterà le pagine di Andrea Camilleri (l´11 settembre).
 
 

La Sicilia, 26.8.2005
Ottanta candeline per Camilleri
Tanti big al museo archeologico per augurargli buon compleanno

Porto Empedocle. Tanti «big» con pochi, pochissimi soldi. Questo è in estrema sintesi il succo del «Camilleri Day».
Ovvero della festa per l'ottantesimo compleanno dello scrittore empedoclino che la Provincia Regionale di Agrigento e il comune marinaro stanno organizzando per il prossimo 10 settembre. Il tutto con la collaborazione - a costo zero - del Museo archeologico San Nicola che per l'occasione metterà a disposizione la prestigiosa sala Zeus all'interno della quale si ritroveranno personaggi della cultura, del giornalismo e dell'editoria giunti apposta ad Agrigento per fare «la festa» al papà del commissario Montalbano. Camilleri festeggerà il suo ottantesimo compleanno il sei settembre nella tenuta di cui è proprietario in terra di Toscana, attorniato dall'affetto dei propri cari. Poi salirà sul primo aereo diretto in Sicilia per tornare nel suo paese d'origine dove le risorse economiche sono a dir poco scarse. E quello dei soldi che scarseggiano è il problema fondamentale che ha impedito agli amministratori locali di fare del compleanno di Camilleri una sorta di maxi spettacolo.
L'evento però si prospetta ugualmente di rilievo, visto che tra i vip che interverranno nella sala Zeus ci saranno Elvira Sellerio, Marcello Sorgi, Paolo Mauri, Nino Borsellino e quasi certamente Pippo Baudo.
Tutta gente che conosce Camilleri e che intende fargli gli auguri in prima persona, quasi a domicilio. E anche nel suo domicilio effettivo, ovvero Porto Empedocle non si rimarrà con le mani in mano. L'appuntamento è infatti fissato sempre per il 10 settembre nel cuore di piazza Kennedy dove verranno piazzate due gigantesche torte «realizzate - secondo l'assessore provinciale alla Pubblica istruzione Calogero Firetto - dalle due scuole alberghiere di Agrigento e Sciacca anche se dobbiamo ancora limare gli ultimi dettagli dell'iniziativa». In caso di mancata disponibilità perché le scuole sono ancora chiuse, potrebbero essere coinvolti i bar del paese. Ma al momento la prima ipotesi sembra quella più percorribile. Nella piazza accanto alla chiesa è atteso quello che per gli ideatori della festa dovrebbe trasformarsi in un «bagno di folla» per un uomo come Camilleri tanto schivo quanto poco incline alla confusione attorno a se. Il tutto senza che sia l'ente provinciale, promotore della festa e il comune sborsino soldi a palate nonostante il peso specifico e mediatico dell'illustre festeggiato.
«Siamo convinti di avere realizzato un programma di un certo rilievo - dice Firetto - tenuto conto anche delle ridotte risorse finanziarie di cui disponiamo».
F.D.M.
 
 

l'Unità, 26.8.2005
Orizzonti
Camilleri, il diavolo Delamaz e l'Arcangelo con i capelli trapiantati
E nel testo c'è anche un riferimento al fallito referendum con un Dio favorevole alla fecondazione assistita

