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RASSEGNA STAMPA

APRILE 2007

 
Lire, 4.2007
En couverture
Andrea Camilleri. Dans la toile de l'araignée
André Clavel
 
 

Thriller Magazine, 1.4.2007
Dieci nuovi Camilleri!
Il papà di Montalbano non si ferma, anzi, in aprile sfornerà ben dieci romanzi inediti! Ma come fa? PS: buon pesce d'aprile! :-)

Pare proprio che Andrea Camilleri non voglia perdere tempo. Per il solo mese di aprile la Sellerio ha già annunciato addirittura dieci uscite. Alla casa editrice assicurano che non si tratta di ghost writer, ma semplicemente dell'estrema prolificità letteraria del Nostro. Andiamo ora a esporre i titoli e le trame dei prossimi romanzi.
La biro del mastino
Appartenente alla serie dei romanzi storici di Camilleri, questa storia è ambientata nella Vigàta del 1915. Protagonista della vicenda è un cartolaio chiamato alle armi per la Grande Guerra, che per tutto il corso del libro riesce a inventare nuovi stratagemmi per non partire alla volta del fronte e restare arroccato nella sua bottega, fino all'insospettabile finale a sorpresa, ironico e disincantato.
Il cartello di Montalbano
Nessun efferato delitto, questa volta, per il commissario più amato d'Italia. La vicenda prosegue il filone introspettivo degli ultimi romanzi dedicati a Montalbano, che si trova a riflettere sulla sua vita e sul passare degli anni. Perseguitato da un cartello di divieto di sosta, che trova a posteriori ovunque posteggi la sua vettura, Salvo Montalbano inizia a dubitare del proprio equilibrio e delle proprie capacità investigative. Tra appostamenti e notti in bianco, si arriva infine alla risoluzione del mistero che lascerà il lettore a bocca aperta.
Lo sciopero di acume
Dopo "Il colore del sole", Camilleri — ormai inarrestabile camaleonte della scrittura — decide di regalarci un nuovo romanzo in forma diaristica. Protagonista e voce narrante, questa volta, nientemeno che il mitico Catarella, impegnato nella soluzione di un mistero che ha a che fare con la scomparsa di un'intera scolaresca vigatese. Oltre 500 pagine scritte nell'inconfondibile stile di questo personaggio culto, quasi un atto dovuto da parte di Camilleri nei confronti della sua "criatura".
Il cotonificio di nebbia
Attraverso una ricerca accurata a caccia delle poche fonti disponibili, l'autore ricostruisce — in un'opera a cavallo tra il saggio e il romanzo — la biografia di Locascio Turiddu, celebre cittadino di Vigàta, che fu esiliato dalla famiglia nella nebbiosa Val Padana. Costretto ad adattarsi in un territorio a lui ostile, il protagonista diviene, attraverso una serie di rocambolesche vicende, proprietario del più famoso cotonificio sul territorio. Con una ricerca dialettale sempre più approfondita l'autore affronta le tematiche complesse del distacco dalla propria terra, dell'esilio e dell'emarginazione, in un percorso catartico verso la rinascita.
La rilegatura di ginestra
Romanzo breve (altri direbbe un racconto lungo) che ha per protagonista un anziano artigiano, autore di libri. Non nel senso che li scriva: egli infatti, col lavorìo lento e sapiente delle proprie mani nodose, confeziona preziosi libri d'arte, volumi decorati e copertine intarsiate. Negli anni della vecchiaia, paradossalmente, la sua produzione aumenta, fino a raggiungere un ritmo ossessivo, quasi febbricitante. Il rilegatore sperimenta tecniche e materiali nuovi (come la ginestra che dà il titolo alla storia), quasi avesse l'ansia di non terminare in tempo la sua missione nel tempo che gli è rimasto. Nonostante qualche risultato scadente — stigmatizzato dai suoi garzoni di bottega con l'ironica diffusione di alcuni evidenti falsi — questo anziano autore di libri torreggia indubitabilmente su tutti gli altri personaggi, uscendone con una statura autorale di primissima grandezza.
Il pellicciaio di formiche
Con questo romanzo, per la prima volta in tanti anni di carriera, Andrea Camilleri affronta un genere nel quale non si è mai cimentato: il thriller all'americana. Il protagonista di questo spin-off è Nicolò Zito, amico del commissario Montalbano. Uno spietato serial killer, soprannominato "Il pellicciaio", insanguina le strade della City con i suoi atroci delitti. Il suo scopo è la realizzazione di un piano tanto terrificante quanto incomprensibile. Il giornalista di Retelibera, in trasferta nella grigia City per un corso sulle nuove tecnologie comunicative, ha l'occasione così di raggiungere lo scoop che cambierà la sua vita. Ma cosa significano le file di formiche, ricoperte da una leggera peluria, che il killer compone su tutte le scene del delitto? Una vera chicca del romanzo è la comparsa come guest star del commissario Montalbano.
L'ossessione di marmo
Trasferta ligure per Salvo Montalbano, che tenterà di ricucire il rapporto con l'eterna fidanzata Livia. Dopo averla raggiunta a Boccadasse si ritrova coinvolto suo malgrado in una serie di misteriosi eventi. Da più parti vengono infatti alla luce ciclopici resti di statue apparentemente antichissime: un naso, una mano, un orecchio, un piede (curiosamente dotato di sole quattro dita). Quando la ricostruzione dell'insieme rivelerà un volto inaspettato e sorprendente, al commissario vigatese occorrerà tutta la propria presenza di spirito per venire a capo di questa surreale vicenda.
La parcella del coprifuoco
Storie di briganti, soldati, partigiani e uomini qualunque in Sicilia a partire dall'unità d'Italia fino al secondo dopoguerra. In quest'ampia antologia di racconti, l'autore raccoglie tante piccole icone, dipingendo quadri d'epoca a cavallo tra la storia e l'immaginazione. Il racconto che dà il titolo alla raccolta narra come fosse usanza, in alcuni paesini dell'entroterra siciliano, eludere il coprifuoco attraverso il pagamento di una "parcella" alla persona giusta. L'opera si compone di tre volumi divisi per periodo, per un totale di 1500 pagine e 103 racconti, ed è acquistabile anche separatamente (cioè un tomo alla volta, ma necessariamente in ordine cronologico).
La zuppa di spighe
Il grano è un cereale alla base della cucina di molte regioni, non solo sottoforma di farina ma anche come chicchi (si pensi alla pastiera napoletana, per esempio). Col grano si possono fare anche ottime zuppe... ma non con le spighe intere. Altrimenti i loro baffi pungenti irritano il palato e rovinano inevitabilmente ciò che c'è di buono nella pietanza. È a partire da questa metafora che Camilleri confeziona questo romanzo, vero "anello mancante" tra la serie di romanzi storici della Vigàta del passato e quelli di Montalbano ambientati nel presente. La storia è ambientata infatti negli anni '70 e segue vizi e virtù della sede locale del PCI, fino alle sue permutazioni degli ultimi anni. E l'inevitabile domanda: cos'è rimasto oggi? I chicchi o la spiga?
La costellazione del cannolo
Quali sono gli ingredienti necessari per conquistare una ragazza? Facile: un'atmosfera romantica, il mare, le stelle, le parole giuste al momento giusto e i dolci. E' proprio da questo presupposto che parte il giovane Calogero, quando decide di chiedere a Rosalia un appuntamento. E quando la giovane, inaspettatamente, accetta, cosa c'è di meglio se non una nottata romantica sulla spiaggia, guardando le stelle e gustando cannoli per conquistare il cuore dell'amata?
Chiara Bertazzoni & Lorenzo Trenti
 
 

Xantology, 1.4.2007
La forma dei cannoli
Andrea Camilleri, "La forma dei cannoli", Sellerio. In libreria dal 5 maggio.

Sarà in libreria prima dell’estate, per i tipi di Sellerio, “La forma dei cannoli”, ennesima avventura del commissario Montalbano. Anche questa nuova opera del maestro Andrea Camilleri è un appassionante giallo che ha per protagonista un personaggio di grande umanità.
Nel romanzo, il commissario si muove fra incertezze e paure in una Sicilia torrida. Caldo estenuante, sole implacabile. Siamo in agosto, Mimì Augello ha dovuto anticipare le ferie e Montalbano è costretto a rimanere a Vigàta. E’ il mese più infuocato dell’anno. Eppure la pasticceria del paese non smette di produrre cannoli alla ricotta.
La cosa è strana e Montalbano si insospettisce.
Così, nel corso di una ispezione alla pasticceria, il commissario scopre un passaggio che conduce a una stanza segreta, la stanza della ricotta, e qui trova due cadaveri. Sono un uomo e una donna morti da molti anni.
Nel frattempo a Vigàta arriva Livia. Con il commissario sono continui litigi, incomprensioni, nervosismo. Con Livia accanto, passato e futuro si ammantano nei pensieri nostalgici dell’investigatore. Montalbano è stanco, depresso, svogliato. Non ne può più di ammazzatine. E un proposito lo accompagna dall’inizio della storia: rassegnare le dimissioni. Cosa vincerà: l’amore per il suo lavoro o le disillusioni e l’amarezza nei confronti delle brutture del mondo moderno, della politica e delle forze di polizia?
Alla fine il desiderio di scoprire la verità ha la meglio. Montalbano non si fa persuaso. Il commissario ha una maledizione che è anche un suo grande pregio: sa leggere i segni che provengono dall’”antichissimo” che vive nel “modernissimo” continente Sicilia. Lo aiutano così un vecchio ulivo contorto, la sua squadra, una gita a Tindari con l’eterna fidanzata Livia, un cannolo senza ricotta, due arancini e un immigrato nicareddru.
Il caruso ivoriano, che Montalbano ferma mentre ruba un cannolo, lo guarda «con una dispirata domanda nell’occhi». Da quel momento per Montalbano non c’è più pace. Un po’ perché l’incontro gli ricorda François, il piccolo tunisino del "Ladro di merendine", un po’ perché, da esperto investigatore, Montalbano intuisce che in tutta quella faccenda dei cannoli c’è qualcosa che non quadra. E durante una nuotata mattutina, finalmente c’inzerta e capisce che i due morti non sono vittime di indigestione di ricotta…
A. Pagliaro
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 1.4.2007
Alessandro Costacurta racconta la sua passione per la pittura
Un calciatore a regola d´arte
Basquiat, il sogno. Caravaggio, il mito

[…]
L´arte antica le piace?
«Moltissimo. Ma quella che mi piace è impossibile da acquistare».
Per esempio?
«Caravaggio e Michelangelo. Quando ero a Malta con il Milan sono andato alla cattedrale per vedere la Decollazione del Battista di Caravaggio. E ho anche comprato l´ultimo libro di Camilleri, in cui lo scrittore immagina di ritrovare il diario dell´artista».
[…]
 
 

Corriere della sera, 2.4.2007
Riviste
E Camilleri trasferì il commissario Montalbano al quartiere Prati

Montalbano cambia casa. Dalla Sicilia a Roma. Le sue finestre non si affacciano più sulla spiaggia di Marinella, ma su un cortile del quartiere Prati. A pubblicare le avventure romane del commissario creato da Andrea Camilleri sarà «Il Nasone», nuovo mensile free press del Municipio XVII, dove lo scrittore vive da più di 50 anni. «Costretto a lasciare la Sicilia per frequentare un corso del ministero, Montalbano scoprirà che anche la capitale è una città del meridione» spiega Camilleri che ieri, al Teatro San Genesio, ha partecipato alla presentazione del giornale. Che cosa succederà al commissario per le strade di Prati è un mistero anche per l'autore, che scrive a puntate nello stile dei vecchi feuilleton. Per scoprirlo bisognerà leggere «Il Nasone», giornale apolitico e gratuito che contiene inchieste e curiosità sulla vita del municipio. La testata è finanziata direttamente dai dodici redattori, che si occupano anche di consegnarlo a domicilio il primo sabato di ogni mese.
Michela Gentili
 
 

Fahrenheit, 2.4.2007
Il libro del giorno
Andrea Camilleri, Le pecore e il pastore, Sellerio

Abbandonato (momentaneamente?) Montalbano, Andrea Camilleri si appassiona alla vicenda del "vescovo dei contadini", che in una sera d'estate del 1945 fu colpito da due proiettili ad Agrigento, per il suo impegno a favore dei poveri e dei diseredati, contro il latifondo incolto. All'attentato si lega la morte (di fame e di sete) di dieci monache di clausura, in un intreccio che, riportato alla luce da Camilleri, sta suscitando polemiche e smentite negli ambienti ecclesiastici siciliani.
Cliccare qui per ascoltare la registrazione.
 
 

Teatro Stabile di Catania
Il vitalizio
In scena dal 2 aprile la novella di Luigi Pirandello nell'adattamento di Andrea Camilleri. Regia di Walter Manfrè, con Riccardo Garrone.
 
 

Gomarche.it, 2.4.2007
Una novità di Camilleri al Teatro della Fortuna
Fano – "La concessione del telefono", novità assoluta tratta dal bestseller di Andrea Camilleri sarà in scena da martedì 3 a giovedì 5 aprile al Teatro della Fortuna di Fano.

Siamo a Vigàta, universo intriso di paradigmatica “sicilitudine”, panorama nel quale si sviluppa "La concessione del telefono", riduzione scenica di un romanzo di culto, operata dall’autore Andrea Camilleri insieme al regista Giuseppe Dipasquale.
Nei ruoli principali autentici beniamini del pubblico: Francesco Paolantoni con due attori storici dello Stabile di Catania, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina.
Un testo che affonda profondamente nell’humus e nel cuore della Sicilia, fra i romanzi di Camilleri è uno dei più divertenti, una specie di commedia degli equivoci che trova la sua ambientazione ideale in un'isola da secoli terra di contraddizioni.
La Vigàta dello scrittore agrigentino diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. L'equivoco, che ridicolmente fa da motore all’intera vicenda, è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto.
Il protagonista, Filippo “Pippo” Genuardi, per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato, fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno, come in realtà questi si chiama.
Da qui una storia articolata, che coinvolge non solo Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia, ma anche la Chiesa e soprattutto i vari apparati dello Stato.
E ancora don Calogero Longhitano, il mafioso del paese, nonché quei compaesani che involontariamente capitano sulla strada di “Pippo”, mosso solo dalla passione per la giovane suocera.
Anche nella riduzione ad emergere è la lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate, una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, sintassi travestita, modi d’uso ricalcati dal dialetto. Il fascino della trasposizione scenica punta essenzialmente sulla novità del testo e si sposa tutt’uno con il desiderio di ricercare strade nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea.
Quando poi, come in questo caso, si è di fronte ad una forma narrativa che invita il lettore a dar corpo ai personaggi, privilegiando il parlato e non la descrizione, ecco che il Teatro si trova ad agire su un campo molto familiare. La parola - ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere - fa di questo romanzo un oggetto naturale da elaborare all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa.
Info. Botteghino Teatro della Fortuna, tel. 0721 800750 - fax 0721 827443
Amat, tel. 071 2072439 – fax 071 54813.
 
 

Auditorium Parco della Musica, 3.4.2007
Dal testo allo schermo
Al confine tra letteratura e cinema
Teatro Studio ore 17
Presentazione della nuova collana di audiovisivi diretta da Giovanna Taviani e prodotta da G.B. Palumbo Editore.

Dal testo allo schermo - prodotto altamente innovativo voluto e ideato da G.B. Palumbo Editore, azienda indipendente e leader nel settore dell'editoria scolastica - è una collana di audiovisivi dal taglio interdisciplinare dedicata ai grandi film della storia del cinema, italiano e straniero, che si sono ispirati alla letteratura.
Ogni video, di circa 40 minuti l’uno, è concepito come una sorta di monografia visiva dedicata a un genere narrativo o a singoli registi che hanno fatto della letteratura una delle loro fonti principali di ispirazione. Il prof. Romano Luperini (Ordinario di Letteratura Italiana presso l'Università degli studi di Siena) presenterà e coordinerà gli interventi previsti, aprendo l'incontro con una breve relazione su "Insegnamento culturale (non erudito-filologico) della letteratura e uso degli audiovisivi nella didattica"; Giovanna Taviani (autrice e regista) introdurrà i contenuti della collana presentando i due DVD, dedicati al rapporto tra il cinema di Luchino Visconti e la letteratura; Andrea Camilleri (scrittore) parlerà della rinascita del giallo italiano e del rapporto tra letteratura di genere e cinema, in riferimento alla seconda proposta della collana, curata da Angela Prudenzi (giornalista).
Successivamente sarà proiettato il primo dvd della serie: "Luchino Visconti - l'autore e l'opera", al termine del quale prenderanno la parola i personaggi intervistati da Giovanna Taviani per la realizzazione del documentario, tutti testimoni diretti dell'attività critica e cinematografica del regista e del suo rapporto con la letteratura: Caterina D'Amico, Pietro Ingrao, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Enrico Medioli, Gianni Rondolino Francesco Rosi, Giuseppe Rotunno, Piero Tosi.
 
 

Stilos, 3.4.2007
Andrea Camilleri
La morte di dieci piccole suore una nuova strage dimenticata

Con “Le pecore e il pastore” Camilleri si riattesta sulla soglia di attenzione per le commessure della storia agrigentina occupata già con “La strage dimenticata”. È la stessa soglia sulla quale, nella sfera letteraria, sono nati “La scomparsa di Patò”, ma anche “La stagione della caccia”, “Il birraio di Preston”, “La concessione del telefono”, “La mossa del cavallo”: romanzi civili integrati dall'Inchiesta parlamentare del 1875 in Sicilia. Le commessure che Camilleri ricerca sono quelle costituite da note a piè pagina e spunti incidentali e laterali che, come avveniva per Sciascia, aprono vuoti di microstoria locale da colmare con il portato della ragione. E proprio questo Camilleri ha fatto anche stavolta: ha escavato da un remoto e rimosso episodio del 1945 avvenuto a Palma di Montechiaro un recesso inimmaginabile di orrore e abominio cui solo la convegnistica locale ha prestato finora orecchio: la morte volontaria di dieci suore benedettine che offrirono la loro vita a Dio in cambio della sopravvivenza del vescovo di Agrigento ferito in un attentato. E su questo eccesso Camilleri si è messo a ragionare.
Senonché è stato forse proprio il tema dello scambio ad attirare il suo interesse, perché del cambio, della sostituzione di persona, del baratto, della componenda, dello «scangiu» insomma, Camilleri ha fatto un suo valsente: da “La forma dell'acqua” a “Biografia del figlio cambiato”, per fare solo due esempi. Qui il patto che postula una permuta, cioè un commercio, è addirittura con Dio. E Camilleri, di fronte all'enormità del fatto, non riesce a maneggiare gli strumenti del romanzo ma sceglie di servirsi di quelli del saggio: una incapacità che gli viene dall'indignazione già vista in occasione dei 114 morti de “La strage dimenticata” come anche di “La bolla di componenda”, e che gli impedisce di assecondare l'inventio urgendogli piuttosto soddisfare l'invento, trovare anziché inventare.
Ma proprio qui la scelta è a metà dei due coté, perché Camilleri, mentre è impegnato nella sua quete storica, indulge anche all'invenzione: benché non si tratti di phanthasia letteraria quanto di congettura - o "ipotesi", come egli intitola il capitolo delle supposizioni. Tuttavia per accertare le sue intenzioni occorre trovare un preciso segnale, già colto in “Biografia del figlio cambiato”: quando Camilleri si dà al ragionamento - e quanto più in esso egli si concentra - il ricorso a termini dialettali si riduce fino a scomparire, mentre quando ricorda o racconta fatti la vena idiolettica emerge con trasporto.
Quindi si può parlare qui di romanzo a patto che comprenda l'accezione di saggio girato pamphlet, del tipo del romanzo illuministico, per intenderci, il genere dopotutto più confacente a un raissoneur educato alla scuola della ragione qual è Camilleri. Dove ragione significa non solo laicità, coscienza aconfessionale e credo nei realia ma anche rigore, razionalità, concretezza, prudenza e intelligenza. Sono qualità che troviamo combinati in un atto di coraggio e di denuncia che non poteva non destare reazioni già solo per la forza dirompente dei fatti: dieci suore che offrono la vita in cambio di un'altra postulano un atto di fede spinto fino alla superstizione e all'ordalia e riconducono la Sicilia e la chiesa cattolica nel fondo medievale più oscurantista e tabuizzato.
Delle reazioni al libro comunque non sorprendono né la presa di posizione della curia di Agrigento che della morte delle giovani suore dà un'interpretazione materialistica, imputandola a cause naturali, ne quanto confusamente ha detto - all'uscita del libro - l'ispiratore involontario di Camilleri, quell’Enzo Di Natali, autore di “L'attentato contro il vescovo dei contadini”, che riporta il caso delle suore suicide in una breve nota a fondo pagina: mentre ammette che le suore fecero il voto di dare la loro vita per la guarigione del vescovo, subito dopo però precisa che non si lasciarono morire ma «furono il tifo e la carestia ad ucciderle nonostante la giovane età». Viene fatto di chiedersi che motivo avesse la badessa di mentire al vescovo dicendogli, undici anni dopo, che per fede dieci giovani suore avevano offerto la loro vita a Dio mentre in realtà erano malate e dunque destinate alla morte, attentato o meno. Nella lettera al vescovo la badessa scrive che le suore «lasciarono la vita»: usa perciò un eufemismo che legittima in realtà dubbi sulla volontarietà della loro morte, ma - perché messo in relazione al ferimento - il decesso comprova che non avvenne per cause naturali. A meno di pensare che Dio, ascoltato il loro voto, lo abbia accolto scegliendo unilateralmente dieci vite tra quelle peraltro più giovani: un Dio biblico e particolarmente malmostoso dunque, perché in una comunità monastica colpita dalla carestia e dal tifo (calamità che non hanno però riscontro nei fatti accertati) lascia morire di malattia le suore fisicamente più sane e robuste mentre tiene in vita quelle anziane immunizzandole contro il tifo e la fame. Eppure è questa la conclusione cui spingono sia la curia che Di Natali, il quale tra il ferimento del vescovo e la morte di dieci suore martiri è il primo caso che ritiene inopinatamente di maggiore interesse.
È Camilleri a dare ora la giusta importanza ai fatti svolgendo anche indagini in seguito alle quali la conferma che di morte volontaria si è trattato viene da un padre teatino quasi centenario che solo una cosa non ricorda: se le suore suicide fossero state nove o dieci. Eppure Camilleri è prudente nel sostenere la tesi del suicidio collettivo, idea che le suore avrebbero senz'altro respinto perché il suicidio è visto come peccato. La comunità monastica si vota al dono della vita (ma non di dono occorre parlare quanto di “restituzione”, osserva l’autore, perché la vita in sé è già, secondo la dottrina cristiana, dono di Dio, che se l’è dunque ripreso), interpretando la morte non come suicidio ma come sacrificio, la cui causa giustificatrice è in ciò, che lo scambio avviene tra la «sovravvivenza corporale» di un prelato devoto e gradito a Dio per la sua piissima pastorale e la perenzione di dieci «corpi viventi», cioè dieci umili e insignificanti entità che sono fatte di ciò che la fede cristiana giudica reificazione miserrima: il corpo. Una prudenza quella di Camilleri che lo induce a porre la reale sostanza dei fatti sotto una sospensione di giudizio (cosi da ammettere di non essere un uomo di fede religiosa e di non essere perciò in grado «di capire le ragioni più intime e fideistiche di quel gesto estremo»), per poi decidere di calibrare la congettura: «Cercherò di raccontare - avverte al momento di analizzare i fatti - con una certa verosimiglianza e con qualche ragionevole approssimazione per difetto quello che avvenne».
Ma non si tratta di un racconto, quanto di una ricostruzione ispirata alla logica della deduzione e dunque tenuta aderentissima al dato reale. Pur tentato di sciogliere la briglia all'immaginazione, come ha fatto altrove in presenza di labili elementi storici, qui Camilleri procede «un passo levi e l'altro metti», attento a non distogliersi dai documenti. E i fatti cosi come sono ricostruiti appaiono il prodotto circostanziato e non circostanziale dell'analisi dei dati di fatto. Ebbene: alla notizia dell'attentato le suore si raccolgono in preghiera nella chiesa davanti alla tomba della loro consorella più amata, la venerabile suor Maria Crocifissa cui sono attribuiti non pochi prodigi. E’ a lei che chiedono il miracolo di salvare il vescovo ferito in un attentato. Prese in un vortice di misticismo, che diventa sempre più isteria collettiva, qualcuna - col volto ispirato e le mani giunte al cielo - offre la propria vita, seguita da tante altre trascinate in un crescendo estatico. Suor Enrichetta, la badessa, dispone che sia esaudito quel desiderio e che siano dunque scelte le più giovani, ognuna delle quali verrà fatta ritirare nella sua cella perché il digiuno la porti alla morte.
Camilleri lascia in sospeso, per troppa prudenza, alcune incognite che si addensano a questo punto come nebulose. Se la scelta tocca solo le più giovani, la volontarietà dell'offerta della vita diventa elemento che non regge più, non potendo essere avvenuta che per chiamata, a meno di credere che a volersi immolare siano state unicamente dieci suore e tutte dell'età più giovane: il che è illogico. Diversamente, se il numero delle suore da sacrificare è stato deciso da Suor Enrichetta prima della conta delle volontarie, non può essere stato raggiunto che per via di una costrizione - nel caso fossero meno di dieci - o di una scelta tra due o più volontarie, nell'ipotesi contraria.
Camilleri preferisce dare risposta ai tanti interrogativi ponendo nuove domande, per cui non arriva a una vera conclusione e lascia il “romanzo» incompiuto. Ma non è l'esatto e peritale svolgimento degli ultimi giorni di vita delle suore a interessargli, sul destino delle quali lo vediamo piegarsi versando la pietà di una coscienza laica che non può accettare la perdita della vita umana a nessun prezzo né in nome di una scala di valori quale che sia, memore di un credo di cui anche Montalbano si è fatto apostolo: la vita come bene non sacra1e, e quindi trascendentale e sacrificale, ma come unica realtà esistente e materiale, non alienabile né rinunciabile.
A Camilleri è piuttosto il fattore umano che interessa, con i suoi aspetti sociali, politici e storici. Se anziché dieci suore fossero stati dieci invasati di una setta a levarsi la vita per un altro, il suo sguardo non avrebbe perso acutezza né sgomento. Ed è infatti il contesto che Camilleri interroga, riprendendo mezzi di indagine che gli sono propri: ricostruisce gli antefatti, presenta i personaggi, descrive i luoghi e rifà la storia, il tutto - laddove sia possibile, come in questo caso - verificato alla fonte della sua memoria personale. L'esito sortisce quasi sempre - l'abbiamo già visto negli altri suoi saggi di inchiesta, innanzitutto “La strage dimenticata”, a cui “Le pecore e il pastore” si apparenta - una sconfessione delle acquisizioni storiche. Stavolta ad essere demistificata è la «verità» ufficiale secondo cui il vescovo di Agrigento Peruzzo viene fatto oggetto di un tentato omicidio per mano di un frate del convento di Quisquina che lo ha in odio per essere stato cacciato sotto l'accusa di indegnità: una verità che riduce a un movente privato e tutto sommato irrilevante ai fini generali un fatto che riguardando figure pubbliche e istituzionali potrebbe invece avere conseguenze politiche. “Il birraio di Preston”, “La concessione del telefono” e “La scomparsa di Patò” reiterano proprio questo principio di interscambiabilità (ancora il tema dello scambio) di verità e versione, fatti e mistificazioni, ragioni pubbliche e private. Qui lo scambio si ha nel senso che l'apparato pubblico, compresa la stampa, si propone di nascondere i reali mandanti dell'attentato svilendo il complotto politico al rango di vendetta personale imputabile al banditismo.
Camilleri porta invece argomenti a favore della tesi avanzata da Di Natali sostenendo che ad armare i frati, esecutori materiali del tentato omicidio, sono stati gli agrari, preoccupati della sua ventilata nomina a cardinale di Palermo e incolleriti soprattutto per la sua inesausta lotta contro il latifondo, condotta a capo dei contadini e in difesa dei decreti Gullo-Segni per la spartizione delle terre incolte e malcoltivate.
Camilleri ha conosciuto da ragazzino il vescovo Peruzzo e la considerazione nei suoi confronti (già espressa in “La linea della palma”, dove raccontava che il vescovo lo chiamò per rimproverargli di essere comunista e che poi consentì che aprisse a Porto Empedocle una sezione del Pci dicendogli «Meglio tu che altri»: un episodio riportato adesso anche in “Le pecore e il pastore”) è rimasta immutata: ricorda la sua opera in aiuto dei poveri nonché i «preti sociali» di cui il vescovo si circondò e che fortificò con l'esempio personale, professando dedizione, generosità e coraggio, tali da guadagnargli l'odio delle classi al potere e il sacrificio delle suore benedettine di Palma, interpreti di un diffusissimo sentimento popolare di devozione e affetto.
Essendo Palma di Montechiaro il teatro dei fatti, Camilleri non può non incontrare Tomasi di Lampedusa, la cui stirpe di santi, duchi e venerabili rimanda continuamente al monastero del Santissimo Rosario, dove nel Seicento è stata attiva suor Maria Crocifissa, la Isabella secondogenita di Giulio Tomasi, in odore di santità per la sua incessante e vittoriosa lotta contro il diavolo e per i suoi mirabolanti atti soprannaturali. Nel 1955, dieci anni dopo l'attentato al vescovo, il principe Tomasi di Lampedusa, discendente dei fondatori del monastero, vi compie due visite accompagnato da suor Enrichetta, inorgoglita dalle viste di entusiasmo che il nobile dignitario le manifesta al termine. È questa doppia visita a convincere Camilleri che suor Enrichetta rivela l'anno successivo al vescovo ciò che era successo nel luglio del '45 perché la presenza di Tomasi di Lampedusa le ha instillato il proposito di aggiungere nuovi meriti a quelli che appena le sono stati riconosciuti dal successore di suor Maria Crocifissa e del duca-santo, ogni volta contento di sentire parlare della sua Beata Corbera, il nome che suor Crocifisa avrà nel Gattopardo. La tesi è forse la meno salda del mirabile mosaico costruito da Camilleri, perché la badessa, per brillare agli occhi di Lampedusa, avrebbe dovuto confidare a lui il segreto e non al vescovo. Che peraltro non farà mai cenno della lettera nei suoi copiosi scritti, segno che ha capito benissimo l'abnormità di quanto è stato fatto in nome di una credenza spacciata per credo.
Diversi e sconosciuti devono essere stati i motivi che hanno indotto suor Enrichetta a rendere noti i fatti al vescovo. Nella lettera scrive che intende «fargli ubbidienza», benché - aggiunge - «non sarebbe il caso di dirglielo». Ritiene dunque non necessario farlo ma si decide per un obbligo di ubbidienza: una contraddizione. Che può trovare luce nel pronome implicito che la badessa usa: «Glielo diciamo». Suor Enrichetta non parla perciò a nome personale, ma per conto di una pluralità di persone che si identifica certamente in quella «comunità» cui intesta nella lettera la decisione di offrire dieci vite.
E allora una spiegazione può essere questa: undici anni dopo i fatti la coscienza monastica non ha più retto al peso del rimorso e nel sacrificio collettivo di dieci sorelle è andata sempre più vedendo lo spettro della colpa e del delitto. Sicché l'ubbidienza che muove suor Enrichetta e le altre va intesa come anelito alla sottomissione e dunque come ansia di rendere confessione: a chi se non alla più alta autorità ecclesiastica di riferimento che è il loro vescovo? Si aspettano una giusta punizione e una espiazione liberatrice, ma dal vescovo viene fatto silenzio. Un silenzio che la chiesa agrigentina continua oggi malestrosa a tenere, perché forse - come osserva Camilleri - implica conclusioni che portano tanto indietro nel tempo quanto avanti, «fino alla tragica attualità dei giorni nostri». Conclusioni che Camilleri non tira, dicendo che «non è il caso» e così ripetendo esattamente quanto suor Enrichetta scrisse al vescovo: «Non sarebbe il caso». Ma il caso può avere ragioni che la storia non conosce.
Gianni Bonina
 
