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RASSEGNA STAMPA

MARZO 2008

 
I love Sicilia, 3.2008
Conversazione sulla Sicilia - A pranzo con Andrea Camilleri e Mimì La Cavera
La Sicilia di Mimì e Nenè
Mettete i due grandi vecchi di un’isola a tavola in un ristorante romano. Un rosso siciliano, gnocchi e astice.
E i ricordi e i sogni di Andrea Camilleri e Mimì La Cavera.
Il pranzo è servito

La Sicilia non ha un Grande Vecchio. La Sicilia ne ha addirit­tura due. Due Grandi Vecchi che sono stati pupari, registi, manovratori, annidati dietro le quinte. Adesso i due Grandi Vecchi sono nella luce abbagliante di Roma, nel roof dell'hotel Bernini, alto sui tetti della capitale, in una luminosa mattina di febbraio. Uno si chiama Mimì. L'altro si chiama Nenè. Mimì ha novantadue anni. Nenè ottantadue. Il primo è minuto, affilato, dai modi riservati e garbati. L'altro è alto, corpulento, dai toni bruschi e diretti.
In altre latitudini, si favoleggia di un Grande Vecchio. La Sicilia, sempre esagerata, ne può sfoggiare ben due. Quando si parla di Grandi Vecchi si pensa a eminenze grigie, luciferine strategie, malevoli orchestrazioni Questa volta però la storia è diversa. I due Grandi Vecchi Siciliani non si erano mai incontrati prima, anche se le loro traiettorie avrebbero potuto avere degli snodi comuni. Ma gli appuntamenti della vita ci portano altrove. Però non è mai troppo tardi. E così Mimì e Nenè finalmente sono allo stesso tavolo. Elegantissimo in gessato doppiopetto della sartoria Caraceni, con tanto di cravatta e pochette, Mimì si offre all'abbraccio del nuovo amico. "Sei bellissimo", dice Nenè, calandosi un poco per abbracciarlo. Nenè, anche lui in giacca e cravatta, è abile a nascondere la commozione, ma qualcosa trema nella sua voce. Mimì poggia una mano sul braccio di Nenè: "Sei fantastico". Le presentazioni sono fatte. Ciascuno ha annusato, riconosciuto e accettato l'altro.
E siccome sono due affabulatori, si va in scena.
Se questa fosse la saga del “Signore degli Anelli” potremmo raccontare di avere assistito al confronto tra Galdalf il Grigio e Galdalf il Bianco. Ma questa nostra Terra di Mezzo è la Sicilia. E i due Grandi Vecchi non sappiamo quanto siano diventati saggi con l'età e l'esperienza. Sappiamo però che credono nei sogni, soprattutto in quello concreto di una Sicilia normale, affrancata da Cosa Nostra, al passo coi tempi. Non a caso, entrambi, Mimì e Nenè, hanno scelto di tenere a battesimo “L'isola che c'è”, l'inserto settimanale del Riformista, in edicola ogni sabato, che racconta questa primavera siciliana.
E non a caso, a mettere insieme Mimì e Nenè - che per chi ancora non lo avesse capito sono Mimì La Cavera e Andrea Camilleri, detto Nenè dagli amici più cari - sono stati proprio quell'lvan Lo Bello e quell'Antonello Montante che hanno rivoluzionato i toni, i modi e le priorità della Confindustria siciliana e nazionale. I due Grandi Vecchi confabulano, guardando di sottecchi i due giovani imprenditori. Bisogna aguzzare l'udito per sentire cosa dicono. Proviamoci.
Mimì: "Questi ragazzi vanno aiutati"
Nenè: "Sono eccezionali"
Mimì: "Stanno facendo una grande battaglia di innovazione"
Nenè: "Ma pure la politica deve fare uno sforzo".
Mimì: "Certo, lo vedremo presto alla Regione se la politica vuole stare al passo con questa rivoluzione siciliana".
Nenè: "Vedrai, Mimì. Sono sicuro che è la grande occasione per la Sicilia".
Mimì: "Lo sai Camillè, questi ragazzi stanno portando avanti i miei sogni. Finalmente qualcosa si muove, quasi non ci credevo più".
Parole, racconti e ricordi. Dal passato al futuro, dal presente al passato. La Cavera si muove agilmente nella lista dei vini: rosso siciliano, s'intende. Incertezza sulle ordinazioni. ':A.lla nostra età bisogna mangiare leggero", dice Camilleri.
Gnocchi al forno per Mimì. Astice con carciofi per Nenè.
Il regista e l'ingegnere, lo scrittore e l'imprenditore, L'uomo che dirigeva le attrici e l'uomo che sposò un'attrice, Il personaggio di spettacolo e il personaggio delle cronache rose, Quante vite in questi due Grandi Vecchi, Quante resurrezioni, sotto altra forma e altra veste. Negli anni Cinquanta Mimì La Cavera dirigeva Sicindustria, la prima associazione d'industriali d'Italia e Andrea Camilleri dirigeva le sue prime rappresentazioni teatrali. La Cavera stava a Palermo, Camilleri a Roma. La Cavera disegnava un possibile sviluppo per la Sicilia, Camilleri lavorava al “Tenente Sheridan” e al “Commissario Maigret”. La Cavera sposava in seconde nozze Eleonora Rossi Drago nel 1973, Camilleri cominciava a scrivere il suo primo romanzo “Il corso delle cose”. Vite parallele, forse destinate a non sovrapporsi mai, se non ci avesse pensato Antonello Montante, amico di entrambi. Uno accanto all'altro, Mimì e Nenè attraversano la storia di questo nostro Paese. Nel bene e nel male. Nelle tragedie e nelle speranze. I loro racconti sono divertenti e divertiti, senza retorica, ma col gusto di affascinare. Mimì La Cavera torna al settembre 1943, quando era ufficiale dell'esercito: "Erano i giorni della notizia dell'armistizio. Si era sparsa la voce che c'erano partigiani sui monti Simbruini, vicino Roma. In quella zona c'era rifugiato anche un generale fascista.
Ad un certo punto arrivarono i tedeschi, eravamo disarmati e aspettavamo l'arrivo degli americani. Mi afferrarono urlando: papiren papiren".
"Che volevano?", chiede Camilleri?
"Credo volessero i documenti, Ci portarono nella chiesa del paese. Trovammo un tedesco morto, ammazzato. Allora io e mio cognato Carlo Caravani, il fratello di Giulianella la mia prima moglie morta giovanissima, li aiutammo a portare fuori quel corpo senza pensarci un attimo, Commettendo un errore gravissimo: erano i tempi in cui per ogni tedesco ammazzato venivano uccisi dieci italiani. Fui tra i primi ad essere scelto per essere fucilato. Avevo con me un messale. Aspettando l'ora fatale, leggevo: introito ad altare Dei, ad deus qui laetificat iuventutum mea. Camminavo e leggevo a voce alta. Ad un certo punto arriva il maggiore tedesco e si accorge che quel soldato è stato colpito da un'arma in dotazione all'esercito tedesco. L'esecuzione fu sospesa e ci portarono prigionieri a Riofreddo. Per fortuna mio suocero era amico di qualche cardinale. Mi liberarono sotto la promessa che avrei partecipato alla Repubblica di Salò".
"E collaborasti con la Repubblica di Salò?", domanda Camilleri.
"Macchè", si agita La Cavera, "figuriamoci se mi mettevo a collaborare con quelli là".
Gli aneddoti si moltiplicano. Mimì ricorda quando fece costruire una finta jeep, solo carrozzeria senza motore, La mise in mostra e ne diffuse la fotografia, Voleva dimostrare a Val letta, grande capo della Fiat, che la Sicilia era pronta a costruire auto assieme ad alcune aziende americane, "Valletta mi volle incontrare", dice Mimì. "Mi chiese: ma che fa La Cavera? E io gli dissi: se la fabbrica la impianta la Fiat, io non faccio questa qui con gli americani. E così la Fiat arrivò in Sicilia".
Passano in rassegna persone, storie, personaggi. "Stavo preparando uno spettacolo a Venezia", racconta Camilleri. "Ero disperato, perché non mi arrivavano le scenografie. Ma qualcosa ero riuscito ad arrangiare, assieme ai tecnici. Arriviamo al giorno della prova generale. Ero agitatissimo, stanco, sotto stress. Questo spettacolo era promosso da un ente religioso. Infatti, alla prova generale arrivano una serie di vescovi, parrini, monache. Nel buio della sala non me ne accorgo. Mi accorgo però che lo scenografo stava combinando qualche guaio: avevo costruito delle nuvolette sulla scena e me le stava facendo cadere a pezzi. Inferocito, attraversai tutto il teatro bestemmiando, tirando giù dal cielo santi e madonne".
"E i vescovi lì?", fa La Cavera, divertito.
"Certo, tutti schierati in prima fila. Appena arrivai sul palco, tirai un cazzotto allo scenografo. Mi accorsi in quel momento che, uno dietro l'altro, monaci, vescovi e parrini stavano uscendo dalla sala indignati. Non ti dico la mia vergogna: non ci dormii tutta la notte. L'indomani mi presentai in curia, per scusarmi. Un parrino mi disse vada dal patriarca. E lì seduto c'era Angelo Roncalli, che poi sarebbe diventato papa Giovanni XXIII".
"Proprio lui?" dice Mimì.
"In persona pirsonalmente. Gli dissi che mi volevo scusare per la mia scenata, per le mie bestemmie. Roncalli mi disse serio: non deve scusarsi con me, ma con se stesso. Appunto per questo sono qui, risposi. Poi, sorridendo, Roncalli aggiunse: però un pugno a quello scenografo glielo avrei dato anch'io". Ride Mimì. Ride Nenè. Questi due devono avere un segreto tutto loro. Il segreto di essere Grandi Vecchi restando sempre un po' ragazzi.
Marianna Bartoccelli e Gaetano Savatteri
 
 

I love Sicilia, 3.2008
Innanzitutto
Cu è Cu

Gli americani usano compilare il Who's Who, catalogo delle donne e degli uomini chiave. In Sicilia, traducendo, abbiamo il Cu è Cu per indicare i siciliani imprescindibili. Per stilare questa sorta di graduatoria abbiamo scelto Nove Saggi, incaricati di fornire dieci nomi a testa. Le novanta biografie formano così la Tombola di Sicilia; la Smorfia per decodificare volti e nomi dell'isola. Novanta biografie più Nove, quelle degli stessi selezionatori. Novantanove nomi da tenere d'occhio nei prossimi mesi, nei prossimi anni e che offriremo, in pillole, numero dopo numero. Ma presentiamo i Nove Giurati: Roberto Andò, regista di cinema e teatro; Andrea Camilleri, scrittore; Giuseppe Di pasquale, direttore del teatro Stabile di Catania; Tano Grasso, presidente della fondazione delle associazioni antiracket; Ivan Lo Bello, presidente siciliano di Confindustria; Luigi Lo Cascio, attore; Annamaria Palma, magistrato; Antonio Sellerio, editore; Italo Tripi, segretario siciliano della Cgil. Naturalmente, non riveleremo mai chi ha indicato chi: garanzia di anonimato utile per capire molte presenze, ma soprattutto per capire le assenze. Perché in questa classifica è importante esserci, ma è più grave non esserci.
Gaetano Savatteri
 
 

Civis, 3.2008 (online 27.2.2008)
Porto Empedocle filosofo - poeta

I versi dedicati dal grande poeta latino Lucrezio al filosofo Empedocle di Agrigento rappresentano l'elogio e la stima più lampanti nutriti dal primo nei riguardi del secondo; autore, tra l'altro, del Poema fisico e lustrale scritto, come dice il titolo, in versi, considerato che egli oltre che eminente filosofo, era anche un illustre poeta ed un insigne medico.
I ventidue esametri del I libro del "De rerum natura" (711-733) restano di una bellezza inimitabile specialmente laddove il filosofo di Akràgas - elogiando la terra di Sicilia "superba di tante bellezze" - osserva significativamente che tale regione "è più beata ché accolse nel grembo quell'uomo sì eccelso, / di cui nulla più santo, di lode, più degno e d'amore". / Ei sì sublimi canti espresse dal petto divino, / meravigliosi veri svelando agli umani intelletti"( trad. P.Perrella) "ut vix humana videatur stirpe creatus", come conclude l'eccelso poeta romano.
Naturalmente, anche Luigi Pirandello, l'altro grande Agrigentino, scrittore, drammaturgo e poeta anche lui, si ricordò spesso della frazione marittima di Girgenti, come si chiamava allora la città, dove trascorse diversi anni della sua infanzia e della sua giovinezza, e dove ambientò alcune novelle a conferma dell'amore per la propria terra e per "il mare aspro africano", come amava chiamarlo.
Così come egli richiamò, altrettanto spesso, alla memoria la città natale Agrigento, la greca Akràgas, designata, non meno sovente, come "la città sul colle".
Pirandello, pertanto, non trascorse soltanto alcuni anni a Porto Empedocle - cittadina nella quale conseguì, tra l'altro, la licenza liceale nel 1886 - , ma ebbe pure l'occasione, al seguito del padre Stefano, noto imprenditore di zolfo, di osservare il durissimo lavoro dei "solfaraj", e degli altri lavoratori che attendevano alle fatiche del porto.
Mansioni legate alla pesca e, in particolare, al commercio dello zolfo.
Il futuro novelliere tornerà di frequente sui temi delle zolfatare, dei carusi, dei picconieri e dei carrettieri restandone molto turbato se è vero, com'è vero, che nel romanzo "I vecchi e i giovani" (1908), egli così rammenterà quei derelitti.
"E vi so dire che se nelle condizioni presenti quelli che hanno da sperare meno sono solfara, picconieri e carusi, non meno tristi sono però le sorti dei coltivatori delle miniere e dei proprietari".
Oggi Porto Empedocle è una ridente cittadina prospiente il mare africano, secondo la designazione di Pirandello, che conta 15.000 abitanti, ma negli anni Cinquanta essa era ancora un agglomerato urbano un po' disordinato alle prese col suo porto, con le sue attività commerciali - segnatamente industriali legate alla produzione e allo smercio dello zolfo che allora era preminente - e, infine, con l'esercizio della pesca.
Di tutto ciò, hanno discusso, da par loro, in un pregevole e recente libro - "L'occhio e la memoria. Porto Empedocle 1950" (Palombi Editore, Roma, 2007) - tre autori: Andrea Camilleri, Italo Insolera e Michele Curcuruto.
Il primo, cittadino di Porto Empedocle, non ha certo bisogno di presentazioni, data la sua prestigiosa ed incessante attività di narratore; il secondo, famoso architetto, ha curato le numerose fotografie d'epoca della cittadina siciliana; il terzo, infine, noto geologo ed esperto di problemi minerari, ha trattato, "ex professo", il tema "La Sicilia: terra di zolfo", come suona il titolo della sua relazione.
Gli interventi nel libro di Andrea Camilleri sono mirati, da una parte ad offrire al lettore una breve quanto succosa storia di Porto Empedocle - alimentata, storicamente, dalla presenza greca, romana, araba, aragonese, borbonica ... -, e, dall'altra, a mettere in luce i vari momenti dei lunghi soggiorni di Pirandello nella cittadina. Soggiorni documentati da alcune novelle del drammaturgo e riportati, in stralcio, dal creatore del Commissario Montalbano. L'architetto Insolera, dal suo canto, ha curato la parte iconografica del volume la quale - ripresa in bianco e nero - fa toccare con mano al lettore l'effettiva dimensione urbana, e non solo urbana, di Porto Empedocle; dimensione che rende alla perfezione l'identità di una cittadina laboriosa sì, ma anche agitata dai complessi problemi di indigenza e di ingiustizie che ne caratterizzavano l'"humus socio-economico".
E, non a caso, Michele Curcurito pone in evidenza, al riguardo, lo stato dei lavoratori delle cave di zolfo, dei carusi e dei bambini che trasportavano "sulle proprie spalle carichi di circa cinquanta chili di roccia, ed a gruppi, in fila indiana, ignudi o quasi, nel buio più totale, rischiarato appena da un lumicino ad olio che il primo della fila teneva legato sulla fronte, madidi di sudore, affrontavano fino a dieci volte al giorno la lunga e ripida salita verso l'esterno della miniera, tra le bestemmie più atroci, i lamenti ed i pianti".
Nell'interessante volume la presenza di Pirandello aleggia dappertutto, e ciò anche per l'amore nutrito dal sommo scrittore per "il greco porto d'Agrigento greca", come leggiamo in "Mal Giocondo", dove "dai templi antichi" veniva a tuffarsi per trovare - è sempre Pirandello poeta che parla - "l'oblio".
La dimenticanza, cioè, che già da allora lo liberasse da quel "mal di vivere" che costituisce la chiave della sua complessa "Weltanschauung".
Opportunamente, infatti, Andrea Camilleri definisce la concezione del mondo dell'Agrigentino come "filosofia dell'esistenza" perché, aggiungiamo, se c'è nel Novecento un pensatore esistenziale, è questi proprio Pirandello, al di là, ovviamente, degli indagatori di professione in tale campo.
Non a caso il genio siciliano, nella celebre Prefazione ai "Sei personaggi in cerca d'autore", aveva scritto di possedere "la disgrazia di appartenere" agli "scrittori di natura più propriamente filosofica".
In conclusione, il bel volume curato da Camilleri, Insolera e Curcuruto, si chiude con la riproposizione della novella pirandelliana "Lontano" (1902) ambientata a Porto Empedocle.
Essa tratta dell'amore di Venerina per un marinaio danese il quale - ammalatosi dopo lo sbarco nella cittadina - dapprima viene assistito dalla ragazza e, in seguito, non riesce più a tornare in patria.
Anzi, i due giovani si sposano e, alla fine, il marinaio rimane definitivamente legato a lei ad onta della nostalgia per la lingua natìa e dei richiami della patria lontana. Sullo sfondo, parole di Pirandello, la "vecchia Girgenti che, sdrajata su l'alto colle a circa quattro miglia dal mare, si rassegnava a morir di lenta morte", a vantaggio, naturalmente, di Porto Empedocle.
 
