RASSEGNA STAMPA
FEBBRAIO 2005
2.2.2005
Camilleri
presenta Porto Empedocle
Alle ore 11:00, presso la sede della Regione
Siciliana a Roma (Via Marghera 36), si terrà la conferenza stampa
di presentazione dello stand di Porto
Empedocle alla Bit
di Milano. All'appuntamento sarà presente Andrea Camilleri.
Sul
nostro sito la trascrizione della presentazione.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 2.2.2005
Dal "Don Chisciotti" di Meli, ristampato da Nuova Ipsa, al nuovo romanzo
di Camilleri: il siciliano tra passato e presente sfida l´era di
Internet
Dialetto nel villaggio globale
La traduzione o il rifacimento di un poema in dialetto siciliano nell´era
della comunicazione globale può sembrare una fatica gratuita. Eppure
la letteratura siciliana ne vanta un gran numero: basti pensare alle versioni
dialettali di alcuni canti dell´Iliade e dell´Odissea di Domenico
Canalella, originario di Mussomeli, delle traduzioni della Divina Commedia
a opere del palermitano Filippo Cannizzaro e del catanese Santo Bellia.
C´è stato poi chi si è ispirato a una grande opera,
prendendone in prestito protagonisti e spunti tematici per immergerli nel
corpo vivo di una particolare parlata locale, come dimostra il Don Chisciotti
e Sanciu Panza di Giovanni Meli, appena ristampato da Nuova Ipsa. Il dialetto
siciliano può vantare un illustre primato nelle origini della nostra
letteratura. Primato che, spentosi per un certo periodo, si è riaffermato
nell´Ottocento, con Giovanni Verga. Per non parlare, oggi, degli
acclamati libri di Andrea Camilleri, di cui uscirà a marzo da Sellerio
il nuovo romanzo, Privo di titolo, come sempre scritto col solito linguaggio
policromo, a metà strada tra l´italiano e il siciliano.
Pare dunque che, anche nel millennio di Internet, quella del dialetto
rimanga una questione ancora aperta. Ma fino a quando il siciliano resterà
importante per la nostra cultura? Risponde il dialettologo Giovanni Ruffino,
preside della facoltà di Lettere e autore dell´Atlante siciliano:
«La vitalità della letteratura dialettale non viene dimostrata
dalla pubblicazione di opere come quelle del Canalella o del Meli. Di certo,
si tratta di operazioni apprezzabili, ma l´energia e il dinamismo
del dialetto, che sono ancora un dato di fatto, si riscontrano osservando
sul campo le parlate e misurandone di volta in volta il reale impatto.
Oggi si assiste, dopo un periodo in cui abbiamo toccato il punto più
basso, a una ripresa del prestigio del dialetto, anche perché si
è avviata un´operazione di sensibilizzazione».
Riguardo al recupero del Don Chisciotte Ruffino dice che Meli «rappresenta
una grande figura della letteratura siciliana, ma indubbiamente il suo
ruolo è stato sopravvalutato». «Meli resta il modello
per i poeti dialettali di koinè, che in verità non amo molto
- continua - Preferisco i poeti dialettali del parlato, come il giovane
Nino De Vita, uno dei più rappresentativi oggi, che si è
dimostrato in grado di rivalutare il carattere locale del dialetto. Ma
c´è anche un altro grande autore siciliano, Santo Calì,
che ha costruito i suoi versi con la parlata di Linguaglossa».
Sulla vitalità del dialetto, il filosofo del linguaggio Franco
Lo Piparo, autore di Sicilia linguistica (Einaudi), avanza invece alcune
perplessità: «I dialetti nascono e si rafforzano con gli Stati
nazionali, in seno ai quali si coagulano comunità omogenee. E accade
che un idioma in particolare assurge a lingua di riferimento, mentre tutti
gli altri diventano non ufficiali. Tutto questo avviene in Europa tra il
Quattrocento e il Cinquecento. Ora, con l´indebolimento degli Stati
nazionali, cosa accade? È come se stessimo rivivendo la vigilia
della caduta dell´Impero romano. Che lingua parleremo? L´inglese,
qualcuno risponderà. Un simil-inglese, in verità, che però
i veri inglesi non capiscono. Ci serviremo forse di una lingua artificiale,
una sorta di esperanto, e i dialetti saranno una varietà di questa
lingua comune. Viviamo in un contesto storico radicalmente cambiato: non
esistono più campanili, ma antenne paraboliche, telefonini, Internet.
Di conseguenza, bisogna immettere la Sicilia e i suoi problemi linguistici
in un contesto molto più ampio, planetario».
L´antropologo Antonino Buttitta riconduce il discorso sulla rilevanza
del dialetto in seno alla nostra cultura e alla tradizione letteraria:
«Lo ha perfettamente spiegato Tullio De Mauro: il dialetto è
il luogo della nostra memoria. Ecco perché chi oggi fa seriamente
letteratura in Sicilia, non può prescindere dal livello espressivo,
dal linguaggio delle origini. Prendiamo ad esempio Camilleri: la sua è
stata un´operazione di rinnovamento linguistico, e sono convinto
che il tempo gli darà ragione. Il futuro della nostra espressività,
infatti, pare che vada nella direzione da lui tracciata con la sua lingua
meticcia, che poi è quella che noi oggi parliamo». E suo padre,
il poeta Ignazio Buttitta, che oggi sembra dimenticato? «Il suo siciliano,
pur rimanendo abbarbicato alle radici, ha saputo tenere conto del cambiamento
linguistico nazionale - dice - Ecco perché penso che quella scritta
da mio padre sia una pagina ineludibile nella storia della poesia».
Dialetto, dunque, come lingua delle origini e dell´identità:
quello che sostiene Franco Scaldati, esponente di punta del teatro di parola,
autore di una riscrittura in siciliano de La tempesta di Shakespeare. «Quando
mi sono messo a scrivere - spiega - non ho fatto altro che scegliere la
mia lingua madre. E in forza di ciò, ho guardato alla grande letteratura
europea con sentimenti dialettali. Per me il siciliano è la lingua
della profondità e della verità. In questo senso, i miei
modelli sono due: Giovanni Testori e il poeta ragusano Vann´Antò.
Il problema è che oggi il siciliano è diventato quasi di
moda: da qui un abuso insostenibile che di esso si fa e che ci sta inevitabilmente
portando verso la saturazione».
Salvatore Ferlita
La beffa di Mussolinia e la poesia dell´abate
Dopo La presa di Macallè, romanzo storico ambientato in Sicilia
in piena dittatura fascista, Andrea Camilleri torna sul luogo del delitto
con un nuovo romanzo, Privo di titolo (Sellerio), la cui uscita è
prevista nella prima settimana di marzo. Dopo avere compiuto una beffarda
ricognizione dell´Ottocento isolano, alla ricerca di magagne e omicidi
insoluti, Camilleri adesso sembra voler fare i conti col secolo scorso.
La sua nuova fatica partirà dalle brume reazionarie e nazionaliste
del fascismo, per raccontare la vicenda dell´unico martire fascista
siciliano che, stando alle scoperte dello scrittore, fu ammazzato dai suoi
per un errore. Una storia che avrà come scenario una città
che non fu mai costruita: Mussolinia, che sarebbe dovuta sorgere a poco
più di quindici chilometri da Caltagirone, per celebrare la gloria
del duce, al quale nel 1928 fu mostrato un fotomontaggio di questa città
inesistente. L´inganno, però, non poteva durare a lungo. Dalla
colossale beffa di Mussolinia, dunque, Camilleri ha ricavato una nuova
storia, condita col suo solito, inconfondibile stile.
La ristampa di Don Chiosciotti e Sanciu Panza dell´abbate palermitano
Giovanni Meli (Nuova Ipsa, pagine 448, 75 euro), rappresenta di certo un´occasione
per ripescare dall´oblio la figura e l´opera di uno dei poeti
siciliani più noti. Autore di opere come le Famuli morali e La fata
galanti, Meli (1740-1815), fu tenuto in gran conto da Francesco De Sanctis,
ma ebbe anche alcuni detrattori. Tra questi, Leonardo Sciascia, sensibile
alla poesia dialettale popolare, ma insofferente nei confronti della tradizione
vernacolare colta, di cui Meli fu il capofila. Nel Consiglio d´Egitto,
infatti, viene fuori un ritratto satirico del Meli, inviperito per i frequenti
accenni di don Saverio Zarbo e del Di Blasi alla sua vacua poesia arcadica.
s.f.
l'Unità, 2.2.2005
Compositore, pianista, scrittore, aveva lavorato con Visconti e Camilleri
Mannino, si è spento un vulcano
[...]
In questo stesso anno [1963] un'altra vulcanicità si affiancò
a Franco Mannino, quella di Andrea Camilleri per l'opera "Il Quadro delle
meraviglie".
[...]
Doveva essere presentato in questi giorni l'ultimo suo libro (edizioni
Sideral, prefazione di Camilleri), "Appunti, note e ricordi", dedicato
a Ciampi.
[...]
Aprileonline,
3.2.2005
''I rappresentanti si occupano poco dei rappresentati e la politica
va per conto suo''
Quercia. Conversazione con un militante sui generis. “aprile” porta
Andrea Camilleri al congresso Ds
Cliccare
qui per scaricare il supplemento (in formato PDF, 1.600KB circa)
Cultura e politica, che poi sono gli elementi caratterizzanti di una
Associazione come “Aprile”, come possono essere presenti al Congresso Ds
che si apre oggi? Abbiamo scelto una forma originale: un supplemento al
nostro mensile cartaceo dedicato alla personalità letteraria di
Andrea Camilleri, il cui pezzo forte è un’intervista in cui l’autore
parla del suo rapporto con la politica e la letteratura. “I rappresentanti
si occupano poco dei rappresentati e la politica se ne va per conto suo”,
ammonisce lo scrittore. Le sue parole, che contengono un dubbio, le affidiamo
alle assisi della Quercia.
La scelta dello scrittore siciliano si basa su motivazioni che restituiscono
l’origine politico-culturale dell’iniziativa. In primo luogo, la scrittura
di Camilleri ha determinato nel corso degli anni una sempre maggior crescita
di lettori, i quali seguendo e ammirando le vicende di un personaggio come
il commissario Montalbano, hanno anche iniziato a conoscere e comprendere
il percorso storico di una terra, da sempre simbolo e testimone sia di
una tragica realtà che di un potenziale riscatto; in questo modo,
Camilleri è stato valutato non soltanto come autore-creatore di
una figura letteraria, ma anche per le sue precedenti attività professionali,
che hanno riguardato il teatro, la sceneggiatura, la collaborazione radio-televisiva,
la ricerca documentaristica di avvenimenti di cronaca politica e giudiziaria.
Ma c’è dell’altro.
Oltre l’aspetto prettamente culturale della questione, bisogna infatti
interrogarsi sulle cause di una certa rimozione subìta dallo scrittore
nel periodo precedente il successo della saga di Montalbano, e domandarsi
se al di là delle valutazioni di carattere specificamente linguistico,
ben rilevate nel supplemento dall’editore Sellerio, non ci sia stata da
parte di una certa nomenclatura dell’allora Pci, l’intenzione più
o meno dichiarata di mantenere entro i limiti di un pubblico di nicchia
e altamente qualificato, l’opera di un intellettuale che mai si è
potuto definire “militante” nel classico e unico senso allora accettato,
proprio per questo suo gusto di occuparsi di un tipo di letteratura, epidermicamente
lontana da categorie ideologiche o di genere.
Per questo il supplemento contiene, oltre gli interventi di Aldo Garzia,
Agostino Spataro e del già ricordato editore Sellerio, una lunga
conversazione con lo stesso Camilleri e un profilo biografico curato da
Carmen Ruggeri.
La Sicilia, 3.2.2005
Lo conferma a Roma lo scrittore Andrea Camilleri
«Vigata e Montelusa sono Porto Empedocle e Agrigento»
Roma. E' ufficiale: per Andrea Camilleri Vigata e Montelusa sono Porto
Empedocle e Agrigento.
A chi la pensa diversamente potrebbero fischiare le orecchie, sentendo
quanto emerso ieri durante la conferenza stampa di presentazione dello
stand empedoclino alla Bit di Milano. Si è trattato di un evento
mediatico al quale ha preso parte tutta l'amministrazione comunale empedoclina,
i deputati nazionali, Giuseppe Scalia e Giuseppe Ruvolo, appunto Camilleri.
Elogiando il lavoro sinergico svolto dagli amministratori della sua terra,
il papà del commissario Montalbano si è detto «entusiasta
di contribuire a rinsaldare il rapporto di vicinanza tra Montelusa e Vigata».
A chi gli ha prospettato l'idea di creare una Camilleri Story con il
diretto interessato ancora vivo, vegeto e culturalmente attivo, rivolgendosi
al vasto uditorio ha detto: «Stiamo facendo una conferenza stampa
sulla mia storia con la salma presente».
Una battuta di spirito che ha ulteriormente nobilitato l'appuntamento
fissato nella sede romana della Regione Sicilia, per la presentazione dello
stand di Porto Empedocle-Vigata alla Bit di Milano, in programma nei prossimi
giorni. Nella capitale ieri mattina si sono presentati il sindaco, Paolo
Ferrara, il presidente del consiglio comunale, Maurizio Cimino, gli assessori,
Alfonso Lazzara, Massimo Firetto, Luigi Troja, Enzo Ardente, Concetta D'Alberto
Bartolotta, il consigliere comunale, Calogero Crapanzano e i deputati nazionali,
Giuseppe Ruvolo e Giuseppe Scalia. Una delegazione politica di alto livello
che ha esposto a diversi mezzi di informazioni anche stranieri il programma
di lancio del prodotto Vigata nel variegato mondo del turismo culturale
internazionale. Perché di prodotto si deve parlare.
L'incontro con Camilleri è servito agli amministratori empedoclini
per presentare le loro idee. E che idee. Si parte con il lancio appunto
della Camilleri Story, ovvero un angolo del paese dove chi vorrà,
consultando un sito internet potrà ottenere le informazioni sul
proprio idolo dalle origini ai giorni nostri. Si è parlato poi dei
progetti riguardanti il recupero della zona adiacente la Torre di Carlo
V, della riapertura del cineteatro Empedocle e della possibile utilizzazione
di qualche scorcio del paese marinaro per farne set cinematografico.
Gli amministratori comunali empedoclini hanno sottolineato come «Camilleri
rappresenti un'eccezione nel panorama culturale degli ultimi anni.
Non capita a tutti di essere così valorizzati quando si è
ancora in vita», hanno sottolineato i politici empedoclini, molto
soddisfatti per l'esito della trasferta romana.
Francesco Di Mare
RAI International,
9.2.2005
L’Agenda italiana
Letteratura: A Sidney si apre la conferenza di Vittorio Leoni intitolata
"ll Rinascimento dei dialetti nella narrativa italiana contemporanea: il
caso di Andrea Camilleri e Giuseppe Montesano"
Una delle caratteristiche più significative della narrativa italiana
contemporanea è quella della riscoperta dei dialetti. Ne offrono
un ottimo esempio scrittori come Andrea Camilleri, con il suo commissario
Montalbano immerso nel dialetto e in atmosfere siciliane e Giuseppe Montesano,
autore di tre romanzi nei quali trionfa il dialetto napoletano, fino a
raggiungere accenti quasi grotteschi. E oggi, a Sidney, l'Istituto italiano
di cultura e la University of New England presentano la conferenza di Vittorio
Leoni appunto intitolata "Il Rinascimento dei dialetti nella narrativa
italiana contemporanea: il caso di Andrea Camilleri e Giuseppe Montesano".
Panorama,
10.2.2005 (in edicola 4.2.2005)
Anteprime. Il nuovo Camilleri
Chi ha ucciso Gattuso?
Il giallista siciliano torna con un romanzo sul misterioso assassinio
di un fascista
Quando nel 1997 Walter Guttadauria, addetto stampa della Provincia di
Caltanissetta, prese carta e penna per scrivere ad Andrea Camilleri e fargli
dono di un suo libro («dove ho raccontato alcuni fattacci di gente
di provincia che forse potrebbero servirle da spunto»), non si aspettava
che il celebre giallista lo chiamasse al telefono qualche mese dopo. Il
fatto è che quel volumetto, "Fattacci di gente di provincia" (Edizioni
Lussografica, 1993), conteneva una raccolta di cronache e nomi nisseni,
tra cui spiccava quello dell'unico "martire fascista" siciliano, Gigino
Gattuso, per la cui storia Camilleri dimostrò vivo interesse.
Tanto più che in quella vicenda lo scrittore di Porto Empedocle
si era già casualmente imbattuto quando aveva appena 16 anni. Come
racconta a Saverio Lodato (in "La Linea della palma", Bur, 2002), il giovanissimo
Camilleri aveva partecipato con il padre a un'adunata fascista che si era
tenuta a Caltanissetta per commemorare Gattuso, ucciso diciottenne a revolverate
"da un comunista nisseno". E in quell'occasione avvenne un "fatto strano":
in mezzo alla folla il giovane Camilleri vide un uomo piangere dentro un
portone. E' il comunista omicida, gli spiegò il padre. Ma perché
non è in carcere? chiede Andrea. “Nenè, 'u sapi Dio cu fu
ad ammazzari a Gigino Gattuso. 'Un si sapi come andò la verità
dei fatti”.
E ogni volta che la verità dei fatti si ingarbuglia, la sensibilità
di un giallista si mette all'erta. Trascorsi oltre sessant'anni dall'adunata,
Camilleri chiamò Guttadauria, nell'agosto scorso, per chiedergli
se c'erano eredi vivi del "martire", giacchè il fattaccio di Gattuso
era nel frattempo diventato un romanzo. Si chiamerà "Privo di titolo"
e sarà nelle librerie a marzo (editore Sellerio).
«Storia di un eroe immaginario in un paese immaginario»:
così Camilleri definisce questa sua nuova impresa narrativa. Gli
elementi misteriosi non sono pochi. A cominciare proprio dall'omicidio
di Gattuso, giovane militante dell'associazionismo fascista, avvenuto il
24 aprile 1921 davanti al Circolo ferrovieri, baluardo dei socialisti nisseni.
Per il crimine venne arrestato il muratore Michele Ferrara, che però
si farà solo due anni di galera. Il suo avvocato, infatti, riuscirà
a dimostrare che a sparare non fu Ferrara, bensì un camerata di
Gigino.
A ingarbugliare ancora di più le cose, il verdetto di assoluzione
fu "per legittima difesa", scontentando sia i socialisti sia i fascisti.
Questi ultimi, comunque, perpetueranno a Caltanissetta il mito del martire.
In suo onore verrà eretto anche un cippo marmoreo e la strada dove
avvenne il fattaccio porta ancora oggi il suo nome, anche se negli anni,
tolto l'aggettivo fascista, è rimasta un'ambigua targa: «A
Gigino Gattuso martire». Martire non si sa di che.
L'epoca fascista solletica le corde affabulatorie di Camilleri. Ritornano
le memorie dell'adolescenza (a Lodato lo scrittore confessò di aver
spedito poesie al Duce per andare volontario in Abissinia. Crescendo, poi,
cambiò idea sul regime). E torna anche il ricordo di una vicenda
grottesca e poco nota.
Nel 1928 il Duce arriva in Sicilia e pone, vicino a Caltagirone, la
prima pietra di un paese che si dovrà chiamare Mussolinia. Passano
otto anni e nessuno sa più come rintracciare la pietra coperta di
erbacce. Il federale ha un'idea: un bel fotomontaggio, che a Mussolini
piace così tanto da farlo pubblicare sul Touring club italiano.