 

Affari Italiani, 3.4.2007
San Girolamo/ Giallo sul quadro. Andrea Camilleri risponde all'invito della Confraternita

Esplode il caso del quadro di San Girolamo, ospitato nell'omonima chiesa nel cuore di Licata, nel quartiere Marina. Un'opera che per tanti è rimasta appesa sull'altare senza la giusta considerazione, ma che ora, dopo l'articolo comparso su Affari, conquista l'attenzione di appassionati d'arte e giornalisti. La Confraternita di San Girolamo ha infatti ricevuto già parecchie richieste da cittadini italiani e stranieri per vederlo.
Anche dopo il restauro, mai nessuno si è preoccupato della sua vera provenienza. Tutto è cambiato dopo che un agrigentino doc Andrea Camilleri ha scritto del quadro di San Girolamo nel suo ultimo libro “Il Colore del Sole” attribuendolo nel  romanzo-giallo a Caravaggio, passato da Licata dopo Malta.
E la novità sta prorio qui: lo scrittore agrigentino Andrea Camilleri con una breve nota scritta, affidata ad una sua stretta collaboratrice, ha accettato l'invito rivoltogli dalla Confraternita di San Girolamo della Misericordia, Giovanni Savone, per vedere di persona il quadro di cui scrive nell'ultimo libro “Il Colore del Sole” (Mondadori 2007) dove potrebbe esserci la mano di Caravaggio.
Lo ha resto noto lo stesso Governatore Savone : “il professor Camilleri ci ha ringraziato tantissimo per l'invito che accetta volentieri. Ci ha promesso che verrà a Licata a vedere il quadro nel suo primo viaggio in Sicilia, dove non torna da 2 anni. Sarà nostra cura – prosegue il massimo dirigente della Confraternita di Licata – inviare intanto tutto il materiale in nostro possesso. Con piacere ricambiamo gli auguri di Buon Pasqua che ci ha inviato il professor Camilleri ringraziandolo per la velocità con cui ci ha risposto”.
La risposta dello scrittore Camilleri è arrivata a distanza di poche ore dalla missiva inviata dalla Confraternita di San Girolamo.
Breve ma incisiva la lettera indirizzata venerdì allo scrittore via mail : “Chi Le scrive – così iniziava la lettera di Savone -  è il Governatore di una delle più antiche Istituzioni Religiose siciliane, la Confraternita di San Girolamo della Misericordia di Licata, istituita nel 1578.
Nel suo ultimo e bellissimo libro “Il Colore del Sole” lei si occupa del quadro di San Girolamo custodito nella Chiesa della nostra Confraternita, nel suggestivo quartiere Marina di Licata. Da quando è uscito il libro sulla stampa si è aperto un ampio dibattito sull'autore di questa splendida opera che è tornata al centro dell'interesse anche degli studiosi. Visto che ne ha scritto così bene nel suo lavoro vorremo invitarla a vederla di persona, magari durante la Settimana Santa, in cui la nostra Confraternita celebra i riti della Crocifissione del Cristo. Sarebbe per noi un onore farle conoscere la nostra realtà, il nostro forte rapporto con il territorio e sopratutto il nostro percorso di fede”.
L'ipotesi lanciata da Andrea Camilleri sulla possibilità che ci sia la mano di Caravaggio nel quadro di San Girolamo è stata confermata nei giorni scorsi sul quindicinale licatese “La Campana” dal professor Ettore Sessa, docente di storia dell'arte all'Università di Palermo.
“Devo dire  -  ha dichiarato Sessa - che a primo impatto mi ha colpito il fondale, perché può sembrare diverso dal modo di come lo lavorava il Caravaggio ma se lo paragoniamo alle opere che egli realizzò a Malta si nota una similitudine . Lo potremo definire un pò spoglio ma questo risalta tanto lo stato d’animo del pittore in quel periodo “buio” della sua vita, perché mentre  dipingeva  aveva la testa altrove visto che il suo obbiettivo era quello di sfuggire alla condanna a morte per omicidio e quindi in taluni casi non riusciva ad esprimersi al meglio”.
Che ha anche aggiunto : “ A parer mio guardando i colori sembrerebbe che il quadro sia stato realizzato da tre pennellate diverse; forse iniziato da un pittore locale sia passato nelle mani di Caravaggio ed infine non è da escludere l’affidamento ad un pittore di bottega che apportò alcune modifiche. Voi licatesi dovete essere orgogliosi di questa opera, mi impegno a venire a Licata con un equipe di colleghi per visitare il quadro e per potere scorgere i particolari da vicino”.
Leggi la lettera con cui il Governatore della Confraternita di San Girolamo, Giovanni Savone, ha invitato Andrea Camilleri
 
 

Il Messaggero (ed. di Ancona, Pesaro), 3.4.2007

Fano. Con uno dei capolavori di Andrea Camilleri si conclude "Commedie e Classici" di Fano Teatro '06/'07: da questa sera a giovedì in scena "La concessione del telefono".
Nei ruoli principali autentici beniamini del pubblico: Francesco Paolantoni con due attori storici dello Stabile di Catania, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina.
La riduzione scenica del romanzo di culto dello scrittore siciliano si svolge a a Vigàta, universo intriso di paradigmatica "sicilitudine", luogo infatti dove si svolgono anche le avventure del personaggio più famoso di Camilleri, il commissario Montalbano.
Un testo che affonda profondamente nell'humus e nel cuore della Sicilia, fra i romanzi di Camilleri è uno dei più divertenti, una specie di commedia degli equivoci e degli imbrogli, che trova la sua ambientazione ideale in un'isola da secoli terra di contraddizioni. La Vigàta dello scrittore agrigentino diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. L'equivoco, che ridicolmente fa da motore all'intera vicenda, è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto. Il protagonista, Filippo "Pippo" Genuardi, per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato, fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno, come in realtà questi si chiama. Da qui una storia articolata, che coinvolge non solo Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia, ma anche la Chiesa e soprattutto i vari apparati dello Stato, ovvero Prefettura, Questura, Pubblica sicurezza e Benemerita arma dei reali carabinieri. E ancora don Calogero Longhitano, il mafioso del paese, nonché quei compaesani, anch'essi siciliani qualsiasi, che involontariamente capitano sulla strada di "Pippo", mosso solo dalla passione per la giovane suocera.
Anche nella riduzione ad emergere è la lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate, una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, sintassi travestita, modi d'uso ricalcati dal dialetto.
Antonio Fiorentino firma la scenografia, Angela Gallaro i costumi, Massimiliano Pace le musiche. Con Paolantoni, Musumeci e Pattavina i bravi Marcello Perracchio e Gian Paolo Poddighe insieme ad Alessandra Costanzo, Pietro Montandon, Angelo Tosto, Giovanni Carta, Franz Cantalupo, Valeria Contadino, Angela Leontini, Giampaolo Romania, Sergio Seminara.
Inizio spettacoli. 21.15. Info. Botteghino Teatro della Fortuna, tel. 0721/800750.
Elisabetta Marsigli
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.4.2007
Il concerto
Marco Betta disco su Barbera e un "Quartetto" al Politeama
[...]
Di Betta è appena uscito un disco prodotto nell´ambito del programma triennale delle celebrazioni per il Bicentenario di Casa Ricordi. Si tratta una raccolta di brani strumentali e vocali (i cui testi sono firmati anche da Camilleri e Roberto Alajmo) dal titolo "Il viaggio di Ferruccio", dedicato appunto a Ferruccio Barbera.
[...]
 
 

Il Messaggero, 4.4.2007
Camilleri e Rosi: così lo schermo può aiutare a leggere
Cinema e libri, che scuola
Il primo Dvd su Luchino Visconti: ogni uscita sarà una sorta di monografia sui grandi maestri italiani e stranieri
Per i ragazzi una collana di audiovisivi sulle pellicole ispirate alla letteratura

Dice Andrea Camilleri che i giallisti sono «contrabbandieri». Nei loro libri, infatti, possono contrabbandare di tutto - anche la politica - con maggiore libertà degli scrittori di romanzi. Aggiunge: «Un’antologia del giallo italiano sarebbe un’ottima storia dell’Italia moderna». A titolo di esempio cita "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Gadda (da cui nel 1959 Germi trasse il film "Un maledetto imbroglio"): «Descrive benissimo la Roma di Mussolini». Così "Il giorno della civetta di Sciascia" (che diventò nel 1967 un film di Damiani), «spiega la cultura mafiosa» e "La donna della domenica" di Fruttero e Lucentini (da cui nel 1975 Comencini trasse l’omonimo film) «racconta la Torino borghese degli anni Settanta». I gialli, i film come i libri, possono quindi diventare strumenti d’istruzione a patto che si eviti un rischio: quello - sostiene Camilleri - di far diventare simpatico il delinquente, come accade per il capomafia de "Il giorno della civetta". «Con quella sua suddivisione del genere umano in tre categorie, gli uomini, gli ominicchi e i quacquaraquà, finisce per diventare un personaggio interessante».
Aggiunge lo scrittore, padre del commissario Montalbano: «Per questa ragione nei miei romanzi evito sempre di metterci i boss mafiosi».
Camilleri ha partecipato ieri con il regista Francesco Rosi, all’Auditorium, a un dibattito sul tema cinema e letteratura. L’occasione è stata fornita dalla presentazione di una nuova collana di audiovisivi, ”Dal testo allo schermo”, diretta da Giovanna Taviani e prodotta dall’editore G.B. Palumbo, un marchio antico (quasi settant’anni) che occupa un ruolo di primo piano nell’editoria scolastica. Realizzata in collaborazione con la Bnl, la nuova collana è appunto indirizzata ai ragazzi; è dedicata ai grandi film della storia del cinema (italiano e straniero) che si sono ispirati alla letteratura. Ogni video, di circa 40 minuti, è concepito come una sorta di monografia visiva su un genere narrativo o su singoli registi. Il primo ”cofanetto” (due dvd) è dedicato a Visconti, il secondo (a cura di Angela Prudenzi) al giallo.
Si spera, con questo strumento, di favorire l’apprendimento della letteratura da parte dei giovani. «La conoscenza di questa materia è assai in declino», ci confidava sconsolato un professore di liceo seduto vicino a noi durante la presentazione. «I ragazzi leggono poco, sono molto distratti». Anche dai telefonini? «Eh, sì. Purtroppo».
Francesco Rosi s’è detto d’accordo con Camilleri, a proposito del pericolo di far diventare eroi i criminali. Evitarlo, ossia rappresentarli senza mitizzarli, è stata per lui «una preoccupazione costante», particolarmente presente quando ha girato "Salvatore Giuliano": «Passava per uno che rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma ha pure ammazzato quarantatrè carabinieri». E’ stata anche questa preccupazione a spingere il regista ad adottare uno stile che lo ha reso grande: l’indagine narrativa. «Non ho inventato, ho interpretato la realtà. Un metodo che è l’esatto contrario del giallo».
Invece il cinema poliziesco americano, ha aggiunto Rosi, non ha mai fatto nulla per evitare il rischio della mitizzazione del criminale. E nella «trappola» è consapevolmente caduto «in nome delle esigenze dello spettacolo», ossia della necessità di confezionare un prodotto di sicuro successo presso il pubblico. A queste esigenze, ha polemicamente affermato il regista, si piega «anche certo cinema adolescenziale italiano dei nostri tempi. Ma non sempre lo spettacolo va d’accordo con la verità».
Ha concluso allargando la braccia: «Purtroppo oggi tutto è mercato».
Oliviero La Stella
 
 

La Sicilia, 4.4.2007
Inesattezze letterarie

Palma di Montechiaro. Intervistato ieri da una troupe di Raidue, giunta al monastero del Santissimo Rosario dove dimorano le suore benedettine di clausura, sull'eco del clamore suscitato dall'uscita del libro di Andrea Camilleri, dal titolo «Le pecore e il pastore», in cui il popolare scrittore empedoclino ha svelato il caso delle dieci monache che si sarebbero immolate per salvare la vita del vescovo, Giovan Battista Peruzzo, rimasto gravemente ferito da colpi di arma da fuoco nel mese di luglio del 1945, nell'eremo di Santo Stefano di Quisquina, il rettore del convento don Nicolò Lupo ha fatto nuove rivelazioni per smontare quanto sostenuto dall'inventore del commissario Montalbano.
Il sacerdote, stimato per la sua preparazione e per la sua inflessibilità nel rispetto della verità sulla storia del celebre santuario, ha sostenuto in primo luogo che le suore non sono morte di inedia e di fame ma che, nell'arco di quattordici anni, e cioè dal 1947, due anni dopo cioè l'attentato al vescovo Peruzzo, fino al 1961, nel monastero sono state sette le religiose benedettine che sono decedute e non certo perché hanno donato la loro vita per salvare quella del loro pastore, ma per le gravi malattie di cui soffrivano come la tisi, comprovate da inconfutabili certificazioni mediche. Il rettore ha aggiunto che tra le sette suore scomparse alcune erano anziane e quindi questa rivelazione smonterebbe in maniera clamorosa la tesi descritta con interpretazioni fantasiose e con la sua riconosciuta brillantezza descrittiva dallo scrittore empedoclino.
Ma la novità assoluta delle rivelazioni di don Nicolò Lupo riguarda quella con la quale si darebbe un colpo mortale al caso delle dieci suore che avrebbero donato la loro vita a Dio in cambio della salvezza del vescovo monsignor Giovan Battista Peruzzo e quindi la tesi di Camilleri sarebbe destituita da ogni fondamento. Don Lupo infatti ha chiamato in causa l'ex badessa del convento, suor Maria Enrichetta Fanara, la quale undici anni dopo l'attentato scrisse una lettera al vescovo per confessargli il sacrificio compiuto dalle dieci consorelle per intercedere sulla sua salvezza fisica. Andrea Camilleri infatti ha scritto che nel mese di luglio del 1945 la Fanara ricopriva il ruolo di badessa e che quindi poteva testimoniare l'immolazione delle dieci suore.
Con un documento inoppugnabile invece il rettore del monastero ha fatto conoscere che nell'anno dell'attentato a monsignor Giovan Battista Peruzzo, suor Maria Enrichetta Fanara era una semplice suora e che assunse l'incarico di badessa a partire dal 10 febbraio del 1946.
Con questa rivelazione di don Nicolò Lupo quindi la storia descritta nel suo ultimo libro dallo scrittore empedoclino Andrea Camilleri sembra non possa essere comprovata da dati probanti ma in ogni caso essa aggrava ancor più il mistero sul perché la defunta badessa decise di svelare al vescovo, dopo undici anni dal suo ferimento, una vicenda che nel monastero del Santissimo Rosario le suore stanno vivendo con amarezza e sorpresa. Alcune monache quasi novantenni ricordano infatti il momento in cui monsignor Giovan Battista Peruzzo rischiò di perdere la vita, dopo essere stato attinto dai colpi di fucili, esplosi a quanto pare da un monaco laico per vendetta, dato che era stato espulso per il suo comportamento stravagante dall'eremo di Santo Stefano di Quisquina, e hanno escluso che nel loro luogo di clausura e di preghiera ci sia stato subito dopo l'attentato una moria di giovani consorelle.
Anche don Calogero Gallerano, il cappellano di quel periodo, ancora lucidamente in vita, ha definito il contenuto del libro «Le pecore e il pastore» non rispondente al vero, anche perché il sacrificio delle suore non avrebbe potuto mai essere nascosto all'esterno, dato che esse ogni settimana ricevevano la visita dei loro parenti e quindi non potevano assolutamente nascondere il loro eventuale precario stato di salute, che avrebbe potuto essere causato dal loro assoluto digiuno per la promessa fatta al Signore di donare la loro vita per la salvezza del loro amato pastore.
La vicenda descritta da Andrea Camilleri nel suo ultimo fortunato libro, che è già in cima alle classifiche nazionali di vendita, sembra pertanto possa essere assimilata a quella di un poliziesco delle cui storie certamente il famoso scrittore è ormai un autentico maestro. Resta però del libro un solo fatto positivo. La celebrità dello scrittore, unita alla descrizione di una storia misteriosa e tormentosa, ancora una volta ha portato alla ribalta la cittadina palmese così come avvenne dopo la pubblicazione, nel 1958, del celeberrimo romanzo «Il Gattopardo». Questo nuovo filone letterario potrebbe infatti costituire una nuova occasione per gli amministratori comunali locali per lanciare il loro paese in un turismo di massa, capace di apportare benefici economici non indifferenti per la comunità. Ma dopo che sono state fatte fallire le iniziative legate al Gattopardo, tra le quali quelle del Parco letterario, negli ambienti palmesi c'è la fondata consapevolezza che l'attuale classe politica dirigente non sia capace e non voglia legare lo sviluppo economico della cittadina ad un turismo in cui l'unica fonte di guadagno potrebbe essere apportata da quello religioso e dallo sfruttamento della notorietà di una famiglia come quella dei Tomasi di Lampedusa, che purtroppo nei piani alti di Palazzo degli Scolopi è stata sempre vista e giudicata con il fumo negli occhi.
Un modo di gestire, questo, che appare controproducente per l'avvenire economico e sociale di una cittadina che ha risorse storiche e monumentali ingenti e per la quale anche Andrea Camilleri con il suo ultimo libro - seppur con le amare inesattezze che secondo gli ambienti cattolici locali ha perpetrato - ha dato sicuramente un notevole contributo poiché ha fatto conoscere all'opinione pubblica non solo nazionale le vicende di un autentico luogo di santità come il monastero delle suore benedettine di clausura in cui si consumò la vita ascetica di suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi, e descritta nel romanzo Il Gattopardo con il nome fantasioso di Beata Corbera.
Della Venerabile, Andrea Camilleri ha fatto una descrizione mirabile, appoggiandosi soprattutto sulla biografia che alcuni anni fa ha dato alle stanmpe la ricercatrice universitaria Mariella Cabibbo. Come si può notare esiste un connubio tra misticismo, arte e cultura che potrebbe rappresentare la vera fonte di ricchezza di una cittadina che purtroppo ancora non riesce ad uscire dall'anonimato.
Filippo Bellia
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 4.4.2007
Sellerio Editore la fabbrica di best-seller
L'inchiesta
Palermo torna felicissima con tremila titoli in vetrina
La casa editrice di via Siracusa nasce nel 1969
Il successo grazie ai grandi vecchi dell´affabulazione Sciascia, Bufalino e Camilleri