Un arcidiavolo, capo supremo di tutti i diavoli di terra, che porta i baffetti e si esibisce in manovre nautiche e che, se non si fosse capito, si chiama Delamaz; un arcangelo Gabriele vecchio bacucco ma che - proprio come il nostro «Unto del Signore» - i truccatori fanno «tornare picciotto» a forza di creme, fondotinta, «trapianti istantanei, tiranti e tinture»; un Paradiso che è come una Bicamerale dove demoni e angeli trattano e mediano. Vogliamo dirlo? Inciuciano. E un poveretto, un diavolo del rango più basso - quelli che hanno il compito d’infiltrarsi, sotto forma di vermetti, nelle interiora di santi uomini e sante donne per cercare di suscitare in loro bramosie sessuali - che ancora crede nella spartizione dei ruoli e nel suo compito di forza del male e, così, si caccia nei guai. È un racconto a chiave - lèggi d’un mondo sempiterno e in filigrana ti trovi dentro l’Italia d’oggi - un apologo dove entra anche lo scontro sulla fecondazione assistita, quello che Andrea Camilleri ha scritto in luogo di prefazione al "Diavolo innamorato", la novella fantastica di Jacques Cazotte che Donzelli manda oggi in libreria, nella nuova traduzione e cura di Gaia Panfili.
Ma chi è Jacques Cazotte? Ufficiale di marina, a lungo di stanza alla Martinica, finisce sulla ghigliottina a Parigi per le sue idee antirivoluzionarie nel 1792. Un reazionario, Cazotte, e un anti-illuminista attratto dall’occulto: adepto della setta dei Martinisti, il cui credo è lottare contro le potenze sataniche, produce una serie di opere dove Lucifero ha comunque un ruolo. Fino a questo "Le Diable amourex" che gli vale un secolo e mezzo dopo da Borges il giudizio che essa sia tra i fondamenti del genere narrativo fantastico, il predecessore delle diaboliche presenze di Hoffman e Nerval. E dove il signore del male assume panni inediti: è una bella e fragile fanciulla, che finisce per farsi tentare dal giovane al quale è stata inviata come esca di corruzione e allestisce con lui un rapporto erotico a metà tra realtà, immaginazione, sogno. E così il reazionario, clericale Cazotte, costruisce, quasi suo malgrado, un piccolo monumento alla sensualità, all’ambiguità e al desiderio di conoscenza che essa nasconde.
Nella sua introduzione al testo di Camilleri e a quello di Cazotte, Carmine Donzelli spiega come gli sia nata l’idea di rieditare l’antico racconto francese - la cui ultima traduzione, per i Tascabili La Spiga, risaliva a undici anni fa - e, anche, di coinvolgere nell’iniziativa il padre di Montalbano: è proprio il Commissario, spiega, che nel racconto di Camilleri "L’arte della divinazione" , mostra di conoscere bene quel «delizioso romanzo». Sicché, l’editore chiede al padre di Montalbano di dargli una mano in un’operazione che, in fondo, «di questi tempi», scrive, riabilita un po’ la figura del Diavolo.
Ed ecco il volume che ora va in libreria: un libro post-moderno, nel suo essere un centone, un pastiche. Con la premessa dell’editore che è già di suo un bel piccolo racconto, con la novella-prefazione dello scrittore di Porto Empedocle, con il testo di Cazotte e la curata postfazione della traduttrice. Una lettura a strati dove Bene e Male perdono i contorni, sfumano, s’allacciano. Esattamente come avviene oggi nell’Italia che Camilleri evoca: un paese dove non si sa più chi demonizza chi, dove il povero vermetto, militante di base della diavoleria, scopre di essere stato mandato dai suoi capi in una missione della quale non sa gli scopi, mentre lassù l’arcangelo Gabriele coi capelli trapiantati e l’arcidiavolo Delamaz stanno in ignoti conciliaboli. Mediano sul tema della fecondazione assistita, che in Cielo dispiace.
Ma Camilleri, testimonial del fallito referendum, si piglia una soddisfazione: Dio, nel suo racconto, alla fecondazione assistita, opera dell’ingegno umano, è interessato, la trova una bella idea. La vuole fare sua.
Maria Serena Palieri
 
 

Gazzetta del Sud, 26.8.2005
Nuovo racconto ispirato a Jacques Cazotte
Quel diavolo tentatore di Andrea Camilleri

