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RASSEGNA STAMPA

AGOSTO 2010

 
l'Unità, 1.8.2010
Chef Camilleri
Marcello Dell’Utri un senatore d’onore
Saverio Lodato / Andrea Camilleri
 
 

Stilos, 8.2010
Allegato omaggio con il numero di agosto
Andrea Camilleri "Il palato assoluto"
Caterino Zappalà ha una dote rarissima: possiede il palato assoluto. Di ogni alimento che mette in bocca capisce pure da quanti giorni è stato preparato. Una rovina per i ristoranti, come anche una fortuna. Tutti lo vogliono e tutti lo temono. Ma lui ha altri progetti. Un romanzo pieno di verve e di arguzia, in siciliano stretto

Caterino Zappalà vanta una dote unica: ha il palato assoluto. Il che significa che riconosce anche gli ingredienti, quindi può rovinare qualsiasi ristorante o farne, al contrario, la fortuna. Essendo lui stesso un business, la mafia gli mette gli occhi addosso. Ma lui ha altri pensieri: Annarosa innanzitutto e poi il sogno di diventare ingegnere e soprattutto un uomo come gli altri. Perché conta essere e non avere.
 
 

Stilos, 8.2010
Recensioni. Camilleri-Lucarelli
La sfida poliziesca finisce con un pareggio
L’editore ha ritenuto di dare un volto a Grazia Negro e Salvo Montalbano scegliendo quelli di Lorenza Indovina, interprete dell'ispettore in Almost blue di Infascelli, e di Luca Zingaretti della serie televisiva sul commissario.
Scelta in realtà inevitabile ancorché, quanto a Montalbano, la somiglianza del commissario camilleriano con l'attore non sodd­isfi neppure l'autore né soprattutto risponde all'aspetto fisico che suggerisce il personaggio letterario

Ma perché, nel confronto con Montalbano, Lucarelli non ha schierato l'ispettore Coliandro, stessa vocazione eretica e stessi modi sregolati, anziché la garbata e condiscendente ispettrice Grazia Negro del rarefatto “Almost Blue”? Forse che la prepotenza di Coliandro (che pure fa capolino con una particina finale) avrebbe fatto corto cir­cuito con la testardaggine di Montalbano e fatto fallire l'indagine? È un'ipotesi. Se­condo un'altra, due investigatori di sesso diverso non solo cooperano con un dippiù di interesse personale ma soprattutto stemperano il clima appunto di confronto che si crea davanti a un risultato da raggiungere. Perché di una gara si tratta, non c'è dubbio. Non tanto tra Montalbano e la Negro quanto tra Camilleri e Lucarelli, che si sono trovati a dovere sostenere una sfida senza volere all'inizio lanciarla. Si capisce dallo sviluppo della trama, anzi dalla risposta che l'uno dà all'altro nell'andamento dell'intreccio, attenti entrambi a rendere il proprio perso­naggio più arguto dell'altro, e comunque per niente disposto a cedere in qualità e rendimento.
Il confronto (che è uno degli aspetti più osservati da chi legge) finisce con una trovata, non sappiamo se condivisa, che evita di dover stabilire chi abbia vinto. Per far questo Montalbano viene però costretto a snaturarsi, a rendersi cioè irriconoscibile, visto che assume un comportamento talmente irrituale da isteri­lire la sensazione di supremazia che sembra guadagnare via via sulla collega: per la prima volta in vita sua usa infatti violenza fisica addirittura su una donna (ancorché appartenente ai vituperati Servizi segreti deviati) e ne determina peraltro la morte fa­cendola ubriacare e abbandonandola per strada. Un Montalbano decostruito, che si meraviglia di se stesso e si confessa preda dell'istinto: va in un bar, acquista del wi­sky, lo fa ingurgitare alla ragazza legata e immobilizzata, che peraltro annaspa per un boccone di traverso, e non ha remora alcuna ad accanirsi contro di lei, ai limiti della tortura vera e propria.
Ma Camilleri, mostrando grande generosità nei confronti del coautore, non può fare diversamente: solo così Montalbano può non offuscare la Negro, trasferendo quindi sul piano del successo fisico, di virile spettanza, l'affermazione di una forza che non si avvale, per la prima volta, del talento intellettivo: all'altezza del quale l'ispettrice bolognese ha già dimostrato, pensiamo anche a “Lupo mannaro” e a “Un giorno dopo l'altro”, di non temere rivali.
Tale risultato è il frutto di una convenzione stabilita dai due autori alla partenza, per cui il testo - anziché essere l'esecuzione in intreccio di una fabula precedentemente definita - facesse la navetta dalle mani di uno all'altro secondo la tecnica del work in progress, sicché ciascuno dei due fosse costretto a dare seguito alla storia sulla base dello sviluppo che l'altro aveva trovato e introdotto: un'autentica partita a scacchi dunque, dove prevenire la mossa dell'altro non tanto per attaccare quanto per difendere il proprio personaggio e il proprio gioco. Non a caso Lucarelli confesserà che per lunghi mesi ha trattenuto la bozza nell'attesa di trovare la soluzione, meglio la ri­sposta, ai cambiamenti di fronte e di strategia davanti ai quali Camilleri lo metteva. E non a caso il romanzo si configura come uno scambio di lettere tra Montalbano e la Negro (né sms né email per non essere intercettati, ancorché esistano mezzi come Skype e smartphone che sono invulnerabili: meglio servirsi di "pizzini" da fare la­sciare sotto l'uscio della porta), di documenti, di articoli di stampa e di registrazioni audio che consentono la comunicazione a distanza: un collaudato prodotto della pre­miata ditta Camilleri. Ma proprio perché nato nello spirito del montaggio, questo ro­manzo breve manda un sentore di costruito, tradisce un eccesso di virtuosismi, ostenta uno sfoggio di buona retorica noir e disarma sia Lucarelli che Camilleri nel buon pro­posito reciproco di non mettere Grazia e Salvo uno contro l'altro.
Per la verità ci si sarebbe aspettati che, anziché contro, i due eroi si mettessero piuttosto insieme, né per Montalbano sarebbe stata la prima volta che si fosse lasciato tentare dal fascino di una donna molto più giovane: poco dopo essere arrivato a Vigàta proprio un'ispettrice di polizia l'aveva lungamente corteggiato. Ma Grazia Negro è di una pasta diversa: non le si conoscono distrazioni e non ama che il suo lavoro e il suo fidanzato cieco. Montalbano non può che fermarsi a un'attenzione paterna di pro­tezione e premura e per la verità mai una volta, nemmeno quando la conosce di per­sona, esprime un apprezzamento sulla donna e non sulla poliziotta. In comune i due investigatori nutrono l'insofferenza per il contropotere, gli apparati appartati dello Stato, qui incarnati in una bellissima ragazza, sicuramente invenzione del gusto per i toni chiaroscurali di Lucarelli, al quale è anche da attribuire il Mc Guffin dei pesciolini rossi, la gimmick che segnerà la fine dell'avvenente agente segreto secondo un giro di eventi che sicuramente è invece camilleriano.
Al tavolo comune Lucarelli ha portato il suo bagaglio di conoscenze e ossessioni sul potere istituzionale distorto, il lato oscuro della vita pubblica, mentre Camilleri ha conferito il suo background sull'inidentità dell'individuo e sulle metamorfosi umane. Alla fine ne è risultato un gioco combinatorio per il divertimento dei lettori che amano i due massimi giallisti italiani del momento, spinti a individuare quanto è dell'uno e quanto dell'altro e soddisfatti del risultato finale di assoluta e composta parità.
Gianni Bonina
 
 

Non Un Solo Spettacolo, 1.8.2010
Questa non è una recensione: Acqua in Bocca di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli

Il titolo di questo pezzo è un chiaro richiamo alla straordinarietà del libro in esame, scritto a quattro mani da due grandi professionisti del giallo e del noir come Camilleri e Lucarelli.
La struttura è quella del racconto lungo epistolare.
I due protagonisti della storia, il siciliano commissario Salvo Montalbano e la pervicace investigatrice Grazia Negro, risultano coinvolti in una investigazione dai contorni foschi. Un uomo, originario di Vigata, viene ritrovato morto nella cucina del suo appartamento a Bologna. Apparentemente un caso di suicidio. Sulla scena del delitto compaiono una busta di plastica, due pesciolini rossi e tanta acqua. Eppure alcuni dettagli sono mancanti. La vittima non indossa una scarpa e non ha al polso il suo solito orologio di sempre. Si tratta di dettagli insignificanti o di colossali indizi? E come mai l’investigatrice Negro, affidata inizialmente al caso, viene improvvisamente dirottata verso altri casi? Qualcosa non va. Qualcuno non dice la verità. E qualcun altro morirà.
Lo scambio epistolare tra i protagonisti nasce per volontà di Grazia, che desidera ricevere da Salvo opinioni e informazioni aggiuntive sul caso. La faccenda però va tenuta segreta ed ecco allora che per tutto il racconto i due poliziotti dovranno ricorrere a missive criptate, messaggeri insospettabili, falsi nominativi e trappole astute.
Dal punto di vista del lettore tutto questo si traspone in un alto livello di attenzione da mantenere più o meno costantemente, al fine di comprendere i particolari e ben interpretare il corso degli eventi. Ci si chiederà come mai Salvo faccia recapitare a Grazia un vassoio di deliziosi cannoli oppure cosa ci faccia una strana sequenza di numeri al termine di un messaggio ambiguo.
La difficoltà degli stratagemmi utilizzati non è mai eccessiva ed essi risultano così ben amalgamati con la linea degli eventi narrati da diventare in definitiva utili stimoli che vivacizzano il racconto stesso.
La trama in sé ha alcuni colpi di scena minori ma già dalle ultime trenta pagine si comprende chiaramente la fine della storia.
Seguono ulteriori spoiler.
Il finale si risolve in una bolla di sapone. Il mistero iniziale della morte dell’uomo con i pesci viene liquidato in una battuta da un personaggio femminile incontrato nel corso degli eventi. I due protagonisti, messi in serio pericolo dalle loro stesse indagini, tornano beatamente alla loro vita di sempre, convinti in modo ostinato e scarsamente credibile che sia finito tutto bene. Ovviamente un finale del genere è necessario per esigenze di scena letteraria e per la necessità di garantire ad entrambi gli autori piena libertà sullo sviluppo dei rispettivi personaggi. Eppure comunque le cose non convincono.
Anche perché dei due la più esposta è la stessa Grazia Negro, che al termine del libro torna a lavorare tranquillamente e pacificamente nello stesso dipartimento in cui si trovano gli stessi superiori doppiogiochisti che la avrebbero prima sospesa dal caso e poi sabotata ripetutamente.
Ed anche l’antagonista del racconto appare piuttosto scialba, poco convincente e mossa da motivi futilmente sottointesi.
Comunque va riportato che problemi di questo tipo sono in parte dovuti ai limiti della struttura epistolare del racconto, che impone sempre e solo i due punti di vista di Montalbano e Negro e lascia poco spazio ad eventuali comprimari.
Nelle ultime pagine però si percepisce una certa fretta nella narrazione e una volontà perentoria di voler chiudere con il classico ‘e tutti tornarono alle loro vite tranquille’.
Da segnalare l’innovazione perseguita dagli autori, che allegano alle epistole dei due poliziotti anche finti dossier, documenti riservati, foto e biglietti identificativi, allo scopo di aumentare l’immedesimazione del lettore nelle indagini. L’idea è proprio questa: permettere a chi legge di raccogliere alcuni elementi di base e fare delle previsioni sull’andamento delle indagini e sui possibili sospetti.
L’equilibrio tra due personalità forti come quelle di Grazia e Salvo è precario. In larga parte la fila dei fatti è portata avanti da Montalbano, qui perspicace come non mai. Grazia Negro appare per tutta la prima parte del racconto, e anche nel finale, quasi una subordinata di Salvo, sempre pronta a chiedere spiegazioni e delucidazioni al collega con una frequenza che ha quasi dell’irritante. Solo nelle pagine centrali del racconto la donna si dimostra essenziale per le indagini e fa sfoggio della propria grinta e determinazione.
Numerosi sono i personaggi comprimari ‘famosi’ che vengono citati nel libro, quali la gelosissima Livia, eterna fidanzata di Salvo, l’apprensivo Simone, il compagno cieco di Grazia, per non parlare poi dei divertenti Catarella, Fazio e Augello.
I proventi delle circa 96 pagine di ‘Acqua in Bocca’, accompagnato poi da un’altra manciata di pagine contenenti l’antefatto e la genesi del lavoro, saranno devoluti ad associazioni benefiche, come riportato dagli autori.
GIUDIZIO FINALE: il libro si presta ad una lettura veloce ma richiede un grado di attenzione non indifferente. La storia è inizialmente intrigante ma viene stravolta nel seguito e banalizzata nel finale. Interessante la multimedialità dell’opera, che riporta anche fascicoli, referti e foto riguardanti le indagini. La struttura epistolare soffoca lo sviluppo di nuovi personaggi comprimari efficacemente caratterizzati. La seconda parte del racconto è poco soddisfacente e piuttosto frettolosa.
Il mio voto finale per ‘Acqua in Bocca’ è di 7,85.
 
 

Armonics 2.zero, 2.8.2010
Camilleri e Lucarelli: attenti a quei due
Lucarelli-Camilleri, Acqua in bocca, Minimum Fax, Roma, 2010, Pagg. 108

“Ti mando un ritaglio di giornale che parla de suicidio del brigadiere Vincenzo Maria Pesci. Guarda, Grazia cara, che il fatto del cognome del brigadiere è una semplice coincidenza. Ci potrei mettere il carico da undici facendoti sapere che il Pesci era nato sotto il segno dei Pesci e che mangiava solo pesce, dato che la carne lo disgustava.” Ecco una piccola annotazione astrologica nel romanzo scritto a quattro mani da Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli che fanno incontrare e interagire i loro personaggi più famosi: il commissario Montalbano e l’ispettrice Grazia Negro. Ne viene fuori un romanzo divertentissimo, sia di per sé, sia leggendo tra le righe. E’ infatti una satira di molti generi, a cominciare dal poliziesco per finire con l’epistolare, passando dalla fiction televisiva. Fuor di dubbio il divertimento degli autori, logica conseguenza quello dei lettori: un romanzo che piacerà ai fan di Camilleri come a chiunque sia dotato di senso dell’umorismo.
Grazia
 
 

Le reti di Dedalus, estate 2010
Luogo comune. Andrea Camilleri
Un Montalbano di mezza età e disilluso, impegnato in una “Caccia al tesoro”
L’ultimo volume dell’interminabile serie poliziesca, imperniata sul commissario di Vigata, il ‘detective più amato dagli italiani’, parte da una notte di follia con due vecchietti che prendono a sparare dal balcone su una folla di ‘infedeli’. Un romanzo anomalo, a tratti spiazzante in cui lo scrittore di Porto Empedocle si avventura in territori inesplorati, pur conservando il suo inconfondibile stile basato su un irresistibile mix di satira, cinismo e allegra sicilianità.

Vigata sonnecchia sorniona, cullata dal caldo e rassicurante abbraccio del mare, un vento tiepido scuote le piccole case bianche accoccolate a due passi dalla spiaggia di Marinella, e le giornate si rincorrono tutte uguali e monotone, pigre, come la gente che va a fare la spesa al mercato di buon mattino. Niente sembra scalfire questa insolita e ritrovata tranquillità, questa breve parentesi di pace che trasforma la noia in torpore.
Ma è proprio quando non succede nulla che bisogna tenere gli occhi aperti e il Commissario Montalbano questo lo sa bene… Da bravo “segugio” qual è, abituato alle insidie del crimine e di un mondo che ormai non riconosce più e che ha imparato a disprezzare, il commissario sente che nell’aria si agita qualcosa di pericoloso, qualcosa di brutto destinato a piombargli addosso con la forza dirompente di mille ordigni, qualcosa che lo metterà a dura prova, che sconvolgerà il suo proverbiale sangue freddo e la sua mente, un tempo salda, ma ora così fragile, vittima della morsa soffocante dell’età che avanza.
Ebbene sì, il “detective più amato dagli italiani” è tornato, l’erede naturale di Maigret e Duca Lamberti che negli ultimi anni ci ha fatto sorridere, appassionandoci con le sue storie di misteri e “ammazzatine” e con quel suo carattere irresistibile, astuto, mordace, ironico, amante della buona tavola e dei piaceri semplici della vita.
Da un paio di mesi, i fan di Andrea Camilleri, possono infatti “bearsi” dell’ultima fatica del loro “beniamino”, uscita in libreria nel maggio scorso e subito andata a ruba, bissando perfino il successo dei più noti bestseller internazionali.
Quello con Montalbano, è diventato un appuntamento fisso che si ripete almeno due volte l’anno e che i lettori non perderebbero per niente al mondo, l’incontro con un vecchio amico che davanti ad una caponata e ad un buon bicchiere di vino, racconta le sue peripezie, gli scontri memorabili con pericolosi assassini e ladruncoli da strapazzo.
La sfida, stavolta, è lanciata da un anonimo interlocutore che si muove nell’ombra, trincerandosi dietro rebus e filastrocche, e che coinvolge il commissario in un gioco perverso, un’improbabile caccia al tesoro in cui il prezzo da pagare potrebbe rivelarsi davvero molto alto.
Tutto inizia con il “colpo di testa” di Gregorio e Caterina Palmisano, due anziani fratelli timorati di Dio che improvvisamente una sera decidono di sparare sulla folla di “infedeli” dal balcone della loro casa. Una notte di follia, conclusasi con l’inevitabile internamento dei due vecchietti, ma che per Montalbano sarà solo l’inizio di un incubo: tra bambole gonfiabili che spariscono e ricompaiono nei posti più impensati, situazioni equivoche al limite del boccaccesco, squallide case di appuntamenti e ragazzini viziati, ci si mette pure il rapimento di Ninetta, una “picciotta” per bene e incensurata, a complicare le cose, a ingarbugliare ancora di più una matassa che sembra non avere il bandolo! La verità, tuttavia, non si farà attendere ed esploderà come un fulmine a ciel sereno, cogliendo impreparato anche un veterano come il commissario e mettendolo di fronte ad uno scenario di macabra perversione e inspiegabile crudeltà, qualcosa di mai visto prima, tanto orrendo quanto incomprensibile. Perfino l’imperturbabile dottor Pasquano, medico legale dalla battuta sempre pronta, di fronte all’indicibile efferatezza di un omicidio spietato compiuto solo per il gusto di soddisfare bisogni deviati e rivoltanti, alzerà le mani e si abbandonerà al disgusto; perché la morte è ancora più inaccettabile se arriva troppo presto e senza un motivo.
La caccia al tesoro (Sellerio Editore, Palermo 2010, pp. 271, € 14,00), questo il titolo del libro, è dunque un romanzo anomalo, a tratti spiazzante. Da una parte, infatti, esso risulta fortemente impregnato dell’inconfondibile stile di Andrea Camilleri, quell’irresistibile mix di satira, cinismo e allegra sicilianità che il pubblico ha imparato ad amare. Soprattutto nelle pagine iniziali, si respira intatto l’odore di quelle frasi pungenti, il sapore dolceamaro di quei siparietti comici e quasi teatrali che negli anni hanno fatto la fortuna dello scrittore siciliano; d’altra parte, però, Camilleri ci stupisce avventurandosi in territori inesplorati e chi si aspettava da lui il solito libro scoppiettante, bonario e disincantato, sarà rimasto profondamente sorpreso, magari un po’ deluso, certamente incredulo.
I personaggi sono gli stessi, ma è l’atmosfera a cambiare, più cupa, più pessimista, più violenta rispetto agli altri romanzi della serie, con molteplici incursioni nel mondo del thriller e del noir a tinte fosche.
L’autore lancia così il suo grido di dolore rivolgendosi ad una società mutilata dalle contraddizioni, ad un’Italia spaccata in due che giorno dopo giorno precipita nel caos più nero e nella perdizione, preda dei suoi stessi pregiudizi, dei suoi stessi odi, dei suoi stessi vizi, di una classe dirigente corrotta e incompetente, un paese che osanna l’estero perché è incapace di valorizzare le proprie bellezze, che stupra la sua lingua madre gingillandosi con inutili, ridicoli e pretenziosi neologismi: «Lingue oramà morte avivano inventato parole meravigliose e ce l’avivano lassate in eredità eterna. E il taliàno, inveci, quanno sarebbi morto com’era inevitabile, dato che oramà era ‘na colonia della lingua ‘nglisi, che avrebbi tramandato ai posteri? Rottamare? Inciucio? Dazione?».
Fin da subito ritroviamo tutte le macchiette e i personaggi magistralmente creati dalla penna dell’arzillo scrittore: c’è Catarella, il tenero agente un po’ imbranato che stravede per Montalbano e risolve le situazioni più spinose grazie ad inaspettati colpi di genio; c’è Mimì Augello, il vice del commissario, “fimminaro” impenitente che, nonostante abbia cercato di mettere la testa a posto sposando la gelosissima Beba, non disdegna la compagnia di altre donne; c’è il fido Fazio, fissato con l’onomastica e ci sono Gallo e Galluzzo, l’algido questore Bonetti Alderighi e Ingrid, la bellissima “svidisa” per la quale il tempo sembra essersi fermato e con cui da sempre Montalbano intrattiene un rapporto profondo e indefinito, a metà tra amicizia, amore e gratitudine. C’è Tommaseo, il Pm che s’infiamma ogni volta che si profilano all’orizzonte delitti passionali e torbide storie di sesso, e c’è Adelina, la “cammarera” di Montalbano che gli fa trovare in frigorifero pranzi succulenti e deliziosi manicaretti.
E poi, naturalmente, ci sono le immancabili “azzuffatine” telefoniche con la fidanzata Livia, eterna promessa destinata a non diventare mai sposa. Da Boccadasse in quel di Genova, la sua voce giunge lontana, come l’eco di un passato al quale il commissario si aggrappa con tutte le forze, più per abitudine, per paura della solitudine, che non per reale convinzione; Livia è un punto fermo e Montalbano non può permettersi di perderla, specialmente adesso che, a 56 anni, sente scorrergli addosso il fiato del tempo che passa. L’“età del dubbio” (non a caso titolo del precedente romanzo di Camilleri) è quell’età che vede cadere ad una ad una tutte le certezze costruite e consolidate nel corso di un’intera vita, che vede vacillare i pochi appigli che ci avevano tenuti in piedi. Le domande incalzano, le paure esistenziali fanno capolino dietro le ore morte di nottate trascorse insonni a rigirarsi tra le lenzuola e il tempo tiranno arriva spietato a presentare il suo salatissimo conto. Montalbano, che non è immune a tutto questo, ma anzi teme più di ogni cosa l’insorgere della vecchiaia, si ritrova solo, a parlare con se stesso, con quella parte di sé che ancora non accetta, lunghi e infruttuosi monologhi recitati a letto come una preghiera o una litania, magari a tarda sera nella vana speranza di prendere sonno e dimenticare gli orrori diurni.
Il commissario, che prima affrontava la malavita con l’indifferenza propria di chi sa che non deve lasciarsi coinvolgere se vuole sperare di sopravvivere, oggi è un uomo nuovo e osserva la realtà con gli occhi di chi invece ha scelto di spogliarsi della propria corazza abbandonandosi a emozioni che fino ad allora aveva finto di ignorare.
Nudo e senza scudi che lo proteggano, Montalbano fronteggia l’ennesima prova con coraggio e con la disillusione di un uomo di mezza età che ha vissuto troppo per scandalizzarsi, ma ancora troppo poco per restare indifferente davanti a quello che la nostra società, figlia del tubo catodico e di falsi miti che nascono e muoiono nel giro di poche ore, è diventata.
Un libro, quest’ultimo di Camilleri, che dunque non è solo una piacevole evasione, un “compagno” da portare in spiaggia e da sfogliare sotto l’ombrellone durante le vacanze estive, ma anche una preziosa occasione per riflettere su ciò che siamo, che dovremmo essere e che, forse, non saremo mai.
Valeria Pighini
 
 

3.8.2010
È morta Elvira Sellerio.
Il Camilleri Fans Club è vicino alla famiglia e rende omaggio a "Donna Elvira".
   
 
 

ANSA, 3.8.2010
Editoria: Morta Elvira Sellerio
Avea 74 anni, ha pubblicato Sciascia, Bufalino, Camilleri

Palermo - Elvira Giorgianni Sellerio, fondatrice con il marito Enzo dell'omonima casa editrice, è morta oggi a Palermo. Aveva 74 anni. La Sellerio era nata a Palermo il 18 maggio 1936. L'editrice, che in passato era stata anche componente del Cda della Rai, scoprì e incoraggio a pubblicare per la sua casa editrice numerosi autori di successo, da Leonardo Sciascia a Gesualdo Bufalino fino ad Andrea Camilleri.
 
 

ASCA, 3.8.2010
Editoria: Morta a Palermo Elvira Sellerio

Roma - Si e' spenta oggi a Palermo all'eta' di 74 anni Elvira Giorgianni Sellerio, fondatrice insieme al marito Enzo dell'omonima casa editrice. Nata nel capoluogo siciliano il 18 maggio 1936, ha cominciato a lavorare nell'editoria nel 1969 dando vita alla sua casa editrice in seguito ad un'idea suggeritale da Leonardo Sciascia, del quale nel 1978 avrebbe pubblicato ''L'affaire Moro'', primo libro di grande successo della Sellerio.
Dopo la separazione dal marito, nel 1983 l'editrice ha avviato due gestioni separate: Elvira Sellerio pubblica narrativa e saggistica, mentre Enzo Sellerio pubblica libri d'arte e fotografia.
Fra gli scrittori che hanno pubblicato i loro libri con lei figurano Gesualdo Bufalino (vincitore del Campiello nel 1981), Andrea Camilleri (con quasi tutte le storie del commissario Montalbano), Gianrico Carofiglio e Antonio Tabucchi, oltre agli stranieri Roberto Bolano, Alicia Gimenez-Bartlett e Manuel Vazquez Montalban.
 
 

Adnkronos, 3.8.2010
Si è spenta a 74 anni
Addio alla signora dei libri: morta Elvira Sellerio, fondò col marito la casa editrice

Palermo - Lutto nel mondo della cultura. Oggi si è spenta a Palermo Elvira Giorgianni Sellerio, 74 anni, fondatrice insieme al marito, il fotografo Enzo, della casa editrice Sellerio.
Donna Elvira ha incarnato in oltre 40 anni di attività editoriale la sintesi perfetta tra cultura e imprenditoria. Figlia di un prefetto, prima di sei fratelli, e con una laurea in Giurisprudenza, ha vissuto una appassionata gioventù a cavallo tra anni '50 e '60 entrando in contatto con i fermenti culturali di realtà come il Gruppo '63 (che si formò in un vecchio albergo appena fuori Palermo, con Alberto Arbasino, Umberto Eco e scrittori siciliani come Michele Perriera).
La casa editrice Sellerio nasce nel 1969, con un piccolo investimento da parte di Elvira (che investì nell'impresa la liquidazione di un impiego alla Regione) ed Enzo Sellerio, sulla base di una idea nata parlando assieme a Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta. Palermo negli anni Sessanta è una strana città. Da mille anni una delle capitali dell'Occidente, da mille anni alla periferia dell'Occidente. Così, fin dall'inizio Sellerio è una casa editrice periferica e interessata alle periferie. Ma è questo essere una specie di provincia dell'anima che le consente di esprimere una generalità. Di non essere una nicchia, ma un soggetto. Perché il soggetto è inevitabilmente un punto di vista, cioè una provincia che si fa centro.
La prima collana Sellerio si chiama "La civiltà perfezionata". Sono testi caratterizzati da due linee apparentemente parallele, in realtà convergenti: la letteratura siciliana, e la letteratura europea meno nota e più raffinata. Due linee che convergono perché si dipartono da un illuminismo di base: il credere che la cultura non ha bisogno di aggettivi, che e' di per se' trasformatrice. Ogni volume è accompagnato da incisioni di grandi illustratori (Mino Maccari, Tono Zancanaro, Bruno Caruso) e da una introduzione che in casa editrice si prende l'abitudine (in parte per il gusto della modestia, in parte per la vanità della modestia) a chiamare Nota.
Le Note sono testi che hanno come modello gli scritti occasionali di Sciascia stesso, che non prendono mai di petto il loro oggetto, ma vi alludono alla ricerca di connessioni e suggestioni apparentemente lontane ma che in realtà centrano più di ogni zelante documentazione. Così le Note sono introduzioni ma costituiscono, se si vuole, letture autonome. Lanza, per esempio, è introdotto da Calvino. Nel frattempo nel 1976 erano nate due collane di saggistica. Biblioteca siciliana di storia e letteratura e Prisma.
Nel 1978 la prima grande avventura e il primo grande successo: "L'affaire Moro" di Leonardo Sciascia vende più di centomila copie. E' un libro di denuncia, senza parrocchie, coraggioso, scritto nella prosa magnifica di Sciascia. E' la prima volta che Sellerio raggiunge numeri da grande casa editrice. La seconda svolta si avrà nel 1979 con la nascita della collana blu della Memoria. Prima di tutto la grafica. Fu una piccola rivoluzione, nel grigiore metallico delle copertine di quegli anni l'irrompere della macchia blu, della carta vergata, dell'immagine pittorica figurativa al centro della sovraccoperta, dentro una cornicetta colorata che richiamava il colore delle lettere del titolo.
Il libro tornava ad essere anche un oggetto elegante, anche per quel suo formato tendente al quadrato, studiato per essere su misura per la tasca di una giacchetta. Un'unica legge per i contenuti: la curiosità intelligente (intelligente, diceva Sciascia nel senso di intelligenza col lettore ''come si dice intelligenza col nemico'', cioe' intesa rapida, sotterranea, forse complice) che il libro doveva comunicare al lettore, resa con stile letterario. La consacrazione nazionale si avra' con Bufalino. Un uomo gia' anziano, un tipico professore di Liceo siciliano, coltissimo ma impenetrabilmente schivo. Nel 1981 l'incontro con Bufalino fu casuale e solo il fatto che lo stile di lavoro di Elvira Sellerio (che allora cominciava a occuparsi a tempo pieno, da direttore editoriale, della sua impresa) è poco programmato e molto guidato dalla curiosità, poté produrre quella piccola inchiesta alla fine della quale nel cassetto di Bufalino fu scovato Diceria dell'untore. Il romanzo vinse un meritatissimo Campiello nel 1981.
Dopo Diceria dell'untore il nome della casa Sellerio si salda in qualche modo con la vena dei nuovi scrittori italiani. Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno, sono i nomi più interessanti. Nei primi anni ' 80 si diversifica anche l'attività della casa editrice: Enzo Sellerio guida il settore dei libri d'arte, Elvira Sellerio quello della narrativa e della saggistica.
Due case editrici autonome, mentre autonome diventano anche le vite private dei due Sellerio. La seconda metà degli anni '80 è anche la stagione della crescita più impetuosa. Le collane diventano sette. E i titoli pubblicati passano dai 57 dell'85 ai 92 dell'88, con una vendita crescente dalle 252mila copie dell'85 alle 380mila copie dell'88.
Nel 1990 esce da Sellerio un librettino. Racconta di un commissario di polizia che indaga su un torbido delitto, nel passaggio dalla repubblica di Salò alla repubblica italiana. Il commissario, De Luca si chiama, è un funzionario del regime fascista onesto e molto scettico, in un'epoca in cui le due qualità - onestà e scetticismo - non possono andare d'accordo. Sembra il primo giallo ''revisionista'', in quanto presenta il volto umano di un'epoca e un momento storicamente perversi. Ma il suo autore ha abbastanza cultura, talento e onestà intellettuale per far argine a quello che potrebbe essere uno scandaluccio e per farne un caso letterario. Con Carta bianca di Carlo Lucarelli si può dire che nasca un nuovo genere di giallo italiano.
Seguirà un profluvio di letteratura poliziesca, para o similpoliziesca, italiana e straniera, di grandissimo interesse e successo. All'apice di questa avventura con il poliziesco c'è la scoperta di un vero e proprio genere nuovo. Il poliziesco di scuola siciliana, e due nomi senza commento: Santo Piazzese e Andrea Camilleri, con i cinque milioni di copie di libri di Camilleri prodotti a Palermo e venduti in Italia, più i diritti di traduzione venduti fino al Giappone.
Fino alle scoperte più recenti, che hanno confermato il grande fiuto da talent scout di Elvira Sellerio: due giallisti di grande qualita' e di grande successo come Gianrico Carofiglio, inventore del legal thriller italiano, con un personaggio cosi' vero, l'avvocato Guerrieri, che solo un magistrato di lungo corso com'e' lui poteva scolpire; e la spagnola Alicia Gime'nez-Bartlett, l'ispettrice Petra Delicado e il vice Garzo'n sono due piedipiatti cosi' indimenticabili, nel loro umorismo dolceamaro, nella loro durezza dal cuore tenero.
Il lavoro di Elvira Sellerio è unanimemente riconosciuto e apprezzato in Italia e all'estero: in quattro decenni, partendo da zero, questa donna ha saputo imporre la sua casa editrice all'attenzione del grande pubblico, dando vita ad un catalogo vario e ricco di titoli bestseller. Tanti i riconoscimenti ricevuti nella lunga carriera di editrice: nel maggio dell'89 il presidente della Repubblica Francesco Cossiga la nominò Cavaliere del Lavoro proprio per aver saputo fare crescere un'impresa in quell'isola del Mezzogiorno che all'imprenditoria è ostile. Nel '93 i presidenti di Camera e Senato, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, la nominarono nel Cda Rai passato alla storia come il 'Cda dei professori' presieduta da Claudio Dematte' e composto anche da Tullio Gregory, Paolo Murialdi e Feliciano Benvenuti.
 