I calatini, alla vista dell'inesistente Mussolinia, pubblicano sul Giornale
di Sicilia un altro fotomontaggio: sullo sfondo la città fantasma
e in primo piano barche, con la didascalia "siamo riusciti a portare il
mare a Mussolinia".
Il Duce capì l'antifona, destituì tutti e punì
il paese eleggendo a capoluogo di provincia, al suo posto, la rocca di
Castrogiovanni, ovvero Enna.
Rossana Campisi
La Repubblica, 5.2.2005
A 43 anni è uno degli attori più richiesti del momento:
Don Puglisi sul grande schermo, torna sul set per interpretare il commissario
creato da Camilleri
"Non si vive di solo Montalbano"
Hannibal. Vorrei essere come Anthony Hopkins: nessuno pensa che sia
solo Hannibal the Cannibal
Cinema e tv. Ho la fortuna di fare una tv di ottima qualità.
Il cinema è rinunciatario
Roma - Luca Zingaretti ha 43 anni. Sta in pista da venti ma il suo astro
ha iniziato a brillare improvviso, clamorosamente, nel ´99 quando
uscì la prima serie di Montalbano. Il personaggio di Don Puglisi
nel film di Roberto Faenza Alla luce del sole, nelle sale da qualche settimana,
è la sua prima importante occasione nel cinema, fino a oggi con
lui piuttosto avaro. «Avaro, sì. Qualche volta sembrava che
l´occasione fosse a portata di mano, per esempio con Vite strozzate
di Ricky Tognazzi, poi niente. Ma mai ho avuto un sentimento d´inferiorità,
ho sempre fatto il mio lavoro con il massimo dell´impegno e preferito
una buona tv a un cattivo cinema. Ho avuto la fortuna di fare una tv di
ottima qualità: come anche Perlasca. Oggi, mentre la tv ti permette
una verifica, al cinema si è creata una situazione stagnante e rinunciataria.
Naturalmente ho desiderato il cinema. E spero davvero che Puglisi permetta
di "sdoganarmi". Se mi verrà riconosciuto di aver fatto un buon
lavoro, lo dovrò a una bella storia e a un bravo regista».
Che la Sicilia sia diventata una patria d´adozione è un
vantaggio?
«Sono famoso per Montalbano, lo so. Ma la mia sfida con Puglisi,
tornando nella stessa Sicilia, era proprio quella di non essere riconosciuto
come Montalbano. Vorrei essere solo riconosciuto come un bravo attore:
se posso osare, come Anthony Hopkins che nessuno pensa sia soltanto Hannibal
the Cannibal».
Il suo caso è un po´ estremo: il miracolo di un personaggio
tv tanto fortunato è facile che si traduca in un limite. Piuttosto:
quando torna Montalbano?
«Io devo, voglio chiudere la saga. È stato proprio Camilleri
a insegnarmi che per un attore è più difficile uscire di
scena che entrare. È un regalo che mi faccio: un´altra serie
sapendo che è l´ultima. Che chiudo casa. Si girano in primavera,
i romanzi Il giro di boa e La strategia [Sic!, NdCFC] del ragno.
E forse anche due dei racconti. In onda l´anno prossimo».
[...]
Paolo D´Agostini
La Gazzetta
del Mezzogiorno, 7.2.2005
Un suggestivo volume di Gaetano Savatteri
Siciliani non per caso da Verga a Camilleri
È sempre un segreto piacere per chi, siciliana della diaspora
come chi scrive, trovare in libreria un libro di siciliani sulla Sicilia.
Anzi, questa volta, su "I siciliani" (Laterza ed., pp. 265, euro 16,00).
Ma l'autore Gaetano Savatteri, che con scrupolo filologico e umore polemico
scrive pagine interessanti su tanti ambienti e personaggi, può bene
immaginare quale scintillio di ricordi, quali immagini e magie dell'infanzia
riemergano nella mente e nel cuore di certi siciliani lontani quando si
leva, dalle prime pagine del libro la faccia «troppo sciocca e troppo
furba» di Giufà, lo sciocco «a cui tutte finiscono per
andar bene». Lasciando Giufà, ci inoltriamo in un percorso
assai godibile di periodi storici e di atmosfere sociali in cui si inseriscono
situazioni diverse, tragiche o paradossali, e figure di vario spessore.
È evidente che l'autore ha un potente e documentato risentimento
sociale per il male antico che affligge la sua terra, e si lascia trasportare,
talvolta, dalla materia senza completamente dominarla; ma quando si allontana
dal mondo infetto e vorace della mafia per descriverci uomini piccoli o
grandi che caratterizzano un'epoca, disegnano una mentalità, ci
offre pagine ricche e vivaci, in una prosa limpida e misurata. E con tocchi
precisi e significativi sono ritratti intellettuali e scrittori: così
assistiamo al malinconico tramonto di Verga, che negli «ultimi trent'anni
della sua vita passeggiava ogni giorno per via Etnea, sedeva allo stesso
caffè e riguardava dieci volte al giorno l'orologio di piazza Stesicoro»;
o seguiamo partecipi le ansie di Rosso di San Secondo, che «ogni
sera, alle otto, andava a trovare Pirandello». E poi, via via, ci
appaiono Brancati, Sciascia, Camilleri in momenti e in tic rivelatori della
loro personalità. Sembra interessante sottolineare l'uso delle citazioni,
che in vario modo si intrecciano nel corso della narrazione di Savatteri,
offrendoci un colorito scambio di opinioni. E succose sono pure le descrizioni
di certi nobili decaduti o bizzarri, in cui si assiste alla polverizzazione
dell'antica nobiltà siciliana. Ma i toni più alti del libro
sono raggiunti nelle pagine, specie dell'ultima parte, in cui la simpatia
umana e la passione civile dettano una commossa rievocazione di personaggi
umili o dimenticati o incompresi, la cui vicenda ci appare in vario modo
esemplare.
Enza Buono
La Sicilia, 8.2.2005
Il «giallo» Gattuso riproposto nel nuovo libro di Camilleri
Il settimanale "Panorama", nel numero in edicola in questi giorni, propone
un servizio di Rossana Campisi dal titolo "Chi ha ucciso Gattuso?", dedicato
al nuovo romanzo storico di Andrea Camilleri la cui uscita è annunciata
per il mese prossimo.
Si tratta di un romanzo che lo scrittore empedoclino - dalle prime
anticipazioni finora note - ha ambientato in epoca fascista, traendo lo
spunto dall'unico esempio di "martire fascista" a lui noto nella storia
siciliana, una vicenda che - nella realtà storica - vide coinvolto
il giovane avanguardista nisseno Gigino Gattuso, rimasto vittima nel 1921
di un tafferuglio culminato in una sparatoria.
Il "caso" Gigino Gattuso è stato ricostruito anni fa da Walter
Guttadauria, giornalista, nostro collaboratore, che nel suo libro "Fattacci
di gente di provincia" (Edizioni Lussografica, 1993) ha riportato alla
luce l'episodio, un vero "giallo" giacchè, nonostante dell'assassinio
del giovane fu incolpato il muratore socialista Michele Ferrara (tra i
fondatori del Pci nisseno), in realtà a sparare, per errore, al
Gattuso fu uno dei suoi amici coinvolti nel tafferuglio: almeno queste
furono le indicazioni scaturite al processo del Ferrara, che però
venne assolto per legittima difesa (e quell'assoluzione decretata dal regime
la diceva lunga, appunto, sulle sue reali responsabilità).
«Quando nel 1997 Walter Guttadauria prese carta e penna per scrivere
ad Andrea Camilleri e fargli dono di un suo libro - scrive Rossana Campisi
- non si aspettava che il celebre giallista lo chiamasse al telefono qualche
mese dopo. Il fatto è che quel volumetto conteneva una raccolta
di cronache e nomi nisseni, tra cui spiccava quello dell'unico "martire
fascista" siciliano, Gigino Gattuso, per la cui storia Camilleri dimostrò
vivo interesse. Tanto più che in quella vicenda lo scrittore di
Porto Empedocle si era già casualmente imbattuto quando aveva appena
16 anni».
E qui l'articolista di "Panorama" ricorda il legame "storico" tra lo
scrittore e il "caso" Gattuso: «Come racconta a Saverio Lodato in
"La Linea della palma", il giovanissimo Camilleri aveva partecipato con
il padre a un'adunata fascista che si era tenuta a Caltanissetta per commemorare
Gattuso, ucciso diciottenne a revolverate "da un comunista nisseno". E
in quell'occasione avvenne un "fatto strano": in mezzo alla folla il giovane
Camilleri vide un uomo piangere dentro un portone. E' il comunista omicida,
gli spiegò il padre. Ma perché non è in carcere? chiede
Andrea. “Nenè, 'u sapi Dio cu fu ad ammazzari a Gigino Gattuso.
'Un si sapi come andò la verità dei fatti”».
«E ogni volta che la verità dei fatti si ingarbuglia -
prosegue la Campisi - la sensibilità di un giallista si mette all'erta.
Trascorsi oltre sessant'anni dall'adunata, Camilleri chiamò Guttadauria,
nell'agosto scorso, per chiedergli se c'erano eredi vivi del "martire",
giacchè il fattaccio di Gattuso era nel frattempo diventato un romanzo.
Si chiamerà "Privo di titolo" e sarà nelle librerie a marzo
(editore Sellerio)».
Andrea Camilleri, dunque, dopo il "Birraio di Preston", il suo celeberrimo
romanzo storico ispirato anch'esso ad un episodio nisseno realmente accaduto
(la contestata rappresentazione di quell'opera al teatro "Regina Margherita"),
ritorna a prendere spunto da un altro episodio di cronaca cittadina per
poi lasciar spazio alla sua sconfinata fantasia di narratore e sviluppare
la trama del nuovo romanzo. «Storia di un eroe immaginario in un
paese immaginario»: così Camilleri definisce questa sua nuova
impresa narrativa, prosegue "Panorama". «Gli elementi misteriosi
non sono pochi. A cominciare proprio dall'omicidio di Gattuso, giovane
militante dell'associazionismo fascista, avvenuto il 24 aprile 1921 davanti
al Circolo dei ferrovieri, baluardo dei socialisti nisseni. Per il crimine
venne arrestato il muratore Michele Ferrara, che però si farà
solo due anni di galera. Il suo avvocato, infatti, riuscirà a dimostrare
che a sparare non fu Ferrara, bensì un camerata di Gigino. A ingarbugliare
ancora di più le cose, il verdetto di assoluzione fu "per legittima
difesa", scontentando sia i socialisti sia i fascisti. Questi ultimi, comunque,
perpetueranno a Caltanissetta il mito del martire. In suo onore verrà
eretto anche un cippo marmoreo e la strada dove avvenne il fattaccio porta
ancora oggi il suo nome…».
Il "caso" Gattuso, come detto, fa da spunto al nuovo romanzo "Privo
di titolo", che lo scrittore di Porto Empedocle ambienta in quella che
doveva essere Mussolinia, la città siciliana dedicata al Duce. «Nel
1928 - si legge ancora sul settimanale - il Duce arriva in Sicilia e pone,
vicino a Caltagirone, la prima pietra di un paese che si dovrà chiamare
Mussolinia. Passano otto anni e nessuno sa più come rintracciare
la pietra coperta di erbacce. Il federale ha un'idea: un bel fotomontaggio,
che a Mussolini piace così tanto da farlo pubblicare sul Touring
club italiano. I calatini, alla vista dell'inesistente Mussolinia, pubblicano
sul Giornale di Sicilia un altro fotomontaggio: sullo sfondo la città
fantasma e in primo piano barche, con la didascalia "siamo riusciti a portare
il mare a Mussolinia". Il Duce capì l'antifona, destituì
tutti e punì il paese eleggendo a capoluogo di provincia, al suo
posto, la rocca di Castrogiovanni, ovvero Enna».
Avui, 8.2.2005
El lladre de pastissets
Barcelona, 19.00. Xerrada sobre el llibre d'Andrea Camilleri. Biblioteca
Montbau-Albert Pérez Baró. Àngel Marquès, 4-6.
Rai
3, 8.2.2005
La banda
Di Piero Dorfles e Mariagrazia Putini
La lettura
Siamo una nazione che non sa leggere? Eppure i libri e i giornali dovrebbero
essere strumenti fondamentali per la formazione e la comunicazione. In
questa puntata della Banda cercheremo di capire fino a che punto la lettura
sia un’esperienza solitaria, o se permetta di condividere con altri gli
elementi profondi e complessi che costituiscono il mondo individuale di
ciascuno.
Andrea Camilleri apre la puntata di oggi invitando i non lettori
a superare l’invidia che si deve a chi vive l’esperienza straordinaria
con un libro, provando a portarsene a letto uno.
Dorfles: In questo libro intervista che le ha dedicato Marcello Sorgi
[“La testa ci fa dire”, NdT] a un certo punto lei dice di essere
stato accusato più volte di essere “un’artigiano della letteratura”.
In un paese dove si legge poco questo è un insulto oppure è
un incoraggiamento a immaginare una letteratura diversa?
Camilleri: Mah, io non l’ho mai preso per un insulto, sinceramente,
anzi semmai per una sorta di grosso complimento. In realtà si ha
un concetto sacrale, altissimo in Italia della letteratura e non si riesce
a capire autorizzato da chi, come e perché.
D. Si parte dall’idea di una letteratura edificante, non di una letteratura
che deve divertire anche, oltre che edificare.
C. Ma più che edificante di una letteratura veramente, come
ho detto una volta, penitenziale e penitenziaria.
D. Penitenziaria, addirittura?
C. Sì sì, i libri che sono concessi di leggere nei penitenziari
– una volta, oggi no. In Italia uno che si accinge a scrivere un romanzo
ha l’obbligo di costruire il Duomo di Milano. Se invece si propone di costruire
una splendida, meravigliosa chiesetta di campagna, di quelle che scopri
in mezzo agli alberi, piccola, ridente, bianca… quello no, tu già
sei uno che in partenza non ha diritto al ticket di ingresso nella letteratura.
D. Dobbiamo porci il problema che una letteratura troppo diffusa rischi
di essere “bassa”? Deve essere per forza così? C’è molto
in Italia questo timore del fatto che quando si dà troppo spazio
alla cultura si abbassa il livello.
C. Non credo. Io mi accorgo di una cosa: in Italia c’è questa
sorta di mania delle classifiche. Allora, appena esce Montalbano, Montalbano
se ne va in testa alle vendite. Però, se esce un buon romanzo, “romanzo-romnanzo”,
in Italia, Montalbano “cala”. Per esempio, questa è una cosa che
ho osservato con moltissimo piacere, per quanto si possa pensare che io
possa provare un sentimento diverso: quando uscì “Nati due volte”
di Pontiggia Montalbano era in testa e tac!, arrivò questo splendido,
straordinario romanzo-romanzo di Pontiggia e Montalbano andò giù.
Il che significa che coloro che in Italia leggono sul serio sanno scegliere
benissimo quello che devono leggere, e che il problema in Italia semmai
è come invogliare a leggere quelli che non leggono. Credo di star
facendo questo io, perché tanti lettori mi scrivono dicendo “io
non avevo mai letto un libro, ho letto tutto Montalbano, e ora che leggo?”.
La mia risposta è: legga i libri che legge Montalbano. Sperando
di aver buttato così degli ami nell’acqua.
D. Un altro personaggio abbastanza straordinario dei libri di Montalbano
è Catarella. Catarella, questo semianalfabeta, pasticcione, che
non sa appiccicare due parole in italiano di seguito, a un certo punto
fa il corso di “informaticcia”, il corso di informatica, dove viene classificato
primo. Leggo in questa sua intepretazione del primeggiare dell’analfabeta
Catarella nell’informatica una frecciata nei confronti della cultura che
passa attraverso i computer.
C. Dunque, devo storicizzare [ride, NdT]. Devo dire che questo
romanzo dove Catarella diventa il primo in “informaticcia” è stato
scritto nei mesi nei quali io mi ero deciso a comprare un computer e lo
guardavo con sospetto, e il computer guardava con sospetto me, pensando
al momento nel quale sarebbe stato usato da me. Poi, lentamente, invece,
tra me e il computer è nata una passione vera e propria. Quindi
quel romanzo risale al pre-uso, ai tempi nei quali io non adoperavo il
computer e mi dannavo a vedere la mia nipotina di quattro anni che apriva
il computer e cominciava a fare i suoi giochi al computer.
D. C’è però un dubbio: se la lettura sul computer è
così universale e apre tante porte, non è che per caso chiude,
invece, quella del rapporto personale col libro e con la lettura che è
così essenziale perché si possa entrare in rapporto proprio
con la lettura come godimento, come strumento di creazione personale?
C. No [ride, NdT]. Dico che il piacere della lettura è
troppo privato, come piacere, per poter essere battuto dalla lettura sul
computer. Lei il computer non se lo porta a letto; il libro se lo porta
a letto e se lo sceglie, se lo sceglie!, perché sa che lei chiuderà
gli occhi con le parole di quell’autore e di quel libro. È una scelta
importantissima che viene fatta, ”che libro mi porto stasera a letto?”;
cioè che dividerà il mio sonno accanto a me sul comodino?
Questo non c’è computer che ce lo possa dare.
D. Molti dicono che i libri sono solo una noiosaggine, che la cultura
è una scocciatura, e che la lettura è una perdita di tempo.
C. Va be’, però devo dire peggio per loro…
D. Forse anche peggio per noi?
C. … certo, peggio per tutti, perché quando poi le persone che
ragionano in questo modo raggiungono il potere siamo un poco rovinati tutti,
no? Ecco, quindi sarebbe bene che tutti leggessero eragionassero in questo
modo. Una volta ad addomesticare le fiere era la musica…
D. Con la banda!
C. … con la banda, e capisco anche perché lei vada con una banda
dappresso… Però voglio dire che io credo che la lettura alle fiere
di un libro avrebbe lo stesso efffetto di una musica… ove le fiere avessero
imparato a leggere e a scrivere! Allora, la prima radice –e non finirò
mai di ripetermi- dell’errore è nel modo come ci prospettano a scuola
la lettura.
D. Un dovere?
C. Come un dovere, e non come un piacere. Bisognerebbe far diventare
la lettura un piacere perché poi, nel momento nel quale –e me ne
accorgo- i bambini cominciano a leggere come un piacere e non come un dovere
immediatamente si danno alla lettura. A me è capitato di avere spiegato
a scuola alcuni brani dei “Promessi sposi” di Manzoni e di non volerlo
mai più leggere nella mia vita. L’ho letto per i fatti mei a trent’anni
e ho scoperto forse il romanzo della mia vita… ma allora a scuola che cosa
mi avevano detto? È una domanda che ancora non ha risposta. Oh,
insomma, con un po’ di buona volontà e un po’ di fantasia, perché
ce ne vuole tanta per stare a contatto coi ragazzi, si potrebbe allargare
di tantissimo il campo dei lettori.
Trascrizione a cura del Camilleri Fans Club
La Sicilia, 9.2.2005
Trovato il sito per la «Camilleri story»
Porto Empedocle. Prende forma il sito dove piazzare tutto il materiale
audiovisivo, riguardante la vita e le opere di Andrea Camilleri.
L'assessore alla Cultura Massimo Firetto ha individuato nei vecchi
locali della biblioteca comunale sotto i portici del municipio, con doppia
entrata nel retro, la sede dove realizzare la «Camilleri Story».