Il passato prossimo è Camilleri, il presente è Camilleri, un bel pezzo di futuro è Camilleri. Montalbano, Mimì, Catarella, Fazio e compagnia bella, sono una polizza di assicurazione per la Sellerio, trentotto anni alle spalle con oltre 2.500 libri pubblicati e tanti altri da sfornare nei prossimi secoli. A guardare bene, la storia della più prestigiosa casa editrice palermitana, e siciliana, ha camminato sulle spalle di «grandi vecchi» che come tanti maghi Merlino l´hanno protetta nelle intemperie che ciclicamente si abbattono sul mondo editoriale. Comincia Enzo Sellerio, il fondatore, continua Sciascia che, oltre a dettare la linea editoriale, fornisce quella copertura culturale che serve come rampa di lancio per scalare le scene nazionali e oltre. Quando il passo fatto sembra più lungo della gamba e il rischio di inciampare è fortissimo ecco un altro grande vecchio: Gesualdo Bufalino che con "Diceria dell´untore" sbanca nelle librerie. Infine appena la macchina ritorna ad annaspare, irrompe come un tornado Camilleri da Porto Empedocle, lontano parente di Pirandello, emigrato a Roma con la Sicilia nel cuore, negli occhi, nella mente e nel marcato accento agrigentino. È il trionfo non annunciato, 22 titoli, di cui 11 Montalbano, che scalano le classifiche. Più di uno con tiratura record di 500 mila copie.
Sei milioni di volumi di Camilleri riempiono le librerie degli italiani. E dietro l´angolo il miraggio di altri cinque dattiloscritti ben custoditi in cassaforte - compreso quello sulla scomparsa del commissario di Vigàta - da centellinare nei prossimi anni. Anche a vendere la pelle dell´orso prima di averlo catturato, se tanto ci da tanto, non è difficile pronosticare che Camilleri potrebbe raddoppiare i suoi milioni di lettori nel giro di un quinquennio. Da un bel po´ il sole spazza quotidianamente le nubi nel cielo di via Siracusa. Nella classifica dei cento libri più venduti nel 2006 pubblicata a inizio anno da «La Stampa», la Sellerio sovrasta con tre titoli nei primi quindici («Vampa d´Agosto», 700 mila copie di venduto, e «Le ali della sfinge», entrambi di don Andrea, e «Ragionevoli dubbi» di Carofiglio). Se allunghiamo gli occhi fino al 50° posto, i Sellerio in lizza sono ben cinque.
Eccolo seduto nel suo sobrio ufficio il giovane Antonio Sellerio, 34 anni, che ben sorretto da mamma Elvira tiene le redini di questa fabbrica di best seller. Una scrivania antica e le pareti fasciate da scaffali bianchi riciclati (provenienti dalla libreria di via La Farina, chiusa tre anni fa), dove sono esposti le 450 traduzioni di Camilleri nel mondo, molte edizioni straniere, il dizionario delle opere della Bompiani e un mucchio di manoscritti. Antonio, rosso di pelo, alto, sorriso cangiante dal gioviale al malinconico, è cresciuto saltellando sulle ginocchia di Sciascia. È il figlio d´arte che segue le orme dei fondatori Elvira Giorgianni ed Enzo, fotografo di fama mondiale e geniale inventore del formato e della grafica che ha dato un´identità «corporea» ai libri. L´anima sciasciana poi ha fatto il resto. L´altra figlia, Olivia, si tiene alla larga. Canta, e bene, melodie siciliane contaminate da sollecitazioni multiculturali. Il ricambio generazionale è in corso da anni e Antonio lentamente va sostituendo la madre che da sempre è il cuore e il motore di via Siracusa. «Andiamoci piano con la parola sostituzione - dice il giovane Sellerio - Diciamo che mi sono limitato solo a eliminare l´ottanta per cento delle seccature che affaticavano il lavoro di mia madre. Comunque è sempre lei che continua ad avere l´ultima parola. E debbo dire che sono quasi sempre d´accordo con le sue scelte».
Antonio, laureato in Economia e commercio alla Bocconi si occupa di amministrazione e strategie di mercato, Elvira, una vita in mezzo ai libri coccolata dal Gotha letterario nazionale, cura i contenuti. Un mix perfetto. «Ma non mancano le litigate. E qui accade una cosa curiosa, mentre mia madre mi ascolta quando esprimo le mie opinioni sulla qualità dei libri, che è il suo campo, è portata a contestarmi sulle scelte che competono alla mia sfera». Ed Enzo? «Mio padre è il nume tutelare. Anche se non è impegnato direttamente nella casa editrice, con lui discuto tutti gli aspetti tecnici, copertine e quant´altro. Ha una competenza straordinaria. Senza di lui innanzitutto, e senza Sciascia ovviamente, non saremmo quel che siamo, non avremmo a portata di mano l´obiettivo dei tremila titoli in catalogo».
Le imitazioni sono un vero problema, e meno male che c´è il fondatore a vigilare, pronto a intercettare con lettere sarcastiche i «copioni». «Un editore non solo aveva clonato colori e formato della copertina - racconta Antonio - ma aveva intitolato la sua collana, a imitazione della nostra «La memoria», «Sul filo della memoria». Ci vuole coraggio». Antonio ride: «Più Sellerio di così». Poi, riprende serio: «Anche se per la narrativa ci posizioniamo al quarto posto dietro Mondadori, Rizzoli, Longanesi e Feltrinelli, siamo pur sempre sovrastati dai colossi editoriali. E allora in un mercato che non cresce, l´unica nostra forza è l´immagine. L´abbiamo costruita con fatica e passione e ce la teniamo stretta. Se molti autori rinunciano ai contratti miliardari che le grandi case offrono è perché in noi trovano un´identità in cui si riconoscono. Noi, più che per i libri stampati siamo bravi per quelli che rifiutiamo. Pubblichiamo solo autori che sentiamo vicini». «Carofiglio - continua - ad esempio ha stravenduto con i tre titoli Sellerio e quello pubblicato con Rizzoli, altrettanto bello come i «nostri», nelle classifiche non compare. Il mercato editoriale è una giungla. E siccome la quantità di libri venduti non aumenta, se qualcuno cresce è perché qualche altro dimagrisce. E allora l´immagine è l´unico strumento valido per tenere stretti i lettori». È preoccupato per segnali di fumo che arrivano dall´America il giovane editore. «Oltreoceano - dice - l´ultima tendenza è quella di fare sparire il marchio della casa editrice dal frontespizio. Si punta a valorizzare il libro in sé, come prodotto singolo e non come una tessera inserita in un mosaico culturale. Per noi sarebbe la fine. Emergerebbe solo chi ha più miliardi da buttare sulla promozione».
I prossimi scenari in realtà non preoccupano più di tanto con Camilleri super blindato e con altri «vechietti», tipo Soldati e Fusco, che nelle ristampe vendono a gonfie vele, e con delle forme di collaborazione già sperimentate con altri media che promettono bene. La Sellerio infatti pubblicherà i libri argomento della fortunata trasmissione radiofonica «Alle otto della sera». «Il nostro futuro si genera dal nostro passato e segue le due direttrici segnate da Sciascia: il recupero dei grandi autori e la riscoperta dei nuovi talenti, come è accaduto l´anno scorso con Pietro Grossi, che con «Pugni» ha conquistato pubblico e critica e come accadrà quest´anno a Marco Malvaldi, pisano giovane e verace, che con «La briscola a cinque» fa un affresco stupendo su quel microcosmo toscano affollato di personaggi picari e irridenti. Le nostre radici sono qui, la nostra anima è qui, ma ci piace aprire le finestre e guardare oltre».
Ogni anno le Poste scaricano al numero 50 di via Siracusa, tremila manoscritti. Due persone, forzati della lettura a tempo pieno, fanno la prima scrematura. Quelli che superano la gara a ostacoli finiscono sul comodino di donna Elvira, la pasionaria dei libri. Con questo sistema sono stati scoperti Carlo Lucarelli, apripista - ancor prima di Camilleri - con «Carta bianca» del noir italiano e Santo Piazzese, capofila di una nutrita tribù di giallisti siciliani. E Domenico Seminerio. Antonio Tabucchi, invece, è stato segnalato da Paolo Mauri, uno dei tanti suggeritori, con Antonio Buttitta, Silvano Nigro, Vincenzo Consolo, Luciano Canfora, Giuseppe Bonaviri e altri di acuta lettura.
La storia della Sellerio nasce nel 1969 in un momento di gravi lacerazioni. L´intuizione dei fondatori è che passata la buriana politica la letteratura dovesse riprendere la sua centralità. Ed ecco la prima collana dal titolo pretenzioso («La civiltà perfezionata») e dal formato impossibile (pagine intonse che il lettore deve aprire una per una con il tagliacarte). Anni di artigianato con Sciascia che vigila e rovista nei cataloghi stranieri, poi nel 1978 la grande svolta: «L´Affaire Moro». Centomila libri da stampare e da distribuire in tutta Italia. Un balzo nel buio per una struttura adusa a tirare 3 mila copie e a una diffusione circoscritta. Un successo che incoraggia a varare l´anno dopo la mitica collana «La Memoria». Le svolte si succedono incalzanti: la consacrazione nazionale con Bufalino; il Campiello nel 1981 con «Diceria dell´untore» e altri successi che aiutano a consolidare la crescita. Poi gli anni Ottanta con Tabucchi, Luisa Adorno (una toscanaccia che sulla Sicilia ha scritto pagine corrosive e indimenticabili), Maria Messina, la devota allieva di Verga. Gli anni Novanta scorrono nel colore del giallo. Lucarelli, appunto, Piazzese e la super star Camilleri che si diffonde in tutto il mondo come una brezza girovaga. Nel 2000 "arriva" la multimedialità, per la prima volta con il camilleriano «Cane di terracotta», un libro video insieme a un cartone animato con gioco interattivo. Ma c´è spazio anche per la consacrazione di un mostro sacro come Michele Perriera.
La squadra oggi è più forte che mai, quasi da nazionale del mondo, oltre agli italiani giovani e meno giovani, defunti e viventi, la canadese Margaret Doody, l´inglese Penelope Fitzgerald, il russo Sergej Dovlatov, il cileno Roberto Bolaño e altri. Un discorso a parte per la spagnola Alicia Giménez Bartlett: il 19 aprile esce in anteprima mondiale "Nido vuoto", la settima avventura di Petra Delicado, personaggio a cui la tv sta per dedicare una fiction. Il bomber della squadra resta sempre don Andrea da Porto Empedocle emigrato a Roma con la Sicilia nel cuore, eccetera, eccetera.
Tano Gullo, Salvatore Ferlita
 
 

0574 village, 4.4.2007
La concessione del telefono

Dall'11 al 14 aprile 2007 il teatro Metastasio presenta "La concessione del telefono", una storia tratta da un romanzo dello scrittore siciliano Andrea Camilleri.
"La concessione del telefono" affonda profondamente nell'humus e nel cuore della Sicilia.
L'equivoco, che ridicolmente fa da motore all'intera vicenda, è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto.
Il protagonista, Filippo "Pippo" Genuardi, per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato, fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno, come in realtà questi si chiama.
Da qui una storia articolata, che coinvolge non solo Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia, ma anche la Chiesa e soprattutto i vari apparati dello Stato, ovvero Prefettura, Questura, Pubblica Sicurezza e Benemerita Arma dei Reali Carabinieri. E ancora don Calogero Longhitano, il mafioso del paese, nonché quei compaesani, anch'essi siciliani qualsiasi, che involontariamente capitano sulla strada di "Pippo", mosso solo dalla passione per la giovane suocera.
Il fascino della trasposizione scenica punta essenzialmente sulla novità del testo e si sposa tutt'uno con il desiderio di ricercare strade nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea.
Quando poi, come in questo caso, si è di fronte ad una forma narrativa che invita il lettore a dar corpo ai personaggi, privilegiando il parlato e non la descrizione, ecco che il Teatro si trova ad agire su un campo molto familiare. La parola - ed il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere - fa di questo romanzo un oggetto naturale da elaborare all'interno di un'alchimia teatrale vitale e creativa.
www.metastasio.net
 
 

Spoleto Online, 4.4.2007
Folignonline
Prosa, in scena “La concessione del telefono” di Camilleri
Con “La concessione del telefono”, tratto dal libro di Andrea Camilleri, si conclude il 22 aprile prossimo la stagione di prosa 2006-2007 al Politeama Clarici. Si tratta di una produzione del teatro Stabile di Catania. Regista dello spettacolo è Giuseppe Di Pasquale, le scene sono di Angelo Fiorentino, i costumi di Angela Gallaro, le musiche di Massimiliano Pace.

Tra gli interpreti Francesco Paolontoni e Tuccio Musumeci. E’ ambientato nella Sicilia post unitaria di fine Ottocento, a Vigàta, la città in cui lo scrittore agrigentino ambienta tutti i suoi romanzi fino alle avventure del commissario Montalbano. Filippo “Pippo” Genuardi, innamorato della giovanissima seconda moglie del suocero, per poterla contattare con più agio, avvia regolare richiesta per far istallare una linea telefonica privata, completamente a proprie spese, che colleghi il suo magazzino di legname con la casa del vecchio suocero. Malauguratamente, formula domanda di autorizzazione al prefetto di Montelusa chiamandolo Vittorio Parascianno, anziché Marascianno, come in realtà questi si chiama. Da qui è tutto un susseguirsi di equivoci che coinvolgono non solo Genuardi, e la sua famiglia, ma anche la Chiesa, i vari apparati dello Stato e, non ultimi, don Calogero Longhitano, il mafioso del paese, e quei compaesani, che involontariamente capitano sulla strada di Pippo. A partire da un vecchio decreto ministeriale datato 1892 e realmente reperito tra le vecchie carte di casa sua, l’autore dà vita ad una sorta di commedia degli equivoci e degli imbrogli, che trova la sua ambientazione ideale in Sicilia ed ha come irresistibile alleata l’originalissima lingua creata da Camilleri. Per informazioni occorre contattare l’Auditorium San Domenico (0742-344562).
 
 

Melbookstore, 5.4.2007
Giovedì 5 aprile ore 18.00, Roma
Carlo Romeo presenta il suo libro Boatpeople (Longanesi)
Saranno presenti Andrea Camilleri e Sandro Piccinini

La barca ha solo due momenti belli: quando la compri e quando la vendi. Almeno a quanto recita un vecchio luogo comune. Ribaltando questa e molte altre asserzioni relative al tragicomico e spesso autenticamente periglioso universo della compravendita di una barca, Carlo Romeo, guida il più o meno navigato lettore attraverso le tappe obbligate di un vagabondaggio per porti reali e virtuali, dalla ricerca della custodia per la patente nautica al più o meno indispensabile conseguimento della stessa, dalla sofferta scelta dell’oggetto del desiderio alla (più o meno drammatica) prova in mare. Veleggiando in vista di leasing, ipoteche e normativa fiscale, spesso finendo dritti tra le secche della burocrazia, in fuga da broker nevrotici e sanguinari pirati, si rientra in porto con le reti colme di suggerimenti pratici, ma soprattutto divertiti dall’esilarante ritratto di umana fauna in cui è inevitabile imbattersi nel corso di quest’avventura.
 
 

Corriere della sera - Magazine, 5.4.2007
Libri. La recensione
Una storia vera, terribile, nascosta in una piccola nota in fondo a una pagina

Nell'estate del 1945 il vescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo fu ferito in un agguato e rimase sospeso tra la vita e la morte. Andrea Camilleri ripesca l'episodio e ci ri­porta al clima politico della Sicilia di allora, alle lotte tra i contadini e i grandi pro­prietari terrieri. Il vescovo Peruzzo non era un comu­nista, anzi, però stava aper­tamente dalla parte dei più deboli. A Camilleri (e anche a noi) sembra chiaro chi fu ad armare la mano degli attentatori. La ricostruzione ufficiale, invece, indicò co­me colpevoli alcuni ex frati che espulsi dal vescovo per l'indegnità dei loro compor­tamenti. Politici democri­stiani e poliziotti variamen­te corrotti e amici della ma­fia si mossero nell'ombra a favorire questa tesi.
Ma non è questa la storia principale raccontata nel nuovo libro di Andrea Ca­milleri. E la storia principale non è nemmeno quella di suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isa­bella Tomasi, antenata dell'autore del “Gattopardo”. Non è la storia principale, quella di suor Maria Croci­fissa, ma è comunque una bella storia. Destinata a di­ventare monaca sin dal momento in cui viene alla luce, Isabella ingaggiò poi una battaglia quasi quoti­diana con il diavolo ed eb­be con questi scambi epi­stolari (non è ancora chiaro se fu lei a scrivere lettere a Satana o se fu Satana a scrivere lettere a lei). Certo è che pochi scrittori posso­no vantare una antenata con un curriculum lettera­rio così ragguardevole. La figura di suor Maria turbò e affascinò Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Eppure non è nemmeno questa la storia principale di “Le pecore e il pastore”. A un certo punto si ha quasi l'impressione, leggendo l'ultimo Camilleri, che una storia principale non ci sia, che il Maestro abbia raccol­to suggestioni, tracce, me­morie. Tanto che quando ci si imbatte nel ritratto di uno straordinario chirurgo di guerra, mirabilmente disegnato dall'autore, oppure quando si inseguono me­morie dello stesso autore di suoi incontri giovanissi­mo con alcuni dei perso­naggi citati nel libro (a co­minciare dal vescovo Pe­ruzzo), si finisce per pensa­re che il libro sia una spe­cie di zibaldone di ricordi, con l'andatura zigzagante propria dei ricordi. Viene anche da pensare che Ca­milleri stia indugiando in una deriva archivistica, la­sciandosi attrarre da micro­storie diocesane e conven­tuali. Invece è tutta una tat­tica, la storia principale c'è ed è compressa in poche righe, in una nota di un vo­lume che Camilleri legge per caso (lui di solito salta le note a piè di pagina, lo infastidiscono nel procede­re della lettura). La piccola nota, contenuta in un libro di Enzo Di Natali sull'atten­tato contro il Vescovo dei contadini, è questa: «Nella lettera del 16 agosto 1956 l'Abbadessa sr. Enrichetta Fanara del monastero be­nedettino di Palma Monte­chiaro (il monastero della Gattoparda, ndr) così scri­veva a Peruzzo: "Non sa­rebbe il caso di dirglielo, ma glielo diciamo per fargli ubbidienza... Quando V. E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di die­ci monache per salvare !a vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più gio­vani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore"».
In Sicilia, nel 1945! Una storia inaudita di sacrifici umani. E come morirono le sorelle? E chi erano? Ca­milleri ha scritto libri bellis­simi ma questo è una cosa diversa, è la scoperta di una specie di buco nero della storia, una vertigine, un'esplosione. Un inchino.
Antonio D’Orrico
 
 

l'Unità, 5.4.2007
Il giallo. “Le pecore e il pastore”, l’ultimo libro di Andea Camilleri ambientato al tempo delle occupazioni delle terre
Il Vescovo ferito e il mistero delle monache

Un giallo da disvelare e rac­contare: ma questa volta a condurre l'inchiesta non è il commissario Salvo Mon­talbano, ma Andrea Camilleri «di pirsona pirsonalmenti», per dirla alla Catarella. Lo scrittore di Porto Empedocle, mosso dalla sua passione per la storia, vestiti i panni del ricercatore, si è dedica­to all'elaborazione de “Le pecore e il pastore” (Sellerio, pp. 127, euro 10,00), un testo di indagine stori­ca al quale Camilleri ha lavorato in maniera certosina e puntuale. Più che un romanzo, appare co­me un «saggio narrativo». Con un finale da «giallo». Il libro si muove più nel filone di testi qua­li “La strage dimenticata”, che di ro­manzi quali “Il re di Girgenti” o “Il birraio di Preston”. Ovvero, l'indagi­ne storica prevale sull'aspetto narrativo.
Altre volte Camilleri è partito da uno spunto storico, per ricostruire fantasticamente e letterariamente un evento, qui invece appare più ancorato alla realtà, ai te­sti e ai documenti. Non a caso, il libro nasce da una nota a piè di pagina, in un libro dedicato alla memoria di un Vescovo di Agri­gento. Nota che colpisce l'atten­zione di Camilleri, che gli fa fare «un salto dalla seggia». Leggia­mola: «Nella lettera del 16 ago­sto 1956 l'Abadessa sr Enrichetta Fanara del monastero benedetti­no di Palma Montechiaro così scriveva a Peruzzo: "Non sarebbe il caso di dirglielo, ma glielo dicia­mo per fargli ubbidienza ( ... ) Quando V.E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci mo­nache per salvare la vita del pa­store. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro benea­mato pastore"». Dalla nota ai protagonisti del libro di Camilleri. Al centro della storia vi è il ve­scovo Peruzzo, un piemontese di Alessandria, che nonostante la sua posizione anticomunista, nel 1944 si schierò a favore dei contadini, per quanto riguarda la delicata questione della occu­pazione delle terre. A fianco dei contadini e contro gli agrari. Insomma, una scelta coraggiosa, sul piano sociale ed etico. Gio­vanni Battista Peruzzo, «figlio di poverissimi contadini», ispirato dalla “Rerum novarum”, fu un pasto­re attento alle problematiche so­ciali. Sempre dalla parte degli ultimi, dei deboli, dei poveri. Ca­milleri, che l'ha anche conosciu­to, ricostruisce la sua figura con rispetto intellettuale e morale. Pe­ruzzo definisce: «Una vera grazia di Dio lo spezzettamento del lati­fondo in mano alla nobiltà sici­liana». Esorta i parroci ad «uscire dalle sacrestie», è contro il lati­fondo e spiega che le terre debbo­no andare ai contadini. Camilleri fatta questa premessa, eviden­zia come per gli agrari, il vescovo «rappresentava dunque un vero e proprio pericolo». Peruzzo, do­tato anche di una efficace eloquenza, «aveva saputo conqui­stare un larghissimo seguito». In questo contesto storico accade che il vescovo subisce un attenta­to. Una sera d'estate del 1945, Pe­ruzzo viene ferito mortalmente. Ma operato da un chirurgo bra­vissimo, sopravvive all'attenta­to. Ovviamente, appena la noti­zia dell'attentato si propagò, i fe­deli si misero a pregare per il loro vescovo. E qui diventa centrale la nota prima citata, quella che ha colpito l'attenzione camille­riana. Le dieci monache che «la­sciarono la loro vita» per salvare quella del vescovo. Qui si dipana la parte più complessa del «sag­gio narrativo». Camilleri si inter­roga sul concetto di lasciare la vi­ta e fa diverse ipotesi. «Quindi il modo prescelto sarà stato certa­mente il digiuno totale ( ... ). E soprattutto, niente acqua, nemmeno una goccia a bagnare le lab­bra riarse».
La ricostruzione di Camilleri ha già fatto nascere polemiche. La Curia di Agrigento dice: «che è falso affermare che alcune suore si sono lasciate morire di fame e di sete». «La morte di quelle suore è avvenuta per cause naturali come la malattia, la tisi o altro. Per capire certe parole come "offrire la vita" bisogna entrare in una logica cristiana, altrimenti si sbaglia totalmente bersaglio». Camilleri, quasi che intuisse lo scaturir di polemiche, nella parte finale del libro ha scritto: «Non riesco a tirare nessuna con­clusione da questa vicenda, né per me né per i miei lettori. O for­se le conclusioni mi porterebbero inevitabilmente lontano; tan­to indietro nel tempo, quanto in avanti, fino alla tragica attualità dei giorni nostri. Sarebbe il caso?» Per la serie il dibattito è aper­to.
Salvo Fallica
 
 

TG2 Mizar, 6.4.2007
Chiesa vs Camilleri
Il mistero delle morte di Agrigento
La disputa tra Andrea Camilleri e la chiesa agrigentina sulle misteriose morti in convento di sessant'anni fa. Suicidio o sacrificio?
Cristiana Palazzani
 
 

La Stampa, 6.4.2007
Monsignor Peruzzo
"Conobbi il vescovo che ispirò Camilleri"
La sua storia raccontata da Camilleri nel romanzo «Le pecore e il pastore»

Molare. Era una sera d'estate del 1945. Due colpi di lupara ferirono il vescovo di Agrigento, Giovanni Battista Peruzzo. Sarebbe morto. Ma dieci monache offrirono le loro vite a Dio e il vescovo sopravvisse. Mentre dieci cadaveri si dissolvevano nel silenzio di una strage dimenticata. È la penna pittoresca e mordace di Andrea Camilleri, nel suo romanzo «Le pecore e il pastore» (difficile trovarne una copia in questi giorni nell’Ovadese), a dar forma e vita a questo episodio, inedito, della vita di monsignor Peruzzo, passionista, nato a Molare nel 1878.
Don Anastasio se lo ricorda ancora. Lui era un giovane seminarista quando il vescovo tornava nel Santuario delle Rocche, per la villeggiatura. Hanno lo stesso cognome perché sono nati entrambi nell'omonima località, ai piedi di Molare. Passi lenti e trascinati, don Anastasio ha gli occhi buoni e un fisico essenziale, consumato dai suoi 85 anni. Devo prendere le medicine, dice, ma poi rimanda e si intrattiene con piacere a raccontare di Giovanni Battista Peruzzo, finito nell'inchiostro di Camilleri: «Ho comprato il libro ieri e ne ho letto già diverse pagine, sono curioso anch'io di sapere cos'è successo». Non è affatto stupito del sacrificio delle monache: «È possibile che sia successo: accade anche ai giorni nostri». Nel libro è scritto che a distanza di 11 anni da quel fatto, Peruzzo venne messo al corrente del segreto. «Lui però non ne aveva mai parlato con noi». «Mai» ripete perentorio don Anastasio. Era davvero un uomo di grande carisma? «Assolutamente. Quando apriva bocca incantava la gente, il santuario era pieno così» unisce i polpastrelli della mano destra e si lascia andare a una risata pura. «Era bravo con la parola, un grande oratore, intelligentissimo. L'aveva intuito anche don Bosco». Che vuol dire? «Un giorno, quand'era ancora bambino, suo padre (lui era figlio unico di una coppia di contadini) ebbe modo di presentargli Giovanni Bosco e questo lo guardò e disse “questo bimbo diventerà un grande predicatore”». E così fu.
Ad Agrigento Giovanni Battista Peruzzo era uomo di potere, oltre che un grande religioso: lo stesso Camilleri, racconta nel romanzo, si era intimorito un giorno che era stato convocato da lui per un paio di articoli di ispirazione comunista apparsi su un giornale liceale. Lo chiamavano il «vescovo dei contadini» per le sue battaglie contro il latifondo, «struttura di peccato», così lo definiva. Doveva diventare cardinale di Palermo, poi la voce della sua presunta nomina lo precedette e l'incarico saltò. La Sicilia era il luogo della ribalta, Molare quello del retroscena: «Tornava e ci raccontava per ore e ore aneddoti e fatti della sua vita: l'episodio che più preferiva era la partita a bocce con il generale Pietro Badoglio, durante una visita ad Agrigento. Ce la descriveva nei minimi particolari». Poi quelle fucilate, all'eremo della Quisquina: «Era stata la mafia. Lui diceva sempre “io la Sicilia la capisco e capisco pure perché c'è la mafia, le ragioni vanno cercate in secoli di dominazione straniera”. Era un uomo diretto, diceva sempre le cose come stavano e forse per questo era anche scomodo e ha pagato». Due colpi di fucile e la guarigione rapida: «Si riprese, eccome se si riprese e ricominciò le sue lotte con ancora più tenacia e forza». L'immolazione delle monache gli salvò la vita, in quel caso. Nessuno riuscì invece a strapparlo alla morte la sera del 20 luglio 1963: «Lo colse l'ennesima crisi cardiaca. Stava qui, al santuario, nell'ultima stanzetta in fondo al corridoio. Un rantolo e poi morì». Ora il vescovo è ricordato con un busto sulla facciata del convento.
 