 

ilmediano.it, 3.8.2010
‘Struppulo’ e ‘femmeniello’. Sud chiama Nord
Nell’indagine sugli affiliati alla P3, presunta loggia segreta, gli indagati erano soliti esprimersi con termini napoletani che i magistrati non riescono a tradurre in maniera accettabile. Forse, è la vendetta postuma dei Borbone.

Lo confesso: non mi piace Camilleri giallista: le sue trame non reggono, e per tenersi su si abbracciano alle entrate demenziali di Catarella, ai problemi famigliari di Augello, alle caponate, alle triglie e alla pasta ‘ncasciata di Montalbano. Sto rileggendo “Le ali della sfinge“, per dar corpo a una certa mia idea sull’uso eccessivo che Camilleri fa della lingua siciliana: e fatalmente ripenso ai magistrati che non riescono a “trovare sinonimi accettabili“ delle parole napoletane "struppolo" e "pipolo". Alberto Statera l’ha scritto su La Repubblica di martedì 27 luglio, ma l’articolo l’ho letto solo da poco, perché certi pezzi e certi argomenti sono come la pasta e fagioli: il giorno dopo sono più gustosi.
[....]
I Greci vinti dai Romani sui campi di battaglia vinsero Roma con la propria cultura. Napoli, liberata da Garibaldi per essere umiliata dai “lombardi“, ha conquistato l’Italia non con il suo caos, come ha scritto qualche anno fa Aldo Cazzullo, ma con la sua lingua, che scortica, spella e smaschera. Solo l’anima sarcastica della lingua napoletana può svelare e descrivere, con proprietà di ritmo e di immagini, una importante virtù nazionale: l’essere sorprendentemente banale.
Se le cose stanno così, Camilleri è grandissimo. Ha capito che in Italia non c’è spazio per Maigret, per Poirot, per Adamsberg. Non ci interessa sapere né chi è stato ammazzato - se è stato ammazzato è certo che almeno un poco se lo meritava - né, tanto meno, chi l’ha ammazzato. Il vero mistero sta intorno al tipo di vino che Montalbano beve sulla pasta ‘ncasciata e sulle triglie. Portare al successo le entrate di Catarella e mettere in difficoltà gli inquirenti con "struppulo" e con "femmeniello" è la vendetta postuma dei Borbone.
Carmine Cimmino
 
 

Il Messaggero, 4.8.2010
Autoritratto
«Forse i libri mi hanno “rubato” qualcosa»

Parlando di sé, donna Elvira (in Sicilia l’hanno sempre chiamata così) altalenava volentieri fra presente e passato, cosciente di quanto la sua geniale femminilità dovesse ad entrambi i momenti. Attribuiva ad esempio alla morte della madre, che aveva amato follemente, la decisione di sposare Enzo Sellerio, il fotografo bello e famoso con il quale avrebbe poi fondato la casa editrice: «Adoravo mia madre, ero anche gelosa di lei, del bene che poteva dare ai miei fratelli. Quando morì pensai che era meglio cominciare una vita nuova, in luoghi nuovi, con nuove responsabilità». Aggiungeva subito, magari, la storia del primo appuntamento con Enzo, di tredici anni più vecchio di lei, sottolineandone la bellezza e confessando: «Era il 1961. Lui era un uomo in vista, un creativo, molto attraente. Per me fu amore a prima vista. Aspettare due anni per sposarlo mi sembrò un’attesa lunghissima».
Chiacchierando, ricordando, donna Elvira rigirava fra le mani, quel giorno, il “Ladro di merendine” di Andrea Camilleri, pubblicato in neo-greco e da poche settimane in circolazione nelle librerie di Atene. «Mi emoziona, confesso. Ne ho mandata subito una copia all’autore. Che ha apprezzato. I caratteri greci, con la loro bellezza antica, risaltano bene sulla carta spessa color avorio...». Lirica editoriale. Salvo poi rammentare, come il Marchese di Forlimpopoli nella “Locandiera” di Goldoni (“Io son chi sono”), delle battaglie combattute e vinte, anche dopo la separazione dal marito, per e con i libri dalla copertina blu. «La casa editrice è stata una grande avventura. Appassionante, rischiosa, piena di magnifiche incognite. E di soddisfazioni. Penso a Sciascia, a quando gli parlavo dell’idea di fare a Palermo qualcosa di importante che andasse oltre i confini della città. Adesso guardo i cataloghi della Sellerio e quei giorni sembrano, insieme, lontani e vicini».
Palermo: per donna Elvira, come per ogni autentico palermitano, il ventre e il mito, la passione e il rigetto. Delle cose palermitane lei sapeva tutto, o quasi. Diceva della confusione, dei mercati, della sporcizia, ma anche «dell’inconfondibile odore del mare di Mondello», del «sapore arabo dei dolci», «dei profumi insopportabili, ma nostri, dei quali non si può fare a meno», «della giovinezza che può anche scorrerti fra le mani in un secondo uguale a un secolo, da una barca a un libro, da una corsa in macchina a una notte d’estate piena di stelle, da un amore a un dolore...».
Un dolore, fra gli altri, donna Elvira lo patì a Roma, da consigliere d’amministrazione della Rai, nei primi anni Novanta. Non le piacevano le dimensioni larghe e spugnose dell’azienda, non le garbavano le troppe deleghe, sognava di tornare in Sicilia e di disintossicarsi, magari a Casteldaccia, di fronte «ai panorami d’acqua e di luce» ai quali era abituata fin da bambina. «Roma è sontuosa, incantevole, ma non mi si addice. Io sono abituata più in piccolo», diceva. «Mi sono dimessa dalla Rai senza ripensamenti, sentendomi rinfrancata nell’idolatria del libro e nella consapevolezza di aver scelto, con i libri, il lavoro giusto per me». Disamore Rai. Nulla a che vedere, naturalmente, con il disagio che aveva accompagnato, nel 1979, la sua separazione da Enzo. «La casa editrice fu divisa in due società. Trovammo un accordo: mio marito si sarebbe dedicato ai libri illustrati, io avrei curato la narrativa e i saggi. Ma avevo in cuore una grande malinconia. Gli inizi erano stati battaglieri, passionali. Quando si arriva a certe decisioni, si è costretti ad ammettere di avere in parte fallito. E nella vita il fallimento non si compensa mai, nemmeno con il successo».
Eppure è stato tanto, il successo. «”Il birraio di Preston”, alla fine degli anni Ottanta, letteralmente esplose. Ma Camilleri lo pubblicavo già da anni. Poi c’è stata la serie di Montalbano. Tutto nella collana “La Memoria”, che era partita con Leonardo Sciascia. Sciascia lo conobbi grazie a mio marito, mentre cominciavo a fare l’editore. Fu generoso di discorsi e di consigli. Siamo diventati amici e abbiamo collaborato a lungo. A un certo punto, lui decise di cedere ad Adelphi tutto il suo catalogo. Per me fu un dispiacere».
Donna Elvira, lady di ferro. Madre di due figli. Nonostante la separazione, mai satura dei valori del proprio marito. Legata alla famiglia e alla giustizia in egual misura. Capace di confessare che il piglio imprenditoriale grazie al quale ha superato tanti ostacoli, le ha anche negato certe piccole grandi cose, magari «l’uncinetto, o i lavori di cucito che faceva mia madre, con il ditale sul dito e una bella faccia serena».
Rita Sala
 
 

Il Messaggero, 4.8.2010
È scomparsa Elvira Sellerio, tra i suoi autori Sciascia e Camilleri
Addio alla signora dell’editoria
Sellerio, vita da sfogliare tra coraggio e passione

Tutto comincia in quel lontano 1969, anno di grandi rivolgimenti anche in editoria. «Vorremmo fare questo lavoro, lei ci aiuterebbe?». Così Elvira ed Enzo Sellerio si rivolgono a Sciascia quando lei decide di licenziarsi dalla carica di funzionario della Regione Sicilia e di investire la liquidazione in un progetto editoriale. «State attenti, però, avete pochi soldi», risponde Sciascia.
«Un leitmotiv che si è ripetuto negli anni», ricordava lei che sin da subito lavorò in prima persona per la realizzazione concreta di quella folle avventura. È lei ad esempio a legare con lo spago le pagine dei primi testi a partire dal titolo d’esordio “I veleni di Palermo” di Rosario La Duca.
Perché Elvira Sellerio (che dopo pochi anni rimase sola a dirigere l’impresa mentre il marito si specializzava nei libri fotografici) non ha soltanto imposto i singoli titoli, ma degli autentici “culti”, quello di alcuni autori e quello delle mitiche collane. La Memoria è stato un marchio in cui il lettore poteva ritrovarsi, segno e griffe di una appartenenza a una moda elitaria e insieme popolare radicata nella visione sciasciana in cui sono le idee, l’eleganza della loro creazione e trasmissione a fare cultura nel senso più sostanziale della parola.
I nomi degli autori sono noti: Sciascia, Bufalino, Camilleri. Sciascia passava i pomeriggi in casa editrice tra i mobili liberty e le stampe che sarebbero servite da copertina dei libri.
Rispondeva ai biglietti quotidiani che Elvira gli inviava per ricevere indicazioni su quattro, cinque libri da leggere. È Elvira a convincerlo a stampare un suo libro e nel 1978 esce “L’affaire Moro” il più tipico e classico dei sellerini, i volumetti che ogni lettore può riconoscere entrando in libreria dal colore inconfondibile di quello che è ormai diventato, accanto al blu di Prussia e al blu cobalto, il blu Sellerio. Opera di denuncia e investigazione sottile, gode di un imprevedibile successo e con centomila copie vendute permette all’editore di trovare una suo spazio nello scenario editoriale italiano.
Al rigore delle scelte si sposa una enorme attenzione per il dettaglio, la capacità di intuire da un indizio una trama ben più promettente della povertà della sua segnalazione. E il loro sodalizio porta alla scoperta di Gesualdo Bufalino. “L’introduzione a un libro di vecchie fotografie (Comiso ieri) lo ha tradito racconta Sciascia . Piacquero a tutti, quelle pagine”. E molti, tra cui la Sellerio, chiedono notizia dell’autore, coltivano “il sospetto che dietro quelle pagine altre ce ne fossero chiuse nei cassetti, segrete. Gesualdo Bufalino tentò di difendersi. Ma si insistette (e chi insisteva era Elvira Sellerio: e non c’è schermo o riparo quando lei vuole qualcosa)”. Dal cassetto esce fuori “La Diceria dell’untore”. L’autore sconsiglia la pubblicazione ma Elvira Sellerio è convinta e senza la sua ostinazione non avremmo potuto conoscere uno scrittore come Bufalino, che esce nel 1981 con una accoglienza entusiastica di pubblico e critica.
Dall’elitaria prosa del professore di Comiso la Sellerio passa al popolare successo delle invenzioni di Andrea Camilleri e ai dodici milioni di copie che complessivamente fino ad oggi ha venduto solo con la sigla dell’editore siciliano. Tutto comincia con il dattiloscritto de “La strage dimenticata”, che raccontava del massacro avvenuto in una prigione borbonica nel 1848. «Mi piacque subito e lo pubblicai in una collana di storie siciliane ricordava Elvira . Poi mi diede “La stagione della caccia”, ne lessi qualche pagina e restai terrorizzata: usava diffusamente il dialetto e mi sembrava destinato a pochi eletti. Non sapevo come dirglielo. Eravamo diventati amici. Ci ho pensato su qualche mese, lui aspettava in silenzio. Poi una notte l’ho letto tutto d’un fiato. Lo stampammo ed ebbe un successo imprevisto».
Le vendite di Camilleri e del suo Montalbano salvarono la casa editrice dal naufragio finanziario degli anni Novanta. «Il successo di Camilleri arrivò in un momento di difficoltà per la casa editrice e fu fondamentale per la sua sopravvivenza ha ricordato recentemente Antonio Sellerio, figlio di Elvira e di Enzo, che oggi si ritrova a guidare la creatura della madre, di cui provava a rivelare il segreto: “L’indipendenza, l’etica, ossia non portar via autori ad altre case editrici, e la passione”. E possiamo aggiungere una capacità di non arrendersi accettando ogni tipo di sfida di cui la Sellerio ci ha dato una coraggiosa e prolungata testimonianza.
Renato Minore
 
 

Il Messaggero, 4.8.2010
Dall’Abecedario
Camilleri, vedi alla voce famiglia

Dire Sellerio è come dire Camilleri. Dodici milioni di libri stampati a Palermo, più i diritti di traduzione, venduti fino in Giappone. Ma non è questo che lega il padre del commissario Montalbano a Elvira Sellerio. Ne parla, lo scrittore, nell’”Abecedario di Andrea Camilleri”, recentemente pubblicato da DeriveApprodi. Un’opera-video (doppio dvd+libro, 26 euro), come l’hanno definita i due curatori, Valentina Alferj e Eugenio Cappuccio. Un’intervista-fiume, in video, divisa per voci: parole chiave attraverso le quali parlare di letteratura, politica, amore, fiaba, incontri... No, non poteva mancare la voce “Sellerio”. In apparenza «è lo stesso che dire Mondadori: è una casa editrice. Ma non è vero», esordisce subito Camilleri, ripreso nel suo studio romano, traboccante di libri. Spiega: «È come per piazza Tienanmen: io mi rifiuto di leggere “il giovane che ha fermato il carrarmato”. E tu vedi la fotografia del giovane e il carrarmato che si ferma. Il carrarmato non si ferma. C’è un soldato che ferma il carrarmato, che noi non vediamo perché è dentro il carrarmato. Un soldato in divisa che trasgredisce a un ordine, e ha lo stesso coraggio, se non di più, del giovane davanti al carrarmato. Esistono gli uomini, le persone che fanno una certa cosa. Per me non esiste la casa Mondadori. Esistono Renata Colorni e Antonio Franchini, funzionari della casa editrice, che sono anche amici miei. Peggio mi sento con la casa editrice Sellerio». Fa una pausa. «Nel senso che mi sento meglio».
Preamboli. Il filo sottile dell’ironia che, come il fumo, penetra in ogni frase di Camilleri. Ma non quando si parla della “creatura” di Donna Elvira. «La casa editrice Sellerio non è la Mondadori dice. È una piccola, si fa per dire piccola, casa editrice palermitana a conduzione familiare... Ora, il problema è che se tu metti piede in casa editrice Sellerio, automaticamente diventi amico delle persone che sono là dentro. Automaticamente entri in una famiglia. Non entri in un’anonima casa editrice». Racconta, Camilleri, della sua “prima volta” («Mi ci portò Leonardo Sciascia per farmi pubblicare il libro “La strage dimenticata”. Immediatamente con la signora Sellerio è stato come se ci fossimo conosciuti dall’infanzia»). E non mancano gli aneddoti. «Ho visto crescere Antonio (il figlio di Elvira ed Enzo Sellerio n.d.r.), che ora è il numero uno della casa editrice. Proprio l’altro giorno con mia moglie ricordavamo quando lo vedemmo, diciottenne, dentro il magazzino. Che dice: “Vado a Milano a studiare”. Cosa Antò? “Professò, vado a studiare economia”. Ma perché, pensò mia moglie, meravigliandosi che uno, figlio di editori, andava a studiare economia. “Signora, vi dissi che questi due (indicando il padre e la madre) non ne capiscono niente. C’è bisogno di qualcuno che ne capisca...”. Ce ne fossero come la Sellerio di case editrici, in Italia».
Ed ecco svelato il profondo legame con la “sua” Sellerio: «Per me ha significato molto. Non solo dal punto di vista della pubblicazione. È stato come uno stimolo. Sapere che era pronta a pubblicarti, dopo che per dieci anni, dieci, nessun editore italiano aveva voluto pubblicarmi, beh, questo diventava uno stimolo, una sicurezza... Io sapevo che c’erano a Palermo delle persone disposte a pigliare il mio messaggio, tirarlo fuori dalla bottiglia, stamparlo in 10 mila copie e farlo conoscere. Era una sicurezza e un senso di incoraggiamento straordinario».
Fiorella Iannucci
 
 

La Repubblica, 4.8.2010
È scomparsa a Palermo: nel 1969 insieme all’autore del “Giorno della civetta” decise di fondare la casa editrice siciliana. Che negli anni, tra impegno e passione, ha lanciato e fatto crescere tanti scrittori
Elvira Sellerio
Addio alla signora della cultura civile da Sciascia a Camilleri

Questa estate non era riuscita a trasferirsi nel baglio paterno a Marina di Ragusa, dove accoglieva gli ospiti con lenzuola di lino stirate di suo pugno. L'enfisema era diventato fastidioso, i figli hanno insistito che Elvira Sellerio rimanesse a Palermo. Ieri mattina, una crisi improvvisa nella sua casa di via Siracusa, a due passi da quella dell'ex marito Enzo Sellerio - da cui era separata da più di trent'anni - e a pochi metri dalla casa editrice, dove continuava ad affacciarsi ogni giorno, curiosa e severa. A settantaquattro anni, il destino ha voluto che se ne andasse in quel quadrilatero di affetti famigliari e passioni intellettuali che aveva costituito la cornice della sua vita.
Tutto era rimasto eguale in redazione, come ai bei tempi. La scrivania antica dove sedeva Leonardo Sciascia, le grandi librerie ottocentesche, alle pareti gli innumerevoli bozzetti della collana della Memoria che hanno fatto lo stile Sellerio. «Un mausoleo», lo liquidava ironica lei, i capelli raccolti in un candido chignon, la sigaretta eternamente tra le labbra. «Spero che i miei figli se ne liberino». E per incoraggiarli, per aiutare Antonio e Olivia a disfarsi di quell'eredità così ingombrante, fu lei la prima a fare un passo indietro, sempre più riservata nelle sue apparizioni in casa editrice. Una madre attenta, oltre che una delle ultime signore dell'editoria italiana.
Gli esordi non furono facili. A Elvira Giorgianni, classe 1936, figlia di un alto funzionario dello Stato, famiglia «passionale e cattivissima» come solo sanno esserlo i clan siciliani, toccò in sorte muovere i primi passi in un'editoria ancora segnata dal protagonismo maschile. «Io ero quella del caffè», ci raccontò una volta, spiritosa e distaccata. «Come una caratterista di seconda fila, entravo sulla scena e chiedevo: un caffè? Loro annuivano». Loro erano il marito Enzo, Leonardo Sciasciae l'antropologo Antonino Buttitta. La casa editrice nacque così, da un progetto maturato insieme sul finire degli anni '60. Il programma è il ritorno a una «cultura amena», come la chiamava Sciascia, l'impegno civile coniugato con l'eleganza e con il gusto del bello. La fiducia nella parola come strumento per rendere migliore il mondo.
Coraggiosa e appassionata, vanitosissima e molto bella («una camicetta nuova mi teneva allegra per una giornata»), Elvira avrebbe imparato presto l'arte tutta femminile di far passare le proprie idee attribuendole a Sciascia o a Enzo Sellerio. Quando nel 1978 arriva il libro che segna la prima svolta in casa editrice - L'affaire Moro di Sciascia - la Signora si è già consolidata al timone. Ma di lì a poco l'avrebbe travolta il naufragio del suo matrimonio con Enzo, e la scissione della casa editrice in due società. «Rimasi sola, con due figli ancora piccoli.E senza un soldo. Le banche mi negavano i crediti. Solo per farmi ascoltare, mi facevo introdurre telefonicamente da portiere: una voce maschile aiuta sempre». Non nascondeva di aver sofferto molto per amore. Lo confessò anche durante un'intervista, alla quale partecipò il figlio Antonio. Un'occhiata al ragazzo, come incerta. Poi d'un fiato: «Se trovavo per casa un golf o un cappotto di Enzo, mi ci avvolgevo dentro piangendo». (Ieri mattina è stato l'ex marito a dare la notizia ai giornali, al suo fianco fino all'ultimo. E ad annunciarne i funerali, domani alle 11, nella Chiesa di Santo Espedito).
Sciascia la aiutò a ritrovare sicurezza, elogiando il suo puntiglio e la determinazione. L'affascinava con la sua eterna mescolanza di gioco e cultura, perfino con i litigi. Negli ultimi anni Elvira si ritrovava a rimpiangere quelle sfuriate, scaturite dai motivi più diversi. «Antonio, ti ricordi quelle belle litigate con Leonardo?», si rivolgeva al figlio, che spiritoso replicava: «Però ora non si riescea litigare più. Decidi sempre tu!». Di Sciascia ricordava anche la severità giudicante, «non sopportava che fossi cortese con tutti, anche con chi detestavo». Presto s'affermò in casa editrice uno "stile Elvira", molta passione e poco programma. Fu questo metodo di lavoro che nei primi anni Ottanta la portò a scoprire alcuni capolavori, come Diceria dell'untore di Gesualdo Bufalino: per la casa editrice fu la consacrazione nazionale. Più tardi sarebbero arrivati Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri, salvifici per le sorti finanziarie della casa editrice, e ancora la voce originale di Luisa Adorno. Scoperte più recenti, il giallo all'italiana di Carlo Lucarelli, i romanzi di Margaret Doody e Gianrico Carofiglio, Roberto Bolano e Alicia Giménez-Bartlett. Qualcuno l'avrebbe tradita per editori più importanti, ma lei parlava dei suoi "grandi uomini" con indulgenza. L'importante era conservare l'indipendenza dai grandi moloch editoriali.
Amava gli irregolari, maestri nel proprio campo ma insofferenti al tempo in cui vivono. Ad Adriano Sofri affidò «Fine secolo», una collana di memorie e diritti civili. Con Luciano Canfora fu sodalizio nella saggistica storica. Sfidò le gerarchie dell'Istituto Gramsci pubblicando una nuova edizione delle lettere del grande sardo. Capace di smisurata tenerezza e generosità, sarebbe rimasta ferita da un processo nei primi anni Novanta per una storia di finanziamenti regionali. A segnarla fu non la ritualità processuale - conclusa con un'assoluzione - ma il cinismo dei suoi concorrenti. «Cercarono di mettere sotto contratto i miei autori. Queste cose ti cambiano il carattere».
Si rivolgeva al prossimo con il Lei, e gli scrittori preferiva conoscerli dopo averli letti. Non amava la mondanità. All'epoca dei professori, visse con sofferenza l'incarico nel consiglio d'amministrazione della Rai. «Il nostro è un mestiere d'umiltà. È servizio, non protagonismo».
Simonetta Fiori
 
 

La Repubblica, 4.8.2010
Andrea Camilleri

Elvira e Montalbano
Dopo il secondo romanzo Elvira mi dice “Quando mi mandi un altro Montalbano?”
(A “Che tempo che fa”, ospite della trasmissione di Fazio, il 2 maggio 2010)
Montalbano e Elvira
Ho già consegnato a Elvira il libro che chiuderà la serie sul commissario di Vigàta
(Dichiarazione fatta ai giornali)
Il re di Girgenti
Mandai il romanzo a Elvira che mi disse “bellissimo, però…”. Ciò mi preoccupò
(Da un’intervista a RaiLibro, sul romanzo del 2001)
 
 

La Repubblica, 4.8.2010
Il ricordo / 1
La sua intelligenza così elegante

Ci sono tante forme di intelligenza e tante maniere di esprimerla. Ieri, quando nel telefono, una voce amica mi ha comunicato dall'Italia la scomparsa di Elvira Sellerio, ho pensato alla sua intelligenza. È stata la prima cosa che mi è venuta in mente, e la maniera in cui essa si esprimeva. E ho pensato che l'intelligenza di Elvira si esprimeva attraverso l'eleganza. Non parlo di un fatto estetico quanto di un'essenza profonda, di quell'indole che partecipa della ragione e del sentire, dell'intelletto e del sentimento.
Conobbi Elvira nel 1983. Fu attraverso Paolo Mauri, al quale avevo mandato il dattiloscritto di Donna di Porto Pim. Avevo buttato giù un libretto che non sapevo a che genere appartenesse, era un "testo", un diario di bordo quasi fantastico per raccontare quel che mi pareva, una cosa troppo "anomala", o almeno troppo eccentrica per l'editoria di allora, e la "Biblioteca delle Silerchie" e Vittorio Sereni purtroppo non c'erano già più.
L'incontro avvenne a Pisa. La simpatia reciproca fu immediata, come la scintilla dell'amicizia a venire. Ricordo perfettamente l'argomento un po' scherzoso della nostra prima conversazione: un ipotetico gemellaggio fra Pisa e la Scuola Siciliana. Perché mi ero ricordato che fu Federico II di Svevia che introdusse in Italia e in Europa lo zero. Ma chi lo fece in concreto alla sua corte fu un matematico pisano, Leonardo Fibonacci. Così chiesi a Elvira se potevo essere lo zero che completava il prossimo numero della sua giovane collana "La Memoria", di cui avevo appena letto l'ultimo uscito, un Prosper Mérimée. Mi rispose che le spiaceva, ma il numero 70 era già in stampa, occupato da Montesquieu. Di fronte a tanto mi rassegnai volentieri a essere il numero 71.
L'amicizia è fatta soprattutto di complicità, perché in fondo, come ha scritto uno che se ne intendeva, è la complicità che rivela le affinità elettive. Di questa complicità mi pare un esempio significativo la scelta di una copertina, quell'immagine nel piccolo quadrato circondato dal blu che fa la bellezza della collana. Apparentemente è un fatto banale, ma non lo è. Era l'estate del 1984, credo, io non ero in Italia, doveva uscire Notturno Indiano. Elvira mi chiamò, mi chiese se avessi scelto un'immagine. La "quarta" l'aveva scritta Sciascia, che aveva ben capito lo smarrimento del protagonista di fronte all'universo impenetrabile dell'India. "In India fai talmente l'indiano che per la copertina avrei scelto una miniatura persiana".
Ora che ci penso e che sto ricordando quel nostro primo incontro, la Scuola Siciliana e la cultura di quell'antica civiltà mi sembrano gli elementi costitutivi, quasi genetici, dell'intelligenza di Elvira Sellerio. È la stessa civiltà elegante che in Italia introdusse la prima lirica, il sonetto e le matematiche, che rifiutò le crociate e promosse l'incontro fra le culture. Una civiltà che non è mai morta, nonostante la ferocia degli avversari, e che attraversando i secoli è arrivata fino a noi, con illustri esempi (ne cito solo alcuni, come Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Ignazio Buttitta, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, la Casa editrice che Elvira fondò con suo marito Enzo). Una civiltà, una cultura, un modo di essere e di porsi nella vita che certo non si è spenta e della quale Andrea Camilleri è un magnifico rappresentante. È la "nostra" (o almeno la mia) Scuola Siciliana, alla quale dobbiamo una persistenza della civiltà italiana nonostante la volgarità che ci sommerge, una nobiltà di spirito nella quale si rispecchia la parte migliore dell'Italia.
Con Elvira Sellerio ho pubblicato durante gli anni sei libri. Il settimo uscirà il prossimo gennaio affidato all'attenzione e alla bravura del suo continuatore, suo figlio Antonio.
"La Memoria", questa splendida e già mitica piccola collana blu, senz'altro una delle più belle collane di narrativa che possa vantare l'editoria europea, è la migliore memoria tangibile che Elvira ci lascia. Ai figli Antonio e Olivia va il mio pensiero affettuoso. A Elvira, da questa sponda dell'Atlantico, la mia profonda nostalgia.
Antonio Tabucchi
 
 

La Repubblica, 4.8.2010
Il ricordo / 2
Per molti di noi è stata una madre

Un giorno, eravamo sotto Natale del 1989, mi arriva una telefonata a casa. Il telefono sul tavolino in fondo al corridoio, eravamo in epoca precellulare. Rispondo e sento una voce di donna, dall'accento elegantemente meridionale, che chiede di me e poi dice «sono Elvira Sellerio, pubblichiamo il suo romanzo.È contento?». Era il mio primo libro, un manoscritto inviato ad un elenco di case editrici di cui Sellerio era la prima. Ero contento sì, ma sul momento credetti che fosse un mio amico che mi faceva uno scherzo e rimasi freddo come un ghiacciolo. Poi mi arrivò il contratto per davvero e a momenti svengo.
Ci sono tanti autori che come me devono ad Elvira Sellerio la loro nascita. Non solo perché ci ha pubblicato il primo libro, credendo in noi e nel nostro lavoro quando eravamo soltanto gli autori di un manoscritto inviato per posta. Molti di noi sono nati come scrittori muovendosi dentro un progetto culturale importante e creativo come quella bellissima collana di libretti blu, sapendo di far parte di quel progetto e di quella idea di letteratura. Discutendone con quella signora ironica e gentile, che quando ti chiamava - «amico mio, come sta?» - e cominciava a parlare ti faceva sentire esattamente come avevi immaginato nei tuoi sogni di aspirante scrittore.
È lì, con lei, che molti di noi hanno imparato cosa significano la scrittura e la letteratura. Essere un narratore. Al di là di quello che siamo riusciti concretamente a fare, naturalmente, e al netto di un rapporto che non sempreè stato facile, come succede con una personalità forte e decisa come Elvira Sellerio. Il debito che abbiamo con la Signora - io la chiamavo così, con la esse maiuscola - il debito che abbiamo con lei è enorme. E se non fosse che usurpiamo ruoli che già esistono nella realtà dovremmo dire che è quello che si ha verso una madre.
Carlo Lucarelli
 
 

La Repubblica, 4.8.2010
L’omaggio della giallista Alicia Giménez-Bartlett
“Non ero nessuno. Mi disse: sarai regina”

«Che dispiacere, que disgusto », mormora al tel e f o n o Alicia Giménez-Bartlett, giallista dura con l'anima della commedia, la creatrice di Petra Delicado - un ossimoro piuttosto che un nome per la poliziotta più efficiente del distretto di Barcellona. Ha appena saputo della scomparsa della "sua" editrice, e la sorpresa si mescola a un'autentica amarezza.
Qual è la prima cosa che le viene in mente di lei?
«Beh, intanto Elvira è stata una persona meravigliosa con me, sin dall'inizio ha avuto un'assoluta fiducia nelle mie qualità, come autrice. Non ero nessuno, e lei mi fa "tranquilla, tu sarai una regina in Italia". Io scoppio a ridere: "figurati", le dico. Poi quando il mio primo libro comincia a vendere, mi manda un mazzo di rose bianche. Un gesto elegante, com'era lei».
Quando, e come, è cominciato il vostro rapporto?
«Più di una decina d'anni fa, ormai... Il mio agente le inviò Riti di morte. Lei lo lesse personalmente, come ha fatto poi con tutti i miei libri, compreso l'ultimo, quello di maggior successo: Il silenzio dei chiostri ».
La Sellerio legge il libro di un'autrice spagnola, da noi sconosciuta, e cosa fa?
«Lo accetta subito. E con una ferrea opzione su tutti i miei libri. Così è andata... Fantastico».
Mai nessuno screzio con lei?
«Sì, una volta, per Messaggeri dell'oscurità. Ma è finita a ridere, come sempre con lei. A un certo punto lì, in quel giallo, c'era una battuta un po' spinta sui genitali del papa, non di un papa in particolare, ma insomma... Nella traduzione italiana quella riga non c'era più, e lei non mi aveva detto niente».
Una piccola censura.
«"Alicia, so che non mi perdonerai mai per questo", mi disse. "Elvira, no, non ti perdonerò mai"... Ma la cosa in sé era così buffa, e anche ininfluente, che non si poteva prendere sul serio».
L'ultima volta che l'ha vista?
«A Palermo, nella sua bella casa, qualche anno fa. Lei aveva quei suoi guanti neri che però le lasciavano le dita scoperte - e fumava moltissimo. A cena, con noi c'era un professore in età, non le dirò come si chiama,e io litigai con lui - per questioni politiche. Lasciando l'appartamento di Elvira, lei mi sussurrò all'orecchio "brava, hai fatto bene, quel tizio è proprio di destra". Il nostro era un rapporto così: professionale, ma lieve, giocoso».
Luciana Sica
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 4.8.2010
È morta ieri la creatrice del marchio letterario palermitano. L’amicizia con Sciascia, i successi e l’insofferenza per la deriva italiana degli ultimi anni
Addio a Elvira Sellerio
Futuro e passione, storia di un’editrice