 

Letture, 3.2008
Il piccolo trotto del poliziesco in Tv

In Italia negli ultimi tre decenni sono stati scritti ottimi romanzi polizieschi, la cui trama gialla ha spesso costituito l’occasione per efficaci ritratti dei costumi e dei malcostumi nazionali. Raccogliendo l’eredità di Scerbanenco, autori come Carlotto, Carofiglio, Colaprico, De Cataldo, Lucarelli, Macchiavelli e Varesi hanno raccontato l’anima “nera” e sconosciuta di tante città: muovendosi non solo nelle aree metropolitane, ma anche dentro l’insospettabile provincia italiana. Alla maniera di Sciascia o Fruttero&Lucentini, tanto per citare alcuni maestri, hanno saputo affrontare l’attualità più scottante e potenzialmente ansiogena, mettendo però il lettore “in sicurezza” attraverso svariati espedienti “distanzianti”. Tra questi, ad esempio, l’ambientazione nel passato, come nei “gialli storici” di Todde e Gori; il ricorso a città immaginarie come la Vigata di Camilleri; l’inserimento di elementi di commedia o di costume, e qui basti pensare alle “digressioni enogastronomiche” di Camilleri e Varesi, o alle dinamiche comiche messe in atto da quella “strana coppia”, ideata da Loriano Macchiavelli, costituita da Sarti Antonio, sergente, e dal suo alter ego: l’anarchico Rosas; o anche, per finire, lo sviluppo di sottotrame sentimentali, come le relazioni passionali e contrastate che vivono i protagonisti dei romanzi di Carofiglio, Varesi e Verasani.
Questi autori hanno rappresentato ed esorcizzato le nostre peggiori paure collettive: quella del “mostro” (un titolo su tutti: “Almost blue” di Lucarelli), quella dell’organizzazione criminale “invincibile” e pervasiva (la Banda della Magliana secondo De Cataldo; gli intrecci tra criminalità organizzata, politica, terrorismo e finanza internazionale, nei libri di Avoledo, Carlotto e Genna), quella degli immigrati “stupratori e ladri di bambini” (“Testimone inconsapevole” di Carofiglio), quella di un soprannaturale maligno, annidato dietro il velo della normalità (come in molte storie di Eraldo Baldini).
Infine, come Gadda ha insegnato, in numerose occasioni essi non hanno esitato a sacrificare le regole e i canoni del romanzo poliziesco al bisogno di conferire spessore eroico ai protagonisti e valenza archetipica alle loro vicende, mettendoli davanti a scelte dilemmatiche, obbligandoli a fare i conti con l’incertezza esistenziale e il bisogno di senso tipici del postmoderno. Ecco allora farsi avanti “eroi riluttanti” (l’avvocato Guerrieri di Carofiglio); “cani sciolti” solitari e malinconici, in perenne conflitto con superiori narcisi e opportunisti (il commissario Soneri di Varesi); alti funzionari che usano il potere soprattutto per difendersi dai fastidi della carriera (Montalbano); “sbirri” maneschi, ignoranti e pasticcioni (il sovrintendente Coliandro di Lucarelli); personaggi “di frontiera”, in bilico tra mondi diversi e contrapposti (basterebbe pensare alle frequentazioni borderline del Gorilla di Dazieri, che pure serve la giustizia); tutori dell’ordine in crisi d’identità, che si dibattono tra mille problemi quotidiani (paghe basse, turni di lavoro massacranti e conseguenti problemi familiari, livello di considerazione sociale a dir poco frustrante, conflittualità tra colleghi), ma rivelano anche un forte attaccamento alla divisa, la solidarietà di corpo, l’orgoglio di tener duro nonostante tutto (è il caso del filone di polizieschi scritti da poliziotti come Di Cara e Lacquaniti).
Rispetto alla letteratura gialla, la fiction televisiva di genere poliziesco appare di gran lunga meno varia e, quel che è peggio, anche meno pronta ad “assorbire” i veleni che ribollono nella “pancia” del Paese. Pensiamo a serie Tv quali “Ris”, “Distretto di polizia”, “Il capitano”, “Gente di mare”, “La squadra”: gradite al pubblico e di grande rilievo nei palinsesti, visto che vengono prodotte in ampie “pezzature” (anche 13 serate l’una) e sono generalmente articolate su vari sequel annuali. Sono tutte basate sulla narrazione “in parallelo” di vita lavorativa e privato dei protagonisti. Tuttavia, nessun problema (né personale né lavorativo) appare mai soverchiante: il gruppo dei colleghi finisce sempre con il trovare una soluzione. Il conflitto tra “pari” o con i superiori, quando nasce, rientra immediatamente, tra abbracci e vigorose strette di mano. Nessun protagonista, pur se ingiustamente accusato, esonerato dal servizio, e solo tardivamente riabilitato, rivela mai alcuna traccia di risentimento nei confronti dell’Istituzione. La Legge viene servita senza dubbi né esitazioni. I borderline o quelli che (apparentemente) tradiscono sono al massimo agenti sotto copertura.
Il “nemico” è sempre di media portata: o il serial-killer di turno o qualche organizzazione illegale, ma dei condizionamenti dei “potenti” non vi è traccia, così come mai si arriva anche soltanto a sospettare l’esistenza di un livello più alto, dove tra criminalità e “gente per bene” non vi sia più soluzione di continuità, oppure dove si possano leggere intrecci pericolosi tra terrorismo e servizi segreti internazionali.
Le comunità straniere (specialmente quella cinese e “africana”) vengono quasi sempre descritte come luoghi in cui regnano omertà e sfruttamento dei connazionali, ma ancora non si osa rappresentarle dall’interno, magari attraverso un protagonista che sia culturalmente “meticcio” e partecipi dei due mondi: il nostro e quello “altro”, la sfera della giustizia e quella dell’illegalità.
È un vero peccato che serie così popolari si dimostrino così poco reattive a incorporare tanto le nuove paure sociali, quanto i grandi archetipi drammatici, preferendo il “piccolo trotto” a qualche “epica galoppata”.
Gian Paolo Parenti
 
 

Centre Wallonie-Bruxelles, Parigi, 1.3.2008
Camilleri alla siciliana
Presentazione del documentario all'interno del festival Objectif Doc.
 
 

Corriere della sera, 1.3.2008
Le idee del sabato
L'Editor di Mondadori non legge Camilleri

Tra le pagine 12 e 13 del romanzo di Andrea Camilleri appena uscito compare un personaggio che poi sparirà del tutto. È Febo Germosino, direttore della banca in cui ha fatto carriera il protagonista del “Tailleur grigio”. Nell'aletta che presenta il libro, con una chiacchierata casuale dalla sintassi e punteggiatura spesso incerte, a sorpresa la comparsa è promossa a primo uomo della storia. Cosa capita da Mondadori? Un editor di peso si è addormentato e coinvolge nella pennichella l'intera redazione, oppure qualcuno architetta uno scherzo? Camilleri è un simpatico burlone, ma non credo abbia responsabilità nella vicenda. Certo, sarebbe naturale che l'inventore del commissario Montalbano covasse un po' di rancore nei confronti dell'editoria di grido, che per tanti anni lo ha snobbato. Ma di qui a farsi un dispetto personale ce ne passa. No, non è lui l' autore del misfatto: non credo che abbia neppure controllato la bandella, preso com'è a scrivere un romanzo dietro l'altro. Dunque come può essere nato questo black-out d' attenzione? Prima ipotesi. Camilleri nel romanzo parla d'una libreria puramente ornamentale in cui ci sono tutti i Meridiani della Mondadori «che facevano una bellissima figura». Si potrebbe trattare di una sottile vendetta dell'editore, trattato male dal proprio autore. Seconda ipotesi. L'errore potrebbe essere stato fatto apposta per far cadere in trappola i critici che non leggono i libri e poi sbeffeggiarli pubblicamente. Terza (più probabile) ipotesi. Alla Mondadori non leggono, si limitano a pubblicare i loro capolavori. Che importanza può avere in questa ottica di onnipotenza sbagliare il nome del protagonista di una storia?
Giorgio De Rienzo
 
 

La Sicilia, 1.3.2008
Parla Andrea Camilleri di cui è arrivato in libreria "Il tailleur grigio" un romanzo borghese su una copiia siciliana. "Ho voluto sparigliare le carte prima di annoiarmi"
Una donna fatale per un dramma d'amore e infedeltà

Sempre più assiduo e sorprendente, Andrea Camilleri è arrivato in libreria con un romanzo insolito per la sua produzione: "Il tailleur grigio" (Mondadori, pagine141, € 16,50). Il primo giorno da pensionato, un alto dirigente bancario, si sveglia incredulo della sua nuova condizione e riflette sul suo avvenire nel quale campeggia la giovane moglie Adele. Di fronte alle incognite del futuro, Febo Germosino [Sic!, NdCFC], si trova a verificare l'infedeltà della moglie, ma anche a gestire una imprevista malattia. Un uomo della sua esperienza finanziaria, anche su sollecitazione di Adele, presto è contattato per incarichi prestigiosi, mentre lei sembra esibire la sua bellezza sempre più sfacciatamente. Salvo quando l'occasione richiede sobrietà. Allora, inguainata in un vecchio, modesto tailleur grigio, assume contegno e partecipa alle necessità incombenti. Ma quando indossa quell'abito si compie in lei una sorta di metamorfosi che riassume eventi della sua vita e di quella delle persone a lei vicine, e la storia cambia traiettoria. Il sommario del tempo passa per quell'abito semplice, quasi una corazza nella quale si cela quando il male avanza dentro la cornice di un ritrovato equilibrio morale.
Un po' Madame Bovary, un po' torbida Lolita nonostante non ne abbia più l'età, Adele è una donna gagliarda e sfuggente nel cui intimo saettano le implicazioni di una generazione insoddisfatta. Una figura che si ritaglia nel panorama della narrativa contemporanea e diventa epigono di una vita vissuta tutta di rincorsa.
Ne abbiamo parlato con Andrea Camilleri nella sua casa romana.
- Nella sua straordinaria produttività, si distinguevano fino ad oggi almeno due grandi filoni: il romanzo basato su una vicenda storica e il romanzo poliziesco incentrato attorno all'eccezionale commissario Montalbano. Con questo romanzo lei sembra iniziare trionfalmente un terzo filone, quello del dramma cosiddetto borghese che ha ancora come sfondo una realtà strettamente siciliana, ma potrebbe accadere nel resto d'Italia e in molti paesi europei.
«La terza serie, in realtà, l'ho già iniziata da qualche tempo. Diversi romanzi, che vanno dalla “Pensione Eva” a “Maruzza Musumeci”, sono libri che esulano da quelli che lei ha identificato come i due filoni principali della mia narrativa, che vorrei anche definire strada biforcuta dei romanzi storici e dei romanzi polizieschi. “Il tailleur grigio” e altre cose che ho scritto, sono come dei viottoli che si aprono improvvisamente sulla strada che sto percorrendo, e mi piace deviare ed esplorare. Ho voluto sparigliare le carte prima di annoiarmi».
- La voglia di nuove esplorazioni, da cosa è motivata?
«Nasce dalla voglia di sperimentare nuovi argomenti che non avevo mai affrontato come in questo romanzo. Non avevo mai scritto di un rapporto di coppia, sia pure sui generis, e mi piace tentare tutte le opportunità».
- Come si è confrontata con la femme fatale del romanzo?
«E' una donna fatale che non sa di esserlo, e nemmeno si atteggia a donna fatale. E' una donna così com'è, bella e disponibile, e per questo risulta fatale agli altri».
- Una fondamentale vena di misoginia di solito assente dalla sua resa dei personaggi femminili, viene qui fuori, o è soltanto un mio sospetto?
«In questo romanzo forse c'è davvero una sorta di misoginia che però non c'è in “Maruzza Musumeci”. Non è che descrivere un personaggio in un certo modo significhi prendere partito: personalmente non mi piace il personaggio che ho scritto, ma questo non vuol dire che non la sopporti o che infierisca su di lei. La misoginia che trapela dal libro, forse è solo un piccolo fastidio, una insofferenza, ma niente di serio».
- C'è un tarlo nella borghesia di oggi che lentamente ne sta demolendo la struttura?
«Sono convinto che la borghesia sia davvero minata da un tarlo interno che la sta corrodendo. Anzi, da tanti tarli, di diversa natura e di diverse specie».
- Qualcuno in particolare?
«Ancora la borghesia non riesce a trovare e ad avere un suo ruolo definito. La verità è che noi italiani paghiamo ancora oggi il fatto che non abbiamo mai avuto una rivoluzione come quella francese, che avesse in qualche modo rinnovato la borghesia. La nostra è una borghesia che discende dalla borghesia secolare, e perciò è una borghesia di per sé tatuata».
- In senso politico oggi il ruolo della borghesia è cambiato, o continua a essere una vetrina e un ricettacolo di nefandezze?
«Non credo che sia cambiato per nulla. La borghesia italiana è quella che, tanto per fare un esempio, quando il Corriere della Sera prese una certa posizione, non comprò più quel giornale; la borghesia italiana è quella che decide di non fumare più sigari nel momento in cui entra in conflitto con qualcosa; è la maggioranza silenziosa, quella di sempre che non ha mai avuto uno scossone, ma oggi è più confusa di prima, perché capisce, forse, che i suoi errori sono un po' cambiati».
- Come si comporterà in futuro la borghesia italiana?
«La borghesia in Italia ha il ruolo che una volta aveva la nobiltà ma, ricordando “Il Gattopardo”, posso dire che oggi la nobiltà non ha più senso: ha senso la borghesia che però non ha un ruolo ben definito ed è lacerata all'interno dalle sue stesse contraddizioni. Credo però che la borghesia italiana, in buona parte, cominci ad adeguarsi alla novità dei tempi. Magari non lo farà in un tempo breve, ma procede».
- Donne vogliose, come la sua protagonista quale aspetto rappresentano della società attuale?
«Rappresentano il disordine interiore che tenta disperamene di proporsi come ordine esteriore. Questo mi sembra abbastanza evidente. Lei è una donna che ha un disordine dei sensi piuttosto cospicuo, ma ciò non toglie che si presenti in un certo ruolo, in un certo modo, e con un certo vestito adatto a quel ruolo: il tailleur grigio».
- Il suo terzo filone narrativo le sta facendo trascurare Montalbano?
«No davvero. Fra qualche mese uscirà un nuovo romanzo che si intitolerà “Il campo del vasaio”, e il commissario continuerà le sue indagini. Nei suoi confronti oggi io sono molto più tranquillo e sicuro. Da quando ho scritto il romanzo in cui racconto la sua fine, fino a quando riuscirò a divertirmi, proporrò nuove avventure del mio personaggio calato sempre nei misteri della Sicilia, nel labirinto del crimine, intento a cercare la giusta via d'uscita. Nel momento in cui non mi divertirò più, dirò alla signora Sellerio di pubblicare il manoscritto che custodisce e addio al commissario e a tutte le sue indagini».
Francesco Mannoni
 
 

La Sicilia, 1.3.2008
“Una commedia super”
Felice il regista Dipasquale per il successo de “La concessione del telefono”

La coppia del teatro catanese formata da Pippo Pattavina e Tuccio Musumeci è punta di diamante dello spettacolo tragicomico «La concessione del telefono», tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri.
La compagnia del Teatro Stabile di Catania metterà in scena fino a domani al teatro Pirandello una commedia di equivoci e di imbrogli, che trova la sua ambientazione ideale in Sicilia, terra di contraddizioni.
Il regista è Giuseppe Di Pasquale, consapevole delle difficoltà di un testo così pieno di metafore e suggestioni.
«”La concessione del telefono” oltre ad essere uno dei romanzi storici - spiega il regista - è la seconda opera di Camilleri che trasferiamo in teatro. C'è voluto tempo per trovare una formula teatrale ma alla fine siamo riusciti a confezionare uno spettacolo dinamico e divertente».
In questo spettacolo non troviamo la figura del commissario Montalbano ma c'è l'humus camilleriano e la sicilianità che rende unici i personaggi.
Gli agrigentini hanno gradito il copione e a suon di risate lo hanno dimostrato.
Sono Pattavina e Musumeci il segreto del successo di questo spettacolo? In effetti, senza nulla togliere ai due mostri della comicità siciliana, è il cast al completo la chiave di volta. La storia fa divertire e allo stesso tempo riflettere.
L'aspetto esilarante finisce per diventare risvolto drammatico, la comicità si converte in tragedia.
«E' difficile mettere in scena le opere di Camilleri - aggiunge Di Pasquale - rappresentare l'identità siciliana che finisce per racchiudere uno scorcio di umanità mondiale».
Il linguaggio siciliano, i personaggi dipinti con la pienezza dei colori, complice la maestria del testo di Camilleri, non danno modo al pubblico di sbadigliare.
E' un continuo rimando a battute ma anche a temi scottanti, quali la burocrazia ottusa, l'ipocrisia della chiesa, la mafia. Eccezionale tempra di Pippo Pattavina, che interpreta sette personaggi diversi, tutti dall'impronta comica.
Il linguaggio è un medley tra un italiano demodé e un siciliano infarcito di termini bizzarri, inesistenti.
I costumi di scena, coloratissimi sono come sipari tappezzati di scritte, pizzini alla Provenzano.
Qui il lavoro, rispetto al “Birraio” (l'altra opera di Camilleri messa in scena dal teatro Stabile di Catania) è più d'azzardo e per questo più entusiasmante. Menzione a parte merita la scenografia, irrealistica e cartacea come il testo da cui prende vita.
Deborah Annolino
 
 

La Sicilia, 2.3.2008
La Bit promuove la nostra provincia
Lo stand siciliano, e quello agrigentino in particolare, hanno riscosso un enorme successo di visitatori

Lo stand aveva il colore del tufo e cercava di ricordare quelli che sono i tratti architettonici dei millenari templi agrigentini. Ma più che il colore, sono stati gli odori di cucina a convogliare in questo spazio del padiglione 15 della Fiera di Milano riservato alla Provincia Regionale di Agrigento, le grandi folle dei visitatori della Bit 2008.
[…]
La Regione ha pensato bene di mettere in mostra, nell'elegante spazio aperto riservato ai visitatori della Sicilia, la vecchia bicicletta Montante che lo scrittore Andrea Camilleri usò durante la guerra per andare da Serradifalco, dove si trovava rifugiato, fino a Porto Empedocle. Si tratta di una magnifica bicicletta ridipinta di bianco e messa in vetrina quasi si fosse trattato di una reliquia. Una bici che, alla fine, è risultata l'emblema di una certa situazione tutta agrigentina. Messa in così bella mostra sembrava voler significare che, in fatto di turismo, almeno per quanto riguarda Agrigento, sicuramente c'è ancora molto da pedalare!
Lorenzo Rosso
 
 

Adnkronos, 3.3.2008
Tv: Ascolti Rai, oltre 5 Mln per 'Domenica In ' da Sanremo

Roma - Con una media di 5 milioni 506mila telespettatori e il 20.63 di share, Raiuno si e' aggiudicata ieri gli ascolti del prime time. In prima serata, Raiuno ha riproposto la fiction ''Il commissario Montalbano'' con l'episodio “La pazienza del ragno”, che e' stato seguito da 5 milioni 231mila telespettatori e ha registrato lo share piu' alto della fascia pari al 23.46 per cento. Lo rende noto la stessa Rai in un comunicato.
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Agr, 3.3.2008
Ascolti tv: Dr. House vince la serata

Roma - House batte Montalbano. 6.210.000 spettatori, con uno share del 23.32%, hanno seguito ieri sera su Canale 5 i nuovi episodi della serie sul medico americano. Bene anche il commissario Montalbano, offerto in replica su RaiUno. La tela del ragno, con Luca Zingaretti, è stato visto da 5.231.000 telespettatori con uno share del 23,46%.
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l'Unità, 4.3.2008
L’intervista. Nel nuovo romanzo lo scrittore siciliano parla per la prima volta della vita di coppia dentro il matrimonio: “Il marito – spiega – cerca di capire cosa farà la propria donna dal vestito che indossa”
Camilleri, il tailleur non fa la moglie