 

Pontediferro, 6.4.2007
Camilleri: 10 monache suicide nella Sicilia della vergogna sanfedista

Ancora donne. L'altra "metà del cielo" esplorata e discussa da sempre, la cui parità con gli uomini, tuttavia, è ancora conquista difficoltosa, contiene al suo interno una "nicchia", quasi un'icona dal velo sottile della quale si parla di rado ed in modo particolare. Sempre donne, ma non comuni: suore e monache dei tantissimi Ordini religiosi, fuori dal "secolo", in un sogno trascendente, nella realtà altra dei monasteri e conventi, in una vita "diversa" di preghiera e di attività sociale e missionaria.
L'immaginario laico o religioso si è formato, su questo mondo femminile separato, quasi esclusivamente sulla letteratura o sulla cinematografia. Sono, così, certamente appassionanti le figure tormentate della monaca di Monza o della "Monaca" di Diderot, entrambe forzate dalle famiglie a varcare, senza vocazione, la soglia del monastero: le Carmelitane di Bernanos e perfino l'infelice Suor Giovanna della Croce del bel romanzo di Matilde Serao, strappata alla sua accettatissima vita di "sepolta viva" dalle leggi post-unitarie di fine ottocento. Meno in luce l'aspetto fattivo di questo mondo, dalle cinquecentesche Badesse, vere e proprie "manager" di enormi strutture conventuali, alle sante fondatrici di nuovi Ordini e monasteri, quali la grande Teresa d'Avila o Madre Teresa di Calcutta. Donne di altissimo valore, comunque escluse dalle gerarchie più alte della Chiesa.
Si è sempre parlato e scritto di loro, comunque, privilegiandone le conflittualità e i disagi, le cadute nell'amore "terreno", le difficoltà di un cammino, scelto o imposto, di rinuncia e di obbedienza, la fattività eroica ed operosa. Insomma tutte quelle qualità "profondamente femminili" che il mondo può accettare anche da donne che non hanno seguito il previsto "ruolo" naturale. Ci si aspetta da loro la serenità, il silenzio dei chiostri. Le "tentazioni" che aggiungono umanità e le sofferenze appartengono al passato di altri secoli ed alla letteratura storica.
Crea, così, sconcerto ed orrore, il fatto straordinario e drammatico narrato dall'ultimo libro di Andrea Camilleri, "Le pecore e il pastore". E' l'autore stesso che si racconta e scopre qualcosa di inatteso: nella nota a piè di pagina di un libro che ha preso a leggere, si incontra con un sacrificio umano, un arcaico patto di sangue, un "suicidio" di massa messo in atto da donne consacrate: l'"auto-strage" dimenticata di dieci monache, scelte tra le più giovani e sane, avvenuta nel 1945 nel Convento del S.Rosario di Palma di Montechiaro, nei pressi di Agrigento.
Si tratta di un giallo storico, di lucidissima investigazione "dialettica", alla quale l'autore prende parte sgomento.
Il punto di partenza è un libro di cronache della Sicilia relativo agli anni difficili e densi di avvenimenti successivi alla fine della seconda guerra mondiale. In primo piano vi è la lotta al latifondo condotta non soltanto dall'emergente Partito Comunista nei suoi dirigenti locali più appassionati (alcuni dei quali prontamente ammazzati) ma anche dal vescovo di Agrigento Monsignor Giovanni Battista Peruzzo, il "vescovo dei contadini". Una figura autentica di cristiano che, conseguente ai valori del messaggio evangelico fortemente intriso di socialità, si era posto a servizio dei deboli e degli abbandonati, contro gli agrari e contro "quella struttura di peccato" che era il latifondo incolto. In una tranquilla sera d'estate, un colpo di fucile vorrebbe porre fine alla sua fortissima azione di contrasto.
Il vescovo è ferito gravemente. Rimarrà per giorni in pericolo di vita. La polizia riesce ad individuare soltanto l'esecutore materiale dell'attentato, mentre i "noti" mandanti rimarranno ignoti. E il "fattaccio" straordinario dell'agguato ad un uomo di chiesa viene "rubricato"come atto di vendetta personale. Dai piccolissimi caratteri di una nota, dunque, emerge per caso l'altra terribile situazione conseguente il ferimento di Monsignor Peruzzo.
Questo il testo della nota: «Nella lettera del 16 agosto 1956 l'Abadessa suor Enrichetta Fanara del monastero benedettino di Palma di Montechiaro così scriveva a Peruzzo: "Non sarebbe il caso di dirglielo, ma glielo diciamo per fargli ubbidienza... Quando V.E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore"».
Le domande che si pone l'autore sono molte, molti sono i vuoti ed i misteri della storia: la sua unica traccia concreta è il testo della piccola nota in un mare di cronache del tempo. Superati con difficoltà l'orrore e la sorpresa, ma soprattutto la spinta ad un commento acre, non può mancare una considerazione rapidissima. Gli errori e le false valutazioni della ragione per quanto grandi, gli stretti margini del sogno che spesso la mente consente, sono lontani anni luce, preferibili e senza dubbio più umanamente sani rispetto alle aberrazioni di qualsiasi fede, religiosa o politica, ciecamente totalizzante fino ed oltre l'esaltazione, fino alle conseguenze estreme dell'auto-distruzione individuale e purtroppo del disastro morale e fisico di interi popoli.
Rosanna Pilolli
 
 

l'Unità, 7.4.2007
Camilleri: lode all’uomo che si volta
Tolleranza e solidarietà sono i valori che lo scrittore siciliano evoca parlando di immigrati e carrette del mare con Valentina Loiero. L’intervista è contenuta nel libro “Sale nero”, una raccolta di storie di “clandestini”
Valentina Loiero
 
 

Prato Blog, 7.4.2007
Metastasio: "La concessione del telefono" di Andrea Camilleri

Il celebre comico e attore Francesco Paolantoni è tra i protagonisti della riduzione scenica de “La concessione del telefono”, uno dei romanzi più apprezzati e divertenti di Andrea Camilleri, interpretata assieme ad attori quali Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe. L’opera, trasposta dallo stesso Camilleri insieme al regista Giuseppe Di pasquale, e prodotta dal Teatro Stabile di Catania, va in scena al Metastasio di Prato da mercoledì 11 a domenica 15 aprile. L'equivoco che fa da motore all’intera vicenda, è lo scambio tra due lettere dell'alfabeto. Il protagonista, Filippo "Pippo" Genuardi, per ottenere la concessione di una linea telefonica per uso privato, fa domanda formale al prefetto di Montelusa, denominandolo Vittorio Parascianno anziché Marascianno, come in realtà questi si chiama.
Da qui una storia articolata, che coinvolge non solo Genuardi, siciliano qualsiasi, e la sua famiglia, ma anche la chiesa e soprattutto i vari apparati dello stato, ovvero prefettura, questura, pubblica sicurezza e carabinieri. E ancora don Calogero Longhitano, il mafioso del paese, nonché quei compaesani, anch’essi siciliani qualsiasi, che involontariamente capitano sulla strada di "Pippo", mosso solo dalla passione per la giovane suocera.
Il progetto di riduzione teatrale bene si sposa con la natura dialogica del testo. La lingua di Camilleri, come sappiamo personale e originalissima, ripropone una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, sintassi travestita, modi d’uso ricalcati dal dialetto. Il fascino della trasposizione scenica punta essenzialmente sulla novità del testo e si sposa tutt’uno con il desiderio di ricercare strade nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea.
 
 

La Sicilia, 7.4.2007
«Siamo città letteraria»
L'amministrazione comunale ha presentato un progetto alla Regione per valorizzare al massimo il patrimonio derivante dall'avere dato i natali non solo ad Andrea Camilleri
 
 

Corriere della sera, 8.4.2007
La Pagella
Un Caravaggio “di troppo”
Andrea Camilleri, “Il colore del sole”, Editore Mondadori, Pagine 124, Euro 12

È un po’ troppo prolifico il buon Camilleri e in questo nuovo libro diventa svagato sperimentatore di linguaggi che non gli appartengono (e poco conosce), così come narratore di vicende storiche (miste legittimamente d’invenzione) su cui ha solo approssimativamente notizie. Qui, nel ricostruire alcuni episodi della vita di Caravaggio, monta oltre tutto un’inconsistente architettura narrativa. Qualcuno infila nella tasca dello scrittore un misterioso biglietto: a lui bastano un paio di telefonate e un giro in Mercedes perché entri in possesso di un manoscritto autobiografico sugli anni maltesi e siciliani del Merisi. Camilleri trascrive (e chiosa) il manoscritto in un improbabile italiano secentesco e lo riempie di golose notizie su una vita travagliata che sono luoghi comuni già ampiamente dibattuti e spesso smentiti. Ne vengono poco più di cento paginette sgangherate che il geniale scrittore poteva risparmiare a sé e ai lettori.
Voto 4
Giorgio De Rienzo
 
 

Marsala.it, 8.4.2007
Camilleri, le pecore e il pastore
Le nostre recensioni

Ancora una volta Camilleri si dimostra abilissimo cantastorie di “cunta” siciliani, sempre così sospesi tra il sacro e il blasfemo, il dovere e l’orrore, la vendetta e il perdono, il dico e non dico. Cose e storie di Sicilia, insomma, in cui Camilleri si dimostra più a suo agio che non negli ultimi racconti di Montalbano che non sembrano più in grado di offrire niente di nuovo ai fan dello scrittore siciliano.
Cose e storie di Sicilia, in cui Camilleri si imbatte quasi per caso, una nota a piè di pagina in un libro che racconta del tentato omicidio del Vescovo di Agrigento, cui viene salvata la vita – a quanto pare – dal sacrificio umano (si, umano) di dieci suore di un convento che “lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore”.
Sembra una storia di secoli fa. Era il 1945.
Parlando di “Ho visto Nina volare”, canzone composta con De Andrè per l’album “Anime Salve” nel 1997, Ivano Fossati racconta della meraviglia sua e del Faber quando, in giro per l’Italia, si fermarono in un paesino del Molise dove gli abitanti gli mostrarono alcune foto di giovani donne impegnate nell’antichissimo mestiere di masticare il miele, per separare i pezzi di cera dal resto. Presero una foto in mano. Gli sembrava antichissima. Era degli anni ’60. Da qui è nata “Ho visto Nina volare”, canzone capolavoro.
Io me la sono cantata per tutta la lettura del libro. Pensavo alle suore, e dicevo “mastica e sputa”…
Un’altra cosa.. Certi libri non dovrebbero essere messi in vendita. Dovrebbero essere regalati. Qualcuno glielo spieghi al Sig. Sellerio e ai suoi colleghi. Già i lettori siam pochi, ci maltrattano così….. Un libro tascabile di 127 pagine ( e la prima è pagina 11) , scritto in corpo 18, interlinea doppia, che si legge in un’ora e un po’ di aereo, venduto a 10 euro è un furto. Peccato. Poteva essere regalato. La sensazione che sia un libro scritto per contratto, quasi per forza, per atto dovuto, ti accompagna per tutta la breve lettura. Sempre di Camilleri ricordo l’analogo “Il medaglione”, per Mondadori, stavolta. In entrambi i casi non ci guadagna nessuno. Garantito.
Giacomo Di Girolamo
 
 

Corriere della sera, 10.4.2007
Il libro. Carlo Romeo racconta in «Boatpeople» tutti i segreti e le traversie di chi acquista una barca
Ironia e amore «folle» per il mare: la Coppa America del signor Rossi

Popolo di santi, poeti e navigatori. I vecchi detti restano si sa, ma quanto è rimasto in buona sostanza degli italiani «gente di mare» è difficile dire. Per Carlo Romeo, giornalista con la passione per la navigazione: «Noi italiani il mare lo abbiamo, per la maggioranza, nel sangue. Lo abbiamo odiato, rifiutato, rimosso, ma gli siamo legati da generazioni e generazioni». E i navigatori italiani del XXI secolo hanno ora uno strumento in più per riscoprire l'Amerigo Vespucci che è in loro, si chiama «Boatpeople - Manuale di sopravvivenza per chi compra una barca» (Longanesi), il libro di Carlo Romeo per orientarsi nel mondo della compravendita di natanti. I tanti ammiratori delle imbarcazioni da diporto piccole e grandi, quelli che si sono rassegnati a guardarle solo da lontano e i cosiddetti esperti, non possono che apprezzare il libro di Romeo, una divertente e acuta disamina dei più classici fra i luoghi comuni sull' ambito oggetto del desiderio: «È un libro ironico e divertente - sottolinea lo scrittore Andrea Camilleri - l'arma dell'ironia è adoperata per prendere le distanze da certe situazioni e a volte anche da se stessi. Le persone come Carlo non vogliono fare della barca uno status symbol, per loro la barca non è barca, ma è il mezzo per prendere il largo nel mare interiore». Alla scoperta dei mille inciampi che si frappongono tra la barca e il compratore, Romeo racconta le tappe obbligate della incessante ricerca del mezzo, dalle «origini della follia» come le chiama lo scittore, alle spedizioni nei porti (veri e virtuali) e il conseguimento della patente nautica, fino alla prima uscita in mare: «In Italia c'è la maledizione dello status symbol, per cui se hai la barca o sei ricco o sei snob, questo libro vuole far capire che la barca può invece essere per tutti». Come nasce l'idea di scrivere un manuale di sopravvivenza per chi compra una barca? Bè innanzitutto, il mezzo, bisogna averlo: «Arriva un momento - spiega Romeo - in cui decidi che certe cose le fai o non le fai più, la barca è uno di questi attimi fuggenti. Dopo aver girato un pò ho trovato, a marzo del 2005, una barca abbandonata da anni, era di un ammiraglio ottantenne». Nel momento dell'acquisto ci si deve saper destreggiare, perché il mare diventa insidioso, battuto dai venti a forza otto dei leasing, delle ipoteche e dei broker. Naturalmente niente capitolo 17, nel libro di Carlo Romeo, ma un bel 16 bis. Nei confronti dell'America's Cup, Romeo nutre una specie di odio amore: «Come si fa a non ammirarla, ma allo stesso tempo mi terrorizza, perchè non si impara a guidare guardando la Formula Uno». Le barche che racconta lui sono altre e navigano in tutt'altra direzione: «Siamo bombardati da una serie di rumori, nella vita di tutti i giorni ogni voce nuova scaccia via quella immediatamente precedente. Invece la barca ti avvolge con il suo silenzio, in mare si è soli con se stessi». Il capitolo finale del libro analizza il momento più difficile per chi va per mare, la vendita (romanticamente «separazione») dalla barca. Teorie e tecniche dell'abbandono che si concludono così: «Non vendo la mia barca, ora voglio solo imparare ad usarla meglio».
Simona De Santis
 
 

La Stampa, 11.4.2007
Camilleri
“Il migliore? Meglio nessuno”

Lo scrittore Andrea Camilleri è perplesso: «Sono stonatissimo, non riesco a cantare neanche in bagno. Però, per una volta, ci provo, e a squarciagola: Questo o quello, per me pari sono. La verità è che sono perplesso su tutto, e ancor di più sul Partito Democratico. Un partito che nasce dalle segreterie, dove si decide ogni cosa, dove ci viene impedito persino di mettere una crocetta sulla preferenza, ecco, non mi convince. Meglio cantare. Meglio nessuno».
 
 

Corriere della sera, 11.4.2007
A fil di rete
Camilleri-Lucarelli maestri a confronto

Con l’espediente narrativo dell’intervista parallela, siamo entrati nella bottega di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, due star del libro e della tv, già consacrate dalla parodia e dall’imitazione.
Attraverso interviste, letture di brani da parte degli autori, immagini di repertorio, filmati vari girati tra la Sicilia e l’Emilia Romagna (casa Lucarelli ospita un inquietante museo delle armi moderne), aneddoti e una spruzzatina di Mozart, Matteo Raffaelli e Michele Pellegrini mettono di fronte due maestri della letteratura di genere contemporanea: «A quattro mani» (Raitre, lunedì, ore 23.45). I libri si leggono, non si spiegano, almeno da parte degli autori. E dunque l’unico modo di seguire in maniera creativa questo interessante documentario è leggerlo alla lettera, come se fosse davvero un nuovo racconto scritto a quattro mani. Secondo gli autori (televisivi), «il movente artistico di entrambi gli scrittori parte dall’idea chiara che raccontare storie, farlo semplicemente con un occhio documentaristico e quindi attingendo fortemente alla fonte della realtà, ha un forte significato civile e sociale.
Questa urgenza nasce dalla convinzione che le storie di malavita segnano inesorabilmente lo svolgersi della storia d’Italia, e raccontarle è necessario per alimentare la coscienza civile del nostro Paese». Eppure le immagini e le interviste sembrano smentire questo assunto. Camilleri, ad esempio, spiega che la letteratura serve a poco («bisogna essere dei predestinati alla lettura») e anche Lucarelli non è così convinto che i libri cambino il destino della storia (ricorda il famoso aneddoto di Giorgio Scerbanenco sulla mano che tenta di fermare la locomotiva). Ancora Camilleri, cui forse la costrizione nella letteratura di genere suscita qualche fastidio, spiega come il giallo moderno non si interroghi più sul «chi è stato?» ma sul «perché l'ha fatto?». E lo spostamento di questa domanda è anche uno spostamento di genere. Per i fans di Camilleri & Lucarelli, il dvd con libro edito da minimum fax è reperibile anche nelle librerie.
Aldo Grasso
 
 

La Repubblica (ed. di Firenze), 11.4.2007
Metastasio
Paolantoni e la Sicilia un testo di Camilleri

Andrea Camilleri è un signore sornione, coltissimo ed un grande giallista cui si deve il personaggio popolarissimo del commissario Montalbano. Ma Camilleri è anche un autore - e un eccellente studioso - di teatro che ha creato assieme a Giuseppe Dipasquale la novità "La concessione del telefono" che da stasera a domenica è in scena al Teatro Metastasio di Prato con un attore di famoso come Francesco Paolantoni (feriali ore 21, domenica ore 16,info 0574608501). "La concessione del telefono" affonda profondamente nell´humus e nel cuore della Sicilia. Si tratta di uno dei romanzi di Camilleri più divertenti: una specie di commedia degli equivoci e degli imbrogli che trova la sua ambientazione in un´isola. Nell´opera il protagonista è uno scrittore di Agrigento [Sic!, NdCFC] che diventa metafora di tutte le contraddizioni della Sicilia. Il testo di Camilleri - in una lingua che si fa canto - racconta di tranquilli paesani, di mafiosi, di prefetti, di scambi di lettere di alfabeto.
 
 

La Repubblica, 11.4.2007
Il contatto in strada a Milano, poi sui ponteggi per lavorare dalle sette fino al tardo pomeriggio senza casco e protezioni
Tre euro l'ora per rischiare la vita
"Io, vittima dei caporali nei cantieri"

Abusi, ricatti e pericoli: al lavoro con i manovali irregolari

[...]
L'edilizia, oggi, è diventata terra di predoni e di oppressi ridotti in cattività. A volte lasciati morire in silenzio. Come scrive Andrea Camilleri ne "La Vampa d'agosto". "... è caduto dall'impalcatura del terzo piano... Alla fine del lavoro non si è visto, perciò hanno pensato che se n'era già andato via. Ce ne siamo accorti il lunedì, quando il cantiere ha ripreso il lavoro... Forse, pinsò Montalbano, abbisognerebbe fari un gran monumento, come il Vittoriano a Roma dedicato al Milite Ignoto, in memoria dei lavoratori clandestini ignorati morti sul lavoro per un tozzo di pane".
Paolo Berizzi
 
 

AISE, 11.4.2007
Italiani nel mondo
Proseguono le iniziative del mensile "Panorama Italian Canadian" dedicate alla comunità italo-canadese

Toronto - Proseguono le iniziative dedicate alla comunità italiana in Canada, promosse da Panorama Italian Canadian, tabloid mensile voce dei club e delle associazioni di Toronto.
Tra queste, il 18 aprile prossimo, in collaborazione con il Columbus Centre, sarà proiettato, presso la sede del centro, il film "Gatto e Cardellino", nell’ambito della serie "Il Commissario Montalbano", dai romanzi di Andrea Camilleri.
 
 

Italo Francese, 12.4.2007
Camilleri legge i "Racconti di Pietroburgo" di Gogol
Fabio Volo intervista Andrea Camilleri
 
 

Il Giornale, 12.4.2007
Meglio due tette o quattro mani (di scrittori)?

Chi dice che non si può parlare di cultura in televisione dovrebbe guardarsi il film documentario che andrà in onda su Raitre lunedì prossimo (purtroppo alle solite ore da nottambuli, le 23.40), dove Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli si esibiscono in un "A quattro mani". La pensata è di Daniele Di Gennaro, uno degli editor di minimum fax, la originale casa editrice romana che si è imposta all’attenzione della critica per la pubblicazione dell’opera omnia di Carver e dei giovani autori “minimalisti” americani. Adesso come si capisce, fanno anche altro. La regia del film è di Matteo Raffaelli, classe 1974, autore della scuderia Fandango che dal 2005 collabora anche con minimum fax media.
Un’ora di film che dimostra come anche libri e scrittori non sono così pallosi come sembrano pensare i grandi capi delle televisioni pubbliche e private. Cosa succede in quest’ora di documentario? Siamo a Palermo, in una pasticceria dove si confezionano cannoli. Un pacco parte dall’aeroporto di Punta Raisi, arriva nello studio di Lucarelli a Bologna. Si apre il pacco, dentro c’è un cannolo e nascosto nella ricotta c’è un biglietto... È l’inizio di un’indagine condotta a quattro mani dal commissario Montalbano e da Grazia Negro (che diventerà un libro, ma solo tra due anni). È anche l’inizio di una narrazione dove i due autori percorrono entrambi la strada che li ha portati alla scrittura, un’intervista doppia dove si parla di letteratura e di gialli ma non solo. Attraverso le loro storie scorre un vivace ritratto d’Italia visto con i 40 anni che separano l’uno dall’altro autore. Sciascia personaggio importante nella carriera di entrambi, la passione di raccontare storie, i motivi del loro successo, non solo commerciale. Camilleri che sdogana definitivamente il noir come letteratura di genere: «Oggi non è tanto il chi ha ucciso che interessa in un romanzo giallo, ma il perché è stato ucciso. Questo fa sì che si esca dallo schema trito del giallo per diventare un romanzo qualsiasi, senza possibilità di catalogazione».
E allora avanti così. Fatene altre, di interviste a quattro mani o anche a due mani soltanto. Portate un po’ di scrittori in tv. Non si capisce perché si può mandare in onda vita morte e miracoli di una velina, e invece non dovrebbe interessare al grande pubblico la vita e l’opera di un autore? Se Fabio Fazio riesce a conversare con Mario Rigoni Stern, Carlo Fruttero o Luigi Meneghello in prima serata. Se Daria Bignardi intervista barbaricamente personaggi come Mauro Corona. Perché dobbiamo continuare a sorbirci le veline?
Caterina Soffici
 
 

Wuz.it, 12.4.2007
A quattro mani

"Un documentario di creazione si immerge nei colori del giallo e del noir mettendo faccia a faccia i due maestri della letteratura di genere contemporanea: Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli".
Una trasmissione da non perdere per capire come nasce una storia anche attraverso le esperienze di vita di chi la scrive.
L'abbiamo vista in anteprima e abbiamo intervistato il regista Matteo Raffaelli e il produttore Daniele di Gennaro di minimum fax media per scoprire qualche segreto che ci farà gustare ancora di più la visione del film.
Attraverso la chiave della doppia narrazione, due scrittori ripercorrono il percorso della scrittura, l’ambiente familiare e l’Italia nella quale hanno cominciato a vivere e a scrivere a 40 anni di distanza l’uno dall’altro. Il film-documentario ci rivela i numerosissimi punti in comune fra i due scrittori: un forte impegno civile e un grande interesse per la storia contemporanea, e la passione per i due generi narrativi, il giallo e il noir, che cercano di rispondere alle due domande chiave: "chi è stato?" e "che cosa sta succedendo?".
Parallelamente si sviluppa un vero e proprio corso di scrittura che dietro le esperienze personali dei due autori rivela molti suggerimenti da cogliere al volo, ma anche una testimonianza con riflessioni sul nostro tempo, vista con gli occhi cinici e disincantati di Camilleri e con quelli più speranzosi di Lucarelli, che ancora forse si aspetta dal futuro un cambiamento nel quale Camilleri palesemente non crede più: "uno show fatto da due persone che per vicende diverse di esperienza diretta conoscono profondamente lo strumento televisivo e i suoi tempi".
Un documentario denso di curiosità e notizie: ascoltiamo la vicenda legata alla pubblicazione de "La strage dimenticata", il primo lavoro di Camilleri e scopriamo come ha deciso di scriverlo, chi (Sciascia) gli ha suggerito di farlo, come ha conosciuto Elvira Sellerio e perché Garzanti lo sgridò. E, ancora, come anche Lucarelli pubblicò con Sellerio il primo romanzo ("Carta bianca"), e come su quel testo proprio Sciascia espresse parere positivo.
Vediamo come organizzano il lavoro, come impostano la trama, come cercano di risolvere i problemi della coerenza dei fatti e vedrete che Lucarelli ha trovato una formula certamente innovativa!
Infine "il vero e proprio valore aggiunto dell’esperienza di "A quattro mani": una jam session narrativa dove sia Montalbano che Grazia Negro si trovano di fronte allo stesso delitto, in Toscana, guarda caso ospiti delle due case di campagna degli stessi protagonisti secondari, Camilleri e Lucarelli. I due scrittori scrivono così una storia a quattro mani, mettono in atto una vera e propria session di improvvisazione, una sorta di jazz letterario".
Anche se Camilleri dichiara provocatoriamente: "non credo che la letteratura serva a nulla"...
Un bellisimo documentario a due voci. Com'è nata l'idea e perché la scelta è caduta su Camilleri e Lucarelli, sostanzialmente due autori molti diversi sia per il tipo di narrativa (pur sempre prevalentemente "gialla") sia per l'età e la storia personale? Siete partiti dal legame rappresentato da Sellerio e da Sciascia o lo avete "scoperto" in seguito? O sono stati loro a proporsi a vicenda, come sembrerebbe di capire alla fine del documentario?
Matteo Raffaelli: Un paio di anni fa quando minimum fax media, ha cominciato a produrre progetti audiovisivi sperimentali sulla narrativa, Daniele di Gennaro ha messo in contatto i due maestri del mistery italiano, sperando di far nascere un documentario sul lavoro dello scrittore (cosa che poi è successa). Loro in realtà si stimavano ma a distanza, salvo qualche occasionale incontro. Naturalmente costringerli in una stanza insieme per qualche giorno gli ha fatto subito venire voglia di scrivere qualcosa a quattro mani.
È vero che sono due autori molto diversi, ma è proprio questa diversità che spesso li unisce, agli antipodi su certi temi si trovano perfettamente daccordo sui metodi narrativi. L'unicità di questo lavoro è proprio l'assoluta complementarità dei due, che sembrano fatti a posta per lavorare insieme.
Daniele di Gennaro: Hanno quarant'anni tondi di differenza. Hanno letto tutto l'uno dell'altro. L'idea era fare incrociare lo sguardo, gli stili e le storie di due persone che soprattutto godono della nostra stima anche a livello umano. Con Carlo ho fatto due viaggi in Eritrea e incrociando idee intorno alla serie audiovisiva di minimum fax media attorno alla scrittura, abbiamo pensato che un faccia a faccia fra lui e Andrea sarebbe stato fruttuoso. Per il lavoro fatto sull'inchiesta, la memoria e la storia della malavita che più o meno coincide con la storia d'Italia.
Il film ha un ritmo giusto, non annoia e, malgrado si tratti in sostanza di una semplice doppia intervista, è anche avvincente. Qual è stata la chiave per realizzare un lavoro non "statico"?
Daniele: Non ne potevamo più delle parole sulle parole pronunciate dando le spalle a una libreria. Matteo Raffaelli, per non cadere nella solita operazione fatta al volo da una troupe a rubar dichiarazioni ha fatto un lavoro davvero scientifico. Ha letto tutto lo scritto e il detto dei due scrittori, ha avuto con loro un approccio intelligente, e si è guadagnato la loro fiducia. Da lì il lavoro è andato in discesa. Fino a farsi raccontare cose che per esempio Camilleri non aveva mai detto a nessuno, come la sua cacciata dal collegio vescovile, che trovo sia uno fra gli episodi più intensi del film.
Matteo: Da subito il nostro obiettivo era quello di non fare un documentario "seduto", per addetti ai lavori, ma mettere in condizioni chiunque di potersi sedere, si, ma alla loro scrivania, capire cosa c'è nella testa di uno che scrive, quali sono i ferri del mestiere, le paure, le incertezze, le abitudini. Insomma volevo svelare il dietro le quinte di un romanzo che si va costruendo.
Il metodo migliore per fare questo è stato a mio avviso realizzare un vero e proprio racconto visivo, studiato a tavolino e ordito in modo da svelare poco a poco gli elementi drammaturgici della storia. Quale storia? Quella delle vite di due grandi scrittori che diventati famosi decidono di lavorare insieme.
Come avete lavorato? Su una scaletta predeterminata o avete cambiato le riprese "in corso d'opera"? I due scrittori hanno voluto/potuto in qualche modo intervenire sui contenuti?
Matteo: Ho scritto un vero e proprio trattamento basato sulle loro biografie e sui libri che hanno scritto, ma di questo testo non gli ho mai parlato, all'inizio hanno cercato di capire che diavolo avevo in testa, poi hanno rinunciato e per mia grande fortuna si sono fidati. Mi era chiaro il territorio sul quale volevo condurli, ma non avevo la minima idea di come avrebbero reagito, e questo è stato il risultato più bello. Nel documentario si affronta il tema spinoso e complesso del perché si scrive, le ragioni profonde e il senso della letteratura, ovviamente per loro. E in quel caso hanno dato il meglio in modi straordinariamente diversi, devo dire che questa parte si è montata quasi da sola.
Daniele: Dapprima abbiamo fatto le prime otto ore di girato con i due faccia a faccia nello studio di casa Camilleri. Matteo Raffaelli ancora non c'era, il regista giusto, che poi è stato lui, lo stavamo ancora cercando. Quel confronto però fu una specie di test che ha fatto scoppiare l'intesa dei due scrittori fino alla follia della jam session letteraria. In una pausa di cambio batterie delle camere, ho chiesto ai due come si comporterebbero Montalbano e Grazia Negro alle prese con lo stesso delitto. Non hanno finito più di "muovere" i loro personaggi, con una tale partecipazione che a un certo punto sembrava parlassero di loro stessi. È nata una formidabile partita a scacchi che si sta concretizzando sotto forma di romanzo epistolare dove i due investigatori incrociano le armi in un'inchiesta non ufficiale. Non sappiamo quando uscirà. Ci sono in mezzo. È cosa rara vedere un libro nato da un documentario. Di solito è il contrario.
I filmati d'epoca che si inseriscono nel racconto appartengono all'archivio dei due scrittori?
Matteo: Il repertorio è dell'Archivio Nazionale del Film di Famiglia che consiglio a tutti di consultare anche solo per curiosità al sito www.homemovies.it. e che ringrazio apertamente per la dedizione e la cura con cui mi hanno aiutato nel lavoro di ricerca.
Ovviamente gli archivi non hanno niente a che fare con gli scrittori e non hanno la minima pretesa di storicizzare il loro passato. Sono stati usati e scelti in modo molto estraniante per evocare un epoca, suggerire delle sensazioni e soprattutto rappresentare i molti livelli di memoria che si intersecano fra di loro e intervengono nel processo creativo di chi scrive una storia.
Daniele: La scelta straniante di Matteo delle immagini di repertorio è una delle cose più belle e rischiose del film. Nel senso che l'effetto raccolto alla fine non si poteva certo dare per scontato. Ha osato fare un lavoro sull'idea di memoria che rende chiaro e senza enfasi il forte elemento civile dei due autori, e l'impegno che esprimono dentro e fuori la loro scrittura. Il respiro del film se ne giova e lo stacca nel genere da qualsiasi prova semplicemente giornalistica.
Detto fuori dai denti, il valore aggiunto sta nel fatto che i narratori in "A Quattro Mani" sono tre: Andrea, Carlo e Matteo.
Il film rappresenta una sorta di "scuola di scrittura". È un risultato voluto, scelto sin dall'inizio, generato dal montaggio?
Daniele: minimum fax media è una casa di produzione cinematografica nata a fianco a minimum fax dopo l'avvento nella squadra della produttrice Rosita Bonanno. Dal gruppo di ragionamento della casa editrice nascono quando possibile progetti audiovisivi generati dalle ricerche fatte per i libri. Le collane sul mestiere di scrittore di minimum fax hanno ormai quindici anni di ricerca, e fare questo film sulla scrittura è stata per noi una prosecuzione naturale del nostro lavoro. L'ottica generale è fare film documentari che godano della cura dei dettagli, della scelta e della ricerca dell'editore. Come i nove documentari sugli scrittori newyorkesi "Scrivere New York", una serie fortunata venduta in diversi paesi esteri. Vorremmo fare film selezionati che seguano una linea di ricerca che componga una vera e propria collana. Insomma, fuori dal nastro industriale, niente di "cinematografàro" nel senso del lancio random dei film come fish da casinò su più tavoli alla ricerca di un solo successo che copra il buco finanziario di altri dieci fallimenti.
Matteo: Più che una scuola di scrittura, anche se sicuramente può essere utile a chi scrive, il documentario lo considero una finestra sul laboratorio di due grandi scrittori, che non vengono visti in modo accademico e ingessato, ma osservati quasi nella pratica quotidiana del loro mestiere.
Purtroppo anni di televisione incapace di affrontare sfide impegnative come questa ci hanno abituato all'idea che parlare di letteratura in tv sia noioso e non interessi a nessuno. Secondo me oggi c'è una grande fame di sapere, sta a chi è del mestiere rimboccarsi le maniche e inventare sempre nuovi modi per affrontare questi temi e soprattutto avere il coraggio di proporli.
Giulia Mozzato
 