Solo due pazzi scatenati, sorprendentemente supportati da un loro amico dal ragionamento acuminato come una lama, potevano mettersi in testa di dare vita a una casa editrice nel luogo d'Italia dove meno si leggeva (e si legge). In un posto dove mettere in piedi un'impresa e fare cultura era un miraggio da visionari. Elvira Giorgianni, Enzo Sellerio, marito e moglie, e Leonardo Sciascia, ognuno a modo suo (i primi per inventarsi un mestiere, l'altro per smodata passione per i libri), però ci hanno creduto in quel 1969 italiano di fuoco, contestazione furibonda nelle scuole e nelle fabbriche e le nubi del terrorismo che cominciavano a gonfiarsi minacciose. Foschi nuvoloni che per fortuna non hanno fatto desistere i tre. Il miracolo avvenne grazie a un mix di genialità e di fortuna: il piglio manageriale di Elvira, la maestria grafica di Enzo, fotografo di valenza mondiale, il fiuto di Leonardo e la dea bendata, che ti apre un portone proprio quando si chiude la porta. Sciascia è morto venti anni fa, Elvira Sellerio si è spenta ieri, a 74 anni, nella sua casa di via Siracusa dopo una lunga malattia e Enzo si lecca le ferite della solitudine. Al momento del trapasso accanto a lei i due figli Antonio, che le succede nella casa editrice, e Olivia, cantante dalla voce possente con repertorio etnico. I funerali si svolgeranno domani nella chiesa di Santo Espedito in via Garzilli.
Il suo primo libro pubblicato fu "I mimi siciliani" di Francesco Lanza, una sequela di sfottenti bozzetti sulla dabbenaggine dei "furbi" siciliani. È stato un caso però l'avere aperto la danza dei libri con un isolano. Ci ha pensato subito don Leonardo da Racalmuto ad allargare l'orizzonte. Con la collana "La memoria" - dalla copertina inventata da Sellerio, che nel tempo sarebbe stata più imitata della "Settimana enigmistica" - irrompono nell'atelier artigianale di via Siracusa autori di ogni dove. Francesi, soprattutto, ma anche spagnoli, tedeschi e slavi.
Un bel caratterino donna Elvira, tutta grinta e olio di gomito, passo dopo passo le riesce il grande salto e la piccola casa editrice Sellerio porta il blu delle sue copertine nelle librerie di tutta Italia. A fianco dei colossi. Sciascia non vuole sentirne di bilanci e cavilli, si immerge nelle sue letture e propone nuovi titoli, tra gli altri due le cose non vanno bene. Due galli in un pollaio sono troppi, così Elvira ed Enzo vanno ognuno per la propria strada, tenendosi però d'occhio e dandosi spesso una mano. Una continua l'attività ormai bene avviata, l'altro si dedica alle pubblicazioni d'arte.
Nel 1978 il primo boom: centomila copie con "L'Affaire Moro" di Sciascia. Da qui in poi è una storia di grandi vecchi, sui quali donna Elvira scommette avventurosamente. Così con Gesualdo Bufalino arriva il secondo colpo di fortuna. Quando, dopo la morte di Sciascia e la scomparsa improvvisa in un incidente automobilistico di Bufalino tutto sembra andare a catafascio, spunta a vista il terzo grande vecchio che deflagra come un gioco di fuoco nelle librerie. Ecco a voi Andrea Camilleri, capofila con i suoi Montalbano di tutti i post giallisti d'Italia. A impreziosire il catalogo altre scoperte e riscoperte: Tabucchi, Lucarelli, Carofiglio, Seminerio, Vilardo, Piazzese, Maria Messina e Luisa Adorno, una toscanaccia innamorata dell'Isola che ha scritto pagine memorabili sui tic dei siciliani.
Era tosta donna Elvira, una che in un'Italia ormai cloroformizzata, sfiatava ancora indignazione. Non gli andava giù questa politica predona, i conflitti d'interessi di Berlusconi che definiva "duce", lo scadimento della qualità della televisione - di cui pure nell'era dei "professori" era stata consigliere d'amministrazione - si incavolava per le farneticazioni leghiste, diventava furiosa per le leggi ad personam del premier, le erano intollerabili i quotidiani attacchi alla Costituzione. Ed ecco allora gli articoli della nostra Carta stampati su migliaia di magliette e distribuite ad amici e lettori.
In una delle ultime interviste nella sua tenuta in contrada "Gaddimeli" a Ragusa, il buen retiro dove ha trascorso le sue ultime estati, si è lasciata andare a un j'accuse vigoroso contro l'italico andazzo. Evidentemente la misura della sua sopportazione era colma, visto che non era tipo di divagare su questioni politiche. Qualche tempo prima, infatti, chiedendole un parere sulle diatribe del fronte progressista, ci eravamo sentiti rispondere: «Cosa vuole che interessi ai lettori quello che pensa una massaia dei fermenti della sinistra». Evidentemente la massaia aveva ritrovato la rabbia di dire la sua. In quella brulla terra, circa mezzo ettaro, cintata dai caratteristici muretti, testimonianza della valentia degli antichi mastri pietrai, il cavaliere del lavoro Elvira Sellerio - insignita dall'ex presidente Cossiga - aveva creato il suo Eden. Litigando con il sole e la siccità, accanto ai carrubbi e ai mandorli, aveva impiantumato cicas, palme, pomelie. Anche aiuole di fiori.
Elvira ed Enzo erano una coppia assai in vista in quella Palermo che viveva una seconda magia culturale dopo i fasti floriani della Belle époque. La città, rimarginate le ferite della guerra, si era ritrovata al centro di grandi movimenti: andirivieni di intellettuali come Adorno, Arbasino ed Eco, musicisti come Stockhausen, iniziative di grande respiro come le Settimane della nuova musica e il convegno degli scrittori del Gruppo 63, la "bomba" del "Gattopardo". In questa atmosfera Elvira ed Enzo avevano respirato quell'aria internazionale che sarebbe stato il sale di ogni loro operato.
Tante belle pagine edite ed inedite e due con qualche refuso. La sua amarezza per un'inchiesta su uno stock di libri venduto alla Regione, poi finita in un nulla di fatto.E la querelle con gli eredi di Sciascia - per una questione di diritti su un libro curato da Silvano Nigro sui risvolti di copertina scritta dall'autore de "Il Contesto" - che dà un finale imprevedibile a uno straordinario sodalizio culturale. La famiglia Sciascia pensava che i diritti d'autore fossero una loro prerogativa e hanno chiesto di bloccare il libro. «È una cosa molto dolorosa - ci aveva detto in quel 2003 donna Elvira - preferirei non parlarne. Quello che mi preme sottolineare è che si tratta di un libro bellissimo, un omaggio a un grande uomo e a un grande scrittore-editore. C'è tutta la sua sapienza sui libri che ha messo a disposizione della casa editrice. Una meravigliosa avventura culturale iniziata con la pubblicazione degli "Atti relativi alla morte di Raymond Russel"e durata vent'anni. Non capisco il perché dell'iniziativa giudiziaria. Credo che sia l'ultima cosa che a lui sarebbe piaciuto che accadesse».
Passato il giro di boa di circa duemila titoli - con i quali ha scritto il più bel libro sulla Sicilia, nel senso dell'Isola capace di esportare cultura, parole e pensieri nobili - ha cominciato a mollare le redini al figlio Antonio che di fatto negli ultimi anni è stato il motore della casa editrice. Ultimamente Elvira, già minata dal male, mostrava un certo distacco da quei libri che avevano segnato tutta la sua vita. La sua "utopia" fino a tre giorni fa - come ci dice Enzo Sellerio - era quella di riprendersi per passare un'altra estate a "Gaddimeli", tra quegli alberi piantati con il fido giardiniere Giorgio. Il sogno però è morto con lei nel primo pomeriggio di ieri.
Tano Gullo
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 4.8.2010
Le testimonianze di scrittori e collaboratori, da Consolo a Nigro e Vilardo
Quella volta a Comiso quando scoprì Bufalino

La signora aveva fiuto, eccome. Talmente tanto da scovare in un remoto paesino del sud est siciliano una sorta di petrolio letterario. «Questo avrà di sicuro un manoscritto nel cassetto», disse. E aveva ragione.
Vincenzo Consolo, uno dei testimoni della nascita della casa editrice Sellerio, ricorda così il colpaccio di donna Elvira, ovvero la scoperta di Gesualdo Bufalino, una delle gemme portate sotto il tetto di via Siracusa. Era successo che in casa editrice era arrivato un libro fotografico su Comiso con la prefazione di Bufalino: un testo che svelava tutte le potenzialità dello scrittore. «Andarono a trovarlo a Comiso, lei, Enzo e Sciascia e lì hanno scoperto che nel cassetto aveva "La diceria dell'untore". Fu la scoperta di Bufalino».
Consolo riavvolge il film delle memoria e ripercorre la nascita della casa editrice, nella sede della galleria d'arte Al Borgo, alla presenza di Sciascia, gli incontri nella sede della casa editrice, le cene, il viaggio a Capo d'Orlando per parlare con Lucio Piccolo. «È una grande perdita per l'editoria italiana - dice lo scrittore, che con Sellerio ha pubblicato "Retablo" - Elvira era una donna molto intelligente e molto brava, era l'anima di una casa editrice che in Sicilia ha rappresentato la continuità rispetto a esperienze importanti come quella della Pedone Lauriel, che pubblicò tutto Pitrè».
Da una scoperta all'altra, ovvero Santo Piazzese, il biologo-giallista che in quel 1996 aveva da poco mandato alla Sellerio il manoscritto de "I delitti di via Medina Sidonia", il libro che rivelò il suo talento. «Quando mia moglie mi disse che c'era la Sellerio al telefono pensai che mi volessero restituire il manoscritto. Al telefono, invece, c'era proprio lei, Elvira. Mi disse che il romanzo le era piaciuto e che era curiosissima di incontrarmi e di conoscermi. Mi diede un appuntamento, arrivai in casa editrice alle 17 e ne uscii, assieme a lei alle 22, dopo aver spento le luci perché i collaboratori erano andati tutti via. Parlammo di tutto: di letteratura, di autori, di Sciascia, di aneddotica varia. Da lì è cominciata un'amicizia che è andata al di là del rapporto tra scrittore ed editore». "I delitti" uscirono sei mesi dopo e furono un successo. «Era un periodo di crisi per la casa editrice - ricorda ancora Piazzese - tanto che non si sapeva se sarebbe sopravvissuta. Uno o due anni dopo esplose il fenomeno Camilleri». L'epitaffio che sceglie Piazzese per la sua amica-editrice è il più semplice e più nobile possibile: «Una signora. Nel senso più antico del termine».
Il boom di Camilleri, autentico toccasana per la casa editrice, fu talmente importante che anche i risvolti di copertina dovevano essere affidati a una firma. Fu così che donna Elvira pensò a Salvatore Silvano Nigro, docente alla Normale di Pisa e consulente editoriale in via Siracusa. «Sì, quella fu un'idea sua, nuova e divertente - dice il professore - E se Camilleri non è mai intervenuto per chiedere l'aggiunta o la sottrazione di un aggettivo, lei, invece, interveniva prima, durante e dopo, attraverso una discussione e uno scambio bellissimi».
Continua Nigro: «Elvira ha saputo inventare una delle realtà più belle che la Sicilia abbia prodotto. Non pubblicava un libro se prima non lo leggeva personalmente, perché aveva anche competenza letteraria. Ha creato una casa editrice che ha gestito con una piccola struttura familiare, nella quale tutti noi collaboratori ci sentivamo coinvolti».
Libri, scrittori e i tanti collaboratori sembrano sfilare in un'ideale passerella della memoria, testimoni di un'esperienza che ha segnato la storia recente della cultura siciliana. E così se Stefano Vilardo, l'autore di "Tutti dicono Germania Germania", dice che Elvira Sellerio «è stata una specie di luce nella Palermo buia degli anni Settanta», Gianni Puglisi, presidente della Fondazione Banco di Sicilia, ribadisce come la signora dell'editoria «ha dimostrato che, anche in Sicilia è possibile fare impresa senza lasciarsi andare ad inutili ed ipocriti piagnistei, mettendo in evidenza che nella nostra Isola si possono fare grandi cose». Per Puglisi la scomparsa di Elvira Sellerio è una tragedia paragonabile a quella della morte di Leonardo Sciascia.
Ribatte l'antropologo Nino Buttitta, altro consulente eccellente di via Siracusa: «In antropologia chiamiamo uomini-territorio le persone che nella zona interessata rappresentano la memoria e la storia culturale. Elvira Sellerio ha rappresentato e continua a rappresentare la nostra memoria culturale attraverso dei fondamenti e dei caratteri identificativi».
Giorgio Frasca Polara, autore per Sellerio di "Cose di Sicilia e di siciliani" e de "La terribile historia dei frati di Mazzarino", ricorda la grande fucina di intellettuali e coscienze critiche che fu il liceo Garibaldi nella metà degli anni Cinquanta: «C'erano Jole Calapso, Antonio Bertini, il critico, Giuseppe Paolo Samonà, l'italianista, Edoardo Ghera, il giuslavorista, e ovviamente Elvira. Intelligenze vivacissime nella Palermo di quegli anni».
L'altra metà di questa storia è Enzo Sellerio, il grande fotografo, marito di Elvira, cofondatore della casa editrice e custode di mille memorie. Il suo dolore e il suo silenzio dicono semplicemente che se ne è andato un pezzo della sua vita.
Mario Di Caro
 
 

Gazzetta del Sud, 4.8.2010
"Vinceva le sfide con le intuizioni"
Il ricordo di Gaetano Savatteri

«Era una signora vera, determinata, con un tratto molto siciliano, anzi molto palermitano che poi si traduce in un misto di curiosità e scetticismo. E anche di ironia. Era sempre molto attenta e sensibile, sapeva ascoltare e "sentire" gli altri. Il suo studio alla casa editrice era diventato un punto di riferimento, un salotto in cui non si ritrovavano soltanto scrittori o artisti in generale, ma persone che magari con la scrittura avevano poco o niente a che spartire. Eppure in quel salotto circolavano tante idee, ipotesi di lavoro e alla fine rimaneva sempre lo spazio e il tempo per parlare di libri e di progetti narrativi».
Così Gaetano Savatteri, scrittore e giornalista siciliano, che con la casa editrice Sellerio ha pubblicato ben cinque romanzi, ricorda "donna" Elvira, sottolineando come la sua scomparsa spalanchi un grande vuoto soprattutto nella sua famiglia e nelle dinamiche culturali di questo Paese.
Savatteri ricorda soprattutto alcune sue intuizioni che furono alla base della fortuna della casa editrice, nata nel 1969. «Ci ha creduto tanto che vi investì l'intera liquidazione del suo precedente lavoro. Perché credeva soprattutto nella possibilità di poter finalmente raccontare e far raccontare la Sicilia all'Italia e all'Europa. Certo, la "spinta" appassionata di Leonardo Sciascia fu determinante. Così come fu determinante la pubblicazione del suo "Affaire Moro". Ma non fu solo questo. Ancora Sciascia, che ci credeva fortemente, riuscì a convincere Gesualdo Bufalino a concedere a Elvira quel manoscritto che teneva chiuso nel cassetto da quarant'anni e del quale era gelosissimo: era "Diceria dell'Untore", un capolavoro».
Savatteri aggiunge: «C'era stata poi l'intuizione del formato piccolo, del volumetto vestito di blu con la scritta "Sellerio - Palermo" di cui lei andava molto orgogliosa. E del prezzo di copertina basso, alla portata di tutti. Ma c'era stato soprattutto il coraggio di scommettere su autori allora assolutamente sconosciuti come Vasquez Montalban, Antonio Tabucchi, Carlo Lucarelli e molti altri. Ricordare Donna Elvira è parlare di tutte le sue sfide vinte che, senza retorica, sono state davvero tante. Fino ad arrivare a festeggiare i quarant'anni - appena l'anno scorso -, della sua casa editrice con un catalogo impeccabile, sempre rinnovato e arricchito, in cui ci sono scrittori italiani come Grossi, Recami e soprattutto Andrea Camilleri che, qualche anno fa, secondo quel che lui stesso ha rivelato, consegnò proprio nelle mani di Elvira l'ultimo romanzo della serie di Montalbano in cui il commissario muore».
Antonio Prestifilippo
 
 

La Nuova Sardegna, 4.8.2010
Coraggio e passione civile

Elvira Giorgianni Sellerio era da quarant’anni la Signora del buon libro italiano. La sua morte è una grave perdita per la cultura e per l’editoria italiana di qualità. A 74 anni poteva essere ancora a capo di una casa editrice che ha per lo meno smentito radicate certezze negative sulle possibilità di fare cose rilevanti e positive in un’isola come la Sicilia. Aveva l’intuito dell’imprenditore e della persona colta, capacità di fare squadra e di farsi ben consigliare nelle decisioni a volte genialmente risolutive. Per esempio da Leonardo Sciascia. Una sera di quarantuno anni fa, Elvira Sellerio col marito Enzo, Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta immaginarono l’azzardo di fondare una casa editrice, siciliana sì ma di rilevanza nazionale, tanto per cambiare. Si chiamò e si chiama ancora «La memoria» la prima e più importante collana della casa editrice che oggi è la Sellerio di Giorgianni (Giorgianni è il nome di Elvira da nubile e distingue la sua dall’altra casa editrice di arte e fotografia del marito Enzo), una delle prime, se non la prima, a pubblicare in Italia eleganti volumi tascabili a basso prezzo ma frutto di scelte culturali accorte, appunto i volumi blu de «La memoria» che tutti conosciamo.  La rinomanza e la base materiale che realizza il sogno arrivano nel 1978 con «L’affaire Moro» di Leonardo Sciascia, ribadite tre anni dopo con «Diceria dell’untore» di Gesualdo Bufalino, la prima delle grandi scoperte di Elvira, che si ripete con altri autori di successo, soprattutto con Andrea Camilleri e poi con altri come Gianrico Carofiglio, si consolida con scrittori del calibro di Antonio Tabucchi e Vincenzo Consolo e con grandi giallisti stranieri quali Manuel Vàzquez Montalbàn e Alìcia Giménez-Bartlett, e per noi sardi con la scoperta di Sergio Atzeni, che ha esordito da Sellerio con «Apologo del giudice bandito» nel 1986 e vi ha proseguito con «Il figlio di Bakunìn» e con altri postumi come «Bellas mariposas». I migliori cultori e anche luminari degli studi non solo umanistici italiani e stranieri hanno pubblicato nell’altra grande collana di Sellerio, quella di saggistica «Prisma», oggi «Nuovo Prisma», da sempre diretta da Antonino Buttitta. Altre collane si aggiungono negli anni, come la raffinata «Il divano», di varia e narrativa tra classico e postmoderno.  Col dolore di oggi, ho anche il privilegio di conoscere Elvira da trent’anni e di condividerne alcuni successi e certe difficoltà quali la crisi imprenditoriale degli anni Novanta, da cui Elvira esce con colpi di genio come il lancio di Camilleri. Per quattro decenni è stata d’esempio per molti, non solo per chi l’ha imitata nell’essere un editore che da posizioni periferiche fa cose prima di lei considerate improbabili nelle nostre isole. Intanto si è reso attivo nell’attività editoriale il figlio Antonio, che oggi prende il testimone per continuare un cammino inedito, importante e meritorio.
Giulio Angioni
 
 

La Nuova Sardegna, 4.8.2010
Una donna di energica bellezza e di prepotente intelligenza
Una zarina generosa e brusca

Una donna di energica bellezza, prepotente intelligenza, raro fascino, euforica libertà: fervida e vincente, con le sole armi della cultura, nella Palermo delle mafie e dell’immobilismo familista, del radicale degrado antropologico. Più semplicemente: una donna di tenace concetto. Così, citando lo Sciascia che si riferiva all’eretico Diego La Matina di «Morte dell’inquisitore», mi viene da ricordare Elvira Sellerio. L’incontro con Sciascia, del resto, è stato quello decisivo, la svolta che ha impresso alla sua vita la cifra inconfondibile. Non vorrei sottovalutare l’apporto importante dell’antropologo Antonino Buttitta, consigliere imprescindibile, e quello di Andrea Camilleri, il cui grande successo le consentì di superare un momento di grande difficoltà economica: ma l’arrivo di Sciascia significò un nuovo ed elegantissimo modo di pensare i libri, prima ancora che di farli, e di consegnarli così, attraverso una precisa idea del rapporto tra letteratura e verità, a una improcrastinabile missione: quella di salvaguardare la memoria, magari decostruendo le menzogne del presente.
Elvira aveva fondato la casa editrice col marito Enzo, grande fotografo, nel 1969: ma solamente nel 1978, con «L’affaire Moro» aveva guadagnato la ribalta nazionale e il successo. Sarebbero poi arrivati, in un catalogo sempre più prezioso, l’esordiente e straordinario Bufalino, Tabucchi, Consolo, Bonaviri, Manuel Vazquez Montalban e Alicia Gimenez-Bartlett, senza contare altri campioni commerciali come, per esempio, Gianrico Carofiglio. Il sodalizio con Sciascia - vai a capire per quali motivi - a un certo punto si guastò: tanto che lo scrittore, probabilmente, la ritrasse con una certa malizia nel «Cavaliere e la morte», che è poi anche il romanzo della sua malattia e dell’inizio di un doloroso, problematico, congedo dalla vita.  Sarà difficile, ora che non c’è più, non riconoscerle, nella difficile storia dell’editoria italiana, molti meriti: a cominciare dalla capacità di declinare al femminile - e che femminile - un mondo fino a quel momento appannaggio di uomini e di aprire così una strada oggi sempre più affollata. Mi resta l’immagine di lei in un incontro palermitano - eravamo nel 1999 - al termine d’un dibattito in cui, per i dieci anni della scomparsa di Sciascia, avevo difeso lo scrittore contro un Eugenio Scalfari per nulla pentito, il quale ribadiva, senza ipocrisie postume, tutte le sue durissime critiche. Mi si avvicinò con la baldanza di chi sa che il mondo è suo: «Onofri, lo sa che mi è piaciuto molto? Non so perché, però, ho sempre abbinato il suo nome a un che di sgradevole». E poi: «Ma certo, ecco perché: lei è amico di quella lì - e fece un nome - che vive per rubarmi tutti gli autori». Era anche questo Elvira Sellerio: generosa e brusca. Una zarina che non ammetteva repliche.
Massimo Onofri
 
 

Il Riformista, 4.8.2010
Le palme a Milano e la scommessa vinta con Sciascia
Palermo. Per Beppe Benvenuto, consulente ed editor, Elvira «ha creato un fenomeno» di gusto e identità, diventando un punto nazionale di riferimento da Bologna in giù «forse più di Laterza». Al nord, ha sbancato con il Campiello per Bufalino, una sua scoperta. Come il “Notturno Indiano” di Tabucchi, il rilancio di Fusco, De Angelis e Camilleri. Le telefonate a un esordiente Lucarelli. Per Canfora «insegnava agli scrittori a scrivere, sfrondandoli».

Racconta Beppe Benvenuto, editor e consulente per oltre dieci anni: «Elvira Sellerio ha creato un fenomeno. Dice tutto quella frase celebre di Sciascia, per cui era più facile che le palme crescessero sulla piazza del Duomo a Milano che qualcuno facesse l'editore in Sicilia. Invece lei c'è riuscita. Da cinquant'anni non esisteva in Sicilia un editore di livello nazionale. Si doveva tornare indietro ai tempi di Croce.
Anche se era più giovane di loro, e di molto, Elvira apparteneva alla storia dell'editoria italiana del dopoguerra: autentici tiranni, gente invasiva come Giulio Einaudi, Mauro Spagnol, Valentino Bompiani, un pò gattopardi, molto protagonisti, capricciosi. Poi arrivò il marketing negli anni 70.
Molti raccontano la Sellerio come una donna riservata, affascinante e soprattutto inquieta, “siciliana nel bene e nel male”.
È stata una donna che è riuscita a mescolare imprenditoria e artigianato. Aveva un'impronta umanistica e in breve insieme alla Laterza divenne l'editore di riferimento da Bologna in giù. Anzi più di Laterza. Ha inventato pure una forma grafica dandosi una precisa identità in libreria, a partire dalla prima storica collana, La Memoria. La Sellerio è stata una casa editrice molto emotiva. Tutto molto poco strutturato, legato invece ai rapporti personali, con quello che implica una cosa del genere. Neanche venti persone in tutto, esclusi i consulenti. Ci furono litigi storici. Sicuramente quello con Sciascia fu un affare molto complicato.
Anche i gusti della Sellerio sono sempre apparsi chiari. Raffinati ma semplici.
Aveva un gusto molto sicuro nella scelta dei libri. Non c'era mai tanta pedagogia come accadeva per il lettore classico einaudiano. Prendiamo il primo titolo della collana il Divano, L'arte di tacere di uno sconosciuto Abate Dinouart: è arrivato oltre le 26 ristampe! Elvira ha inoltre un sacco di meriti: ha reso popolare e letterario il giallo con Sciascia, e poi con Camilleri ovviamente, fino a Carofiglio. Un'operazione però che risale agli anni 80, quando il giallo si poteva vendere solo in edicola perché non aveva dignità.
Una donna anche vulcanica nelle sue scelte.
C'era anche molta improvvisazione, perché le scelte erano legate anche ai colpi di testa. Gesualdo Bufalino lo scoprì incuriosendosi per delle didascalie di una mostra fotografica. «Chissà, magari questo c'ha anche un romanzo nel cassetto». All'epoca sconosciuto, Santo Piazzese non fu l'unico a ricevere la telefonata della Sellerio. Accadde anche a Lucarelli, che con Sellerio esordì con il suo giallo storico più bello, Il commissario de Luca. Dopo mesi che il giovane esordiente aveva mandato il suo manoscritto, la Sellerio chiamò direttamente a casa sua per annunciargli che avrebbe pubblicato il romanzo. Lucarelli rimase incredulo. Ma Elvira era così, impulsiva. Chiamò anche Carofiglio, che veniva dalle solite risposte un po' ambigue un po' negative di altri editori. Dopo qualche tempo che Testimone inconsapevole era uscito, un grande editore ci ripensò. Ma lui rispose: «Guardi che lo ha pubblicato già Sellerio».
Il catalogo Sellerio ha recuperato anche molti autori dimenticati.
Ci sono stati molti ripescaggi dall'oblio, come Anatole France o Giancarlo Fusco. di recente è accaduto con le ristampe di Mario Soldati. Ha anche lanciato scrittori nuovi. Le cose migliori di Antonio Tabucchi, come Notturno indiano, sono targate Sellerio. Di recente, Piero Grossi.
Altri titoli recuperati?
Mi vengono in mente l'americano Geoffrey Holiday Hall Con la fine è nota e Qualcuno alla porta, lo svizzero Friedrich Glauser, alter ego di Robert Walser, libri fantastici di grande qualità. nessuno ne parlava più. Ci fu un periodo di difficoltà tra la seconda metà anni 80 e l'inizio dei 90. Grandi scrittori come Sergej Dovlatov vennero salvati letteralmente dal macero grazie al boom di Camilleri. E poi l'800 inglese con Anthony Trollope, Dumas dimenticato da troppo tempo, Stevenson, la scoperta di Bolaño, la ristampa di Scerbanenco, il gran merito della riscoperta di Augusto De Angelis, il primo giallista italiano. La forte attenzione verso i francesi l'aveva ereditata da Sciascia. Nella saggistica forse era un po' debole ma c'erano ultra chicche come Cyril Connolly, con  I nemici dei giovani talenti e tutto il filone su leggende e cavalleria, tra narrativa e saggistica, con il libro citato in Apocalypse Now dal colonnello Kurtz, l'Indagine sul Santo Graal di Weston. E poi è stata capace anche di inventare dei fenomeni.
Per esempio? Che rapporti aveva con la grande editoria del Nord?
Ha vinto il Campiello con la Diceria dell'untore di Bufalino. Era anche molto snob, molto distaccata e individualista, condizionata però dal fatto che abitava nella provincia dell'impero, non prendeva l'aereo ed era una donna. Non faceva comunella con nessuno. Aveva molti rapporti personali, ma non istituzionali. Era una pr formidabile, però allo stesso tempo i suoi interventi pubblici si contano sulle dita di una mano. In privato era una grande affabulatrice, aveva una memoria letteraria eccezionale. Nelle sue corde c'era la conversazione, lì non si risparmiava, era eccentrica nei giudizi. Decideva lei i libri, anche se a qualcuno piace pensare che ascoltava i consigli altrui. Non è vero. Aveva l'ultima parola su tutto, perfino sul tavolino all'ingresso.
Anche Luciano Canfora, raggiunto dal Riformista conferma la forte presenza di Elvira Sellerio: «È stata una donna dall'intelligenza lucida, andava al nocciolo delle questioni senza intellettualismi. Voleva semplificare, una straordinaria caratteristica per un editore. Insegnava agli autori a scrivere. Con un'aria semplice socratica, ti sfrondava del superlfuo. aveva modelli alla Voltaire. Volle la collana Città antica perché i greci erano una sua passione. Sostenne la traduzione di Diodorio, un grande di Sicilia. Da allora non abbiamo mai smesso. Era molto curiosa: fu la prima a lanciare i giallisti svedesi nello scetticismo generale».
Stefano Ciavatta
 
 

La Stampa, 4.8.2010
E' morta ieri a 74 anni. Donna appassionata e volitiva, nel 1980 aveva fondato la casa editrice famosa per i suoi libri raffinati. Negli Anni 90 era stata nel consiglio d'amministrazione della Rai
Volumi Elvira Sellerio la zarina di Palermo
In tv capì subito "Un posto al sole"