«Dagli ottanta in poi ho deciso di scrivere storie diverse: da “La Pensione Eva” a “Maruzza Musumeci, da “Il colore del sole” a quest'ulti­mo libro “Il tailleur grigio”. Mi sono detto, se non ci si prova da grandi a scrivere romanzi così, quando lo si deve fare?» Con la sua caratteristica ironia, Andrea Camilleri, inizia il dialogo con l'Unità, nel quale oltre a collo­quiare del suo ultimo libro appena pubblicato da Mondadori anticipa i suoi futuri romanzi su Montalbano, e svela che sta lavorando ad una trilogia di roman­zi fantastici, la cui prima opera è stata “Maruzza Musumeci” (Sellerio). Ed ancora, parla della «fine» letteraria del commissario Sa1vo Montalbano e della sua Sicilia, della battaglia degli industriali contro la mafia, contro il racket delle estorsioni.
L’inventore del commissario più famoso d'Italia, autore di importanti romanzi storici che sono stati consacrati dalla pubblicazione nei Meridiani Mondadori, riprende il filo del discorso con la sua simpatica ver­ve: «A 82 anni, è bello sperimentare. È bello provare nuove vie letterarie. Vede, vi è la via mae­stra, la propria strada, poi a vol­te si intravedono dei viottoli, che incuriosiscono. Uno si chiede: vediamo dove portano?»
E questa volta dove l'ha portato il viottolo?
«A scrivere questo romanzo su una storia coniugale. È la prima volta in tutta la mia opera letteraria che mi confronto con questo tema, quello della vita di coppia all'interno del matrimonio. In questo senso è un romanzo tradizionale, un genere che non avevo mai affrontato».
Come è nata l'idea? «Ho tratto spunto dalla realtà. Da una coppia che ho realmen­te conosciuto, che è sempre stata bene. Ma sia chiaro, non c' en­tra nulla con la storia del roman­zo che è una invenzione puramente letteraria. Diciamo che la tipologia dei personaggi mi ha ispirato, ma la trama del racconto è frutto della fantasia».
Si potrebbero vagamente riconoscere nei personaggi?
«A prescindere che sono passati da tempo a miglior vita, i personaggi reali erano fedeli, quelli del romanzo no. Quelli reali avevano interessi profonda­mente diversi sul piano politico, culturale, sociale, ma si ri­spettavano profondamente e non si tradivano».
Diversamente da quelli del romanzo…
«Che non differiscono solo ne­gli interessi culturali e politici. La moglie tradisce continua­mente il marito. Anche se para­dossalmente a suo modo lo ama».
I due protagonisti del romanzo vivono due vite parallele?
«Certo, vite che divergono, fino a quando non si incontreran­no. Sono due persone che si ac­contentano del racconto som­mario della vita dell'altro. Un si­gnore. sposa in seconde nozze una donna parecchio più giova­ne e molto bella, Adele. Lui è un bancario, alta borghesia, lei fa la moglie del bancario. E dato il ruolo del marito, ha una serie di cariche importanti in associazioni benefiche, circoli culturali, è anche vicepresidente di una società che gestisce una squadra di caldo. E per ogni ruo­lo onorifico ha un abito, che cu­ra nei minimi dettagli, in maniera minuziosa. Il marito ad un certo punto va in pensione, e da quel momento la storia del matrimonio è raccontata a ritro­so, risalendo all'incipit. E poi l'incipit si ricongiunge alla fine, alla conclusione»
Qual è l'aspetto che più ha approfondito nella storia?
«La psicologia dei due perso­naggi. Vede, sono due protago­nisti che vivono nell'attenzio­ne delle forme. Si incontrano la sera, ed a volte si raccontano la loro giornata. Ma è un rac­conto superficiale, che si fer­ma alle apparenze. Nessuno approfondisce, è come se la for­ma sostituisse la sostanza. II marito, alto funzionario di banca, è uno che non vuole an­dare in fondo alle cose, non vuol vedere le cose come sono, almeno fino a quando non sbatte in faccia alla realtà. E sa­rà la malattia che farà venire a galla la realtà. Perché la malat­tia abbatte le difese, svela le for­me vuote».
Com'è la figura della donna?
«La moglie è un tipo sui gene­ris. Tradisce continuamente il marito, ma lo fa con ordine. Non lascia nulla al caso. È come se ricercasse un ordine esteriore delle cose, una precisione che contrasta con il suo disor­dine interiore. È estremamen­te precisa, puntuale, tiene mol­to alle apparenze, non vuol fa­re trasparire nulla. E questa at­tenzione non è solo alle forme sociali, diventa estetica, ovve­ro si manifesta anche nell'ordine esteriore».
In un certo qual modo, ha trasposto il romanzo borghese nell'epoca post-moderna, ed ha spostato l'attenzione prioritaria dalle forme sociali all'immagine estetica, che vien fuori dai dettagli del vestiario e dalla cura del corpo.
«Esatto. I personaggi vivono nel mondo contemporaneo, nel mondo dell'immagine, e la loro psicologia è connessa al­la realtà sociale. Spesso il mari­to cerca di capire cosa farà la moglie dal vestito che mette, ma non va oltre l'apparenza. È un uomo che ama il quieto vi­vere e si protegge dal mondo, fermandosi all’immagine. Non è geloso della moglie, pur sapendo dei tradimenti. L'uni­ca cosa della quale è veramen­te geloso è la cerimonia della cura del corpo della donna, il rito della vestizione. Per il ban­cario guardare la moglie, scru­tarla, osservarla, ha un ruolo fondamentale».
Quando la donna viene a conoscenza della grave malattia del marito, come si comporta?
«La smette con i. tradimenti, ma è una decisione transitoria. Diventa più affettuosa con il marito, ma non muta il suo at­teggiamento interiore. Conti­nua ad elaborare tutto con me­ticoloso ordine: concentrandosi sulla preparazione dei fune­rali, persino sul necrologio. L'uomo ad un certo punto ca­pisce che gli rimane poco da vi­vere, quando la moglie che si è già informata con i medici sul suo stato di salute, giunge nel­la sua stanza con il tailleur gri­gio. Si rende conto che sta per morire, perché quello è l'abito pre lutto».
Questa volta ambienta un romanzo a Palermo...
«E non a Vigàta. Palermo è una novità, mi sembrava ade­guato ambientare una storia dell'alta borghesia nel capoluo­go siciliano».
Novità anche sul piano linguistico e stilistico?
«Un romanzo borghese ha bisogno di una scrittura borghe­se. il siciliano è molto alleggeri­to, e vi è nella parte del narrato­re. I protagonisti del romanzo parlano in italiano, come gli esponenti dell'alta borghesia palermitana. L'uomo pensa in dialetto, ma si esprime in italia­no».
A proposito di romanzi sui generis, cosa ha in cantiere per il futuro?
«Ho una idea che voglio realiz­zare. Ho pensato ad una trilo­gia dei romanzi fantastici. Il primo della serie è già stato pubblicato, ed è “Maruzza Mu­sumeci”. Ora, dopo la storia del­la donna sirena, ho pensato ad una donna che tenta di trasformarsi in albero. Le anticipo an­che il titolo del libro: “Il casellan­te”. La storia partirà dagli anni '40 del Novecento, proprio do­ve si concludeva la storia prece­dente di Maruzza. In questo ca­so, i protagonisti dovrebbero essere un casellante dei treni ed una donna che tenta di tra­sformarsi in albero. Parlo di tentativo di metamorfosi, per­ché queste possono anche falli­re o riuscire a metà. Con que­sto secondo romanzo ed un terzo del quale però è prematu­ro fare anticipazioni, voglio re­alizzare una trilogia delle meta­morfosi».
E sul fronte dei romanzi storici, su cosa sta lavorando?
«In realtà ad altri due romanzi. Perché è vero che amo gli esperimenti, ma non abbandono mai la via maestra. Ebbene, sa ranno pubblicati da Sellerio nella collana "La memoria": “La setta degli angeli”, libro del quale avete già accennato la trama su questo giornale, ed “Il nipote del Negus”. Anche in que­sto romanzo prendo spunto da un fatto realmente accadu­to. Negli anni Trenta a Calta­nissetta, prima della guerra d'Etiopia, venne a studiare nel­la scuola mineraria, il nipote del Negus, ovviamente spesato dalla sua Corte. Si trattava di un principe di sangue reale, un personaggio interessante, origi­nale. Si discuteva dei confini con la Somalia e prese in giro tutti».
E di Montalbano cosa ci dice?
«Non ho abbandonato nem­meno lui. Del resto come po­trei? Il commissario mi insegue. Non posso farci nulla, in­combe con la sua presenza. Fra i prossimi romanzi vi sarà “Il ­campo del vasaio”, ma prima an­cora: “La danza del gabbiano”».
Vi sono novità sulla "fine" del commissario? Qualche tempo fa su «l'Unità», disse che si tratterà di una fine incruenta, non tradizionale. Una conclusione metaforica, surreale ed originale. La notizia fece il giro del mondo mediatico e fu ripresa a livello internazionale. Cosa vuol aggiungere?
«Rispetto a quello per ora non aggiungo nulla. La conclusio­ne si trova nel testo dal titolo provvisorio “Riccardino”. Ma nel frattempo scriverò altre storie, fin quando non mi stanco».
E così ha scritto anche “Il campo del vasaio”. Che qualcosa al tassello del futuro di Montalbano aggiunge…
«Guardi, l'indagine che Mon­talbano condurrà in questo romanzo è importante. Ed è molto complessa. Si tratta di una storia di tradimenti dove tutti tradiscono tutti. E lo stesso commissario si troverà coin­volto in seconda battuta nella vicenda, verrà tradito anche lui. Insomma, “Il campo del vasaio” è il luogo dei tradimenti. Ed il commissario per sdipanare il mistero, si troverà fra le mani un mio libro, “La scomparsa di Patò”. Ed attraverso Patò arriverà al Vangelo. Troverà così una chiave di lettura per la sua in­dagine».
Un Montalbano che riflette sempre di più su se stesso, sulla sua vita, e che per la seconda volta verrà a contatto con Camilleri?
«Dopo il dialogo avvenuto nel racconto “Montalbano si rifiuta”, il commissario si trova a legge­re un mio libro. Diciamo un confronto indiretto».
Camilleri e la sua Sicilia, quale messaggio vuole lanciare?
«Un messaggio di speranza che viene dalla realtà positiva degli industriali che lottano contro la mafia, dagli impren­ditori che si ribellano coraggio­samente al racket delle estor­sioni. Un messaggio forte, sim­bolico e concreto al tempo stesso. Da quando la Confin­dustria regionale ha lanciato questa battaglia etica, molte cose positive si sono mosse in Sicilia, e sono sempre di più gli imprenditori ed i commercianti che nelle varie provincie dell'isola si ribellano, de­nunciano e fanno arrestare gli estortori.
Fatti concreti che segnalano la presenza di ima società civile che ha coscienza civica. Industriali come Antonello Mon­tante, Ivan Lo Bello, Andrea Vecchio, hanno la mia stima, perché hanno dato il via ad una battaglia civile, culturale e sociale, nella quale sono segui­ti da molti siciliani onesti.
La loro battaglia è anche con­tro gli stereotipi di una Sicilia immobile, senza sviluppo. Mentre nell'isola vi sono im­prese che funzionano, vi sono intellettuali brillanti, vi è tan­ta gente semplice che quoti­dianamente vive onestamen­te del proprio lavoro. Noi sici­liani dobbiamo continuare questa battaglia civica ed etica».
Salvo Fallica
 
 

NonSoloCinema, 4.3.2008
Letteratura. “Maruzza Musumeci” di Andrea Camilleri
Il mare è amaro…

Questo breve romanzo può essere definito una favola poetica e sensuale. Camilleri rivisita il mito delle sirene riportandole, però, fra gli uomini in vesti di donne terribilmente seducenti, vecchissime o giovanissime, che nascondono un segreto imperscrutabile. Siamo nelle vicinanze di Vigata, su una lingua di terra – contrada Ninfa – che emerge dal mare: un’isola sull’isola ancorata ai ricordi di Ulisse e dei suoi compagni.
Sono gli inizi del ‘900 e Gnazio Manisco, un’emigrante rimpatriato dall’America dopo aver fatto un po’ di fortuna, acquista questo piccolo appezzamento, pur non amando il mare, per sfruttarlo con ulivi e alberi da frutta. In questa sua Itaca manca, però, una donna; sposa allora la bellissima Maruzza, ragazza dal fascino prorompente che nasconde un segreto. Quel suo parlare una lingua sconosciuta con l’incredibile bisnonna, quel bisogno di immergersi periodicamente nel mare, è incomprensibile per Gnazio che, nonostante tutto, la ama e l’asseconda. La coppia è profondamente unita e da questo amore nascono due figli: Cola e Resina. Il primo dimostra una vera passione per le stelle e studierà tanto da diventare astronomo, la secondogenita ha le prerogative della madre: è una sirenetta affezionata visceralmente al fratello.
Quando Cola scoprirà una nuova stella le darà il nome di Resina ricambiando, così, il forte vincolo di amore fraterno. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Cola rientra dall’America in Italia in guerra, ma la sua nave affonda portandolo nelle profondità marine. Resina corre dal fratello inabissandosi per sempre. Nella grotta in cui precipitano, in una campana d’aria, incontreranno altri personaggi: quelli scaturiti dalla fantasia di Mario Soldati e di Tomasi di Lampedusa. Le sirene, quindi, diventano dolci consolatrici, soccorrono gli uomini in una catarsi che trasforma il loro canto ammaliatore da un’armonia assassina come era ai tempi di Ulisse e dei suoi, in un balsamo per il cuore e per l’anima.
Uno scritto piuttosto innovativo nel panorama di Camilleri: siamo sempre nella sua Sicilia, a Vigata, ma la vicenda si snoda con parametri inusuali. Le sirene descritte non sono pesci, ma donne bellissime, sensuali e affascinanti che sembrano vivere al di sopra della vita e della morte, con uno sguardo lontanissimo al passato. Vogliono disfarsi della tragica memoria che affonda nei versi dell’”Odissea” ed acquistano, perciò, l’umana sensibilità di Maruzza e Resina per essere donne a tutto tondo.
Maria Chiara Alfieri
 
 

Il Giornale, 4.3.2008
Zingaretti in scena da solo gioca all’anti-Montalbano

Normalmente i reading, come dicono quelli che parlano bene, o le letture sceniche, come dicono quelli che parlano in italiano, sono una grande fregatura. Soprattutto se sono basati soprattutto sul nome a caratteri cubitali del protagonista sulle locandine.
Normalmente, appunto. Ma è già dallo scorso anno che sul palco del teatro Modena di Genova, nell’ambito della programmazione dell’Archivolto, vanno in scena letture sceniche che smentiscono la regola, quasi un teorema infallibile, del grosso nome-acchiappagonzi. È successo lo scorso anno con il Seta di Alessandro Baricco (ri)letto da Claudio Bisio ed è successo in questi giorni con La sirena, tratto dal racconto Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa letto da Luca Zingaretti.
Stavo per scrivere «interpretato» anziché «letto». E non sarebbe stato un refuso. Perché - se l’ottimo Giorgio Gallione faceva accompagnare Bisio solo da ballerine, veli e colori, senza nient’altro che scenografie pure - Zingaretti va oltre. E scende al grado zero della lettura scenica: gli unici elementi con cui si aiuta sono le musiche di una fisarmonica e una luce che illumina alternativamente il leggio o la postazione del musicista Fabio Ceccarelli. Punto, basta, nient’altro.
Proprio la solitudine, che potrebbe essere l’handicap di Zingaretti, lasciandolo abbandonato al virtuosismo, è invece un suo ulteriore punto di forza. Perché l’attore romano, anziché lasciarsi andare a un gioco di dialetti, trasformando i due protagonisti del racconto di Tomasi di Lampedusa in copie carbone di Salvo Montalbano, fa un’operazione molto più sottile. E si affida alla forza evocatrice della parola e delle atmosfere siciliane dell’autore del Gattopardo, piuttosto che percorrere la strada facilissima della ricerca dell’applauso fra chi l’ha visto in televisione.
Funziona. E le atmosfere anti-Montalbano conquistano in platea anche chi è lì solo perché pensa che vada in scena l’imitazione del commissario.
Massimiliano Lussana
 
 

Corriere della Sera, 5.3.2008
Interventi e Repliche
Se il «diavolo» s'insinua nei dettagli

A proposito dell'errore sul risvolto di copertina dell'ultimo romanzo di Andrea Camilleri stigmatizzato dalla nota di Giorgio De Rienzo apparsa sul Corriere dell'1 marzo, tengo a precisare che, prima di trasformarsi in libro, ogni dattiloscritto che la Mondadori pubblica viene, ovviamente, letto e lavorato con cura. Gli errori, quando si verificano, non nascono da «non lettura» ma dal «diavolo» che ama insinuarsi nei dettagli. Di incidenti simili l'aneddotica editoriale è ahimè piena. Che un errore di questo genere si sia verificato con Andrea Camilleri è circostanza che particolarmente mi e ci addolora e colgo occasione per esprimere pubblicamente le mie vive scuse ai lettori avendole già espresse privatamente all'autore.
Massimo Turchetta, Direttore Generale Edizioni Mondatori
 
 

Corriere della Sera, 5.3.2008
Appello di scrittori
«In onda la fiction sulla mafia»

Roma. Appello di autori (Consolo, De Cataldo, De Lillo, Izzo, Lucarelli, Scarpelli, Ricky Tognazzi, Toscano, Travaglio, Camilleri, Orlando, Contarello) perchè vada in onda “La vita rubata” con Beppe Fiorello, il 10 su Rai1, storia di Graziella Campagna assassinata dalla mafia a 17 anni a Saponara (Messina). Il 18 c'è la sentenza contro l'imputato Gerlando Alberti jr.
 
 

Adnkronos, 6.3.2008
Rai: a 'Il Settimanale' le passioni sportive di Andrea Camilleri

Palermo - Il tifoso di Vigata: inimmaginabili passioni sportive del "padre" del commissario Montalbano. Con la consueta, fine ironia, Andrea Camilleri svela come e' sbocciato il suo amore per il calcio ed il ciclismo. Una lunga e scoppiettante intervista allo scrittore agrigentino sara' trasmessa nel prossimo numero de Il Settimanale, il rotocalco televisivo della redazione siciliana della RAI, a cura di Vincenzo Morgante e di Placido Ventura, in onda ogni sabato, alle 12,25, su RAI 3.
[…]
[Si è trattato di una replica dell'intervista già trasmessa su Rai 2 a "Dribbling" il 23.2.2008, NdCFC]
 
 

Il Gazzettino, 7.3.2008

Delle tre lettere anonime, ricevute nel corso della carriera in banca e allineate sulla scrivania di casa all'indomani del pensionamento, l'unica che ancora turbi Febo Germosino, protagonista del nuovo romanzo di Andrea Camilleri ("Il tailleur grigio", Mondadori, 16,50), è quella in cui gli attribuivano alla siciliana "più corna di un crasto". Quando era giunta, circa tre anni dopo le seconde nozze con Adele, vedova a sua volta di un suo giovane collega, già sapeva del tradimento ma l'aveva giudicato con filosofia "nell'ordine delle cose ineluttabili", come il naturale esercizio di una sensualità che lui non bastava a soddisfare. C'era in Adele un mistero più profondo di ogni senso di colpa: nell'eros non aveva limiti e tuttavia si scandalizzava per una scena di sesso in un film, perché le piacevano gli "amori romantici" e la morale della buona società, che nelle apparenze, nell'abito e nelle parole, intendeva rispettare con cura. Al ritmo di un'inchiesta poliziesca, il romanzo "maccheronico" di Camilleri è un'indagine condotta da un marito siciliano, con un raziocinio e un modo di pensare consanguinei a personaggi di Pirandello e Brancati, intorno alla natura, selvaggia e insieme mansueta, della donna che malgrado tutto gli ha dato una mai conosciuta felicità. Quando è sorpreso da un male incurabile, le scopre una dedizione quasi miracolosa, per cui si chiede se non batta un gran cuore femminile sotto le forme plastiche di una Barbie da collezionisti. Ma un foglietto buttato nel cestino, che per caso trova mentre si trascina per l'appartamento ormai in fin di vita, gli mostra come Adele, con il suo senso dell'ordine, abbia già fissato la scaletta per il funerale e le procedure di reversibilità della pensione. Gli resterà l'ultima immagine di lei nel sobrio tailleur grigio, che indossava di rito "come doppo lutto stritto o pre lutto".
 
 

La Repubblica, 7.3.2008
Sport
Camilleri

La procura della Figc apre un'inchiesta sul caso di Andrea Camilleri, sedicenne delle giovanili della Reggina passato al Chelsea.
[Sic! In effetti si tratta di Vincenzo Camilleri, NdCFC]
 
 

Il Resto del Carlino (Ravenna), 8.3.2008

Per tanti senzatetto sono gli ‘angeli del dormitorio’, ma non provate a chiamarle così, perchè loro si sentono persone assolutamente normali. Sono le sette volontarie impegnate nella gestione del dormitorio pubblico ‘Il re di Girgenti’ (nome preso da un romanzo di Andrea Camilleri), struttura che dall’aprile 2003 ogni sera accoglie 21 persone senza casa.
[…]
Luca Suprani
 
 

Per un pugno di libri, 9.3.2008
La concessione del telefono
Domenica 9 marzo 2008, alle ore 18.00, va in onda la diciannovesima puntata di "Per un Pugno di Libri", il book game condotto da Neri Marcorè, insieme a Piero Dorfles, responsabile dei servizi culturali del GR Rai.

"La concessione del telefono", scritto da Andrea Camilleri nel 1997 e ambientato in Sicilia, a Vigàta, alla fine dell’Ottocento, è ispirato al ritrovamento di un decreto ministeriale per la richiesta della concessione di una linea telefonica privata. Il decreto, realmente esistente, ha ispirato uno dei romanzi di maggior successo dell’autore. Filo conduttore dell’opera è il costante tentativo del protagonista, Pippo Genuardi, di ottenere la tanto sospirata concessione, completamente a sue spese per collegare il proprio magazzino di legname con la casa dell’anziano suocero.
Scatterà un’indagine, con implicazioni anche drammatiche, narrate con ritmo avvincente e con un finale imprevedibile.
Questo è il romanzo protagonista di della puntata di oggi di "Per un Pugno di Libri" condotto da Neri Marcorè e Piero Dorfles.
La contesa è tra gli studenti del Liceo Classico “G.F. Porporato” di Pinerolo (Torino) e quelli del Liceo Classico “Jacopo Stellini” di Udine.
Gli ospiti in studio sono l’attore e cabarettista Leonardo Manera e l’attrice Claudia Penoni, conosciuti al grande pubblico grazie a un famoso varietà televisivo.
I contributi esterni sono di Andrea Camilleri e di Marcello Sorgi.
Il pubblico da casa che vuole partecipare al gioco può telefonare allo 06-37263282 e cercare di indovinare il titolo di un libro nascosto dietro una “spericolata” definizione lanciata in studio da Neri Marcorè. I premi per i ragazzi in studio e per il pubblico sono sempre e solo libri.
Il programma, è scritto da Gabriella Oberti, Alessandro Rossi e Igor Skofic che anche quest'anno firma la regia.
 