Per chi non è empedoclino, è indispensabile sapere che
tale luogo non è isolato dal contesto al quale si ispira. Dove poteva
essere piazzato il luogo dove i «devoti» di Camilleri possono
recarsi per conoscere tutto sul loro eroe se non nelle vicinanze della
casa dello scrittore? Un modo per mantenere un legame stretto con il protagonista.
A spiegare il motivo della scelta di tale luogo è lo stesso assessore,
che traccia anche le caratteristiche del materiale che vi verrà
sistemato. «Realizzeremo tre punti diversi dove attingere tutto quanto
riguarda il nostro grande compaesano conosciuto in tutto il mondo. Non
è possibile che a oggi la gente che arriva a Porto Empedocle non
sa dove e come conoscere la vita e le opere dello scrittore più
famoso a livello planetario».
A rendere ancor più «appetitosa», l'iniziativa del
comune è proprio la speciale ubicazione del «punto camilleriano»,
proprio a un tiro di schioppo dalla casa dove lo scrittore si rifugia durante
i suoi brevi soggiorni empedoclini. «Cercheremo di fare tutto il
possibile per onorare al meglio l'ottantesimo compleanno del professore
e con la realizzazione della «Camilleri Story» siamo convinti
gli faremo un gran bel regalo».
Da ricordare come nei giorni scorsi questa iniziativa sia stata presentata
in anteprima a Roma, alla presenza dello stesso scrittore che si lasciò
andare a tante battute ironiche.
F.D.M.
La Sicilia, 9.2.2005
Anche i commercianti cominciano a puntare su Vigata
Porto Empedocle. Chissà cosa ne pensa Camilleri dell'idea
di affiancare il nome «Vigata» a ogni tipo di attività
commerciale nata a Porto Empedocle negli ultimi mesi.
L'elenco delle «invenzioni» è assai ricco e variegato.
Si va dalla rinomata «Pescheria Vigata», alla qualificata «Ottica
Vigata», passando poi davanti alle vetrine riccamente imbandite di
dolci, prodotti del «Bar Vigata».
E se poi, al termine di questo tour per le vie del paese marinaro qualcuno
avesse ancora appetito, un pranzo o una gustosa cena si possono sempre
consumare nella «Grotta di Vigata», piazzata tra l'altro a
un tiro di schioppo dalla casa dello scrittore in via Stretta.
Di certo c'è che la fantasia dei commercianti empedoclini non
tocchi picchi straordinari, ma è altrettanto vero che per sfruttare
l'effetto «gancio» della città immaginaria creata da
Camilleri, ogni esercente ha giustamente deciso di cavalcare l'onda sperando...
Capita così d' imbattersi per strada in una motoape con la cella
frigorifera «agghindata» con una vistosa scritta «Vigata»
su fondo giallo canarino.
Quasi tutte le attività con il nome del paese del commissario
Montalbano si trovano in via Roma, dal primo numero civico, fin dietro
il municipio.
L'unica ad avere qualche difficoltà è stata l'ottica
Vigata, i cui titolari hanno fatto insorgere la concorrenza al solo alzare
della saracinesca, con tanto di guerre legali tutt'ora in corso. Il primo
a intuire che dal fenomeno culturale del momento si poteva trarre beneficio
in termini di immagine fu un paio d'anni fa Stefano Albanese, titolare
del bar di via Roma dove Camilleri si reca ogni volta che torna a Porto
Empedocle, per incontrare i suoi fans e sorseggiare un bicchiere di birra
o un caffè. Dopo il bar venne la «Grotta», poi la pescheria,
infine l'ottica.
Ce n'è per tutti i gusti e tutte le tasche, in nome di Camilleri
e, ovviamente del business.
F. D. M.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 9.2.2005
Le idee. Cari scrittori tocca a voi raccontarci la vera Sicilia
Un romanzo contro i cliché
L´appello agli scrittori: "Raccontateci la verità dell´Isola"
Mal di Sicilia. I narratori di grido del secondo Novecento non hanno
detto nulla di nuovo rispetto alle trasformazioni innescate dall'autonomia
siciliana e dalle lotte contadine
Lo storico interviene nella questione della letteratura legata a temi
strettamente regionali e invita gli intellettuali a sentirsi parte della
classe dirigente
Ci sono libri che contengono più verità di tanti
volumi di storia: è auspicabile che ne venga scritto uno capace
di descrivere quanto sia bello vivere in questo angolo di mondo
Pirandello. Nemmeno il libro "I vecchi e i giovani" ci aiuta a capire
cosa abbiano significato per quel periodo i Fasci e la loro repressione
Cuffaro. Questa terra non è rappresentata solo dal governatore
ma anche da Camilleri, Consolo e Perriera che hanno il potere dell´intelligenza
e del consenso
Prendo l´avvio dall´articolo di Salvatore Ferlita e Tano
Gullo, intitolato "Mal di Sicilia quel virus che contagia gli scrittori".
I due giornalisti fanno un lungo elenco di scrittori siciliani, sia residenti
nell´Isola che in altre regioni della penisola, i quali hanno scritto
e scrivono della Sicilia dandone sempre una immagine lontana e travagliata
che non va mai oltre una conoscenza soggettiva della Sicilia.
L´espressione più diffusa è «sicilitudine»
e più ancora «cambiare tutto per non cambiare nulla».
Ma altri stereotipi dominanti recitano: «La Sicilia sempre terra
di conquista e di rapina», «la Sicilia non partecipe delle
innovazioni introdotte in Italia dalla rivoluzione francese, perché
le truppe napoleoniche sono arrivate a Reggio Calabria e non hanno oltrepassato
lo Stretto», «la Sicilia irredimibile».
E ancora: «Come si fa a essere siciliani?». La Sicilia
vissuta come passione inguaribile, come la passione irrefrenabile del poeta
Catullo per la sua Lesbia donde il nec tecum nec sine te vivere possum.
E infine la Sicilia mancante di una società civile degna di
questo nome. Oppure: la Sicilia solo storia dei vinti, la Sicilia tutta
invischiata nelle complicità mafiose, eccetera eccetera.
Questo mal di Sicilia, che fa sentire la propria terra natia sempre
mancante e lontana, che oggi è diventato un male epidemico, è
un virus antico che sviluppatosi da quando la Sicilia è diventata
italiana ha contagiato i grandi nomi della nostra letteratura che si chiamano
Verga, Pirandello, De Roberto, fino a venire ai grandi nomi della seconda
metà del secolo scorso Vittorini, Lampedusa, Sciascia.
Intendiamoci. Questi scrittori, malgrado il mal di Sicilia, costituiscono
il patrimonio più prezioso della nostra terra. Sono la voce più
alta della nostra civiltà. Sono pensatori sommi che fanno conoscere
la Sicilia nel mondo. Rappresentano una parte significativa dell´arte
e della letteratura italiana. Senza quei nomi risulta deficitaria la stessa
immagine italiana.
Sciascia sostiene che lo scrittore rappresenta la verità; aggiunge
che una verità storica si scopre non in un testo di storia, bensì
nelle pagine di un romanzo, non in una dotta analisi, bensì in una
descrizione romanzata.
Non discuto cosiffatta tesi perché veramente ci sono romanzi
che dicono più verità dei libri di storia. Sciascia cita
una serie di autori meritevoli di tale giudizio. Io stesso quando nel 1958
apparve Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa scrissi su "L´Ora" che
relativamente al 1860 quel romanzo conteneva più conoscenza storica
che cento libri di storia, ma non per la frase del cambiare tutto per non
cambiare nulla, bensì per l´opera che vi svolsero i ceti benestanti,
i quali invece di farsi travolgere dalla rivoluzione, vi presero parte
e difesero efficacemente i loro interessi materiali e politici.
Ma, e qui il mio parere differisce da quello di Sciascia, non si può
dire che I Malavoglia di Verga o I Vicerè di De Roberto ci aiutano
a capire cosa ha significato per la Sicilia e per l´Italia il 1860
siciliano.
Nemmeno Pirandello con I Vecchi e i Giovani ci aiuta a capire cosa
siano stati e cosa abbiano rappresentato per la Sicilia, per l´Italia
e per il socialismo europeo di fine Ottocento e di primo Novecento i Fasci
siciliani e la loro spietata repressione.
Con la repressione spietata dei Fasci siciliani la Sicilia e il Mezzogiorno
sono stati messi in ginocchio e ancora non si sono rialzati. Pirandello
con I Vecchi e i Giovani questo non ce lo dice.
Accetto che lo scrittore rappresenta la verità, e non ho difficoltà
a riconoscere che un romanzo possa contenere più storia che un libro
di storia. Ma i nostri scrittori del secondo Novecento, e sono scrittori
di grido, non ci hanno detto nulla di diverso della vulgaris opinio sulla
autonomia siciliana e sulle lotte contadine; la prima che ha portato alla
formazione di un potere statale regionale autonomo, e le seconde che hanno
provocato l´abolizione del latifondo siciliano, la fine della potenza
baronale e una grande trasformazione del mondo contadino siciliano. Sulla
autonomia e sulle lotte contadine si possono avere opinioni diverse, ma
tacerne non è amore di verità Comunque, la tesi di Sciascia
porta a caricare i nostri scrittori di maggiore responsabilità e
di maggiore obbligo di consapevolezza di tale responsabilità. Se
lo scrittore rappresenta la verità, allora la sua scrittura non
è un fatto privato, come sono i diritti di autore, ma un patrimonio
collettivo che appartiene alla società; e che deve servire al bene
pubblico e al privato.
Come storico ritengo che a dire la verità concorra il romanzo
se un è buon romanzo, e un libro di storia se è un buon libro
di storia.
Naturalmente il buon romanzo non supplisce un buon libro di storia
e viceversa. Hanno funzioni diverse, sebbene una buona storia romanzata
si legga meglio che una buona storia argomentata.
Ma poiché sia l´uno che 1´altro sono portatori di
verità, nasce il problema della funzione che svolge sia lo scrittore
che lo storico nei confronti della società nella quale essi vivono.
A tal fine ripropongo una domanda dello scrittore, storico e poeta
Giuseppe Zagarrio, originario di Ravanusa e vissuto a Firenze, anche egli
affetto dal mal di Sicilia. «È proprio un bene, si chiede
Zagarrio, dar tanto posto a Omero? Qual servizio ha egli prestato al pubblico
e al privato? Dici il vero se dici Omero è sommo, non ci serve Omero!».
Io penso, nondimeno, come, del resto, lo pensava Zagarrio, che sia
sempre un bene dar tanto posto a Omero, e diremo il vero se diremo che
Omero è sommo e che ci serve Omero.
Aggiungo che tra i moderni ci serve anche il premio Nobel Quasimodo,
originario di Siracusa e residente a Milano, che per il Sud ha scritto
il lamento che egli stesso ha chiamato «un lamento d´amore
senza amore»: «il mio cuore è ormai su queste praterie
su queste acque annuvolate dalle nebbie/ Ho dimenticato il mare, la grave/
conchiglia soffiata dai pastori siciliani. Più nessuno mi porterà
nel Sud/ Oh, il Sud è stanco di trascinare i morti in riva alle
paludi di malaria, è stanco di solitudine, stanco di catene, è
stanco nella sua bocca delle bestemmie di tutte le razze che hanno urlato
morte con l´eco dei suoi pozzi che hanno bevuto il sangue del suo
cuore».
Il problema che desidero proporre tuttavia non è letterario,
ma di altro genere: se in questo momento di grande travaglio morale e politico
che vive la Sicilia, di difficoltà assai gravi ma anche di impreviste
aperture che sono da cogliere al volo, anche gli scrittori e i poeti, come
gli storici e quant´altri uomini di scienza, di cultura, di fede
si sentano o non si sentano, nell´autonomia dell´opera che
svolgono, parte della classe dirigente siciliana; e se come membri di questa
classe dirigente concordino o non concordino sulla necessità di
concorrere a guidare il cammino della nostra terra.
Spesso circa il cammino fatto e da fare si chiama in causa la politica,
ed è giusto che sia così, perché gli uomini che la
rappresentano, e che la praticano, spesso non sono o non vogliono o non
hanno interesse a essere all´altezza della loro funzione.
Costa molta fatica e grande amore essere un buon politico meritevole
del nome. Ma spetta solo alla politica questo dovere? La politica è
solo una sezione della classe dirigente; importante quanta si voglia, ma
sempre una sezione. Altre sezioni importanti sono le imprenditorie economiche
della industria, del commercio, dell´agricoltura e del turismo. Ma
sezione non meno importante è quella rappresentata dalla cultura,
dalla poesia, dalla storia, dalla letteratura, dalla scienza.
Nella concezione che tento di esporre è che Verga e Pirandello,
a mio giudizio, furono ai loro tempi rappresentanti non meno significativi
e rappresentativi di Francesco Crispi e di Vittorio Emanuele Orlando. Chi
vuole fare storia di quegli anni non può dimenticare né gli
uni né gli altri. Similmente nella situazione attuale, la Sicilia
non è solo rappresentata, bene o male che sia, da Salvatore Cuffaro,
dagli assessori della sua giunta di governo e dai deputali regionali che
siedono nell´assemblea di Palazzo dei Normanni.
La Sicilia, a mio giudizio, è anche rappresentata da Andrea
Camilleri, da Vincenzo Consolo e da Michele Perriera per non dire di altre
decine e centinaia che non indico per ragioni di spazio. La differenza
è che Cuffaro esercita il potere delle decisioni, maneggia miliardi
e autorizza concessioni; e si trova aggrovigliato in una rete di interessi
vari, che decidono la vita e 1´avvenire dei siciliani.
Camilleri, Consolo e Perriera, invece, hanno il potere dell´intelligenza
e del consenso che liberamente ottengono per merito delle loro opere e
senza pagare il pizzo. Anche in senso storico è da dire che Lampedusa
e Sciascia sono stati e rimangono non meno rappresentativi per non dire
più rappresentativi degli uomini politici che dominarono la politica
de1 loro tempo.
Non desidero essere frainteso, io di mestiere faccio lo storico. E
so che non potrei fare lo storico senza avere la libertà, di scrivere
sulla mia domanda di verità. Anche l´opera degli scrittori,
dei poeti, degli artisti è sempre una domanda di verità,
e mai una risposta a una domanda. Ma per quanto liberi, non siamo dei giullari,
che scrivono poetano e cantano senza avere alcuna responsabilità.
Anche se a scegliere le domande sono soltanto i singoli artisti, ci sono
domande e domande.
La domanda di Verga sul 1860 siciliano fu espressa nella novella La
libertà, un capolavoro dal punto di vista artistico, ma un malaugurato
incidente che nel merito solo concorse a offuscare l´impresa garibaldina,
ma non a fermare lo sviluppo.
La libertà rappresenta una domanda di verità; ma solo
di quella infausta verità che una piccola parte della verità
più generale. Nei Malavoglia lo stesso Verga pone come sua domanda
di verità la condizione dei siciliani usciti vinti dal 1860, dei
quali sceglie come esempio eloquente la irredimibile sorte dei pescatori
catanesi.
Non era questa una verità uscita dalla vicenda del 1860? Sì,
era la verità. Nondimeno la storia, dei siciliani dopo i1 1860 non
è solo storia di vinti. E per capire quale ne sia la verità
storica, la letteratura oltre la domanda de I Malavoglia non si è
posta la giusta domanda. Sulla Sicilia di oggi, sul suo passato e sul suo
futuro, le domande degli artisti, degli storici, degli scienziati della
politica, possono essere tante. Quella che ha trovato più scrittori
e più domande è stata la mafia, e fra le molte centinaia
di domande Il Giorno della civetta di Sciascia o il film Salvatore Giuliano
di Francesco Rosi contengono più verità di tanti altri libri
che parlano di mafia.
La mia conclusione è propositiva. Mi chiedo e chiedo se anche
gli scrittori, gli storici, gli scienziati della politica si sentano di
rappresentare una sezione vitale della classe dirigente siciliana. E poiché
io auspico una risposta affermativa, mi chiedo e chiedo se sia lecito attendersi
che, in quanto partecipi della responsabilità di governare la Sicilia,
le loro domande non siano contagiate dal virus del mal di Sicilia, ma dotate
di buona salute e capaci di dire la verità su quel che si attende
dal futuro siciliano.
Non mi aspetto che ci sia per la Sicilia un romanzo come Guerra e pace
di Tolstoi o come I Promessi sposi di Manzoni; Sciascia ha ragione quando
li cita come esempi di letteratura che hanno più verità di
molti libri di storia; ma di Manzoni in Italia ce n´è stato
uno solo, e non è facile trovarne un altro dietro il primo angolo
di strada. Un romanzo però che non sia contagiato da virus del mal
di Sicilia è auspicabile, ed è auspicabile che racconti e
faccia conoscere quanto sia difficile essere siciliani e vivere da siciliani,
ma quanto sia bello e meritevole di rispetto vivere da uomini onesti in
questa terra ricca di storia e baciata dal sole.
Francesco Renda
La Repubblica
(ed. di Palermo), 10.2.2005
Dalla sagra a Porto Empedocle. "Così nasce il sito su Camilleri"
Il nome è lo stesso di un personaggio di Camilleri, quello che
in "Un filo di fumo" «si può comprare per pochi soldi...».
Ma Michele Attanasio esiste davvero ed è uno dei primi fan di Camilleri
e del commissario Montalbano, conosciuti per caso nel '96 quando da Milano,
dove è nato e cresciuto (il padre è di Porto Empedocle) venne
in Sicilia per assistere alla Sagra del mandorlo in fiore. «Non trovai
posto in albergo - racconta - e così io e mia moglie fummo ospitati
da una parente che guarda caso è anche nipote di Camilleri per parte
di madre». Ma tant´è dalle prime notizie avute dalla
cugina Carmela, il signor Attanasio ha cominciato a leggere tutti i libri
di Camilleri creando il primo sito Internet dedicato allo scrittore (www.commissariomontalbano.it).
Il sito offre l´accesso agli altri indirizzi in rete dedicati a Camilleri,
una serie di curiosità sui luoghi da visitare. E una mappa completa
di Porto Empedocle. Oltre, naturalmente, alla vera storia di Michele Attanasio.
g. s.
La Repubblica
(ed. di Palermo), 10.2.2005
Le scelte della Regione. Presentato il logo della nuova campagna promozionale.
Una guida del Touring sugli appuntamenti dell´anno
La Sicilia rispolvera il Grand tour
Turismo e cultura, una scommessa alla Bit di Milano
Il tema prescelto è il viaggio letterario. In programma anche
la "Settimana di Montalbano" dedicata a Camilleri
Si chiama "Grand tour Sicilia 2005, una terra che racconta", il nuovo
logo dell´assessorato regionale al Turismo che sta per volare alla
Borsa internazionale del turismo di Milano, insieme allo spot e all´intera
campagna pubblicitaria. Creato dall´agenzia milanese Saatchi &
Saatchi per circa due milioni di euro, semplicissimo, essenziale, il nuovo
logo staglia su uno sfondo blu un grande libro capovolto e semi aperto
che ricorda l´Etna e richiama, insistentemente il tema del viaggio
culturale, capace di attirare con eventi, musica, teatro, letteratura,
ma anche paesaggi e scorci inediti della Sicilia "viaggiatori e non solo
turisti". «Il libro? Rappresenta la grande prospettiva del futuro
- spiega l´assessore Fabio Granata, che ha presentato la campagna
insieme al suo consulente per la comunicazione Ferruccio Barbera e al presidente
dell´Ars Guido Lo Porto - e soprattutto la nostra identità
attraverso la stratificazione culturale».
[...]