Elvira Sellerio aveva cominciato a morire qualche tempo fa, saranno due o tre anni che al telefono lasciava rispondere la segreteria, e poi quando capiva che era qualcuno che non avrebbe lasciato un messaggio, solo all'ultimo afferrava la cornetta, come se dovesse dimostrare ancora che era viva. Viva, e vivacissima, lo era sicuramente, anche quando si metteva a spiegare che si sentiva troppo malridotta e non in grado di ricevere nessuno. Un minuto dopo, pero', attaccava con le sue mille domande, e due minuti dopo conversava felice, saltando da un argomento all'altro e da una battuta all'altra: cosi' quelli di noi che di tanto in tanto cercavano di capire come stesse veramente, non si pentiranno mai di aver creduto, conoscendola, che fosse la piu' grande malata immaginaria della terra. Viene da ripensare, adesso che il suo male se l'e' portata veramente - tradendo la speranza di quelli che le volevano bene e dei suoi autori, che avevano scommesso affettuosamente sulla sua cattiva salute di ferro -, allo strano rapporto che i grandi siciliani hanno con la morte. Non la temono, anzi sembrano sfidarla continuamente. E da un certo punto in poi la frequentano e la considerano amica. Forse Elvira era entrata in questa fase, le sue due vite meravigliose, di editrice di libri e di televisione, le appartenevano pienamente, come tutte le battaglie che aveva combattuto, vincendole e perdendole con lo stesso entusiasmo. Ma il suo respiro intermittente, e la vecchiaia rinviata all'infinito con abili sotterfugi, avevano fatto si' che si abituasse all'idea di andarsene da un giorno all'altro, com'e' accaduto. Per questo, negli ultimi tempi, quando le toccava entrare e uscire dalle cliniche e vedere i medici scuotere le teste e riempirla di raccomandazioni che considerava inutili, erano diventati sorprendenti certi suoi repentini passaggi dall'abulia e dal pallore che facevano temere il peggio a sprazzi di imprevedibile vitalita'. Lo specialista aveva appena girato la porta, facendole giurare che non avrebbe piu' fumato, osservando una rigida dieta di farmaci e digiuno, e lei era li' con il guizzo negli occhi, pronta a ordinare una spesa di salumi pregiati, da comperare in una salumeria di lusso nota solo a lei e ad altri eletti. Era andata cosi' anche l'ultima volta che era venuta a Roma, costretta per settimane a una faticosissima serie di controlli in un centro di alta specializzazione, interrotti per fortuna dalle visite, a cui teneva molto, di tutti gli amici preoccupati per lei. E andava cosi' non appena si riprendeva e riapriva la casa-museo di via Siracusa, a Palermo, proprio di fronte alla redazione della sua Editrice. Li', sullo sfondo di preziose pitture su vetro e antiche marionette dell'Opera dei Pupi, nella penombra tipica palermitana del salotto, appena ravvivato dai colori delle tappezzerie, Elvira cominciava lentamente ad agitare il Martini-cocktail, la sigaretta poggiata sul portacenere, l'aria dolente con cui aveva aperto la porta che presto trasfigurava nel sorriso felice dello stare in compagnia. In queste lunghe chiacchierate, che potevano durare giornate intere, si capiva che a dispetto di una vita trascorsa tra scrittori e libri e solo in piccola parte tra telecamere, studi televisivi e autori di talk-show, considerava queste due componenti quasi pari nello sviluppo della sua vita. Era informatissima, non solo sui segreti grandi e piccoli dell'editoria italiana e sulle debolezze degli autori piu' amati, che a volte le provocavano grandi amarezze. Ma anche sul teatrino e sull'infinita serie di pettegolezzi del nostro casereccio show-biz, di cui parlava spesso con Giovanni Minoli, il suo amico piu' stimato in quel mondo, snocciolando nomi e cognomi con grande divertimento e con introspezione psicologica degna di miglior causa. Per molto tempo l'andamento della casa editrice fondata da Elvira quarant'anni fa aveva seguito il suo bio-ritmo. Nell'elaborazione della linea editoriale, nella scelta dei titoli e degli scrittori, certo, avevano gran peso i quattro uomini fondamentali della Sellerio: Leonardo Sciascia con la sua indiscussa autorita', Nino Buttitta, antropologo di fama internazionale figlio del poeta Ignazio, Vincenzo Tusa, archeologo, e il suo ex-marito ed eterno compagno di vita Enzo, grande fotografo, intellettuale eretico con meta' sangue russo nelle vene, portatore di un'inguaribile genialita'. Erano loro, loro insieme a lei, ad animare i pomeriggi di via Siracusa, in cui un pittore come Tono Zancanaro poteva aggirarsi brillo, con il bicchiere di vino bianco in tasca, amorevolmente accudito da Chiara Restivo, l'altra anima femminile della ditta. Ma alla fine, era di Elvira l'ultima parola su tutto. La discussione poteva sembrare inconcludente, e forse lo era talvolta, ma il lampo negli occhi della «zarina», com'era stata soprannominata, diventava inconfondibile, passionale, quando si sentiva nel giusto e nessuno riusciva piu' a contraddirla. Questo della giustezza, o della giustizia, e della passione nel fare le proprie scelte, andranno ricordati come tratti caratteristici della sua personalita'. Nella sua vita Elvira, come tanti, aveva dovuto subire tante ingiustizie, ma non si era mai rassegnata. La politica in fondo non la interessava, o non la interessava piu'. Teneva in grande considerazione, ed era davvero grata, solo a Napolitano, che nel '93, quando era presidente della Camera, l'aveva scelta come componente del consiglio della Rai. Ma la lunga vicenda processuale che per dieci anni, prima di vederla assolta, aveva messo a repentaglio il futuro suo e della Sellerio, l'aveva resa molto sensibile al modo in cui funziona, o non funziona, la giustizia in Italia. Per cio', nell'ideale Pantheon degli autori di quarant'anni di casa editrice, insieme ai tanti autori giovani e vecchi della collana della Memoria, quella con le copertine blu, e con le illustrazioni scelte personalmente da Elvira, che hanno fatto la storia della Sellerio, c'e' ovviamente Leonardo Sciascia e il suo Affaire Moro, che proietto' con successo la Sellerio su un piano internazionale. Ci sono Antonio Tabucchi, con la sua levita', e Andrea Camilleri, con la sua lingua dialettale su cui Sciascia non finiva di esprimere dubbi e Gesualdo Bufalino. Ma c'e' anche uno scrittore spurio, sicuramente non tradizionale, come Adriano Sofri, che nell'orizzonte elviresco rappresentava il giusto e l'ingiusto insieme. Questa sensibilita', questa particolare attenzione a un tema cosi' delicato e influente, ormai, sul destino della gente, si accompagnava, in Elvira, al suo particolare modo di essere madre. Era felice, assolutamente orgogliosa dei suoi figli, Antonio ormai seduto al suo posto alla guida della Sellerio, Olivia riscopertasi cantante e da pochissimo diventata mamma. Ma invece che del lavoro, in cui mietevano tranquillamente successi, si preoccupava esclusivamente di loro stessi, li inseguiva dappertutto mentalmente e con il telefono, si informava di continuo e in segreto con gli amici. Era apprensiva, si vergognava di esserlo, faceva finta, ma poi svelava i suoi timori. Restando sempre, anche in questo, una donna, una gran donna, siciliana.
Marcello Sorgi
 
 

La Stampa, 4.8.2010
Volumi come dolci proibiti

Nella vita bisogna essere autentici perche' chi non e' autentico non si diverte», amava dire Elvira Sellerio. Si divertiva a fare cultura a tutti i livelli, collegando l'alto e il basso, la narrativa piu' popolare e l'erudizione piu' sofisticata. Aveva una capacita' rabdomantica di individuare in entrambe quello che c'era di autentico e di tenersi alla larga dal pretenzioso e dal fasullo. In lei si realizzava una gioiosa coincidenza degli opposti che ne faceva contemporaneamente una colta conversatrice settecentesca, autentico spirito laico e volterriano, e, nella sua altra piu' segreta faccia, una divinita' femminile mediterranea piena di bellezza e bonta', onnisciente, intuitiva, protettiva soprattutto delle cause perse. Si proclamava, con autentico understatement, una lettrice comune. Ma in realta' sapeva ben distinguere la dialettalita' di Camilleri dalla profondita' di Canfora. Le piacevano le sfide e non le importava di vincerle o perderle. Era lei stessa a proporre agli studiosi libri elitari che non avevano neanche osato pensare di scrivere. E se loro obiettavano che non li avrebbe mai venduti, lei sorrideva («A che serve fabbricare best seller se non a concedersi questi lussi?») con la golosita' maliziosa di chi sta concedendo a se stessa, e ai suoi ospiti, un dolce proibito.
Silvia Ronchey
 
 

l'Unità, 4.8.2010
Eleganza e coraggio per la dignità della cultura

Se la letteratura siciliana ha costituito una sorta di strada maestra della letteratura italiana del Novecento, un sostegno essenziale della sua vitalità nella parte finale del secolo è stato dato certamente da Elvira Giorgianni Sellerio, con la casa editrice fondata, con il nome del marito Enzo Sellerio, condotta da lei con intelligenza, sensibilità, signorilità. So che la chiamavano «donna Elvira»: ma io non potevo pensare a lei senza premettere al suo nome l’epiteto «signora», come subendo la suggestione di un’eleganza dai caratteri tutti siciliani, che sprigionava da un senso fortissimo del valore della cultura e dell’esperienza, non disgiunto da una certa diffidenza e da qualcosa di sotterraneamente malinconico: «signora» per la sua sicilianità o «sicilitudine» (per usare un termine caro al «suo» Leonardo Sciascia), per quella similitudine che negli ultimi decenni ha dato ancora grandi prove di sé, con personaggi anche eroici, non privi di pessimismo, di sdegno, di senso della sconfitta, ma sostenuti da una grande volontà di fare, di costruire modelli di umanità e di giustizia, alla ricerca di equilibri razionali pur nella lacerazione, nel confronto continuo con un mondo incorreggibile, condannato alla violenza e al caos.
I miei incontri con la signora Elvira risalgono ormai a molti anni fa, quando ho avuto modo di collaborare ad alcuni saggi pubblicati dalla casa editrice, e quando ancora attivamente operava Sciascia: e sono ancora molto affezionato a un libretto collettivo che curai allora per la collana «Prisma», Ambiguità del comico (1983), che mi ricorda ancora gli entusiasmi di quegli anni pur tanto difficili. Allora a Palermo, nei locali di via Siracusa, si affacciava talvolta Sciascia, con quella sua vigile curiosità che sembrava nascondersi sotto uno sdegnoso distacco. Elvira ha saputo ascoltare Sciascia fino in fondo, dando voce al respiro europeo e internazionale della sua cultura, facendo della «piccola» casa editrice un luogo di sperimentazione, di scoperta: verso scrittori «nuovi», che quella fucina editoriale ha tratto alla luce e ha imposto sulla scena letteraria e verso altre opere della tradizione moderna, trascurate, poco note e rimesse opportunamente in circolo (con attenzione particolare per una narrativa anche «amena», di buona leggibilità, ma piena di densità, di colore, di effetti combinatori, di vitalità linguistica). Anche dopo la scomparsa di Sciascia, vigile e attenta è rimasta la curiosità della signora Elvira, la sua passione per i libri, sempre rivolta a puntare sulla qualità, senza mai rinunciare, anche nei momenti di difficoltà, alla dignità e all’eleganza del proprio modello. Tra i grandi meriti della Sellerio c’è stata proprio la capacità di tenere fede al proprio marchio, a quello «sciasciano» sigillo di qualità, senza cedere alla sciatteria e all’involgarimento mediatico: e di questo impegno per la dignità della cultura la signora ha dato prova anche nel periodo in cui ha assunto una responsabilità «politica», con la carica di consigliere di amministrazione della Rai.
Della sua intelligenza e della sua eleganza restano testimoni tantissimi libri, soprattutto quelli de «La memoria», la collana degli inconfondibili libretti «blu» iniziata da Sciascia nel 1979, con Dalle parti degli infedeli (ma già l’anno precedente Sciascia aveva pubblicato per Sellerio uno dei suoi libri più discussi e problematici, L’affaire Moro). Guardo tra i miei libri e di Sellerio trovo tanti veri e propri classici del secondo Novecento, opere di mole piccola o media, ma impostesi appunto per la loro qualità, che spesso hanno fatto «scoprire» autori rivelatisi tra i più importanti dei nostri anni: ecco i siciliani e in primo luogo, davvero grande scoperta di Sciascia e della casa editrice, Gesualdo Bufalino, con i primi due romanzi capitali, Diceria dell’untore (1981) e Argo il cieco ovvero I sogni della memoria (1984), e poi, più recente, Andrea Camilleri, che ha iniziato nel 1992 con La stagione della caccia, ma si è imposto nel 1995 con Il birraio di Preston, a cui sono seguiti tanti libri di successo, che hanno costituito un’essenziale base economica per la casa editrice. Bufalino e Camilleri costituiscono due singolari casi siciliani e «selleriani», certo diversissimi tra loro, ma collegati dal fatto di essere stati scoperti dalla casa editrice quando erano già abbastanza avanti negli anni. Di altri importanti scrittori siciliani, affermatisi prima presso autori diversi, la Sellerio ha pubblicato opere di rilievo: da Consolo (con il formidabile Retablo, 1987) a Bonaviri (con uno dei suoi ultimi romanzi, Il vicolo blu, 2003, e la riedizione di varie opere precedenti, fino quella recentissima di L’enorme tempo, 2010). Se con questi (e altri) scrittori la Sellerio ha davvero segnato la presenza nazionale (e internazionale) della letteratura siciliana, non vanno trascurate altre presenze essenziali, come quelle del primo Tabucchi (Donna di Porto Pim, 1983, e Notturno indiano, 1984), e come la recente ripresa di vari libri di un autore che ha percorso gran parte del Novecento e che ora si sta riscoprendo proprio grazie a Sellerio, come Mario Soldati (da quel testo «fondante» che è stato nel 1935 America primo amore, riproposto nel 2003, alle vivacissime prose di Cinematografo, 2006). E quanti altri autori italiani e stranieri occorrerebbe ricordare, scovati con felice scelta tra i contemporanei e tratti alla luce tra le pieghe delle grandi letterature europee (da Luisa Adorno a Maria Messina, da Ramon Gómez de la Serna a Roberto Bolaño, da Manuel Vasquez Montalbán a Penelope Fitzgerald, ecc.)! E ancora non andrebbe trascurato il vasto settore della saggistica, dove hanno particolare rilievo la storiografia e l’antropologia. In tutti questi libri vive la presenza della signora Elvira, che sempre li ha seguiti da vicino, che non li ha mai trattati come indifferente merce, ma come esperienza viva, scommessa sul senso dello stare nel mondo. Con lei ci lascia una parte davvero preziosa della Sicilia moderna, di una persistente e determinata editoria di cultura: e speriamo davvero che il suo segno inconfondibile resti vivo nel futuro lavoro della casa editrice.
Giulio Ferroni, italianista
 
 

l'Unità, 4.8.2010
Vincenzo Consolo
«Quando scoprì Bufalino eravamo tutti nel suo ufficio: io, lei, sua sorella e Sciascia»

«Era una donna molto intelligente, oltre ad essere molto bella. Di grande sensibilità e fine intuito. Una persona di valore, della quale sentiamo da ora in poi la sua mancanza». Così Vincenzo Consolo ricorda Elvira Sellerio. In occasione dei quarant’anni della casa editrice, sono stati ripubblicati i titoli più importanti, fra i quali uno dei capolavori di Consolo, Retablo, con il risvolto di copertina di Leonardo Sciascia. Consolo spiega: «La casa editrice Sellerio l’ho vista nascere, ho potuto vedere l’impegno autentico ed intelligente di Elvira, e quello del marito Enzo. Ed ancora, il ruolo intellettuale di Sciascia. Ricordo che Elvira era molto attiva, seguiva tutto. Ha creato una casa editrice di alto livello culturale. Allora le scelte editoriali erano molto più selettive. Poi c’è stata la svolta camilleriana,quando la letteratura ha fatto la sua mutazione spettacolare e la casa editrice si è affermata anche economicamente». Tempo fa, in una intervista su L’Unità, Elvira Sellerio spiegò: «Pubblico i libri che presterei agli amici».
«Mi pare un criterio bello, espressione di vero amore per i libri». Così facendo ha scoperto grandi protagonisti della letteratura. «La scoperta di Gesualdo Bufalino è davvero originale - per esempio -. Eravamo a Palermo, in casa editrice, nell’ufficio di Elvira. C’era anche Sciascia. La sorella di Elvira aveva mandato un libro fotografico su Comiso con l’introduzione di Bufalino. L’abbiamo letta a voce alta, e abbiamo capito subito che era un uomo colto e raffinato. Elvira disse: “Questo signore deve avere qualche romanzo nel cassetto”. Allora sono andati con Sciascia a Comiso per incontrare Bufalino, che nel cassetto aveva da parecchi anni un romanzo che si chiamava Diceria dell’untore». L’Italia, aggiunge Consolo, «perde una donna che ha fatto grandi battaglie culturali, anche quando era nel cda della Rai. L’Italia di oggi, purtroppo, è un paese “tele stupefatto”. C’è un signore che ha istupidito una parte notevole dell’opinione pubblica».
Salvo Fallica
 
 

l'Unità, 4.8.2010
Il ricordo
Laicità, intelligenza, ironia

Apprendo con dolore della scomparsa di Elvira Sellerio, e mi si scusi se approfitto dell’occasione per abbracciare Olivia e Antonio, facendo uso privato di un mezzo pubblico. Io a lei come scrittore devo tutto, soprattutto perché mi ha fatto capire, coni suoi modi talvolta e giustamente bruschi, di esserlo. L’ultima volta che l’ho sentita per telefono mi diceva che si era un po’ stufata di leggere le «schifezze» che vengono scritte oggi, sia quelle pubblicate che quelle da pubblicare o no, e che nella sua campagna si era rimessa a leggere alcuni classici, romanzi che valessero la pena di essere letti, Thomas Mann, se non mi ricordo male anche Pirandello. Mi auguro che il luogo dove si trova ora disponga di una buona biblioteca, non importa se aggiornatissima, e sia molto luminoso, una luce smagliante e duratura come quella che Elvira Sellerio ha rappresentato nella cultura italiana degli ultimi decenni, erede di valori da noi purtroppo spesso dimenticati, ma che comunque cercheremo di portarci dietro e di portare avanti: laicità, intelligenza, ironia,onestà intellettuale e impegno culturale. Un saluto a Elvira, un pianto la metterebbe di cattivo umore.
Francesco Recami
 
 

Il Giornale, 4.8.2010
Elvira Sellerio, la zarina siciliana che ha inventato Bufalino e Camilleri

Era da un po’ che non andava alle riunioni della casa editrice, colpa della lunga malattia che la debilitava. Ma poi, a cose fatte, i collaboratori dovevano comunque andare a prendere il caffè da lei, che abitava a pochi passi dalla sua Sellerio, in via Siracusa 50, a Palermo. E lì, con la tazzina in mano, dovevano raccontarle tutto.
Perché lei, Elvira Giorgianni in Sellerio (morta ieri a 74 anni), è stata sino all’ultimo se stessa, una zarina mediterranea, la donna che è stata capace di riportare l’editoria, quella vera, in Sicilia, operazione paragonabile a far crescere fichi secchi in piazza Duomo, a Milano. E quando Elvira Sellerio stava bene era uno spettacolo tutto palermitano vederle raggiungere il suo ufficio, piazzato in fondo al corridoio che divide in due la casa editrice, una bomboniera con sedie liberty e troppi quadri. Ogni volta il suo arrivo, soprattutto se a sorpresa (come quando rientrava all’improvviso dalla Villa di Siracusa) creava agitazione. «È arrivata la signora, è arrivata la signora...», e tutti si affacciavano, ossequiavano, mentre i convocati la seguivano con una certa trepidazione.
Di fronte alla sua scrivania ingombra di carte e di infiniti manoscritti i dipendenti ascoltavano in piedi, poi, rapidi, andavano. In pochi invece avevano il diritto di far scricchiolare le belle seggiole; di restare lì a discutere con lei mentre la signora inarcava le sue sopracciglia un po’ severe, i cui movimenti, ai tempi della gioventù, avevano fatto sobbalzare più di un cuore della Palermo chic; di passare ore a vederle annichilire una sigaretta dopo l’altra e di essere poi invitati a cena (era brava ai fornelli quanto con i libri). Il primo consigliori fu Leonardo Sciascia, e poi tutti gli altri intellettuali che hanno dato un’impronta alla casa editrice senza che però Elvira lasciasse mai scalfire le sue modalità operative, giuste o sbagliate che fossero: Antonino Buttitta, Luciano Canfora, Beppe Benvenuto, Salvatore S. Nigro, Andrea Camilleri.
Sono questi nomi a dar conto della magia della bottega editoriale che Elvira ed Enzo Sellerio fondarono nel 1969 sotto l’ala protettrice di Sciascia. E della bottega la casa editrice, con la sua grafica curatissima, ha mantenuto le caratteristiche anche quando sono arrivati i titoli in grado di macinare copie a cinque zeri (il primo fu L’affaire Moro, proprio di Sciascia, che vendette più di 100mila copie). E dire che i due coniugi non avevano alcuna esperienza editoriale. Elvira, figlia di un prefetto e laureata in giurisprudenza, aveva lavorato per anni all’Eras (Ente per la Riforma agraria in Sicilia) e investì la sua liquidazione nell’impresa. Il marito, fotografo affermato, ci mise il suo gusto per l’immagine e tanto bastò. Il resto della storia è noto: il successo di Bufalino con Diceria dell’untore (premio Campiello 1981), le vendite trionfali di Camilleri, di Carofiglio, la riscoperta anche di autori stranieri come Margaret Doody, gli incarichi prestigiosi in Rai.
Ma il piglio di Madame Sellerio, che fu capace di conciliare l’alta cultura con la gestione del fan club di Camilleri (chiamato «il sommo» dai suoi fan) non lo rivelano tanto i grandi successi editoriali, quanto alcuni piccoli dettagli. Ecco a esempio il ricordo di Salvatore S. Nigro che ha lavorato con lei per anni: «Non ha mai fatto distinzione tra la vita e la letteratura, viveva con e per i suoi autori, leggeva tutto quello che pubblicava, non lo fa più nessuno». O quello di Pietrangelo Buttafuoco che prima di essere giornalista e scrittore è stato libraio «di frontiera»: «Nei primi anni Ottanta io avevo l’unica libreria della provincia di Enna. Stava a Leonforte e si chiamava “Libreria del mastro”. Già era difficile, poi per le mie posizioni politiche mi avevano costruito un muro attorno, una cortina, nessuno nel mondo dei libri voleva avere a che fare con me. Elvira Sellerio mi riempiva di libri in conto vendita, senza che dovessi anticiparle nulla. Me la sono cavata grazie a lei e a Sandro Attanasio di Einaudi».
Matteo Sacchi
 
 

il manifesto, 4.8.2010
Elvira Sellerio
Una morte pesante come un macigno

È morta ieri a Palermo Elvira Sellerio, grande amica de il manifesto, ma soprattutto dalla marginalizzata Sicilia grande protagonista della cultura italiana. La sua è stata e speriamo che lo sia ancora una delle più vive case editrici di questa difficile stagione. Sciascia, Bufalino, Camilleri, Tabucchi sono stati i prestigiosi autori ai quali lei ha contribuito a dare successo e diffusione. Il miracolo Camilleri (Camilleri non se ne dispiaccia) forse senza di lei non sarebbe stato possibile in questa confusa editoria italiana.
Ma il merito più rilevante di Elvira è stato quello di dimostrare che la Sicilia non è solo corruzione, mafia, che la Sicilia può produrre cultura. Prima della Sellerio c'era (c'è ancora) Flaccovio, ma Elvira è andata oltre, ben oltre.
La domanda che mi pongo e che pongo a chi in Sicilia vuole fare politica innovativa è la seguente. Che cosa, la Regione innanzitutto ma le forze politiche e culturali prenderanno o no qualche pubblico impegno a dare continuità e sostegno all'opera di Elvira? Temo proprio che ci sarà soltanto un funerale estivo e poi le varie parti penseranno solo a come conquistare maggior potere a cominciare dal prossimo settembre. Ciechi e ottusi che non capiscono che il lavoro di Elvira è fondamento di potere, di un potere antitetico a quello clientelare e mafioso che oggi ancora trionfa. La morte di Elvira pone una sfida a tutti i siciliani e anche al nostro «manifesto».
Valentino Parlato
 
 

Corriere della Sera, 4.8.2010
Da Camilleri a Montalbán, così inventò i bestseller Sellerio

A quanto pare, qualcuno, nelle sale fumose di via Siracusa, cercò pure di ignorare quella giovane e bellissima presenza femminile con la sigaretta sempre tra le dita e la voce che sapeva di catrame. Raccontò a Simonetta Fiori che nei primi mesi si limitava a entrare, ogni tanto, per chiedere se desideravano un caffè. Nessuno poteva sospettare che in pochissimo tempo sarebbe diventata la Signora dell'editoria. Neanche Inge Feltrinelli, all'epoca, era ancora capitana d'impresa in un mondo declinato quasi esclusivamente al maschile. In realtà Elvira Giorgianni ha capovolto diversi cliché della cultura italiana: una donna - moglie del fotografo Enzo Sellerio - a capo di una casa editrice, per di più di successo, per di più in Sicilia. Del resto, figlia di un prefetto, primogenita di sei fratelli, orfana di madre, Elvira aveva cominciato a lavorare subito, già durante l'università (in Giurisprudenza), all'ente regionale per la riforma agraria. Ma si ritrovò a espropriare le terre ai contadini: per lei, disse ad Aldo Cazzullo nel 2004, era un'angoscia. Così, nel 1969 decise di investire la liquidazione (12 milioni) per mettere su casa (editrice) con il marito Enzo di fronte all'appartamento in cui vivevano. Aveva sposato Enzo («l'uomo più affascinante di Palermo», disse) anche per liberarsi del peso della famiglia d'origine («una scelta egoistica», confessò), e con lui ebbe due figli: Olivia, destinata a una brillante carriera di musicista jazz, e Antonio, che già da qualche anno regge le redini della Sellerio. La separazione dal marito e la scissione dell'impresa editoriale furono un colpo duro, per sua stessa ammissione («se trovavo in casa un golf di Enzo, mi ci avvolgevo dentro piangendo»), ma la casa editrice non ne soffrì, anzi. L'amicizia con Leonardo Sciascia si rinsaldò: al maestro di Racalmuto si dovevano i princìpi ispiratori delle edizioni, l'idea di un servizio civile reso alla società ma nello stesso tempo l'esigenza di una «cultura amena», impegnata sì, ma leggera, elegante, e soprattutto priva di zavorre ideologiche. Il carattere di Donna Elvira non le consentiva di essere succube di nessuno, ascoltava Sciascia ma spesso faceva di testa propria, pure a costo di litigarci. E ci litigò, qualche volta. Ma dalla sua consulenza e da quella dell'antropologo Antonino Buttitta venne fuori un catalogo solido, partendo dalla collana «La letteratura [Civiltà, NdCFC] perfezionata», quasi libri d'arte, con velina su copertina bianca e fogli intonsi, e da indirizzi molto chiari: da una parte la letteratura (storico-documentaria) siciliana, dall'altra una selezione di opere straniere poco note al grande pubblico. Per una casa editrice nata a Palermo, ma programmaticamente svincolata da ossessioni territoriali, è quasi una beffa che le tappe fondamentali coincidano con tre nomi isolani: oltre a Sciascia (che nel 1978 consegna L'affaire Moro), il professore di Comiso Gesualdo Bufalino (che nell'81 esordisce con Diceria dell' untore) e il Simenon di Porto Empedocle Andrea Camilleri (che si impone a tutti dal '94). Accanto e intorno, autori non sempre (non ancora) noti, come Antonio Tabucchi, Laura Pariani e Carlo Lucarelli agli esordi. E un sacco di stranieri, dal primo Vázquez Montalbán a Roberto Bolaño. Svariando su molti generi, ma con una netta predilezione per il giallo. E passando per vere e proprie scommesse (dettate anche dall'affetto), come quella del Sofri memorialista (un «fratello del cuore» lo considerava). La raffinatezza blu della collana «La memoria» è un marchio di fabbrica che esporta ovunque il nome (e il fiuto geniale) di Elvira Sellerio, con parecchi tentativi di imitazione (non sempre riusciti) all'estero. La Signora (come la chiamano in via Siracusa) non si scompone troppo: così come non si era scoraggiata quando fu ingiustamente processata per questioni di finanziamenti regionali, non si lasciò prendere dall'entusiasmo per i successi planetari (Camilleri in primis, ma poi anche Carofiglio) che da metà anni '90 allontanarono gli spauracchi della crisi economica (gli editori maggiori erano pronti come falchi). Donna Elvira è stata, quasi involontariamente, un'anti-Inge: ha viaggiato poco, non ha frequentato il bel mondo internazionale dell'editoria, è rimasta inchiodata alla sua vecchia scrivania, spesso ha conosciuto i suoi autori solo dopo averli pubblicati. Li leggeva (negli ultimi anni, più spesso, dalla sua casa in campagna nella Marina di Ragusa), senza lasciarsi distrarre dalle loro personalità (sincere, false, intelligenti, stupide, esuberanti, depresse), e dopo averli conosciuti continuava a dar loro del lei. «Leggeva tutto», dice il suo ultimo consulente princeps, Salvatore Silvano Nigro, «e la sua intelligenza strepitosa le permetteva di ascoltare gli altri ma di decidere da sola». Nel biennio '93-94 Donna Elvira si allontanò da Palermo per partecipare al consiglio d'amministrazione della Rai, quello dei professori: «Un'esperienza bellissima», disse. Ma il giorno in cui aveva scommesso con Enzo Siciliano sulle qualità letterarie di un oscuro erudito di Comiso fu un'altra cosa.
Paolo Di Stefano
 
 

Il Tempo, 4.8.2010
Elvira Sellerio, «maga» dei libri
Addio alla geniale editrice. Nei suoi volumetti blu lanciò Camilleri e Bufalino

Se n'è andata una donna coraggiosa, intelligente. Un'imprenditrice. Antesignana di una schiera di editrici che ora, sul suo esempio, si fa agguerrita. Di Elvira Sellerio, morta nella sua Palermo a 74 anni, per un male invincibile al polmone, parole come «coraggio», «fiuto», «indipendenza», «cultura» non sono le esagerazioni che si usano per chi scompare. La sua casa editrice, con Laterza la maggiore del Sud, nacque nel 1969 proprio come una sfida. Lei, Elvira Giorgianni, sposata con il fotografo Enzo Sellerio, laureata in giurisprudenza, cresciuta con i fermenti culturali del Gruppo '63 - Arbasino ed Eco lo fondarono insieme al siciliano Michele Perriera in un albergo appena fuori Palermo - nel '69 decise di mollare l'impiego alla Regione e di investire la liquidazione, sei milioni di lire, nell'impresa. L'idea era nata con Leonardo Sciascia e con quel grande intellettuale isolano che era Antonino Buttitta. Sciascia dettò il programma culturale della neonata Casa: cultura amena, «cultura in cui l'impegno politico non è esplicito. Dunque, cultura della leggerezza, che non rinuncia all'eleganza». Programmatico il titolo della collana d'esordio, «La civiltà perfezionata». Il boom nel 1978: centomila copie vendute con «L'affaire Moro». Appunto di Sciascia. Ma leggerezza, eleganza e soprattutto la capacità di scoprire talenti letterari Elvira Sellerio - che si separò dal marito poco dopo l'avvio della sua impresa, portata allora avanti con tutte donne, eccetto il figlio - le rivelò con i volumetti blu della collana di narrativa. Minimali, non patinati, di carta vergata, con al centro un'illustrazione d'autore: Maccari, Zancanaro, Caruso. Ricordo il primo che ebbi tra le mani. Era il 1981. Incuriosiva la veste tipografica. Incuriosiva l'autore, un nome nuovo e proprio siciliano: Gesualdo Bufalino. Incuriosiva il titolo di quel romanzo barocco e strano, nel quale serpeggiava un'idea di vacuo, di sfinimento nel nulla. Si chiamava «Diceria dell'untore», quel romanzo. Opera di uno scrittore uscito fuori a 61 anni. Una rivelazione, simile a quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Una fama che scoppiò con la vittoria del Premio Campiello. Un successo che Bufalino non ripetè. Si replicarono invece i «colpi» di Elvira Sellerio. Nati dalla sensibilità, non dall'inseguimento della letteratura di plastica, pulp, a sensazione, a imitazione. Pubblicò Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno. Autori non nuovi, ma dimenticati. Ma la signora dell'editoria li rilancia. Nel 1990 la Casa siciliana esce con un librettino, «Carta bianca», che racconta di un commissario di polizia - De Luca - impegnato a indagare su un torbido delitto, nel passaggio dalla Repubblica di Salò a quella italiana. A scriverlo è un giovane autore, Carlo Lucarelli, e lo accusano di aver prodotto un giallo «revisionista», in quanto presenta «il volto umano di un'epoca e un momento storicamente perversi». Anche qui un successo. E l'individuazione di un filone, il giallo all'italiana. Una tendenza che esplode con l'altro autore che ha fatto la fortuna di donna Elvira: Andrea Camilleri. «Negli anni Novanta la Sellerio, che aveva cominciato a pubblicare i miei libri, era in gravi difficoltà finanziarie, quando arrivò, a salvarla, e me con lei, il commissario Montalbano, come il VII Cavalleggeri in un vecchio western», ha ricordato lo scrittore siciliano. Avveniva quindici anni fa, il primo intrigo del commissario di Vigata si chiamava «La forma dell'acqua». Poi venne «Il birraio di Preston» e tutti gli altri. Cinque milioni di copie. Gli anni 2000 sono quelli di Margaret Doody che ha venduto oltre 100 mila copie del suo «Aristotele detective». Poi Penelope Fitzgerald, il russo Dovlatov, Bolano, Carofiglio e per ultima Alicia Gimenez-Bartlett. Il fiuto di Elvira Sellerio, vincente.
 