 

Il sottoscritto, 9.3.2008
Andrea Camilleri “La pista di sabbia”
Sellerio, 2007

Nel romanzo in cui agisce per un impronosticato impulso zoofilo e mobilita l’intero commissariato su un’inchiesta che non solo non è di sua competenza ma che sembra fatta per suscitare il ridicolo, Montalbano si trova nella peggiore delle condizioni mai vissute perché per la prima volta bersaglio in un indistinto poligono è lui, sfidato in maniera proterva, nello sprezzo della sua qualità di commissario, da forze che si rivelano per essere mafiose. Irruzioni ripetute di topi d’appartamento, sistematiche operazioni di sorveglianza a distanza, telefonate anonime di minaccia, tentativi di incendiargli la casa, conflitti a fuoco: la posta sembrerebbe altissima e invece in gioco c’è un comune traffico di cavalli rubati, anzi il mero ritrovamento di un esemplare equino ucciso barbaramente, alla vista del quale il commissario è mosso dall’indignazione di vedere in faccia la gente che è stata capace di torturare con tanta ferocia un animale.
Questo squilibrio tra intenzione e azione che procura un senso di improbabilità tra il dromenon e il legomenon, il fatto e il suo racconto, come se quanto faccia Montalbano e quanto subisca sia eccessivo rispetto alla portata del caso, è il cardine di un romanzo che, non girato su un omicidio (quello che figura è tenuto solo lateralmente), integra un’elevazione di senso conferendo all’indagine significato di simbolo: l’accusa che il commissario imputa agli oscuri responsabili è infatti di lesa umanità, una colpa di natura etica entro il quadro di una educazione alla protezione degli animali mai realizzata appieno. Uccidere un cavallo fuori dalla macellazione può costare una contravvenzione - tant’è che tutti si rilassano a sentire su cosa Montalbano indaga - ma maltrattarlo fino all’accanimento può destare moti di ripugnanza e intenti giustizialisti nella coscienza di un uomo che, seppure privo di slanci verso gli animali e ancor meno attratto dal mondo equino, non può restare indifferente alla brutalità perpetrata con tanta truculenza. È soltanto in un secondo momento che l’inchiesta, estendendosi alle corse clandestine, investe la mafia e monta fino a provocare anche un omicidio, ma all’inizio Montalbano - vedendo la carcassa del cavallo sulla spiaggia di Marinella - a null’altro pensa che all’opera insensata di extracomunitari o di balordi cui vuole dare un volto.
È dunque proprio il cavallo morto, sia pure martoriato, a turbarlo oltremodo. Ma perché? Che tipo di nuova sensibilità anima il commissario quando, al contrario, il Comune rimane noncurante di fronte alla sua richiesta di rimozione della carcassa e Gallo, incaricato di portare alla Scientifica reperti trovati sul luogo, sbotta dicendo che i colleghi lo prenderanno a pedate apprendendo di un’indagine su un cavallo ammazzato? A 56 anni Montalbano è un’altra persona rispetto a dieci anni fa se si occupa con tanta foga di un caso che in precedenza avrebbe affidato ad Augello o a Fazio con tutto disinteresse, come gli abbiamo sempre visto fare in presenza di rapine o abigeati. Stavolta invece un episodio certamente minore, che potrebbe non costituire neppure reato, lo smania toccando il suo animo di uomo più che il suo spirito di investigatore.
Non è comunque la prima volta che il commissario interviene in vicende estranee al codice penale e che sono prive di cadaveri. Basterà ricordare i tre racconti di La prima indagine di Montalbano, accomunati dall’assenza di fatti di sangue, e le volte in cui si è reso, alla stregua del maresciallo Brancato de Il medaglione o del commissario di bordo Collura, un pacificatore pronto a dirimere liti; ma stavolta non c’è alcun elemento endogeno a stimolarlo, la spinta ad agire partendo da un sorgivo e inedito impeto nato dalla «mala impressione» della vista del cavallo. Sicché è cambiato eccome Montalbano: se in “Sette lunedì”, racconto soltanto di tre anni fa, compreso proprio in La prima indagine di Montalbano, la serie di animali uccisi lo induceva a indagare senza manifestare un solo cenno di riprovazione verso i responsabili, qui invece l’emozione lo piega alle ragioni di una pietas tanto più convinta perché rivolta a un solo animale: che assurge nella sua nuova eidetica a indice di una condizione sociale in derelizione più che di una specie preda delle aberrazioni umane.
Nell’uccisione brutale del cavallo il commissario vede infatti il senso di un abbrutimento che gli instilla propositi non diversi da quelli cui diede corpo in Il giro di boa dopo i fatti di Genova: allora voleva dimettersi dalla polizia, ora reagisce ugualmente d’istinto mettendosi sulle tracce degli aguzzini, in entrambi i casi assumendo atteggiamenti oltranzistici e agendo in difesa del proprio codice etico e della sua ormai identitaria human norm.
Ma quanto più questa sua concezione, al cui affinamento contribuisce in buona misura anche la maturità dell’età, si precisa in un grado di condotta propria del cittadino privato tanto più recede invece a uno stato di aperto contrasto della legge la natura dell’investigatore. La Vigàta di Montalbano è sempre più distante dalla Montelusa di Bonetti-Alderighi. Nonostante le pressioni del disciplinatissimo Fazio e sebbene la denunzia del furto di cavalli sia stata presentata alla questura, quindi esautorandolo, il commissario si rifiuta di informare i superiori, magistrato compreso, circa le indagini che sta svolgendo e finisce per dovere imbastire un «saltafosso», cioè uno stratagemma in taccia di messinscena, ai danni proprio del questore e del capo della Mobile, che trae in inganno per coprire il risultato delle proprie iniziative arbitrarie nel cui conto pesa anche l’uccisione di un uomo a opera di un suo agente.
Montalbano intende dunque rispondere solo alla sua coscienza, ma è in qualche modo costretto a farlo per via di un connaturato sentimento del pudore che gli impedisce di accettare nell’ordine delle cose di aver subito un furto in casa. Immagina che il giornalista che lo ha in odio, Pippo Ragonese, rida in televisione del fatto che i ladri possano entrare e uscire liberamente da casa sua e si rifiuta perciò di parlarne al questore perché gli imporrebbe di seguire le regole, ciò che determinerebbe la divulgazione di una notizia che non vuole invece che si risappia. E mentre capisce dunque le ragioni per cui una donna violentata si vergogna a denunciare lo stupratore, si sente allo stesso tempo offeso dalle intimidazioni anonime ricevute chiedendosi cosa abbia fatto perché altri possano pensare di imporre su di lui la loro volontà.
In questo gorgo di rovelli non c’è più il poliziotto ma l’uomo nudo con i suoi problemi interiori irrisolti, le sue forme di pudore e di candore, la sua educazione di uomo probo e di figlio della sua cultura. Una biénseance che gli procura una diversa forma di vergogna e di contrizione quando si concede alle grazie di Rachele Esterman, la femme fatale che lo riduce a maschio oggetto dei suoi desideri, in qualche modo offendendolo anch’ella: la sua reazione è quella di un peccatore pentito che ha pena di se stesso e che detestandosi si chiede come abbia potuto cedere alla tentazione. Salvo poi, in verità, prendere coscienza dell’attrazione che ha per Rachele ribaltando il rapporto in un più ortodosso esercizio di conquista: terreno sul quale il commissario si muove poco e con difficoltà, a dire ancora il vero, perché ammette a se stesso di saperne poco di donne avendo avuto soltanto una ragazza in gioventù, poi Livia e quindi la ventenne conosciuta in La vampa d’agosto di cui non vuole però ricordare neppure il nome. Quanto a Ingrid, Camilleri non la include nel «catalogo» tenendo il loro rapporto in una nebulosa nella quale è labilissimo il confine tra amicizia e «qualcosa di diverso». Senonché anche stavolta Ingrid dorme in casa di Montalbano e le circostanze autorizzano a pensare a una maggiore intimità. Esplicito fino ad essere smaccato è invece il rapporto con la avvenente Rachele, donna dal temperamento cangiante, prima razionale e poi svenevole, in perfetta consonanza con un romanzo che si distingue per i ripetuti capovolgimenti diegetici e la sarabanda di colpi di scena che supporta un numero inusitato di personaggi.
E mentre Montalbano si chiede quante sono le Rachele che ha conosciuto, noi ci domandiamo quante sono le ipotesi di soluzione del caso e qual è quella che abbia fondamento. Il fandango di rivolgimenti in un geyser di mire non è solo una trovata narrativa per sorprendere il lettore, ma - proprio perché vediamo la tecnica della palinodia applicata per la prima volta - è anche una chiave di interpretazione del romanzo: il Montalbano che ammette di avere commesso «molti, troppi sbagli» designa per ciascuno di essi una variazione di indagine. La verità cambia aspetto con un ritmo vertiginoso e solo alla fine appare dalle nebbie: il cavallo trovato ucciso non è quello della sua padrona, i furti in casa non sono dovuti all’imminente deposizione del commissario in un processo di mafia, l’uomo ucciso non voleva entrare in Cosa Nostra, alcune figure si rivelano sotto ben altra veste, il coinvolgimento dei Cuffaro non è solo legato al processo ma anche al caso delle corse clandestine. Montalbano passa da un’ipotesi all’altra e poi torna a riprenderne una già dismessa dentro un gurgite di avvicendamenti che ingradano una delle sue peggiori inchieste, costellata com’è di errori e disattenzioni, come quella – dovuta alla crescente perdita della memoria e dunque all’età, suo cruccio e tormento inesausto – di aver dimenticato in tasca un ferro di cavallo decisivo ai fini della verità. Ma si rifà alla fine con un magistrale «saltafosso» meritando il sentito elogio di Fazio: «Non abbiamo fatto un buon lavoro. È lei che è stato bravo». Bravo anche perché ha saputo uscire dalla pista di sabbia in cui si stava infossando, la pista che ha sognato in un incubo nel quale montando un cavallo finisce per seppellirsi senza riuscire a tornare in quella non di sabbia e perciò regolare, la pista della vittoria, ovvero - nel suo caso - della verità. È un incubo nel quale Montalbano agisce con la vista offuscata, nell’impossibilità di una visione nitida, metafora dell’errore di prospettiva con cui ha condotto l’indagine ma anche traslato onirico di una sua reale urgenza: munirsi di occhiali.  
Gianni Bonina
 
 

Il sottoscritto, 9.3.2008
Andrea Camilleri “Privo di titolo”
Sellerio, 2005

Negli anni della jacquerie socialista e della pruderie fascista, quando gli ideali giovanili sono equivalenti e contrapposti, dal ’19 fino al ’24, gli anni per intenderci di Alessio Mainardi del Garofano rosso, diviso tra due miti “ambivalenti” che spingono a essere “màs hombre” e inducono illecebre cui soggiace lo stesso Vittorini, la Sicilia orientale è teatro di una guerra ideologica nella quale i protagonisti non superano nessuno i vent’anni - nemmeno Francesco Maria, il brancatiano vagheggino di spirito dannunziano che vive la sua “avventura” iniziatica sottraendosi alla piazza e ai suoi rumors. Diciannovenni appena sono i fondatori della prima sezione fascista siciliana, Totò Giurato e Totò Battaglia, che a Ibla si meritano l’encomio ufficiale del futuro Duce e il ricordo ammirato di Sciascia, incline nei due fascisti della primissima ora a vedere, oltre all’entusiasmo, le vittime sacrificali del notabilato liberale: pronto a lusingare le nuove mire fasciste pur di mantenere il potere locale e personificato in quel Filippo Pennavaria di lesta fede fascista che si rende “inventore” della nuova prefettura ragusana. Una prefettura pavesata di tempere ispirate all’ideale fascista che la mano repubblicana vorrà coprire ma rigurgiti neofascisti proveranno invece a disvelare, in un giro di ammicchi che a Sciascia ricorda l’avvocato fascista di Brancati, al quale non basta nascondere nel suo ritratto il fascio littorio per cancellare il passato se l’usciere vedendolo ricomparire nella tela gli dice che “il fascio è tornato”. Questo gioco a nascondere che intrude una incendiaria stagione politica siciliana lo ritroviamo nella vicenda di un altro diciottenne, il nisseno Gigino Gattuso, attivista fascista eletto dal regime alla dignità di martire perché ucciso nel ’24 in un torbido di piazza e legittimo titolare perciò di una via nella cui insegna toponomastica, dopo il ’43, la specificazione di “fascista” apposta al suo nome viene cancellata per conservare la sola definizione di “martire”. Questa maniera siciliana di biffare la lastra (quando però non riemergano le tracce rimosse) è piaciuta ad Andrea Camilleri, che nel destino assegnato a Gattuso di diventare un “martire generico” - una vittima di tutti gli odi e quasi un simbolo di riconciliazione, ancor più perché la verità sulla sua morte è rimasta vaga e dunque escutibile da tutte le parti in causa - ha inteso trovare un’antitesi all’esperienza antifrastica di Aldo Piscitello, l’impiegato brancatiano al quale non riesce mai di nascondere la propria condizione dovendo esibirsi per quello che non è. Privo di titolo qualificativo è dunque il martire decostruito cui è stata cancellata la memoria, l’individuo spogliato della sua natura, deprivato della verità. E’ Toto Giurato, e con lui Totò Battaglia, i cui nomi sono cancellati dall’olografia fascista. E’ anche l’avvocato di Brancati che un titolo, quello di fascista, non lo accetta più. E’ Alessio Mainardi che non è né socialista né fascista. E lo è Piscitello che non vuole essere né squadrista né repubblicano finendo però per apparire l’uno e l’altro.
Questo scambio delle parti entro una rete di sembianze e ostentazioni, di verità denegate e degeneri, in una scala di influenze sciasciane e pirandelliane, con forti sentori brancatiani e vittoriniani, insomma questa categoria siciliana di pensiero trova in Camilleri un sostenitore naturale e fedele, risospinto com’è a forza lungo la linea dell’allusione e dell’illusione che nella narrativa siciliana ha creato un’enfasi e consolidato una tradizione. Si spiega allora l’innesto nella vicenda di Gattuso di quella, che appare a tutta prima dissonante ed estranea, della fondazione di Mussolinia, ripresa per fatti salienti dal racconto “Fondazione di una città” di Sciascia. Anche nel caso della città-fantasma di Caltagirone, concepita dal potentato calatino in perenne memoria del Cavaliere, troviamo i punti di una realtà che Camilleri chiama “virtuale”, più precisamente una realtà mistificata e coonestata: col propinargli foto di quinte di cartone, a Mussolini viene fatto credere che la città omonima cresce grandiosa e magnifica. Una beffa risaputa, che attira per ultimo Camilleri perché connaturata allo spirito siciliano, il precedente più vistoso essendo la visita che i siracusani preparano a Cicerone della tomba di Archimede, da lui indicata per certa e a loro sconosciuta, allestita perciò alla bellemeglio davanti a una qualunque grotta che sarà poi omologata per autentica.
Mussolinia serve allora a Camilleri per rafforzare la sua teoria sull’inganno qui svolta in chiave di basso. Inganno è quello ordito dal commissario di pubblica sicurezza per affermare una versione “politica” dei fatti, agìti a favore dell’interesse fascista, e rilevato dalla contrapposta rettitudine e imparzialità del tenente dei carabinieri. Inganno è quello degli antifascisti calatini che fanno sparire a Mussolini bombetta e pergamena. Inganno è anche il tradimento del questore nei confronti del prefetto ignaro della tresca con la moglie. Inganno è pure il senso di confusione circa lo svolgimento del delitto per superare il quale Camilleri ricorre per due volte alla tecnica di Dos Passos adottando l’occhio fotografico per fissare l’immagine della scena e studiarne i particolari come un perito scientifico: tecnica che abbiamo già visto nell’ultimo La pazienza del ragno e che conferma un Camilleri di pretta perspicacia nel dare significato agli elementi minimi da cui muovere un’indagine sherlockholmesiana. Felice trovata narrativa questa, perché offre al lettore due immagini fisse che egli terrà sempre presenti nel prosieguo del racconto costituendo la noce della vicenda. Altro espediente di bella riuscita, già praticato in La scomparsa di Patò e La concessione del telefono, è la riproduzione anche grafica di lettere, articoli di giornali, atti di interrogatorio, che trasferiscono la focalizzazione dal narratore al documento rendendo il racconto immediato ed efficace. Epperò il passaggio da un registro diegetico a uno mimetico priva il lettore della voce narrante, che nel caso di Camilleri, per il suo pastiche mistilingue, quando manca crea un vuoto. Sicché le voci diventano tre: quella naturalistica dei documenti, quella dell’autore esplicito, Camilleri, e quella dell’autore implicito, il narratore di una storia nella quale anche il nome della città è taciuto mentre i personaggi prendono nomi di penna. E se l’autore esplicito riferisce un ricordo personale legato al caso di Gattuso, quello implicito scioglie - sciascianamente - i nodi storici per imbastire intrecci letterari di propria mano e volgere in pochade una storia che ha, nel suo raschio di sofferenze, carattere di dramma segnando un’epoca nella quale già Sciascia nota come la funzione esercitata dai prefetti, al pari degli altri funzionari pubblici, sia essenzialmente politica: laddove del prefetto Camilleri fa piuttosto un marito in taccia di cornuto, del questore un fedifrago e del comandante dei carabinieri un pelandrone con la voce fessa. La simpatia è tutta per la parte antifascista: il probo tenente dei carabinieri, il lucido maresciallo di paese, l’imputato dell’omicidio, i suoi compagni, l’avvocato difensore, i pecorai che fischiano Mussolini, i buontemponi che lo gabbano. Il romanzo funziona allora a carica ideologica e a tesi, com’è nel cursus di un autore che nel gioco a nascondere al quale ama iscrivere sempre più la storia non esita da tempo a mostrarsi intero.
Gianni Bonina
 
 

Adnkronos, 10.3.2008
Tv: Ascolti Rai, 'Montalbano' in replica vince Prime Time

Roma - La replica di un episodio del ''Commissario Montalbano'' ha vinto il prime time di ieri, domenica 9 marzo, avendo ottenuto 5 milioni 750 mila spettatori e uno share del 25.01.
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Quo Media, 10.3.2008
Per battere il Dottor House serve una cilindrata alta

Quando i campioni della Moto G.P. scendono in pista in serata (Italia 1) non ce n’è per nessuno, né per il Commissario Montalbano (Raiuno), né per il medico di Canale 5, che sul circuito del Qatar ha perso anche qualche spettatore. Da segnalare la strana scelta di Mediaset di proporre nella fascia preserale un episodio della terza serie del telefilm medico, per poi lanciare in prima serata i nuovi episodi, creando un’inevitabile confusione nella mente dei pur affezionatissimi spettatori del cinico dottore.
La prima vittoria stagionale di Casey Stoner (Italia 1) ha tenuto con il fiato sospeso 6.766.000 spettatori per il 23,75% di share ed è riuscita nell’impresa di staccare i 5.750.000 spettatori del Commissario Montalbano (Raiuno).
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Corriere della sera, 11.3.2008
Romanzi «Il tailleur grigio» dello scrittore siciliano
Camilleri: la pensione distrugge il teatrino di un bel matrimonio
ANDREA CAMILLERI Il tailleur grigio MONDADORI PP. 141, 16,50

Un alto funzionario di una banca siciliana è al primo giorno di pensione. Potrebbe dormire quanto vuole e invece si sveglia come sempre «alle sei spaccate»: glielo conferma inesorabilmente il suo «ralogio da polso» che sta sul comodino. Prova a restarsene «ancora tanticchia corcato», ma non ci riesce perché l'abitudine prevale. Quando si veste lo fa meccanicamente e si ritrova addobbato come se dovesse andare a un consiglio d'amministrazione: «e invece l'unica cosa che d'ora in avanti avrebbe dovuto amministrare era l'enorme quantità di tempo che aveva a disposizione per non fare nenti di nenti». Questa è la situazione iniziale del protagonista del nuovo racconto di Camilleri. Diventerà un flebile leit-motiv che non corrisponderà però alla realtà narrata, perché l'uomo, invece, appare subito preso da un gran da fare tutto mentale. Ora che non deve più lavorare, ora che non è costretto ad avere il cervello «protetto» e «imbozzolito» dai doveri professionali, può rivisitare la vita personale e soprattutto il rapporto (ormai spento) con la moglie Adele, la quale - di questo è sicuro - lo tradisce con scrupolosa metodicità. Ma giacché tra lui e lei ci sono venticinque anni di differenza il fatto può essere accettato come naturale. L'uomo ha sempre saputo che ciò sarebbe accaduto, fin dal primo incontro, quando si trovò davanti, lui vedovo maturo, la vedova fresca fresca di un suo dipendente, cioè «una picciotta di una tale billizza che il dolore e la disperazione del lutto non riuscivano manco a scalfire». Tanto più ne è convinto oggi, quando, con lo spettro davanti di una giornata vuota, vede comparire all' improvviso la «muliere» «elegantissima e vapororsa» e deve purtroppo constatare quanto, «appena toccata la quarantina», era «addivintata ancora cchiù beddra di quando, dieci anni prima, se l'era maritata». Il povero marito sa di certo, perché lo ha controllato, che c'è stato un tradimento con un campione di basket e sa che adesso è in corso una tresca appassionata (in casa sua) con il «cugino» Daniele: «beddro picciotto, avuto, biunno, occhi azzurri, fisico d'atleta». Ma l'ex bancario non recrimina più di tanto. Anche lui ha avuto. La moglie con lui «faceva all'amore totalmente disinibita, con foga travolgente, senza nisciuna vrigogna, disposta alla qualunque, senza avere mai gana di smettere». Tant'è che «alla fine di ogni nottata, lui era esausto, lei frisca come una rosa». Poi con il passare degli anni «si era reso conto che il corpo di Adele reagiva indipendentemente da ogni sentimento, era una macchina perfetta che si metteva in moto appena si premeva il pulsante giusto e non la smetteva più di funzionare». Lui, invece, dopo qualche annetto aveva incominciato a perdere pian piano più d'un colpo. C'è tuttavia qualcosa che lo disturba ed è la percezione di essere un burattino nelle mani della donna. Ciò lo avvilisce e gli crea un sordo risentimento, per quanto controllato dalla «lucidità che sempre lo aveva governato». Adele ha trasformato la casa per acquisire una libertà maggiore e ha costretto il marito a traslocare di stanza in stanza, perché non la disturbi nei suoi maneggi. Ha messo su insomma un teatrino di cui lei diventa l'invisibile protagonista e lui un ingombro da annullare. A questo l'uomo non ci sta. Il suo nuovo lavoro allora consisterà nel tentativo di scompigliare il teatrino costruito con destrezza disinvolta dalla donna per continuare a farsi i fatti suoi e insieme per conservare la propria rispettabilità. Lei procura al marito un nuovo lavoro perché stia lontano da casa come prima, lui tergiversa prima di accettare per «addivertirsi tanticchia» e tenere così la moglie (e l'amante) in apprensione. È vero, Adele gli ha sempre confessato, come se recitasse in un melodramma, di avere l'anima «come un deserto», nel quale non sarebbe mai nata «un'oasi». Ma il precipitare degli aventi, il galoppare di una malattia subdola che porterà allo stremo il marito sembrano cambiare le cose radicalmente. La donna si prende cura di lui, lo assiste amorevolmente, pratica (o simula) una brusca interruzione di rotta. «Ma com'era fatta quella fimmina? Possibile che appena si faceva una convinzione su sua mogliere, bastava un gesto di lei per mandare tutto all'aria?». Il tema debole del libro è questo, ma è sorretto da una leggerezza di racconto che rende tutto meno banale e soprattutto dal linguaggio arguto di Camilleri che si appoggia come al solito su inserzioni dialettali che san creare un malizioso divertimento.
Giorgio De Rienzo
 
 

La Sicilia, 11.3.2008
Politica
Lombardo: "Camilleri ha rifiutato la candidatura"

Palermo - "Avevamo chiesto allo scrittore Andrea Camilleri di candidarsi ma lui ha declinato l'invito dicendo che era incompatibile con il suo lavoro e affermando che stessa proposta gli era stata fatta dal Pd". La rivelazione è di Raffaele Lombardo, leader dell'Mpa e candidato alla presidenza della Regione, alla presentazione delle liste del Movimento per l'autonomia per le elezioni politiche.
 