Alla Bit sarà presentata la seconda edizione della guida realizzata
dall´Assessorato e dal Touring club italiano "Sicilia 2005, un anno
di eventi e manifestazioni": un utile strumento di consultazione per il
viaggiatore e il turista, con tutti gli appuntamenti più importanti
che si svolgeranno nell´isola fino alla fine del 2005, in distribuzione
dal 13 febbraio.
Tra gli eventi che punteggeranno le attività "La settimana di
Montalbano" (a Siracusa a settembre).
[...]
Laura Nobile
Il Secolo
d’Italia, 11.2.2005
"Fattacci di gente di provincia": a proposito di un nuovo libro dello scrittore
Un infortunio di Camilleri
Il narratore del Commissario Montalbano vuole riscrivere la vicenda del fascista Gigino Gattuso, passato alla storia siciliana per essere stato ucciso nel 1921 da un avversario politico. Secondo la nuova versione, l’assassinio sarebbe in realtà avvenuto per mano di un “camerata”. Ma il romanziere si sbaglia. Ecco la versione dei fatti…
L’epoca fascista – scrive con perentorietà Rossana Campisi sull'ultimo numero di Panorama - solletica le corde affabulatorie di Andrea Camilleri. E cosa si prepara a sfornare di così significativo da essere annunciato prima ancora d'esser scritto, il romanziere di Porto Empedocle? Ovviamente, una narrazione delle sue, dove realtà e fantasia s'intrecciano; dove il mistero, tanto quello giudiziario quanto quello atavico che domina ogni aspetto del vivere siciliano, si fondono mirabilmente; in cui però, questa volta a fare da sfondo ci sarebbero aquile e fasci. A ispirare Camilleri – sostiene ancora il settimanale – uno sconosciuto libro pubblicato a Caltanissetta, realizzato da Walter Guttadauria, già addetto stampa dell'amministrazione provinciale di sinistra di quel capoluogo, in cui sono riportati - come recita il titolo - "Fattacci di gente di provincia". A colpire più direttamente l’immaginazione del noto scrittore è il caso - capitolo VI del libro - di Gigino Gattuso, unico "martire del1a rivoluzione fascista" in terra di Trinacria, ancor oggi ricordato nella toponomastica di Caltanissetta. Secondo le ricerche di Guttadauria e i ricordi personali di Camilleri, infatti, è dubbio che quel giovane siciliano (quando fu ucciso aveva solo 21 anni) sia stato vittima del "muratore Michele Ferrara". A ucciderlo, in realtà, sarebbe stato un suo "camerata". E a riprova di questa tesi c'è la "massa" documentale prodotta da Guttadauria stesso, mentre, purtroppo - almeno così lascia intendere Panorama – è stato impossibile rintracciare parenti del Gattuso che confermassero la versione ufficiale. Insomma, saccheggiando la memoria sua e altrui, Camilleri si appresta a sbugiardare l'unico "mito" del fascismo rivoluzionario nisseno e dell'intera Sicilia e a fare di quest'operazione di verità - c'è da giurarci - un sicuro successo in libreria targato Sellerio. Peccato, però, che questo volume o volumetto - non è dato sapere quante pagine occorreranno a CamilIeri per realizzare questa imperdibile opera di narrativa isolana - più che "Privo di titolo" (così si dovrebbe leggere in copertina) sia privo di fondamento. In primo luogo, non è vero che non esistano parenti di Gigjno Gattuso: ce ne sono molti, e due di loro - nipoti di seconde e terze generazioni - svolgono anche funzioni pubbliche: Luigi Gattuso in Sicilia e Patrizio Gattuso a Bologna (entrambi in Alleanza nazionale). Se Camilleri li avesse cercati, avrebbe ascoltato una versione ben diversa dei fatti, rispetto a quella che tenta di affermare il Guttadauria. Tanto più che il portavoce della Provincia, nel libro testé citato, non si permette affatto di affermare che Gattuso sia stato ucciso dai suoi stessi amici, ma, con stile tipicamente "lucarelliano", confonde i fatti acclarati dalla giustizia con ipotesi che sembrano metterne in discussione la logicità. Cosa accadde, infatti, il 24 aprile del 1921 a Caltanissetta? In quali circostanze perse la vita Gigino Gattuso e perché e da chi, anni dopo, la verità giudiziaria fu messa in discussione? La mattina in questione, il giovane fascista, poco distante dalla roccaforte dei social-comunisti nisseni (il circolo dei ferrovieri), incrocia Michele Ferrara. Gattuso è in compagnia di due amici, uno dei quali ha 16 anni, e cammina - secondo lo stile di quei tempi tempestosi - col bastone da passeggio che, all'occorrenza, può diventare un manganello. Il Ferrara, invece, ha addosso una pistola non denunciata e non è solo un semplice muratore, ma uno dei più votali consiglieri comunali della Sinistra cittadina. Come spesso accadeva all'epoca, il Ferrara e i tre si scambiano insulti - nessuno dei testimoni oculari sarà in grado di dire chi ha iniziato a provocare l'altro - che trascendono immediatamente in minacce e alle vie di fatto. Pochi istanti dopo l'inizio della colluttazione, echeggiano due spari, Gigino Gattuso stramazza al suolo e Michele Ferrara fugge, ritornando sui suoi passi e riparando nel circolo comunista. Particolare importante, perché ammesso dallo stesso Ferrara: abbandonando la scena del delitto butta via l'arma di cui è in possesso e ammetteai suoi compagni d'averla tirata fuori e di aver sparato due colpi, anche se, aggiunge, solo per difendersi. Anche l'intervento della polizia è subitaneo e, quando bloccano il Ferrara e recuperano l'arma, si sentono ripetere la stessa versione: vistosi aggredito, il Ferrara avrebbe esploso due colpi per difendersi. Per gli agenti non c'è nient'altro da capire: Gattuso è stato ammazzato da uno di questi due colpi. Nei tre anni successivi, l'epilogo giudiziario che, almeno fino al 1924 e a Caltanissetta, dimostra che i giudici non erano affatto condizionati dal nuovo governo instauratosi nel Paese. Ed è in questa fase che i fatti diventano torbidi, ma non per cause oggettive, ma per iniziativa degli avvocati della difesa - tutti legati al mondo socialbolscevico isolano - che tentano, naturalmente, di salvare il loro esponente dal1a galera. Ecco, allora, comparire il1probabili testi che moltiplicano ]a presenza di fascisti sul luogo degli accadimenti fino a quindici o venti (un aspetto, questo, che anche la ricerca storica oggi categoricamente esclude, limitando a quattro il numero complessivo degli attori sulla scena del delitto). Ecco moltiplicarsi, sempre per parola di detti testi. il numero delle detonazioni (facendo immaginare l'utilizzo di un'altra arma da parte di un altro dei contendenti). Ecco una perizia di parte che, a dispetto della prima commissionata dalla polizia, mette in dubbio che l'ogiva recuperata dal corpo del Gattuso possa essere compatibile con uno dei due proiettili mancanti dalla pistola del Ferrara. Tutti elementi, però, che non convincono i giudici, né in primo grado, quando Ferrara venne condannato, né in secondo grado, quando fu assolto. Infatti, per i magistrati - e per tutti, in verità - l'unico dubbio da sciogliere era se Gattuso fosse stato ucciso intenzionalmente, oppure se Ferrara lo avesse colpito in un disperato gesto di difesa. La sentenza definitiva - al contrario di quanto scrive Guttadauria e di quanto s'appresta a confermare Camilleri - non fu affatto un "verdetto di compromesso", ma un esempio di come, almeno negli anni Venti, la magistratura operasse sempre nel pieno rispetto del diritto. Mentre in primo grado gli elementi a discarico furono giudicati del tutto insufficienti a dimostrare la tesi della legittima difesa, in particolar modo per l’evidente strumentalità di alcune testimonianze, contribuendo, di fatto alla condanna del Ferrara; in appello furono valutate più serenamente le circostanze dell'accaduto e, non potendosi stabilire chi avesse dato il via alla rissa e considerato che il Ferrara dovette fronteggiare tre persone, si accordò all'imputato la legittima difesa. Dunque, non c'è nessun mistero nell'omicidio di Gigino Gattuso, tanto che le prove addotte da Guttadauria, in definitiva, si risolvono in alcune ricerche condotte dal figlio di Ferrara (chiaramente tese ad allontanare dal padre il benché minimo sospetto) e da alcune affermazioni dei primi anni '70 di Napoleone Colajanni, leader storico dei comunisti in Sicilia. In altre parole, quella a cui Camilleri s'appresta ad apporre firma e legittimazione è la definitiva opera di mistificazione degli eventi necessaria all'amministrazione di Caltanissetta per cancellare una volta per tutte il nome di Gattuso dalla toponomastica cittadina. Un risultato perseguito senza successo da decenni, sollevando le proteste di tante persone che, anche a discapito della politica, conservavano e conservano del giovane assassinato un ottimo ricordo. Scomodare la letteratura per un obbiettivo invero così modesto – con tutto il rispetto per la vittima e per i discendenti, Gigino Gattuso non è figura che ha improntato la storia e sulla quale si possono imbastire contese ideali e men che meno storico-politiche - appare enorme. Tanto più che quella strada di Caltanissetta, tutto sommato, assomiglia alle tante che, ancor adesso, vengono dedicate ai giovani che, da una parte e dall'altra, persero la vita in slanci ideali, magari oggi non più condivisibili, ma puri e sinceri. Vite spezzate, quelle del Novecento, che, al limite, dovrebbero essere oggetto di riflessione, non di furia iconoclasta.
Massimiliano Mazzanti
L'Unione Sarda,
11.2.2005
Gli Atti del convegno sardo
Il mondo di Camilleri: il divertimento, la lingua e l'impegno
Andrea Camilleri, ovvero la felicità del lettore e la fortuna
del mondo letterario. Un paio di libri l'anno, vendite stellari, capacità
di comunicare, assoluta disponibilità, opinioni senza reticenze
e banalità. Bene, benissimo, per chi lo legge, per chi lo intervista,
per chi ne parla. «Uomo di mare», come si definisce, veleggia
sempre con cortesia. Non respinge responsi e risposte. E se respinge, lo
fa a modo suo. Di qualche politico siciliano ha detto seccamente «di
lui non parlo». Frase che vale un libro. Peggio (o meglio) che un
romanzo. Facile allora che su un uomo che ha tanto da dire (e lo dice e
lo scrive), ci sia tanto da dire. Articoli, saggi, incontri, convegni,
seminari. Come quello organizzato a Cagliari nel marzo dell'anno scorso
e di cui sono stati appena pubblicati gli Atti, a cura di Giuseppe Marci.
"Lingua, storia, gioco e moralità nel mondo di Andrea Camilleri"
(Cuec, 14 euro) è il titolo della raccolta di interventi. Come dire,
non c'è un preciso filo conduttore. Se non la constatazione indiscutibile
che «i meccanismi stilistici» dello scrittore siciliano sono
considerati «innovativi» nella narrativa contemporanea, «grazie
soprattutto ad un oculato gioco linguistico», sintetizza Ines Loi
Corvetto nella presentazione. La lingua, dunque, l'invenzione (o l'esaltazione
su scala universale) del meticciato. Che per il lettore, ricorda Paolo
Maninchedda citando Ricoeur, significa "ospitalità linguistica":
«Al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere
di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la
parola dello straniero». Insomma, «non una banale variazione
dal consueto, ma l'esperienza e l'accoglienza della diversità».
Curiosa, nella prateria linguistica spalancata dallo scrittore siciliano,
la «riconciliazione» - confessata da Gian Pietro Storari -
con «l'uso che Camilleri fa del verbo spiare». Parlare, chiedere.
Il verbo «affonda tutti i personaggi, poliziotti compresi, che agiscono
nei racconti di Camilleri in quest'atmosfera di diffusa e pervasiva mafiosità,
dove nessuno... può tenere a bada le proprie parole». Proprio
contro «la cifra della cultura mafiosa» fondata sull'idea che
«parlare sia un'attività compromettente e potenzialmente pericolosa».
E anche contro chi liquida le opere di Camilleri come letteratura di pura
evasione, di una sorta di "terra senza mafia". Si parla in particolare
delle indagini di Montalbano. Più chiaramente, la "teoria" linguistica
di Camilleri non è mai astratta. E ha ragione Massimo Arcangeli
quando ricorda che la sua narrativa «pare infischiarsene dell'ingombrante
presenza del sicilianismo stretto». Lo scrittore ripete, insiste,
addestra, così quel che non si comprende subito (o si comprende
poco) «si comprenderà prima o poi». Un modo lineare
ed efficace per spiegare il segreto del successo nazional-popolare. Il
"divertimento" del linguaggio, anche (soprattutto) nei libri senza la polizia
di Vigata, è sottolineato da Laura Pisano. Divertimento della scrittura
e della lettura nel "Re di Girgenti", per esempio: «Camilleri è
in grado di immergere chi legge i suoi romanzi in una dimensione storica
attendibile» perché composta da frammenti che «vengono
da storie vere» e che «compongono una storia fantastica»
ma possibile. Tra gli interventi non sembra diffusa invece l'analisi dei
rapporti fra lo scrittore e la cronaca politica contemporanea (che invece
trova sempre più spazio nei romanzi, con sortire esplicite e dirette,
quasi una discesa in campo, contro il governo di centrodestra e i suoi
canali di sostegno) e neppure il confronto con le correnti letterarie.
In fondo, salve tutti le distinzioni possibili, si naviga nel mare dorato
del noir, almeno quando entra in scena lo scorbutico Salvo. Non mancano
comunque gli spunti interessanti, fra questi l'analisi di Simona Demontis
del libro più discusso, spiazzante, scabroso di Camilleri: "La presa
di Macallè". Definito, giustamente, una autentica «lezione
di storia», costruita con una tecnica simile ai «rari esperimenti
cinematografici di ripresa in soggettiva» che offrono un unico punto
di vista e «fanno condividere allo spettatore le incertezze dell'operatore,
i suoi passi falsi, i dubbi, gli interrogativi». In questo caso il
punto di vista di un bambino. E qui, come in tutti i romanzi, per dirla
con Simona Pilia, c'è sempre il dono: «Riuscire a far sentire
ciascun lettore uno di quei quattro, cinque amici fidati, cui lo scrittore
ha voglia di raccontare una storia». Da ricordare.
Roberto Cossu
La Sicilia, 11.2.2005
Suggestiva mostra in via Atenea del pittore agrigentino
L'amore per il centro storico di Carisi
La speranza che il «cuore» della città si vesta di
un futuro architettonico migliore è il file rouge che unisce le
opere artistiche del pittore Andrea Carisi, esposte al Palazzo Borsellino
di Agrigento fino al prossimo 12 febbraio.
[...]
Di lui sono apprezzate le scenografie teatrali per spettacoli di folk
internazionale in collaborazione con i registi Di Martino, Camilleri, Passalacqua
e Guardì.
[...]
Deborah Annolino
Corriere della sera,
12.2.2005
Polemica. Lo scrittore siciliano rilegge la storia della morte violenta
di Gattuso, attivista fascista. Ma la destra contesta la sua ricostruzione
Camilleri e il martire nero, thriller dal finale aperto
L'autore difende il romanzo non ancora uscito: "Per la vittima nutro
rispetto"
Può un romanzo (ancora non uscito) diventare «definitiva
opera di mistificazione degli eventi» al punto da sottrarre un martire
alla storia del fascismo siciliano? Il Secolo d’Italia di ieri, in una
intera pagina firmata da Massimiliano Mazzanti, assicura di sì:
soprattutto se l’autore si chiama Andrea Camilleri. I fatti. Il 14 marzo
uscirà da Sellerio "Privo di titolo", nuova opera camilleriana (del
filone storico-siciliano, quindi non Montalbano). Si parlerà - ma
non solo - della morte di Luigi Gattuso, detto Gigino, attivista fascista
di Caltanissetta ucciso a 18 anni il 24 aprile 1921, «unico mito
del fascismo rivoluzionario nisseno e dell’intera Sicilia», ricorda
Mazzanti. Gattuso, quel giorno, era con due camerati. Uno aveva un solido
bastone da passeggio in mano. Incontrò il comunista Michele Ferrara,
giovane muratore però già consigliere comunale, che era solo:
scambio di insulti, rissa, due colpi di pistola sparati da Ferrara. Gattuso
morì colpito da un proiettile. Ferrara fuggì, gettando per
strada la sua pistola mai denunciata alla polizia. Poi venne arrestato.
Una prima condanna per omicidio volontario nel 1921 diventò, nel
1924, legittima difesa. Ferrara fu scarcerato e riebbe la pistola. Le verità
politiche diventarono due, opposte: il fascismo al potere fece di Gigino
Gattuso un martire ucciso da un comunista, intitolandogli una scuola, un
monumento, una via. Per la sinistra (che assicurò nel 1924 il patrocinio
del grande penalista agrigentino Calogero Cigna) si trattò di una
sentenza di comodo per coprire il vero colpevole: Santi Cammarata, anche
lui fascista, uno dei due amici di Gigino, che lo avrebbe ucciso involontariamente
nella rissa. Tesi ripetuta anche nel 1971 dall’esponente Pci Pompeo Colajanni.
Il materiale giudiziario che ha ispirato Camilleri appare in un libro
del 1993, "Fattacci di gente di provincia", scritto da Walter Guttadauria,
addetto stampa della provincia di Caltanissetta (giunta ulivista, come
al Comune). Mazzanti accusa Camilleri: il suo è un infortunio, il
processo fu vero, l’epilogo dimostra come nel 1924 «i giudici non
erano affatto condizionati dal governo del Paese». L’operazione,
conclude Il Secolo d’Italia, servirebbe al centro sinistra a «cancellare
Gattuso dalla toponomastica cittadina». La via esiste ancora, è
una perpendicolare di corso Vittorio Emanuele. Si legge solo «Gigino
Gattuso, martire».
Camilleri ha un suo primo ricordo di Gattuso, risale ai suoi sedici
anni quando accompagnò il padre a una cerimonia fascista per Gattuso.
Vide un uomo piangere in un angolo. Il padre gli disse: è l’assassino,
ma non si sa come andarono i fatti.... Dice oggi lo scrittore: «E’
stupefacente questa polemica su un libro che nessuno ha letto. Equivale
a commentare una sentenza non ancora pronunciata. Un osceno costume italiano
che continua a essere molto diffuso». In quanto al merito: «Il
mio non è un saggio storico ma un romanzo che descrive la virtualità
del fascismo. Parlerò di Mussolinia, città fondata con una
sola pietra in Sicilia e mai esistita se non nei fotomontaggi dei libri
Sonzogno. E parlerò di Gigino Gattuso per il quale nutro enorme
rispetto». E la sentenza? «Viene emessa dopo il delitto Matteotti,
quindi col fascismo forte e in sella, altro che maneggi di avvocati comunisti:
non può condannare il vero colpevole ma è costretta a liberare
un innocente attribuendogli però la legittima difesa». Il
padre di Montalbano rinvia alla documentazione del libro di Guttadauria
e conclude: «Racconto la storia di un martire fascista ammazzato
da un altro fascista ma spacciato come vittima di un comunista. Pura virtualità,
una immensa messa in scena come Mussolinia. Ma per favore, prima leggete
il libro. Altrimenti è tutto un processo alle intenzioni».
Racconta Guttadauria: «Non ho inserito mie opinioni personali
ma solo documenti processuali. Né altero la verità: per la
storia giudiziaria il colpevole esiste, si chiama Michele Ferrara. L’avvocato,
citando nel 1924 nuovi testimoni rispetto al 1921, disse: "Ce n’è
abbastanza per affermare che un dubbio esiste e che a uccidere sia stato
il Cammarata", lo si legge sul quotidiano La Vespa del 23 novembre 1924.