 

Libero, 12.4.2007
Questi ex comunisti son sempre in ritardo

Fino a poche settimane fa, Piero Fassino credeva che Arcipelago Gulag fosse un atlante geografico. Poi gli hanno spiegato che si trattava di un libro importantuccio scritto da un certo Solgenitsyn sui gulag, i campi di lavoro forzato creati da Lenin e perfezionati da Stalin. Oibò, ma tu guarda che scoperte bisogna fare a una certa età. «Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano», ironizzava Giorgio Gaber. Che infatti è stato rimosso dal pantheon culturale del partito democratico. Lì, ci stanno meglio Jovanotti, Ozpetek, Camilleri.
[...]
Gianluigi Paragone
 
 

L'espresso, 19.4.2007 (in edicola 13.4.2007)
Ora parla Enzo Biagi

[...]
Andrea Camilleri scorderà Montalbano per disquisire sul suo amato gatto.
[...]
 
 

La Repubblica, 13.4.2007
Il caso. Su "L´espresso" anticipazioni sulla prima puntata con interviste a Gherardo Colombo e Saviano
Il ritorno di Enzo Biagi in televisione "Con la testa siamo sempre stati in onda"

Roma - «In questi cinque anni di confino, con la testa siamo sempre andati in onda». E´ tornato. Dopo l´editto bulgaro di Berlusconi e la cancellazione de "il fatto" dal palinsesto, Enzo Biagi a 86 anni torna a parlare in Rai con una nuova trasmissione. Si chiamerà "Rt/Rotocalco televisivo" - una citazione simbolica visto che il titolo è quello del primo programma di Biagi nella Rai di Bernabei, anno 1962 - e partirà domenica 22 aprile alle 21,30 su Rai Tre, per proseguire poi di lunedì in seconda serata. Per questo nuovo inizio, a cui L´espresso dedica un lungo servizio di copertina, Biagi ha scelto il tema della Resistenza, parlandone in studio con chi "resiste" ancora oggi: Gherardo Colombo, dopo il suo addio alla magistratura, e lo scrittore di "Gomorra", Roberto Saviano.
[...]
E poi racconteranno le loro storie Paolo Rossi, Fabio Fazio, Andrea Camilleri, il vignettista Vauro.
[...]
 
 

Il Venerdì, 13.4.2007
Televenerdì. Lunedì sera su RaiTre, faccia a faccia tra due fuoriclasse del poliziesco
Con Camilleri e Lucarelli il giallo è “A quattro mani”
”A quattro mani”, RaiTre, lunedì 16 aprile, alle 23,40

Immaginate un cadavere, enigmaticamente circondato da pesci rossi morti. Immaginate che alla risoluzione del mistero lavorino due tra gli investigatori più popolari del giallo all'italiana: il Salvo Montalbano di Andrea Camilleri e la Grazia Negro, inventata da Carlo Lucarelli. Immaginate, infine, che siano proprio i due giallisti a immaginare lo sviluppo del plot, in un faccia a faccia, una lunga conversazione che assomiglia a un'intervista reciproca ma anche a una jam session, un'improvvisazione jazz trasferita nell'universo del noir. Adesso smettete di immaginare e, se siete patiti del genere, preparatevi alla simpatica disfida in giallo: uno di fronte all'altro, Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli parlano di libri già scritti o a venire, di autori amati e trucchi del mestiere, di intrighi inventati e autentici misteri della storia d'Italia, o del giallo come letteratura di impegno civile. Lo fanno in “A quattro mani”, il film-documentario prodotto da minimum fax media e RaiTre. Con la regia di Matteo Raffaelli che, nel corso di alcune settimane, ha seguito gli incontri tra i due scrittori, 35 anni di differenza. Percorsi diversi, ma passioni ed esperienze comuni (vedi quella televisiva). Cinquanta minuti che sono anche una piccola lezione di scrittura. Quanto al mistero del cadavere dei pesci rossi, c'è da immaginare che diventerà materia da romanzo. Romanzo a quattro mani.
Arturo Camilli
 
 

Il Venerdì, 13.4.2007
Il romanzo
Andrea Camilleri: dieci pecore per un pastore
”Le pecore e il pastore”, Andrea Camilleri, Sellerio, pp. 127, euro 10

La storia come dimensione dalla quale attingere spunti per l'elaborazione narrativa. Partendo da questa ispirazione manzoniana, Andrea Camilleri ha costruito i suoi più importanti romanzi storici. E il nuovo libro, “Le pecore e il pastore”, è in realtà un saggio storico, scritto con la sapiente maestria del narratore.
Ne è protagonista Monsignor Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento, che nel 1945 fu ferito in un attentato.
Chi era Peruzzo? Un vescovo che appoggiò in maniera chiara le rivendicazioni dei contadini che chiedevano le terre, che si schierò contro gli agrari, e si oppose al latifondo non coltivato, «struttura di peccato».
Camilleri ricostruisce il contesto storico, ma si fa anche sedurre da una nota che ha trovato in un testo sull'argomento. Si tratta di una lettera che una suora inviò al vescovo undici anni dopo l'attentato, nella quale è scritto: «Questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore».
Dinnanzi al giallista Camilleri si proietta un autentico mistero storico che lo scrittore siculo-romano non può far altro che analizzare e studiare. Dipanando una storia, come fosse una inchiesta, con ritmo narrativo e fluidità di scrittura.
Salvo Fallica
 
 

Bresciaoggi, 13.4.2007
Esce da Sellerio «Le pecore e il pastore», il nuovo romanzo di Andrea Camilleri
Quelle dieci monachine, kamikaze dell’anima
Andrea Camilleri, «Le pecore e il pastore» (Sellerio, pagg. 127, euro 10)

Un nuovo libro di Andrea Camilleri è sempre una bella notizia, sai che ti aspettano alcune ore di piacere che non vuoi spartire con nessuno, sia che si tratti di una inchiesta del commissario Montalbano che di un romanzo storico. Nei giorni scorsi, in attesa di un altro Montalbano, Camilleri ha pubblicato da Sellerio «Le pecore e il pastore», prendendosi una vacanza di tipo, diciamo, archivistico, con una di quelle incursioni tra documenti magari dimenticati da cui in passato sono nate alcune delle sue storie più riuscite.
In questo nuovo romanzo Camilleri prende lo spunto da una nota a piè di pagina di un libretto di Enzo Di Natali, «L’attentato contro il Vescovo dei contadini» e ci costruisce intorno una storia che ha dell’incredibile. Nell’estate del 1945, dieci monache, le più giovani, del convento di Palma di Montechiaro decidono di sacrificare la propria vita a Dio in cambio della guarigione del vescovo di Agrigento, Giovanni Battista Peruzzo, colpito da due colpi di lupara da killer sconosciuti. Il vescovo si salva, ma sulla fine delle suore e sulla modalità delle loro morti si sa assai poco.
Anche il vescovo ne sa poco, anzi niente, finchè una lettera dell’Abadessa, suor Enrichetta Fanara, non lo mette al corrente. Solo che la lettera fu scritta e spedita undici anni dopo il ferimento e la cosa incuriosisce Camilleri, il quale si chiede: perché l’Abadessa ha aspettato tanto tempo prima di scrivere al vescovo?
Lo scrittore avanza un’ipotesi: la causa scatenante saranno state due visite ravvicinate al monastero, nel settembre e nell’ottobre del 1955, da parte di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il futuro autore del «Gattopardo», che nel silenzio di quelle mura si commuove, anche perché vi respira l’aria di casa: il monastero era stato fondato dai suoi antenati nel Seicento e una di questi, la Venerabile suor Maria Crocifissa della Concezione, vi morì in odore di santità. Aggiungere ai miracoli dell’antenata (la Beata Corbera la chiama il principe di Salina nel «Gattopardo») la vicenda delle dieci monache, agli occhi dell’Abadessa, poteva servire a procurare titoli di merito al monastero.
«Le pecore e il pastore» è un romanzo in cui scorrono varie storie: quella di monsignor Peruzzo che, pur non essendo comunista, sposò la causa dei contadini contro il latifondo, attirandosi l’ostilità degli agrari; quella del dottore Raimondo Borsellino, chirurgo geniale che operava gli ammalati direttamente nelle loro case; quella dello stesso Camilleri e delle sue prime esperienze politiche, dopo la caduta del fascismo.
E poi ci sono le dieci monachine che come kamikaze dell’anima si sacrificarono per generosità e di cui non conosciamo neanche i nomi. L’Abadessa nella lettera al vescovo li ha tenuti rigorosamente segreti.
 
 

Il Gazzettino, 13.4.2007

Carissimo Gazzettino,
un sondaggio inglese, ma se fosse stato fatto in Italia le cose non sarebbero diverse, semmai peggio, ha stabilito che il 55 per cento delle persone acquista dei libri sì, ma solo che non li legge o non li finisce di leggere. In poche parole un libro molto pubblicizzato di uno scrittore "in" viene comprato solo per moda, per status o, udite udite, per arredare la casa. La cosa si potrebbe estendere agli autori italiani: Camilleri per esempio. Il mio conterraneo appena pubblica un libro questo immediatamente schizza in classifica. E questo fa piacere sia all'autore, sia ai critici che ne hanno sempre parlato bene di Camilleri, sia all'editore. Per non parlare poi del commissario Montalbano. Però come siciliano anch'io vorrei dire la mia: ho comprato tutti i libri di Camilleri e devo confessare che, benchè sia siciliano, faccio fatica per capire il siciliano scritto di Camilleri, che non è il siciliano parlato da noi in Sicilia ma una specie di dialetto inventato dall'autore. E allora la mia domanda è questa: come fa un milanese doc, un friulano o veneto a capire subito quello che scrive Camilleri? La risposta me la dò da solo. Sicuramente il libro viene comprato, ma probabilmente non viene letto completamente. Libri tanti, comprati e mai letti ma con titoli in cima alle classifiche.
giannisutera@virgilio.it

Sicuramente in Italia si legge poco e altrettanto sicuramente nolti libri non vengono mai sfogliati e finiscono per fare "arredamento". Si vedono certe interviste in tv con personaggi che hanno sullo sfondo libri che sembrano scelti per il colore o per la forma, non per i titoli. Siamo il Paese in cui il "lettore di un solo libro" si contrappone al "lettore di almeno un libro". C'è persino chi si dichiara "orgoglioso di non leggere mai un libro". L'indice di lettura tra la popolazione con più di 6 anni è del 42,3\%, molto lontano dai valori di altri Paesi europei. Dichiarano di aver letto un libro in un anno anno 23.400.000 persone. In compenso si stampano molti volumi, 53 mila titoli pubblicati, in gran parte novità. Meno che in Spagna e nel Regno Unito. Il valore del mercato librario a prezzo di copertina è calcolato in 3.621 milioni di euro. Il mercato è confuso dalla moltiplicazione dei canali di vendita, da Internet, dalle edicole, ma il quadro lascia spazio alla speranza. Il futuro si preannuncia migliore del passato. Non è "vecchio" leggere un libro di carta. Il libro autorizza al sogno sempre diverso e sempre privatissimo: soltanto il lettore può immaginare in un determinato modo quei personaggi o quelle situazioni. La lettura è un piacere della vita che non può essere affidato ad altro che a un libro. C'è una frase di Pennac: «Il tempo di leggere come il tempo di amare dilata il tempo di vivere».
Forse qualche autore è più famoso che letto, più celebrato di quanto meriti; forse molti libri acquistati o regalati a Natale sono soltanto di rappresentanza. Ma non credo sia il caso di Camilleri che viene letto proprio perché amato dai suoi elettori. Questo non significa che sia il più grande autore italiano in circolazione o che non abbia avuto una spinta nelle vendite dalle avventure televisive del commissarioMontalbano. Il discorso vale anche per i libri del sardo Salvatore Niffoi o per quelli dell'emiliano Francesco Guccini o per altri scrittori che usano con forza la lingua della loro terra. Nessuno si è tirato indietro quando Luigi Meneghello insegnava come un popolo fosse lingua e il suo linguaggio equivalesse all'identità. Forse in Sicilia come nello stesso Veneto a distanza di pochi chilometri il dialetto cambia, usa espressioni e sfumature diverse. Questo non è un limite alla lettura, è anzi una ricchezza.
Nessuno ha rifiutato Goldoni, sulla pagina o in teatro, perché i suoi personaggi parlano in veneziano. Come nessuno rinuncia a leggere o ad ascoltare le commedie di Eduardo perché scritte in napoletano. Senza Goldoni e senza Eduardo gli italiani sarebbero più poveri. E non soltanto gli italiani.
 
 

Il Messaggero, 14.4.2007
Filosofia
Senza confini
Un tema attualissimo: parlano i due curatori Paolo Flores d’Arcais e Giacomo Marramao

Dove ha inizio e dove finisce una città? La vita e la morte: che cos’è il cambiamento di stato, l’oltrepassare di una soglia? E’ caduta la barriera tra esterno e interno? Dove ha termine il mio corpo, dove inizia quello dell’altro? Dove finisce la cittadinanza? Qual è il limite del diritto “umano”? Chi è il rifugiato, l’apolide, il clandestino, l’altro, il diverso? Tutte domande che ruotano intorno al tema del “confine” esteso in ogni campo, dall’esperienza al linguaggio, dallo spazio dell’architettura al corpo con la sua salute e le sue malattie, alla psiche con le sue scissioni e i suoi riassestamenti, alla politica, all’economia, all’arte. Una parola chiave «per capire come vanno le cose, che riguarda la nostra vita quotidiana alle prese con la molteplicità dei confini», dice Giacomo Marramao. Quei confini che, visibili o invisibili, di natura giuridica, religiosa, etica, cognitiva, naturale e artificiale, politica e culturale, psichica e corporea, economica e artistica, archetettonica e sociologica, lambiscono ogni pratica della nostra esperienza. Un terreno scivoloso che, nella metafora del confine in continuo mutamento, può mettere a confronto etica e bioetica, ecologia e scienza, religione e medicina dentro la cornice del pensiero filosofico che procede di pari passo con l’avanzare delle frontiere (e la ricerca di confini) nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica.
Al tema dei “confini” è dedicato il secondo festival della filosofia di Roma che si svolgerà dal nove al tredici maggio con protagonisti come Peter Eisenman, Edouard Glissant, Marc Augé, Hanif Kureishi, Andrea Camilleri, Eugenio Scalfari, Fernando Savater, Peter Sloterdjik, Georgios Canalis, Darko Tanaskovic.
[…]
Renato Minore

Il programma
Dieci lezioni magistrali, diciassette tavole rotonde, sei lezioni su pensatori di confine, controversie, caffè filosofici, rassegne cinematografiche, spettacoli e concerti, laboratori per ragazzi e attività per le scuole, un totale di cento incontri, dal 9 al 13 maggio all’Auditorium. Questo in cifre il programma del secondo Festival della filosofia all’Auditorium. Protagonisti tra gli altri Peter Eisenman, Edouard Glissant, Marc Augé, Andrea Camilleri, Eugenio Scalfari, Fernando Savater, Peter Sloterdjik, Georgios Canalis, Darko Tanaskovic. Tra le controversie Paolo Flores d’Arcais e Giuliano Ferrara si chiedono se la “volontà di Dio” sia compatibile con la democrazia e Tariq Ramadan con Hanif Kureishi si interrogano su laicismo, secolarizzazione, religione.
 
 

ANSA, 14.4.2007
Tv: Montalbano vola in Scandinavia

Roma - Grande successo del catalogo di Rai Trade in Europa dell'Est ed Estremo Oriente . Le puntate del Commissario Montalbano volano in Scandinavia.
[…]
 
 

La Repubblica, 14.4.2007
Il caso
Transennato il porticciolo del borgo genovese cantato da Gino Paoli
"Via quelle barchette, sono abusive" Ma Boccadasse insorge: no, è poesia
A Buenos Aires un intero quartiere, la Boca, ricorda nel nome il paesino sul mare

Genova - La "vecchia soffitta vicino al mare" dove Gino Paoli viveva ai tempi de “La gatta” era proprio in una delle antiche case di pescatori nel borgo genovese di Boccadasse, arroccate l´una all´altra. Con la spiaggetta, le scogliere, le barche dei pescatori. Solo che da ieri le barche sono a rischio. Sono ancora lì, tirate a secco sulla riva o sulla piazzetta, ma sotto sequestro. Da generazioni i pescatori le hanno "posteggiate" in quei luoghi. Ma ora la magistratura ha deciso che sono fuorilegge perché non hanno la concessione e occupano abusivamente le aree del demanio. Lo hanno sempre fatto? Peggio: ora dovranno pagare anche per gli anni passati. Su mandato del pm ieri i vigili e gli uomini della Capitaneria di porto hanno "messo i sigilli" alle barche, una settantina, presenti nel borgo. E transennato il porticciolo naturale. Per mettersi in regola i proprietari dovranno pagare 5.000 euro a barca.
A sequestro avvenuto Genova insorge. Non solo i pescatori interessati e gli abitanti del borgo, ma anche gli amministratori. «Togliere le barche da Boccadasse sarebbe una rovina» si lamentano gli assessori Gabrielli e Castellano. Facile capire tanto allarme: Boccadasse è uno dei punti più caratteristici e più famosi, anche a livello internazionale, di Genova. C´è un intero quartiere di Buenos Aires, la Boca, che porta il nome abbreviato del borgo, eredità dei fondatori genovesi. Ci sono le canzoni di Paoli e di Ornella Vanoni, che proprio nella "vecchia soffitta" di Boccadasse consumarono tanti anni fa la loro intensa storia d´amore. Ci sono i ricordi della scrittrice genovese Fernanda Pivano, che chiama Boccadasse "borgo prezioso". C´è anche un altro famoso abitante, che vive solo nella fantasia dello scrittore Andrea Camilleri: è Livia, la fidanzata del commissario Montalbano. Per Camilleri lei non abita a Genova, ma proprio a Boccadasse.
Costantino Malatto
 
 

Gazzetta del Sud, 15.4.2007
Conversazione a tutto campo con Andrea Camilleri: la Sicilia, Sciascia, l'impegno politico, la mafia, la letteratura, i libri suoi e... degli altri
«Ma il romanzo italiano è vivo»
È alle prese con un'altra storia isolana, dopo "Le pecore e il pastore" che ha fatto arrabbiare il vescovo di Agrigento. Conferma di aver scritto due anni fa il racconto, tuttora inedito, in cui Salvo Montalbano esce di scena. Tuttavia annuncia già il nuovo titolo che sarà edito da Sellerio sulle avventure di Vigata: "Il campo del vasaio". Non è detto però che non spunti un'idea che veda ancora una volta per protagonista il commissario.