Un diavolo ha tentato quest'estate Andrea Camilleri, aveva le sembianze dell'editore Carmine Donzelli e le seduzioni di Jacques Cazotte, scrittore finito sulla ghigliottina nel 1792, noto agli appassionati per «Le diable amoureux», una novella che finora era rintracciabile solo nelle librerie antiquarie. «Sapevo che Camilleri conosceva profondamente Jacques Cazotte e pensavo che forse avrei potuto chiedergli di scrivere un'introduzione al "Diavolo innamorato" che avevamo in programma di pubblicare», racconta Donzelli. All'editore Donzelli non era sfuggito che nel racconto «L'arte della divinazione», Camilleri, attraverso le parole di Montalbano, evoca con grande competenza il romanzo di Cazotte e dimostra di apprezzare lo scrittore francese, per lo più misconosciuto, uomo dal passato misterioso e dalle alterne fortune letterarie. Questo è bastato a Donzelli per chiedere a Camilleri di scrivere un'introduzione al «Diavolo innamorato». Ma l'autore del «Birraio di Preston» invece di un'introduzione ha preferito scrivere a sua volta un racconto. È nato così «Il diavolo che tentò se stesso» che esce in libreria insieme alla novella di Cazotte (ed. Donzelli, pp.144, euro 14,50). «Durante il nostro incontro – racconta Donzelli – ho avuto la sensazione di aver toccato un universo fantastico e culturale che Camilleri aveva già pronto. La prova l'ho avuta quando solo dopo 10 giorni la sua assistente mi ha fatto recapitare un plico con dentro "Il diavolo che tentò se stesso"». Il nuovo racconto di Camilleri ha per protagonista Bacab, un povero diavolo d'aria che per fare carriera accetta il compito impervio di indurre in tentazione la pronipote della Monaca di Monza. Per ottenere il suo scopo oltrepassa i limiti delle diavolerie consentite suscitando le ire dell'arcidiavolo Dalemaz (ogni riferimento a Massimo D'Alema è voluto), il quale – coda e baffetti d'ordinanza – gli annuncia che la «parte avversa» si è risentita assai, e ne è nato un grosso caso politico. Urge aprire una trattativa con l'«Arcangiolo Gabriele». «Entrambi i racconti – prosegue Donzelli – liberano la figura del diavolo dell'ambito della pura cattiveria e negatività, ma riscoprono le potenzialità della tentazione dandole umanità, curiosità, ironia. Credo – aggiunge Donzelli – ce ne sia bisogno in questi giorni che il mondo sembra chiuso da una cappa». Se «Il diavolo innamorato» di Cazotte è immerso nel galante settecento napoletano, «Il diavolo che tentò se stesso» di Camilleri allude invece molto chiaramente ai tempi nostri e al dibattito sulla procreazione assistita a favore della quale Camilleri si era pubblicamente schierato durante il referendum dichiarando i suoi quattro «sì». Ma i riferimenti contemporanei, a giudizio di Donzelli non sminuiscono la qualità letteraria del racconto di Camilleri. «Ritengo – conclude l'editore – che questo Camilleri sia assolutamente un Camilleri di serie A». Insieme ai due racconti il volume è arricchito da una postfazione di Gaia Panfili al racconto di Cazotte.
Maria Gabriella Giannice
 
 

Star TV, 26.8.2005
Camilleri sul set della popolare fiction: Zingaretti esce di scena
Io, lui e Montalbano
Che succederà al celebre commissario? Attenzione: c'è un maresciallo che...