Una perizia scoprì che il bossolo estratto dal corpo di Gigino era
incompatibile con la pistola di Ferrara. La sentenza scontentò comunque
sia i fascisti, che volevano un assassino in carcere, che i comunisti,
schierati per l’assoluzione».
Commenta Patrizio Gattuso, pronipote di Gigino, consigliere comunale
An a Bologna e responsabile regionale del settore trasporti del partito:
«Ai socialcomunisti quella sentenza ha sempre dato fastidio. Il colpevole
c’è, ha un nome, Gigino Gattuso pagò con la vita la sua passione
politica. Cigna riuscì con bravura, e nuovi testimoni improvvisamente
"trovati" nel 1924, a ribaltare la sentenza del 1921... all’arresto Ferrara
si dichiarò reo confesso. L’operazione di Camilleri mi pare una
forzatura inaccettabile per accreditare un falso storico e confondere impropriamente
le idee». Fa sapere il sindaco di Caltanissetta, Salvatore Messana,
della Margherita: «Mai pensato di cambiar nome a quella strada, Gattuso
fu comunque vittima di una violenza. Spero però che Camilleri venga
qui a presentare il suo libro. Ottima occasione per un dibattito».
Paolo Conti
La Sicilia, 12.2.2005
Amministratori alla Bit di Milano per promuovere la «vera»
Vigata
Porto Empedocle. Vigata esordisce oggi alla Bit di Milano. Per
la prima volta Porto Empedocle non espone nella banca internazionale del
turismo la pur pregiata e rinomata ricotta, o formaggio e pane di casa,
ma mette in vetrina il meglio del proprio patrimonio culturale.
In uno stand nel quale si siederanno tra il sindaco, Paolo Ferrara,
l'assessore comunale allo Sviluppo Economico, Alfonso Lazzara e due consiglieri
comunali verrà raccontato cosa voglia dire essere il paese che ha
dato i natali ad Andrea Camilleri. Montalbano e non solo dunque, all'insegna
della cultura quale mezzo per veicolare nel centro empedoclino sempre più
turisti affamati di cose camilleriare. Nello stand allestito dall'amministrazione
comunale, con la collaborazione della Provincia regionale si potranno anche
apprezzare le opere e le curiosità su Luigi Pirandello, Tomasi di
Lampedusa e Leonardo Sciascia.
Tutto cioè all'insegna della massima collaborazione con il comuni
di Agrigento, Palma di Montechiaro e Racalmuto.
Lo stand rimarrà aperto al pubblico per tutti i giorni in cui
si svolgerà la Bit, ovvero fine a martedì prossimo data del
rientro della delegazione empedoclina.
Alla vigilia della partenza, l'assessore Alfonso Lazzara sottolinea
come «da parte nostra c'è l'intenzione di esportare il meglio
della nostra terra e siamo convinti di avere intrapreso la strada giusta,
grazie alla collaborazione del professore Camilleri».
Non resta dunque che attendere la risposta di chi entrerà nello
stand senza ricotta calda e gustosa, ma con tanta cultura da cogliere con
uno sguardo.
F.D.M.
N.d.T. - La
Nota del Traduttore
Personaggio
10 domande a Jon Rognlien, traduttore di Camilleri in norvegese
Jon Rognlien è traduttore, critico e giornalista. Traduce Camilleri,
Ammaniti...
1. Quando inizia la sua attività di traduttore?
Innanzitutto diamoci del tu. Sai, per un norvegese, queste formalità
danno un po' fastidio. Come un vestito troppo largo, troppo bello, che
non siamo degni di portare.
Ho qualche difficoltà nel ricordare la data precisa - perché
all'inizio degli anni ottanta ho lavorato come giornalista in una rivista
norvegese, Gateavisa (tr.: "il giornale della strada", simile al vostro
Frigidaire, per chi lo ricorda ...), e giá lì ho tradotto
varie cose, fumetti, articoli ecc. Non avevo ancora imparato l'italiano,
e traducevo dall'inglese e dallo svedese. Poi, pian piano, ho imparato
l'italiano - col metodo "naturale", cioè attraverso una storia d'amore
- e mi sono arrivate varie richieste di lavoro. Ho tradotto dei fumetti
italiani di dubbia qualità - gialli che pretendevano di essere fatti
negli USA ("spaghetti-fumetti"?). Il primo film che ho sottotitolato si
chiamava La Stazione, ed era il debutto di Sergio Rubini. Bel film. Ho
tradotto (sottotitolato) più di cento film, e non solo italiani.
Ho appena finito di tradurre un film americano indipendente, Mysterious
Skin, di Gregg Araki.
2. L'italiano è una lingua molto studiata in Norvegia e nell'area
scandinava?
Ma no, au contraire, siamo un piccolissimo gruppo che conosce la lingua
italiana, almeno a livello professionale. Di traduttori letterari che lavorano
con l'italiano siamo in tutto una decina, e tra questi uno soltanto lavora
a tempo pieno con l'italiano. Io traduco anche dall'inglese e svolgo altre
attività, come critico e giornalista, ma pure fuori del campo letterario:
per anni ho lavorato in una ditta di elettricisti, sono specializzato in
centrali elettriche. Sapete, quando lavoro alla tastiera davanti allo schermo
con una traduzione, mi manca spesso l'attività di elettricista.
Mentre il contrario, no - quando sto mettendo a posto un impianto elettrico,
non mi manca mai il mondo degli editori - tanto arrogante e sottopagato.
Essendo artigiano, e di stirpe artigiana, mi piacciono molto tutti gli
aspetti artigianali del mestiere del traduttore. Ma sono abituato a tutt'un
altro rapporto con i clienti. Chi è il cliente? La casa editrice!
E allora, come osano trattarci come se i clienti fossimo noi? Dobbiamo
forse ringraziarli perché ci danno il lavoro? È assurdo.
Dovrebbero venire loro in ginocchia a casa nostra e pregarci umilmente
di riceverli! Scusate la divagazione. Torniamo su questo argomento più
avanti.
3. Come t'ingegni a restituire la "lingua" di Camilleri nella cultura
norvegese?
Ecco la domanda che mi fanno tutti gli italiani dopo aver saputo che
lavoro con i libri di Camilleri. "Ma com'è possibile? Non si può,
il valore sta tutto nel gioco della lingua!" ecc. Infatti non si può.
La lingua di Camilleri non viene "restituita" nella mia traduzione. La
mia strategia comporta un tradimento radicale dell'idea di equivalenza.
Ogni traduttore di Camilleri deve scegliere una propria strategia.
Per qualcuno viene naturale sostituire i dialetti meridionali con i dialetti
del suo paese. La lingua francese può offrire qualche sfumatura
mediterranea, Marsiglia per esempio. In Norvegia una cosa del genere è
impossibile, perché un dialetto porterà il lettore in tutt'altro
posto che sotto le palme soleggiate della Sicilia. I nostri dialetti evocheranno
fitti boschi di abeti, altipiani bianchi con 40 gradi sotto zero, pescherecci
ornati di ghiaccio, completamente coperti, in un temporale nei mari artici.
Il problema più acuto nella traduzione di Camilleri, è
che l'autore si basa molto sull'uso del dialetto in senso narrativo. Cioè,
impiegando la lingua siciliana, riesce in modo molto efficace a dire una
grande varietà di cose al lettore italiano, senza nominarle una
per una. Non ha bisogno di dare cenni storici e antropologici, descrivere
paesaggi, parlare del razzismo interno in Italia. Un lettore italiano sa
immediatamente, quando apre un libro di Camilleri, che si trova in Sicilia,
con tutto quello che comporta (agrumi, palme, Falcone, Sciascia, Nero d'Avola,
Pirandello, saraceni, normanni, Etna, Enna, tonno, mandorle, ecc). L'autore
conosce questa competenza del suo lettore, e conta sulla capacità
del singolo lettore di "riempire i buchi" nella narrazione. Pensate alla
teoria di Umbertino Eco, che un testo è "una macchina pigra" - a
lazy machine - che chiede al lettore di svolgere gran parte del suo lavoro.
Allora, un lettore norvegese, dovendo riempire quei buchi, difficilmente
andrà a finire in Sicilia. Si perderà per strada, molto prima
di arrivare. E poi c'è da aggiungere: per un norvegese qualunque
l'Italia è prevalentemente una cosa. L'Italia è Torino e
Venezia e Firenze e Roma e Sicilia e Napoli e spaghetti e parmigiano e
mozzarella e Ferrari e Michelangelo e Armani e Milano e Dante e Chianti
e Campari e Colosseo e Pompei e O sole mio e i gondolieri e Rimini e via
dicendo. Mentre l'Italia per il norvegese raramente è Pippo Baudo,
Marechiaro, Enzo Tortora, Franco e Ciccio, Un posto al sole, Raffaela Carrà,
Fregene, Chioggia, Bari, Caserta, la scamorza, Bergamo, Frosinone, la cassata,
Giovanni Gentile, Mazzini, Verga, Totò, o l'interminabile guerra
tra pandoristi e panettoniani. Tante parole per dire che la competenza
specifica del lettore qui in Norvegia è ristretta, e non scende
al di sotto di un certo livello. E Italia rimane sempre Italia, settentrione
o meridione che sia, Adriatico o Tirreno. Ricordatevi che per un norvegese
persino la Danimarca sta MOLTO a sud. Un giorno intero di viaggio! Per
non parlare della Germania: tutti terroni/cattolici.
Arrivo al dunque, ora, state tranquilli: per riscuotere dal lettore
della mia traduzione di Camilleri un giusto ripieno da mettere nei buchi
del testo, ho scambiato il gioco "dialettale" con un gioco "nazionale",
ragionando così: la distanza tra Firenze e Palermo si può
in un certo senso paragonare alla distanza tra Norvegia e Italia. Ho scelto
di lasciare parecchi richiami alla lingua italiana nel mio testo, usando
parole che sono facilmente decifrabili (un po' come infatti è anche
il siciliano di Camilleri - si capisce senza dizionario, almeno dopo un
po') con titoli come "commissario", "avvocato", "cavaliere", "signora",
nomi di piatti tipici, "omertà", "capo", certe locuzioni lasciate
in corsivo e poi subito spiegate. In quel modo il testo cerca di fare un
richiamo costante all'italianità del testo (che comprende la sicilianità,
per noi). Il gioco è un altro, ma è analogo. Mi spiegai?
(come dicono spesso i siciliani di Camilleri).
4. Quanto è importante per un traduttore potersi consultare
con l'autore?
Difficile da dire. Ogni tanto è bello, oltre che utile, e può
anche nascere un rapporto interessante. Qualche rara volta l'autore non
ci sta, e si offende perché il traduttore gli fa delle domande.
Dice: "Ma come?! Se non capisci questo, come puoi pretendere di fare traduzioni?!
Ma chissei?! Vattene, verme schifoso che sei, che hai osato avvicinarti
al mio capolavoro!" Per fortuna una reazione così è rara,
ma mi è capitata (e non faccio nomi, eh no, eh! almeno non qui in
pubblico ...).
Qualche volta un contatto con l' autore può rendere il processo
della traduzione più difficile, più complicato. Strano ma
vero. Per lo scrittore non è sempre facile capire che un'altra lingua
per motivi di grammatica esige il chiarimento di una cosa che lui appositamente
ha voluto dubbia. Mi è capitato ultimamente con Ammaniti: Io non
ho paura, dove il sistema grammaticale norvegese, che vuole il genere neutro,
ha richiesto che la scoperta dell'individuo nel fosso ("bambinO" in italiano
- genere maschile che però può anche riferirsi ad una bimba,
se non è noto il sesso; "barn" in norvegese - parola di genere neutro)
di fatto è maschio, avviene a un certo punto, perché bisogna
cominciare a dire "gutt" (parola di genere maschile), che vuol dire bambino
maschio. Io dunque ho chiesto: Quando deve avvenire questa scoperta? Allora
l'autore, Niccolò Ammaniti, mi ha risposto così: "Non deve
avvenire. Michele sa già, istintivamente, che il bambino è
maschio. Puoi tranquillamente mettere "gutt" già dall'inizio." Ma
non è così. Quando Michele ha visto solamente una gamba che
usciva da sotto la coperta nel fosso, non avrebbe potuto dire, in norvegese,
altro che c'era "et barn" nel fosso. Ma dopo qualche pagina (intorno alla
pagina 70, mi pare di ricordare) è diventato "en gutt". Per forza.
La transizione avviene in italiano senza che si faccia nemmeno caso. Che
un "bambino" sconosciuto si rivela essere un maschio, succede senza clamore.
Se invece fosse successo il contrario, che il bambino nel fosso si fosse
rivelato essere femmina - allora questo avrebbe richiesto un commento anche
nel testo italiano.
Mi spiegai? Allora, la risposta di Ammaniti (che tra l'altro era simpaticissimo)
ha complicato la cosa. Che dovevo fare? Cercare di spiegargli meglio come
funziona la grammatica norvegese? Lasciare perdere? Non sapevo. Allora
ho chiesto alla redattrice il suo parere. Lei ha detto: "Mettiamo semplicemente
una frase che non c'è nell'originale: 'Det var en gutt'. ('Era maschio')."
E mi ha suggerito un momento preciso della narrazione dove mettere la frase,
e tutto si è risolto. Non l'ho ancora detto ad Ammaniti, per pudore,
forse, per viltà - ma può darsi che lo legga qui - !
5. Esiste l'albo dei traduttori in Norvegia?
No, assolutamente no. Il mestiere del traduttore non richiede un albo
- È impensabile. Chi è il bravo traduttore? Quello che ha
seguito determinati corsi universitari? Il traduttore - come molti altri
mestieri artistici e altri - deve essere una cosa che chiunque può
tentare di fare. Bisogna essere bravo. Quella è la cosa veramente
difficile. Un traduttore è un artista. Io so che alcuni dei colleghi
italiani pensano che sarebbe utile "chiudere" il campo per assicurare un
flusso sicuro di lavoro e per spingere i clienti a pagare di più.
Per me questo atteggiamento è abominevole. Per me richiama al male
più diffuso e dannoso - a mio parere - in Italia: l'arroganza. Ma
chi crediamo di essere?
6. Per quali diritti contrattuali si battono i traduttori in Norvegia?
La nostra lotta è molto simile alla vostra. Da un lato vogliamo
il rispetto - essere nominati dove occorre, ma anche considerati indispensabili
per l'uscita di un libro straniero. Non vogliamo essere trattati come delle
scomode ma purtroppo necessarie spese: la traduzione è la condizione
di partenza per un libro, non l'ultima spesa da tagliare al minimo. Ed
ecco siamo arrivati al discorso di prima: vogliamo un compenso che ci permette
di lavorare bene. Magari una royalty, che almeno ci permetterebbe di partecipare
ai grandi guadagni che ogni tanto fa un editore con un libro straniero
(bisogna ricordarsi che gli editori GUADAGNANO, e guadagnano bene, sul
settore letteratura straniera - benché sempre fingano di fare tutto
solamente per "passione", per l'amore della letteratura ... grrrr ... sono
stufo di questo ricatto sull'amore!).
7. Nel tuo paese si può vivere di sola traduzione?
Si, ma anche in Italia, mi pare, - basta lavorare bene, in fretta,
saper trattare, combinare il lavoro con letteratura alta con roba leggera.
E rinunciare a qualche oggetto di lusso - riconoscendo il lusso che è
in se, un mestiere come il nostro. Badate bene, però, non sto dicendo
che non dobbiamo chiedere un compenso maggiore!
8. Sei anche critico letterario, qual è la letteratura più
apprezzata nell'area scandinava?
Da noi, purtroppo, ci si interessa anzitutto alla narrativa norvegese.
Certo ci sono dei validi scrittori nostrani, ma il livello medio, in confronto
al livello medio della narrativa tradotta, è bassissimo. Sarà
comunque sempre impossibile dare un giusto riconoscimento a tutta quella
bella letteratura che esce nel mondo. L'industria del libro è gestito
parzialmente dalle forze del mercato. Io ho smesso tanti anni fa di sognare
di proporre libri da tradurre. Tanto comprano tutto alla fiera di Francoforte.
Gli agenti sono molto più bravi di me a far capire ai redattori
che uno scrittore può essere interessante sia da un punto di vista
artistico, sia pecuniario. Che ne saccio io di quali libri si può
vendere qua? Niente.
9. Ti piacerebbe che le riviste letterarie dedicassero uno spazio alla
traduzione e ai traduttori?
È difficile scrivere sulla traduzione senza scendere nelle banalità.
E qui anche la logica del mercato è forte. Un critico di un quotidiano
non può fermarsi tanto sulla traduzione di un libro, perché
così non fa il suo mestiere di critico, in uno spazio limitatissimo.
Perciò uno spazio come questo - N.d.T. - è tanto prezioso.
Qui possiamo parlarci liberamente del mestiere.
10. Qui in Italia sei stato presente a vari convegni e iniziative per
traduttori. Qual'è la differenza maggiore tra l'ambiente dei traduttori
in Norvegia e in Italia?
Da noi i traduttori si conoscono. Ci vediamo spesso. Il nostro sindacato
dei traduttori letterari ha più di 50 anni. Ci sono anche altri
sindacati - uno per i traduttori tecnici, uno per quelli "audio-visivi"
(televisione/video), uno per chi lavora con il cinema (il giro delle sale),
uno per gli interpreti, e adesso c'è chi cerca di organizzare uno
per i traduttori di fumetti! Tutti però collaborano bene tra loro.
Adesso anche voi in Italia avete cominciato a vedervi, a Urbino, alle fiere
del libro, alle presentazioni di libri in varie città, nel Sindacato
Nazionale Scrittori, ai vari corsi e convegni. È proprio qui che
bisogna cominciare se si vuole migliorare le condizioni per tutti: bisogna
conoscersi. Scambiare esperienze. Condividere trucchi. Rafforzarsi a vicenda,
insegnare e imparare come comportarsi con i clienti - gli editori. Segnalare
abusi. Alzare il livello di coscienza del mestiere. Poter rispondere, quando
uno chiede "Ma chissono 'sti traduttori?" - "Siamo noi!" Non solo dire
- "Beh, non lo so chi sono, ma cerco di esserlo io". In questo Biblit è
stato importantissimo. Quella comunità non solo mi ha dato un sacco
di aiuto nel mio travaglio con i testi italiesi, ma anche numerosi amici
e amiche.
Forse questo per alcuni può sembrare un discorso di vecchio
stampo, di nostalgia per la lotta operaia del protocomunismo. Ma non lo
è. Capire come stanno le cose non è mai un male. E ricordatevi:
pure gli avversari sanno organizzarsi bene...!