 

La Sicilia, 4.8.2010
E' morta Elvira Sellerio
E' morta ieri a Palermo Elvira Sellerio, 74 anni, la signora dell'editoria siciliana e nazionale. Si deve a lei la scoperta di grandi talenti della letteratura come Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino e Andrea camilleri.

Non solo Sciascia, Bufalino e, più di recente, Camilleri. La Sellerio è stata ed è molto di più. La storia di una felice avventura, la parabola di una scommessa vinta: fondare, dirigere, imporre una casa editrice di respiro europeo nel cuore profondo della periferia culturale siciliana. Con Elvira se ne va l'anima di tanta intrapresa. Fiaccata da una lunga e penosa malattia polmonare - una malattia che oggi appare come metafora del suo lungimirante afflato - la Signora dei libretti blu ha lavorato fino agli ultimi suoi giorni a contatto con la redazione, negli ariosi stanzoni di via Siracusa a Palermo. Donna forte e raffinata, capace di feconde commistioni tra letteratura e vita civile, il dono di tenere aperte le finestre sulle voci del mondo, le più vicine e le più remote, le guadagnò il fiuto che le ha consentito in quarant'anni di allestire un catalogo ricco di suggestioni, di scoperte o riscoperte, di grandi testi e autori «minori» solo di nome. Un catalogo che è opera a sé: incredibilmente coeso e, al tempo stesso, d'intelligente extra-vaganza, in grado di coniugare la qualità al mercato, senza scadere nelle corrività dell'epoca. Con Elvira, Sellerio ha stampato Lucarelli e Ildegarda di Bingen, Carofiglio e Madame du Chatêlet, Recami e Turgenev. Grazie a lei, il marchio non ha mai tradito il senso d'alto artigianato culturale, a conduzione familiare (oggi a guidare la maison è il figlio Antonio), che distinse le grandi dinastie di stampatori: i Manuzio, gli Estienne... E che a Sciascia, in giorni amari, parve «l'unico motivo per cui vale la pena di restare a Palermo».
Giuseppe Testa
 
 

La Sicilia, 4.8.2010
La scalata alle classifiche dei rivoluzionari quaderni blu

Roma. L'indipendenza e la dimensione famigliare: queste le caratteristiche che hanno permesso alla Sellerio in questi 40 anni di storia di essere una vera star nel panorama librario italiano, fucina di autori al top delle classifiche: da Sciascia a Camilleri, senza dimenticare Gianrico Carofiglio, Carlo Lucarelli e, tra gli ultimi, Alicia Gimenez-Bartlett. Ma nel suo carnet può ascriversi anche di aver pubblicato per prima scrittori come Roberto Bolano, Antonio Tabucchi, Gesualdo Bufalino e Luisa Adorno. E soprattutto di averlo fatto all'insegna dei suoi famosi "quadernetti": piccoli eleganti volumi blu, fatti apposta per essere letti agevolmente e ovunque. Una rivoluzione «nel grigiore metallico delle copertine di quegli anni», l'irrompere «della macchia blu, della carta vergata, dell'immagine pittorica figurativa al centro della sovraccoperta, dentro una cornicetta colorata che richiamava il colore delle lettere del titolo».
Nata nel 1969 - poco più di quarant'anni fa e la ricorrenza fu festeggiata alla Fiera del libro di Torino del 2009 - da Elvira Giorgianni (allora funzionaria pubblica che si licenziò e investì la sua liquidazione nell'impresa) e suo marito Enzo Sellerio (fotografo), ebbe come ispiratori due numi tutelari della cultura siciliana e nazionale: Leonardo Sciascia e l'antropologo Antonino Buttitta. Il programma all'origine della casa editrice - spiegò all'epoca proprio Leonardo Sciascia - è il ritorno a una cultura «amena», cioè una cultura in cui il cosiddetto «impegno è implicito e non esplicito, quindi una cultura della leggerezza, che non rinuncia all'eleganza, una cultura delle idee, sì, ma in forma di cose belle».
Antonio Sellerio, figlio di Elvira ed Enzo, nelle celebrazioni per i 40 anni della casa editrice riassunse così il segreto del successo: «La nostra caratteristica - spiegò - è l'indipendenza e la dimensione rimasta famigliare, che permette un correlazione stretta tra direzione editoriale, commerciale, amministrativa, così da sostenere la nostra politica culturale di scoperte e di ricerca del nuovo senza bisogno di forzature che snaturino la nostra immagine». La consacrazione definitiva della Sellerio come casa editrice arriva nel 1981 con "La diceria dell'untore" di Gesualdo Bufalino che vinse un meritatissimo Campiello e segnò un cambiamento anche nella cultura italiana. Ecco allora Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno: tutti non inediti, ma caduti nel dimenticatoio che Sellerio scopre e rilancia.
Nel 1990 la casa editrice pubblica un librettino, "Carta Bianca", che racconta di un commissario di polizia - De Luca - che indaga su un torbido delitto, nel passaggio dalla Repubblica di Salò alla Repubblica italiana. A scriverlo è un giovane autore, Carlo Lucarelli, e lo accusano di aver prodotto un giallo «revisionista», in quanto presenta «il volto umano di un'epoca e un momento storicamente perversi». Ovviamente un grande successo che apre la strada ad un profluvio di altri autori. Ma il re incontrastato è Andrea Camilleri: «Negli anni Novanta la Sellerio, che aveva cominciato a pubblicare i miei libri, era in gravi difficoltà finanziarie, quando arrivò, a salvarla, e me con lei, il commissario Montalbano, come il VII Cavalleggeri in un vecchio western», ha ricordato recentemente lo scrittore siciliano. Sono passati 15 anni dall'uscita di quel primo Montalbano, "La forma dell'acqua", e 14 dal "Birraio di Preston" che dette l'avvio alla fortuna di Camilleri: oltre cinque milioni di copie. Gli anni 2000 sono quelli di Margaret Doody che ha venduto oltre 100 mila copie del suo Aristotele detective, e poi Penelope Fitzgerald, il russo Dovlatov, Bolano, Carofiglio e per ultima Alicia Gimenez-Bartlett.
Più di tremila titoli per quei "quadernetti" blu con i colori delle lettere e della cornice che cambiavano di numero in numero: una volta gialli, una volta celesti, una volta grigi, una volta rossi, quasi mai bianchi. Insomma eleganti e «ameni» come piaceva a Sciascia.
Massimo Lo Monaco
 
 

La Sicilia, 4.8.2010
La signora dei libri che regalò all'Italia Sciascia e Bufalino
Donna tenace, seppe creare un «centro intellettuale», scoprendo e incoraggiando a pubblicare i maggiori autori siciliani del '900, fino ad Andrea Camilleri

Un'idea precisa della cultura registra oggi il suo lutto con la morte, a 74 anni, di Elvira Giorgianni Sellerio. È la donna volitiva e d'impegno, dal carattere tenace che, con il marito, il fotografo Enzo Sellerio, fonda, nel 1969, l'omonima casa editrice.
Elvira nasce a Palermo il 18 maggio del 1936. Palermo è, per questa figlia di un Prefetto, il centro vitale, sia per gli studi condotti alla facoltà di Giurisprudenza, sia per l'impegno profuso a piene mani, dalla fine degli anni Sessanta, alla costruzione e alla crescita esponenziale della editrice. Ed in questa architettura intellettuale vibra, per quella lucidità espressiva votata ai valori della storia e della società, la figura di Leonardo Sciascia (già sollecitatore della Salvatore Sciascia Editore); un epicentro intellettuale capace di registrare, con largo anticipo, i minuscoli movimenti sismici di quel "riflusso" già incidente sull'Italia tutta, nel momento in cui la curva di crescita economico-politica raggiungeva il suo acme.
Si è, appunto, alla fine del decennio targato 'sessanta', e appare necessario impegnarsi in una rivisitazione critica della condizione sociopolitica, porsi, con forza, alla ricerca dello spessore umano non sganciato dalle esigenze d'una civiltà italiana in rapida ascensione, e troppo spesso messa a confronto con quei pericoli gemmati, come amava sottolineare Sciascia, dagli "imbecilli attivi", creature di cui l'attualità ci consegna testimonianza di tale amara profezia.
Su tale crocianesimo ad ampio raggio il marchio culturale della Sellerio si materializza nella collana "La civiltà perfezionata". Così vedono luce le "Lezioni su Stendhal" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa introdotte da Philippe Renard, il saggio di Robert Abirached "Casanova o la dissipazione"; poi dal "Goethe in Palermo" di Giuseppe Pitré ci si travasa nei suggestivi "Souvenirs" di Alberto Savinio annotati da Hector Bianciotti, e, dalle "Lettere sulla Sicilia" di Eugène Viollet La Duc, ai "Mimi siciliani" di Francesco Lanza in cui si osserva, scriverà in prefazione Calvino, quel "capovolgimento dei valori e delle gerarchie dei linguaggi, al sogno della realizzazione dei desideri, all'utopia". E all'utopia, per tale lettura in apparenza legata a tale segmento letterario, viene offerta un'apertura metaforica sulla condizione italiana del momento, in cui si svolge il proficuo lavoro di Elvira ed Enzo Sellerio; si insiste con gli "Atti relativi alla morte di Raymond Russel" e con "L'affaire Moro" (che vende oltre centomila copie) di Leonardo Sciascia, oppure con "Gattería" di Nino Savarese, vestito di quel vigile europeismo e di quello smalto rondistico evidenziato dall'acume critico di Enrico Falqui.
I libri della "Civiltà perfezionata" sono bianchi, stampati su carta Bodonia in cui si privilegiano la tattilità epidermica e ideativa. Una miscela, un succo emozionale pronto a conquistare da una postazione periferica, ma privilegiata quale Palermo (millenaria capitale), il suo posto di comunicazione, pronto a superare la barriera della 'nicchia', pur insistendo con i temi scottanti e arditi d'una Sicilia che opera, vera e propria cartina di tornasole dei continui cambiamenti sociali, nel suo laboratorio umano e ideale tra contraddizioni e feroci costrizioni, ma vividamente aperti al confronto col dibattito nazionale.
Da tale espressiva necessità editoriale, pur riflettendo il percorso della qualità, ecco la collana blu della "Memoria" (prossima ai mille titoli) dove si registra "La diceria dell'untore" di Gesualdo Bufalino, vincitore del Supercampiello nel 1981. Seguono collane di prestigio: la "Biblioteca siciliana di Storia e Letteratura", "Prisma", "Quaderni", "La Diagonale"; e autori di forte tempra: da Tabucchi a Consolo, da Luisa Adorno a Maria Messina ad Andrea Camilleri; poeti (da Ignazio Buttitta a Stefano Vilardo), intellettuali e storici: da Lucio Canfora a Francesco Renda. Così Elvira Sellerio (Cavaliere del Lavoro, Laurea Honoris Causa in Lettere) lascia la sua impronta più vera: una città letteraria e morale schiusa ai mille nomi delle sue copertine, nella trama d'una idea prossima, sempre più, a quell'utopia mirata e catturata dalle mani sapienti di pochi amici.
Aldo Gerbino
 
 

Massimo Coppa Zenari, 4.8.2010
E’ morta Elvira Sellerio, la dama dell’editoria italiana
Quell’errore nell’ultimo Montalbano e le mie e-mail con la casa editrice di Camilleri

Dopo una terribile malattia si è spenta Elvira Sellerio, la dama dell’editoria italiana, colei che ha letteralmente inventato la casa editrice omonima e che ha scoperto e lanciato autori di successo come Andrea Camilleri.
E proprio a causa del commissario Montalbano, alcuni giorni fa, avevo avuto uno scambio di e-mail con lo staff della casa editrice siciliana.
Sono un assiduo lettore di Camilleri: non mi sono perso un episodio del commissario Montalbano ed ho letto molti altri libri di questo autore.
Siccome so che non usa Internet e (secondo qualche resoconto di stampa) non possiede nemmeno il telefono, allora mi sono permesso di scrivere alla sua casa editrice, con la speranza che potesse farmi da tramite e farmi avere una risposta.
Nell’ultima avventura di Montalbano, “La caccia al tesoro” (peraltro mirabile, una delle più belle che Camilleri abbia scritto, secondo me), a pag. 76 si legge: “Quanno era nico qualichi volta sò zio l’aviva portato da ‘n amico che aviva la campagna da quelle parti e lui quella strata, allura trazzera, se la ricordava che era, a mano dritta, tutta un gran bosco di maestosi aulivi saraceni e, a mano dritta, ‘na distesa di vigne a perdita d’occhio” (grassetto e corsivi sono miei).al computer per la tipografia (perché, sempre da resoconti di stampa, pare che Camilleri non usi il computer).
Una delle due mani è, indubbiamente, “mancina” o “sinistra” che dir si voglia. Ma quale?
La Sellerio (intesa come azienda, non la signora in persona) mi ha risposto che la versione corretta (che sarà inserita nelle prossime edizioni) vede la seconda “mano dritta” intendersi come “mano manca”. In più mi hanno inviato a casa un libro in omaggio, contenente le copertine di tutte le edizioni di Camilleri pubblicate in qualsiasi parte del mondo.
Anche da questi particolari e da questa attenzione per il lettore si vede l’eleganza di una casa editrice che si voleva, ed è stata finora, “diversa” dagli altri. Ed ora la sua fondatrice non c’è più.
 
 

Unilibro, 4.8.2010
Andrea Camilleri - Due nuovi romanzi in anteprima, sconto -20%

ANDREA CAMILLERI: 2 nuovi straordinari romanzi in anteprima esclusiva e ad un prezzo eccezionale SCONTO -20% --- "L'Intermittenza" in uscita ad Agosto [Settembre?, NdCFC] da Mondadori e "Una voce di notte" dove ritroviamo grande protagonista il mitico Commissario Montalbano!
 
 

Arzyncampo, 4.8.2010
“La caccia al tesoro” di Camilleri: evocazioni di Carmelo Sciascia

Anche sull’ultimo libro di Andrea Camillieri è sceso il sipario della “fine lettura”: è un sipario, perché rimane in memoria la rappresentazione della narrazione, come scena di teatro. Ripeto: so il modo di scrivere di Camilleri, conosco i personaggi e la tematica dei suoi racconti, la tecnica e la lingua, è inutile che continui a leggerne! Poi come in automatico, ogni nuova pubblicazione, non so come, finisce nelle mie mani ed in un fiat è divorata.
L’ultimo libro, “La caccia al tesoro”, edito da Sellerio, reca in copertina una bella riproduzione del Donghi, un quadro del 1926, “il giocoliere”. Questo dipinto, cioè l’immagine di copertina, uno dei motivi per cui ho preso libro. Avevo visto una mostra al Complesso del Vittoriale a Roma nell’inverno 2007, il Donghi è un autore che colloca i suoi personaggi e con loro lo spettatore in un mondo sospeso, immobile, con una rappresentazione realistica ed una tecnica raffinata. Avevo anche in una bancarella, nei pressi di Termini, visto un catalogo completo su quest’autore, che ahimè ha voluto tenere il mio amico Pippo. Comunque, tornando a noi, non è del Donghi che volevo parlare, ma di un libro dello scrittore di Porto Empedocle, La caccia al tesoro.
Mi accorgo comunque, ad ogni battuta, che è difficile scrivere di quest’autore, senza un continuo rimando. Ed è questo il bello forse di un libro, ne avevo accennato a proposito di Carofiglio, continuo a ripeterlo per Camilleri. Lasciamo la copertina ed andiamo al contenuto: il contenuto, ci rimandar ad episodi letterari abbastanza controversi e strani. In primis un altro artista, niente poco di meno che Kokoschka. Kokoschka aveva avuto una relazione con Alma Mahler (moglie del musicista Gustav) per due anni, poi era stato abbandonato per l’architetto Walter Gropius., mentre lui era al fronte ( partito per la grande guerra). L’artista, si faceva fabbricare, perseguitato dalla “presenza” di Alma, una bambola a sua immagine, che un paio di anni appresso distruggeva “uccidendola”. Quindi abbiamo già, senza ancora entrare nel merito del libro, (non so se ce ne addentreremo), accennato a due rimandi, di due pittori, diversi tra loro che comunque col libro sono in combutta, visto che il libro parla di bambole, di perversioni, di atmosfere sopite ed inerti. Altro riferimento letterario, nel senso di scrittore stavolta, il libro di Tommaso Landolfi, titolato “La moglie di Gogol”. Anche qui il riferimento ad una bambola gonfiabile che veniva accudita come “moglie” e che infine viene “uccisa” facendola esplodere in mille pezzi. Quest’ultimo libro di Camilleri è un vero e proprio noir, svolto secondo i canoni classici, partendo da una rappresentazione calma, sopita alla Donghi - “troppo tempo stava passando senza che era capitato nenti e perciò la probabilità che continuava a non capitari nenti si era arridotta di assà” - per poi giungere, in un crescendo dalle forti pennellate espressioniste alla Kokoschka, alla bambola gonfiabile - “aviva perso ‘na parte dei capelli, le ammancava un occhio, una minna era addivintata grinzosa e aviva il corpo qua e là cosparso di tondini e rettangoli di gomma grigia”-.
Ad una prima bambola, danneggiata per il tempo e l’usura, se ne aggiunge una seconda, quella rinvenuta nel cassonetto, dove i danni sono stati provocati artificialmente. Questa seconda bambola ha gli stessi guasti quindi della prima, cui ha tratto ispirazione, così come l’opera del Landolfi non poteva esimersi dal considerare gli aspetti della biografia di Oscar Kokoschka. E così in un crescendo di note per una oscura caccia al tesoro, il racconto sale di tono, aumenta la tensione, ci fa partecipe di una follia. “no, a considerari e a riconsiderari bono, sempri cchiù si faciva persuaso che la caccia al tesoro non era un joco per nenti ‘nnuccenti, anzi era decisamenti periglioso”.-puzzava di sangue, di marciume, di carne decomposta, di malattia-.
La scena clou di un odierno noir cinematografico: “Pirchì il corpo nudo era sì quello di Ninetta, non c’era dubbio, sulo che quel corpo era stato cangiato in quello di ‘na bambola gonfiabile, precisa ‘ntifica alle altre dù”. E siamo alla terza Bambola! Questa bambola non ha niente a che vedere con le altre due, che possono essere viste come modello di una esperienza di esaltazione, umiliazione e vaneggiamento, questa è in carne ed ossa! Questa è una ragazza bella, buona e vergine. Il colpo di teatro. Il salto, da una rappresentazione alla realtà. È la follia. Ma la follia, (come la razionalità), è spesso legata alle parole, al significato delle parole: “ex ore tuo te judico”. Attraverso la comprensione dei versi, dei termini usati per la caccia al tesoro si può arrivare al colpevole. Capire la scrittura è capire ed interpretare la realtà: “la civiltà dell’omo non è fatta dalle parole? E che viene a diri che in principio era il verbo?” un rimando filosofico - ed il personaggio negativo di questa storia è uno studente di filosofia- come questo lo lascio volentieri a quei 25 lettori che hanno avuto la pazienza di giungere a questo punto della riflessione!
Siamo di fronte, impietriti, ad una manifestazione crudele, a una psicopatia, come se ne vedono in quei film dell’orrore che mi sono sempre persuaso sarebbe meglio non vedere (ed io non ne ho visti). Il riferimento all’attualità, mi pare lapalissiano. Si vuole (o è stato già fatto?) creare un mondo, dove la realtà è pre-annunciata dalle parole. Infatti, un uso distorto ed ossessivo delle parole (e delle immagini) creano un mondo che, in quanto a crudeltà, intesa come negazione della dignità umana, nulla ha da invidiare a quello rappresentato. Forse corro con la fantasia, anche perché nella nota di fine racconto l’autore dice che il romanzo è frutto della sua fantasia….ed allora, anziché costruirci interpretazioni sociologiche, nulla togliendo al valore letterario dell’opera, sarebbe meglio scomodare Freud?
Claudio Arzani
 
 

Gazzetta del Sud, 4.8.2010
Magna Graecia Teatro Festival
L'assessore regionale Caligiuri: «Vogliamo una rivoluzione culturale»

Locri. «In Calabria si sta realizzando un piccolo miracolo laico; esistono teatri ed anfiteatri della Magna Grecia che rivivono grazie a spettacoli antichi e moderni di straordinario valore. Vogliamo dimostrare come la cultura sia un importante elemento di cambiamento; già il nostro presidente Scopelliti aveva annunciato la volontà di adottare una vera e propria rivoluzione culturale: è quello che stiamo iniziando a fare». Ha esordito così l'assessore regionale alla Cultura, Mario Caligiuri, alla conferenza di presentazione del cartellone che, nell'ambito del "Magna Graecia Teatro Festival 2010" sarà offerto al pubblico presso il Tempio di Marasà, a Locri, dal 10 agosto al 7 settembre.
[...]
Il 31 agosto "Motion", di e con Dario Natale, liberamente ispirato a "Il gioco della mosca" di Camilleri.
[...]
(a.c.)
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 5.8.2010
L'addio a Elvira Sellerio folla alla camera ardente

Elvira Sellerio riposa in un salottino carico di cose care: i dipinti alle pareti, tutti ritratti antichi, la collezione di ex voto, i ninnoli e poi i fiori, tanti, tantissimi, sistemati ai piedi della bara. Nella casa di via Siracusa, pochi metri più avanti rispetto alla sede della casa editrice, c'è un pezzo di città che si stringe attorno alla famiglia, al marito Enzo e ai figli Antonio e Olivia, in un'atmosfera commossa e composta.
Ci sono gli amici, i collaboratori, i consulenti, i tanti intellettuali che a vario titolo hanno frequentato casa Sellerio, che significa quello stesso salotto così come gli uffici, secondo il concetto familiare che, a detta di molti, segna l'attività della casa editrice. C'è il senatore Ludovico Corrao, anima delle Orestiadi di Gibellina, c'è l'antropologo Nino Buttitta con la moglie Elsa Guggino (anche lei autrice Sellerio), c'è il rettore dello Iulm Gianni Puglisi, il direttore della rivista "Segno" padre Nino Fasullo, e tanti altri. Si intrecciano i ricordi su donna Elvira che affiorano uno dopo l'altro e che tratteggiano la mamma, la moglie, l'amica, l'editrice, mentre dalla cucina continuano ad arrivare tazzine di caffè e alla porta bussano nuovi amici e nuovi fattorini di fiorai. Ognuno è testimone di un episodio, di un fatto, di un libro.
Nel registro che raccoglie le firme dei presenti spicca il nome di Annamaria Sciascia, la figlia dello scrittore, ovvero il nume tutelare che battezzò la nascita della Sellerio.
Tutti si danno appuntamento per oggi, per il funerale che sarà celebrato alle 11 nella chiesa di Sant'Espedito, in via Garzilli. Chi mancherà di certo sarà l'autore-principe della Sellerio, Andrea Camilleri, che si trova in Toscana e che preferisce restare lontano e in silenzio.
Oltre via Siracusa e i suoi toni sommessi, arriva l'eco di una polemica: il consigliere comunale Davide Faraone del Pd si stupisce per un altro silenzio, quello del sindaco Cammarata, e per il fatto che non sia stato proclamato il lutto cittadino a fronte della scomparsa di una personalità illustre come Elvira Sellerio. «Questa è una città che ha la memoria corta - scrive Faraone nel suo comunicato - e tende a dimenticare tutto troppo presto, soprattutto i suoi figli migliori. Un personaggio come Elvira Sellerio, che proprio alla memoria ha dedicato una delle sue collane di libri più riuscite, avrebbe meritato questo tributo da parte dell'amministrazione».
Dentro, tra il salottino e la sala d'ingresso, c'è tempo e voglia solo per abbracci e strette di mano.
Mario Di Caro
 
 

Gazzetta del Sud, 5.8.2010
Quelle estati, nella villa della signora Elvira
Il fotografo Giuseppe Leone: «Aveva un rapporto idilliaco con la nostra città e le campagne»

Il grande cancello in ferro battuto della villa alle porte di Marina è chiuso. La signora Elvira era attesa per uno di questi giorni. Un vicino aveva anche sentito dire che sarebbe arrivata proprio martedì. Quel giorno, invece, è giunta solo la notizia della scomparsa di Elvira Giorgianni Sellerio. Una cappa di tristezza è calata anche su contrada Gaddimeli.
I residenti e i villeggianti si erano, ormai, quasi abituati alla presenza di questa donna che aveva provveduto a ristrutturare una vecchia masseria, rendendola una residenza di gran classe. Elvira Giorgianni Sellerio, da cinque o sei anni, trascorreva le sue estati nella campagna a monte di Marina di Ragusa. Dalla terrazza della villa si domina il canale di Sicilia; a monte c'è la campagna ragusana, ormai sempre più urbanizzata e con i carrubi che faticano a mettere radici tra le fondamenta delle nuove edificazioni.
«Si, è vero – rivela un vicino – aspettavamo il suo arrivo, come ogni estate. Qualcuno ci aveva detto che sarebbe arrivata questa settimana, forse già martedì. Invece è arrivata la notizia della sua scomparsa».
Qualcun altro racconta della sua familiarità con l'ambiente di Marina di Ragusa e di come spesso fosse lei stessa ad andare al supermercato per la spesa o ad adempiere alle faccende quotidiane. Una donna normale? No, chi ha avuto modo di conoscerla, anche per i brevi periodi trascorsi a Marina di Ragusa, la ricorda come una «donna straordinaria, una vera signora».
All'interno della villa, ci sono solo il giardiniere e qualcuno dei collaboratori della famiglia Giorgianni Sellerio. Nessuno, ovviamente, ha voglia di parlare. La scomparsa dell'editrice ha colpito tutti. L'ultima volta che ha messo piede a Marina è stata la scorsa estate. La signora Elvira aveva il suo alloggio al primo piano. Al piano terra, ci sono invece gli appartamenti dei figli Olivia e Antonio (da tutti indicato come il successore alla guida della casa editrice).
In quella villa, amava ricevere alcuni tra i suoi più cari amici, ma anche scrittori, uomini di cultura e di spettacolo. La villa era frequentata da Andrea Camilleri, dall'antropologo Antonino Buttitta, da Adriano Sofri, da Luca Zingaretti, da Giuseppe Leone.
E proprio il fotografo ragusano conserva un ricordo molto personale della signora Elvira: «L'ultima volta – dice al telefono da Palermo dove oggi parteciperà ai funerali – ho incontrato la signora Elvira la scorsa estate, a Marina di Ragusa. Aveva un grande feeling con Ragusa. Manteneva un rapporto idilliaco con la città e le nostre campagne. Trascorreva gran parte della sua estate a Marina, rafforzando il suo rapporto profondo con il nostro territorio. Ricordo ancora la cena della scorsa estate nella sua villa, ma soprattutto il mio primo libro di immagini, pubblicato proprio da "Sellerio", nel 1978. Ha dato lustro alla Sicilia. Amava i libri. Erano la sua passione e l'editoria era la sua vocazione. Ero legato a lei – conclude il maestro Leone – da un'amicizia trentennale. Ci lascia come eredità un'etichetta di altissima qualità e l'immagine di una Sicilia a tutti molto cara».
Il rapporto tra Elvira Giorgianni e la provincia di Ragusa cominciò da ragazzina. Visse nella nostra città con la sua famiglia, avendo il padre svolto il ruolo di prefetto nella nostra provincia. A Ragusa è rimasta una delle sorelle, che ha sposato un noto imprenditore, e anche il fratello Mario Giorgianni è spesso tornato in città, in qualità di componente della commissione Risanamento dei centri storici.
Non si può, però, tratteggiare il rapporto tra Elvira Sellerio e la provincia di Ragusa senza accennare al ruolo che ha rappresentato per la casa editrice palermitana Gesualdo Bufalino. «Diceria dell'untore» fu pubblicato da Sellerio nel 1981. Rappresentò il caso editoriale di quell'anno. Vinse il premio «Campiello», vendette solo in quell'anno più di 40 mila copie e contribuì a lanciare la Sellerio nel giro delle grandi case editrici italiane. Quel romanzo propose all'attenzione generale anche Gesualdo Bufalino che, finalmente, uscì dai confini delle realtà culturali e letterarie della nostra provincia.
La provincia di Ragusa ha dato alla casa editrice autori come Bufalino e Leone, ma ha anche ricevuto tanto, basti pensare alle ricadute, in termini di sviluppo turistico, legate alla serie tv tratta dai romanzi del «Commissario Montalbano, firmati da Andrea Camilleri: un'altra delle belle scoperte della signora Elvira.
Alessandro Bongiorno
 
 

La Sicilia, 5.8.2010
Elvira, Montalban e Montalbano
La Sellerio e i suoi gioielli, da Sciascia al papà dell'ispettore Carvalho ereditato da Camilleri

Di fascino ne aveva da vendere. Bella, colta, spigliata, intelligente e ironica, figlia di un prefetto, Elvira Giorgianni Sellerio, morta a 74 anni a Palermo, possedeva quella sicurezza di sé che discende da solide origini borghesi e dalla consapevolezza delle proprie capacità. Signoreggiava anche su Leonardo Sciascia che ne subiva il fascino. Li vidi insieme per la prima e ultima volta ad un'edizione del premio Racalmare a Grotte. Al ristorante, davanti ad un piatto di cavateddi al pomodoro, lo scrittore di Racalmuto poco loquace, una volta che aprì bocca fu zittito da lei con un sibilo di disappunto. Nel loro rapporto risaltava la venerazione dell'editrice per il maestro ma anche la spavalderia della donna abituata ai salotti che contrastava con la timidezza dell'uomo cresciuto in paese, capace di dominare la scrittura e la cultura ma inabile a districarsi tra le schermaglie della civetteria femminile.
Il premiato in quell'occasione, nel 1989, fu Manuel Vazquez Montalban, lo scrittore catalano autore di "Assassinio al comitato centrale", pubblicato in Italia appunto dall'editore Sellerio, e padre del detective Pepe Carvalho.
Al premio ci fu incrocio di destini: Sciascia, l'intellettuale che aveva creato la raffinata linea editoriale della Sellerio, fece premiare l'autore da cui Andrea Camilleri, allora inesistente come scrittore, avrebbe preso a prestito il nome del suo fortunato commissario Salvo Montalbano che della casa editrice, con uno straordinario successo, avrebbe risollevato le sorti in un periodo di grave crisi finanziaria.
A quell'epoca Elvira Sellerio era già una donna famosa e si muoveva in modo autonomo. A Sciascia quell'avventura editoriale che da artigianale si era mutata in industriale non piaceva più. Lei però non mancava mai di ricordare il suo debito di gratitudine verso lo scrittore che dell'affermazione della casa editrice era stato l'artefice, sia con la scelta raffinata dei testi da pubblicare, valga per tutti "Il procuratore di Galilea" di Anatole France, sia con i propri libri come "Dalle parti degli infedeli" e "L'affaire Moro".
Se lo scrittore di Racalmuto era stato un puntello fondamentale, l'altro, meno evidente era la Regione siciliana che con l'acquisto di libri garantiva un solido sostegno economico. Insomma un'impresa editoriale che andava sul sicuro grazie alle relazioni palermitane della signora. Nel 1994 però la Rete di Leoluca Orlando fece scoppiare lo scandalo e il caso finì in tribunale.
Elvira Sellerio però non rinunciava mai a raccontare la storiella edificante dell'imprenditrice avventurosa che aveva lasciato l'impiego all'Ente di sviluppo agricolo siciliano due mesi prima della pensione e che con i dodici milioni della liquidazione aveva creato la casa editrice con il marito, il fotografo Enzo Sellerio. Raccontava di quando nel 1969 portava sotto braccio lei stessa i libri alle librerie.
Da allora comunque il suo cammino era stato costellato da successi editoriali: da Bufalino a Camilleri. Riguardo allo scrittore di Comiso fu creata la storiella della scoperta per caso, grazie ad un saggio su un fotografo apparso su "Comiso viva", una raccolta di scritti di autori vari. Elvira Sellerio aveva capito perfettamente i meccanismi dell'editoria industriale e della tecnica di lancio commerciale dei libri.
Se le piaceva alimentare il mito di un'impresa editoriale nata dal nulla, è innegabile che la casa editrice Sellerio, grazie alla sua straordinaria abilità e alla benevolenza del caso, è diventata un punto fermo dell'editoria siciliana e nazionale.
Per capire com'era la donna, ci pare significativo questo breve dialogo di tanti anni fa.
"Non m'importa delle rughe, ho tante gratificazioni sul lavoro". E raccontò di un giornalista romano andato a Palermo a intervistarla per un serie di articoli su come seducono le donne che hanno imboccato il viale del tramonto.
"Con il telefono", gli rispose.
Le obiettai che lei non ne aveva bisogno, e lei replicò: "Grazie, con un complimento del genere ci campo un mese".
Salvatore Scalia
 