Conversare con Andrea Camilleri è un piacere che vorresti non finisse mai. Perché è un uomo che all'indubbia saggezza aggiunge sempre grande ironia, perché nonostante il successo quasi "planetario" dei suoi libri è di una disponibilità umana rarissima. E poi anche perché è vulcanico, simpatico, diretto, curioso, pronto alla battuta. E poi perché non è solo e semplicemente il papà del commissario Montalbano. Questa paternità gli è arrivata dopo, già in avanzata maturità. Prima e dopo il commissario di Vigata c'è stato e c'è ancora soprattutto lo scrittore, il regista, l'intellettuale rigoroso e impegnato. Chiacchierando gli mando i saluti di un suo vecchio amico, l'attore Massimo Mollica. E lui ringrazia e quasi si commuove perché probabilmente in un solo momento attraversa tanti anni a ritroso nella sua memoria. Hanno lavorato insieme tante volte. Era il 1979 e Mollica faceva il maresciallo dei carabinieri nello sceneggiato televisivo "La mano sugli occhi" tratto dal romanzo "Il corso delle cose". «E come sta?», mi chiede Camilleri «Bene, è un ancora eterno ragazzo» - rispondo. E lui: «Sono contento, me lo saluti con affetto, davvero».
Allora, comincerei col chiederle che cosa sta scrivendo, se sta scrivendo.
«Sto scrivendo, sto scrivendo. Scrivere per me è un vizio. Come il fumo.»
E cosa sta scrivendo?
«Sto scrivendo un'altra storia siciliana, ho finito di scrivere e di pubblicare quella sul vescovo di Agrigento.»
Sì, "Le pecore e il pastore", che ha tanto fatto arrabbiare il vescovo di Agrigento.
«Non so che farci.».
Allora queste suore si sono suicidate?
«Ma non lo so, io non ho mica certezze. Io ho semplicemente letto la lettera della madre superiora undici anni dopo. Giusto? Questo è l'unico documento che ho. Ora se l'italiano non è un'opinione, come certe volte può essere la matematica, da quelle parole si evince qualche cosa di preciso».
Appunto.
«Siccome il vescovo dice che io ho affermato il falso, ma è difficile dire che io affermo il falso, questo fa arrabbiare me. Io semmai posso avere interpretato in modo erroneo la lettera, ma certo che non è un falso».
Certo.
«No, guardi, davvero questa cosa mi ha molto irritato».
Lo capisco.
«Io faccio dei falsi letterari, non dei falsi storici».
Adesso questa storia che sta scrivendo è un romanzo storico oppure un'altra storia?
«È uno di questi saggi, microstorie, che riguarda la banda Sacco di cui io ho tutti i documenti, al contrario di quello che mi è successo col vescovo. Quindi posso parlarne con cognizione di causa».
Posso chiederle come trascorre la sua giornata tipo?
«Guardi, io mi alzo molto presto al mattino, intorno alle sei».
E legge i giornali.
«No, no, no. Diciamo che dopo tre quarti d'ora sono al computer».
Quindi scrive al computer?
«Sì, e lavoro fino alle 10, dieci e un quarto. Dopodiché comincio a vedere la posta, fare le cose normali. Esco, mi vado a fare la passeggiata, mangio. Mi riposo. Nel pomeriggio comincio a rispondere con l'aiuto di una ragazza a tutte le centinaia di lettere che ricevo, perché io rispondo a tutti».
Risponde a tutti.
«Sì, a tutti. E quindi così passa la giornata. La sera sto un pochino con i nipoti, poi mi metto davanti alla televisione».
E cosa guarda?
«Quasi niente, perché in realtà la televisione mi serve per leggere quei giornali che non ho letto durante il giorno. Ecco. E poi vado a letto molto tardi».
Vogliamo parlare un momento di Montalbano? È vero che non lo vuole più fare morire?
«No, non è che non lo voglio fare morire. Io lo voglio eliminare come personaggio».
Vuol farlo sparire, per sempre. Ma lo sa che questo sarà un trauma per i suoi lettori?
«E va bé, sarà un trauma ma tenga presente che io ho 81 anni ben compiuti e mi piace mettere in ordine le mie cose. Siccome ho intravisto in modo molto logico, molto chiaro, la possibilità di finirla con questo personaggio, io questo romanzo l'ho già scritto»".
Allora è vero che...
«Sì, sì, l'ho già scritto due anni fa e l'ho mandato alla Sellerio. Questo è un punto fermo. Però se nel frattempo mi viene di scrivere qualche buona idea io ce la metto dentro prima di poterlo terminare, tant'è vero che uscirà nei prossimi mesi un nuovo Montalbano che si chiama "La pista di sabbia"».
La signora Sellerio aspetta il suo via per mandare in stampa quello della fine del personaggio?
«Certo, aspetta il mio via. Ora le spiego la situazione come dovrebbe andare».
Spieghi.
«Dunque, c'è un romanzo, chiamiamolo terminale, che ancora non ha un titolo. Poi c'è un pre-terminale che si chiama "Il campo del vasaio» e anche quello ce l'ha la Sellerio. E poi io gli ho mandato "La pista di sabbia" che non è terminale.»
E che dovrebbe uscire a breve.
«Sì. Dentro questa fisarmonica, se mi viene l'idea di scrivere un'altra storia di Montalbano prima dei due ultimi, la scrivo».
Ma come l'è venuta l'idea di Montalbano?
«Non mi è venuta l'idea di Montalbano. Mi è venuta l'idea di ingabbiarmi dentro una scrittura ordinata, perché io sono anarchico nella scrittura dei romanzi. Comincio da un punto qualsiasi e scrivo un romanzo storico, come li scrivevo prima di Montalbano e anche dopo».
E come fa?
«Scrivo prima l'episodio che ho letto e che mi ha dato l'input a scrivere il romanzo. E quindi comincio da quello. Ma non è detto che nella struttura terminale del romanzo, proprio l'episodio che mi ha dato l'input e che io ho cominciato a scrivere, sia il capitolo uno. Può essere il decimo, il terzo, il quindicesimo».
Poi lo correda con altre cose perché intanto l'idea.
«Certo, lo corredo, tanto l'idea è quella. E dunque fermo l'idea. E poi attorno ci costruisco. Allora mi sono detto un giorno... "ma sei capace di scrivere un romanzo dalla A alla Zeta, con tutti i crismi del romanzo, con connessioni logiche, con la giusta successione temporale...?" E ho cominciato a scrivere un giallo che era "La forma dell'acqua". Quello era un compito che mi assegnavo e l'ho pubblicato. Ma siccome il personaggio di Montalbano mi era rimasto incompiuto, nel senso che era una funzione, colui che risolve il caso, ho detto: "va bene, adesso scrivo il secondo e finisco il personaggio". E così feci. E dopo il secondo dissi a Elvira: "ora non ne scrivo più". Poi ha preso la mano a tutti e allora...».
Le ha preso la mano.
«Non ha preso la mano a me, ma al pubblico».
Lei ha detto una volta che in Montalbano c'è un po' il carattere e l'ironia di Leonardo Sciascia. È vero?
«È solo un passo. Diciamo che l'ottanta per cento è costituito da mio padre».
Quindi nel Dna di Montalbano c'è un buon 80% di suo padre e un buon venti per cento di altri.
«Si, anche di Sciascia».
Lei di Sciascia cosa ricorda?
«I silenzi. Gli eloquentissimi silenzi».
Ma c'è anche un po' del suo carattere anche in Montalbano?
«No, niente, niente».
E completamente diverso da lei?
«No, anche a me piaceva mangiare così come fa Montalbano. Lui continua a mangiare, maledetto schifoso, ma io non posso farlo più».
E Montalbano non fuma...
«No».
Lei invece sì. Quante sigarette fuma, maestro?
«Io? Sessanta».
Mi definisce la Sicilitudine?
«È una parola che detesto. La detesto proprio in un modo profondo. È un termine mutuato dalla negritudine: una cosa è essere niuru, una cosa è essere siciliano».
Ma c'è un tratto comune che comunque identifica, fa riconoscere i siciliani?
«C'è una frase bellissima di Brancati. C'è il signor Rossi che abita sullo stesso piano del signor Bianchi. Li divide solo un pianerottolo. Eppure andare dalla casa del signor Bianchi al signor Rossi è come attraversare un continente. Tutte e due sono siciliani ma non si incontrano. Tanto i caratteri tra di loro sono diversi».
Maestro, la mafia: come la vede oggi?
«Come l'ho sempre vista. La vedo assai più pericolosa di prima».
Quindi questo silenzio di fuoco significa?
«E certo, questo silenzio significa un'attività sotto la linea d'immersione. Loro adesso avanzano a quota periscopio. Prima erano in emersione e sparavano, lanciavano siluri. Ora sono a quota periscopio».
E che idea si è fatto di questa Italia, di questa politica?
«Ho un'idea pessima della politica. Ma questo non vuol dire che io sia un qualunquista. Io sono stato e sono un signore assolutamente impegnato politicamente a sinistra. Fatto che è conosciuto a tutti e di cui non ho mai fatto mistero».
Sì perché lei nasce socialista e poi.
«No, no. Sono sempre stato comunista. Che cosa vuole che le dica. Ho una delusione profonda: vedere un governo che ho votato e che però non fa quello che dovrebbe fare, che s'impantana in questioni che non erano nel programma... Mi dispiace, mi dispiace, però uno a ottantun'anni comincia anche a fottersene.».
Questa lunga e tragica storia dell'Afghanistan? Questa storia di lacerazioni nel governo. dove sta la verità?
«Sa, io non sono un portatore di verità. È la verità stessa, secondo me, che fa spavento».
Volevo chiederle se era d'accordo sull'intransigenza della sinistra radicale, nel rifinanziamento della missione dei nostri soldati.
«Se non vi fosse stato il rifinanziamento questo avrebbe significato il ritiro dei nostri soldati. Sbaglio? E qual è stato l'impegno che abbiamo preso nella Nato? È inutile e sciocco tirarsi indietro. Io non sono su posizioni estremistiche e settarie. Se abbiamo preso un impegno lo dobbiamo mantenere. Abbiamo preso un impegno non con gli Stati Uniti, che sarebbe discutibile, ma all'interno di una coalizione. Facciamo parte di questa coalizione. E allora se la coalizione ha deciso di fare una certa cosa noi partecipiamo. L'essenziale è che lo facciamo nei limiti che di ciò che ci dice la nostra Costituzione. Basta».
Parliamo un po' di letteratura. Lei che cosa legge.
«Tutto».
E chi dei narratori contemporanei italiani?
«Di italiani ce ne sono tanti. Io tutto questo pessimismo dei critici, dei recensori che proclamano ogni tre anni che il romanzo italiano è morto, che la letteratura è morta. Intanto il romanzo italiano è vivo, c'è una quantità di autori tra vecchi, diciamo di mezz'età, e giovani che continuano a produrre che è una bellezza. Basta leggere e uno se la sciala. Solo che noi siamo un Paese che tende sempre a castrare».
Tendiamo al disfattismo, infatti. Ma qual è l'ultima cosa che ha letto?
«L'ultima cosa che ho letto, anzi che sto ancora leggendo per ciò che riguarda gli italiani, è la splendida ricostruzione che Carlo Lucarelli ha fatto dell'attentato alla Banca dell'Agricoltura del 1969».
La strage di Piazza Fontana.
«Sì. Oppure ci sono dei bellissimi racconti che sto leggendo in contemporanea di un autore che si chiama Eraldo Baldini. Oppure, ancora, l'ho appena finito di leggere, l'ultimo di Gaetano Savatteri "Gli uomini che non si voltano" e mi è parso un momento di maturità di questo scrittore. E c'è sempre, per non parlare sempre di noi, questo meraviglioso autore che si chiama Andrea Vitali che ogni volta che sforna un libro è un tale divertimento narrativo che ce ne fossero».
Ha letto "Terramatta" di Vincenzo Rabito?
«Eccome. L'ho letto attentamente, accuratamente. Sul libro c'è la fascetta scritta da me. È un italiano vero, comune, che riesce a sopravvivere a tutto. Parte dalla guerra del '15-18 e arriva ai nostri giorni, poveraccio, riuscendo a sopravvivere a tutto. Ha scritto inconsciamente un manuale di sopravvivenza e di adattamento: l'arte di arrangiarsi ma con una sorta di dignità. E soprattutto, quel che mi ha più affascinato è stata la sua lotta con la lingua. Finisce, poi, col prenderci questa lingua, ed una volta che entriamo in questo linguaggio, ci entriamo tutti, con le scarpe, col vestito... È affascinante».
Alla Sicilia che cosa la lega? Ci ritorna spesso?
«Prima trovavo anche le scuse più patetiche e ignobili per tornare in Sicilia. Negli ultimi due anni tuttavia le mie condizioni di salute non mi permettono di viaggiare, di spostarmi facilmente. Sono andato l'altra volta quando ho compiuto ottant'anni e sono stato appena quattro giorni. E ora proprio brucio dal desiderio di tornarci».
Un legame forte.
«Sì, io non posso stare lontano dalla Sicilia».
Parla proprio di Porto Empedocle?
«Sì, proprio di Porto Empedocle».
Le ha ancora amici qui?
«Mah, uno solo. Diciamo che amici ne ho, ma coetanei. uno solo».
Lei ha incontrato Pirandello quand'era bambino.
«Sì ma non sapevo chi fosse».
E poi è diventato amico del figlio.
«Del figlio pittore».
Quando ha scoperto che Pirandello era quel signore che era, che cosa le è venuto in mente? La circostanza di averlo incontrato da bambino e di non averlo riconosciuto l'ha condizionata un po'?
«No. Come regista mi ha condizionato, perché lo spavento che avevo provato quando venne a casa mia cioè a dire il marasma che provocò al suo arrivo in divisa di Accademico d'Italia, che io scambiai per un ammiraglio... Questo fece sì che io non ho mai affrontato nel senso registico Pirandello fino ai quarant'anni compiuti. Dopo l'ho affrontato, l'ho studiato, l'ho messo in scena e ho pubblicato questa antologia, scritta su Pirandello, che la Rizzoli mi ha chiesto di fare. Io l'ho fatta, sono pagine scelte di Pirandello con una mia lunga introduzione che spiegano il mio Pirandello. In più da Mondadori quest'anno esce il quarto volume delle «Maschere nude», la cui seconda parte è tutto Pirandello dialettale che ha tutta una prefazione mia».
Lei ha una casa in Toscana. Si trova bene?
«Benissimo, ci vado spesso perché è più vicina».
Gli scrittori siciliani: ce ne sono alcuni giovani come Savatteri, come Calaciura, Alajmo. E poi c'è Consolo... Con lui che rapporti ha?
«Rapporti pessimi. Non certo per volontà mia. Io lo ritengo un grandissimo, lui mi ritiene uno scrittore che si vende, uno scrittore mediatico, che adopera il dialetto per fini ignobili ed è uno di quelli che io continuo a ritenere un grande scrittore».
Conosce la Calabria?
«Certo, ho anche lavorato ho fatto delle regie».
Che idea s'è fatto?
«Un'idea un po' confusa. Io sono stato, per esempio a Locri. Quando mi spostavo verso Villa S. Giovanni, il paesaggio umano cambiava».
In peggio o in meglio?
«In meglio. Questa è una cosa straordinaria della Calabria. E va bene, Poi uno va in Aspromonte con la guida di Alvaro di "Gente d'Aspromonte" e vede una terza Calabria. Sono un po' come noi».
Antonio Prestifilippo
 
 

La Sicilia, 15.4.2007
Santo Stefano di Quisquina
Escursione nei luoghi descritti da Andrea Camilleri

In occasione dell'uscita del libro «Le pecore ed il Pastore» di Andrea Camilleri (edizioni Sellerio) l'Amministrazione comunale in collaborazione con la Cooperativa Sociale «La Quercia Grande», la locale Pro Loco e l'Azienda Forestale, organizza un incontro giornaliero con giornalisti allo scopo di rendere noti i luoghi narrati nel libro ed offrire altri validi spunti giornalistici facendo conoscere i beni gastronomici di ottima qualità prodotti nel territorio e quelli ambientali come la Riserva «Monte Cammarata e della Quisquina». Sabato 21 aprile prossimo con inizio alle 10 all'Eremo di Santa Rosalia alla Quisquina, è in programma un incontro che si preannuncia interessantissimo. Il programma di massima prevede la visita dell'Eremo e dei luoghi del libro, del Querceto, della Riserva e del paese. Sarà l'occasione per offrirvi una degustazione di prodotti tipici presso l'Eremo di Santa Rosalia alla Quisquina. Nel frattempo è possibile approfondire la conoscenza del luogo collegandosi al sito www.quisquina.com. Le vendite del libro scritto da Andrea Camilleri, sono cominciate in sordina, ma adesso è il volume più letto dagli italiani. Infatti, ha scalzato dalla vetta della hit parade di vendita perfino Moccia. Camilleri continua a essere sempre il numero uno.
Antonino Ravanà
 
 

Il Gazzettino, 15.4.2007
Intersezioni babeliche. Lingue dominanti e lingue dominate nella letteratura del '900

Venerdì 20 aprile alle 17.30, a Palazzo Sonvilla in via Garibaldi a San Daniele, sarà presentato il libro "Intersezioni babeliche. Lingue dominanti e lingue dominate nella letteratura del '900" (Kappa Vu). Interverranno Leo Zanier (scrittore), Bozidar Staniic (scrittore), Angelo Floramo (critico) e Rosa Maria Bollettieri Bosinelli (docente all'Università di Bologna). Il libro raccoglie saggi su scrittori che nel loro percorso letterario hanno scritto in più lingue o con esse e le loro culture sono venuti in contatto: Agota Kristof, Ivo Andric, Boris Pahor, George Orwell, Pier Paolo Pasolini, Andrea Camilleri e un forum curato da Melita Richter con gli interventi di Vesna Stanic, Marija Mitrovic, Barbara Serdakowski e Mihai Mircea Butcovan.
L'evento si terrà all'interno della manifestazione "Intersezioni Babeliche" (dal 18 al 21 aprile a San Daniele): quattro giorni di conferenze, reading, presentazioni di libri, concerti, per analizzare il tema del multilinguismo nella cultura e nella letteratura con particolare riferimento al rapporto fra lingue ufficiali e lingue di minoranza. Scrittori, poeti, giornalisti, intellettuali dalla Slovenia, dall'Austria, dalla Svizzera, dalla Sardegna, dall'Emilia Romagna, dalla Lombardia, dalla Croazia, dall'Occitania e ovviamente dal Friuli Venezia Giulia, saranno i protagonisti in più lingue di questi 4 giorni.
Pubblichiamo un ampio stralcio dal saggio di Zanier su Agota Kristof.
 
 

minimum fax, 16.4.2007
Prima TV di "A quattro mani"
minimum fax media e Rai Tre
presentano
Andrea Camilleri & Carlo Lucarelli
A QUATTRO MANI
La storia d’Italia attraverso la storia della malavita

Diretto da Matteo Raffaelli
In onda su RAITRE (DOC3) lunedì 16 aprile alle 23.40
 
 

Doc3, 16.4.2007
A quattro mani
di Matteo Raffaelli
in onda lunedì 16 aprile 2007 alle 23.45
Doc 3 - un nuovo appuntamento in seconda serata con il documentario d’autore.
Scienza, società costume, scenari naturalistici, grandi e piccole storie per riflettere e per interpretare il mondo che ci circonda.

Un raffinato film documentario si immerge nei colori del giallo e del noir mettendo faccia a faccia i due maestri della letteratura di genere contemporanea: Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli.
Il confronto serrato fra i due scrittori, che si provocano a vicenda in un dialogo che a tratti ha la caratteristica dell’intervista reciproca, li fa risalire lungo il percorso della loro scrittura, il background cinematografico, musicale e letterario, l’ambiente familiare e l’Italia nella quale hanno cominciato a vivere e a scrivere a 40 anni di distanza l’uno dall’altro.
Il regalo vero e proprio che i due fuoriclasse della letteratura di genere fanno allo spettatore è un percorso di lettura e di visione fra i più ricchi e articolati, un vero e proprio corso di scrittura che fa emergere in maniera nitida le loro scelte artistiche, uno spettacolo vero e proprio di battute e riflessioni brillantissime sul nostro tempo.
Il movente artistico di entrambi gli scrittori parte dall’idea chiara che raccontare storie, farlo attingendo fortemente alla fonte della realtà, ha un forte significato civile e sociale. Questa urgenza nasce dalla convinzione che le storie malavita segnano inesorabilmente lo svolgersi della storia d'Italia, e raccontarle è necessario per alimentare la coscienza civile del nostro Paese.
Camilleri e Lucarelli sono due scrittori che per classe e simpatia entrano dritti nel cuore dello spettatore.
 
 

Vita.it, 16.4.2007
Torna "Una mano per l'Ail"
Asta il 24 maggio

A Milano il 24 maggio 2007 alle ore 19.00 verrà battuta un'asta molto particolare. Si tratta di “Una mano per AIL”, un'iniziativa creata dall'Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma di Milano e Provincia, allo scopo di raccogliere fondi da destinare alla realizzazione di progetti sociali.
Per il quarto anno consecutivo AIL Milano ha chiesto a cantanti, attori, artisti e sportivi di compiere un piccolo gesto significativo: dare una mano all'Associazione donando l'impronta della propria mano. Ogni calco è stato poi interpretato da altrettanti pittori che hanno realizzato opere d'arte del tutto particolari e uniche. Anche l'edizione 2007 vedrà coinvolta la Casa d'Aste Christie's che ha gentilmente rinnovato il suo impegno.
Le opere verranno esposte al pubblico dal 17 al 24 maggio, a Palazzo Clerici, per dare alle stesse una maggiore visibilità. Il ricavato di “Una mano per AIL” chiuderà la campagna di raccolta fondi, aperta con l'asta 2006, da destinare al progetto “AIL accoglie”, che ha avuto l'obiettivo d'incrementare il numero di unità abitative messe gratuitamente a disposizione dei malati provenienti da fuori città per essere curati nei centri ospedalieri milanesi. Grazie alle somme raccolte nelle prime due edizioni è stato possibile contribuire al finanziamento per la realizzazione del nuovo Reparto di Degenze di Ematologia dell'Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Chi sono i personaggi che hanno aderito quest'anno?
Marco Melandri, Pietro Sermonti, Valerio Mastrandrea, Arturo Brachetti, Ricky Gianco, Zucchero, Enzo Iachetti, Carlo Lucarelli, Giovanni Soldini, Loris Capirossi, Vinicio Capossela, Daniele Luttazzi, Margherita Hack, Gae Aulenti, Carmen Consoli, Giorgio Rocca, Jeffery Deaver, Marcello Fois, Andrea Camilleri, Red Ronnie, Antonio Catania, Ilaria D'Amico, Neri Marcorè, Raul Cremona, Salvatore Accardo, Lucio Dalla, Paolo Rossi, Aldo Nove, Oliviero Toscani, Patti Smith, Michael Schumacher, Fritjof Capra.
[...]
 
 

Giudizio Universale, 4.2007
Speciale Donne al volante
L'impero di carta

[...]
Elvira Sellerio regge la casa editrice palermitana come una zarina mediterranea: sopracciglia severe e spazio alle donne.
[...]
Lei ha gestito il passaggio dalle copertine con le immagini incollate a mano ai titoli camilleriani, capaci di milioni di copie e decine di traduzioni estere.
Una transizione in cui Elvira Sellerio ha dimostrato la sua capacità di tessere reti relazionali che vanno dal fan-club del "Sommo" (così i suoi adepti appellano Camilleri) ai rapporti con le università, sicule e non, passando dalla sottile ragnatela che la lega ad una pletora di autori.
[...]
Matteo Sacchi
 
 

Stilos, 17.4.2007
Recensioni
Andrea Camilleri. Un nuovo apocrifo per divertissement
Boccaccio riveduto e scorretto

Chi conosce l'opera di Camilleri è avvertito che si tratta di un falso sin dalla prime due parole, “Giovanni Bovara”, il protagonista de “La mossa del cavallo”. Un’avvertenza necessaria, perché Camilleri tanto più fa opera di falsificazione quanto più rende invece credibile la scoperta della novella inedita di Boccaccio: della quale non solo fonisce notizie circa il ritrovamento ma offre anche una dotta ricerca filologica che dà conto del perché non figuri nel “Decamerone”. Probabilmente il nome di Bovara non è stato scelto a caso, trattandosi di una figura di falsario ideologico che propina una infondata verità dei fatti per perseguire un suo disegno di vendetta, una “mossa del cavallo” appunto. Qui la mossa del cavallo è quella di Camilleri, che dopo l'apocrifo su Caravaggio adesso si intesta un'azione portata ancora più in profondità perché l'apocrifo non è su un personaggio storico ma addirittura di una figura storica, nel senso che il testo falso è spacciato come opera di lui. La differenza è in ciò, che mentre inventando il ritrovamento di un diario di Caravaggio bastava a Camilleri ricreare il linguaggio del Seicento, qui - per contrabbandare un testo di Boccaccio - ha dovuto ricalcare lo stile non solo trecentesco ma anche boccaccesco e in particolare del “Decamerone”: impresa di un azzardo tale che solo chi non teme sfide così temerarie può concepire di tentare. Tentare, appunto: perché Camilleri, in sede di rendiconto critico, con un virtuosistico gusto per i quadri borgesiani che dà l misura del divertissement al quale si è ultimamente concesso, avanza il sospetto che si tratti di una novella rifiutata dallo stesso Boccaccio perché dissonante con il complesso del “Decamerone”: manca di fluidità narrativa, di scioltezza e sa di ricerca, di esperimento, con un passo ancora incerto anche nell’”arricchire il racconto con quelle sfumature caratteriali dei personaggi che così accortamente Boccaccio saprà in seguito usare”. In più c’è un uso, anche se parco, del dialetto che manca nel “Decamerone”. Tutto uno scherzo. La verità è che Camilleri non se l’è sentita di levare a Boccaccio la penna di mano e ha preferito immaginare che l novella faccia parte del periodo napoletano, quello cioè “formativo”. Ma nello stesso tempo respinge la teoria secondo cui Boccaccio si dedica alle novelle soltanto dopo il rientro a Firenze, adducendo che quella che nel “Decamerone” appare “un’inconfondibile impronta fiorentina” può infatti essere stata data dall’autore anche fuori Firenze giacché “uno scrittore non ha bisogno di essere fisicamente in un certo luogo per restituire sulla pagina l’inconfondibile impronta”. Camilleri non lo fa, ma potrebbe presentarsi come testimone e dichiarare che nessuno dei suoi libri è stato scritto in Sicilia benché della Sicilia abbiano tutti una impronta assolutamente inconfondibile.
E anche in Sicilia è ambientata questa novella “napoletana” (tale per l’immaginaria data di composizione) che ricrea l’asse tosco-siculo di una scuola della licenza dell’incontinenza che in Boccaccio e Camilleri trova un rinnovellato principio di attuazione. Non ‘è in realtà autore classico che più di Boccaccio possa essere avvicinato a Cmilleri nel gusto per il coribantismo, la satiriasi, il partouze e l'alcova quale secreta di inganni e infedeltà. Tant'è che la novella “palermitana” (tale per l’ambientazione) bene potrebbe essere attribuita a Boccaccio anche per la bella riuscita dello stile esemplato sul “Decamerone”, sciorinando trovate che sembrano addirittura parodistiche per la fine precisione del dettato. Camilleri si è specializzato in effetti nel talento di rifare il linguaggio d'epoca e prova di sapere come passare con identico risultato dall'Ottocento dei romanzi civili come “La concessione del telefono” e “Il birraio di Preston” (dove più ricorrente è la fattura mimetica) al Settecento de “Il colore del sole” al Seicento de “Il re di Girgen­ti” fino a risalire adesso al Trecento di cui restituisce una espressività linguistica speziata qui e là di elementi della parlata siciliana, a crea­re un Boccaccio eterodosso e di una latitudine infrequentata.
Basti l'esempio di Iancofiore, la giovane mo­glie del vecchio e geloso medico Losapio (due cognomi che sottendono un significato antifrastico): un nomignolo posto a segnalare una identità equivoca entro un giro di fraintendimenti siciliani che nella società camilleriana come in quella boccaccesca non cospirano a un esito drammatico, anzi si sciolgono in un fine che è sempre lieto per i fedifraghi volgendo in commedia lo scorno del marito tradito, lasciato contento ma soprattutto gabbato.
Gianni Bonina
 
 

SestoPotere, 17.4.2007
Francesco Paolantoni interpreta Camilleri al Teatro Magnani di Fidenza
Prevendita e vendita: biglietteria teatro Magnani, venerdì 20 aprile dalle 18 alle 20 e sabato 21 aprile dalle 18 alle 21.