Dori Agrosì
La Repubblica
(ed. di Palermo), 15.2.2005
La scheda
Morte di un fascista
Il compagno e il camerata. Camilleri smaschera il colpevole
Ogni storia ha al suo interno una controstoria, opposta e diversa, un
po´ come la materia e l´antimateria. Le ferree leggi della
fisica, che regolano l´equilibrio tra i "mattoni" dell´universo,
si estendono anche alle relazioni umane. Non c´è vicenda -
e in Sicilia ancor di più - che non venga raccontata con una, due,
dieci verità diverse. La storia la scrivono i vincitori, o i loro
supporter, ma anche quando replicano i perdenti non è che l´andazzo
cambi. E, purtroppo i pareggi sono rari. Qual è la verità
su Gigino Gattuso, povero ragazzo assassinato a 18 anni il 24 aprile del
1921 in circostanze ambigue a Caltanissetta nell´allora via Arco
Alessi, una strada che oggi porta il suo nome? È quella tramandata
dai commilitoni che accusarono da subito un militante comunista? Oppure
la sentenza pilatesca della Corte d´Assise che mandava assolto il
presunto assassino per "legittima difesa", quindi colpevole e innocente
nello stesso tempo? O, infine, quella rivelata da Pompeo Colajanni già
35 anni fa, che a premere il grilletto quel giorno di primavera fu un camerata
della vittima? Storie e controstorie vengono ora intrecciate da Andrea
Camilleri che di Gigino, unico martire rivendicato dai fascisti in Sicilia,
ha fatto il protagonista del suo ultimo romanzo "Privo di titolo", edizioni
Sellerio, che sarà in libreria giusto tra un mese.
«Quest´episodio è nelle corde di Camilleri - dice
Sergio Mangiavillano autore di diversi libri su fermenti nisseni - Il creatore
di Montalbano sicuramente darà vita a un intreccio affascinante
e sarà capace di offrirci una lettura non conformista di quella
giornata tragica e dei drammatici funerali che ne seguirono, nel corso
dei quali morirono altre due innocenti, un anziano e un ragazzo, per i
tafferugli scatenati dai facinorosi amici della vittima».
Camilleri all´età di 16 anni è inciampato in questa
vicenda di straforo. Nel 1940, durante la commemorazione di un anniversario
di Gattuso, si trovò con il padre a Caltanissetta nella calca dei
fascisti. «Vidi in un cantuccio un uomo piangere di soppiatto - racconta
lo scrittore - e chiesi chi fosse e perché piangesse quasi di nascosto.
Mio padre rispose sottovoce: "È l´assassino assolto al processo
nel 1924, ma non si sa come sono andati davvero i fatti"». Così
quando qualche anno fa Walter Guttadauria, giornalista nisseno, gli mandò
una copia del suo libro "Fattacci di gente di provincia" (edito nel 1993
da Lussografica) che quella vicenda ricostruiva, scattò immediatamente
la scintilla.
La retrocronaca: quel giorno Gigino, spalleggiato da due amici fascisti
e il muratore Michele Ferrara, comunista, vennero alla mani. Poi all´improvviso
dalle parole e dai cazzotti si passò alle armi. Spararono almeno
in due e Gattuso restò per terra. Venne immediatamente arrestato
l´avversario politico. Dopo tre anni e mezzo di carcere il processo
lo rese libero e gli restituì perfino l´arma. I collegi di
difesa erano di prim´ordine. Per la difesa, tra gli altri, due comunisti,
l´onorevole Calogero Cigna e Lillo Roxas. «Una delle due perizie
balistiche - dice Mangiavillano - escluse che il colpo mortale fosse partito
dall´arma del Ferrara. E dalle reazioni della stampa locale si evince
che nessuno allora credette alla colpevolezza del comunista». Come
scrive l´assessore Fiorella Falci nel suo libro "Cattolici a Caltanissetta
tra le due guerre" (Sciascia editore) "Il popolo" relegò in ultima
pagina la cronaca del fatto di sangue, senza fare interpretazioni di parte,
"Eccolo qua", il giornale dei combattenti non espresse giudizi unilaterali
e definì il presunto colpevole «né ignobile, né
abietto, forse solo cieco di passione politica». E su Ferrara aggiunse:
«Padre infelice di cinque innocenti piccole creature» In realtà
i figli erano solo tre.
Emanuele Macaluso, uomo di primo piano nella storia del Pci ,frequentò
a lungo Ferrara. «Era una delle persone più serene che abbia
conosciuto. Nei lunghi difficili anni della militanza, quando clandestinamente
ci riunivamo nella casa del capo cellula Calogero Boccadutri con Tano Costa,
Rita Bartoli, Gino Cortese, Ferrara, che poi fu eletto nel Consiglio comunale,
ci raccontava sempre il fattaccio. Ci diceva che i fascisti sparavano e
che lui si era dovuto difendere. Onestamente non ricordo però se
escludeva che a sparare il colpo fatale fosse stato lui o no. Ci disse
però che dopo l´assoluzione fu inviato al confino a Ponza».
L´ex sindaco ed ex deputato missino Giuseppe Mancuso si ricorda
le adunate fasciste sul luogo del delitto, ricordato da una stele: «Durante
il ventennio c´era il culto di Gigino, se ne parlava a scuola e noi
giovani balilla andavamo sul luogo durante le adunate. Poi con la Repubblica
la storia è stata dimenticata. E oggi a chi vuole tirare la verità
da un lato o dall´altro dico che di fronte alla morte di un ragazzo
la politica deve essere messa da parte». Il sindaco Salvatore Messana,
che ha invitato Camilleri a presentare il libro a Caltanissetta, dice:
«Ormai la vicenda si ripropone più che come una querelle storica,
come un caso culturale. Siamo curiosi di vedere qual è la qualità
letteraria del libro in uscita. Per il rendo nessun revisionismo e nessuna
intenzione di cambiare nome a via Gattuso».
Per la cronaca i funerali di Gigino si svolsero nel segno della morte.
Dopo la patriottica orazione funebre del vecchio deputato repubblicano
Napoleaone Colajanni dal balcone delle poste davanti al Municipio, gli
interventi enfatici dell´avvocato Angelo Amico e Lilly Marocco, giovane
fascista, furono la miccia per un´esplosione di violenza. Quando
da un canto della piazza qualcuno sparò in aria, ci fu il fuggi
fuggi: calca, gente calpestata e sull´asfalto due morti per terra:
il contadino di 74 anni Giuseppe Tarantino e un giovane sconosciuto. Decine
i feriti.
Tano Gullo
La Sicilia, 15.2.2005
Turismo. Alla Bit di Milano presentati Camilleri, Pirandello, Sciascia
e Tomasi di Lampedusa
Vigata «cala» il poker d'assi
Porto Empedocle. Mancavano solo gli arancini – magari pensando fossero
quelli di Montalbano – e qualcuno si è pure arrabbiato per tale
assenza.
Per tutto quanto il resto, la partecipazione empedoclina alla Bit,
borsa internazionale del turismo in corso di svolgimento a Milano sta per
andare in archivio con un risultato positivo. Arancini a parte infatti,
nello stand vigatese, si registrano centinaia di presenza di appassionati
di cultura e in particolare di Andrea Camilleri.
A fare da Cicerone sono stati l'assessore comunale allo Sviluppo Economico,
Alfonso Lazzara e i consiglieri comunali, Traina e Scimè. Vigata
ma non solo Vigata, visto che nel punto della Bit dove si trova la delegazione
empedoclina campeggiano anche le gigantografie di Luigi Pirandello, Andrea
Camilleri, Leonardo Sciascia e Tomasi di Lampedusa.
Tutti accomunati dalla loro agrigentinità che per molti visitatori
ha avuto tanto il sapore della sorpresa. A raccontare questa sorprendente
sensazione è il consigliere, Salvatore Scimè: «Sono
state molte le persone che non sapevano della comune provenienza agrigentina
di questi big della cultura siciliana. Big che stiamo cercando di utilizzare
al meglio come traino e volano per lo sviluppo economico e turistico della
nostra terra».
Un poker d'assi che alla Bit sta suscitando non pochi apprezzamenti
da parte di numerosi operatori anche imprenditoriali di livello internazionale.
«A parte quelli che cercano gli arancini e non li trovano, -
sottolinea Scimè - siamo convinti di avere gettato un seme importante
per il futuro di Porto Empedocle e non solo».
Accanto allo stand empedoclino infatti vengono visitati anche quelli
del comune di Agrigento e dell'Aapit della Provincia regionale. Da sottolineare
comunque come dal punto di vista prettamente culinario la bandiera della
cucina agrigentina è tenuta alta da numerosi confezioni di conserva
a base di cipolla e pomodoro. Meno male perché la mancanza delle
polpette di riso di camilleriana memoria rischiava di tradursi in un clamoroso
autogoal.
Secondo Scimè invece «il goal lo abbiamo segnato nella
rete di chi pensa che dalle nostre parti sia difficile vendere il prodotto
turistico oltre i confini regionali».
A parlare è il consigliere Scimè che, insieme al collega
di civico consesso, Traina ha anche deciso di non gravare sulle casse del
municipio, scegliendo di non dormire in albergo a spese del comune. «Passiamo
la notte da alcuni parenti che vivono o studiano a Milano», ha detto
il consigliere che al suo ritorno relazionerà su quanto accaduto
in uno degli stand più visitati della Bit meneghina.
Un momento importante dunque per la promozione del turismo culturale
in provincia di Agrigento, dove finalmente si assiste alla collaborazione
tra più realtà locali, accomunate dall'avere dato i natali
a illustri letterati vissuti nell'ultimo secolo e oggi diventati «prodotto»
per fare busines.
Francesco Di Mare
La Repubblica (ed.
di Roma), 16.2.2005
L´iniziativa
Letture laiche ma in chiesa. I grandi classici a San Lorenzo
Apre il 24 febbraio Andrea Camilleri che parla di Manzoni
Chiesa di San Lorenzo in Lucina, giovedì 24 febbraio, all´ora
del film in prima serata, più o meno le 21. L´officiante si
chiama Andrea Camilleri e sale sul pulpito della letteratura per lasciar
andare la fantasia intorno ad un libro che ha scelto lui ed è, forse
piuttosto imprevedibilmente, la Storia della colonna infame di Alessandro
Manzoni. L´ingresso è libero e non c´è niente
da vedere, soltanto si consiglia di aprire bene le orecchie per ascoltare
uno scrittore che parla di letteratura, al massimo racconta storie, comunica
ricordi.
Ultimo rito laico che muove folle sempre più folte di adepti,
tra letteratura e filosofia, la messa della parola trionfante in questi
ultimi anni già nelle letture sermontiane della Divina Commedia
al Pantheon e poi al festival delle Letteratura alla Basilica di Massenzio,
si prende uno spazio nuovo ma clamorosamente spirituale come è la
bellissima chiesa nel cuore di Roma, dove troneggiano le opere di Bernini,
Guido Reni, Simon Vouet. Qui prende il via il 24 una serie di incontri
dal titolo «Il classico di una vita», organizzati da Progetto
Telecom Italia e introdotti da Piero Dorfles e Michele Mirabella.
Apre Camilleri ma se i libri sono tutti grandi classici, gli invitati
non sono tutti scrittori. A seguire, Roberto Vecchioni parla di Finzioni
di Jorge Louis Borges (3 marzo), Moni Ovadia di L´armata a cavallo
di Isaac Babel (17 marzo), Dacia Maraini di Il compagno segreto di Joseph
Conrad (7 aprile), Susanna Agnelli della Recherche di Marcel Proust (14
aprile), Juri Chechi di Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde (28 aprile),
il cardinal Ersilio Tonini de La Bibbia (12 maggio), Walter Veltroni di
Linea d´ombra di Joseph Conrad (26 maggio), Massimo Cacciari di La
città di Dio di Sant´Agostino (9 giugno) e Giorgio Albertazzi
de L´Odissea di Omero (16 giugno). L´ingresso è libero,
fino ad esaurimento posti.
Francesca Giuliani
Gazzetta del Sud,
16.2.2005
Negli Stati Uniti sta per uscire la prima antologia della nostra narrativa
contemporanea
La “calata” degli italiani
Da Malerba a Bufalino, da Pier Vittorio Tondelli a Erri De Luca
Da Luigi Malerba a Gesualdo Bufalino, da Antonio Tabucchi a Erri de
Luca e Pier Vittorio Tondelli, da Lalla Romano e Anna Maria Ortese a Pier
Maria Pasinetti e Paola Capriolo. Negli Stati Uniti sta per uscire la prima
antologia della narrativa italiana contemporanea: una mappa letteraria
curata da Massimo Riva della Brown University per guidare i lettori Usa
attraverso la variegata geografia culturale della letteratura italiana
dell'ultima generazione. Inclusi nell'antologia pubblicata dalla Yale University
Press sono 18 racconti o frammenti di romanzo di altrettanti autori che
hanno pubblicato tra 1975 e 2000. «Si parte dal dopo Italo Calvino
e dal dopo Umberto Eco, non perché questi scrittori siano i loro
eredi ma perché Calvino e Eco, due autori con i quali il pubblico
americano ha già familiarità, hanno aperto alla letteratura
italiana due strade diverse di scrittura», ha spiegato Riva all'Ansa.
Come tutte le antologie anche quella curata da Riva offre un panorama parziale:
mancano
tra gli altri Alessandro Baricco, Andrea Camilleri, Susanna
Tamaro. «Alcune scelte sono state dettate da circostanze indipendenti
dalla mia volontà ad esempio i diritti di copyright», ha spiegato
Riva, ma in linea di massima la scelta è stata di tenere fuori
dal “pool” scrittori di best-seller o già noti negli Usa. Gli
autori scelti appartengono a un periodo di transizione tra il vecchio secolo
e il nuovo, tra la vecchia e la nuova Italia. Hanno in comune un idioma
letterario unificato ma tradiscono le loro origini: la sicilianità
“barocca” di Bufalino, la koinè emiliana di Gianni Celati, l'intonazione
lombarda di Sebastiano Vassalli, le inflessioni napoletane di Erri De Luca,
riflettono «la qualità polifonica di una cultura italiana
che ha le radici in Europa ma è ancorata fortemente nel bacino del
mediterraneo», ha spiegato Riva. Lo scopo principale era quello di
riempire un vuoto: «Negli Stati Uniti c'è una assoluta carenza
di traduzione letteraria. Si traduce poco, a differenza dell'Italia con
alcune significative eccezioni come Baricco e di recente il collettivo
Wu Ming». Riva ha dunque raccolto alcuni brani particolarmente
significativi delle tendenze letterarie degli ultimi 20 anni cercando di
limitarsi a una categoria di scrittori che escono dai generi predefiniti,
«visto che la letteratura degli anni successivi all'antologia ha
visto un ritorno dei generi come la detective story» alla Camilleri
o
alla Giorgio Faletti. Ed ecco dunque che nella raccolta entrano intenzionalmente
scrittori che hanno vissuto a lungo all'estero e che scrivono «come
moderni nomadi transatlantici» tra due linguaggi, inglese e italiano:
tra questi Paolo Valesio, professore di italianistica alla New York University
e più noto come poeta di cui Riva ha incluso un racconto inedito,
«il giorno del Ringraziamento», o Pier Maria Pasinetti, veneziano
di Los Angeles, noto in Italia negli anni Sessanta e Settanta e che tuttavia
ha continuato a scrivere egregiamente anche dopo: di Pasinetti Riva ha
incluso nell'antologia il primo capitolo del romanzo più recente,
«Melodramma», inedito negli Usa. Un omaggio, in entrambi i
casi, alla «letteratura italiana della diaspora».
Alessandra Baldini
Il Messaggero,
16.2.2005
Al teatro Vaccaj una serata per Mannino, il “maestro” scomparso
Tolentino. Sabato 19 alle 21.15 e in anteprima venerdì 18 alla
stessa ora, presso il Vaccaj, Accademia della Libellula sotto la direzione
di Cinzia Pennesi , nell’ambito del progetto Opera Aperta , presenta una
serata dedicata al maestro Franco Mannino scomparso di recente. La serata
si apre con Sicilia op. 621 per voce recitante, orchestra d’archi e arpa,
composta nel 2001, si prosegue con Ritmi di Vivì op. 29 (1961) ed
infine l’ultima sua opera Il Quadro delle Meraviglie tratto dall’omonima
opera di Cervantes con libera riduzione di Andrea Camilleri. Viene presentata
a Tolentino in prima assoluta. (Info. tel. 0733-908354).
Corriere della sera (cronaca
di Roma), 17.2.2005
Un classico per amico
Da Camilleri alla Maraini, un ciclo di incontri
Nel ricco elenco di preferenze, curiosamente non figura alcun testo
di autori viventi
Sportivi, scrittori, imprenditori, filosofi, attori, cantanti raccontano
l'amore per i libri e le opere che hanno avuto una particolare importanza
nella loro formazione. E' l’iniziativa che comincia sabato 24 febbraio
nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina dove avranno luogo una serie di incontri
guidati da Michele Mirabella e Piero Dorfles che come in un happening saranno
diffusi da altoparlanti fuori nella piazza per permettere a chi vuole di
fermarsi e ascoltare. Inaugura lo scrittore Andrea Camilleri che racconterà
perché la «Storia della colonna infame» di Alessandro
Manzoni è il suo libro letto e mai dimenticato, mentre giovani attori
della scuola Permis de Conduire ne leggeranno alcuni brani scelti dallo
stesso Camilleri.
[...]
Marco Andreetti
La Sicilia, 17.2.2005
«Non siamo in guerra con Siracusa»
Porto Empedocle. «Non siamo in concorrenza con Siracusa».
Parola di Massimo Firetto, vice sindaco e assessore alla Cultura del paese
che aspira a diventare méta turistica sfruttando l'effetto derivante
dal successo letterario di Camilleri. Tutto passa dal nome Vigata, e questo
ormai lo sanno anche i sassi. Quando l'altro ieri l'assessore regionale
alla Cultura, il siracusano Fabio Granata ha detto che l'iniziativa «Una
settimana con Montalbano» si sarebbe svolta dalle sue parti e non
certo all'ombra dei templi, un consigliere comunale e solo lui, Giovanni
Cirà è insorto, intuendo la gravità dell'ennesima
«svista» dei palazzi del potere palermitani nei confronti della
realtà empedoclina. Una realtà che ha mandato una sua delegazione
alla Bit di Milano per «vendere» il prodotto vigatese nel mondo
e che adesso si trova ancora una volta costretto a fare i conti con una
concorrenza super sponsorizzata (La settimana con Montalbano a Siracusa
è stata pubblicizzata in 12 milioni di opuscoli distribuiti alla
Bit di Milano).
All'intervento di Cirà risponde il vice sindaco Massimo Firetto.
L'esponente dell'Udc mette il primo paletto: «Noi non abbiamo nulla
a che spartire con le iniziative intraprese nel siracusano. Loro sono famosi
per avere avuto nei propri luoghi i set per i film sul commissario Montalbano
e su questo fanno bene a puntare per generare successo turistico. Noi -
sottolinea Firetto - puntiamo su altri aspetti della questione. Camilleri
è nato e cresciuto qui e qui vivono i suoi personaggi narrati nelle
mirabile storie scritte e vendute in tutto il mondo. La vera Vigata narrata
nella scrittura camilleriana e qui e certamente non altrove».
A chi gli chiede un commento su presunte preferenze «domestiche»
dell'assessore regionale alla Cultura, Firetto non manca di evidenziare
come «sia probabile un pò di campanilismo che però
non cambia il nostro atteggiamento».
Quindi Porto Empedocle-Vigata va avanti per la propria strada anche
se i turisti si rischia di vederli andare a Siracusa e non a fare il bagno
al lido Marinella. E mentre la questione camilleriana non accenna ad esaurirsi,
torna alla carica il Comitato civico, «Un progetto per Porto Empedocle».
Ieri mattina, Orazio Guarraci, componente del comitato ha scritto all'assessore
regionale, Michele Cimino chiedendogli di «dimostrare rispetto verso
gli empedoclini dissociandosi politicamente dall'asse di potere amministrativo
Ferrara-Firetto», come - ha detta di Guarraci, «ha fatto l'ex
assessore provinciale di An, Calogero Martello».
F.D.M.