 

Liberazione, 5.8.2010
Lascia tremila titoli l'editrice siciliana, scomparsa lunedì all'età di 74 anni
Dalla Sicilia al mondo la grande sfida di Elvira Sellerio

Andrea Camilleri ha rifiutato più volte le numerose offerte di grandi casi editrici, pronte a pubblicare i suoi libri. Il grande scrittore siciliano, creatore del commissario Montalbano, non ha mai pensato di abbandonare Elvira Giorgianni Sellerio, quella donna straordinaria, esponente di rilievo della Palermo colta, che nel 1969, oltre quarant’anni fa, aveva fondato la casa editrice con suo marito Enzo Sellerio, celebre fotografo dal quale poi si sarebbe separata. Lei era una funzionaria pubblica e decise di licenziarsi utilizzando tutta la sua liquidazione per la realizzazione dell’impresa. I suoi volumi sono immediatamente riconoscibili in libreria per le loro ridotte dimensioni e per le belle immagini di copertina, di solito delle opere d’arte riprodotte in scala più piccola o delle incisioni di grandi illustratori come Mino Maccari, Tono Zancanaro e Bruno Caruso. Scomparsa lunedì scorso ancora relativamente giovane, aveva 74 anni, Elvira era nata a Palermo il 18 maggio 1936. Suo padre era un prefetto e lei si era laureata in giurisprudenza conseguendo anche il titolo di “cavaliere del lavoro”. Nel 1991 era stata insignita della laurea honoris causa in lettere presso la facoltà di magistero di Palermo e proprio in quel decennio, esattamente nel 1993-94, aveva fatto parte del consiglio di amministrazione della Rai durante quella che venne definita l’epoca dei “professori”. Come dicevamo il suo impegno nel mondo dei libri risale alla fine degli anni ’60. Fin da subito si capì l’enormità della sfida. Dare ad una casa editrice siciliana, destinata quasi per definizione ad essere relegata in una dimensione locale, un’impronta invece nazionale. E così fu grazie in particolare al suo stretto rapporto con Leonardo Sciascia e con Gesualdo Bufalino. Fu grazie a quest’ultimo se nel 1981 riuscì a vincere il Campiello con Diceria dell’untore, il romanzo che ha fatto conoscere al grande pubblico lo scrittore di Comiso. Ma questo percorso, ora evidente e scontato, non è stato facile. Già con le prime pubblicazioni emergevano due linee, anche se convergenti: una più legata alla letteratura siciliana; un’altra più attenta invece a quella letteratura europea meno nota e più colta. Non a caso i primi due titoli furono Mimi siciliani di Lanza e Lettere sulla Sicilia di Eugène Viollet Le Duc, scrittore francese. Negli anni successivi emerse un vero e proprio dissenso tra chi voleva rimanere all’interno di una dimensione amatoriale e chi invece, come Elvira, intendeva cimentarsi con una presenza editoriale di dimensione nazionale. La svolta, che fa conoscere la Sellerio all’intero Paese, coincise con l’uscita nel 1978 del libro di Leonardo Sciascia L’affaire Moro. Venderà centomila copie, un testo di denuncia come li sapeva fare solo l’autore de Il giorno della civetta. Anche se la vera consacrazione nazionale arrivò nel 1981 quando ci fu appunto l’affermazione di Bufalino che vinse un meritatissimo premio Campiello. L’altra svolta è stata la nascita, l’anno dopo, della collanina blu della Memoria, oggi simbolo della produzione letteraria selleriana. In un contesto dunque di grande crescita all’interno della piccola casa editrice di via Siracusa maturava però un dramma. L’allontanamento tra i due fondatori, tra Enzo ed Elvira. Lei sperava che questo impegno comune potesse dare nuova linfa al loro matrimonio ma così non fu: «In quel periodo – racconta l’editrice scomparsa in un’intervista a Repubblica del 2001 – sentivo che Enzo cominciava a essere insofferente, ad annoiarsi. Ho pensato che mollare col mio lavoro e investire con le mie energie in un progetto come quello della casa editrice ci avrebbe in qualche modo riavvicinati». Così non fu. I due nel 1979, proprio mentre quei bei libri cominciavano da Palermo a riempire gli scaffali di tutto il Belpaese, si separano, dopo una relazione di quasi vent’anni, decidendo di dividere la casa editrice in due società distinte: «Di comune accordo decidemmo che lui avrebbe continuato a pubblicare i libri illustrati, mentre io avrei curato le collane di narrativa e di saggistica». La signora Elvira non demorse e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ed è un risultato attribuibile soprattutto alle donne. Sì, alle donne perché «è in generale con gli uomini che ho avuto gli scontri più duri». Tanto che nei suoi uffici, a parte suo figlio Antonio, sono state solo le donne ad aiutarla, soprattutto Chiara Restivo, figlia dell’ex ministro e moglie dell’ex magistrato Giuseppe Di Lello. Si deve a lei e a loro se negli anni ’80 la casa editrice dei libretti blu contribuì con forza alla scoperta di una nuova generazione d scrittori e ad esportare la cultura italiana all’estero. Cominciava così l’era di Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno. Nessun inedito ma autori caduti nel dimenticatoio che tornavano ad essere dei giganti della letteratura nazionale. Negli anni ’90 sarà il genere poliziesco la chiave del successo della Sellerio. E’ Carlo Lucarelli con Carta Bianca, protagonista il commissario De Luca, a dare il via ad una serie che vedrà poi grande protagonista proprio Andrea Camilleri. Cinque milioni sono le copie vendute a Palermo e in Italia dei racconti dell’anziano giallista più i diritti di traduzione venduti fino al Giappone. Una fase che coincise in parte con gli anni, pochi per la verità, dell’impegno in Rai di Elvira Sellerio che la porterà lontana dall’azienda ma che saranno per lei importantissimi per la sua crescita personale. Quando poi è stata costretta dalle circostanze e da un ambiente certo discutibile a dimettersi lo fece con la consapevolezza che ci sarebbero stati i suoi libri ad aspettarla. Con la sua scomparsa, Elvira lascia a suo figlio Antonio tremila titoli in catalogo e soprattutto la dimostrazione, purtroppo una delle poche, che, pur stando in un’area svantaggiata, si può fare cultura e della migliore a livello nazionale. Mancherà sicuramente a chi ama la Sicilia e l’Italia colta e democratica.
Vittorio Bonanni
 
 

Corriere della Sera, 5.8.2010
Piazza Grande
I geni vanno in panchina e l' eros diventa fitness
Premio autoironia. Lo scrittore Cappelli ammette che le classifiche non gli sono mai piaciute perché il suo nome non ci entrava mai. Bravo

Anche con la morte della grande Elvira Sellerio («La signora di Sciascia e Camilleri» titola «Repubblica»: però di più Sciascia) è partita la corsa al protagonismo postumo sgomitante, all' io c'ero, al mi disse, al mi confidò, a quella che volta che io e lei, eccetera. E per cui, solo sigle per non avere troppi nemici: «Conobbi Elvira nel 1983» (AT); «Mandai il romanzo a Elvira, che mi disse: "Bellissimo, però..."» (AC); «Mi arriva una telefonata a casa, risponde sento una voce di donna: "Sono Elvira Sellerio"» (CL); «Risposi di sì» (LC); «Elvira è stata una persona meravigliosa con me» (AGB); «Da direttore di rete, una notte mi telefonò. Mi chiese...» (GM); «Una sera mi telefonò all'ora di cena» (GDR); «Volle sapere di me, della mia famiglia, della mia vita» (SN). Però, come scrive Marcello Sorgi sulla «Stampa», fumava incessantemente anche quando era molto malata. Grande e simpatica. Riposi in pace.
[…]
Pierluigi Battista
 
 

Gazzetta del Sud, 5.8.2010
Teatro di campagna
Commedia comica di Nino Martoglio

Oggi, alle 21,45, nel corso dell'inaugurazione del Teatro di campagna in contrada Landro di Gioiosa Marea - sede estiva dello stabile di prosa di Messina diretto da Massimo Mollica - verrà messa in scena la commedia di Nino Martoglio "L'antidoto, ovvero il contravveleno". La direzione artistica è dello scrittore Andrea Camilleri. Protagonisti Massimo Mollica, Giovanna Battaglia, Nino Scardina, Giusy Vitale e Carla Luvarà.
[Si tratta probabilmente di una riedizione dello spettacolo messo in scena da Camilleri nel 1980 ma di certo non c'è la sua direzione artistica, NdCFC]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 6.8.2010
L'addio a Elvira Sellerio. Palermo saluta la sua regina della cultura

Per l'ultimo sguardo al volto pacificato dalla morte di Elvira Sellerio Giorgianni, da fissare nella memoria, i figli Olivia e Antonio e l'ex marito Enzo, vogliono restare soli nella stanza della veglia, straripante di fiori e delle pitture che lei amava. Tutti escono sommessamente e la porta si richiude sul dolore, sulle lacrime, sui ricordi. Nelle stanze accanto, per le scale e davanti al portone, crocchi di amici, scrittori e parenti. Sparpagliati i collaboratori storici della casa editrice fondata da Elvira ed Enzo Sellerio e Leonardo Sciascia: Chiara Restivo, Gabriele Miccichè, Valentina Alabiso, Floriana Ferrara, Maurizio Barbato e Stefano Cardella. Tutti con gli occhi rossi e con poca voglia di parlare. Alle 11 e qualche minuto scende il feretro, un intenso applauso, e dal numero 50 di via Siracusa comincia il lungo giorno della memoria e della dimenticanza, della presenza e dell'assenza, dell'amore e della polemica, dell'ira e della trascendenza. Il corteo funebre raggiunge la piccola chiesa di Sant'Espedito martire di via Garzilli, già stracolma. Olivia se la prende con l'aggressività dei reporter che pressano e il padre Enzo, numero uno dei fotografi siciliani e non solo, la invita a portare pazienza «perché fanno il loro lavoro». Vincenzo Consolo e la moglie Caterina, venuti da Sant'Agata Militello, hanno aspettato per oltre un'ora sotto le spelacchiate foglie di un piccolo platano. Non c'è la città del Festino, né quella dello stadio - non c'è da stupirsi, Palermo da sempre mostra scarsa riconoscenza per chi l'ha fatta grande - ci sono però gli amici, tantissimi, quelli che hanno frequentato, e voluto bene, donna Elvira. In un buco nero virtuale il vuoto dei grandi autori da lei lanciati, quelli dei best seller: Andrea Camilleri, acciaccato, è rimasto in Toscana, ma ha incaricato un amico palermitano di portare a suo nome un cuscino di fiori, Tabucchi, Carofiglio, Canfora, Lucarelli, la Bartlett e tanti altri sono altrove. «Avranno preferito restare a mare», chiosa malizioso Consolo. Proprio l'autore de "Il sorriso dell'ignoto marinaio" inscena una plateale protesta durante la funzione religiosa. Quando prende la parola l'assessore Mario Centorrino, portando i saluti del presidente Raffaele Lombardo, Consolo, la moglie Caterina e il fotografo Salvo Fundarotto, per protesta abbandonano gli scranni ed escono. Sul sagrato lo scrittore si accende una sigaretta con la mano tremolante dal nervosismo e sbotta: «Credo che in questo momento, in questa cerimonia la presenza dei politici sia offensiva per la memoria di Elvira. D'altra parte il contesto è questo ed Elvira non poteva prevederlo. Sono comunque sicuro che non li avrebbe voluti». Si lascia poi andare a una filippica contro questi tempi di xenofobia, corruzione, incultura, istupidimento generale. Oltre a Centorrino, che ha definito Elvira Sellerio «una sirena che ascoltava sogni, espressione della bella Sicilia», in seconda fila il sindaco Diego Cammarata e l'assessore ai Beni culturali Gaetano Armao. In fondo anche il primo cittadino di Porto Empedocle Calogero Firetto che è membro della Fondazione Camilleri insieme ad Antonio Sellerio. Giuseppe Scarafia, Daria Galateria, Silvano Nigro e Beppe Benvenuto sono tra i pochi autori "Sellerio" venuti appositamente da fuori. I primi due si dicono stupiti dalle assenze. «Non pensavamo proprio che fossero così tante», dicono e rimarcano l'intelligenza della defunta. Tanti gli scrittori siciliani presenti che hanno pubblicato con o grazie a donna Elvira: Piazzese, Violante, Quatriglio, Calabrò, Camarrone, Genco, Ferlita, Costa, Hamel, Cedrini, Guggino, Zanca e altri che nella confusione ci saranno sfuggiti. Tace Luca Sofri, venuto a portare gli affettuosi saluti del padre Adriano ammalato. Poca voglia di dire ha anche Andreina Camilleri, figlia dello scrittore: «Sono qui per abbracciare Olivia e Antonio, miei amici di fresca data, in memoria della loro madre mia vecchia amica». A officiare la cerimonia Nino Fasullo, redentorista, direttore della rivista "Segno", coscienza critica della città, che stavolta incentra l'omelia sulle scritture, sulla morte «nemica dell'uomo e perfino di Dio». Su Sodoma e Gomorra distrutte dal creatore in quanto emblema del male che si annida nelle città (i passi dell'Antico testamento sul tema sono stati letti da Salvatore Ferlita e Mario Azzolini, neo sindaco di San Mauro Castelverde). Solo in chiusura padre Fasullo ha affondato qualche stilettata. «Elvira ha fatto la sua parte per rendere più bella Palermo, l'ha onorata fino in fondo, ha realizzato cose sorprendenti e impensabili che restano patrimonio di tutti. Ma c'è chi costruisce come lei e c'è chi distrugge. Così sotto i nostri occhi c'è una città bella, ma offesa, provata, umiliata tante volte. E allora chiediamo a Elvira che interceda in cielo affinché il bene trionfi». È Nino Buttitta, amico da sempre, prezioso collaboratore della casa editrice, a pronunciare l'orazione funebre: «Una volta aveva detto così per caso che al suo funerale avrebbe voluto che si leggesse il trentanovesimo capitolo del Siracide, dal Vecchio testamento». Il professore comincia: parla del lettore che cerca la sapienza negli antichi, che si dedica allo studio degli uomini famosi per penetrare nella profondità della conoscenza e se ne bea. «Elvira - conclude Buttitta - ha riportato a Palermo i fasti di fine Ottocento quando la città era punto di riferimento culturale per l'Italia e l'Europa. E ciò che lei ha realizzato sarà continuato da Antonio, Olivia e Enzo e tutti noi. E noi siamo qui per celebrare l'amicizia per lei. Il suo tratto distintivo, come ha ben compreso il presidente Napolitano, che ha detto "ho perso un'amica", era proprio il senso dell'amicizia». Grandi applausi, come quelli al momento dell'ingresso e dell'uscita del feretro, portato a spalla tra gli altri parenti, dal figlio Antonio. Commozione e battimani anche per le parole di addio pronunciate dalla nipote Maria Fasino in nome della famiglia: «Hai vissuto la tua vita con immenso amore». Tanti gli intellettuali isolani presenti: gli scrittori Roberto Alaimo, Ignazio Apolloni e Saverio Lodato, il preside di Lettere Vincenzo Guarrasi, i poeti Saverio Romano e Nino Di Vita, l'ex sovrintendente del Massimo Francesco Giambrone, il disegnatore Vincino Gallo, le fotografe Shobha e Lia Pasqualino, il pittore Nicolò D'Alessandro, la soprintendente Adele Mormino, i registi Robertò Andò, Francesco Tornatore, fratello del premio Oscar Giuseppe e Rocco Mortelliti che in teatro e a cinema ha "trattato" opere di Camilleri, il produttore dei Montalbano tv Carlo degli Esposti. Presenti anche il questore Alessandro Marangoni e alcuni politici o ex: Costantino Garraffa, Michele Figurelli, Nino Mannino, Vito Riggio. E qualche notabile come Gerlando Miccichè, padre di Gianfranco, sottosegretario di Berlusconi. Gianni Minoli segue concentratissimo tutta la funzione, alla fine ricorda la sua amicizia con donna Elvira cementata all'ombra della Rai: «La soap opera siciliana "Agrodolce" l'ho programmata- dice- in omaggio a Elvira che, dopo l'esaltante esperienza napoletana di "Un posto al Sole" mi aveva chiesto di fare qualcosa per la "sua" isola. Ed è la figlia Olivia, con la sua splendida voce a cantarne la sigla. Ma di lei voglio ricordare anche altro. Si definiva "coltivatrice di indignazione da offrire alle riflessioni degli amici"». E si indignava, eccome se si indignava, donna Elvira in questa Italia di raggiri, truffe e sciacallaggi.
Tano Gullo
 
 

l'Unità, 6.8.2010
I funerali
Donna Elvira
Ieri nella chiesa di Santo Espedito si sono celebrate le esequie di una fuoriclasse
Una grande Palermo le ha dato l’ultimo addio

Si potrebbe dire, dicendo il vero, che una grande Palermo, per partecipazione e intensità di commozione, ha accompagnato per l’ultima volta la Signora intelligente e volitiva. Che sono state pronunciate parole vere; quelle di padre Nino Fasullo che, officiando, ha parlato di «una donna di questa città»; o di Gianni Minoli: «una donna che ha fatto della cultura una cosa grande»; o del professore Nino Buttitta, un laico che non si è sottratto all’ultimo desiderio dell’amica: leggere per lei brani dall’Antico Testamento. Si potrebbe dire, senza enfasi e condimenti retorici, che ieri mattina, nella chiesa di Santo Espedito, a due passi dalla centralissima via Siracusa, si sono celebrate le esequie di una Signora fuoriclasse nel mondo dell’editoria italiana ed europea, oltre che siciliana. Sarebbe anche esatto - e ovvio - registrare che raramente, a Palermo, si dà il caso che l’intera comunità, con i suoi ambienti più rappresentativi, partecipi ai funerali di personalità che hanno dato lustro indiscusso, diffuso cultura a piene mani, favorito e premiato le idee, spianato il cammino verso una terra migliore, una Sicilia migliore. E tutti sanno di quanto ce ne sia - ancora oggi - assoluto bisogno; e qui, lo scivolone nella retorica è inevitabile. Ma il fatto è che la vita di Elvira Sellerio - che, a quanto pare, alcuni chiamavano «Donna Elvira» - è una di quelle vite eccezionali che qualche volta scappano per la tangente, quando tutto intorno gli altri, per prudenza, rassegnazione, cinismo o autentica vigliaccheria, si sentono istintivamente, e saldamente, ancorati al grigiore del quieto vivere. Tutto vero, tutto giusto, tutto - sotto il profilo della cronaca – assai corretto. Si potrebbe ricorrere, come in tanti hanno fatto, a una sarabanda di nomi magniloquenti che da soli, ma meglio se messi in fila, compongono il gotha delle letterature d’ogni angolo del pianeta. Tremila libri, quasi altrettanti autori,una dozzina di collane, legati da un comune filo d’autore: il «marchio Sellerio», il marchio di Elvira. Se il bilancio della vita della Signora che se ne stava rintanata nella sua casa editrice - al civico 50 di via Siracusa, appunto - come fosse un bunker, per quanto elegante e raffinato, e dall’atmosfera surriscaldata dal confronto quotidiano fra intelligenze fuori dall’ordinario, dall’aria quasi irrespirabile per mille sigarette, si potesse racchiudere in un elenco di trofei editoriali sia pure sterminato, il suo resterebbe il bilancio dell’attività di un editore. Di un editore fuori dal comune, certo, ma pur sempre un editore. Ben altro si avvertiva ai funerali di ieri.
E proveremo a raccontarlo così. Una città, la cui nomea, da oltre un secolo, varca i confini per l’efferatezza delle sue storie nere, ha avuto in Elvira Sellerio un simbolo a tutto tondo, l’incarnazione di un’immagine positiva e diversa, e si è sentita in dovere di ringraziare. Era ora. E non stiamo parlando dell’ immagine della bellezza di sole e mare, o delle vestigia decrepite del passato, o di una cucina misteriosamente agrodolce, ma la bellezza, ben più significativa, di una donna che non si rassegnava,non accettava, e ne fece ragione di esistenza, l’efferatezza di quella storia. E rispose colpo su colpo, Elvira Sellerio. Sarebbe interessante affiancare alle date della storia cittadina - e di quanti funerali è stata intessuta la vita recente e passata di Palermo! - le date di pubblicazione dei libri Sellerio, dei libri la cui fattura lei curava con le sue mani. Colpo su colpo, dicevamo. Scrittura versus polvere da sparo. Intelligenza contro barbarie. Parola scritta contro detonazioni e omertà. Eleganza contro bieca volgarità.
Rientra fra i compiti d’ordinanza di un editore cavare il sangue dalle rape in una terra in cui, come diceva Leonardo Sciascia, i suoi abitanti non perdonano soprattutto due cose, «il fare» e avere delle «idee»? Non sappiamo. Ma certo è che Elvira Sellerio faceva, eccome se faceva. E aveva idee, eccome se ne aveva. Ecco perché seppe anche scoprire intelligenze nascoste, valgano da soli i nomi di Gesualdo Bufalino e Andrea Camilleri. Crediamo sia racchiusa tutta qui, in questa capacità di voler fare per cambiare la propria terra, e di saperlo fare con idee eccellenti, il segreto di Elvira Sellerio. Dicono che avesse un carattere «forte e determinato». Vero, anche questo. E d’altra parte non ci voleva forse carattere, in questi trent’anni, per far sì che la Sicilia non finisse nell’immondezzaio e alla gogna e sapesse invece trasmettere al resto del Paese, nonostante tutto, un messaggio di speranza e di cultura? È questo carattere che Elvira Sellerio lascia ai figli Antonio e Olivia, che ieri, pur se affranti, sembravano consapevoli di una eredità difficile ma entusiasmante. E c’era Enzo, il marito: altra vita, la sua, all’insegna del fare, all’insegna delle idee.
Saverio Lodato
 
 

Corriere della Sera, 6.8.2010
I funerali
L'addio a Elvira Sellerio con il libro del Siracide «Il suo miracolo continua»

«Il miracolo di Elvira continuerà grazie a Enzo e ai figli Antonio e Olivia». Così nell'orazione funebre Antonino Buttitta, figlio del poeta Ignazio, ha voluto ricordare ieri Elvira Sellerio, fondatrice della casa editrice siciliana, scomparsa martedì scorso a 74 anni. Una folla di parenti, amici e uomini di cultura ha preso parte ai funerali celebrati nella chiesa di Sant'Espedito a Palermo. Tra gli altri erano presenti Vincenzo Consolo, Gianni Minoli e Santo Piazzese mentre Andrea Camilleri ha fatto arrivare un messaggio. Nel corso della cerimonia sono stati letti alcuni brani dell'Antico Testamento, dal Libro del Siracide, rispettando un desiderio espresso dalla Sellerio qualche giorno prima di morire. Ieri il Consiglio comunale di Palermo ha deciso di dedicare alla Sellerio la biblioteca comunale, mentre il governatore Raffaele Lombardo ha lanciato l'idea di creare una fondazione.
Alfio Sciacca
 
 

Vogue Italia, 8.2010
Rimane in famiglia
Un romanzo di Andrea Camilleri arriva per la prima volta sul grande schermo

"Ho messo in scena spettacoli teatrali, opere liriche, ho girato film, ma, nonostante l'insistenza di amici e produttori, che mi pressavano chiedendomi "perche´ non giri un film tratto da un romanzo di Camilleri?", mi sono sempre rifiutato. Probabilmente non ero pronto", racconta con disarmante disponibilita` il regista Rocco Mortelliti.
"Poi, un giorno (nel 2000, ndr), Andrea mi fa leggere l'ultima stesura di La scomparsa di Patò e mi dice: "Fanne un film: e` nelle tue corde". Ci ho messo dieci anni, ma ci sono riuscito".
Mortelliti, infatti, ha appena finito di girare quella che e` la prima trasposizione cinematografica di un bestseller dello scrittore. Il quale, per conquistare il pubblico del grande schermo, da buon siciliano s'affida alla famiglia: Mortelliti e` il genero di Camilleri, e nel cast c'e` anche la figlia maggiore del regista, Alessandra, nel ruolo della moglie di Pato`.
(Nella foto: il set de La scomparsa di Patò, Naro, Agrigento)
Zoraide Cremonini
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 7.8.2010
Gli italiani di Camilleri
Si conclude il viaggio dello scrittore nei vizi e nelle tare del Duemila
Vogliamo la libertà dello scooter
6. Fine
Andrea Camilleri
[Riproposizione a puntate del saggio Cos’è un italiano?, pubblicato su Limes nel febbraio 2009]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 7.8.2010
La polemica
Politica e cultura tante parole e pochi fatti

C'è qualcosa che stona negli accorati messaggi di cordoglio che politici e amministratori hanno dedicato alla scomparsa di Elvira Sellerio, sottolineandone il ruolo insostituibile svolto in quarant'anni di attività editoriale. Come si concilia la volontà di intestarle fondazionie biblioteche con le scelte di politica culturale compiute in questi anni in Sicilia? Come pretende di essere credibile chi parla di "gravissima perdita per la cultura siciliana", ma poi taglia senza pietà i pochi fondi per le biblioteche?
Le somme per l'acquisto di libri, tra le spese culturali della Regione, negli anni si sono assottigliate fino a scomparire: i relativi capitoli di bilancio sono vuoti e mantenuti "per memoria". I soli 200 mila euro disponibili sono quelli destinati ai «contributi per la conservazione dei beni librari e per l'acquisto di pubblicazioni da assegnare alle biblioteche aperte al pubblico». Del resto, anche la legge per l'editoria che l'assessore Armao per ironia della sorte ha illustrato nello stesso giorno in cui l'editrice è scomparsa, prevede quattro milioni da ripartire in prestiti fino a 50 mila euro. Una formula che se da un lato permette di non violare la normativa sugli aiuti di Stato, dall'altro mantiene saldo il meccanismo della clientela, del favore da chiedere al politico di turno.
Un contesto in cui il Comune, presente al funerale con il sindaco Diego Cammarata, non sfigura: mentre la giunta candida ufficialmente Palermo a "Capitale europea della cultura" per il 2019, per l' anno corrente destina all'acquisto dei libri della sua principale biblioteca una fortuna pari a 273 (duecentosettantatrè) euro.
E dire che fu proprio un acquisto di libri a segnare il legame della casa editrice di via Siracusa con la politica. Un legame forte, culminato con la nomina della stessa Sellerio nel celebre "Cda dei professori" della Rai, tra il 1993 e il '94. Una storia di ombre e luci. A lungo l'editrice palermitana è stata al centro delle polemiche per un'inchiesta giudiziaria sulla vendita dei suoi libri alla Regione con presunte regole di favore, inchiesta poi terminata con la piena assoluzione dell'editrice stessa e degli amministratori coinvolti.
Ma altre volte la piccola casa editrice, che prima del salvifico boom di vendite dovuto al fenomeno Camilleri ha rischiato più volte la chiusura, ha incendiato le stanze del potere: nel '97 un disegno di legge presentato all'Ars da Forza Italia e An per aiutare gli editori in difficoltà - segnatamente la Sellerio - fece insorgere l'opposizione e le altre case editrici palermitane, che finirono sulle barricate. Tre anni dopo, l'approvazione del bilancio all'Ars slittò per le polemiche suscitate dal medesimo provvedimento, presentato questa volta dal governo di centrosinistra presieduto da Angelo Capodicasa, che stanziava sette miliardi delle vecchie lire per risanare le case editrici in difficoltà.
Al di là del bene e del male, di qualunque deprecabile favoritismo ed encomiabile battaglia culturale, è certo che Elvira Sellerio fosse un'autentica donna consapevole del suo potere. Autorevole, volitiva, combattiva, pronta a battere i pugni sul tavolo e a fare sentire il suo peso. Ma è anche giusto chiedersi da cosa questo potere, questo peso, discendesse: liquidarlo come figlio di sponsor politici sarebbe profondamente ingiusto. Perché "politica" era lei stessa, e il potere di cui disponeva era quello legato alle sue scelte, alle sue idee, alla consapevolezza di aver condotto con la sua piccola casa editrice la più vasta operazione culturale degli ultimi quarant'anni in una Sicilia ogni giorno più arida, asfittica e repellente. Se è vero, come è vero, che un amministratore parla per atti e non per dichiarazioni, quei messaggi di cordoglio, quelle presenze di assessori e amministratori al rito funebre, suonano come uno sberleffo. È difficile biasimare lo scrittore Vincenzo Consolo, che ha abbandonato polemicamente i banchi della chiesa di Sant'Espedito nel momento in Mario Centorrino - l'assessore regionale all'Istruzione e alla Formazione che poco dopo la sua nomina invitò a non leggere Tomasi di Lampedusa, Camilleri e Sciascia perché «troppo pessimisti» - ha preso la parola per parlare di Elvira Sellerio come «espressione della bella Sicilia». Quella Sicilia che lei e pochi altri hanno fatto bella, quella "Sicilia da esportazione" magnificamente rappresentata dal marchio Sellerio, basta davvero poco a sfigurarla.
Alberto Bonanno
 
 

DoreCiackGulp, 7.8.2010
Carlo Lucarelli e Andrea Camilleri in tandem, campioni di vendite

"Acqua in bocca", il libro scritto a quattro mani da Carlo Lucarelli e Andrea Camilleri è il più letto dell'estate. In questa opera, il cui ricavato andrà in beneficenza, i personaggi più noti dei due grandi giallisti, Salvo Montalbano e Grazia Nigro [Sic!, NdCFC], lavorano insieme alla stessa indagine. […]
 
 

Ravenna&Dintorni, 7.8.2010
La recensione
Il libro di Camilleri-Lucarelli? Irritante

Irritante, ecco come si potrebbe definire Acqua in bocca del duo Camilleri/Lucarelli, edito da Minimum Fax. Roba che ti verrebbe voglia di tornare dal libraio per farti ridare i soldi (anche se, a onor del vero, il libraio ti aveva avvisato del rischio) e sebbene le aspettative non fossero al top.
Se non fosse perché è stato primo in classifica per mesi, che è firmato da due importanti autori, pubblicato da una casa editrice che di solito “pacchi” come questi non ne rifila, e che (promettevano) è pure ambientato a Milano Marittima, tra happy hour e feste in spiaggia, non varrebbe la pena perdere tempo a scriverne (dopo averne perso, grazie al cielo pochissimo, a leggerlo). Ma il fatto è che se non fosse firmato da due nomi così, un libro del genere proprio non esisterebbe, perché nessuno, tanto meno Minimum Fax, lo avrebbe pubblicato. Poteva a dire tanto tanto andare bene per un fogliettone estivo a puntate su un quotidiano. “Una partita a scacchi” l’hanno definita. E a tratti si capisce che i due si saranno pure divertiti a scriverlo, tra un libro vero e l’altro, ma noi, poveri lettori? E anche loro, poveri personaggi. Chi non vuole almeno un po’ di bene a Grazia Negro e Salvo Montalbano? E vederli trattare così… con Montalbano che ha pure smesso di parlare siciliano… Un’ultima considerazione su Milano Marittima: poteva essere tranquillamente Viareggio, Roseto degli abruzzi, Vieste o Vasto. Ma anche Cortina o Saint Tropez. Sarebbe cambiato giusto il nome delle vie.
Giulia Montanari
 
 

Planethotel.net, 7.8.2010
Acqua in bocca di Camilleri e Lucarelli

E noi italiani ci lamentiamo ... siamo dei geni, davvero, e nel mondo nessuno ci fermerebbe, se non fosse che:
- da qualche anno (venti? trenta?) preferiamo la furbizia del piccolo cabotaggio ai grandi obiettivi fatti di lavoro duro e obiettivi saldi.
- ci fidiamo solo di noi stessi e non facciamo gruppo, invece nel mondo globalizzato vincono i gruppi e le joint venture... questo tema si lega al primo: possiamo fidarci di un furbetto qualsiasi?
- siamo geniali e studiamo poco. Invece bisogna studiare, leggere, partecipare a corsi di aggiornamento, utilizzare proficuamente i consulenti... ma non frequentare i furbetti.
Un vero grande plauso a Camilleri e Lucentini [Sic!, NdCFC], un'idea straordinaria quella di mettersi INSIEME e far diventare questo libretto "Acqua in bocca" il best seller dell'estate.
Invito gli imprenditori, ed i professionisti italiani a seguire l'esempio.
Che non significa perdere il controllo della propria creatura, anzi, ma inventare cooperazioni che diano un risultato maggiore della somma delle parti.
Ovviamente oggi ho comprato questo libretto e lo leggerò durante le vacanze.
Presidente
 
 

Bloc Notes, 7.8.2010
Andrea Camilleri, Il colore del sole

Camilleri si prende una pausa dal personaggio Montalbano e si concede il piacere di scrivere un breve racconto sulle vicende del pittore maledetto, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, nel periodo che trascorse a Malta e in Sicilia.
Per non appesantire la narrazione usa l'espediente delle pagine del diario ritrovato. Pagine che un misterioso personaggio fa ritrovare al Camilleri scrittore e che raccontano, in prima persona, le vicende del pittore.
Pagine che parlano di un uomo perennemente in fuga, per sfuggire alla condanna a morte per omicidio, fino a Malta e poi in Sicilia. Ma lo scopo del racconto non è narrare la biografia di Caravaggio, ma mettere in mostra i suoi incubi (il cane che lo rincorre e che lo sbrana), l'ossessione per il "sole nero", che non gli permette di vedere (per giorni interi) i colori. Le pagine, o i frammenti delle pagine, non danno un senso di continuità alle vicende, ma rafforzano il senso di mescolanza tra sogni (o incubi) e realtà .. e dalla tortuosa psicologia della mente di Caravaggio emerge una spiegazione sulla sua pittura.
Che dire in conclusione? Non servirà a coloro che si vogliono avvicinare per la prima volta a Camilleri .. non è una biografia di Caravaggio .. non è nemmeno un romanzo. Rimane una lettura scorrevole, piacevole .. più un piacere per chi lo ha scritto, che per chi lo vuole leggere.
 