Il successo lo ha conosciuto tardi, quando aveva superato i settant’anni, ma da allora è stato travolgente. Un’onda anomala che attraversò L’Italia, superò i confini della penisola, dilagò in Europa e conquistò anche mercati letterari lontanissimi da noi. E non solo quelli, stante anche l'enorme successo che ha avuto la serie tivù del commissario Montalbano, interpretato da Luca Zingaretti e girato nella suggestiva e barocca Val di Noto, la Vigata della fortunatissima fiction.
Stiamo parlando, naturalmente, di Andrea Camilleri, classe 1925, maestro indiscusso di un genere, il giallo, tornato prepotentemente di moda anche e soprattutto grazie al suo irresistibile successo, un mix di dialetto, simpatia, trama avvincente.
Ma, proprio quando il successo è al top, Camilleri deve fare i conti con l'addio di Zingaretti: «Questa volta è l'ultima, almeno per me», ha dichiarato l'attore sul set dei quattro nuovi episodi dì Montalbano. La scelta di Zingaretti come protagonista era stata condivisa da Camilleri: «Sapevo che era un ottimo attore, era stato mio allievo. L’attore la deve dare a bere, deve imbrogliare, per due ore lo spettatore deve credere che quello sia l’unico Montalbano possibile e lui ci riesce. Poi di Montalbano ce ne sono tanti. Quello televisivo non è il mio: è più giovane, è calvo, ha duemila cose che non ci sono nei miei libri, ma è talmente bravo da dare credibilità al personaggio».
Che succederà adesso? Stavolta abbiamo provato a indagare noi. Con domande apparentemente innocue, ma che agli occhi di un attento lettore di gialli...
Camilieri, lei ha avuto modo di gustare la “mbriulata” di Mussomeli, una particolare focaccia ripiena di frittoli, salsiccia, olive nere e altro, che ha promesso di far mangiare anche a Montalbano. La verità, com'era la "mbriulata"?
«Ottima, senza se e senza ma».
Ha mai pensato di riesumare il suo originario personaggio, vale a dire il maresciallo Corbo de “Il corso delle cose”, il suo primo romanzo?
«In realtà l'ho riesumato dandogli un altro nome nel calendario dell'Arma dei Carabinieri del 2005, in un racconto appena pubblicato anche negli Oscar Mondadori con il titolo “Il medaglione”. Si chiama in modo diverso, maresciallo Antonio Brancato, ma le caratterístiche sono le stesse».
E allora: in uno dei prossimi romanzi con protagonista Montalbano il commissario mangerà la “mbriulata”. Fin qui siamo nel campo delle curiosità, non dei colpi di scena. Ma se fosse, invece, il maresciallo Brancato a prenderne il posto in libreria e in tivù?
Roberto Mistretta
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 27.8.2005
L´intervista. Camilleri "Vi racconto i miei ottant´anni"
Lo scrittore festeggerà il prossimo 6 settembre: "Ma è solo un anno in più"
"La notte delle nozze volevo fuggire, ma il mio è un matrimonio riuscito: decisivo anche sul lavoro"
"Troppa grazia: ho esaurito tutti i sogni nel cassetto"
"Mi meraviglio di esserci arrivato, ecco tutto. A questa età si ha la sensazione di essere superstiti perché gli amici, per dirla con Gadda, hanno provveduto a rendersi defunti. E devo confessare che l'esperienza del sopravvissuto non è poi così piacevole"