La Repubblica, 17.2.2005
Tra i titoli in uscita in settimana dominano gli scrittori italiani
Libri, le piccole storie di Cerami e il viaggio notturno di Maggiani
Fra le altre novità, un saggio sulla mafia scritto come un noir
e i racconti di Pancake, enfant prodige morto suicida a 26 anni
Andrea Camilleri: "Di questo libro non so se privilegiare l'accuratezza
dello storico o la scorrevolezza del narratore"
[...]
Aprendo il libro a pagina 223 si legge di quando un bandito siciliano
spiega che cosa è la mafia a un giovane studente che il bandito
chiama "duttureddu". Il succo è questo. Se uno con una pistola convince
un uomo a inginocchiarsi, piegandone la volontà, l'uomo con la pistola
è solo "un cretino con la pistola". Se invece un uomo convince un
altro uomo a inginocchiarsi dopo averlo persuaso spiegandogli perché
è bene che lo faccia, allora "se Vossia si è inginocchiato
io sono un mafioso. Se Vossia rifiuta di inginocchiarsi io lo devo sparare,
ma non è che ho vinto: ho perso, duttureddu". Il duttureddu in questione
è un allora giovanissimo Andrea Camilleri e l'episodio è
contenuto in "Cosa nostra. Storia della mafia siciliana" di John Dickie
(tr. it. G. Ferrara degli Uberti, Laterza, 20). Probabilmente nessuno ha
scritto una storia della mafia precisa e asciutta come la relazione finale
della commissione d'inchiesta Franchetti-Sonnino del 1876. Ora, cambiati
i tempi, gli stili narrativi e le informazioni a disposizione, abbiamo
un altro strumento per capire che cosa significa avere a che fare con un
centro di potere così invadente, longevo e dinamico. Alcuni diranno
che se uno non è siciliano (figuriamoci poi se è addirittura
inglese) non può capire la mafia. O che un altro libro sull'argomento
non serve. Sul primo punto: Sonnino e Franchetti erano toscani. Sul secondo:
almeno per come è scritto vale la pena. Il ritmo narrativo fa arrossire
certe sceneggiature sulla mafia. Nostrane.
[...]
Dario Olivero (d.olivero@repubblica.it)
18.2.2005
"Privo di titolo" uscirà il 17 marzo
Rai, 18.2.2005
Un fugace contributo del Sommo, passato circa alle ore 10 sulla trasmissione
mattutina credo di RaiDue (televisione).
Ho potuto solo orecchiare di sfuggita l'intervento all'interno di una
trasmissione che parlava di iniziative di lavoro per immigrati extracomunitari
(anche per questo non sono certa tra RaiDue o Tre).
Mya 'a cantanti
La trasmissione è sicuramente "Un mondo a colori Magazine",
bel programma di Giovanni Minoli sui temi dell'immigrazione, su Rai 2.
Maddalena
Le Monde, 18.2.2005
Enquêtes italiennes
(Extrait) Les inventions de Camilleri et Todde. Le parcours éditorial de ce roman d'Andrea Camilleri illustre
parfaitement la citation de Merleau-Ponty que l'auteur, pour évoquer la réalité sicilienne, a placée en épigraphe: «Le cours
des choses est sinueux». C'est son premier roman et il lui a fallu dix ans pour convaincre un éditeur de le publier. Dans un
bourg sicilien des années 1950, on retrouve un cadavre manifestement victime de la Mafia, tandis qu'un jeune homme sans
histoires essuie des coups de feu en rentrant chez lui et ne comprend pas qui peut lui en vouloir.
Gérard Meudal
La Sicilia, 18.2.2005
Università della terza età
Oggi in parrocchia un incontro sul «figlio cambiato»
di Camilleri
Siracusa. Si terrà questa sera alle 17 nel salone parrocchiale
della chiesa Madre in via Unità un incontro organizzato dall'Unitre,
l'università della terza età. In seno a tale conferenza dibattito
sarà svolta una relazione curata dalla docente Graziella Sena sulla
"Biografia del figlio cambiato" di Camilleri. Si tratta di uno degli incontri
mensili che l'Unitre svolge e la relazione sarà a corredo del corso
di letteratura effettuato dall'associazione.
[...]
Sa.Mar.
La Sicilia, 20.2.2005
Il fallimento agrigentino alla Bit specchio del nostro turismo
Chissà cosa penserebbe Andrea Camilleri, scaramantico come non
mai, se si fosse visto «incorniciato» in quella gigantografia
in bianco e nero fra Pirandello, Sciascia e Tomasi di Lampedusa, gli autori
agrigentini «presenti» (si fa per dire) nello stand della Provincia
Regionale che alla Bit ha incuriosito, se non il pubblico della domenica,
almeno i turisti-viaggiatori alla ricerca di qualche novità alla
Borsa Internazionale del Turismo.
«A chi mi chiede se sono tutti agrigentini questi scrittori -
racconta divertito il consigliere comunale di Porto Empedocle, Salvo Scimè,
che «staziona» nei pressi e compone la delegazione agrigentina
a Milano - rispondo che, poiché dalle nostre parti la gente non
viaggia, dato che mancano le autostrade, preferisce dedicarsi alla scrittura
…».
Ne è uscita un po' malconcia l'immagine turistica di Agrigento
nella tre giorni milanese, «soffocata» tra altri mille piccoli
e grandi stands del padiglione Sicilia e soprattutto «schiacciata»
da una serie di eventi collaterali che hanno finito per relegarla agli
ultimi posti, quasi fosse la Cenerentola tra le provincie siciliane. E
il primo a lamentarsi di ciò è stato l'assessore provinciale
al turismo Piero Macedonio che, dopo 2 giorni di presenza alla Bit, al
termine della conferenza stampa istituzionale dell'assessorato regionale
(dove in 2 ore si è parlato di tutto e di tutti, ma non si è
spesa una parola a proposito della realtà turistica di Agrigento)
è andato su tutte le furie: ««Qui non si viene per parlare
di turismo, ma solo per fare passerella e presentare eventi che, secondo
me, con il vero turismo hanno poco a che fare».
E voleva pure intervenire, Macedonio, per contestare all'assessore
regionale Granata questo modo di fare programmazione, ma alla fine ha preferito
abbandonare l'anfiteatro dove si svolgeva l'incontro con la stampa e gli
operatori, per evitare di creare nuovi scontri politico-istituzionali.
Comunque sia, la provincia agrigentina era presente a Milano con 3 stand
ben organizzati; quello di Sciacca, dove è stato presentato dal
sindaco Turturici il Carnevale 2005; quello multimediale di «Agrigento
Città dei Templi» allestito con il Parco Archeologico e lo
stand della Provincia cui si sono aggregati vari comuni tra cui Porto Empedocle,
Racalmuto e Palma di Montechiaro.
[…]
Lorenzo Rosso
Sarà Ortigia a ospitare la «Settimana di Montalbano»
C'era una volta la «Settimana» che il Comune di Porto Empedocle
dedicava al celebre commissario Montalbano con un «viaggio»
nella Vigata di Andrea Camilleri: menù a prezzo fisso nelle trattorie
della città, mostre-mercato e una serie di altre iniziative, come
la rassegna teatrale, dedicate ai personaggi camilleriani. C'era. Perché
alla Bit di Milano si è scoperto, invece, che la «Settimana
di Montalbano», inserita tra i grandi eventi promossi dalla Regione
nel 2005, si farà sull'isola di Ortigia (Siracusa) con tanto di
promozione internazionale. Ne dà notizia la Regione con il nuovissimo
book di 150 pagine a colori, stampato in dodici milioni di copie, a cura
dell'assessorato al turismo.
A pagina 106 si apprende della «Settimana» di Siracusa,
programmata per il prossimo settembre, in cui verranno ospitati tutti i
protagonisti della serie del Commissario attorno ad Andrea Camilleri con
mostre, convegni e dibattiti. Inoltre si apprende dal volume che al termine
dell'«intensa settimana» verrà presentata la nuova serie
del personaggio creato da Camilleri per la casa editrice Sellerio, con
un'anteprima dedicata ai lettori.
Il lettore-turista, o meglio «il viaggiatore» (com'è
stato ribattezzato dalla nuova campagna pubblicitaria della Regione) dunque
attraverso il volume dal titolo «Palcoscenico Sicilia» scoprirà
l'esistenza dell'isola di Ortigia, dal grande fascino, ma purtroppo non
avrà modo di conoscere la Vigata agrigentina. Infatti nel volume,
non solo non c'è traccia di Vigata, ma, cosa ben più grave,
nelle poche pagine dedicate alla promozione di Agrigento e della sua provincia,
Porto Empedocle non è nemmeno citata!
l. r.
La Sicilia, 20.2.2005
Racalmuto - Teatro intitolato a Sciascia
Il teatro «Regina Margherita» di Racalmuto, tanto amato
da Leonardo Sciascia, porterà il nome del grande scrittore siciliano.
La decisione è stata presa dal sindaco di Racalmuto Gigi Restivo,
dalla giunta e dal Consiglio comunale, su richiesta del Consiglio d'Amministrazione
della Fondazione Teatro Regina Margherita, il cui presidente onorario è
Andrea Camilleri. Il teatro, riaperto il 14 febbraio 2003 dopo la visita
del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, è rimasto
chiuso per quarant'anni, dal 1964, fin quando Leonardo Sciascia decise
di dare una mano per la riapertura del teatro della sua adolescenza. Agli
inizi degli anni '80, lo scrittore, che doveva inaugurare una rubrica sull'Espresso
dedicata al teatro, volle visitare il luogo dove quella passione era nata.
Lo trovò desolato e distrutto, il sipario dei «Vespri siciliani»,
dipinto del palermitano Giuseppe Carta, pendeva squarciato. E' stato dunque
proprio Sciascia a riaprire il caso del teatro di Racalmuto, chiuso e abbandonato.
Diede incarico all'architetto veneziano Antonio Foscari, che accettò
la proposta dello scrittore di elaborare un progetto di restauro. Sciascia
morì nel 1989. Sarebbero passati altri 14 anni per vedere il «Regina
Margherita» riaperto. Il nuovo nome del teatro sarà Teatro
Leonardo Sciascia Di Racalmuto, mentre la Fondazione resterà intitolata
Fondazione Teatro Regina Margherita, per mantenere viva la memoria del
nome originario.
"Di volta in volta sono stato accusato di diffamare la Sicilia o di
difenderla troppo; i fisici mi hanno accusato di vilipendere la scienza,
i comunisti di avere scherzato su Stalin, i clericali di essere un senza
Dio. Sono un uomo in rivolta e, proprio per questo, sono un uomo solo."
(Leonardo Sciascia)
ANSA, 22.2.2005
Libri: Camilleri, destra guarda a passato mistificato
Dopo critiche 'Secolo d'Italia' a suo prossimo libro
Roma - ''La destra continua a guardare indietro, ma non nel suo passato
vero bensi' nel suo passato mistificato''. E' la risposta di Andrea Camilleri
alle critiche rivolte qualche giorno fa dal 'Secolo d'Italia' al libro
'Privo di titolo' (Sellerio) in uscita il 25 marzo prossimo. ''Tentano
- aggiunge - una revisione del loro passato e vanno ad esaltare il loro
passato piu' mistificatorio? Che siano coerenti con la kippah che si e'
messa in testa Fini''.
Il libro e' ambientato negli anni in cui il fascismo ha saldamente
in mano le redini del potere e racconta la morte di un fascista, Gigino
Gattuso, ucciso nel corso dell'aggressione a un comunista, Michele Ferrara,
da un colpo di pistola sparato - si penso' - dallo stesso Ferrara. Una
convinzione che trasformo' Gattuso in martire. Lo scrittore, riprendendo
anche la documentazione sul caso raccolta in un libro di un altro siciliano,
Walter Guttadauria, smonta la versione e descrive un enorme equivoco: Gattuso
fu ucciso da uno dei due compagni che parteciparono con lui all'aggressione
e non da Ferrara, come lo stesso comunista crede. La vittima, nei confronti
della quale Camilleri nutre un ''sincero sentimento di pieta''', e' stata
''oggetto di un'opera di mistificazione: farlo passare per martire fascista
quando e' morto diversamente''.
''Scrivendo un attacco a un libro che ancora non esiste - dice Camilleri
- questa destra e' coerente con cio' che scrivo nel libro: l'invenzione
di un martire e di una citta'. Continua su quella linea. Il primo processo
a Ferrara si concluse con una condanna - ricorda lo scrittore - il secondo
con una sentenza di legittima difesa che restitui' a Ferrara non solo la
liberta' ma perfino il revolver che deteneva illegalmente. E - precisa
- non c'e' mai stato ricorso in Cassazione contro questa decisione''. Per
Camilleri la sentenza e' una ''assoluzione che salvo' capra e cavoli: rimise
in liberta' il presunto assassino ma non consenti' le indagini sul vero
assassino'' e la soluzione della vicenda e' nel proiettile estratto dal
cranio della vittima. ''Non e' assolutamente compatibile - sottolinea -
con il revolver che i carabinieri immediatamente dopo l'omicidio sequestrarono
a Ferrara. La pistola non aveva la canna rigata come l'aveva invece il
proiettile''. Camilleri ci tiene poi a precisare: ''Non ho scritto un saggio
storico ma un romanzo di fantasia su due fatti: uno accaduto a Caltanissetta,
che riguarda Gattuso appunto, ed uno a Caltagirone'' vale a dire la grande
parodia di Mussolinia, la citta' fantasma dedicata al Duce, spacciata per
costruita con tanto di mare, e di cui, invece, non fu eretta che la prima
pietra. ''Rivendico - dice - la liberta' di reinventare una vicenda''.
''Come si puo' pensare che uno come me scriva un romanzo per far cambiare
il nome di una strada a Caltanissetta? Come si fa a discutere? Io non mistifico
nulla, riporto le cose come stanno. Un attacco cosi' - sottolinea riferendosi
alle critiche del quotidiano di An - e' della peggiore destra. Tutta la
polemica e' basata su una loro non conoscenza di questo libro, che non
hanno letto. E' quindi difficile parlare per me''. E conclude: ''Non e'
un libro antifascista ma contro la mistificazione, specie oggi che siamo
coperti dalla mistificazione''.
Corriere della sera (cronaca
di Roma), 23.2.2005
San Lorenzo in Lucina
Domani «Il classico di una vita», si comincia con Andrea
Camilleri
Torna l'attenzione verso i classici. Per avvicinarli si apre domani
sera una rassegna intitolata «Il classico di una vita», in
cui grandi personaggi raccontano il classico che ha influenzato la loro
esistenza. Nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, a ingresso libero, Andrea
Camilleri parlerà, introdotto da Piero Dorfles, di «Storia
della colonna infame» di Manzoni, «lettura grimaldello»
spiega che gli ha permesso di capire e affrontare anche i Promessi Sposi,
che la scuola non gli aveva certo insegnato ad amare.
[...]
Il Messaggero,
24.2.2005
Andrea Camilleri è oggi il primo autore del ciclo di incontri
“Il classico di una vita“ a cura di Paolo Petroni nell’ambito di “Progetto
Italia” (Chiesa di S. Lorenzo in Lucina, ore 21). Anticipiamo l’intervento
dello scrittore, che questa sera sarà intervistato da Piero Dorfles.
Io,
la “Colonna” e la vera infamia
Il classico di una vita/ Andrea Camilleri e la scoperta, da adolescente,
del libro del Manzoni. Che ribalta il ruolo di accusati e accusatori
Andrea Camilleri
La Stampa, 24.2.2005
Lo scrittore parla oggi a Roma del classico della sua vita: «È
il mio “livre de chevet”, mi aiuta a leggere il presente»
Camilleri, la mia "Colonna infame"
«Fulmineo, nel ricordo del commissario s’illuminò un brano
della manzoniana "Colonna infame", quando un disgraziato è portato
al punto di dover pronunziare la frase "ditemi cosa volete che io dica"
o qualcosa di simile». Da quando l’ha letta, tanto tempo fa, quella
frase è rimasta a rigirare nella coscienza di Andrea Camilleri.
Tanto da averla prestata al suo Montalbano, nel romanzo "La gita a Tindari"
(Sellerio, 2000). Un accenno di sfuggita, soltanto, perché in quell’occasione
il commissario «non aveva gana di mettersi a discutere di Manzoni
con don Balduccio».
Cinque anni dopo, l’autore va oltre il suo personaggio, si riprende
la frase e ne fa oggetto di una specifica riflessione. Accadrà questa
sera nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, a Roma, nel primo appuntamento
della serie «Il classico di una vita» promossa da Telecom Progetto
Italia: 10 incontri con protagonisti della cultura, dello spettacolo, dello
sport, della scienza e dell'imprenditoria, chiamati a parlare dei libri
che hanno avuto una particolare importanza nella loro formazione.
Perché Camilleri - di cui a giorni uscirà da Sellerio
il nuovo romanzo storico, intitolato "Privo di titolo" - ha scelto proprio
la storia pubblicata nel 1842 come appendice all’edizione illustrata dei
"Promessi sposi"? «Come tanti, sono una vittima della lettura scolastica,
coatta, del Manzoni. Uno finisce poi per odiarlo...». Però
nel ‘42 accadde la rivelazione: «Mi capitò di vedere un libretto,
nella collana “Corona” di Bompiani, a firma di Alessandro Manzoni. Era
la "Storia della colonna infame", con l’introduzione di Giancarlo Vigorelli.
Mi venne voglia di comprarlo. Avevo 17 anni, lo lessi influenzato dalla
lettura recente di Vittorini e ne restai molto colpito. Soprattutto per
via di quella frase, pronunciata sotto tortura da un poveraccio accusato
di essere un untore: vuol dire che la “verità” ottenuta con la forza
è una ulteriore menzogna e non la verità».
La storia raccontata da Manzoni, una sorta di prototipo dell’odierno
romanzo-inchiesta di ambiente giudiziario, si svolge nella Milano del 1630
flagellata dalla peste. In un clima allucinato e avvelenato dai sospetti,
un certo Guglielmo Piazza, sorpreso per strada all’alba, viene arrestato
con l’accusa di avere unto un tratto delle mura cittadine con una sostanza
venefica, per diffondere il contagio. Sottoposto a tortura, alla fine cede
e «confessa», chiamando in causa il barbiere Giangiacomo Mora.
Anche questi, grazie ai metodi degli inquirenti, vuota il sacco e fa altri
nomi. Si disegna così una fantomatica catena di untori che fa capo
a un nobiluomo al di sopra di ogni sospetto, Gaetano de Padilla. Arrestato,
l’aristocratico spagnolo verrà infine scagionato, mentre tutti gli
altri saranno condannati a morte. La casa del barbiere verrà rasa
al suolo e al suo posto, per decreto del Senato milanese, sarà eretta
una «colonna» a perenne memoria del presunto delitto.
«Da quando l’ho letto», ricorda Camilleri, «tengo
sempre con me quel libretto. È stato un piacere scoprire che anche
Leonardo Sciascia aveva accostato la "Colonna infame" in quello stesso
1942, nella stessa collana: anche per lui divenne il "livre de chevet"».
Camilleri ha fatto di più: «Diventato scrittore, o come mi
si può definire, ho tentato di produrne una specie di imitazione
- stellarmente lontana - con "La strage dimenticata", una storia vera accaduta
a Porto Empedocle nel 1848, quando i comandanti del carcere borbonico massacrarono
in una notte tutti i 114 “servi di pena”: c’è dentro lo stesso sentimento
morale, la stessa indignazione».