 

Giornale di Sicilia, 11.3.2008
Verso le elezioni. Il leader Mpa schiera i big del partito e qualche "new entry" di peso, come l'ex rettore etneo Latteri, in fuga dalla Margherita, l'ex ministro Scotti e Tommaso Barbato, senatore uscente Udeur
Lombardo scommette: il 2% alle Politiche
Sfumato il colpaccio di Camilleri in lista

Palermo.
[...]
Non è riuscito invece, Lombardo, a convincere lo scrittore Andrea Camilleri: "Si è detto lusingato dalla mia proposta - ha spiegato il fondatore dell'Mpa - ma ha aggiunto che non è compatibile con i suoi impegni. E mi ha anche confessato di aver ricevuto proposte analoghe dal Pd".
[...]
 
 

RagusaNews.com, 11.3.2008
Montalbano sono (e ancora lo resterò)

Dopo aver annunciato che non ne avrebbe più vestito i panni, tornerà a dire: “Montalbano sono!” Forte anche degli ascolti tv per gli episodi mandati in replica.
Ha messo da parte la preoccupazione di venire ingabbiato dal suo personaggio?
"Completamente. Avevo detto basta, e mi sono preso un periodo di vacanza dal commissario. Mi sono accorto, però, che ne sentivo la mancanza."
Per lei essere Montalbano è stato così naturale come sembra?
"Non proprio. Mi sono innamorato del personaggio appena ho scoperto i racconti di Andrea Camilleri, ma l’impatto iniziale, sul set, non è stato così semplice."
Perché?
"Avevo studiato tanto, ero così concentrato da sentirmi fin troppo carico. La prima settimana di riprese non ero del tutto a mio agio. Pensai, allora, di chiamare Camilleri per esporgliimiei dubbi. Ma la sua risposta fu un semplice: “Luca…, non mi rrrompere i coglioni!”."
Sintetico. Fece effetto?
"Decisamente. Il giorno dopo mi disse: “Lascia che venga fuori quello che hai sedimentato. Devi permettere al personaggio di ‘uscire’. Ti conosco, vedrai che andrà bene”. E così è stato. Mi ha aiutato molto questo suo incoraggiamento."
E così vi siete ritrovati dopo un po’ di anni…
"Sì. Camilleri è stato uno dei miei professori all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Insegnava regia televisiva. Un’esperienza straordinaria, era capace di lunghe affabulazioni partendo dal più piccolo aneddoto."
Com’era il vostro rapporto, allora?
"Eravamo entrambi timidi, non ci siamo mai detti molto. Ma sentivamo che c’era stima reciproca. Non solo la Sicilia dell’immaginaria Vigata di Montalbano in tivù: anche a teatro racconta quella terra in“La Sirena”."
Una passione sincera?
"Certo, non posso negare che sia forte il richiamo dei paesaggi siciliani. È una regione che ho imparato a conoscere e che amo, ma è stata una coincidenza esplorarla di recente a teatro con la novella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Lighea”, perché mi ha appassionato questo autentico gioiello. È un racconto magico. E la Sicilia, terra così potente, carnale e spirituale, è capace di evocare sensazioni molto forti. Per un attore è una bella sfida ricreare l’atmosfera di un luogo"
[...]
Teresa Mancini
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 11.3.2008
Diminuisce il numero dei concorrenti rispetto al 2006. Rischio sbarramento per i non coalizzati
Politiche, 80 seggi in ballo. La corsa dei 1.100 aspiranti
Trentatrè liste per la Camera, diciotto per il Senato

[...]
"Ho proposto la candidatura anche a Camilleri - dice Lombardo - Ha apprezzato ma ha declinato il nostro invito, come quello del Pd".
[...]
Emanuele Lauria
 
 

12.3.2008
Andrea Camilleri smentisce Lombardo
Dichiarazione di Andrea Camilleri al Camilleri Fans Club

Mi è stato proposto da Raffaele Lombardo di candidarmi o al Senato o alla Camera nella sua lista.
In un primo momento ho creduto sinceramente che si trattasse di uno scherzo, ma invece la proposta risultava vera.
Ho risposto che mi pareva assurdo, avendo più volte dichiarato le mie idee politiche, che mi venisse fatta una simile offerta, comunque ho cortesemente (e non lusingato, parola che non è nel mio vocabolario) declinato l'invito ricordando che negli anni scorsi ero stato contattato dai DS per concorrere con loro al Senato ed io avevo rifiutato non perché la politica sia incompatibile con il mio lavoro, ma perché ritengo che alla politica si debbano dedicare anima e corpo persone di gran lunga più giovani di me.
Anche nell'atto della formazione del nuovo PD Veltroni mi aveva chiesto di far parte della Commissione dei Garanti del nuovo partito, anche in quella occasione ho declinato il cortese invito.

 
 

La Provincia di Sondrio, 12.3.2008
Una "vamp" per Camilleri
L'esplosiva Adele tradisce il marito, solo nel tailleur grigio diventa fedele e sobria. Romanzo borghese per lo scrittore. Che rassicura: «Montalbano tornerà presto»

Sempre più assiduo e sorprendente, Andrea Camilleri è arrivato in libreria con un romanzo insolito per la sua produzione: Il tailleur grigio (Mondadori, pagine 141, ? 16,50). Il primo giorno da pensionato, un alto dirigente bancario, si sveglia incredulo della sua nuova condizione e riflette sul suo avvenire nel quale campeggia la giovane moglie Adele. Di fronte alle incognite del futuro, Febo Germosino, si trova a verificare l'infedeltà della moglie, ma anche a gestire una imprevista malattia. Un uomo della sua esperienza finanziaria, anche su sollecitazione di Adele, presto è contattato per incarichi prestigiosi, mentre lei sembra esibire la sua bellezza sempre più sfacciatamente. Salvo quando l'occasione richiede sobrietà. Allora, inguainata in un vecchio, modesto tailleur grigio, assume contegno e partecipa alle necessità incombenti. Ma quando indossa quell'abito si compie in lei una sorta di metamorfosi che riassume eventi della sua vita e di quella delle persone a lei vicine, e la storia cambia traiettoria. Il sommario del tempo passa per quell'abito semplice, quasi una corazza nella quale si cela quando il male avanza dentro la cornice di un ritrovato equilibrio morale.
Un po' Madame Bovary, un po' torbida Lolita nonostante non ne abbia più l'età, Adele è una donna gagliarda e sfuggente nel cui intimo saettano le implicazioni di una generazione insoddisfatta. Una figura che si ritaglia nel panorama della narrativa contemporanea e diventa epigono di una vita vissuta tutta di rincorsa.
Ne abbiamo parlato con Andrea Camilleri nella sua casa romana.
- Camilleri, nella sua straordinaria produttività, si distinguevano fino ad oggi almeno due grandi filoni: il romanzo basato su una vicenda storica e il romanzo poliziesco incentrato attorno all'eccezionale commissario Montalbano. Con questo romanzo lei sembra iniziare trionfalmente un terzo filone, quello del dramma cosiddetto "borghese".
"La terza serie, in realtà, l'ho già iniziata da qualche tempo. Diversi romanzi, che vanno dalla "Pensione Eva" a "Maruzza Musumeci", sono libri che esulano da quelli che lei ha identificato come i due filoni principali della mia narrativa, che vorrei anche definire strada biforcuta dei romanzi storici e dei romanzi polizieschi. "Il tailleur grigio" e altre cose che ho scritto, sono come dei viottoli che si aprono improvvisamente sulla strada che sto percorrendo, e mi piace deviare ed esplorare. Ho voluto sparigliare le carte prima di annoiarmi".
- La voglia di nuove esplorazioni, da cosa è motivata?
"Nasce dalla voglia di sperimentare nuovi argomenti che non avevo mai affrontato come in questo romanzo. Non avevo mai scritto di un rapporto di coppia, sia pure sui generis, e mi piace tentare tutte le opportunità".
- Come si è confrontata con la femme fatale del romanzo?
"È una donna fatale che non sa di esserlo, e nemmeno si atteggia a donna fatale. È una donna così com'è, bella e disponibile, e per questo risulta fatale agli altri".
- C'è, dietro alla vicenda della protagonista, anche soltanto in nuce, una storia, una conoscenza vera?
"No, nessuna conoscenza vera. La storia che racconto è tutta di fantasia. Magari certe vicende nascono da un assemblaggio di diverse donne conosciute, ma che Adele si possa identificare in una donna realmente esistita, questo lo escludo in assoluto".
- Una fondamentale vena di misoginia di solito assente dalla sua resa dei personaggi femminili, viene qui fuori, o è soltanto un mio sospetto?
"In questo romanzo forse c'è davvero una sorta di misoginia che però non c'è in "Maruzza Musumeci". Non è che descrivere un personaggio in un certo modo significhi prendere partito: personalmente non mi piace il personaggio che ho scritto, ma questo non vuol dire che non la sopporti o che infierisca su di lei. La misoginia che trapela dal libro, forse è solo un piccolo fastidio, una insofferenza, ma niente di serio. Il personaggio del giovane amante, non ha ai suoi occhi una valenza negativa in più rispetto all'entità del personaggio? Il giovane amante fa parte della complessità femminile di Adele. Ci tengo però a dichiarare che non è che io i miei personaggi me li sposo e ne condivido le idee. Tutt'altro".
- C'è un tarlo nella borghesia di oggi che lentamente ne sta demolendo la struttura?
"Sono convinto che la borghesia sia davvero minata da un tarlo interno che la sta corrodendo. Anzi, da tanti tarli, di diversa natura e di diverse specie".
- Qualcuno in particolare?
"Ancora la borghesia non riesce a trovare e ad avere un suo ruolo definito. La verità è che noi italiani paghiamo ancora oggi il fatto che non abbiamo mai avuto una rivoluzione come quella francese, che avesse in qualche modo rinnovato la borghesia. La nostra è una borghesia che discende dalla borghesia secolare, e perciò è una borghesia di per sé tatuata".
- In senso politico oggi il ruolo della borghesia è cambiato, o continua a essere una vetrina e un ricettacolo di nefandezze?
"Non credo che sia cambiato per nulla. La borghesia italiana è quella che, tanto per fare un esempio, quando il Corriere della Sera prese una certa posizione, non comprò più quel giornale; la borghesia italiana è quella che decide di non fumare più sigari nel momento in cui entra in conflitto con qualcosa; è la maggioranza silenziosa, quella di sempre che non ha mai avuto uno scossone, ma oggi è più confusa di prima, perché capisce, forse, che i suoi errori sono un po' cambiati".
- Come si comporterà in futuro la borghesia italiana?
"La borghesia in Italia ha il ruolo che una volta aveva la nobiltà ma, ricordando "Il Gattopardo", posso dire che oggi la nobiltà non ha più senso: ha senso la borghesia che però non ha un ruolo ben definito ed è lacerata all'interno dalle sue stesse contraddizioni. Credo però che la borghesia italiana, in buona parte, cominci ad adeguarsi alla novità dei tempi. Magari non lo farà in un tempo breve, ma procede".
- Donne vogliose, come la sua protagonista quale aspetto rappresentano della società attuale?
"Rappresentano il disordine interiore che tenta disperamene di proporsi come ordine esteriore. Questo mi sembra abbastanza evidente. Lei è una donna che ha un disordine dei sensi piuttosto cospicuo, ma ciò non toglie che si presenti in un certo ruolo, in un certo modo, e con un certo vestito adatto a quel ruolo: il tailleur grigio".
- Il suo terzo filone narrativo le sta facendo trascurare Montalbano?
"No davvero. Fra qualche mese uscirà un nuovo romanzo che si intitolerà "Il campo del vasaio", e il commissario continuerà le sue indagini. Nei suoi confronti oggi io sono molto più tranquillo e sicuro. Da quando ho scritto il romanzo in cui racconto la sua fine, fino a quando riuscirò a divertirmi, proporrò nuove avventure del mio personaggio calato sempre nei misteri della Sicilia, nel labirinto del crimine, intento a cercare la giusta via d'uscita. Nel momento in cui non mi divertirò più, dirò alla signora Sellerio di pubblicare il manoscritto che custodisce e addio al commissario e a tutte le sue indagini".
- Il commissario Montalbano, come vede il mondo di oggi?
"Montalbano è stato definito dai suoi uomini un comunista: ma non lo è. È semplicemente una persona di buon senso. Dal suo punto di vista oggi saprebbe benissimo cosa votare, anche se la vede brutta".
- E lei Camilleri, come vede i tempi che stiamo vivendo?
"Pensavo che i tempi che stiamo vivendo fossero leggermente diversi dai tempi recenti che abbiamo vissuto: spero che siano diversi, altrimenti è un ritorno indietro davvero spaventoso".
- Perché?
"C'è un solo problema: sono convinto che l'essere andati a votare con una legge che i promotori stessi avevano definito una porcata, significa continuare a collaborare a una porcata, e quindi continuare a vivere nel letame".
Francesco Mannoni
 
 

La Stampa, 12.3.2008
Da Fonzie ai Simpson
La tv, che tormentone
Non ci rimane che ciucciare il calzino

Le migliori battute dei telefilm tra cinismo, saggezza e molto conflitto tra i sessi

[...]
"Che cavolo stai dicendo Willis", sottotitolo "Da Arnold al dr. House, le migliori battute dei telefilm" è un libro appena uscito da Mondadori: consente al lettore che sia anche telespettatore di ripassare le battute migliori di decenni di telefilm; e al lettore che sia solo lettore (in fondo, in Italia una trentina di milioni di persone non seguono la tv) di farsi un’idea.
[...]
Non mancano i tormentoni: Montalbano e Casa Vianello sono gli unici lavori italiani assurti all’onore della consolidazione testuale. Con le lapidarie sentenze iterate da Luca Zingaretti e da Sandra Mondaini: «Montalbano sono» e «Che noia che barba che barba che noia».
Alessandra Comazzi
 
 

Wuz, 13.3.2008
Andrea Camilleri
Il tailleur grigio
"Lo riconobbe immediatamente, perché dei primi suoi incontri con Adele conservava una memoria lacerante, macari del più piccolo dettaglio. Era quel tailleur grigio da donna d'affari che aveva indossato appena passato il lutto stritto, quando era venuta a trovarlo in banca  per firmare i documenti e doppo erano andati a mangiare per la prima volta insieme."

Non finirà mai di stupire questo scrittore che a ogni romanzo (sono tanti e pubblicati con date ravvicinate) sembra voler offrire al lettore un nuovo volto, una freschezza e una versatilità narrativa che si rinnova di libro in libro e che stupisce in un autore che ha superato gli ottant’anni.
Ne “Il tailleur grigio” Camilleri ha scelto di utilizzare il “suo” linguaggio italo-siculo solo nella parte del narratore, i dialoghi tra i vari personaggi sono invece tutti in italiano letterario e la cosa contribuisce a dare una particolare vivacità e varietà alla pagina, segno che l’autore non si stanca mai di giocare con il suo stile e con i codici linguistici.
Nulla di giallo in questo romanzo così francese nelle psicologie dei personaggi anche se ambientato in Sicilia ai nostri giorni. Una storia piena di ineluttabile tristezza che vede come  figura centrale del romanzo una bellissima donna affamata di sesso e di prestigio sociale. È suo il tailleur grigio del titolo, un vestito che viene indossato solo in particolari occasioni sempre come segno di morte e che rappresenta una specie di costume teatrale per la bionda e sensuale Adele, moglie del protagonista, che riesce a nascondere dietro la sobrietà dei comportamenti pubblici un’aridità e un’insensibilità che sgomenta e una condotta del tutto dissoluta.
Ma se lei è il motore di tutta la storia a viverla e a soffrirla in prima persona è Febo Germosino [Sic!, NdCFC], un alto funzionario di banca che, rimasto vedovo e con un figlio che vive lontano, si era risposato con la bellissima Adele tanto più giovane di lui, anch’essa rimasta vedova dopo soli otto mesi di matrimonio, a causa di un incidente occorso al marito.
Il romanzo inizia con il rapporto tra i due coniugi già fortemente compromesso e molte cose precedenti il lettore le viene a sapere attraverso i ricordi del marito. Febo poi si affaccia su un futuro di noia e di solitudine, di ricordi e di inutili rimpianti: è appena andato in pensione e non c’è più il lavoro ad occupargli la mente.
Se la trama è già di per sé intrigante, lo sono ancora di più le psicologie dei personaggi e in particolare quella della “femme fatale” del romanzo, che seduce e spaventa anche il lettore più freddo e distaccato. Altrettanto interessante è il personaggio di Febo Germosino [Si persevera!, NdCFC] (una personalità di perdente che davvero ricorda alcuni protagonisti di Simenon), un uomo senza qualità con tanti soldi e buon prestigio sociale, con una sottomissione agli eventi e alla donna amata che ama guardare quasi con una sorta di feticismo e di cui accetta, per l’elemosina di qualche momento inebriante, i tradimenti ripetuti e la falsità quotidiana.
Anche l’ambiente circostante con la buona borghesia impegnata nelle opere umanitarie come diversivo alla noia, con una facciata di perbenismo che nasconde tanta volgarità interiore, è presentato da Camilleri con il distacco del grande scrittore che non impone giudizi ma fotografa la realtà.
Romanzo dalle mille sfumature e dai tanti motivi d’interesse, ancora una volta la prova di uno scrittore davvero di razza.
Grazia Casagrande
 
 

ANSA, 13.3.2008
Camilleri: ho detto no a Lombardo e Veltroni

Palermo - «Mi è stato proposto da Raffaele Lombardo di candidarmi o al Senato o alla Camera nella sua lista. In un primo momento ho creduto sinceramente che si trattasse di uno scherzo ma invece la proposta risultava vera». Lo dice lo scrittore Andrea Camilleri, in una dichiarazione resa nota dal Camilleri fans club.
«Ho risposto - spiega lo scrittore ai suoi fans - che mi pareva assurdo, avendo più volte dichiarato le mie idee politiche, che mi venisse fatta una simile offerta, comunque ho cortesemente, e non lusingato, parola che non è nel mio vocabolario, declinato l'invito ricordando che negli anni scorsi ero stato contattato dai Ds per concorrere con loro al Senato ed avevo rifiutato non perchè la politica sia incompatibile con il mio lavoro, ma perchè ritengo che alla politica si debbano dedicare anima e corpo persone di gran lunga più giovani di me».
«Anche nell'atto della formazione del nuovo Pd - conclude Camilleri - Veltroni mi aveva chiesto di far parte della Commissione dei Garanti del nuovo partito, anche in quella occasione ho declinato il cortese invito».
 