Con la sua inconfondibile voce roca, e la sigaretta appiccicata alla bocca, Andrea Camilleri, ormai vicinissimo al traguardo degli ottant´anni (che compirà il 6 settembre), mette subito le mani avanti: «Non voglio dare troppo peso a questa ricorrenza. Per me, compiere ottant´anni significa in fin dei conti avere sulle spalle un anno in più. Mi meraviglio di esserci arrivato, ecco tutto. A questa età si ha la sensazione di essere un superstite, perché via via gli amici hanno provveduto a "rendersi defunti", per dirla con Gadda. Insomma, le confesso che l´esperienza del sopravvissuto non è poi così piacevole».
C´è chi ha detto che compiere ottant´anni significa salire su una montagna, e da lì osservare ogni cosa con distacco e serenità. Ne è convinto anche lei?
«Sinceramente, con tutto il rispetto per chi l´ha scritto, io non sono uomo di montagna. Non conosco le vette e oltretutto mi darebbero le vertigini. Quindi, preferisco di gran lunga la piattezza del mare. Punto e basta».
Con chi berrebbe un bicchiere per festeggiare?
«La domanda mi mette in un estremo imbarazzo: almeno quattro amici dovrei portarmi dietro. Uno è Ruggero Jacobbi, l´altro Dante Troisi, il terzo è Flaminio Bollini e il quarto Pino Passalacqua. Naturalmente, nume tutelare della tavolata sarebbe Peppe Fiorentino, mio compare di sempre. Come vede, sono stato davvero fortunato ad avere un bel giro di amici veri».
Ha per caso un sogno nel cassetto?
«Sogni, cose non realizzate non ne ho. In questo senso, mi sento davvero pacificato. Sono stato un uomo fortunato, mi sono guadagnato il pane facendo quello che volevo fare, e ho pure conosciuto considerata fortuna. Mio Dio, troppa grazia. Perché io, fino alla pensione, ho fatto il regista di teatro, di televisione, il produttore. Cioè, ho fatto quello che desideravo fare. E questa è una fortuna immensa».
Riguardo al suo esordio tardivo, si porta appresso qualche malinconia, o qualche rancore?
«L´esordio tardivo… A conti fatti, il primo romanzo l´ho scritto nel 1967. Cioè a dire, tanto vecchio non ero. Poi le cose sono andate come sono andate. Sarà stata forse colpa degli editori? C´è da dire però che dopo avere pubblicato i miei primi due libri, ci sono stati alcuni anni di silenzio. Il fatto è che dovevo chiudere definitivamente i conti con il teatro. Dovevo fare una o due cose alle quali tenevo, e le ho fatte».
Nella sua lunga carriera, le è mai capitato di dire, alla stregua di Leonardo Sciascia, "Pirandello, mio padre"?
«No, per niente. A questo proposito, è successa una cosa che le devo assolutamente raccontare. Uno dei conti in sospeso con il teatro di cui prima le parlavo, era un´idea di messa in scena dei "Giganti della Montagna" e della "Favola del figlio cambiato" recitati integralmente tutti e due, mentre si sa che nei "Giganti" c´è solo un pezzo della "Favola". E lo spettacolo si intitolava "Recitazione della favola destinata ai Giganti". Questo spettacolo l´ho fatto, e come può ben capire si è trattato di una rappresentazione piuttosto complessa e impegnativa. Due giorni dopo apparvero le critiche, e Giorgio Prosperi, che allora era il maggiore critico per anzianità, cultura e tutto, scrisse un pezzo nel quale pressappoco diceva che Camilleri era l´unico teatrante italiano autorizzato a dare del tu al drammaturgo agrigentino. Allora io risposi a Prosperi innanzitutto ringraziandolo e specificando che dovunque avessi incontrato Pirandello, gli avrei dato del voscenza. Ecco, quindi non è che me lo sento come padre: lo si può leggere, lo si può studiare, lo si può andare a trovare al Caos, ma a tutt´oggi, quando lo rileggo, mi accorgo per esempio che per quello che riguarda il teatro ancora non lo abbiamo capito bene. Allora ogni filiazione sarebbe un atto di superbia, e lo dico sinceramente».
Lei più volte ha detto che Leonardo Sciascia è stato il suo "elettrauto". Vuole spiegarsi meglio una volta per tutte?
«Visto che ci siamo, chiariamo questa faccenda: Leonardo, quando lo leggo, mi dà una carica di energia autentica, ma non è detto che condivida anche tutte le scosse che mi dà. Cioè a dire, io sono molto distante da Sciascia. In alcuni punti sono più vittoriniano che sciasciano, e credo che questo sia anche evidente. In che senso tutto ciò? È come qualche cosa che io non potrò mai essere, cioè la ragione, la limpidità di scrittura di Sciascia, sono così irraggiungibili per me che rappresentano una carica ad andare avanti. Ma qui ci fermiamo».
In questi anni, è cambiato il suo rapporto con la Sicilia, e soprattutto con la sua gente?
«Abitare a Roma mi ha dato la possibilità di osservazione distaccata della Sicilia e dei siciliani. Oggi posso essere assai più critico di una volta. In questo senso adopero la parola distacco. Ma sinceramente non so se questo dipenda dal fatto di vivere a Roma o dal fatto di essere invecchiato. Sono convinto che vivendo sempre qui, avrei avuto oggi lo stesso tipo di sguardo».
In "Un filo di fumo", quando cita l´elenco degli abitanti di Porto Empedocle, vengono fuori alcuni nomi di scrittori siciliani anche poco noti (Antonio Russello, Antonio Pizzuto, Angelo Fiore, e altri). Qual è stato secondo lei il più sfortunato?
«Devo dire che quello del quale abbiamo tutti un po´ intuito la grandezza ma in nessun modo siamo riusciti ad aiutarlo, anche se io me ne tiro fuori subito in quanto allora non ero nessuno, è stato Angelo Fiore, che ha scritto dei libri straordinari, tra cui "Il supplente", che io considero il suo capolavoro. Ma anche tra la critica più accreditata, con pochissime eccezioni, Fiore non ha avuto quel riscontro che sinceramente meritava».
Per tornare a lei: c´è un suo libro che oggi rilegge con vero piacere?