 

RagusaNews.com, 7.8.2010
Il Commissario Montalbano sbanca in Spagna. E a Scicli arrivano le spagnole
Gli orari di apertura dei siti culturali

Scicli - Resi noti dall'assessore al turismo del Comune di Scicli Angelo Giallongo gli orari di apertura dei siti di interesse turistico.
[...]
La stanza di Montalbano, ovvero il gabinetto del sindaco, dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 21.
[...]
Le presenze, a Scicli, in particolare, sono in forte aumento e si registra una presenza significativa di stranieri, e in particolar modo di spagnoli, complice probabilmente il successo del serial televisivo il Commissario Montalbano nella penisola iberica.
 
 

l'Unità, 8.8.2010
Chef Camilleri
I 30 mafiosi della lista e le guardie del carcere rimaste senza benzina
Saverio Lodato / Andrea Camilleri
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 10.8.2010
Da Verga alla Seminara, da Consolo al giovane Schillaci: il racconto a più voci del grande caldo siciliano, “sei mesi di febbre a quaranta gradi”
I romanzi dell’afa
L'estate degli scrittori tutta sole e sudore

In Sicilia, fa più caldo nei romanzi che sulla spiaggia o in aperta campagna. Non c’è infatti estate torrida che tenga: le pagine dei nostri scrittori, infuocate dal sole africano, dispensano canicola senza pietà. A tal punto che il lettore, a furia di sfogliarle, sente quasi appiccicarsi la camicia alla schiena.
[…]
Nelle pagine di Camilleri, l’afa non dà tregua al commissario Montalbano (basti pensare a “La vampa d’agosto”), ma miete vittime anche nei romanzi storici, da “Un filo di fumo” al “Re di Girgenti”.
[…]
Salvatore Ferlita
 
 

Vai Taormina, 10.8.2010
L’Amico libro di Milena Privitera
Camilleri e Lucarelli “uniscono le forze” e ai lettori regalano “Acqua in bocca”
Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle per poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira (J. D. Salinger).

Il commissario Salvo Montalbano incontra l’ispettrice Grazia Negro in una collaborazione letteraria senza precedenti: i due noti scrittori di giallo Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, entrati in contatto durante le riprese del documentario A quattro mani (Minimum Fax Media 2007), grazie all’editore Daniele Di Gennaro, uniscono le forze e regalano ai lettori una storia che vede protagonisti i loro personaggi di maggior successo. Ad unirli, in un noir classico da leggersi tutto d’un fiato, è un insolito omicidio in cui la vittima è ritrovata con un pesciolino in bocca (Betta Splendens). Il caso è nelle mani di Grazia Negro che, resasi conto di non trovarsi di fronte a un delitto di ordinaria amministrazione, invia tutti i materiali al collega siciliano, Salvo Montalbano, per avere un parere. Nasce così Acqua in bocca, un romanzo dalla struttura non convenzionale: un collage di lettere, biglietti, ritagli di giornale, rapporti, verbali, pizzini che fanno la spola, spesso nascosti tra i cannoli di ricotta o i tortellini fatti in casa, fra i due detective, uno commissario a Vigata, l’altra ispettrice di polizia a Bologna. La narrazione a quattro mani stimola e accompagna il lettore nella ricostruzione dell’indagine, che si conclude con un finale risolutivo. Montalbano e Lucarelli si dilettano a giocare una vera e propria partita a scacchi dove ogni pedina anche se a distanza viene mossa con sapiente accuratezza ma sempre e comunque con mosse a sorpresa per cercare di porre l’avversario in scacco matto. Nulla in questo breve romanzo è dato per scontato, d’altronde l’autore emiliano nei suoi gialli ha sempre privilegiato l’assassino, i suoi pensieri, le sue ossessioni, la sua vita anche normale, mentre lo scrittore siciliano l’investigatore, i suoi piccoli tic, le sue abitudini, il rapporto con i collaboratori. Acqua in bocca ha dovuto quindi mediare fra questi due punti di vista narrativi creando una storia che vede al centro i due inquirenti e sviluppando l’inchiesta – che verrà seguita dai due in maniera non ufficiale – parallelamente da entrambi i punti di vista. Nel romanzo non mancano gli eventi legati alla realtà: la mafia di Provenzano, i servizi segreti deviati, l’omicidio-suicidio di Bove legato al Sisme, Milano Marittima, punto finale d’incontro dei due; con le sue fiere estive. Ma le sorprese non finiscono qui.
Camilleri sceglie per la prima volta di far coincidere l’immagine di Luca Zingaretti con quella di Montalbano mentre Lucarelli si diverte a inserire anche il suo ispettore Coliandro. Insomma: puro piacere e divertimento per chi ama entrambi gli scrittori o per chi ha semplicemente voglia di leggere una bella storia. Nelle librerie dal 23 giugno, Acqua in bocca ha già scalato le top dei libri più venduti in Italia. Per volere dei due scrittori, il libro è legato a una iniziativa benefica a favore delle onlus San Damiano e Papayo. I ricavati delle vendite saranno infatti utilizzati per finanziare due asili, uno in Madagascar e uno in Sierra Leone.
Milena Privitera
 
 

Lagreca.it, 10.8.2010
Camilleri  Lucarelli - Acqua in bocca

Premesso che ho letto quasi-tutto Camilleri, di aver guardato qualche volta "Notte Blu" su Raitre, di aver letto un altro libro di Lucarelli che nn era stato malaccio. Premesso tutto ciò questo libro nn mi ha entusiasmato, forse risente di una piccola furbata commerciale. Mettere insieme due mostri sacri del noir all'italiana poteva di sicuro portare grosse entrate nelle casse dell'editore.  Il plot nn è malaccio, però io lo trovo un po' sottotono rispetto alle potenzialità dei due autori. Si vede chiaramente che "gigioneggiano" ed io fedele lettore mi sento un po preso per il c... ollo. Comunque è stata una lettura piacevole di un paio d'ore, ma non rimarrà negli annali della letteratura noir, nonostante le vendite.
horsefly
 
 

Giornale di Sicilia, 11.8.2010
Libri, ecco i brividi d’agosto
Tra le letture da spiaggia l’accoppiata Camilleri-Lucarelli e quella, meno conosciuta, fra Pieter Aspe e Colin Dexter. Effetti noir anche per due maestre del genere “medical thriller”: Patricia Cornwell e Kathy Reichs

Brividi d’agosto. Un libro può anche regalarli. Meglio, però, se le “pagine gialle” sotto l’ombrellone regalano anche piaceri di lettura, non solo colpi di scena mozzafiato e particolari efferati.
Il romanziere di fatti criminali – ovvero, un abitante della grande casa sotto il cui tetto abitano poliziesco, “noir”, thriller e molte altre varianti sul tema – è un particolarissimo scrittore la cui penna oscilla fra il truculento e il raffinato. Alcuni esempi li offrono un paio di titoli-novità dati in pasto dalle case editrici ai voraci vacanzieri di questa estate 2010. Classica lettura da spiaggia, per nulla impegnativa, è la “fatica” a due mani (“Acqua in bocca”, pp. 108, € 10) firmata da Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli per la Minimumfax: Salvo Montalbano e Grazia Negro, i personaggi-cult della strana coppia di scrittori, si accoppiano – professionalmente, s’intende! – per fare luce sul “caso dei pesciolini rossi”. Camilleri e Lucarelli, separatamente, hanno scritto ben altro nella loro carriera, però i due nomi fanno cassetta e anche questo serve.
[…]
Gerardo Marrone
 
 

Miusika.net, 11.8.2010
Camilleri ? Lucarelli – Acqua in bocca (2010)

Come ottenere un altamente probabile bestseller?
Prendete due affermati autori di successo, se poi son anche talentuosi tanto meglio, uniteli in un progetto comune, datene conoscenza alle masse e il risultato non è come 2 + 2 ma ci va molto vicino.
Se oltretutto i due attori sono due bravi autori che oltretutto sono anche due personaggi interessanti come Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli beh….. ça va sans dire.
Ovviamente anche io non sono sfuggito al fascino suscitato da un lavoro a quattro mani di cotanti nomi.
Il risultato?
Dipende dalle nostre aspettative.
Se come me vi aspettavate un corposo romanzo con protagonisti Salvo Montalbano e Grazia Negro allora riponete tale aspettativa nel cassetto. Non perché i due amati protagonisti non ci siano, ma perché il risultato prodotto nel presente Acqua in bocca dalla coppia Camilleri - Lucarelli è un qualcosa di un attimino diverso e assai meno corposo, un centinaio di pagine all’incirca.
Come spiega molto bene l’editore Daniele di Gennaro di Minimum Fax nella sua nota finale, tutto nasce nel 2005 quasi per scherzo durante le riprese di un documentario sui due scrittori. Scherzo che poi si trasforma in un gioco, un esperimento e una sottile sfida letteraria tra i due.
La forma scelta per questo divertissement è quella del romanzo epistolare, nel quale i due protagonisti Salvo Montalbano e Grazia Negro collaboreranno insieme in una indagine non autorizzata per risolvere una serie di casi, a prima vista slegati e invece fortemente intrecciati fra loro, attraverso scambi di dati, informazioni e foto, lasciando al lettore la possibilità di riempire i vuoti con la propria fantasia.
Il risultato è, sempre citando il Di Gennaro, una “jam session dal sapore jazzistico, quasi come quando Miles Davis saliva sul palco dove suonava Dizzie Gillespie”. Più prosaicamente è un libricino piccino picciò che sa molto di gioco tra i due autori, ma molto divertente ed affascinante, in cui c’è spazio anche per altri protagonisti dei due. In maniera diretta per il divertentissimo e casinista ispettore Coliandro (che non si smentisce ovvio), in maniera indiretta per i vari Catarella, Mimì, la Balboni e compagnia varia.
Concludendo, se approccerete Acqua in bocca con lo spirito giusto avrete di fronte a voi un oretta circa di lettura ben spesa ed appagante, altrimenti la delusione è dietro l’angolo. L’augurio è che questo libricino sia solo la base per una prossima sceneggiatura per una fiction che un qualche lungimirante dirigente di mamma RAI costringerà i due a scrivere, magari con le musiche di alcuni dei nostri grandi jazzisti, sperem.
Mario
 
 

Gazzetta del Sud, 12.8.2010
Le vicende di un "eroe per caso" nella Vigata di Andrea Camilleri
"La tripla vita di Michele Sparacino" approda alla Biblioteca Universale Rizzoli

È la conferma – peraltro scontata – della portata divulgativa dell'opera di Andrea Camilleri, l'uscita recente della sua "Tripla vita di Michele Sparacino" nella Biblioteca Universale Rizzoli. Il riconoscimento ennesimo per lo scrittore, definito da Raffaele La Capria «il raro tipo di narratore ipotizzato da Joyce, che se ne sta accanto alla sua opera, quasi in disparte». Così è, senza dubbio, nel racconto in questione, che propone l'incredibile (e nel contempo realistica) vicenda di un uomo, la cui esistenza fin dalla nascita è segnata dal dubbio e dall'equivoco.
Già, perché al momento di registrare all'anagrafe di Vigata l'arrivo del nuovo compaesano, accompagnato dai coincidenti rintocchi della mezzanotte, il padre e quindi l'intera collettività si rendono conto per la prima volta del cattivo funzionamento dell'orologio del campanile. Dieci minuti di anticipo sull'ora esatta, garantita dall'infallibile meccanismo tascabile delle ferrovie, ereditato con orgoglio da un solerte impiegato comunale.
Succede di tutto, eccetto quello che dovrebbe succedere; ovvero, la riparazione del guasto. I lavoratori delle zolfatare, i contadini, gli operai, i marittimi prendono coscienza del fatto di aver cominciato a lavorare, per anni e anni, dieci minuti prima dell'orario convenuto. Basandosi, solo per l'inizio del turno, appunto sulle lancette della torre, accanto alla chiesa madre. Facendo i conti, i padroni dovrebbero versare loro non pochi arretrati; ma, ovviamente, gli stessi non dimostrano neanche la minima intenzione di aderire alla richiesta. Allora scioperi, cortei, proteste, scontri con le forze dell'ordine. Siamo ai primi anni del Novecento e l'atmosfera appare già da sé riscaldata. Gli inviati dei grandi giornali tentano, senza successo, di capirci qualcosa; e uno di loro, per far bella figura con i lettori, s'inventa addirittura un violento agitatore di folle, a metà tra la pura delinquenza e l'ambizione di riscatto. Michele Sparacino, è il nome di fantasia. Che guarda caso coincide con quello del neonato venuto alla luce intorno alla mezzanotte di parecchi anni prima.
Le due vite – l'una reale, l'altra immaginaria – scorrono parallele senza mai incontrarsi. Finché arriva il giorno della chiamata alle armi per il fronte della Grande Guerra del vero Sparacino. Qualcuno tra le alte gerarchie militari nota il cognome e sentenzia: «Si tratta del famoso assassino». Evidente la differenza d'età tra lo Sparacino-soldato e il presunto capobanda, che nell'invenzione del giornalista dovrebbe avere per lo meno il doppio degli anni del giovane di leva. Ma ciò non basta a evitare una vera e propria persecuzione nei confronti dell'ignaro soldato, vittima di una serie di soprusi che finiranno per portarlo alla morte – anche qui a causa di un equivoco – sotto il «fuoco amico» dei suoi stessi commilitoni.
Sfigurato, privo della piastrina di riconoscimento, il povero Michele si ritrova sepolto in una fossa comune. Dalla quale però verrà prelevato in una scelta del tutto casuale tra i cadaveri, e trasferito nientemeno che ai piedi dell'Altare della Patria. Lui, il milite ignoto per antonomasia, segnato in vita dall'equivoco e onorato dopo la morte come nessun altro. Per un godibile gioco delle parti, in cui si ritrova in sintesi tutta la sapienza della costruzione narrativa di Camilleri.
Francesco Bonardelli
 
 

Il Giornale, 12.8.2010
Dal Tavoliere con furore: quando il «tacco» è in prima pagina

La Puglia si fa onore in Italia e nel mondo. Mentre Napoli e la Sicilia sfornano libri sul brutto sud, da «Gomorra» ai criminali di Montalbano, in Puglia si tentano discorsi costruttivi sul sud o si rivendica l’orgoglio terrone contro l’unità, una bandiera fino a ieri nelle mani di campani, calabresi, lucani e siciliani. La Puglia è l’unica grande regione del Sud che non viene associata sempre alla criminalità organizzata. Sacra corona unita a parte... Niente a che fare però con Mafia, Camorra e ’Ndrangheta
 
 

Angolo Nero, 13.8.2010
La caccia al tesoro di Andrea Camilleri – reloaded
Temporaneamente in terra sicula, grata della splendida accoglienza, non posso non celebrare il più celebre dei giallisti tra i miei conterranei e allo stesso tempo ricordare Elvira Sellerio, da poco scomparsa.
Vi ripropongo quindi la recensione dell'ultimo libro del Maestro - il penultimo, se contiamo anche quello scritto a quattro mani con Carlo Lucarelli, del quale però parlerò prossimamente.

Gaudeamus igitur. Dopo qualche anno di assenza, mi è capitato di tornare a leggere un romanzo di Andrea Camilleri. Per la precisione l'ultimo uscito, La caccia al tesoro. L'ho letto in un pomeriggio, in pochissime ore, curiosa di vedere come andasse a finire.
Qualche considerazione sparsa.
Intanto mi sembra che il vecchio Camilleri non abbia perso colpi, e nemmeno Montalbano (anche se fin dall'inizio è preoccupatissimo dall'idea di invecchiare, con i suoi 57 anni suonati).
Rispetto ai primi, La caccia al tesoro è forse un po' più cruento, e questo in verità non me l'aspettavo. Ci sono descrizioni macabre e c'è un omicidio, commesso con modalità particolarmente efferate, la cui vittima è veramente "vittima". Una deriva dolorosa, per così dire.
Noto con un certo disappunto che la storia con Livia vive, ancora e soprattutto, di telefonate litigiose: voglio sperare che nell'ultimo capitolo della saga (quello che, narra la leggenda, è custodito nella cassaforte di casa Camilleri con il preciso intento d'essere pubblicato postumo) i due convolino a giuste nozze e la smettano di arricchire i gestori telefonici.
La caratterizzazione dei personaggi è sempre geniale. Con punte di ironia esemplare e acceso realismo.
Il finale. Attenzione, il finale è un po' prevedibile perché il Maestro semina (giustamente) delle tracce. E anche una falsa pista. Fate voi.
La lingua è sempre più montalbanesca. Soprattutto quando parla Catarella. Ma, se il mio DNA siciliano mi permette di leggerlo con estrema facilità, mi chiedo come se la cavi il lettore ligure. Sospendo il giudizio e rimetto ai non-siculi la questione.
In conclusione: penso che Montalbano abbia ancora molto da dire. Con l'enorme talento narrativo di Camilleri, si può andare avanti per altri cento episodi, ancora. Tutti scorrevoli e godibili come questo, ne sono certa.
Alessandra Buccheri
 
 

anti.it, 13.8.2010
Montalbano centralista democratico
Andrea Camilleri, Il giro di boa, La paura di Montalbano

Montalbano vira al politicamente corretto. Tratta incidenti sul lavoro, il commercio degli immigrati, dei bambini, e degli organi, la Lega, l’omosessualità latente di Catarella, e vuole dimettersi contro il governo Berlusconi. Può essere la passione politica? Quello che non fece la mafia e la Dc fa Berlusconi? È possibile, Camilleri augura, in versi, la morte al Cavaliere. Che però è il suo editore, e lo ha immortalato vivente nei Meridiani. Può essere l’età: Montalbano sente gli anni. Ma forse è la Sicilia che si è ripreso Camilleri. Da sfottente. Scorbutico e geniale, come un sicliano vero, Montalbano è diventato un siciliano di maniera. Può essere: il politicamente corretto è opera di sradicati, negri, donne, disadattati, cioè gente che si riconosce per essere, solo negra, donna, disadattata. L’unica cosa certa è che si muove come dentro il centralismo democratico – dove tutti sono morti, cioè, senza sorprese.
Astolfo
 
 

La Gazzetta di Parma, 14.8.2010
Quattro mani tinte di giallo
Acqua in bocca - Minimum Fax, pag. 110, euro 10,00

Conosciamo tutti le scene fondanti della storia della letteratura poliziesca. La chiamiamo letteratura poliziesca e non giallo, così non urtiamo la sensibilità della co-protagonista del libro di letteratura poliziesca di cui stiamo per parlare. E del quale diremo due o tre cose che, secondo noi, potrebbero spiegare il successo che sta avendo sotto gli ombrelloni, nei rifugi alpini, sulle terrazze in città, e che lo hanno catapultato, meritatamente, in testa alle classifiche di vendita. Dicevamo quindi che tutti conosciamo le scene fondanti di quel genere letterario. Anche senza aver letto i libri, anche solo per aver visto i film. E sono sostanzialmente due: un cadavere in una stanza e una sparatoria. E sappiamo anche dove trovarle: il primo nei «Delitti della Rue Morgue», nel «Segno dei quattro», in «C'è un cadavere in biblioteca»; il secondo a scelta in «Red Harvest» (da noi «Piombo e sangue») o in qualsiasi altro romanzo del genere. E ricordiamo bene i nomi degli investigatori: Auguste Dupin, Sherlock Holmes, Jane Murple, Continental Op. E i loro creatori: Edgar Allan Poe, Arthur Conan Doyle, Agatha Christie, Dashiell Hammett.
Ecco, Andrea Camilleri e il parmigiano Carlo Lucarelli, che conoscono benissimo queste storie e molte altre al punto da averle metabolizzate fino a integrarle nelle proprie cellule, hanno messo un cadavere in cucina con un sacchetto di plastica in testa e dei pesciolini morti vicino. E l’hanno lasciato lì, nelle mani dei loro detective, Grazia Negro e Salvo Montalbano, che per l’occasione si incontrano e lavorano per la prima volta allo stesso caso. Ognuno dei due scrittori ha cominciato a comporre un pezzo di storia, ognuno metabolizzato nel proprio personaggio. Ognuno all’insaputa di come l’altro avrebbe giocato la propria mossa. Ne è venuto fuori un libro edito da Minimum Fax che si legge in poche ore, avvincente come devono essere tutti i polizieschi; ironico e divertente, come non tutti i polizieschi sono. A cominciare dal titolo, «Acqua in bocca», un po' per via della situazione in cui si trova il cadavere, un po' perché i due si trovano a investigare in via privata e a un certo punto anche nell’anonimato. Con questo non stiamo raccontando la trama, che ormai mezza Italia conosce, anche se aggiungessimo che a un certo punto alcuni proiettili fanno molto scompiglio. Ma anche qui non diciamo niente di che: è una scena fondante del poliziesco, la sparatoria, e non è certo una sorpresa per nessuno. Quello che ci interessa dire, per spiegare il successo di questo libro, è che Camilleri e Lucarelli hanno, coscientemente o no, giocato sulla loro scacchiera letteraria lasciandosi scappare tanti déjà-vu del poliziesco, ma con una tale classe, e con tanto senso dell’ironia, e ben mascherati dallo scenario siculo-emiliano e dalle note personalità degli investigatori, da far lavorare quei particolari sottotraccia, inconsciamente. Esempi? Lo schema narrativo a dialogo, con tanto di citazione di articoli di giornale, è già ne «Il mistero di Marie Rogêt» di Poe. La protagonista che coinvolge nell’indagine il protagonista (all’inizio riluttante) è già ne «L'uomo ombra» di Hammett. C'è persino una ragazza investita (non stiamo raccontando nulla, cosa si capisce così della trama? Nulla), che ricordiamo anche in «Murder is easy» della Christie. Tra l’altro Montalbano, come Hercule Poirot di Agatha Christie, non ama sparare. Sono le prime cose che ci vengono in mente. Alcune altre più raffinate: qui sparisce una scarpa; per motivi diversi, sparisce anche, come tutti sanno, ne «Il Mastino dei Baskerville» di Conan Doyle. E di personaggi che bevono molto alcool in una sola volta se ne trova più d’uno nei polizieschi, a cominciare da «Night of Jabberwok» di Fredric Brown.
Vogliamo dire che Camilleri e Lucarelli, istigati già da tempo da Daniele di Gennaro di Minimum Fax a costruire una storia a quattro mani, hanno alla fine, preso con il massimo impegno il gioco, e ne hanno fatto un gioco vero, cioè un divertimento serissimo. Hanno messo in gara intelligenza e preparazione. Hanno creato quello che gli esperti chiamerebbero «metaletteratura» cioè un continuo scambio fra personaggi di diversi autori e fra loro e la realtà, mantenendo limpidezza, arguzia, semplicità. Come uomini giusti, offrono alcune ore di soddisfazione al lettore. E il lettore che, sotto l’ombrellone o dove vuole lui, passa un pomeriggio con questo libro, di tutto questo se ne rende conto e, forse, intuisce che la qualità letteraria prima ancora del suo contenuto è quanto di più civile un libro possa offrire.
Giuseppe Martini
 
 

Il Giornale, 14.8.2010
Indiscreto

Torniamo a sintonizzarci su Time Out, la trasmissione di «Radio 24» condotta da Luca Mastrantonio. Nella puntata trasmessa oggi alle 9,30, infatti, voci ben informate ci avvisano che finiranno sotto tiro le lauree honoris causa concesse con mano larga dalle università. Si va da Alberto Tomba a Renzo Arbore, passando da Umberto Bossi, per il quale il ministro Gelmini ne ha appena proposta una. E le questioni messe sul tavolo sono tante. È vera gloria? Fanno onore o sono solo spot per attirare nuove matricole? Tra i vari rettori universitari che diranno la loro, anche Antonio Recca dell’Università di Catania sulla questione più annosa, cioè a chi conferirle: «Battiato e Camilleri sono in attesa. Il ministro non è tenuto ad approvare le lauree honoris causa... Per Camilleri non credo ci sia una motivazione politica. Emanuele Macaluso l’ha ricevuta, e non è di destra...».
 
 

ANSA, 14.8.2010
Autogrill: top caffe', panino e Camilleri
Prodotti piu' gettonati per le soste in autostrada

Roma - Un panino Rustichella, un caffe', un libro di Camilleri e Lucarelli e un cd di Vasco: sono i prodotti piu' gettonati negli autogrill.
[…]
 
 

l'Unità, 15.8.2010
Chef Camilleri
Il regime che avanza e la saracinesca del nostro ristorante
Saverio Lodato / Andrea Camilleri
 
 

Angolo Nero, 16.8.2010
Acqua in bocca di Camilleri & Lucarelli

La classe non è acqua... Ma è Acqua in bocca.
Capiamoci: un romanzo del genere può funzionare solo perché stiamo parlando di Camilleri e Lucarelli, l'indiscusso vertice della piramide di genere nostrana. Con chiunque altro il risultato non sarebbe stato lo stesso.
Ma l'ispettrice Grazia Negro e il commissario Salvo Montalbano sono ormai talmente noti che possono ben vivere di vita propria e addirittura incontrarsi senza suscitare alcuna sorpresa. Si incontrano in campo neutro, a Milano Marittima, e sta a voi scoprire il perché.
Entrambi gli autori hanno mantenuto stile, prosa e tòpoi: Lucarelli vede servizi deviati ormai anche nei vasi di gerani, Camilleri non rinuncerebbe mai a qualcosa di mangereccio. I due rendono omaggio agli amici con dei cameo - Silio Bozzi (che fine ha fatto?), Eraldo Baldini, e chissà chi altro - e ai loro personaggi storici: Catarella, Mimì Augello, la Balboni e l'immancabile Coliandro, la cui improvvisa comparsa, minchia, ha scatenato un attacco incontrollabile di risate che ha lasciato i miei vicini di scoglio senza parole. A voi il piacere di capire cosa c'entra Elisabetta Gardini in tutto ciò...
Non è difficile immaginare che, nonostante gli impegni e i contrattempi che l'editore menziona nella postfazione, Camilleri e Lucarelli devono essersi divertiti a costruire una storia a quattro mani, breve, essenziale e al tempo stesso completa di tutti gli ingredienti che li hanno resi (giustamente) celeberrimi.
Acqua in bocca, scritto nell'arco di quasi cinque anni, si legge in un'ora, non di più, ma è senz'altro una delle ore migliori di questa bellissima estate.
Straconsigliato a tutti, senza controindicazioni, da assumere con un pizzico di leggerezza.
Alessandra Buccheri
 
 

Libre, 17.8.2010
Minacce di morte: Feltrinelli ferma “Don Vito”

Minacce di morte? Meglio fermare le presentazioni del libro. Lo ha deciso l’editore, Feltrinelli, sospendendo gli incontri pubblici per il lancio del volume “Don Vito”, storia oscura degli intrecci fra “pezzi dello Stato” e la Palermo di Vito Ciancimino, dominata da Cosa Nostra. Le minacce, spiega l’editore in una nota, sono giunte «ad uno degli autori e ai suoi familiari». Il libro è stato realizzato da Massimo Ciancimino, figlio di “don Vito” e ora prezioso collaboratore dell’inchiesta sulla presunta “trattativa Stato-mafia” del ’93, e il giornalista Francesco La Licata, grande esperto di mafia. Un libro illuminante, conferma il grande giallista siciliano Andrea Camilleri.
Secondo Camilleri, il volume – documentatissimo – suggerisce la “vera storia” della famosa “trattativa”, che risale al “papello” con il quale – tra l’omicidio di Giovanni Falcone e quello di Paolo Borsellino – i corleonesi di Totò Riina fecero pervenire a Vito Ciancimino, già sindaco di Palermo, le richieste di Cosa Nostra (fine della lotta alla mafia, abolizione delle leggi più dure) perché “don Vito” le girasse al colonnello Mario Mori del Ros, il reparto operativo speciale dei carabinieri, braccio investigativo dell’antimafia. Mentre le inchieste sono ancora in corso per accertare i fatti, il libro ha suggerito a Camilleri un’idea precisa: «Il “papello”, con le sue richieste deliranti e irricevibili, non poteva aprire una vera trattativa, perché se Riina rappresentava a pieno titolo Cosa Nostra, Mori non poteva rappresentare lo Stato e neppure l’Arma dei carabinieri».
Camilleri preferisce parlare di “contatti”, attraverso Ciancimino, fra i corleonesi e gli apparati investigativi. «Il “papello” – insiste il creatore del commissario Montalbano – servì semmai a squalificare e mettere fuori gioco, come interlocutore, l’impresentabile stragista Riina», che infatti viene arrestato pochi mesi dopo la consegna del “papello”. «Solo a quel punto – ipotizza Camilleri – avrebbe potuto scattare la vera trattativa», diretta da Bernardo Provenzano (che proseguì per anni la sua infinita latitanza) e “pezzi dello Stato”, a quel punto incoraggiati da nuovi “garanti” politici – quelli che prima mancavano, all’epoca dei contatti con Mori nel ’93, in un’Italia ancora in piena transizione, fra le macerie della Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite.
Il libro di Massimo Ciancimino e Francesco La Licata è «un viaggio senza ritorno nei gironi infernali della storia italiana più recente», spiega l’editore. «Racconta infatti quarant’anni di relazioni segrete, occulte e inconfessabili, tra politica e criminalità mafiosa, tra Stato e Cosa Nostra». Perno della narrazione, continua Feltrinelli, è la vicenda di Vito Ciancimino, “don Vito da Corleone”, uno dei protagonisti assoluti della vita pubblica siciliana e nazionale del secondo dopoguerra, «personaggio discutibile e discusso, amico personale di Bernardo Provenzano, già potentissimo assessore ai lavori pubblici di Palermo, per una breve stagione sindaco della città, per decenni snodo cruciale di tutte le trame nascoste a cavallo tra mafia, istituzioni, affari e servizi segreti».
A squarciare il velo sui misteri di “don Vito” è oggi un testimone d’eccezione: Massimo, il penultimo dei suoi cinque figli, quello che per anni gli è stato più vicino e lo ha accompagnato attraverso innumerevoli traversie e situazioni pericolose. Il suo racconto – che il libro riporta per la prima volta in presa diretta, senza mediazioni, arricchito dalla riproduzione di documenti originali e fotografie – riscrive pagine fondamentali della nostra storia: il “sacco di Palermo”, la nascita di “Milano 2”, Calvi e lo Ior, Salvo Lima e la corrente andreottiana in Sicilia, le stragi del ’92, la “Trattativa” tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, la cattura di Totò Riina, le protezioni godute da Provenzano, la fondazione di Forza Italia e il ruolo di Marcello Dell’Utri, nonché «la perenne e inquietante presenza dei servizi segreti in ogni passaggio importante della storia del nostro paese».
Non c’è dubbio, sostiene l’editore Feltrinelli, che i fatti e i misfatti raccontati nel libro «arrivino dritti al “cuore marcio” del nostro Stato», accompagnandoci in una «vera e propria epopea politico-criminale che per troppo tempo le ipocrisie e le compromissioni hanno mantenuto nascosta». Anche se la testimonianza di Massimo Ciancimino non permette di anticipare sentenze, essendo ancora al vaglio di cinque diverse Procure italiane, un primo effetto l’ha già prodotto: per motivi di sicurezza, gli autori non andranno più in giro nelle librerie italiane a presentare il loro lavoro. Che evidentemente fa molta paura.
 