 

Il Resto del Carlino (Cesena), 13.3.2008

Da oggi a domenica debutta al Bonci lo Stabile di Catania con “La concessione del telefono” di Andrea Camilleri (la regia è di Giuseppe Dipasquale, principali interpreti Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, Marcello Perracchio e Gian Paolo Poddighe). Stavolta però lo spettatore non si trova davanti a un’ennesima avventura del commissario Montalbano ma ad un’originale alchimia teatrale che privilegia la lingua parlata, ricalcata dal dialetto, resa naturale per ambienti famigliari aperti più alle confidenze serene al posto degli intrighi drammatici per suscitare il divertimento e non il terrore con una trama semplicissima. E così a ridicolizzare l’intera vicenda di una burocratica concessione telefonica, ripresa dal titolo della commedia, interviene il banale scambio delle iniziali del Prefetto responsabile dell’atto formale.
Vien voglia di obiettare: tutto qui il problema? Perchè l’errore tra Vittorio Parascianno e Vittorio Marascianno potrebbe essere cancellato da un normale atto notorio, come sembra chiedere Filippo Genuardi. Però la sanatoria trova ostacoli insuperabili in un’atmosfera da farsa e suscita il pandemonio generale coinvolgendo oltre la famiglia del richiedente, la Prefettura, la Questura, la Pubblica Sicurezza, i Carabinieri Reali e naturalmente — com’era ovvio aspettarsi — don Calogero Longhitano, che in qualità di capo mafioso del paese si ritaglia un ruolo ereditario nella soluzione di tutti i problemi. Coinvolta viene anche la Chiesa per la sua missione divina e, come avviene in tutte le vicende gattopardesche del meridione, l’intera popolazione che parteggia in maniera ondivaga fra una possibile soluzione logica e un’altra altrettanto logica.
Secondo le note di regia i personaggi si ritrovano schierati fatalmente in due fronti contrapposti, ma qui fortunatamente senza armi e senza bombe per cui alla fine non ci scappa il morto, come si poteva temere. E siccome non si tratta di una tragedia, ma di una farsa, da una parte troveremo i personaggi seri — come i Carabinieri, il Questore e don Lollò per il ruolo istituzionale — e tutti gli altri, almeno per una volta, li troveremo dalla parte dei comici contribuendo al lieto fine della commedia, che non è affatto un testo banale ma un meditato contributo al rinnovamento della drammaturgia moderna, magari utilizzando il vecchio motto latino secondo il quale il teatro «ridendo castigat mores».
Romano Pieri
 
 

Giornale di Sicilia, 14.3.2008
Camilleri: «Candidatura Mpa mi sembrava scherzo»

Palermo. «Mi è stato proposto da Raffaele Lombardo di candidarmi o al Senato o alla Camera nella sua lista. In un primo momento ho creduto sinceramente che si trattasse di uno scherzo ma invece la proposta risultava vera». Lo dice lo scrittore Andrea Camilleri. «Ho risposto - spiega - che mi pareva assurdo, avendo più volte dichiarato le mie idee politiche, che mi venisse fatta una simile offerta. Ho detto no ricordando che negli anni scorsi ero stato contattato dai Ds per concorrere con loro al Senato ed avevo rifiutato».
 
 

Il Venerdì, 14.3.2008
Il romanzo
E ora Camilleri cambia genere
"Il tailleur grigio", Andrea Camilleri, Mondadori

Un romanzo borghese su una coppia: un bancario in pensione e una donna giovane e bellissima. Due persone che vivono vite parallele, che sembrano destinate a non convergere mai. Con questa storia ambientata a Palermo e non nella Vigàta di Montalbano, Camilleri affronta un genere per lui nuovo. E lo fa con il suo stile ironico, decostruendo formalismi e convenzioni sociali.
Salvo Fallica
 
 

Corriere della sera, 14.3.2008
«Cinquanta opere lette in chiave d'impresa»: cosa insegna un nuovo libro scritto a dodici mani. Romanzi e metafore per le carriere di oggi
Da Dumas a Joyce, quando la letteratura diventa arte del management

«Chi sa leggere Lucrezio saprà leggere bene anche un bilancio. Magari saprà leggere anche quello che in quel bilancio non c' è scritto». Una frase che è un libro. E un libro che vuol essere un manuale. Di management. Le parole sono di Francesco Bogliari, autore insieme a Fabiana Cutrano, Luigi Di Marco, Marco Lombardi, Enzo Riboni e Piero Trupia di «Letteratura per manager, cinquanta opere lette in chiave d' impresa» (Etas), arrivato in questi giorni in libreria. L' ispirazione del nuovo lavoro «a dodici mani» è simile a quella di «Romanzi per manager» e «Leggere per lavorare meglio» di Francesco Varanini, ma cambia l' approccio: dalla saggistica per tematica si passa alla formula «un capitoletto (quattro pagine) per ogni titolo». L' ingrediente centrale: le metafore, vero e proprio trait d' union tra romanzo e lavoro, tra finzione e realtà, tra storia e carriera.
[…]
Altri autori letterar-manageriali? […] Andrea Camilleri […].
Giovanni Stringa
 
 

La Repubblica, 15.3.2008
La lettura
Andrea Camilleri
Trovarsi in casa Totò Riina candidato premier, intento a formare la lista di ministri del suo governo. È quanto accade al commissario Montalbano che, nelle prime pagine della nuova avventura, tarda a svegliarsi da un incubo
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IL ROMANZO. Anticipiamo le prime pagine de "Il campo del vasaio", il nuovo romanzo di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano che l’editore Sellerio manda in libreria il prossimo 20 marzo (pagg. 304, euro 12)
 
 

Corriere della sera, 15.3.2008
Il tratto della Siracusa-Gela aperto ieri è solo un decimo dell’intero percorso
L’autostrada con il record di lentezza
Dopo 34 anni inaugurati 14 chilometri senza illuminazione e segnaletica, ha il limite di 80 all’ora

Siracusa — Inaugurare un’autostrada dove si può sfrecciare alla strabiliante velocità di 80 chilometri orari può far sorridere visto che non siamo negli anni Quaranta. Ma questo accade in un paesello siciliano famoso nel mondo perché, sotto una tenda militare, si firmò l’armistizio degli anni Quaranta. Il 3 settembre del ’43, per la precisione. Quando la vittoria degli Alleati si sancì fra i limoni e gli ulivi di Cassibile, 9 chilometri da Siracusa e poco più di cento da Gela, giusto per dare le coordinate e capire dove si trova ’sto pezzetto d’autostrada aperto ieri con notabili e taglio di tricolore, benedizione vescovile, fanfara e dolcini. Il tutto per 14 chilometri, solo fino a Noto.
[…]
Adesso potrà forse esser contento Andrea Camilleri perché quel pezzo d’autostrada che s’arresta a Noto avvicina comunque le location televisive del commissario Montalbano, compresi i paradisi di Vendicari, la piazza cinematografica di Marzamemi e la villa romana del Tellaro che per un caso del destino sarà riaperta proprio oggi, dopo quaranta anni.
[…]
Felice Cavallaro
 
 

Sogni, viaggi, un po' di Praga e di Sicilia, 17.3.2008
Camilleri, faccia morire Montalbano

Egregio Andrea Camilleri, le scrivo utilizzando lo stesso titolo che utilizzai in post scritto in occasione del suo “La pista di sabbia”, l’ultimo romanzo avente come protagonista il commissario Salvo Montalbano.
Su Repubblica ho letto un anticipo del nuovo Montalbano che si intitolerà “Il campo del vasaio”, Sellerio, pagg.304, Euro 12.
Stavolta ci aspettano ben 304 pagine con Montalbano, Augello, Fazio e Catarella. Fin dall’inizio lei vuole stupire il lettore mettendo in scena un incubo notturno del nostro commissario che si trova in casa Totò Riina che, nominato presidente del Consiglio, offre a Montalbano la carica di ministro dell’Interno. Non c’è male come inizio.
Quale altre novità troveremo nel libro che sarà in libreria il prossimo venti marzo? Nel precedente romanzo la novità era Rachele, la “donna fatale” di cui il nostro subisce il fascino e con cui tradisce Livia.
Accanto a queste novità ci saranno anche delle note stonate? Nel libro succitato era proprio Livia la nota stonata per eccellenza. E’ da tempo che la donna non mette più piede a Vigata, forse non ha intenzione di farlo e Montalbano ne è felice? Cosa accadrà adesso? Ci sarà il ritorno della donna genovese?
La storia fra Salvo e Livia è una Long Distance Relationship, fenomeno sempre più diffuso ai tempi di Internet. Tante relazioni vivono grazie alle e-mail. agli sms e ai voli low cost.
Il commissario con Internet non ha alcuna dimestichezza, neanche una volta è andato a trovare la sua fidanzata nel capoluogo ligure.
Ne “La pista di sabbia” lei ha dato alla donna un ruolo marginale. La sentiamo solo litigare con il suo amato per telefono.
La storia tra i due è finita. Loro lo sanno. A questo punto mi vengono in mente alcune domande. Perché non ci ha mai detto come vive Livia a Genova? La donna ha forse in mente di tagliare con Salvo e di avere un’altra storia?
Forse, gentile Camilleri, è proprio Montalbano il personaggio che mostra limiti e incongruenze. Dopo i fatti di Genova è entrato in crisi e ha cominciato ad avere dei dubbi su ciò che fa. Inoltre la paura d’invecchiare ha cominciato a perseguitarlo.
La debolezza del personaggio, non se la prenda se le dico questo, condizionano la fabula e l’intreccio narrativo. Gli ultimi due romanzi sono due romanzi lunghi già pronti per diventare film.
A Vigata Montalbano non ha più nulla da dire. Mi guardo bene dal darle dei consigli. Come vedrebbe il commissario fuori dalla Sicilia? Non pensa che potrebbe avere nuovi stimoli? Jan-Claude Izzo fa morire Fabio Montale al terzo romanzo e forse questi poteva ancora essere protagonista di qualche altra storia avvincente.
E allora, dottor Camilleri, faccia morire Montalbano. Il suo eroe è nei nostri cuori e ci rimarrà anche dopo un’eventuale morte.
 
 

Quo Media, 17.3.2008
Il Dottor House tiene sotto scacco Montalbano

Il sempre avvincente duello fra due delle figure più amate del piccolo schermo, il sarcastico dottore di Canale 5 e l’appassionato commissario di Raiuno, si è risolto a favore del telefilm mandato in onda da Mediaset.
[...]
La puntata del Dottor. House (Canale 5), 5.664.000 spettatori per il 21,55% di share, si è imposta su quella in replica de Il commissario Montalbano (Raiuno), 4.701.000 spettatori per il 22,22% di share.
[...]
 
 

Quo Media, 17.3.2008
Ascolti Tv 16 marzo. Sul nulla spunta Montalbano

[...]
La prima serata, anche se non offre molti spunti, si divide sostanzialmente in due: Dr. House con 5.664 milioni e l'ennesima replica del sempre bello Commissario Montalbano con 4.701 milioni.
[...]
Franco Pesenti
 
 

La Stampa, 18.3.2008
Inchiesta

Bruxelles. Non c'è Mafia che tenga, gli assassini preferiscono Lituania e Estonia. Vilnius e Tallinn sono le città europee dove ogni anno si commette il maggior numero di omicidi.
[…]
Per Camilleri e Montalbano potrebbe essere una nuova frontiera.
Marco Zatterin
 
 

Agrigentonotizie, 19.3.2008
Cultura
In uscita domani il nuovo libro di Camilleri

E' stato definito il capolavoro dei libri ispirati al commissario più amato d'Italia, Salvo Montalbano. Approda domani in edicola edito dalla Sellerio, il nuovo libro dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri intitolato "Il campo del vasaio".
[…]
Gaetano Ravanà
 
 

AISE, 19.3.2008
Cultura
Tutto pronto a Miami per la III edizione del Sicilian Film Festival

Miami - Il meglio della cinematografia siciliana fa di nuovo scalo Miami dall’8 al 14 aprile per il III Sicilian Film Festival, che, presieduto da Emanuele Viscuso, anche quest’anno promuoverà oltreoceano la cultura ed il cinema siciliano.
[...]
Evento speciale di questo III Sicilian Film Festival sarà "La Sicilia di Montalbano", organizzato con la collaborazione di Antonio Bruni, responsabile RAI per i festival internazionali, che farà conoscere al pubblico americano la fiction televisiva interpretata da Luca Zingaretti e tratta dai romanzi di Andrea Camilleri, il cui nome è stato appena inserito dal quotidiano britannico Daily Telegraph nella lista dei "50 crime writers to read before you die" (50 scrittori gialli da leggere prima di morire). Un’altra vittoria per la cultura siciliana, sottolinea lo scultore Emanuele Viscuso, creatore e presidente del Festival, di cui Salvo Bitonti, regista e docente di Storia del Cinema, è curatore della sezione lungometraggi. Gli episodi proposti nella serie di Montalbano sono "Il cane di terracotta" e "Il gatto e il cardellino".
[...]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 19.3.2008
I libri
L'Italia in vendita, il noir e lo sviluppo sostenibile
[...]
Alla libreria Kursaal Kalhesa di Foro Umberto I, invece, alle 17,30 Valentina Gebbia e Gery Palazzotto presentano il romanzo noir di Roberto Mistreta "Il canto dell'upupa", intervengono Santo Piazzese e Filippo Lupo [Presidente del Camilleri Fans Club, NdCFC].
[...]
c.b.
 
 

El País, 19.3.2008
Entrevista: cena con... Donna Leon
"Es demasiado tarde para frenar el desastre ecológico"

[...]
Al final, de rondón y con la percha del restaurante en el que ha tenido lugar el encuentro, Ciao, un clásico de la cocina italiana madrileña, surge una cuestión clave para la literatura policiaca europea: ¿Quién come mejor, Montalbano, el comisario siciliano de Andrea Camilleri, o su Brunetti? Donna Leon duda y, al final, quizás influida por la caponata (una especie de pisto de berenjenas típico de la isla) que acaba de despachar, se decanta por la competencia, pese a la cantidad de menús apetecibles de los que da cuenta Brunetti en las 16 novelas de la serie.
[...]
Guillermo Altares
 
 

Adnkronos, 20.3.2008
Cultura
Libri: nuovo Montalbano, Camilleri apre romanzo con incubo su Riina

Roma - Trovarsi in casa Toto' Riina candidato a guidare il governo, impegnato a formare la lista dei suoi ministri. E' quanto accade al commissario Salvo Montalbano che, nelle prime pagine della nuova avventura, tarda a svegliarsi da un incubo. Il romanzo con protagonista Montalbano, il popolare personaggio di libri e film creato dalla penna dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, si intitola ''Il campo del vasaio'' (pagine 304, euro 12) ed e' pubblicato da Sellerio. Su un terreno nei dintorni di Vigata, buono solo per ricavarne creta per i vasai, viene trovato il cadavere di un uomo. Sfigurato, squartato, chiuso in un sacco affiorato dopo una forte pioggia: e' questa l'ambientazione iniziale dell'ennesimo romanzo poliziesco di Camilleri. Non si sa chi sia lo sconosciuto, ma nel frattempo una donna del paese denunzia la scomparsa del marito, un colombiano di origini siciliane, imbarcato su navi di lungo corso che fanno la spola tra il Sud America e l'Italia. La svolta nelle indagini sul ritrovamento del cadavere sfigurato avviene quando il commissario Montalbano si ricorda del racconto del Vangelo: il tradimento di Giuda, il pentimento, i trenta denari scagliati a terra e poi utilizzati per comprare il "campo del vasaio" per dare sepoltura agli stranieri.
 
 

Il Giornale, 20.3.2008
Montalbano, un piccolo mondo per raccontare l’Italia sana

La domenica sera, quando c’è il commissario Montalbano in televisione, io non ci sono per nessuno. A giudicare dal successo che accompagna ogni replica, imbarazzante quasi per tenuta e ripetitività (siamo ormai alla ennesima riproposizione degli stessi episodi...), non sono il solo a comportarsi così, e forse vale la pena chiedersi il perché. Do risposte personali, è ovvio, ma in clima di rievocazioni sessantottesche si può anche dire che il personale in fondo è collettivo...
Innanzitutto, a me piace la casa di Montalbano. C’è questa terrazza sul mare, piena di luce e di sole, l’idea del bagno di prima mattina, quando ti pare di nuotare nell’alba del mondo, il rito del caffè e poi magari la tavola già apparecchiata per la sera, vuoi vedere che Livia arriva da Genova e si ferma a dormire? Sì, perché a me piace anche questo fatto che la donna di Montalbano esista ma, come direbbe lui, non rompa più di tanto «i cabbasisi», presenza-assenza, insomma, il sogno di noi maschi arrivati più o meno in solitudine all’età adulta e ormai incapaci, per orgoglio, distrazione, cocciutaggine, di una vera vita a due... Siamo invecchiati, ma siamo rimasti ragazzi, l’idea che qualcuno possa metterci dei limiti è insopportabile e quindi ciascuno signore in casa propria. E però, come diceva il boia Mastro Titta del Rugantino, «è bello avè ’na donna dentro al letto»...
A me piace anche l’appetito di Montalbano... Viviamo in tempi anoressici all’insegna di trigliceridi e di colesterolo, frigoriferi desolatamente vuoti, o magari pieni di qualche surgelato per single... Salvo va pazzo per gli arancini, si fa delle zuppiere di pasta con le sarde, ha un ristorante di riferimento dove è trattato come un cliente familiare, ma importante, il pesce è sempre fresco, non ti danno fregature, il vino scende in gola che è un piacere e, insomma, sono le piccole gioie della vita, perché negarsele, perché non premiarsi?
Naturalmente, a me piace anche il modo di essere di Montalbano. A spanne, è più o meno il mio. Intelligenza media, ma molta ostinazione, un proprio codice d’onore, un certo ethos nei rapporti umani, il giusto pathos nella professione, il fastidio per la burocrazia, il disagio per la tecnologia... Siamo cresciuti che non c’erano computer e cellulari, non avevamo tanti giocattoli, ci si divertiva con niente... Abbiamo frequentato un buon liceo, ci ricordiamo ancora del preside e lui si ricorda ancora di noi, studenti discreti, ma ragazzi di cui ti potevi fidare... Certo, è un modo di essere anni Cinquanta, l’ultima generazione in fondo di un’Italia appena entrata nella modernità portandosi dietro ancora tutto intero un senso provinciale e strapaese, allevata in modo un po’ spartano, il rispetto per i genitori, le feste comandate, il pranzo fuori porta la domenica, quelle cose lì, insomma, tua mamma ai fornelli, tuo padre a faticare, tu in camera a studiare o giù in strada a sudare, niente di complicato eppure niente di più lontano da ciò che è venuto dopo... Nostalgia, si dirà, può darsi, ma avendo superato la mezza età ormai ricordiamo più cose di quante non ne desideriamo...
Così, a me piace anche la piccola Italia che circonda Montalbano, vecchie case padronali, stanze cariche di mobili, anziani al balcone che guardano la vita e cercano di non pensare alla morte... Un po’ ci si conosce tutti, un po’ ci si illude di non essere sconosciuti... Da ragazzi sembrava tutto così soffocante che abbiamo brigato come matti per andare via, invecchiando ci accorgiamo che sì, forse abbiamo fatto bene, ma non sappiamo più se ne valesse la pena...
È una piccola Italia anche sul lavoro... Sono tutti tipi particolari i colleghi di Montalbano, Mimì lo sciupafemmine, Fazio il secchione intelligente, Catarella così stupido, ma così volenteroso che non puoi non volergli bene... Con qualcuno sei anche amico, con i più devi tenere le distanze, ci sono dei ruoli, delle gerarchie, e comunque alla fine si è soli con le proprie responsabilità, le proprie scelte...
Probabilmente Montalbano è di sinistra, ma per quelli della mia, e quindi della sua, generazione un poliziotto di sinistra a sinistra era un controsenso, e dunque magari è di destra... L’impressione è che, finita l’epoca delle ideologie, destra e sinistra non significhino più niente, affondate dal loro stesso inutile peso. In superficie sono tornati gli individui e quei valori premoderni che la postmodernità non è ancora riuscita a erodere: la parola data, l’onestà, un certo codice morale, il non vendersi, il non mettere il proprio dio nella carriera... È un uomo semplice, Montalbano, ovvero un uomo sano, ma non è un ingenuo. Diffida della politica, ma si ostina a credere nelle istituzioni, difende la propria autonomia, ma non lotta contro i mulini a vento... L’importante, per lui, è guardarsi allo specchio la mattina e non doversi vergognare...
Si sarà capito che i gialli, l’inchiesta in quanto tale, sono l’ultima cosa che di Montalbano ci interessa. Avendoli visti tante volte, ormai li sappiamo a memoria, ma anche alla loro prima uscita spesso capivamo chi era il colpevole prima di lui... Ma naturalmente non è questo il punto, è il combinato disposto di un certo modo di vivere e di pensare, persino di parlare, il non badare alle apparenze e viaggiare su una macchina un po’ scassata, fare una passeggiata in campagna o un week-end al mare, ritrovare un vecchio amico o un’antica fiamma, intuire le debolezze d’animo e anche le meschinerie, accorgersi che l’essere umano è si affascinante, ma non è un capolavoro. E si sarà anche capito che qui non è più questione della bravura degli attori o del regista, che naturalmente c’è, ad altissimo grado, né della creatività pura e semplice dell’artefice principale, lo scrittore Andrea Camilleri, anch’essa fuori discussione. È che alla fine l’una e l’altra sono, come dire, scappate di mano ai diretti interessati (e infatti Camilleri non pensa più di farlo morire e Luca Zingaretti si è rassegnato a interpretarlo di nuovo...) e sono andate a creare un modo d’essere che vive di vita propria e che per noi che siamo davanti allo schermo assume i caratteri scetticamente consolatori di ciò che vorremmo fosse il nostro Paese, nella sua parte migliore, di ciò che sappiamo essere il nostro Paese, nella sua parte peggiore. Perché spesso Montalbano è sconfitto, gli portano via un’inchiesta o gliela insabbiano, non può spingersi più in là di tanto in un’indagine, sa che quel delinquente se la caverà comunque. Però non si rassegna, perché non occorre riuscire per perseverare né sperare per intraprendere... Ed è per questo che noi ce ne andiamo a letto col cuore in pace, pensando alla nuotata che domani, se il tempo è bello, si farà. E se poi magari arriva Livia faranno l’amore e dopo forse andranno in gita a Tindari... L’importante è che lei riparta il giorno successivo, perché, lo si è capito, Montalbano è un uomo solo, anche se lotta insieme a noi.
Stenio Solinas
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 23.3.2008
Giovedì esce il nuovo romanzo dello scrittore di Caltagirone
Shakespeare il siciliano
Seminerio indaga sul mistero
Nel dubbio sull’identità del drammaturgo entra in gioco anche la mafia