Nella "Storia della colonna infame" si possono sempre trovare spunti
di attualità, osserva Camilleri: fin da quel fatale 1942, quando
un eminente studioso ebreo collegò la vicenda narrata da Manzoni
alla persecuzione antisemita. E oggi? Lo scrittore ridacchia amaro: «Oggi
è attuale più mai. Per quanto riguarda le torture basta pensare
a Abu Ghraib, ma chissà quanti sono i casi che non conosciamo. E
poi c’è il discorso della magistratura soggetta al potere politico,
che stabilisce come verità quella voluta dai politici. Sapendo che
non è la verità».
Maurizio Assalto
La Repubblica
(ed. di Palermo), 25.2.2005
Blog. Proliferano gli spazi dedicati ai miti. Del passato e del presente
Fans di tutto il mondo, unitevi
[...]
Anch'io ho chiesto autografi. Ne ricordo uno In particolare procacciato
per interposta persona, del tipo: "Gli chiedi se mi firma il libro?', (relativa
risposta: "Ma perché non glielo chiedi tu?'). Paragonata a tanta
finta indifferenza riconosco che confessare passione e smodata ammirazione
per un personaggio è, innanzitutto, atto ardimentoso di immensa
generosità. Il web rende temerari. E la generosità è
grande, vista la mole di materiale e la cura dei dettagli, del sito dedicato
nientedimeno che allo scrittore Andrea Camilleri, che porta il nome del
suo paese immaginario, Vigata (www.vigata.org), location delle gesta del
commissario Montalbano. I nomi dei soci e di relativo presidente sfilano
con i loro nomi in dialetto alla Camilleri. Nomino per tutti il presidente
Filippo, “U presidenti”. Nella sezione giochi, ecco un test che prova la
tua conoscenza di Camilleri. Raccoglie soci di tutta la penisola.
[...]
Daniela Gambino
ANSA, 25.2.2005
Folla per Camilleri e domanda di Montalbano su Manzoni
Lo scrittore ha aperto a Roma incontri "Classico di una vita"
Roma - Dopo il Festival letterature a Massenzio e le discussioni di
Filosofia al Piccolo Eliseo, grande folla anche per gli incontri di 'Un
classico per la vita', aperti ieri sera da Andrea Camilleri che ha discusso
di Manzoni con Piero Dorfles: circa seicento persone avevano riempito la
chiesa di San Lorenzo in Lucina, mentre altre trecento circa sono rimaste
sulla piazza a ascoltare dagli altoparlanti, almeno fino a quando non ha
cominciato a diluviare.
Camilleri ha parlato di 'Storia della colonna infame', uscita a suo
tempo come appendice e parte integrante della prima edizione dei Promessi
Sposi, definendola ''il sacchetto di spezie, di aromi particolari che Manzoni
ha voluto offrire ai suoi lettori, anche per aiutarli a capire meglio vicende
e personaggi della storia di Renzo e Lucia. Per me la lettura coinvolgente
di questo libro, nel 1942, a 17 anni, qualche anno dopo che la scuola mi
aveva fatto detestare Manzoni, grazie a una professoressa che ce lo aveva
presentato solo come un bigotto, fu il grimaldello per gustare e capire
finalmente i Promessi Sposi''.
Davanti ai giudici che, aldila' di qualsiasi prova torturano persone
innocenti accusandole di spargere come untori la peste ('Storia della colonna
infame' e' il resoconto critico di quei processi nella Milano del Seicento)
come si sarebbe comportato Montalbano, ha chiesto Dorfles. ''Avrebbe posto
la domanda piu' semplice e necessaria a coloro che erano supposti essere
untori: quale e' l'antidoto alla peste che vi hanno dato i vostri mandanti,
visto che la spargete e non ve la siete presa? Rivelatelo alla città
e sarete salvi! Ma nessuno di quei giudici se lo chiede, perche' sapevano
dell'innocenza degli accusati e perche' erano alle dirette dipendenze del
potere politico, che aveva bisogno di colpevoli. E questo - ha concluso
Camilleri tra gli applausi - ci deve far riflettere anche oggi''.
E' un altro segnale di un risveglio culturale e dell'importanza della
comunicazione dal vivo per trasmettere idee e passione per la letteratura,
in un momento in cui pare esserci un ritorno d'attenzione per i classici,
ha notato in apertura Paolo Petroni, curatore della manifestazione organizzata
da Progetto Italia spa di Telecom.
Harold Bloom sottolinea in un recente volume 'La saggezza dei classici''
come aiuto per capire e affrontare la vita; Salvatore Settis in un saggio
appena uscito da Einaudi sullo stesso tema ricorda che i classici vivono
tra noi, senza che magari ce ne accorgiamo. C'e' persino un manga giapponese
la cui protagonista si chiama Nausica, il Mullah Omar chiamava gli Usa
Polifemo, sono usciti vari romanzi, tra cui due thriller americani e uno
italiano di Valerio Manfredi, con Dante e la Divina Commedia al centro,
i nostri politici poco tempo fa hanno tirato in ballo la figura di Don
Abbondio.
Camilleri ha conquistato il pubblico facendo di ogni osservazione un
racconto, rievocando ricordi personali, aneddoti, e collegando sempre al
presente quanto riferiva e notava nel testo del Manzoni: ''Lessi il libro
a 17 anni e ne rimasi sconvolto profondamente. Forse perche' contemporaneamente
lessi la 'Conversazione in Sicilia' di Vittorini e poi, passata miracolosamente
tra le maglie della censura fascista, 'La condizione umana' di Malraux.
I dolori del mondo offeso di Vittorini si concretizzarono in questo documento
che e' la Storia della colonna infame. Mi colpi' la frase che fa piu' o
meno cosi': 'Basta, ditemi che cosa volete che io dica'; mi colpi' che
si portasse un uomo a un tale annullamento da fargli dire una falsita'
nel nome della ricerca di una falsa verita'.
[...]
Il Messaggero,
25.2.2005
Come il primo amore, come un grande amico o un'esperienza indimenticabile.
Così Andrea Camilleri descrive "La colonna infame" di Alessandro
Manzoni, il libro che ha scelto per la prima serata de "Il classico di
una vita", una serie di incontri con personaggi del mondo della cultura
organizzati dal Progetto Italia di Telecom. «Sebbene non esista un
solo libro nella vita di una persona, soprattutto alla mia età -
ha esordito lo scrittore - "La colonna infame" mi accompagna da tempo».
Nell'atmosfera estemporanea della Basilica di San Lorenzo in Lucina in
cui due giovani attori, Luca Milesi e Maria Concetta Lotta della compagnia
"Permis de conduire", hanno dato voce a quello che è sempre stato
definito come il primo romanzo d'inchiesta della nostra letteratura, Camilleri
ha permesso a un numeroso e attento pubblico (molti sono quelli rimasti
fuori per mancanza di posti) di riscoprire il Manzoni alla luce dell'attualità:
«"La colonna infame" descrive torture ai danni di innocenti che sono
costretti da giudici, servi del potere politico, a diventare colpevoli.
Non sembra una storia del '600, non vi pare?». Le sue riflessioni
si sono tramutate così in uno spunto per fare un viaggio nel tempo
insieme a Pietro Dorfles. Camilleri ha raccontato del suo passato: «Manzoni
a scuola lo vedevo come un bigotto, non lo sopportavo. Quando ho letto
"La colonna infame", tornando in treno da Palermo durante la guerra, alla
luce di una pila, ho scoperto la rabbia, il risentimento per l'ingiustizia
e la denuncia sociale e ho visto anche "I promessi sposi" sotto un'altra
luce». Ma non ha dimenticato di guardare al presente: «Ci sono
volute le foto di Abu Ghraib per capire che la tortura non appartiene solo
al passato». Lo scrittore ha affabulato la platea colpendo l'immaginario
collettivo, ripercorrendo il periodo della peste nel capoluogo lombardo,
sottolineando la forza espressiva della scrittura precisa e ricercata del
Manzoni, raccontando i personaggi come se stesse disegnando dei ritratti.
Alla fine della serata è rimasta come sospesa nella chiesa la sensazione
che i libri si scelgono ma che in qualche modo capitano tra le mani di
ognuno non per caso. E se vi sia o meno un destino che lega il lettore
al libro lo si può scoprire anche negli altri nove incontri che
si terranno a San Lorenzo in Lucina. Il prossimo è per il 3 marzo
e vedrà come protagonista Roberto Vecchioni che porterà con
sé "Finzioni" di Jorge Luis Borges.
Diana Letizia
La Stampa, 26.2.2005
Esce la prima avventura dell´ispettore Beck, un poliziotto creato
40 anni fa da un marito e una moglie: non mena, viaggia in autobus, scova
il marcio nel paradiso del welfare.
Camilleri riscopre il Maigret di Svezia
Dal fango di un canale svedese, in una pallida estate degli anni Sessanta,
emerge il cadavere di una donna nuda. Non è particolarmente bella,
ha subito una violenza carnale. E sembra provenire dal nulla. La polizia
locale di Motala, cittadina di qualche migliaio di abitanti, sarebbe pronta
ad arrendersi. Ma l'ispettore Martin Beck, una specie di metodico Maigret
scandinavo, va avanti caparbio nelle sue indagini. Comincia così
"Roseanna", un curiosissimo giallo svedese, «riscoperto» da
Camilleri e riproposto dopo quarant'anni da Sellerio. Il romanzo uscì
infatti a Stoccolma nel 1965, scritto a quattro mani da Maj Sjowall e Per
Wahloo. I due giornalisti, nonché marito e moglie da tre anni, invece
di perdersi tra sussurri e grida della coniugalità, scoprirono che
era divertente fantasticare crimini. Lui aveva già esperienza di
romanzi polizieschi, lei era una solerte cronista e redattrice. Mescolarono
le diverse sensibilità, calibrarono una perfetta miscela romanzesca
che rinnovò il giallo nordico. Non più le trame saccenti
alla Agatha Cbristie, ma storie molto umane, vere, credibili, ambientate
nella Svezia della socialdemocrazia. L'ispettore Beck ebbe successo, fu
tradotto in parecchie lingue straniere e dette origine a decine di film
e telefilm. Secondo il progetto iniziale i romanzi della «commedia
umana» in tinta gialla dovevano essere dieci. E dieci furono, anche
perché Per Wahloo s'ammalò e morì nel 1975, appena
ultimata la decima avventura. La vedova ha poi continuato a scrivere a
quattro mani con altri, il danese Beame Nielsen e l'olandese Tomas Ross
(il loro romanzo, "La donna che sembrava 'Greta Garbo", è stato
tradotto in italiano da Hobby & Work Publishing). Il commissario Beck,
della squadra omicidi di Stoccolma, ha diritto a un posto di rilievo nella
immensa galassia dei detective della letteratura gialla. Uomo di mezza
età, sposato con una donna che ha molto amato prima di annaspare
nella noia, adora servirsi di mezzi pubblici e si segnala per un'intelligente
metodicità. Intorno a lui non c'è la giungla d'asfalto della
narrativa hard boiled ma le strade lucide di pioggia, i cieli sempre un
po' grigi, la neve, il benessere del welfare nordico, una squadra omicidi
di poliziotti umanissimi, preoccupati, paurosi, attenti agli sconti dei
supermercati e poliziotte disposte a mettersi pericolosamente in gioco.
Anche lo stile della scrittura è particolare, pacato, malinconico,
senza colpi di scena, cazzotti (a parte un'abile mossa da paracadutista
per bloccare un colpevole riottoso), eccessi violenti. Nella sua prima
avventura, Beck deve confrontarsi con un delitto sessuale. La vittima di
"Roseanna" è una giovane bibliotecaria americana che amava leggere
e andare a letto senza complicazioni sentimentali con tutti gli uomini
che le piacevano. Siamo negli anni 60, dalla Svezia cominciavano a esportare
riviste e filmini porno. Ma in materia di sesso il mondo continuava a essere
bigotto. E cosi molti degli interrogatori del romanzo, scritti in forma
di domanda e risposta come veri e propri verbali, conservano oggi un meraviglioso
sapore di rapporto Kinsey. E mentre la moglie si preoccupa di pagare la
retta per lo sport dei figli, curare i raffreddori, tutelare le finanze
famigliari, il tenace Beck va avanti per la propria strada senza ambizioni
da giustiziere. Sa semplicemente che nell'efficiente socialdemocrazia svedese,
dove tutti svolgono ubbidienti i propri compiti, felici di pagare le tasse,
ci sono delle dissonanze. Qualcuno che pensa che italiani, greci, spagnoli
siano popoli inferiori e qualcuno che ogni tanto commette delitti spinto
da pulsioni indecifrabili e oscure. Quando cattura il colpevole con una
trappola, di cui non va assolutamente fiero, e vede il criminale stretto
in un angolo con gli occhi rigati dal pianto, l'ispettore Beck sente, probabilmente,
addirittura compassione. Perché gli assassini non sono bestiali,
né atroci, né perversi. «Sono uomini assolutamente
comuni, soltanto più sfortunati ed emarginati di altri." La fiducia
del welfare tracima anche nel giallo.
Bruno Ventavoli
Gazzetta del Sud,
26.2.2005
Incontri letterari
“Storia della colonna infame” commentata da Camilleri
Dopo il Festival letterature a Massenzio e le discussioni di Filosofia
al Piccolo Eliseo, grande folla anche per gli incontri di «Un classico
per la vita», aperti avantieri da Andrea Camilleri che ha discusso
di Manzoni con Piero Dorfles: circa seicento persone avevano riempito la
chiesa di San Lorenzo in Lucina, mentre altre trecento circa sono rimaste
sulla piazza a ascoltare dagli altoparlanti, almeno fino a quando non ha
cominciato a diluviare. Camilleri ha parlato di «Storia della colonna
infame», uscita a suo tempo come appendice e parte integrante della
prima edizione dei «Promessi sposi», definendola «il
sacchetto di spezie, di aromi particolari che Manzoni ha voluto offrire
ai suoi lettori, anche per aiutarli a capire meglio vicende e personaggi
della storia di Renzo e Lucia. Per me la lettura coinvolgente di questo
libro, nel 1942, a 17 anni, qualche anno dopo che la scuola mi aveva fatto
detestare Manzoni, grazie a una professoressa che ce lo aveva presentato
solo come un bigotto, fu il grimaldello per gustare e capire finalmente
i "Promessi sposi"».
La Repubblica (ed.
di Bari), 26.2.2005
L´appuntamento
Il teatro di Stefano Pirandello volumi e immagini a Lecce
Verranno presentati oggi alle 18,30 alla libreria Apuliae di Lecce,
i tre volumi, editi da Bompiani, dedicati al teatro di Stefano Pirandello
(figlio di Luigi). All´incontro saranno presenti i curatori: Sarah
Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla. I due studiosi hanno raccolto
per la prima volta l´intera opera teatrale di Stefano Pirandello
(noto anche con lo pseudonimo di Stefano Landi) in un corpus unico. I tre
volumi "Stefano Pirandello. Tutto il teatro" sono stati presentati una
sola altra volta, in Campidoglio, a Roma, alla presenza di Andrea Camilleri
e Leo Gullotta. E´ per questo motivo che stasera ad Apuliae verranno
proiettati anche alcuni stralci degli interventi romani di Camilleri e
Gullotta.
BresciaOggi, 26.2.2005
Leno, la narrativa siciliana protagonista al «Capirola»
Proseguono gli incontri di approfondimento e di aggiornamento all’Istituto
superiore Capirola di Leno. Martedì 1° marzo dalle 15 alle 17
interverrà in aula magna il professor Ermanno Paccagnini critico
letterario del Corriere della Sera, docente di letteratura moderna e contemporanea
all’Università Cattolica di Milano e di Brescia. Argomento della
conferenza sarà: «La narrativa siciliana da Pirandello a Camilleri».
Tra gli scrittori analizzati Luigi Pirandello, Federico De Roberto, Giuseppe
Antonio Borgese, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Gesualdo Bufalino
e Vincenzo Consolo.
La conferenza è diretta agli insegnanti di lettere in primis,
a tutti i docenti culturalmente curiosi e agli studenti soprattutto delle
classi quinte, dal momento che gli argomenti trattati saranno poi approfonditi
in classe dai singoli insegnanti.
m.mon.
Corriere della sera,
27.2.2005
l'Unità accusa Storace: ne fai un fascista
Un vero e proprio manualino di abuso della storia, un costosissimo pezzo
di propaganda elettorale «interamente pagato dalla Regione Lazio».
Non è proprio piaciuto a Bruno Gravagnuolo dell’Unità, a
Piero Sansonetti di Liberazione e all’opposizione in genere "Mazzini e
il Risorgimento" il libriccino a fumetti (una settantina di pagine a colori
curate dall’Ufficio comunicazione della giunta e ideate da Niccolò
Accame) fatto pubblicare dal presidente della Regione Lazio Francesco Storace
per il bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini e destinato agli
studenti dei licei.
[...]
A rinfocolare la polemica sul famigerato libriccino a fumetto sono
poi arrivate ieri le considerazioni di Dino Cofrancesco sul Secolo XIX.
Cofrancesco si scaglia in particolare contro quelli che chiama «i
dilettanti allo sbaraglio del revisionismo (Socci, Pellicciari, Camilleri)
che hanno messo nel proprio mirino il Risorgimento, con l’idea di delegittimarlo».
Un’accusa, quella di dilettantismo, che per l’Unità e Liberazione
sembrerebbe calzare perfettamente anche a Storace.
Stefano Bucci
La Sicilia, 27.2.2005
Porto Empedocle
Arriva l'ultimo esame per le location di Vigata
Porto Empedocle. I rappresentanti della società cinematografica
Palomar di Roma arriveranno a Vigata la prossima settimana.
Giungeranno nel paese che ha dato i natali ad Andrea Camilleri per
verificare l'effettiva idoneità del sito empedoclino nel quale potrebbero
essere create le location necessarie a produrre nuove opere per la televisione
e il grande schermo. Dopo gli incontri svoltisi nelle scorse settimane
nella Capitale è dunque ormai giunto a un livello molto avanzato
il rapporto di collaborazione per il quale ha lavorato anche lo stesso
scrittore papà del commissario Montalbano.
Come si ricorderà Camilleri prese parte a una conferenza stampa
nel corso della quale preannunciò l'arrivo a Porto Empedocle della
delegazione di tecnici Palomar, chiamati a prendere atto della bellezza
dei luoghi empedoclini. Il sopralluogo della troupe servirà a stabilire
se il sito va già bene naturalmente, o se fosse necessario procedere
con la creazione di sana pianta di un set apposito. Un passaggio non certo
marginale che potrebbe tradursi per la realtà empedoclina in una
notevole spinta propulsiva verso il tanto auspicato sviluppo turistico
ed economico. Tutto passa dal turismo, e per il turismo empedoclino la
prossima settimana potrebbe far registrare una svolta decisa e finalmente
positiva. Basti pensare ad esempio a un dato. Se gli uomini della Palomar
scegliessero Porto Empedocle per lavorare nei prossimi mesi farebbero affari
d'oro gli alberghi della zona, i ristoranti e un po' tutta l'economia locale.
Senza dimenticare il ritorno in termini di immagine e visibilità
che il paese di Camilleri otterrebbe da una simile opportunità.
Il sindaco, Paolo Ferrara e l'assessore alla Cultura, Massimo Firetto
si dicono «fiduciosi sul buon esito del sopralluogo previsto per
i prossimi giorni. Abbiamo molte idee da fornire alla Palomar, senza dimenticare
la straordinaria qualità dei nostri siti», hanno aggiunto
gli amministratori.
F.D.M.
|