Fidenza - Si conclude con un evento d’eccezione la stagione di prosa del Teatro Magnani: “La concessione del telefono”, famosissimo testo di Andrea Camilleri trasposto in versione teatrale dallo stesso autore, con la regia di Giuseppe Dipasquale e portato in scena da Francesco Paolantoni al Municipale di Fidenza sabato 21 aprile alle ore 21.
"La concessione del telefono" è, fra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti. Potremmo con semplicità definirla una commedia degli equivoci e degli imbrogli, la cui ambientazione ideale, un'isola come la Sicilia, è terra di contraddizioni. Ma questa Sicilia è la Vigàta di Camilleri che diventa ogni volta metafora di un modo di essere e ragionare le cose di Sicilia. Dopo il successo ottenuto dalla trasposizione scenica del Birraio di Preston, avvenuta nella stagione 1998/99 per lo Stabile di Catania, l’autore del romanzo e il regista dell’opera tornano nuovamente insieme per riproporre al pubblico teatrale nazionale una nuova avventura dai racconti camilleriani.
Dunque ci risiamo. Ancora un Camilleri, ancora un romanzo. Diverso dal "Birraio di Preston", pur tuttavia un romanzo del ciclo storico del grande scrittore empedoclino. Una vicenda affogata nel mondo storico di Camilleri, che vive di personaggi reali, storicizzati nella sua grande fantasia di narratore. Una vicenda emblematica che disegna i tratti di una Sicilia arcaica e moderna, comica e tragica, ferocemente logica e paradossale ad un tempo. La concessione del telefono è il romanzo del paradosso, più ancora del "Birraio". In esso viene sviluppata, attraverso la narrazione di una vicenda del quotidiano intrigo di pulsioni tra un fesso Pippo Genuardi e la sua Lillina, l’infamia della ragione di un piccolo potere. E i poteri, siano essi forti siano essi nascosti, sono tutti piccoli, moralmente: la ragione che li sostiene poggia sempre sull’ambizione di pochi che orientano la propria azione per annullare le aspirazioni altrui.
Il romanzo, nella sua articolazione, è stato rispettato anche nella riduzione teatrale. Il carattere affascinante di questo progetto, posto essenzialmente sulla novità del testo e della sua possibile realizzazione, si sposa tutt’uno con la possibilità di ricercare strade sempre nuove e diverse per la drammaturgia contemporanea. Il Teatro è di per sé un genere eteroclito. Esso può comprendere e assimilare in sé anche altri generi senza per questo snaturare la sua efficacia e il suo valore. Quando poi, come in questo caso, si è di fronte a una forma narrativa che invita il lettore a dar corpo ai personaggi, privilegiando il parlato e non la descrizione, ecco che il Teatro si trova ad agire su un campo molto familiare. La parola, e il giuoco che con essa e di essa è possibile intraprendere, fa di questo testo un oggetto naturale da essere iniziato ed elaborato all’interno di un’alchimia teatrale vitale e creativa.
Altro aspetto è quello della lingua di Camilleri. Una lingua personale, originalissima, che calca e ricalca, in una divertita e teatralissima sinfonia di parlate una meravigliosa sicilitudine linguistica, fatta di neologismi, di sintassi travestita, di modi d’uso linguistico ricalcati dal dialetto che esaltano la recitazione di possibili attori pensati a prestare i panni al mondo dei personaggi camilleriani.
In quest’ottica stupisce tutto del mondo dei personaggi camilleriani e, in particolare, di quelli della Concessione. Esso non è ordinato e razionale, ma disorganico e felicemente funzionante. I luoghi, i tempi dell’azione sono stravolti nelle loro regole. I personaggi non descritti, ma fatti parlare. Raramente si trova la descrizione di un personaggio se non per esaltarne un elemento utile al suo carattere. Molto spesso i suoi personaggi sono come caratteri, ove l’aspetto più importante è la loro tipizzazione più che la loro descrizione.
In virtù di queste considerazioni, la regia teatrale di questo romanzo ha voluto prendere strade consentite, ma allo stesso tempo non previste dalla scrittura narrativa.
Si è curata un’ipotesi di spazio che restituisse il senso della metafora che sottende all’idea della Concessione: l’idea di base è quella di ricostruire in scena una «Vigata» di carta, la carta del faldoni burocratici, delle lettere e di tutto lo sdovaco cartaceo umbertino sulla Sicilia che chiede senza mai ottenere nulla che… un pezzo di carta. Si è percorsa una scelta nei costumi che seguisse l’ipotesi ironica di una nascita dei personaggi dalla stessa carta di cui sono vittime. Si è aggiunta una via musicale che contestualmente accompagna la vicenda dei personaggi, interpretandone l’umore e il ritmo interno della loro azione. Il palcoscenico, insomma, servirà la storia e di essa se ne farà fedele interprete. Con il suo linguaggio, certo, con i suoi strumenti, che sono gli attori, innanzi tutto, le scene, i costumi e via dicendo, perché così il teatro sa parlare ed è abituato a farsi capire, ma senza che questo voglia dover dire: dimenticate il romanzo, ora c’è il teatro. No. Ricordate il romanzo perché ora c’è il teatro!
 
 

Gazzetta di Parma, 17.4.2007
Teatro. La trasposizione per il palcoscenico e' dello stesso romanziere siciliano
Equivoci e imbrogli a Vigata
Il testo di Camilleri «La concessione del telefono» sabato sera concluderà la stagione di prosa del Magnani di Fidenza. In scena Francesco Paolantoni

Si conclude con un celeberri­mo testo di Andrea Camilleri la stagione di prosa del Teatro Magnani di Fidenza: «La conces­sione del telefono», nella traspo­sizione teatrale dallo stesso romanziere siciliano, con la regia di Giuseppe Dipasquale e por­tato in scena da Francesco Paolantoni sabato alle 21. «La concessione del telefo­no » è, fra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti.
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Il Mattino, 17.4.2007

Un bookcrossing targato Napoli per celebrare la Giornata mondiale del libro. Domenica prossima (dalle 10.30 alle 20) via Scarlatti si trasformerà nella via dello «scambio di copia cittadino». Intanto fino a sabato i napoletani sono invitati a partecipare alla preparazione dell’evento, portando nel megastore Fnac uno o più libri che hanno particolarmente amato o che non stanno più sugli scaffali di casa ormai troppo affollati. I volumi raccolti verranno rimessi in circolo in un gazebo dove sarà possibile animare il bookcrossing portando anche nuovi libri. Obiettivo: a fine giornata tutte le opere letterarie e tutti i romanzi dovranno essere scomparsi dalle librerie allestite nel gazebo e appoggiati sul comodino di tanti appassionati lettori partenopei. Non solo il fascino della carta stampata in via Scarlatti ma anche multimedialità con il videobox letterario, il «messaggio in bottiglia del terzo millennio». Spazio a uno scambio di esperienze e pareri in un corner dove sarà possibile lasciare brevi video testimonianze sul libro più amato o sul libro da non perdere che verranno proiettate alla Fiera internazionale del libro di Torino e sul sito www.fnac.it. Altro momento particolare di domenica sarà la proiezione di booktrailer. Utilizzati soprattutto negli Usa e in Gran Bretagna come sostegno alla diffusione del piacere di leggere, i booktrailer sono brevi filmati costruiti sul modello dei promo cinematografici e il loro scopo è di evocare, attraverso immagini, musica e grafica, i temi e le atmosfere di un romanzo. Suggestivo e accattivante, dotato di grande forza e immediatezza comunicativa, un booktrailer è capace di descrivere in pochi secondi i contenuti di un libro più efficacemente di tante parole. Per l’occasione saranno proiettati in anteprima nella postazione di via Scarlatti sette filmati inediti che rappresentano i «consigli di lettura» targati Fnac: «Ti prendo e ti porto via» di Niccolò Ammaniti; «Un oscuro scrutare» di Dick; «L’ultima estate d’innocenza» di Patrick Fogli; «Tokio Blues – norwegian wood» di Murakami; «Le pecore e il pastore» di Camilleri; «100 sonetti d’amore» di Neruda e «Se una notte d’inverno un viaggiatore» di Calvino. Ma non è tutto. La Giornata mondiale del libro proseguirà il 23 aprile con l’inaugurazione del vernissage di Rino Sorrentino «Il libro come quadro d’autore» nel forum Fnac di via Luca Giordano.
Francesca Scognamiglio
 
 

18.4.2007
Ristampate le inchieste del Commissario Collura
Sarà in libreria il 25 maggio 2007 la ristampa edita da Mondadori delle "Inchieste del Commissario Collura" (Libreria dell'Orso).
 
 

Tuscia Web, 18.4.2007
Viterbo - Provincia - La sesta edizione presentata stamattina da Costanzo al teatro Parioli di Roma
Premio Cardarelli a Navarro-Valls, Camilleri, Strada e Mieli

Se la scorsa edizione aveva ricevuto attenzione e adesioni oltre le aspettative, registrando un livello qualitativo notevole, quella di quest’anno si presenta sotto auspici altrettanto elevati. Venerdì 20 alle ore 21 nella chiesa di S. Maria in Castello per la sesta volta torna il premio internazionale “Tarquinia Cardarelli” la seconda sotto la direzione di Maurizio Costanzo, che ha introdotto la dicitura “La palma dell’eccellenza”.
Ad affiancare il direttore nella conduzione della serata sarà la giornalista Marica Morelli
L’iniziativa è stata illustrata stamattina – alla presenza dello stesso Costanzo, del presidente della Provincia Alessandro Mazzoli, dell’assessore alla Cultura Renzo Trappolini e dell’assessore alla Comunicazione del Comune di Tarquinia Luigi Serafini - al teatro Parioli di Roma, dove il sipario si è alzato anche sui vincitori. Nove sezioni più una palma alla carriera. Ecco l’eccellenza del 2007: [...] letteratura Andrea Camilleri (il padre del commissario Montalbano)
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ExibArt, 18.4.2007
Milano - dal 19 aprile al 30 giugno 2007
Arturo Carmassi - Come possedere correttamente un Carmassi
Galleria Morone, Via Nerino 3 (20123), +39 0272001994 (info), +39 0272002163 (fax), xplanart@galleriamorone.it, www.galleriamorone.it
L’esposizione prevede 27 opere di tecniche miste su tavola che ricoprono un periodo di cinquant’anni della produzione artistica di Arturo Carmassi
orario: dalle ore 11.00 alle 19.00 dal martedì al sabato (festivi e lunedì su appuntamento); maggio e giugno: dal lunedì al venerdì ore 11 - 19 (possono variare, verificare sempre via telefono)
biglietti: ingresso libero
vernissage: 19 aprile 2007. ore 18
catalogo: con testi di Andrea Camilleri
autori: Arturo Carmassi
genere: arte contemporanea, personale

“In qualsivoglia modo un Carmassi penetri nella tua casa, per baratto, per scambio di moneta contro merce, per donazione, per telecinesi, considera che esso non ti è pervenuto per accordarsi al colore delle pareti, per coprire lo sfregio di un’effrazione o lo scolorimento di un’usura. Una vena sotterranea dal percorso tanto improbabile quanto logico l’ha condotto a te: non sei tu che l’hai scelto, tu sei semplicemente il punto di confluenza di una sottilissima rete di coccasioni e di eventi”.
Ironicamente Andrea Camilleri - nel testo di presentazione dell’artista - riprende testualmente l’ottativa prosa dell’ Abbè C. (Celant), utilizzandola come punto di partenza per una “disquisizione giocosa” letteraria, teologica e filosofica per spiegare al fruitore “possessore/posseduto” come valorizzare al meglio l’opera di Carmassi.
Andrea Camilleri invita gli spettatori ad un vero e proprio esperimento visivo.
L’esposizione prevede 27 opere di tecniche miste su tavola che ricoprono un periodo di cinquant’anni della produzione artistica di Arturo Carmassi.
 
 

19.4.2007
Venerdì 20 aprile 2007 Andrea Camilleri sarà presente alla consegna di una bicicletta speciale (prodotta dalla Montante) al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Lo stesso Camilleri ha in precedenza ricevuto in dono una bicicletta simile.
 
 

Il Messaggero, 21.4.2007
Napolitano: per i bulli servono genitori più severi e più attenti

Roma - La condanna è totale, senza appello. Giorgio Napolitano denuncia ancora una volta il bullismo non mancando di chiamare in causa la responsabilità di scuola e famiglia. Il capo dello Stato risponde alle domande di oltre 700 studenti provenienti da tutta Italia e convenuti nella tenuta di Castelporziano per la ”Festa della primavera”.
[…]
Durante la manifestazione Andrea Camilleri ha ricordato il suo 25 aprile in sella ad una bici ora riprodotta in copia e donata anche a Napolitano.
P.Ca.
 
 

Il Mattino, 21.4.2007
Napolitano incontra gli studenti «Più leggi per il volontariato»
«Il bullismo? Forse i ragazzi non ricevono educazione e attenzione»

Roma. Non nasconde di avere Napoli e il suo golfo nel cuore. Confessa ai 700 studenti che ha invitato a Castel Porziano per la festa della primavera che se dovesse fare un quadro (la domanda gli è stata fatta da un alunno delle elementari) dipingerebbe il mare.
[…]
Dodici domande, risponde a tutte ed è in vena di battute come quelle rivolte, prima di parlare con i ragazzi, all’amico Andrea Camilleri e a Giovanni Bollea.
[…]
Elena Romanizzi
 
 

Il Mattino, 21.4.2007
Dopo i film Roma capitale della fiction

Roma. Dopo il cinema, Roma punta sulla fiction. Lo fa con un festival, in programma dal 2 al 7 luglio, e puntuale arriva la polemica sulla presunta rivalità con un’altra analoga e già esistente manifestazione. Come era capitato l’anno scorso tra la Festa di Roma e la Mostra di Venezia, così succede oggi tra il neonato Roma FictionFest, manifestazione diretta da Felice Laudadio che si svolgerà tra il Multisala Adriano, l’Auditorium Conciliazione e la Casa del cinema, e il Telefilm Festival che si tiene in maggio a Milano.
[…]
Quanto ai premi, andranno tra gli altri, ad Andrea Camilleri, Margarethe von Trotta ed Ettore Bernabei.
Francesca Bellino
 
 

La Provincia di Lecco, 22.4.2007
Ritorna in televisione il giornalista italiano più conosciuto e dietro la macchina da presa ci sarà l'operatrice lecchese
Stasera Paola Nessi filma il «debutto» di Enzo Biagi

[…]
«Avremo personaggi importanti come Camilleri o Fazio che sveleranno il loro lato umano, le loro passioni, non parleranno di ciò che li ha resi famosi».
[…]
Anna Masciadri
 
 

Rt - Rotocalco televisivo, 23.4.2007
Trasmissione di Enzo Biagi
Andrea Camilleri racconta del suo rapporto con i gatti

"Io sono stato onorato di un premio che consisteva in un bellissimo piatto nel quale c’era disegnato il Colosseo con un gatto dormiente sopra. Questo premio mi è stato consegnato proprio a Largo Argentina, dove ci stanno i gatti, per il mio reiterato e più volte espresso amore per i gatti.
Perché io ho sempre avuto gatti bastardi. Io non sono mai andato a comprare in un negozio un gatto di razza, non mi interessa il gatto di razza.
Devo dire che bisognerebbe rendersi conto che non siamo noi a scegliere il gatto, è il gatto che sceglie noi. Ho sempre avuto gatti che mi sono entrati in casa e hanno sempre rifiutato di andarsene da quella casa. Quindi in realtà mi hanno scelto.
Non c’è cosa più triste che vedere i gatti randagi, almeno per me è quest’impressione, anche perché il gatto randagio lotta per la sua sopravvivenza. Quelli che io chiamo i gatti guerrieri, bellissimi: però gli manca un occhio, c’hanno mezza orecchia, be’ a questi gatti per esempio bisognerebbe concedere il riposo del guerriero, ecco. Cioè, in genere uno adotta cuccioli, micini piccoli, perché sono graziosi, sono simpatici, però avere un gatto ex guerriero accanto, che con le sue ferite ti dimostra e ti testimonia quant’è dura la vita e quant’è dura la sopravvivenza, credo che sarebbe un esempio a chi cerca la vita facile.
Gatto Barone fa parte della mia vita, è stato un amico sincero, anche -devo dire- un ottimo consigliere in momenti difficili. Era un gatto estremamente intelligente che io raccolsi… Un giorno in un paese della Toscana camminando vidi dei bambini che giocavano a palla, e in quel momento mi resi conto con orrore che la palla che stavano adoperando era un gattino vivo. Allora presi questo gattino, dopo aver un po’ ecceduto su quei bambini, lo confesso. Lo curammo con un amore infinito e lui si legò a noi di altrettanto amore, guarì. Credo che non si rese mai conto di essere un gatto. Partecipò attivamente alla vita della famiglia, non piangeva mai per nessuna ragione al mondo, era una presenza attiva, non passiva, della casa. Lo abbiamo molto amato."
 
 

La Repubblica, 23.4.2007
Ambiente. In Sicilia sud-orientale si cerca il petrolio, società Usa interessata alle ricerche
La Regione ha sospeso i permessi, ma il Tar ha annullato la delibera
Val Noto, lo spettro dell'oro nero
Minacciati i capolavori del barocco

Noto - Il commissario Montalbano contro i texani. Il rude e intraprendente poliziotto, partorito dalla fantasia dello scrittore Andrea Camilleri, alla scoperta dell'oro nero e dei traffici più o meno leciti che si svolgono nella terra in cui sono ambientate le riprese televisive delle sue gesta, riproposte da un tour operator locale in un itinerario di cinque giorni.
Dalla fantasia alla realtà, servirebbe proprio un paladino come lui per fermare la dissennata ricerca del petrolio che minaccia di sconvolgere la Sicilia sud-orientale, l'equilibrio naturale del suo territorio, la sua vocazione turistica e culturale.
[...]
Giovanni Valentini
 
 

La Repubblica, 24.4.2007
Canal Grande
Biagi, un tele-classico per chi lo merita

[...]
Rotocalco Televisivo può procedere con il passo adeguato su temi cruciali (ma anche su Camilleri e i suoi gatti) e prendersi il tempo che vuole, decidendo che chi davanti al video cambia canale perché ha fretta, semplicemente non merita il programma e buon per lui
[...]
Antonio Dipollina
 
 

Il Velino, 24.4.2007
Ascolti tv: “Porta a Porta” vince il duello contro “Matrix”

Roma
[...]
Bene su RaiTre anche l’attualità di Rt Rotocalco televisivo, che ha ottenuto 933 mila telespettatori e il 9,39 per cento di share, in una puntata in cui ha brillato l’intervista di Enzo Biagi allo scrittore Andrea Camilleri. Il programma ha fatto guadagnare alla rete oltre tre punti share rispetto alla programmazione di lunedì scorso.
[...]
Diego Brunella
 
 

L'Angolo Nero, 24.4.2007
Il film "A quattro mani" a New York

Dopo il successo della messa in onda lo scorso 16 aprile su Rai Tre, alle 23.40 all'interno di DOC 3, dove ha ottenuto un importante riconoscimento di pubblico e critica e uno share del 6.21%, il film documentario "A quattro mani" prodotto da minimum fax media e Rai Tre, con la regia di Matteo Raffaelli, sull'incontro tra Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli sbarca a New York per una serata evento all'interno del festival "Black & Blue: Mediterranean Noir Comes to New York" (mercoledì 25 Aprile alle ore 19.45 presso l'Italian Cultural Institute of New York).
Il 27 aprile Massimo Carlotto (fresco di Edgar? Speriamo...) e Carlo Lucarelli parleranno del Noir Mediterraneo nell'ambito della stessa manifestazione.
Alessandra Buccheri
 
 

La Sicilia, 25.4.2007
Palma di Montechiaro

Se avesse accolto l'invito che gli è stato insistentemente formulato dai dirigenti di una locale associazione culturale, certamente il popolare scrittore empedoclino Andrea Camilleri avrebbe potuto spiegare al mondo cattolico palmese che il suo ultimo libro, dal titolo "Le pecore e il pastore", non intendeva assolutamente costituire una testimonianza storica, ma che il suo contenuto era il frutto della sua fertile fantasia, espressa in maniera magistrale con la sua scrittura originale e incisiva.
E invece il papà del famoso commissario Montalbano avrebbe declinato l'invito di tenere una conferenza nella cittadina palmese, dove ancora negli ambienti cattolici, e soprattutto in quelli del monastero del SS. Rosario, dove dimorano le suore benedettine di clausura, non è scemata l'amarezza e l'indignazione per il contenuto dell'ultima opera dello scrittore, in cui ha narrato la storia di dieci suore palmesi che si sarebbero lasciate morire di sete e di fame come donazione a Dio per salvare la vita del vescovo Giovambattista Peruzzo, rimasto gravemente ferito nel mese di luglio del 1945 dai colpi di fucile esplosi da un monaco laico mentre si trovava nell'eremo di Santo Stefano di Quisquina per trascorrere alcuni giorni di riposo. Amarezza che per don Nicolò Lupo, rettore della chiesa del convento benedettino, non si è affatto attenuata ma che anzi è ancora più aumentata a seguito delle notizie apprese a Roma nella casa generale dei Teatini che, nel romanzo "Le pecore e il pastore", Andrea Camilleri ha citato come fonte attendibile del "suicidio" delle suore palmesi. Lo scrittore infatti ha scritto che, tramite un suo amico giornalista di cui non ha fatto però il nome, ha appreso che un religioso teatino quasi centenario che si trovava a Palma nel 1945 per confessare le suore, ricordava l'inquietante episodio, confermando pertanto il sacrificio compiuto dalla dieci monache per la salvezza fisica del loro vescovo e amato pastore.
Il rettore della chiesa del monastero ha affermato che quanto scritto da Camilleri nel suo ultimo romanzo, che continua ad essere il più venduto in Italia, non risponderebbe al vero in quanto padre Bartolomeo Mas, uno dei più anziani teatini residenti nella basilica romana di S. Andrea Della Valle, dove ha sede la casa generale del suo ordine monastico, gli avrebbe assicurato che tra i suoi confratelli non c'è in vita alcun teatino di quasi cento anni e che l'unico ad avere quasi raggiunto tale veneranda età è stato padre Andreu, deceduto quasi dieci anni fa e che dalle benedettine di clausura palmesi è ricordato solo per essere stato l'autore della biografia di San Giuseppe Maria Tomasi, appartenente anch'egli allo stesso ordine monastico.
Un'altra inesattezza, pertanto, sarebbe affiorata nel libro "Le pecore e il pastore", dopo le altre segnalate dallo stesso rettore don Nicolò Lupo. Ma in ogni caso rimane in tutta la sua stupefacente brillantezza la prosa inconfondibile di uno scrittore come Andrea Camilleri che nel suo libro ha saputo narrare come un autentico giallo la storia delle dieci monache, immolatesi per donare la vita al loro vescovo, ma del cui sconvolgente decesso che sarebbe avvenuto nei mesi seguenti all'attentato di cui è stato vittima mons. Giovanni Peruzzo, agli atti del monastero di clausura del SS. Rosario non esisterebbe però alcuna traccia.
Filippo Bellia
 
 

Corriere della sera - Vivimilano, 25.4.2007
Gli equivoci di Camilleri
Al teatro Strehler la commedia «La concessione del telefono»

La Sicilia, in questo periodo, è di casa al Piccolo. Dopo «Il povero Piero» del Teatro Biondo di Palermo, ecco approdare al teatro Strehler «La concessione del telefono», prodotto dallo Stabile di Catania. Come i lettori aficionados ricorderanno, è il titolo di un romanzo di Andrea Camilleri, ridotto per la scena dallo stesso autore insieme a Giuseppe Dipasquale, che firma anche la regia. «Pirandello amava dire che il lavoro dell'autore terminava quando egli riusciva a mettere la parola "fine" alla scrittura teatrale», spiega Camilleri a proposito della trasposizione scenica del suo romanzo. «Tuttavia mi sento di chiosare il buon Luigi: è proprio nella messa in scena che inizia il nuovo viaggio del testo, sempre diverso e sempre nuovo, sempre imprevedibile, sempre disperatamente esaltante». E lo dice con cognizione di causa, perché uomo di teatro è sempre stato e sono relativamente recenti, sempre per la regia di Dipasquale e la produzione dello Stabile catanese, le riduzioni del «Birraio di Preston» e di «La cattura», ispirato alla novella di Pirandello. In questo caso però non è il giallo il colore dominante, bensì le tinte variegate di una commedia degli equivoci, ambientata a fine '800 a Vigata, il paese natale (molti anni dopo) del suo celebre Montalbano, eletto a metafora di un modo di essere e di ragionare in Sicilia. Filippo Genuardi è segretamente innamorato della giovane seconda moglie del suocero e, per poterla sentire più comodamente, fa richiesta al prefetto di una linea telefonica che colleghi il suo magazzino di legname alla casa della donna. Ma l'equivoco è in agguato ed è un banale errore di intestazione della domanda formale, indirizzata a Vittorio Parascianno (in siciliano è un insulto) anziché Marascianno. Da qui si scatena un gran pasticcio, che vede coinvolti, oltre ai famigliari di Genuardi e ai compaesani, anche la Chiesa, la Prefettura, la Questura, la Pubblica Sicurezza, la Benemerita Arma dei Reali Carabinieri e don Calogero Longhitano, il mafioso locale. Sulla scena di Antonio Fiorentino, fatta di vecchi faldoni d'archivio a simboleggiare la burocrazia che soffoca e annichilisce, una quindicina di attori sono alle prese con la lingua bizzarra e personalissima di Camilleri, modellata ma anche reinventata sul dialetto della Sicilia orientale. Nei ruoli principali, Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio e Giampaolo Poddighe. INFORMAZIONI «La concessione del telefono», teatro Strehler, dal 2 al 13 maggio. Ore 19.30 (mart. e sab.) e 20.30 (merc.-giov.-ven.), fest. 16, l.go Greppi, tel. 848.800.304, euro 29,5-23,5
Claudia Cannella
 
 

La Sicilia, 25.4.2007
Dipasquale «Beati Paoli riveduti»

"Fare il regista? Un mestiere romantico da artigiano sognatore". Così inizia la conversazione con Giuseppe Dipasquale, teatrante di razza, impegnato ad ultimare la nuova versione de " I Beati Paoli", che in occasione dei 150 anni dalla nascita dell'autore Luigi Natoli, viene messo in scena per la prima volta a Palermo al Teatro Nuovo Montevergini, dal 27 al 29 aprile e dal 2 al 13 maggio. Produzione del Comune di Palermo, Teatro degli Alchimisti e Teatro Nuovo Montevergini.
Perché oggi ha un senso scenico un romanzo popolare di cappa e spada come " I Beati Paoli"?
«E' una costruzione eroica e antieroica della società, una sorta di romance tratto da una sintesi di racconti orali, che fu pubblicato come feuilleton sul Giornale di Sicilia. La novità di quest'edizione è il luogo d'elezione, i fatti sono accaduti proprio a Palermo. Mi muovo all'interno della mia continua ricerca tra il filo che unisce la letteratura al teatro e quell'alchemica trasmigrazione che trasforma le parole in vivace azione scenica».
A questo proposito è anche questo il segreto del successo del suo spettacolo "La concessione del telefono" di Camilleri, che sta spopolando?
«Sì indubbiamente. La matrice letteraria si sposa alla perfezione con quella teatrale, veicolando il paradosso delle peggiori tragedie della nostra terra in chiave comica. Il pubblico corre a vedere Camilleri e riscopre il piacere del teatro».
Un periodo fortunato e prolifico per la sua carriera?
«Decisamente. Ne sono orgoglioso, pure la mia "Tempesta" shakespeariana, dopo il successo polacco e romano della scorsa stagione, torna a luglio al " Globe" di Roma. Concludo quest'anno la mia direzione artistica al Teatro di Racalmuto, realtà in continua crescita, sia per la programmazione, sia per la scuola che diploma venti qualificati tecnici teatrali».
Qual è la sua cifra registica?
«Non sono un modaiolo, entro sempre dalla porta dei classici. Certo sono un contemporaneo, li riadatto seguendo un principio per me sacro: la centralità dell'attore. La mia piccola utopia rivoluzionaria è: niente teatro autocelebrativo, poetica, libertà e creatività».
Francesca Motta
 
 

Marketpress, 25.4.2007
Appuntamenti – Milano
A tavola come piace a Montalbano
3 maggio, ristorante Malyan’s

“Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare”. Così Andrea Camilleri scrive ne ‘La gita a Tindari’. E se Camilleri scrive, Salvo Montalbano mangia. E mangia i piatti che narrano della bella terra siciliana. Cibi di carattere, espressioni di una cultura vivace e passionale. Cibi della memoria, che comunicano affetto, emozioni e un forte senso di convivialità. Prelibatezze a cui certo non si sottrae un commissario buongustaio, spesso catturato dall’aroma degli arancini o della pasta ’ncasciata. E come lui, giovedì 3 maggio (ore 21), altri amanti della buona tavola si potranno lasciar catturare dalle delizie preparate dal ristorante Malyan’s (via Lazzaro Palazzi 23, Milano, tel. 02. 29405454; costo cena 35 euro). Una serata succulenta, scandita da portate che ricondurranno alle pagine camilleriane; una serata a tu per tu con i piatti della Sicilia più verace. Quelli raccontati nei libri di uno scrittore capace di ricreare i sapori e i profumi della bella Trinacria.
 