[…]
A metà romanzo salta fuori il nome di Camilleri: il protagonista della storia lo definisce il maestro di quanti oggi scrivono di cose isolane. È così anche per Domenico Seminerio?
”Camilleri ha avuto il merito di unificare la lingua siciliana. Ha inventato una sorta di metalingua, che ha come base il suo agrigentino, e che nell’immaginario si è imposta come il siciliano tout court. A differenza di quel che è accaduto a Napoli, noi abbiamo avuto i dialetti isolani: il palermitano, il catanese. Camilleri ha dato, coi suoi romanzi, un’impronta di unitarietà, imponendola coi risultati che sappiamo”.
[…]
Salvatore Ferlita
 
 

Corriere della Sera, 23.3.2008
Il personaggio: Raffaele Lombardo. Il leader dell'Mpa: no anche a Pirandello e a Omero. Cuffaro? Ha commesso una grande leggerezza, lui è un generoso
«Contro Garibaldi e il suo genocidio nel Meridione»
Lombardo: volevo Camilleri. No alla Sicilia di Verga «Bossi è il mio mito. Garibaldi ci ha rovinati, ha portato sottosviluppo e provocato un genocidio»

Palermo - E' già un mito, e una leggenda nera: l'uomo più potente di Cuffaro, e il signore delle Asl; il nuovo alleato di Berlusconi, e il campione della politica clientelare.
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Lombardo dice di non amare una certa idea della Sicilia.
«Non mi piace per nulla Verga e la sua immagine dei siciliani sconfitti, rassegnati, vinti. Non amo Pirandello, che invece ce li racconta complicati, imprevedibili, intricati. Non amo De Roberto: mi dipinge l'idea dell'ascaro, che va a Roma con il cappello in mano e qui si gode i privilegi del viceré vessando la sua gente. E meno ancora mi piace Tomasi di Lampedusa. Non è vero che i siciliani siano condannati a non cambiare mai. E non è vero che "siamo dei". Noi siamo fessi. La novità è che ce ne siamo resi conto. Il Ponte servirà anche a guarirci dalla sicilitudine, a svelarci a noi stessi per quel che siamo, uomini come gli altri; infatti lo chiamerei "Ponte della Rivoluzione". Non mi piace la Piovra. E neppure "Il capo dei capi", che esalta le virtù eroiche di Riina. Ammiro Sciascia, profondo conoscitore della psiche siciliana. Brancati è molto meno profondo, si ferma agli aspetti esteriori. Apprezzo Bufalino, Consolo, ora Silvana Grasso, un genio, e non lo dico perché si candida con me. Ma lo scrittore che meglio esalta le virtù dei siciliani è Andrea Camilleri. Perché è vero che ci sono i mafiosi, ma c' è anche Montalbano che li prende a sganassoni. Infatti ho chiesto a Camilleri di candidarsi. Mi ha risposto che aveva già detto no al Pd».
Camilleri è di sinistra.
«Ma io non sono di destra. Sono autonomista. E un siciliano come Camilleri lo vorrei con me. Ho in lista ex comunisti. Stimo artisti di sinistra: nella mia Catania, Carmen Consoli dirige la sezione musica dell' Etna Fest; al primo concerto per la vita venne pure Franco Battiato, e non volle un euro».
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Aldo Cazzullo
 
 

Il Tempo, 25.3.2008
L'intervista
Camilleri: "Quella mia Sicilia senza la mafia"
Si intitolava «La forma dell'acqua». Il protagonista del romanzo era il commissario Salvo Montalbano e lo sfondo su cui si dipanavano le indagini, quello di una Sicilia ricca di echi verghiani e pirandelliani.

Da allora (correva l'anno 1994), quello del Commissario Montalbano è diventato un appuntamento letterario molto caro ai lettori italiani, tanto da spingere il padre della riuscitissima saga poliziesca a pubblicare ben 12 romanzi tematici, tutti editi dalla Sellerio (non meno belli sono gli altri, di cui vanno certamente ricordati «Il birraio di Preston» - vincitore di un premio Vittorini - ed «Il re di Girgenti», imponente romanzo storico ambientato in Sicilia nel primo quindicennio del '700).
Grazie ad Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 1925), oggi il romanzo giallo vive una nuova, fortunatissima stagione: basti sapere che lo scrittore, autore e regista siciliano è in testa alle classifiche, con oltre dieci milioni di copie vendute nel mondo. Molto discutere sta ancora facendo il suo recente libro sul «boss dei boss» Bernardo Provenzano «Voi non sapete», edito da Mondadori.
Camilleri, i suoi romanzi sono tra i più venduti in tutta Europa. Viceversa, da qualche anno a questa parte, i lavori di esimi giallisti americani come Donald Westlake pare si vendano sempre con maggior difficoltà. Possiamo parlare di una rinascita del giallo europeo?
«Direi proprio di sì. E c'è un motivo specifico: noi italiani siamo stati più coraggiosi, riuscendo a "contrabbandare" un esame critico della società del nostro tempo attraverso il giallo. Da Lucarelli a Fois, i romanzieri italiani sono stati, e continuano ad essere, più "espliciti". In sostanza, noi abbiamo tradotto in forma letteraria l'esperimento che aveva già cominciato in Italia Scerbanenco (si legga per esempio "I milanesi ammazzano il sabato": l'autore aveva previsto un incancrimento della società del suo tempo). I nostri scrittori hanno poi saputo tradurre la lezione di Scerbanenco in una chiave più moderna. Possiamo affermare che tutto il poliziesco italiano non è altro che il tentativo di definire uno spaccato della odierna società».
Tuttavia, furono i romanzi polizieschi americani a rispecchiare per primi la corruzione e le contraddizioni sociali dell'epoca. In seguito cosa è accaduto?
«La grande letteratura americana rappresentata da autori come Hammett e Chandler, (di cui i nostri scrittori hanno subìto un fascino considerevole, unitamente a quella di autori italiani come Gadda e Sciascia), faceva quello che in fondo proponiamo noi oggi: mostrare lo spaccato della società. Mentre gli americani col tempo si sono lasciati andare ad una forma -fine a se stessa- di speculazione, noi italiani siamo rimasti fedeli ad un realismo letterario di grande qualità».
Perché un libro su Bernardo Provenzano?
«Innanzitutto perché il "caso Provenzano" è un caso a parte: contrariamente a tutti gli altri mafiosi, Provenzano è uno di quelli che scrive: dalla lettura dei suoi scritti, i così detti "pizzini" (che la procura di Palermo mi ha dato la possibilità di analizzare attentamente, dopo che la Mondadori ebbe a propormi di farne un saggio) sono emersi la sua particolare concezione del mondo, il suo rapporto con la religione, il suo modo di proporsi come mediatore piuttosto che come "capo dei capi". Ammetto di essere rimasto intrigato da quanto emergeva dalla lettura dei famosi "pizzini"».
Ossia?
«Che Provenzano era un uomo dal carisma così forte da costringere persone come Salvatore Lo Piccolo o Matteo Messina, ad adeguarsi alla sua "strategia dell'immersione". Questo perché la politica guerriera di Riina non aveva pagato per niente».
Il saggio su Provenzano segue una forma «dizionaristica».
«Sì: ho scelto le parole più usate dal boss mafioso, ed altre più utili a delineare il contesto in cui si sono svolti i fatti».
Non teme che libri come questo possano in qualche modo «mitizzare» la Mafia ed i suoi esponenti?
«Direi di no: il mio, lo ripeto, è un saggio e non un romanzo. Inoltre, (ci tengo a ricordarlo perché non intendo guadagnare un solo centesimo con la mafia) tutti i proventi delle vendite sono destinati ai figli dei poliziotti uccisi dalla mafia».
Nei suoi romanzi siciliani con protagonista il commissario Montalbano la mafia però è presente…
«Non è esatto: si accenna alla mafia; essa è presente solo come "un rumore di fondo". Non ho mai scritto un romanzo con un protagonista mafioso, perché se così fosse, il personaggio mafioso verrebbe alzato di un gradino».
Come accade invece in romanzi come «Il giorno della civetta» di Sciascia?
«Sì. non v'è alcun dubbio che don Mariano Arena risulti un personaggio simpatico. E questo a mio avviso è sempre un rischio. È quello che succede del resto in opere letterarie o in film come "Il padrino", i quali finiscono con il nobilitare la mafia. Io ritengo che la migliore letteratura per la mafia sia quella che trae i propri contenuti attraverso i verbali della polizia e dei carabinieri; attraverso la lettura delle sentenze dei giudici».
Come si arriva al grande successo, Camilleri?
«Di questi tempi è difficilissimo. Almeno così è in Italia. Il mio primo romanzo è stato pubblicato dopo 10 anni di tentativi. Ad un giovane scrittore posso solo consigliare di armarsi di tanta pazienza e caparbietà!».
Gianluca Attanasio
 
 

Wuz, 25.3.2008
Un nuovo caso per il commissario Montalbano
”Il campo del vasaio” di Andrea Camilleri
"Quella parola, traditore, appena pinsata, gli bloccò i pinseri. Per un attimo dintra al ciriveddro del commissario ci fu il vacante assoluto. E il vacante addivintò silenzio, non sulo silenzio di parole, ma di ogni minima rumorata, di ogni minimo sono. La linea cchiù chiara che si travidiva nello scuro, formata dalla risacca a filo di spiaggia, si cataminava chiano chiano come sempre, ma ora non faciva il solito liggero scruscio di respiro, nenti."

Che cosa si può dire, dopo aver letto due romanzi di Camilleri, pubblicati a breve distanza l’uno dall’altro da due diversi editori? Prima di tutto che si è assolutamente stupiti dalla versatilità e dall’inesauribile capacità di creare storie scoppiettanti e poi che abbiamo davvero la gran fortuna di avere uno scrittore che sa interpretare nel modo più intelligente la popolarità.
”Il campo del vasaio” è un “camilleri doc”: abbiamo l’amatissimo commissario Salvo Montalbano e la sua eterna fidanzata Livia, abbiamo i collaboratori, il preciso e un po’ pedante Fazio, lo sciupafemmine Mimì (che in questo romanzo è pericolosamente sedotto, più che seduttore), c’è l’esilarante Catarella  e gli avversari degli altri commissariati, c’è tutta la varia umanità che popola quel luogo “dell’anima” che è Vigàta, ma che è la Sicilia, e che è, per tanti aspetti, l’Italia.
Questo romanzo però presenta parecchia novità: è non sono tanto la presenza di una femme fatale, la colombiana, Dolores, bella e sensuale tanto da sconvolgere ogni uomo che le si avvicina, o la complicatissima vicenda gialla, quanto l’atteggiamento mentale del protagonista assoluto, Salvo Montalbano, e la ricchezza di citazioni letterarie distribuite spesso con ironia nel racconto.
Il titolo stesso e il tema che attraversa il romanzo sono tratti dal Vangelo di Matteo: il campo del vasaio è quello in cui si era impiccato Giuda, tormentato dal rimorso per aver tradito Gesù, l’amico, il messia, per trenta denari. Ed è appunto un tradimento ciò che scatena la vicenda, ne è la causa e, nelle più diverse accezioni, la permea.
Ma andiamo con ordine perché la storia è complessa. Viene trovato in un terreno cretoso il corpo di un uomo, sezionato in tanti pezzi, dal viso cancellato e del tutto privo di elementi di riconoscimento. Le indagini sembrano arenarsi.
Nel commissariato di Vigata l’atmosfera è diversa dal solito, Mimì Augello è stranamente nervoso, quasi non rivolge la parola ai colleghi neppure al superiore e amico di sempre Montalbano che non riesce a spiegarsi il perché di quell’atteggiamento e suppone che l’amico, così sensibile al fascino femminile, marito e padre da poco, si sia perso dietro a qualche nuova fanciulla e da ciò nasca il suo disagio.
Circa l’indagine tutto fa supporre che si tratti di un delitto di mafia, di una mafia antica che utilizzava una simbologia precisa nel commettere i propri delitti: 30 i pezzi in cui il corpo ritrovato era stato smembrato, come 30 i denari ricevuti da Giuda, quindi il morto doveva essere uno che aveva tradito qualche boss mafioso.
Dolores, una splendida donna colombiana, nota per la sua bellezza in tutta Vigata, va in commissariato per denunciare la sparizione del marito, che si era imbarcato per lavoro su una nave mercantile due mesi prima, ma che, contrariamente al solito, non aveva più dato notizie.
Il marito in questione, Giovanni Alfano, era stato allevato come un figlio da un boss mafioso colpevole di avergli fatto uccidere il padre in Colombia, avendone scoperto il tradimento.
Alfano però, come ogni ricerca di polizia confermava, pareva del tutto estraneo alla mafia, anche se alcuni elementi emersi dalle indagini successive alla denuncia di scomparsa fatta dalla moglie, fanno supporre il contrario. Così un cadavere sezionato, una donna bellissima, un boss mafioso, un commissariato pieno di conflitti, un Montalbano sempre più stanco e deluso, il tradimento di tutti nei confronti di tutti costruiscono una trama tesissima e interessante fino all’ultima pagina.
Ma, come si diceva, nota davvero nuova è proprio l’atteggiamento mentale e il comportamento del nostro commissario. Che sia stato, da quando il suo creatore ce l’ha fatto conoscere, sempre un grande lettore era noto, ma in questo romanzo oltre a costruire delle frasi di risposta per i suoi inconsapevoli interlocutori con titoli di opere russe, oltre a fare citazioni di classici (anche queste mai capite) si viene a sapere che è un lettore dei “romanzetti” storici di Andrea Camilleri. Sinceramente mi sembra una trovata geniale dello scrittore siciliano, che diverte il lettore e gli permette un’ulteriore vicinanza con il personaggio che sembra un po’ alla volta avere vita propria e una propria autonomia di giudizi e comportamenti.
Inoltre Montalbano sembra voler fare delle prove generali di pensionamento: non lo si era mai visto andare per ben due volte in Liguria da Livia, non lo si conosceva capace di staccarsi neppure un momento dal lavoro tanto che la storica fidanzata sembrava assolutamente trascurata, ma soprattutto non lo si era mai conosciuto così riflessivo, su di sé, sul tempo che passa, sulla vita, sulle relazioni tra gli uomini.
Un elemento di ulteriore novità è lo sdoppiamento del personaggio che dialoga con se stesso come davanti a un altro e, oltre che in un dialogo interiore, scrive al "suo doppio" delle lettere e degli appunti che poi rilegge con attenzione e brucia perché la cameriera non li trovi e non lo giudichi un pazzo.
Emerge insomma una specie di secondo Montalbano, più attento ai sentimenti, più introspettivo, ugualmente abile nello sciogliere gli enigmi, ma preoccupato di non provocare crisi negli affetti suoi e degli altri.
Finito il romanzo, il lettore è bene che non trascuri le due ulteriori paginette che chiudono il volume con una breve e interessante analisi compiuta da Salvatore S. Nigro, grande conoscitore (ed estimatore) di Camilleri. L’invito alla lettura è davvero pleonastico, perché si sa quanto sia rapida la scalata della classifica di un romanzo di questo scrittore, e poi perché la soddisfazione nel leggere “Il campo del vasaio” è assolutamente garantita.
Grazia Casagrande
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 25.3.2008
Le idee
Lombardo folgorato dagli slogan leghisti

In una intervista Raffaele Lombardo, candidato del centrodestra alla presidenza delle Regione siciliana, anticipa il manifesto ideologico del suo movimento. Incentrato sulla necessità, per il riscatto socio-economico dei siculi, di una profonda revisione storica. Che rivaluti Polifemo contro Ulisse; i Borboni contro Garibaldi; l'ipotesi di una Sicilia papista contro la conquista savoiarda. Nella precisa convinzione che l'Unità d'Italia ha significato per la nostra isola sottosviluppo, emigrazione, genocidio, depredazione. All'indice, Verga, Pirandello, De Roberto, Tomasi di Lampedusa, Brancati. Nuovi mentori di una sicilianità da riconquistare e affermare invece, Sciascia, Bufalino, Consolo, Silvana Grasso, con una menzione speciale, poi, per Camilleri. Basta con l'immagine dei siciliani sconfitti e complicati.
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Mario Centorrino
 
 

Agr, 26.3.2008
Tv: ascolti, vince Montalbano, ma volano Ballarò e Ale e Franz

Roma - Vince Montalbano nonostante fosse in replica [”Il cane di terracotta”, NdCFC]. Le avventure del commissario siciliano su Raiuno sono state seguite da oltre 5 milioni d'italiani, 400mila in più rispetto al diretto concorrente su Canale 5, la fiction 'Carabinieri 7'.
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Corriere della sera, 26.3.2008
Elzeviro. La Barbagia nel nuovo romanzo, «Collodoro»
Il canto primitivo di Salvatore Niffoi
Il suo crudo e fantasioso narrare ricorda il Verga di «Vita dei campi»

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Paradossalmente, leggendo Niffoi si capisce meglio Camilleri, il suo uso del dialetto. Il creatore del commissario Montalbano è narratore che dà voce alla Sicilia più popolare e manifesta, più alla moda si potrebbe dire, quella che va da un malcompreso Brancati a Ciprì e Maresco, lontana anni luce dal potente realismo di Verga (e questo spiega in parte il suo successo). Niffoi racconta la Sardegna come Scorza il Perù dei campesinos e Verga la Sicilia dei vinti. E qui la contemporaneità e la moda non c' entrano, perché in fondo è un modo d'intendere la letteratura, che la si scriva o la si legga.
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Matteo Collura
 
 

Corriere della sera, 26.3.2008
Calendario
Il critico Lombardo

A meno di non essere un democristiano all'antica, che un uomo politico sia un antimetafisico è normale. Dunque, normale e coerente è che Raffaele Lombardo faccia nell'intervista ad Aldo Cazzullo, sul «Corriere» del 23 marzo (implicita) professione di pragmatismo. A noi però non interessa il Lombardo politico. Ci interessa il Lombardo critico letterario, un critico squillante nella chiarezza del giudizio; antico, o forse antiquato, nel concetto. Cosa dice il Lombardo? Sostiene che non gli piacciono quegli scrittori che tramandano un'idea della Sicilia come terra di sconfitti (Verga), di complicati (Pirandello), di ascari (De Roberto), di immobilisti (Lampedusa). Non sono per la verità idee nuove; al contrario, sembrano piuttosto consunte. Ma se a Lombardo non piacciono, con l'eccezione di Sciascia, gli scrittori morti (aggiunge, al tristo elenco, Brancati, «meno profondo» di Sciascia), gli piacciono quelli vivi, da Silvana Grasso a Andrea Camilleri, che è un criterio di giudizio anch' esso pragmatico e perfino progressista, anzi futurista.
Franco Cordelli
 
 

Cinecittà.com, 27.3.2008
Eventi
Anac: 'Emergenza cultura' al Teatro Valle

Appuntamento domani 28 marzo al Teatro Valle, a partire dalle ore 10, con il convegno "Emergenza cultura" promosso dall'Anac, nella consapevolezza che "la cultura deve essere riconosciuta come elemento centrale della vita civile e democratica del nostro Paese".
Al convegno sono state invitate singole personalità e associazioni rappresentative non solo del cinema ma di tutte le forme espressive del panorama italiano.
Tra gli interventi finora previsti: Renzo Arbore, Andrea Camilleri, Massimiliano Fuksas, Carlo Lizzani, Gerardo Marotta, Gino Marotta, Sapo Matteucci, Gianni Minà, Moni Ovadia, Andrea Purgatori, Lidia Ravera, Nicola Sani, Manlio Santanelli.
Hanno aderito e saranno presenti i registi Ugo Gregoretti, Luigi Magni, Mario Monicelli, Francesco Maselli, Giuliano Montaldo, Francesco Rosi, Furio Scarpelli, Ettore Scola, Paolo Taviani, Vittorio Taviani.
Tra le associazioni che hanno aderito l'Agis, l'Anica, l'Arci, l'Associazione per il Teatro Italiano, Cematitalia (Federazione di associazioni musicali) il movimento Centoautori, la Siae, il Sindacato nazionale critici cinematografici, il Sindacato nazionale giornalisti cinematografici, il Sindacato nazionale scrittori, l'Unione produttori film.
"Obiettivo del convegno - spiega Gregoretti al 'Giornale dello Spettacolo' - è quello di riunire esponenti di più discipline e fare un bilancio della situazione cultura in Italia, raccogliendo più testimonianze. Vogliamo creare un fronte multiculturale per porre la questione che l'Anac, un po' allarmisticamente ma non del tutto, ha denominato 'emergenza cultura' per poi far seguire documenti e azioni".
Per quanto riguarda la cinematografia, per il presidente dell'Anac, "va sorretta quella che, pur tenendo conto dell'importanza di avere un pubblico, come ci hanno insegnato i grandi maestri del passato, non ne fa un'esigenza primaria perché ha come primo obiettivo la ricerca della qualità. Va combattuto il malinteso secondo il quale film di qualità significa film di difficile lettura, ermetico e di scarsa attrattiva. Bisogna sostenere il cinema sperimentale perché quanto più se ne fa, tanto più cresce il numero delle persone capaci che vengono messe in luce. Negli anni passati lo Stato puntava molto sulle opere prime e seconde e grazie a questo sono usciti fuori grandi registi. Bisogna continuare a farlo".
 