«Io non sono capace di rileggermi. Qualcuno analizzi questo aspetto psicanaliticamente. Una volta che il libro è pubblicato, io non sono in grado di riprenderlo tra le mani. Ed è un tormento quando i traduttori stranieri, scrupolosi e coscienziosi sino all´esagerazione, mi mandano chilometrici fax per avere ragguagli su una frase tormentata e mi costringono a rileggermi. Non solo, ma io disperdo le tracce. Anche del libro pubblicato, io distruggo tutto quello che è stato il lavoro di preparazione, le varie redazioni. L´unico che ha potuto lavorare con le varianti è stato il professore Silvano Nigro, il quale ha trovato nella casa editrice Sellerio cinquanta pagine della prima versione di un mio romanzo che avevo inviato a Elvira. Non rileggendomi, spesso dimentico le cose, i personaggi. Per dimenticanza, farei resuscitare personaggi belli e sepolti. Mentre mi ricordo di tutto nel momento in cui scrivo».
Quando ha avuto la coscienza che stava per diventare uno scrittore di grande successo?
«Alla fine del 1998. Quando sono arrivati i rendiconti, e mi sono trovato di fronte alla cifra stellare di un milione di copie vendute. La percezione esatta però l´ebbi a Firenze. Stavo facendo un lavoro promozionale da lasciarci la pelle. Quando presentavo i miei libri, le persone che venivano (dieci, quindici) avevano pressappoco l´età di cinquant´anni. Era un pubblico placato e pacato. Negli ultimi tempi, questo pubblico cominciò a diventare di cento, centocinquanta persone. Ma l´età degli astanti non variava sensibilmente. A Firenze invece, era inverno ricordo, in una grandissima libreria, vidi arrivare dal fondo della sala un gruppo di una quindicina di giovani, proprio in tenuta da giovani. Ed ebbi la speranza di una contestazione, perché di solito alle presentazioni mi annoio quando mi fanno solo complimenti. Questi, invece, si sedettero per terra, e quando si svolse il rito degli autografi arrivarono questi giovani che invece di essere gentili, mi lanciavano il libro e mi intimavano: "Avanti, scrivi a Giovanni". Allora capii che il ventaglio dei miei lettori si era allargato al massimo, ed entrai in una crisi profonda di domande su che cavolo scrivevo, se agguantavo un ragazzo di diciotto e un signore di settanta. Non riesco ancora a darmi delle risposte».
Per quel che riguarda la sua ideologia, e il rapporto con la sinistra, cosa è cambiato in questi anni?
«Innanzitutto, io non sono più iscritto al partito, mentre prima lo ero. Io non sono uno di quelli che se ne andarono per i fatti d´Ungheria. Tutt´altro. Io me ne sono andato quando mi accorsi del progressivo e inarrestabile imborghesimento del partito. Però poi ci tornai quando si trattò del divorzio, dell´aborto. Mi sentii in dovere di schierarmi apertamente. Oggi io rimango sempre un uomo di sinistra, un comunista. E mi sono avvicinato a quelli che erano i movimenti esterni, ma di pungolamento del partito, come i girotondi ad esempio. Devo confessare che alle ultime elezioni, Folena, che allora era coordinatore dei democratici di sinistra, mi chiese di candidarmi come senatore e io gli risposi di levarselo dalla testa. Non è detto che io avrei potuto vincere, ma di sicuro non avrei potuto sostenere fisicamente l´impegno stesso che quell´incarico richiedeva».
Lei ha più volte ammesso il legame forte che lo tiene unito alla famiglia, ai nipotini…
«Io mi sono sposato a trent´anni ed ero perfettamente consapevole del fatto che stavo per prendere in moglie una donna, e soprattutto che una donna volesse sposare me, altro elemento non indifferente. La notte che precedette il matrimonio per me fu veramente infame. Ero completamente schizofrenico: da una parte volevo schizzare dal letto e prendere il primo treno per sparire, dall´altra volevo vedere se ero all´altezza della situazione. Poi ho pensato che ero stato io a decidere, liberamente; il panico era di non riuscire a mantenere la parola data, perché questo è per me il matrimonio. Sarò in grado tra dieci anni, mi chiedevo, di sostenere questa scelta? Ora, non è che io sono stato fedele a questo matrimonio perché avevo dato la parola. No, il mio è un matrimonio riuscito. Oggi, che sono spariti i miei compagni, la persona che legge i miei libri dattiloscritti appena usciti dalla stampante e che mi terrorizza, è mia moglie, la quale è di una severità assoluta ed estrema. I rapporti tra due persone, col passare degli anni, si modificano. Vai a sapere che tipo di osmosi, di complicità si viene a creare. Questo senso della famiglia, con la f maiuscola (per amor del cielo, se no si pensa subito alla famiglia mafiosa), l´ho sempre avuto anche perché vengo fuori da famiglie di questo tipo, sia da parte di padre che di madre. Famiglie tipicamente siciliane. Però, la mia è stata una famiglia senza barriere. C´è da dire poi che il mio lavoro mi ha portato spesso a essere lontano da casa, e tutto il peso dell´educazione delle figlie è ricaduto su mia suocera e su mia moglie. Non è che io me le sia tanto godute le mie figlie, nella loro infanzia. L´avvento dei nipotini è come un risarcimento per me, oltretutto non avendo grosse responsabilità. La famiglia, soprattutto per il mestiere che ho fatto, è stato per me un contrappeso sempre fortissimo. Io sapevo che mi potevo piegare più della torre di Pisa, perché ero contrappesato. Spero che la metafora sia abbastanza chiara».
Prima del Camilleri scrittore, c´è stato un Camilleri poeta. Però è come se lei avesse cancellato quell´esperienza…
«Il fatto è che la poesia ha cancellato me. È vero, ho scritto parecchi versi, ma a un certo punto non ho più avuto modo di continuare».
E dire che la giuria che l´aveva premiato, aveva visto bene. Lei era in buona compagnia, assieme a David Maria Turoldo, Andrea Zanzotto, Danilo Dolci…
«Nel suo Meridiano, Zanzotto ha voluto ricordare questo episodio. E ha fatto bene. Riguardo alla mia carriera di poeta, c´è poi stato il premio Saint Vincent. Quello aveva come presidente della giuria Ungaretti, il quale poi fece una sua personale antologia dei poeti che parteciparono al premio e la pubblicò nello "Specchio" di Mondadori, che allora era una cosa prestigiosissima. Poi c´è stato un decennio, verso il Sessanta, nel quale ho scritto sei, sette poesie. E lì mi sono fermato».
Abbiamo parlato di tante cose… la volevo ringraziare.
«Sì, però io mi auguro che questa intervista non si trasformi in un coccodrillo».
Faremo tutti gli scongiuri del caso…
«Mi raccomando».
Salvatore Ferlita
 