 

La Repubblica (ed. di Milano), 25.4.2007

Dopo Morricone alla Scala e Camilleri al Piccolo, stanno per arrivare a leggere i loro inediti ancora caldi caldi Roberto Saviano, Alessandro Baricco, Carlo Lucarelli e Alessandro Piperno. Milano operosa, cosa puoi fare di più per la cultura? Laureare honoris causa Riccardo Scamarcio in Estetica? In Scienze della Comunicazione?
[...]
Patrizia Valduga
 
 

Università di Catania, 26.4.2007
Andrea Camilleri - Il ladro di parole
Le traduzioni francesi

A partire dalle 9:30, la Facoltà di Lettere e Filosofia organizza una giornata di studi nell'ambito del progetto Testo a fronte.
Un incontro su Andrea Camilleri e le traduzioni francesi aprirà una serie di interventi e seminari centrati sulle problematiche della prassi traduttiva, in cui si avranno diverse voci a confronto: gli specialisti, i traduttori, i fruitori e gli studenti, in modo da rendere conto dei diversi punti di vista.
Nel caso di Camilleri saranno presenti i due traduttori francesi Dominique Vittoz e Serge Quadruppani e due specialisti di letteratura moderna e contemporanea, i proff. Di Grado e Gioviale. Ci sarà una tavola rotonda coordinata da Cetti Rizzo con diversi interventi, fra i quali quello di Sarah Amrani, di formazione francese ma attenta lettrice di Camilleri, e studenti che hanno dedicato la loro tesi alle traduzioni francesi di Camilleri. Saranno inoltre recitati alcuni brani nelle diverse lingue, con una selezione musicale.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 26.4.2007
Là dove nel 1150 si ritirò Rosalia Sinibaldi la Pro loco ha ora inaugurato un percorso tra i luoghi di "Le pecore e il pastore"
L´eremo della Santuzza e di Camilleri
Un itinerario storico-letterario a Santo Stefano di Quisquina
Il convento è stato realizzato nel Seicento dopo il ritrovamento della grotta sacra. Oggi è un museo e si visita dal frantoio alle cellette dei frati

È il luogo scelto da Rosalia Sinibaldi per il suo romitaggio dopo la fuga da Palermo. Una piccola grotta a mille metri sul fianco nord del monte Quisquina che i saraceni chiamarono così dall´arabo «koschin», ovvero oscuro perché quasi invisibile per via della fitta vegetazione del bosco. All´eremo della Quisquina, un paio di chilometri fuori dal paese di Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, la futura patrona di Palermo si ritirò per 12 anni tra il 1150 e il 1162, dedicandosi alla preghiera e all´ascetismo. In questo luogo ricco di fascino adesso sarà possibile tornare percorrendo anche altre tracce, oltre quelle del passaggio della «Santuzza», perché Andrea Camilleri vi ha ambientato il suo "Le pecore e il pastore" edito da Sellerio. Il testo ricostruisce infatti la storia di monsignor Giambattista Peruzzo, il vescovo di Agrigento che all´eremo della Quisquina il 9 luglio del 1945 subì un attentato.
«A malgrado che è luglio, i mille metri della Quisquina fanno la sirata accussì frisca chè una billizza… Il vescovo e don Graceffa s´assettano supra alle pietre e sinni stanno in silenzio…Non passa manco un minuto che una fucilata ‘mprovisa, sparata da pochi metri di distanza, esplode con un gran botto…». È questo uno dei punti salienti della ricostruzione di Camilleri e anche uno dei punti di partenza da cui seguire l´itinerario letterario. La Pro loco di Santo Stefano ha infatti appena inaugurato un nuovo percorso che consente di tornare proprio sui luoghi dell´opera di Camilleri. Nel libro i riferimenti a questo luogo suggestivo sono continui: la stanza del Principe Ventimiglia riservata a monsignor Peruzzo nei suoi soggiorni estivi, il bosco della Quisquina dove spararono al vescovo di Agrigento, l´ingresso del convento dove viene soccorso il vescovo subito dopo l´attentato e poi il refettorio, dove il dottore Borsellino operò Peruzzo morente, e la chiesa secentesca dove accanto al sedile del celebrante c´è lo stemma del vescovo.
L´eremo, oggi adibito a museo, è stato realizzato nella metà del Seicento dopo il ritrovamento della sacra grotta di Rosalia. Il percorso guidato nel convento attraversa i vari ambienti, dal frantoio con la vecchia macina, alla dispensa, le cellette dei frati che vi abitarono fino al 1985, la cucina, il refettorio, la cripta per i cadaveri mummificati. La grotta sacra conserva al suo ingresso un´epigrafe incisa nella roccia, che testimonia la presenza della Santa, mentre il santuario resta un piccolo gioiello del barocco siciliano. L´eremo, in questa stagione, si può visitare il sabato, la domenica e nei giorni festivi dalle 10 alle 13 e dalle 15,30 alle 18,30 pagando un biglietto di 2 euro (1,50 il ridotto).
Una volta raggiunto l´eremo di Rosalia Sinibaldi ci si trova già dentro la riserva naturale orientata di Monte Cammarata e della Quisquina, che in questo periodo offre numerosi itinerari naturalistici tra i quali il percorso "Quercia grande" punteggiato dalle peonie mascula in fiore. Oltre l´eremo di Rosalia, nel centro storico del paese si può visitare la Chiesa madre con il busto reliquario di Santa Rosalia, piazza Castello e piazza Belmonte. Tutte le informazioni si trovano sul sito www.quisquina.com o telefonando alla Pro loco al 347 5963469.
Laura Nobile
 
 

AISE, 26.4.2007
Cultura
Il Commissario Montalbano sbarca in Andalusia: domani a Malaga una conferenza su Camilleri promossa dalla "Dante Alighieri"

Malaga - Il Commissario Montalbano arriva in Andalusia. Nell’ambito degli incontri promossi dal Comitato della Società "Dante Alighieri" di Malaga in collaborazione con il locale Centro di Arte Contemporanea e dedicati esclusivamente agli scrittori italiani contemporanei, si svolgerà domani, 27 aprile, alle 19.30 una conferenza del prof. Giovanni Caprara su Andrea Camilleri, che ha dato vita nei suoi romanzi alle avventure del celebre Commissario.
Al termine della prolusione, che avrà luogo presso la sede del Centro di Arte Contemporanea di Malaga, sarà proiettato un episodio della fortunata serie televisiva ispirata ai racconti di Camilleri, con l’attore Luca Zingaretti nei panni del Commissario Montalbano.
 
 

ANSA, 27.4.2007
Libri
Domenica primo Raduno Mondiale fans Camilleri a Roma

Palermo - Dieci anni fa un gruppo di amici di varie parti della Sicilia, uniti dalla passione per i libri di Andrea Camilleri, decise di fondare un fans club dedicato al ''sommo scrittore'' di Porto Empedocle. Dal 1997 a oggi quello che era cominciato come un gioco ha raccolto migliaia di appassionati di tutto il mondo e adesso e' pronto a festeggiare i dieci anni di ''attivita''' con un raduno internazionale che si svolgera' a Roma domenica prossima, a cui partecipera' anche Camilleri.
Lettori provenienti da tutta Italia e da diverse nazioni europee raggiungeranno alle 10 il teatro San Genesio a Roma per ascoltare il loro scrittore preferito, intervistato dal giornalista Gaetano Savatteri. Il club, che e' solo virtuale come la cittadina in cui sono ambientati i romanzi di Camilleri e ha la sua ''sede'' sul sito www.vigata.org, e' nato, tra una chiacchiera e l'altra, dall'idea di otto amici che diventano i soci fondatori, a cui si aggiungeranno negli anni i soci ''arricanusciuti'', quelli ''sintuti'', ''di rispettu'' e i ''diligati''. Il primo atto del fans club, conoscendo l'''allergia'' dello scrittore alle parole straniere, e' ''quello di scusarsi con Camilleri per aver scelto una denominazione in lingua forastera''.
Requisiti fondamentali per l'iscrizione al club sono: aver letto qualche libro del ''sommo'' e possedere almeno un volume di Andrea Camilleri. ''All'atto dell'iscrizione - racconta il presidente del fans club, Filippo Lupo - ogni aspirante socio deve dichiarare i suoi requisiti e potra' scegliere un 'ngiuria (o nick-name, come dicono i forasteri) che lo contraddistinguera'. Il socio dovra', in futuro, comunicare al club l'evoluzione del suo curriculum Camillerianorum Studiorum, cioe' quanti libri ha letto''.
Al club si iscrivono anche traduttori di tutte le nazioni che hanno bisogno di ragguagli sul significato delle numerose parole in siciliano che si trovano nei libri di Camilleri.
''Sono moltissimi anche i lettori italiani che ci chiedono traduzioni e notizie sul 'Sommo' - racconta Lupo - Dal 1999 abbiamo cominciato a collaborare anche con l'editore Sellerio che ci informa costantemente sull'attivita' dello scrittore''.
Per iscriversi al club basta andare sul sito, mentre e' possibile anche partecipare alla mailing list, composta da circa 600 persone che discutono su Camilleri e non solo. ''E' una comunita' virtuale - continua Lupo - sempre piu' numerosa, che riceve anche molta attenzione da parte di Camilleri. Qualche tempo fa abbiamo anche organizzato due chat-audio per fare parlare lo scrittore con i suoi fans dal vivo''.
 
 

Panorama, 27.4.2007
Da Vigata.org a Roma, Camilleri incontra i suoi fan

Domenica mattina alle dieci, a Roma, al teatro San Genesio. Vietato ritardare, come fa solitamente Montalbano con gli appuntamenti dal Questore, se si vuole incontrare il papà del commissario più famoso d’Italia.
Camilleri infatti ha accettato l’invito organizzato dal suo fan club che compie ora dieci anni. Lettori provenienti da tutta Italia e da diverse nazioni europee raggiungeranno il teatro per ascoltare lo scrittore di Porto Empedocle, intervistato dal giornalista e scrittore Gaetano Savatteri.
Il club è solo virtuale e ha sede a Vigata, la cittadina immaginaria in cui sono ambientati i romanzi di Camilleri: è nato tra una chiacchiera e l’altra, dall’idea di otto amici, soci fondatori, a cui negli anni si sono aggiunti i soci ‘’arricanusciuti'’, quelli ‘’sintuti'’, ‘’di rispettu'’ e i ‘’diligati'’. Il primo atto del fan club, conoscendo l’allergia dello scrittore alle parole straniere, è stato ‘’scusarsi con Camilleri per aver scelto una denominazione in lingua forastera'’.
Requisiti fondamentali per l’iscrizione al club sono: aver letto qualche libro del ‘’sommo'’ e possedere almeno un volume di Andrea Camilleri. ‘’All’atto dell’iscrizione - racconta il presidente del fan club, Filippo Lupo - ogni aspirante socio deve dichiarare i suoi requisiti e potrà scegliere un ‘ngiuria (o nick-name, come dicono i forasteri) che lo contraddistinguerà. Il socio dovrà poi comunicare al club l’evoluzione del suo curriculum Camillerianorum Studiorum, cioé quanti libri ha letto'’.
Al club si iscrivono anche traduttori di tutte le nazioni che hanno bisogno di ragguagli sul significato delle numerose parole in siciliano che si trovano nei libri di Camilleri.
‘’Sono moltissimi anche i lettori italiani che ci chiedono traduzioni e notizie - racconta Lupo - Dal 1999 abbiamo cominciato a collaborare anche con l’editore Sellerio che ci informa costantemente sull’attività dello scrittore'’.
Sul sito ci sono gallery di pagine dedicate ai piatti preferiti del commissario Montalbano (un buongustaio, come sanno bene i suoi fan). Ed è nata così una comunità virtuale che riceve anche molta attenzione da parte di Camilleri: in passato ha anche partecipato a chat audio con i suoi fan. In vigatese, naturalmente. Chi l’avrebbe mai detto, vista l’idiosincrasia per le tecnologie del suo personaggio.
Ecco con quanto entusiasmo reagì Montalbano alla notizia dell’informatizzazione del commisariato di Vigata: “Fra giorni arriveranno modernissimi computer, ogni commissariato ne sarà dotato. Ha voluto da ognuno di noi il nome di un agente particolarmente versato in informatica. E io gliel’ho fatto… Catarella!“
 
 

27.4.2007
University of Toronto
GSAIS Conference
Jana Vizmuller-Zocco, socia del Camilleri Fans Club, presenterà un suo lavoro dal titolo "The Self as the Other in Andrea Camilleri’s Detective Fiction".
 
 

La Repubblica (ed. di Roma), 28.4.2007
Domani al teatro San Genesio
Fan di Camilleri raduno mondiale

Dieci anni fa un gruppo di amici uniti dalla passione per i libri di Andrea Camilleri, decise di fondare un fan club dedicato al «sommo scrittore» di Porto Empedocle. Dal 1997 a oggi ha raccolto migliaia di appassionati di tutto il mondo e adesso festeggia i dieci anni di «attività» con un raduno internazionale a cui parteciperà anche Camilleri. Lettori provenienti da tutta Italia e da diverse nazioni europee raggiungeranno alle 10 il teatro San Genesio (via Podgora 1) per ascoltare il loro scrittore preferito.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 28.4.2007
Lettori di Camilleri unitevi. Domani il raduno con lo scrittore

Dieci anni fa un gruppo di amici di varie parti della Sicilia, uniti dalla passione per i libri di Andrea Camilleri, decise di fondare un fans club dedicato allo scrittore» di Porto Empedocle. Dal 1997 a oggi quello che era cominciato come un gioco ha raccolto migliaia di appassionati di tutto il mondo e adesso è pronto a festeggiare i dieci anni di «attività» con un raduno internazionale che si svolgerà a Roma domani a cui parteciperà anche Camilleri.
Lettori provenienti da tutta Italia e da diverse nazioni europee raggiungeranno alle 10 il teatro San Genesio a Roma per ascoltare il loro scrittore preferito, intervistato dal giornalista Gaetano Savatteri. Il club, che è solo virtuale come la cittadina in cui sono ambientati i romanzi di Camilleri e ha la sua "sede" sul sito www.vigata.org, è nato, tra una chiacchiera e l´altra, dall´idea di otto amici che diventano i soci fondatori, a cui si aggiungeranno negli anni i soci arricanusciuti, quelli sintuti, di rispettu e i diligati. Il primo atto del fans club, conoscendo l´allergia dello scrittore alle parole straniere, è «quello di scusarsi con Camilleri per aver scelto una denominazione in lingua forastera». Requisiti fondamentali per l´iscrizione al club sono: aver letto qualche libro del «sommo» e possedere almeno un volume di Andrea Camilleri. Al club si iscrivono anche traduttori di tutte le nazioni che hanno bisogno di ragguagli sul significato delle numerose parole in siciliano che si trovano nei libri di Camilleri.
 
 

La Stampa, 28.4.2007
Raduno mondiale
Arrivano a Roma tutti i pazzi per Camilleri

Dieci anni fa un gruppo di amici di varie parti della Sicilia, uniti dalla passione per i libri di Andrea Camilleri, decise di fondare un fan club dedicato al «sommo scrittore» di Porto Empedocle. Nell’anniversario, gli appassionati di tutto il mondo si festeggiano con un raduno internazionale che si svolgerà a Roma domani, a cui parteciperà anche Camilleri. Lettori provenienti da tutta Italia e da diverse nazioni europee raggiungeranno alle 10 il teatro San Genesio a Roma per ascoltare il loro scrittore preferito, intervistato dal giornalista Gaetano Savatteri.
 
 

Step 1, 28.4.2007
Merci Camilleri!

Come tradurre il celeberrimo "Salve, Montalbano sono" in un'altra lingua? Come tradurlo in francese? Questi gli interrogativi cui si è cercato di rispondere durante l'incontro “Testo a fronte, Andrea Camilleri” di giovedì scorso

“Bonjour, Montalbano, je suis” certamente questa traduzione letterale non soddisfa per niente la frase caratteristica del commissario più famoso d’Italia ovvero “Salve, Montalbano sono”. Allora come fare a tradurre un opera di tale complessità in una lingua straniera? Questo è uno degli argomenti trattati all’incontro intitolato “Testo a fronte, Andrea Camilleri, il ladro di parole e le traduzioni francesi”  svoltosi lo scorso giovedì nell’Auditorium dei Benedettini.
L’evento è stato presieduto dai traduttori Dominique Vittoz e Serge Quadruppani insieme a Sarah Amrani, Antonio di Grado, Federica di Marco, Fernando Gioviale, Rocco Rositani e Cetty Rizzo. Hanno partecipato anche gli attori Dorothy Armenia, Alfio Gazzetta e Rocco Rositani, che hanno prestato la loro voce per la lettura dei testi e Gregorio Lui si è occupato della musica.
Si è parlato del grande contributo che lo scrittore siciliano Andrea Camilleri (nato a Porto Empedocle nel 1925) ha dato sia alla letteratura italiana contemporanea che a quella straniera. Si è riflettuto innanzitutto su come lo scrittore, prendendo ispirazione dal maestro Pirandello, ha formulato una lingua che non è la trascrizione del dialetto siciliano. Si tratta, invece, di una reinvenzione del dialetto che recupera una certa quantità di parole contadine, che si sono perse nel tempo. Ma come è possibile tradurre il siciliano di Camilleri nella rigida lingua francese che è strettamente legata alla parlata parigina? I traduttori sono dell’opinione che la traduzione dei testi di Camilleri aiuti ad uscire dalla rigidità del francese accademico. Essi infatti si servono della parlata di Lyon la quale si differenzia molto dal francese ufficiale e che quindi riesce a rendere meglio le sfumature del siciliano [In effetti tale scelta è quella di Dominique Vittoz, mentre Serge Quadruppani ha optato per una soluzione ben diversa, creando a sua volta una lingua “nuova” a partire da termini di argot, NdCFC].
Riflettere su Camilleri, sui suoi luoghi, sulla sua lingua ha portato a considerare come l’essere siciliani non sia un fatto solo anagrafico, ma una condizione dello spirito. Come ha testimoniato la professoressa Sarah Amrani, le opere di Camilleri riescono a far comprendere e apprezzare agli stranieri la cultura e la società siciliana, molte volte fraintesa e svalutata dai soliti pregiudizi.
Non ci resta dunque che ringraziare il nostro conterraneo per i suoi libri che non deludono mai.
Leonarda Oriana Torrisi
 
 

29.4.2007
Raduno Mondiale del Camilleri Fans Club
 
 

Radio 24, 29.4.2007
Domenica 24
La trasmissione, dedicata ai Fans Club, si è collegata con il Raduno del Camilleri Fans Club.
Giampaolo Musumeci, Emanuela Pesando
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Corriere della sera, 29.4.2007
Debutti / «La concessione del telefono» diretta da Dipasquale da mercoledì al teatro Strehler
Equivoci e imbrogli firmati Camilleri

Il regista: «Una denuncia delle perversioni della burocrazia»

Un mondo accartocciato su se stesso, fatto di vecchi faldoni d' archivio, pratiche inevase, inutili commissioni d' inchiesta. Ad abitarlo paradossali uomini di carta, vittime della burocrazia e del potere perverso che rappresenta. È la metafora che Giuseppe Dipasquale, collaudato regista delle opere di Andrea Camilleri, propone per la messa in scena de «La concessione del telefono», commedia dal risvolto noir prodotta dal Teatro Stabile di Catania; la storia, ambientata nell' 800 a Vigata, luogo della mente scelto da Camilleri per raccontare le contraddizioni della sua Sicilia, è semplice. Filippo Genuardi (Francesco Paolantoni) ha una relazione segreta con la moglie di suo suocero; per avere una linea telefonica che colleghi il suo magazzino alla casa dell' amante, invia tre lettere al prefetto (Gianpaolo Poddighe) ma per un piccolo errore nell' intestazione si scatena un subbuglio che coinvolgerà i più alti organi dello Stato. «La linea telefonica - spiega il regista - rappresenta la richiesta di tutti i cittadini che si rivolgono allo Stato per trovare una soluzione alle piaghe che affliggono la Sicilia. Le risposte purtroppo sono sempre le stesse, fogli di carta inutili che si depositano sulle scrivanie degli uffici. Sulle perversioni della burocrazia abbiamo spinto al massimo il paradosso, denunciando il girare a vuoto che domina il nostro Sud». A dare voce al testo, scritto per metà in forma epistolare, 14 attori d' origine siciliana tra cui Tuccio Musumeci (il mafioso) e Pippo Pattavina, impegnato in ben sette ruoli diversi. Lo spettacolo compie un solo piccolo tradimento, «Nel libro - sottolinea Andrea Camilleri - l' unico a parlare napoletano era il prefetto; qui usa lo stesso accento anche Genuardi (Paolantoni) perché non c' è peggior cosa che sentire un attore napoletano che parla in un dialetto che non è il suo». Infine una curiosità. «Mia nonna - aggiunge lo scrittore - nel 1892 chiese la concessione di una linea telefonica, ma all' epoca le linee attraversavano territori privati, e tale richiesta poteva creare gravissimi conflitti personali».
Livia Grossi
 
 

La Sicilia, 30.4.2007
Società
I fan club di Andrea Camilleri

Dieci anni fa un gruppo di amici agrigentini e di diverse altre parti della Sicilia, tutti accomunati dalla passione per i libri di Andrea Camilleri, decisero di dare vita ad un «fan club» dedicato al «sommo scrittore» di Porto Empedocle [fra i fondatori del Camilleri Fans Club non c'è alcun agrigentino, NdCFC]. Ieri mattina a Roma, in occasione del decimo anniversario di fondazione del sodalizio, gli appassionati di tutto il mondo, delle indagini del commissario di Vigata, Salvo Montalbano, si sono riuniti in un cine teatro a pochi passi dall'abitazione romana dello scrittore, per festeggiare l'avvenimento. Al teatro San Genesio infatti, si è presentata una moltitudine di persone, soprattutto adulte ma non sono mancati neppure i giovani, diversi dei quali partiti appositamente dal capoluogo agrigentino [nessuno dei partecipanti proveniva dalla zona di Agrigento, NdCFC] e più in generale dalla Sicilia. E all'improvviso, dal fondo del teatro, è apparso anche lui, con tanto di coppola calcata in testa e di sigaretta stretta tra le dita, per salutare i suoi lettori. Accompagnato ed intervistato da un altro autore agrigentino, Gaetano Savatteri, dopo il messaggio di saluto fatto giungere ai presenti dal sindaco della città che gli ha dato i natali, Calogero Firetto, Camilleri ha voluto annunciare ufficialmente la nuova indagine del commissario Montalbano («La pista di sabbia») che uscirà tra non molto in libreria e pubblicizzare un nuovo libro, questa volta che trae spunto dai «pizzini» di Bernardo Provenzano i cui diritti d'autore saranno devoluti ad un Fondo che si occupa dei figli delle forze dell'ordine, rimasti orfani per mano della mafia. Al termine della «convention», dopo i tradizionali baci e abbracci e le foto scattate con il telefonino, lo scrittore, data l'ora, ha voluto recarsi a pranzo in una trattoria dietro Palazzo Madama, gestita da un vecchio amico «marinisi» [in realtà il pranzo, previsto dal programma del Raduno, si è svolto alla "Trattoria" dello chef palermitano Filippo La Mantia, NdCFC]. In questa osteria [sic!, NdCFC] sono state servite «le triglie fritte del commissario Montalbano» che, anche se non avevano tutto il gusto e il sapore di quelle empedocline, sono pur sempre state molto gradite da tutti i numerosi commensali [il menu non prevedeva triglie fritte, ma altre specialità siciliane, NdCFC].
Lorenzo Rosso
 
 

La Voce d’Italia, 30.4.2007
In scena al Piccolo Teatro Strehler da mercoledì 2 maggio
“La concessione del telefono” diventa una pièce teatrale

Andrea Camilleri ha collaborato alla sceneggiatura del suo romanzo, alla regia Giuseppe Dipasquale

Se per un punto Martin perse la cappa, lo scambio di due lettere dell’alfabeto è sufficiente nella Sicilia di Andrea Camilleri per far scatenare un equivoco che sembra non aver più fine.“La concessione del telefono”approda al Piccolo Teatro Strehler di Milano per una novità assoluta al debutto il prossimo mercoledì 2 maggio, con una particolarità rispetto a quello che in genere avviene per le trasposizioni dei romanzi. In questo caso, infatti, autore e sceneggiatore hanno lo stesso volto dell’inventore di Montalbano:Camilleri non solo l’ha scritto, ma grazie a quasi mezzo secolo di lavoro in sceneggiature per teatro, radio e televisione, ha pensatoanche di ridurre questa divertente commedia degli equivoci a quattro mani con Giuseppe Dipasquale.
La vicenda prende le mosse - come si diceva - da una distrazione che verrà pagata cara. La compie Filippo Pippo Genuardi per un amore impossibile. Il protagonista, innamorato della giovanissima seconda moglie del suocero, per poterla sentire con maggior facilità e frequenza fa partire una regolare richiesta per installare una linea telefonica privata in grado di mettere in contatto il suo magazzino di legname con la casa del vecchio suocero. Fin qui gli avvenimenti restano sul binario della storia privata. Ma nella domanda formale inoltrata al prefetto di Montelusa si annida l’errore fatale: Genuardi lo nomina, infatti, Vittorio Parascianno invece che Marascianno. Da qui l’intrecciarsi delle peripezie della Concessione che si allargano fino a coinvolgere anche la Chiesa e soprattutto i vari apparati dello Stato, come la Prefettura, la Questura, la Pubblica Sicurezza e l’immancabile Benemerita Arma dei Reali Carabinieri. Non solo. Tra le figure interessate in questo domino perverso anche Don Calogero Longhitano, il mafioso del paese.
La lingua è quella che i lettori della saga del commissario Montalbano hanno imparato a conoscere e ad amare: un vivace e composito mosaico di parlate diverse, neologismi coloriti e modalità mutuate dal dialetto siciliano, anzi meglio di Vigata, dove si sviluppa anche questa vicenda.
Fra gli attori Francesco Paolantoni, Pippo Pattavina e Tuccio Musumeci, diretti da Giuseppe Dipasquale e calati nelle scene di Antonio Fiorentino.
Vittorio Nava
 
 

 


 
Last modified Monday, February, 03, 2014