 

R.T.M. News, 28.3.2008
Anche Ispica set della serie Tv "Il Commissario Montalbano"

Oltre a Ragusa, Scicli e Modica anche Ispica viene riconfermata tra i “luoghi di Montalbano”. La società di produzione Palomar spa ha informato nei giorni scorsi il sindaco Piero Rustico che anche Ispica diventerà set della nuova seria del film tv “Il commissario Montalbano 8-9”, regia di Alberto Sironi. In particolare saranno effettuate riprese nella piazza SS. Annunziata incorniciata da case gentilizie dell’Ottocento e del Novecento e dominata dal prospetto di impianto settecentesco della omonima chiesa e nel corso Garibaldi già set nel 1961 con i suoi palazzi liberty del celeberrimo “Divorzio all’italiana” per la regia di Pietro Germi. Inoltre saranno girate delle scene di alcuni episodi all’interno del monumentale palazzo Modica-Bruno costruito ai primi dell’Ottocento dal barone Michele Modica Sirugo su un’area di 750 mq e ristrutturato solo all’interno nei primi del Novecento. Per l’austero e sobrio palazzo si tratta di una ulteriore conferma televisiva essendo stato già set dell’episodio “La pazienza del regno” nella scorsa serie de “Il commissario Montalbano” soprattutto con le stanze del piano nobile ed essendo diventato con i suoi bassi di stile e di arredamento genuinamente primonovecenteschi nella miniserie del 2007 “Il capo dei capi” di Alexis Sweet il commissariato di Corleone e la cella del boss mafioso Riina. Nei luoghi ispicesi di Montalbano rientra anche il Casino Bruno di Belmonte costruito nel 1866 in quella che allora era la periferia di Spaccaforno e particolare per il suo artistico cancello in ferro battuto, per il suo obelisco, per le sue statue e per la sua caratteristica torre nella torre. “Il ritorno del commissario Montalbano nella nostra città – commenta il sindaco Piero Rustico - è certamente un’occasione importante per lo sviluppo del turismo nella nostra città considerata la forza attrattiva che in termini turistici le location di questa serie televisiva hanno registrato. L’Amministrazione comunale continuerà a sollecitare, attraverso iniziative promozionali, l’inserimento della nostra città nei circuiti turistici di Montalbano che si confermano in ogni periodo dell’anno assi portanti del turismo negli Iblei”.
 
 

Mangialibri
Il tailleur grigio
Andrea Camilleri, Mondadori 2008

Anche quel giorno, benché fosse il primo da pensionato, Febo Germosino si svegliò puntualmente alle sei compiendo i gesti di sempre. Il suo primo pensiero fu però quello di immaginare come da quel momento in poi avrebbe potuto riempire il suo tempo - fino ad allora occupato dalle molteplici attività di funzionario di banca. Cominciò con l’esaminare tre lettere anonime che aveva ben disteso sul tavolo: due, vecchie di una decina d’anni, le conosceva bene. Rivolse l’attenzione alla terza, recentissima, che insinuava dubbi sulla fedeltà di Adele, la sua giovanissima e bellissima moglie. Febo la sposò contro il parere di tutti, anche di suo figlio che trasferitosi a Londra, non vedeva ormai quasi più. Adele la conobbe casualmente in tristi circostanze. Fu infatti il prescelto dalla banca per andare a porgere le condoglianze alla moglie di Angelo Picco, suo collaboratore, la cui passione per le moto mise fine alla sua giovane vita. Adele apparve ai suoi occhi in tutta la sua bellezza, avvolta in un tailleur nero, il viso coperto da un leggero velo del medesimo colore che contrastava con i capelli biondi raccolti dietro la nuca. Bastarono altri due incontri per farlo capitolare: uno a casa della donna ed un secondo alla banca quando Adele, abbandonato l’abito da lutto, vi si recò per consegnare alcune carte con un impeccabile tailleur grigio che indossava in rare occasioni. Entrata a fare parte della sua vita e della sua casa, Adele non era tuttavia il tipo di donna da restare 'buona buona' ad attendere fino a sera l’arrivo del marito, incline com’era alle compiacenze degli uomini. Le frequenti passeggiate con l’amica del cuore, le riunioni presso associazioni di volontariato, le svariate uscite erano in realtà pretesti per incontri clandestini coi suoi molteplici amanti. Adele vide così il pensionamento di Febo come una minaccia alla sua libertà, tanto che convinse una delle sue svariate conquiste a proporre al marito di seguire le trattative di una importante fusione che in realtà mascherava affari non troppo puliti. Ma proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, la notizia della malattia di Febo scombina i piani della donna decisa ad abbandonare tutto: frequentazioni maschili, amicizie, circoli per dedicarsi completamente al marito. Febo ne è quasi stupito e proprio mentre è sul punto di ricredersi sulla moglie…
Andrea Camilleri si conferma anche in questo romanzo un astuto osservatore della psiche e dell’anima femminile. Tratti raffinati, in un linguaggio in cui si frammezzano espressioni dialettali che testimoniano l’attaccamento alle sue origini siciliane, definiscono le linee salienti dell’indiscussa protagonista della storia. Adele è una meravigliosa femme fatale egocentrica e capricciosa, mai soddisfatta, burattinaia astuta che sa sfoderare al momento giusto le sue armi più potenti per trascinare a suo piacimento in un microcosmo di seduzioni di pezza e di facili piaceri le sue prede. Mentre si muove tra le sue conquiste, quello che di Adele si ricorderà saranno le sue lunghissime gambe, le mani che sfiorano gli abiti alla ricerca del capo giusto da indossare, le movenze di un languido corpo mentre compie le gestualità di una doccia-rito alla quale era concesso assistere solo in determinate occasioni. Adele è la rappresentazione del corpo – bellissimo, accattivante, da possedere con tutte le forze – ma un corpo di un fantoccio, o di una Barbie come spesso veniva definita dallo stesso Febo, con un cuore solo dipinto sul petto. Senza un’anima di carne. “Io sono come un deserto. Anche se viene innaffiato, non ci nascerà mai un’oasi”, confida Adele un giorno a suo marito in una delle loro primissime conversazioni. Ma questa sterilità riferita al fisico, attacca e avvilisce anche il sentimento. Le emozioni, i gesti di affetto, le piccole carinerie sembrano in Adele sempre calcolate. Poche sono le reazioni spontanee della donna, quasi annullate da un turbinio di vuoto e solitudini che allontana dalla vita. Tanto che Adele non arriverà mai a capire chi in tutta l’esistenza l’ha davvero amata e forse nemmeno a provare reale dolore. Adele si conferma fino alla fine ‘femme fatale’, quindi, ma non certamente ‘maudite’ – maledetta. Per lei nessuno, nemmeno lo stesso Febo resosi conto dei suoi frequenti tradimenti, avrebbe compito un gesto estremo. Adele è donna per la quale non si va oltre piccole gelosie, rancori, dispiaceri di amanti delusi e feriti, vendette spicciole e capricci, abbandoni verso mete più appaganti.
Febo, eccettuata la capacità di non cedere ai ricatti e alle illusioni provocategli dalla giovane moglie, è il personaggio che esce sconfitto nel corpo nelle sua vicenda di malattia e nell’anima nel rapporto sentimentale con Adele. Lui che di questo amore, scoperto in età matura, conosce la passione sensuale - quella che lo attira ad origliare alle porte e lesinare una carezza, a chiedere di potere assistere al rito domenicale che diventa una sorta di purificazione per il suo inappagato desiderio – si vede costretto a rivaleggiare con la ben più profonda ricerca di una amore spiritualizzato, fatto di una intesa di anime e di tenerezze. Un amore che si inganna di potere trovare e riscoprire nel momento della malattia. Ma Febo non riuscirà a plasmare la sua Adele e non avrà tempo a sufficienza per vedere trasformarsi un pupazzo in una donna di anima e sangue.
Francesca Morelli
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 29.3.2008
La lettura
Romanzi ambientati nell´Isola, scritti da lontano
La Sicilia raccontata dagli scrittori forestieri
Sempre più spesso gli scrittori d´oltre Stretto ambientano nell´Isola i loro romanzi: ecco chi sono

Che la Sicilia sia stata per gli scrittori isolani una sorta di botola dentro cui inesorabilmente precipitare, è cosa oramai nota. Ma che l´Isola rappresenti anche per chi non vi è nato un´attrazione irresistibile, calamitando fantasie e immaginari, è un fenomeno che solo di recente sta assurgendo a simbolo. Si può ambientare una storia in Sicilia, dunque, rimanendo abbarbicati ad altre latitudini.
[…]
Serge Quadruppani, invece, a furia di tradurre in francese i romanzi di Camilleri e di frequentare la sua compagna isolana, s´è tanto imbevuto di Sicilia da scrivere, con Maruzza Loria "Alla tavola di Yasmina. Sette storie e cinquanta ricette di Sicilia al profumo d´Arabia" (Mondadori). Nella Sicilia dell´undicesimo secolo, sotto il dominio normanno, Omar Ibn Khalid viene arrestato per alto tradimento e condannato a morte. Nel tentativo di salvarlo sua sorella Yasmina si fa novella Shahrazàd, seducendo il sovrano Ruggero I con i suoi racconti e ancor più con la sua cucina: cannoli, granite al cedro, caponate di melanzane, cuscus di pesce.
[…]
Da Ragusa prende invece le mosse la narrazione di Roberto Nobile, noto attore di teatro e di cinema, il quale negli ultimi anni ha interpretato il soprintendente capo Parmesan nella fiction "Distretto di Polizia" e il giornalista Zito in quella del "Commissario Montalbano". Si intitola "Col cuore in moto" (Coniglio editore) ed è la storia di un giovane siciliano che su due ruote fa esperienza del mondo e della vita.
[..]
Salvatore Ferlita
 
 

l’Unità, 30.3.2008
Ingrao, l’Eroe del dubbio
Lunedì alle 11, a Palazzo San Macuto, a Roma, lo scrittore siciliano pronuncerà una lectio magistralis nel corso dei festeggiamenti per il novantatreesimo compleanno di Pietro Ingrao, organizzati dal Crs. Ne anticipiamo il testo.
Andrea Camilleri
 
 

Il Messaggero, 30.3.2008
Montalbano torna sul set per altri quattro film: ma stavolta il commissario cede al sesso

Roma - Montalbano non resiste al sesso e cede alla passione e all'erotismo. Il commissario, sempre interpretato da Luca Zingaretti, torna sul set il 31 marzo, a Marina di Ragusa, e perde la testa per una ragazza di ventidue anni, si lascia conquistare da una cavallerizza e accetta la seduzione femminile, mentre il rapporto con la storica fidanzata Livia diventa sempre più freddo e l'amica Ingrid, per cui ha sempre avuto un debole, è gelosissima.
Nuovi personaggi femminili, ma lo staff resta quello di sempre. Nei quattro nuovi film dai gialli di Andrea Camilleri - La luna di carta, Le ali della sfinge, La vampa d'agosto e La pista di sabbia - prodotti dalla Palomar di Carlo Degli Esposti per Rai Fiction, «la cosa più bella sono i personaggi femminili. Il mito di Montalbano che sa resistere alle storie d'amore - dice il regista Alberto Sironi - finalmente crolla. Camilleri è uno dei pochi autori popolari che ama le donne, e si vede da come le tratta e rispetta». Con le nuove figure femminili arrivano anche nuovi attrici nel cast della serie, che nei 14 tv movie da ascolti record anche nelle numerose repliche non ha mai cambiato sceneggiatore (Francesco Bruni e lo stesso Camilleri), regista (Sironi), produttore (Palomar), interpreti principali (Zingaretti, Cesare Bocci nel ruolo di Mimì Augello, Peppino Mazzotta in quello dell'ispettore Fazio e Angelo Russo nella parte di Catarella e autori della fotografia (Stefano Ricciotti e Franco Letta). «Questa continuità è una cosa - dice Sironi - che non ha nessuna serie tv al mondo. Abbiamo voluto bene a questi film e si vede».
Le amanti di Montalbano. Tra i nuovi ingressi, quello dell'attrice napoletana Serena Rossi, fra gli interpreti di Un posto al sole, che ha ventidue anni, come il personaggio che farà innamorare Montalbano ne La vampa d'agosto. «Lei ricambia - spiega Sironi - l'amore di Montalbano, ma vuole avere anche un tornaconto». Mandala Tayde è invece la cavallerizza con cui il commissario vivrà un intenso e unico incontro sessuale, poi trasformato in amicizia ne La pista di sabbia. «E' erotismo puro. Lei - dice il regista - è talmente simpatica e intelligente che alla fine rimangono amici». L'attrice del Piccolo Teatro di Milano, Pia Lanciotti, nuova per la tv, è una figura tragica che, insieme a una ragazza uscita brillantemente dall'inferno della droga (di cui si sta decidendo l'interprete in questi giorni), colpirà Montalbano facendo traballare la sua sensibilità al fascino femminile in La luna di carta. «Solo ne Le ali della sfinge - spiega Sironi - il commissario non si innamora di nessuno. Montalbano si redime, aiuta quattro ragazze dell'est. Le attrici che le interpretano sono una rumena, due russe e una albanese». Livia non compare mai, «la storia con lei è nel limbo». C'è anche, racconta Sironi, «un bel personaggio maschile che farà la parte della carogna ne La vampa d'agosto. Quasi sicuramente, ma aspettiamo la risposta in questi giorni, sarà interpretato dall'attore napoletano Vincenzo Peluso» che abbiamo visto a Ballando con le stelle.
Si torna all'azione. Montalbano torna anche all'azione nonostante il passare dell'età. «In realtà - spiega il regista - nei romanzi ha sessant'anni, nei film quarantacinque. Negli ultimi che abbiamo girato ero un po' preoccupato, c'era poco azione, tutto si giocava soprattutto sulla regia. Ora le cose avanzano, ci sono problemi forti come le corse clandestine (La pista di sabbia) e anche scontri con il clero». Sironi non ha mai avuto dubbi che Zingaretti, pur avendo annunciato nel 2005, al compleanno per gli 80 anni di Camilleri, l'addio al personaggio, sarebbe tornato a farlo: «Luca aveva bisogno di lasciar riposare il suo personaggio. Per evitare la routine abbiamo fatto degli stop, una volta di due anni, ora di tre. Un personaggio come Montalbano nel cinema italiano non c'è. Abbiamo perso il genere della commedia popolare». Le riprese dovrebbero finire intorno a Ferragosto. Si gira a Ragusa e Marina di Ragusa, Scicli, Modica, e il commissariato è ricostruito in studio come negli ultimi sei anni. Il lavoro sarà consegnato a Natale prossimo per andare in onda su Raiuno nel 2009.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 30.3.2008
Se Lombardo si improvvisa critico letterario

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Non era mai accaduto, invece, che un politico mostrasse vera inclinazione per la critica letteraria: attività peraltro ingrata e servile, assai parca di soddisfazioni. L´ho appreso leggendo un´intervista che l´immaginifico e geniale Raffaele Lombardo ha rilasciato il 23 marzo a Aldo Cazzullo sul Corriere della sera.
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Meraviglioso l´entusiasmo per Camilleri, per il suo Montalbano politicamente corretto: con argomenti degni del più entusiasta fan di Veltroni.
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La verità è che Lombardo è un uomo accorto: i siciliani che non ama sono tutti morti. Non votano mica. I vivi, invece, sono tutti gratificati d´un complimento almeno. Senza quei morti, però, la letteratura, non dico italiana, ma europea, sarebbe molto più povera. mentre la Sicilia, finalmente leghistizzata, popolata da patrioti che, come Lombardo, ne celebrano le sorti magnifiche e progressive, sarebbe, al massimo, una sede distaccata di Cinecittà. Pura commedia italiana.
Massimo Onofri
 
 

Aprileonline, 31.3.2008
Buon compleanno Ingrao!
Pubblichiamo la lectio magistralis tenuta dallo scrittore siciliano in occasione dei 93 anni del leader comunista. Una dichiarazione di stima e di affetto condita da ricordi e riflessioni sulla storia del nostro Paese
Andrea Camilleri
 
 

Kataweb, 31.3.2008
Montalbano torna sul set
Il commissario Montalbano perde la testa per una 22enne in uno dei quattro nuovi film tratti dai libri di Andrea Camilleri, le cui riprese cominciano oggi a Marina di Ragusa

Da oggi a Ragusa, il commissario più amato della tv italiana torna sul set.
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"Il mito di Montalbano non sa resistere al nostro territorio", ha commentato Piero Torchi, ex sindaco di Modica dimessosi per correre all'Assemblea regionale. "E' la conferma - aggiunge - del rinnovato appeal che mostrano le nostre città e dell'offerta monumentale e paesaggistica della Provincia di Ragusa senza eguali, che dà al cinema italiano la possibilità di rinnovare il fortunato personaggio interpretato da Luca Zingaretti, già cittadino onorario della nostra terra".
 
 

Il Manifesto, 31.3.2008
Taglio basso
Ma ci meritiamo un Lombardo?

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E se la prende ancora, il Lombardo, oltre che con Omero e con Garibaldi, anche con gli scrittori moderni che con le loro opere hanno denigrato la Sicilia. Se la prende con Verga, De Roberto, Pirandello, Lampedusa. Ma apprezza tanto Camilleri. Il Lombardo anzi aveva invitato il Camilleri a candidarsi nel suo partito, ma il padre del televisivo Montalbano ha risposto picche. E giustamente. Lo sa il Lombardo, oriundo lombardo, che il nome Camilleri è la versione siciliana di cammelliere, di origine araba vale a dire, anzi di quella comunità berbera che con la Riconquista Normanna si era stanziata ad Agrigento? E anche Sciascia, che Lombardo dichiara di apprezzare è di discendenza araba: Sciascìa è quella sciarpa che gli arabi si annodano in testa. E dice ancora il Lombardo di apprezzare anche Bufalino e Consolo. Va bene Bufalino, ma il Consolo, oibò! Ma lo sa, il Lombardo, che Consolo discende da ebreucci, da neofiti o marrani, da quegli ebrei vale a dire costretti a convertirsi per non essere cacciati via dalla Sicilia nel 1492? E poi, se il Lombardo avesse letto qualche libro di Consolo, se ne sarebbe accordo che razza di denigratore della Sicilia è quello scrittore!
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Vincenzo Consolo
 
 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011