 

Il Sole 24 Ore (suppl. "Domenica"), 28.8.2005
Sicilia
Montalbano batte il marchio Unesco

È duello sulla fama del commissario Montalbano, il personaggio inventato da Andrea Camilleri e divenuto celebre in tutto il mondo grazie alle fiction Rai.
Da una parte ci sono i vari luoghi della Provincia di Ragusa, Scicli in testa, set naturale del film, dall'altra invece Porto Empedocle, il paese della provincia di Agrigento dove è nato Andrea Camilleri e che ha scelto di chiamarsi anche Vigata (il nome letterario del paese di Montalbano).
Per il momento ad avere avuto i maggiori vantaggi dalla grande promozione televisiva sono state le aree della provincia di Ragusa: da Donnalucata (Scicli) a Samperi, da Modica a Ragusa Ibla. Un vantaggio sulle altre aree della Sicilia ormai consolidato. Ne è testimone il sindaco di Scicli Bartolomeo Falla, la cui stanza nel palazzo municipale è stata prestata alla fiction per ospitare l'ufficio del questore: «È ormai un flusso continuo di visitatori, il fenomeno Montalbano ha inciso nella crescita turistica più dell'inserimento della provincia di Ragusa nella lista Unesco».
Gli ultimi dati disponibili dicono che nel solo mese agosto dell'anno scorso «la stanza del questore» è stata visitata da quasi 8mila persone. Secondo stime della Regione siciliana la provincia Iblea ha registrato nel 2005 una crescita degli arrivi del 20% «dovuti essenzialmente - spiega il direttore del dipartimento Turismo della Regione Agostino Porretto - all'effetto Montalbano. Ed è proprio muovendoci su questa scia che stiamo sostenendo le produzioni cinematografiche in Sicilia».
Nino Amadore
 
 

La Sicilia, 29.8.2005
Se Shakespeare fosse stato palermitano...

Catania. Grandi applausi per «Troppu trafficu ppi nenti», versione siciliana del capolavoro di William Shakespeare («Molto rumore per nulla») redatta da Andrea Camilleri e Giuseppe Di Pasquale, presentata dall'associazione «Lunaria Teatro» per la regia di Giuseppe Di Pasquale. Il pubblico ha seguito la rappresentazione di grande effetto per i costumi sfarzosi e orientaleggianti di Angela Gallaro, indossati dai personaggi che si muovevano attorno ad una grande e originale pedana al centro. Un'azione scenica molto veloce e movimentata che ha scandito l'altrettanto movimentata vicenda «'u trafficu» ruotante attorno a Eru (Valeria Contadino) e Claudio (Giovanni Carta) il cui matrimonio proposto da Don Petru (Pietro Montandon) e avallato da Lionatu padre di Eru (Giampaolo Poddighe), viene dapprima mandato a monte dal malvagio Don Giovanni (Filippo Brazzaventre) con la complicità di Burracciu (Franz Cantalupo) e di Margherita (Chiara Seminara) e poi sventato grazie all'arguzia di Frati Cicciu (Sergio Seminara).
Bellissime le figure di Binidittu (Angelo Tosto) e Biatrici (Alessandra Costanzo) oggetto di uno scherzo giocoso, che alla fine scoprono di amarsi veramente. Ogni personaggio ha una sua caratterizzazione ben precisa, così Orsola (Daniela Ragonese), Carruba (Mimmo Mignemi), Sorba (Aldo Toscano), Un cancilleri messu (Sergio Seminara) e una guardia (Giovanni Vasta).
Maestro Di Pasquale come è nata l'idea di "Troppu trafficu ppi nenti"?
«È nata da uno scherzo fatto ai danni del prof. Martino Iuvara il quale sosteneva che Shakespeare non era inglese bensì palermitano ed era fuggito in Inghilterra e si chiamava Michelangelo Crollalanza (che traduce in italiano i termini shake-speare). Abbiamo inventato di aver trovato il testo. In realtà lo abbiamo creato noi».
Avete compiuto una nuova sperimentazione linguistica?
«L'operazione ha un valore linguistico nuovo, perché è un testo che nella sintassi e nella morfologia linguistica non esiste. Infatti io e Camilleri abbiamo mescolato un insieme di prestiti presi dal siciliano antico, dal castigliano, dal catalano e abbiamo dato vita ad un nuovo linguaggio con matrice comune».
Questa nuova lingua è comprensibile?
«Sì, perché il significato di qualsiasi lingua in scena è dato dal contingente, ossia dall"'hic et nunc" della rappresentazione. Così questo siciliano antico ha una sua veste, ma la sostanza è contemporanea e universale».
Quanto è durata la stesura di "Troppu trafficu ppi nenti"?
«Abbiamo impiegato circa un anno e mezzo, perché dietro c'è tutto un lavoro certosino di ricerca della memoria storica e di ricostruzioni fedeli del testo shakespeariano».
Questo prestigioso lavoro vi ha portato molti riconoscimenti esteri: in Romania un premio speciale da parte del ministero della Cultura e della giuria giornalistica e un altro premio in Polonia come rappresentanti dell'Italia al Festival shakespeariano.
Cosa prova un siciliano premiato all'estero?
«Il piacere di scoprire che il nostro temperamento ha per i paesi esteri una forza espressiva che è il nostro vero tesoro e lo dobbiamo coltivare e custodire».
Enza Barbagallo
 
 

La Stampa, 31.8.2005
Hollywood-Sicilia in cerca delle radici

San Vito Lo Capo (Trapani). E' una storia strana, quella di Vincent Schiavelli, terza generazione di immigrati siciliani in America, caratterista di Hollywood, un carniere ricco di film di grandi registi (da Milos Forman a Ridley Scott) e di telefilm di successo, e adesso fiero assertore del ritorno alle origini. Da un anno questo attore di 57 anni è tornato a vivere a Polizzi Generosa, il paese delle Madonie dal quale suo nonno partì, un centinaio di anni fa, alla volta di «Bruculinu America». Proprio così si intitola il libro che Schiavelli ha pubblicato per Sellerio, un libro di memorie e di ricette.
[...]
Ascoltare quest'attore bizzarro, originale, a suo modo avventuroso, dalla risata potente e catarrosa, è come ascoltare un personaggio di Camilleri; Polizzi è come Vigata, un po' più vera, ma proprio perché vera, persino un po' più falsa.
Alessandra Comazzi
 
 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011