 

La Sicilia, 18.8.2010
Nasce asse culturale Sicilia-Toscana

Coincidenza, preveggenza, provvidenza? Nel leggere il comunicato che proviene da Grosseto dobbiamo confessare di esser rimasti perplessi. Proprio qualche giorno fa a Corleone si è svolta una cerimonia a dir poco commovente ma che mostra che la cittadina, tristemente nota per essere stata uno dei luoghi e focolai di Mafia cerca e sta ottenendo un riscatto, operando nel proprio territorio, per dare e avere lavoro onesto, per produrre nel Bene, per realizzare un riscatto che cerca da tanti anni. E proprio la sera di sabato prossimo nella cittadina toscana di Arcidosso, sulle pendici del Monte Amiata, con l'intervento del sicilianissimo Andrea Camilleri, vi sarà una straordinaria "Conversazione in Teatro" a cui parteciperanno due insegnanti-scrittrici, Mariella Groppi e Antonella Sabatini, che copriranno con i loro racconti i piloni ideali di un ponte d'amore e di solidarietà che unirà gli operosi abitanti della zona vulcanica dell'Amiata a quella di un'altra che cerca di affrancarsi da una infelice nomea. Nessun "business", Nessun interesse se non quello di dare una mano e un sorriso a quei giovani che da tempo si impegnano per far sorgere fiori di onestà, innaffiati dal loro alacre sudore, in una terra che tanto ha sofferto. E siamo contenti perché con loro ci sarà Andrea Camilleri, il buono, grande amico dei suoi conterranei, che garantirà,come sempre ha fatto, l'autenticità, la bellezza e la Cultura della sua terra. Corleone cerca non da ieri un suo riscatto che passi attraverso la cultura. Pochi sanno forse che il liceo classico "Guido Baccelli"(intitolato al medico personale di Vittorio Emanuele II) fu aperto già nel 1863 (speriamo che se ne festeggi il centocinquantenario fra tre anni) e che ha avuto allievi insigni, famosi nel campo dell'arte, della medicina delle istituzioni e della cultura. Fu negli anni '90 che la gioventù corleonese si proclamò gruppo culturale, in ciò incoraggiata e aiutata da un gruppo di intellettuali, docenti e uomini di buona volontà e che oggi è arrivata, costituendo una fattispecie addirittura straordinaria, a traguardi culturali che richiedono grandi sacrifici. Sì, vi sono anche dei corsi triennali di "Lecturae Dantis" che radunano giovani che abitano in paesi non sempre vicini ma che passano i loro pomeriggi ad apprendere a "dire" e apprezzare il tesoro più grande della nostra comune italianità. Ciò non poteva non creare il "ponte" fra italiani che hanno un patrimonio comune che amano e che fanno crescere. E proprio da tramite c'è il grande e generoso cuore di Andrea, artista multiforme ed estroso che, con una sua storia aumenterà la sicilianità e il pregio di un volume che parlerà di noi, scritto da artisti che ci vogliono bene e che devolveranno il 30% delle vendite del volume alla "Cooperativa Lavoro e non solo" di Corleone.
Antonio Giordano
 
 

Gazzetta del Sud, 18.8.2010
Dario Natale di scena stasera con "Motion"
A Capocolonna

Continua il "Magna Grecia Teatro", la rassegna teatrale che si svolge nei siti archeologici della regione. Questa sera alle 21,30 nel parco archeologico di Capocolonna andrà in scena "Motion", testo teatrale liberamente ispirato a "Il gioco della mosca" di Andrea Camilleri. Autore e protagonista dello spettacolo, prodotto da "Scenari Visibili", è Dario Natale. Luci e fonica sono di Maria Teresa Guzzo, mentre i documenti fotografici sono Angelo Maggio. "Motion" (dal verbo inglese motion-movimento) è una carrellata di suoni e voci, una galleria di uomini e donne passati al ricordo ed alla memoria popolare per un detto, un motto, un gesto. "Motion", racconto orale che si cristallizza e si focalizza su umili, oppressi, artigiani, ciarlatani, è la riprova di come il teatro possa reinterpretare il passato in chiave antropomorfa. <
Lo spettacolo contiene quei caratteri fondamentali della prassi teatrale che si muove tra il sorriso e l'impotenza, fra la maschera e lo specchio, fra l'incomunicabilità e le convenzioni. La minuziosa descrizione dell'attore sublima nel corredo fotografico che fa da sfondo, dando alla rappresentazione la forza di un documento visivo e sonoro che abbraccia quello che è avvenuto e quello che avverrà, realtà storica e commento, con al centro un rinnovato senso meridiano.
(g. g.)
 
 

La Repubblica (ed. di Bologna), 19.8.2010
Giorno&Notte
Scerbanenco & Camilleri

Alle 21,15 al CostArena (Azzo Gardino 48), "Scerbanenco and Camilleri - Milano chiama Vigàta", storie gialle raccontate al leggio con immagini, a cura Compagnia Ten Teatro.
 
 

La Repubblica (ed. di Firenze), 19.8.2010
Carofiglio in scena Porto a teatro la mia Bari thrilling

[...]
Dai suoi libri sono stati tratti anche due film tv con Emilio Solfrizzi e Chiara Muti. Immagino che le vendite dei suoi romanzi siano salite vertiginosamente.
«Nemmeno una copia in più. Con la mia casa editrice, la Sellerio, abbiamo fatto uno studio in proposito e ci siamo resi conto che i film in tv non hanno fatto aumentare le vendite. I libri vanno bene per conto loro, al di là dell'effetto televisione: anche se ci sono delle eccezioni, ad esempio i libri di Camilleri che, dopo essere stati portati in tv da Zingaretti pare abbiano ottenuto un'ulteriore impennata di vendite. Ma queste sono appunto delle eccezioni».
[...]
Roberto Incerti
 
 

ANSA, 20.8.2010
Libri: ad autunno il nuovo Eco
Arrivano anche un altro Camilleri, Ken Follett e Lucarelli

Roma - Sara' il cinico falsario del nuovo romanzo di Umberto Eco, 'Il cimitero di Praga', a dominare la platea delle novita' editoriali d'autunno. Grande attesa anche per la raccolta di testi inediti di Marilyn Monroe, per 'L'Intermittenza' di Andrea Camilleri, da tempo stabile al top delle classifiche dei libri piu' venduti e per 'La caduta dei giganti', primo romanzo di una nuova grande trilogia di Ken Follett. Da segnalare anche 'tre' di Melissa P. e 'Il veleno del crimine' di Carlo Lucarelli.
 
 

Gazzetta del Sud, 20.8.2010
Una rischiosa "Caccia al tesoro" turba le notti del commissario Montalbano
L’ultima avventura del simpatico personaggio di Andrea Camilleri

Montalbano invecchia. Anzi, è la «vicchiaglia» che lenta e inesorabile s'impadronisce di lui. I fatti, gli eventi, gli accadimenti tragici di una vita in prima linea, quelli che prima lo lasciavano pressoché indifferente, o lo colpivano solo di striscio nei casi più eclatanti, ora lo inducono a riflettere, a guardare oltre le apparenze, a vedere ciò che rimane invisibile agli occhi più giovani e meno esperti, della vita. Così, anche la definitiva uscita di senno di due anziani fanatici religiosi, fratello e sorella vissuti da sempre e per sempre insieme, irrompe in una fase monotona della sua esistenza come un campanello d'allarme. Perché «s'impressiona», il commissario; davanti al dramma della solitudine, della carenza di vero amore, della mancanza di valori autentici. Sentendosi coinvolto, in quel turbinio di follie, violenze, e inutili pentimenti.
È l'incipit dell'ultima avventura di Montalbano uscita dalla penna di Camilleri e intitolata «La caccia al tesoro»; ma è anche il significato in sé concluso di una delle storie migliori dello scrittore. Perché qui il «caso», e quindi il «mistero», di fatto non esistono come eventi dati, ma si costruiscono via via nella trama del romanzo, fino a fissarsi nella mente del lettore e nei pensieri dell'autore-protagonista con un gioco abile di rimandi.
Una vera caccia al tesoro, insomma, nella quale Montalbano si trova coinvolto quasi suo malgrado, nelle giornate che scorrono pigre a Vigata dove per un po' non succede nulla: né faide, né ammazzatine, né casi apparentemente irrisolvibili.
Ci sono solo i consueti comprimari, a tenere viva l'attenzione. Ma non bastano al commissario, le acrobazie linguistiche di Catarella, la metamorfosi di Mimì Augello da latin lover a marito fedele e padre premuroso, la solerzia al momento inutile dei collaboratori più stretti, le recriminazioni di una sempre lontana Livia. Ci vuole qualcos'altro, e puntuale arriva. Sotto forma di lettere anonime scritte in rima, che conducono il poliziotto dalla rappresentazione di un mondo fittizio a una realtà autentica. Dove una ragazza, una bellissima ragazza, scompare in circostanze – neanche a dirlo – misteriose.
Così il corpo «vero» di una donna «vera» si sostituisce a quelle bambole gonfiabili che in un primo momento avevano occupato – tra la comune ilarità – le elucubrazioni del buon Salvo, convinto che dietro l'apparenza si celi sempre qualcosa, e che quel qualcosa attenda soltanto lo scossone di qualcuno per ricominciare a esistere, nel bene e nel male.
Un particolare – o, se non altro, originale – approccio alle circostanze investigative, che diventa un modo speciale di far funzionare il cervello; e proprio per questo irrompe sulla scena, diventando il punto di snodo della narrazione, un giovane aspirante epistemologo, che «studiando» Montalbano traccia alla fine la linea maestra delle indagini, in un procedimento inverso che comincia dalla scoperta dell'oggetto investigativo e finisce nel metodo soggettivo d'investigazione.
C'è tutto Camilleri, ma ci sono soprattutto tutte le sue letture di una lunga vita.
Francesco Bonardelli
 
 

Il Tirreno, 20.8.2010
A Fabio Volo l'edizione 2010 del "La Tore"
Domani la consegna del premio a Marciana Marina

Marciana Marina- Un premio letterario dedicato a Marciana Marina ma anche un omaggio a Raffaello Brignetti. É il premio letterario "La Tore" giunto alla sua sesta edizione con alle spalle cinque edizioni con nomi di assoluto spicco nel panorama letterario e culturale italiano.
Come dire Faletti, Camilleri, Vitali, Moccia, Stella.
[…]
 
 

La Repubblica, 21.8.2010
Camicie Rosse
Il re ipnotico della lentezza
Incontro flemmatico con Andrea Camilleri, davanti a un "pezzo duro" siciliano. "Eravamo fatti per unirci al Nord ma non con quei modi devastanti. Garibaldi, però, fu positivo"

(Illustrazione di Riccardo Mannelli - La Repubblica)

Nemmeno sotto tortura vi dirò come ho beccato Andrea Camilleri al caffé Castiglione di Porto Empedocle - luogo di delizie di quella che nelle sue storie è chiamata Vigata - per rubargli pensieri garibaldini. È successo e basta. Ma prima di arrivare al Grande Vecchio devo dirvi dell'incontro che l'ha preceduto, in una tempestosa, dunque sicilianissima, giornata di enigmi: quello con Nino Buttitta, nobile padre-padrone della storia isolana.
Corpaccione da orso, Buttitta mi attende con occhiate lampeggianti in un salotto della Società di storia patria a Palermo e appena intuisce in me una difficoltà molto asburgica a rinunciare al "lei", mi impone il "tu" per godersi il mio imbarazzo. E poi dilaga. Le delusioni dell'unità, le prime ribellioni già nel '63, quando "finìu la russa bannera" e di fronte ai disastri entrò in voga il detto "munno boia, pari c'a ci passau Casa Savoia". Poi lo spinoso sentiero dei plebisciti, fatti "con i carabineri accanto alle urne"; la storia di un Paese che doveva essere federalista e invece "nacque da un'oggettiva impostura" e "mai potrà essere nazione in senso nobile". Buttitta agita la zampaccia a scandire i concetti. "I siciliani ancora oggi all'idea dell'isola-nazione ci credono. Nessuno qui dice di essere italiano. E nessuno riflette sul fatto che la Sicilia, da sola, muore". Ma il bello viene dopo. Quando accenno alla storia di Ippolito Nievo, che ebbe in mano la disastrata contabilità dei Mille "per morire giovanissimo in un naufragio al largo di Sorrento", il professore esplode: "Ma quaaale naufragio! Delitto di Statu fu. Come quello di Mattei". Pare abbia davanti a sé uno che crede ancora a Babbo Natale. "A Palermo le spese uscirono di controllo. C'erano volontari che prendevano il soldo ripetutamente registrandosi con nomi diversi. L'ospedale civico spese in un giorno più di quanto si era speso in tutto il viaggio da Quarto a Calatafimi. Nievo scrisse a Cavour, ma qualcuno deve averlo intuito. Così quando partì per Napoli con i documenti contabili, la nave stranamente affondò, senza lasciar traccia. Non le pare strano? Non ci furono tempeste in quei giorni...".
Incontrare un intellettuale siciliano basta e avanza per un giorno. Troppa densità, troppe storie. Invece ne affronto due, e attraverso l'Isola per vedere il padre del commissario Montalbano col rischio di un'indigestione. Poi succede che davanti agli aneddoti e alla fine ironia di Camilleri tutta l'ansia scompaia. Tartarugone dalla voce profonda e radiofonica, fatta per incantar nipotini, Camilleri è un re ipnotico della lentezza. Il dialogo si gioca davanti a un "pezzo duro", una super-granita a piramide che ci mette un'ora a sciogliersi e sembra fatto apposta per propiziare la riflessione. "Mussolini - ride - ne era così goloso che mandava un idrovolante a prenderlo". Ed ecco le storie garibaldine, raccolte nel tempo di consunzione di questa delizia, tra pause sapienti e l'attesa spasmodica di qualche sigaretta. Una piccola antologia. "Lei non lo sa, ma a Garibaldi dobbiamo la nascita di Pirandello. Dopo il ferimento sull'Aspromonte capitò che un luogotenente Rocco Ricci Gramitto portasse a Girgenti il cimelio dello stivale bucato. Caso vuole che nell'occasione la sorella di Gramitto conoscesse un altro garibaldino giunto lì con Rocco, e questo garibaldino si chiamasse Stefano Pirandello. Vede? Garibaldi ha fatto bene anche alla letteratura". "Ah, di Pirandello mi viene in mente la scena del principe di Colimpetra che all'arrivo di Garibaldi si barrica nel suo castello con dodici ex soldati borbonici e un caporale di nome Sciaralla. Quando un bimbo vede uscire il graduato a cavallo lo prende in giro con una filastrocca che dice: "Sciarallino sciarallino, dove vai così di fretta / sul ventoso tuo ronzino? / Stai scappando dalla storia / sciarallino sciarallino...". Garibaldi, in quel momento, era la storia. C'è poco da fare...". Chiedo a bruciapelo: l'unità ha fatto bene alla Sicilia? "No, ha fatto male, non in sé ma per come è stata applicata. Noi eravamo fatti per unirci al Nord, ma i modi furono devastanti. Per esempio: si è fatta passare per brigantaggio una formidabile sollevazione contadina. Io le ho lette le cifre nei rapporti del comando militare di Capua. Dicono cose così: briganti arrestati 8.000, briganti caduti 1.800...". Ora il grande vecchio mi guarda con occhi da Labrador. "Ottomila telai c'erano in Sicilia prima dell'unità. In tre anni si ridussero a zero perché s'era fatta una legge per favorire le industrie del Biellese. E che dire della coscrizione obbligatoria, che tolse braccia alla campagna, piovuta addosso alla povera gente? Ai più poveri passò la voglia di far figli. I contadini dicevano: ci hanno levato anche il piacere di fottere...". Racconto di chi chiama Garibaldi assassino. "Mah, è come inveire contro Giulio Cesare. La storia si giudica, non si maledice. E poi, perché non se la prendono con altri? Lui ebbe una funzione positiva, tanto che mi è capitato di proporre una nuova spedizione dei Mille, ma alla rovescia, che parta da Marsala e sbarchi a Quarto, per rifare l'Italia del Nord". Da Garibaldi anticlericale, si passa ai vescovi di oggi. "Ho sentito la Cei giudicare un provvedimento non costituzionale. Per me sono interventi a gamba tesa nelle cose dello Stato. Ma siccome gli italiani sono finti cattolici, fintamente si dichiarano d'accordo per coprire la loro finzione... Al Family day mi è venuto da ridere. C'erano in prima fila notabili con due-tre mogli. E io che sono sposato da 53 anni con la stessa donna, son rimasto a casa".
Tramonto mandarino. "Perché non va alla ricerca dell'ombra del generale Borjes, un soldato spagnolo che i comitati borbonici reclutarono dopo l'unità per sollevare il Sud contro i Savoia? Tenne in scacco con pochi uomini mezzo esercito italiano per settimane, poi si arrese a Tagliacozzo e i Bersaglieri lo fucilarono senza processo". Drizzo le orecchie. Un altro giallo dopo quello di Nievo. "Ho rintracciato il suo diario, era finito non si sa come al ministero del commercio estero... un testo scritto a matita copiativa, pieno di macchie. Vedrà, sarà una scoperta emozionante".
18. continua
Paolo Rumiz
 
 

Il Tirreno, 21.8.2010
Con Camilleri sul palco di Arcidosso due insegnanti contro tutte le mafie

Arcidosso. Il Teatro degli Unanimi di Arcidosso ospiterà stasera alle 21, una serata particolare in cui un libro, “Novelle fatte a mano”, sarà il punto di partenza per far incontrare storie e linguaggi solo apparentemente diversi. Sul palco le due autrici Mariella Groppi e Antonella Sabatini, con Andrea Camilleri e Enrico Menduni.
Il pretesto è l’inaugurazione di una raccolta di novelle tradizionali toscane realizzata da due insegnanti, Mariella Groppi e Antonella Sabatini, che amano la scrittura ed hanno nel loro curriculum la pubblicazione di alcuni libri. Insieme ci sono Andrea Camilleri, scrittore, sceneggiatore e regista, ed Enrico Menduni, docente universitario esperto in comunicazione radiotelevisiva. Dalle terre di Corleone confiscate alla mafia dei Riina e Provenzano, saranno, poi, ad Arcidosso anche i rappresentanti delle Cooperative che tentano di scrivere, lavorando, una nuova storia della Sicilia.  Nel teatro di Arcidosso un libro sarà, dunque, il fulcro e il motivo intorno a cui tessere narrazioni prendendo spunto dai valori e sentimenti semplici presidiati nelle novelle. La strega, la volpe, la matrigna, la fame e la ricchezza, la paura, tutti i personaggi delle favole, si intrecceranno tra loro e con la conversazione tra Camilleri e Menduni. Il dialetto toscano che pervade la restituzione scritta delle Novelle acquisterà la stessa forza e incontrerà quello siciliano coniato da Camilleri. La vita dei cooperatori di Corleone, infine, rappresenterà la possibilità concreta di scrivere storie diverse anche laddove sembra impossibile il cambiamento.
Non solo. Il palco stesso del teatro sarà un soggetto narrante autonomo, in cui fisicamente agiranno persone diverse unite in un progetto sociale e culturale costruito sulla narrazione. I testi e l’allestimento sono a cura della compagnia Né arte né parte, le cooperative di consumo Amiatina e Unicoop Tirreno allestiranno con i volontari una presentazione dei prodotti provenienti dalle terre confiscate alla mafia. Tre istituzioni, la Comunità montana, la Provincia e il Comune di Arcidosso garantiranno l’appoggio degli enti locali. L’Arci Toscana, promotrice del progetto Liberaci dalle spine a Corleone, rappresenterà il lavoro contro tutte le mafie  La serata è organizzata dalla società di comunicazione Arca di Grosseto che ha pubblicato il libro Novelle fatte a mano e che destinerà il 30% del ricavato delle vendite al sostegno della Cooperativa Lavoro e Non Solo di Corleone. L’ingresso al teatro è gratuito.
 
 

Corriere di Maremma, 21.8.2010
Camilleri e novelle per riflettere.
Teatro degli Unanimi.

Arcidosso. “Novelle fatte a mano”: un libro, un pretesto, un incontro. Raccontando storie con Andrea Camilleri ed Enrico Menduni, le autrici Mariella Groppi e Antonella Sabatini che amano i bambini, la ricerca antropologica e il proprio territorio, incontrano stasera al Teatro degli Unanimi di Arcidosso (ore 21) un grande autore, appunto Andrea Camilleri, che contribuisce raccontando una sua storia. Tutti questi "punti di contatto" - la narrazione, l'amore per la terra d'origine, il dialetto - hanno portato ad organizzare una serata speciale, a costruire un ponte tra persone e tra luoghi. Nasce così la conversazione di Arcidosso, tra le autrici, Andrea Camilleri ed un esperto di comunicazione e docente universitario, Enrico Menduni, attraverso le storie che popolano la vita del libro, per arrivare dall'Amiata alla Sicilia con la presenza dei cooperatori che coltivano le terre confiscate alla mafia a Corleone. Una serata/evento che è organizzata in collaborazione con Provincia di Grosseto, Comune di Arcidosso, Comunità Montana Amiata Grossetano, Coop Amiatina, Unicoop Tirreno, ARCI.
 
 

La Sicilia, 21.8.2010
Il ritorno di Montalbano
In vecchiaia svolta noir con ironia

Il peso della vecchiaia. E' questo l'elemento sul quale il più celebre commissario d'Italia s'interroga nella prima parte de "La caccia al tesoro", edito da Sellerio (pagine 272, euro 14). Quello del tempo che passa è uno di quegli argomenti che il dinamico poliziotto non vorrebbe mai affrontare. Ma il fluire inesorabile del tempo con i suoi effetti sulla vita quotidiana non si può rimuovere, e Montalbano lo sa. Anche nei romanzi precedenti lo ha sperimentato, con segnali inequivocabili, che il suo corpo gli ha lanciato.
Non bastano le lunghe nuotate per celare il problema. In questa riflessione interiore, vi è una delle caratteristiche del personaggio letterario tanto amato dai lettori, e che l'autore rende non solo con linguaggio diretto e franco, ma anche con una venatura ironica che affascina ed attrae.
Fa parte della struttura seriale dei romanzi incentrati su Montalbano, l'approfondimento in senso diacronico di argomenti dell'esistenza del commissario. Strumenti narrativi e psicologici che servono a Camilleri per umanizzare il suo personaggio. Che così viene percepito dai lettori non solo come personaggio letterario, ma quasi come un protagonista della realtà attuale.
Camilleri, esperto regista teatrale, raffinato conoscitore della comunicazione, ha costruito una struttura narrativa, all'interno della quale dosa ritmi ed invenzioni fantastiche. Il suo Montalbano per sfuggire alla vecchiaia si cimenta in azioni pericolose, tipiche di un poliziesco all'americana.
Ma qual è la trama? Montalbano in questo romanzo è alle prese con una strana e misteriosa "caccia al tesoro". Il tutto parte dal ritrovamento di due bambole gonfiabili gemelle. Ma il contesto dell'azione del giallo è diverso rispetto alle altre storie di Camilleri, l'atmosfera è cupa e sordida. Il commissario svela fatti e vicende che lo fanno inorridire, che lo portano a confrontarsi con la dimensione più bieca e terribile dell'umanità.
Scopre la follia di un insospettabile, deve affrontare le deviazioni mentali di un personaggio che all'inizio gli sta simpatico e della cui intelligenza viene persino colpito. Ma la verità pian piano si disvela, e l'intuizione di essa, vivida e forte, viene corroborata dai fatti.
La storia, come coglie il fine critico Salvatore Silvano Nigro: «Si stringe attorno a una demenza erotomane, a una psicopatia: a una fantocciata rorida di sangue, a un'operazione alchemica che trasmuta vero e falso. Si arriva al terrore gorgonico».
Camilleri sperimenta, si confronta con il noir, ma in parte ne smorza gli effetti, con il suo inconfondibile stile ironico.
Salvo Fallica
 
 

Il Giornale, 21.8.2010
Parolacce? Solo a sinistra sono chic
Il Corriere si scaglia contro il linguaggio volgare dei politici ma si dimentica di citare i turpiloqui di D’Alema e C. Per via Solferino i maleducati sono solo nel centrodestra. Da Bersani a Vendola, ecco le oscenità dei "progressisti"

Con un accorato articolo di fondo sul Corsera di ieri, Claudio Magris stigmatizza l’uso del turpiloquio in politica. Il maggiore quotidiano e un grande intellettuale educato alla mitezza mitteleuropea sono finalmente scesi in campo contro la decadenza nell’epoca berlusconiana. Ciò che amareggia di più Magris - massimo interprete del bon ton del defunto impero asburgico - non è la volgarità in sé ma che essa non scandalizzi più.
[...]
Il tono di Magris è apparentemente neutro. La tesi, invece, totalmente partigiana: i volgaroni sono tutti annidati nel centrodestra.
Dall’articolista c’era da aspettarselo. Il docente triestino è preda di due nostalgie: Casa d’Asburgo e il comunismo. Non si è mai rassegnato alla fine dell’Urss. Anni fa disse, col groppo alla gola: gli ideali dei comunisti sono ancora vivi (o qualcosa di simile), piroettando sui crimini. Stupisce invece che la direzione del Corsera abbia accettato il pezzo. O che, almeno, non abbia preteso un’integrazione col vasto contributo della sinistra alla delicatezza del linguaggio. Nei panni del direttore de Bortoli gli avrei fatto faxare a Trieste qualche ritaglio di Pier Luigi Bersani & Co.
[...]
Partiamo appunto da Pier Luigi, addì 22 maggio 2010 sulla riforma della scuola: «La Gelmini rompe i co..ni ai professori», raffinatezza accolta da ferventi applausi progressisti. Nessuna donna trovò a ridire sull’offesa a una di loro ma dell’altro campo. Tra le silenti tutte quelle che, per il «più bella che intelligente» appioppato dal Cav a Rosy Bindi, provarono «sgomento e indignazione», strappandosi le chiome per il maschilismo del mentecatto di Arcore. Per Andrea Camilleri, il siculo-giallista del Pd, «la Gelmini non è un essere umano». È lo stesso che dedicò a Bossi una delle sue splendide «Poesie incivili»: «Quel medio alzato all’inno di Mameli se lo metta in c..lo, Senatore, già fatto largo per averci infilato il tricolore. Mi congratulo per la capienza...». Segue chiusa: «Ma questo ano è proprio un buco nero».
[...]
Giancarlo Perna
 
 

Il Giornale, 22.8.2010
«La nostra epoca? È un noir complicato e senza conclusione (almeno per ora)»

Da tempo Serge Quadruppani è considerato uno dei più qualificati traduttori di Francia. Non a caso a lui sono state affidate traduzioni di romanzi di Stephen King e Philip K. Dick, le memorie di Margaret Thatcher, ma anche i grandi successi di autori italiani come Camilleri, Fois, Evangelisti, Lucarelli, Carlotto. Tuttavia lui (nato a La Crau nel 1952) è anche uno dei più innovativi noiristi d’Oltralpe. Mondadori e Salani da qualche anno scommettono su libri come L’assassina di Belleville e C’è qualcuno in casa ma soprattutto Marsilio, prima con In fondo agli occhi del gatto, poi con Y e Rue de le Cloche sta cercando di imporlo anche al nostro pubblico. In particolare questi due ultimi romanzi costituiscono, assieme a La Forcenée una robusta trilogia che ci propone una visione nera di Parigi, della Francia e della questione mediorientale, il tutto condito a base di inseguimenti e complotti e con la partecipazione di personaggi lunatici, strampalati e violenti.
Come sceglie i testi che traduce?
«Per quanto riguarda l’Italia ho una rete di amici, scrittori, giornalisti ed editori, che mi segnalano libri che pensano potrebbero interessarmi. Inoltre le case editrici mi mandano direttamente la loro produzione. E poi io stesso vado spesso in libreria, a fiutare. Leggo, e dopo tre o quattro pagine, se non sono stato rapito dalla storia, apro un altro libro. Il libro deve avere una sua personalità, un suo slancio proprio. Non deve mai darmi l’impressione di avere già letto centinaia di opere simili».
Quanto, in Francia, un buon traduttore contribuisce al successo di uno scrittore?
«In Francia, come altrove, la traduzione è molto importante. Se riesci a far sentire la musica personale dell’autore che traduci gli dai tutte le possibilità di trovare nuovi lettori. Potrei citare tanti autori italiani che sono stati tradotti male e che per questo non hanno trovato il loro pubblico, ma non lo farò per spirito di confraternita verso tutti i miei colleghi che vengono spesso mal pagati per il loro lavoro».
Tradurre Camilleri che cos’ha rappresentato per lei?
«Una grande sfida e un grande piacere. Camilleri è grande e sono fiero di essere il suo profeta in Francia».
Che cosa la lega alla letteratura di genere noir?
«Il genere noir è il più adatto alla nostra epoca che rassomiglia sempre più a un giallo senza conclusione (almeno per ora)».
Com’è nata la sua trilogia composta da Y, Rue de la Cloche e La Forcenée?
«Dal desiderio di raccontare il mio quartiere, il Nord-Est di Parigi (Belleville-Menilmontant-Père Lachaise) e di fare sentire i suoi rapporti col resto del pianeta».
Ci può descrivere il personaggio dell’ex superpoliziotto appassionato di musica Emile K., protagonista di queste storie?
«È un uomo di frontiera, vive e opera tra il mondo dell’Ordine e le forze del disordine».
Quanto le somiglia il personaggio del traduttore Léon descritto in Rue de la Cloche?
«Mi somiglia molto almeno per quanto riguarda il primo periodo della mia vita professionale, quando traducevo di tutto, compreso i Consigli di bellezza di Lady D. e per campare davo in subappalto il lavoro che avevo di troppo a certe ragazze molto carine ma un po’ fuori di testa. Meno male che non mi sono mai successe le stesse sventure che capitano al mio personaggio...».
Come si è accostato a temi come il conflitto mediorientale e la Guerra del Golfo, in queste storie?
«Ho cercato di raccontarli mostrando gli effetti di questi eventi apparentemente lontani sulla vita quotidiana di persone qualunque in un angolo qualunque del mondo».
Lei ha scritto anche narrativa erotica e romanzi per ragazzi...
«Per ogni romanzo cerco di trovare la voce giusta adatta alla storia. È la storia stessa che comanda».
Luca Crovi
 
 

La Sicilia, 22.8.2010
Scicli
Al convento della Croce «A tavola con Montalbano»

Una terra da scoprire ma anche una terra da mangiare, quella immortalata nella fiction del commissario Montalbano. Da qui l'iniziativa che si terrà il 25 agosto a Scicli dal titolo "A tavola con Montalbano". Per questo evento, il team di Go Green Sicily ha deciso di sfruttare un luogo lontano dai rumori del paese eppure presente, che sovrasta dall'alto la cava di San Bartolomeo, ovvero il Convento della Croce. "A Tavola con Montalbano" si configurerà come una sorta di viaggio tra le ricette letterarie del commissario creato da Andrea Camilleri, grazie alla voce narrante di Alessandro Sparacino, attore modicano, le musiche di Francesca Guccione, i piatti di uno chef degli iblei e le fotografie di Giuseppe Leone, scattate nei luoghi set della fiction in onda sull'ammiraglia Rai, sempre con ottimi ascolti anche quando in replica. Per informazioni e prenotazioni si può scrivere una mail a: gogreensicily@gmail.com o chiamare il 3291738801.
M. B.
 
 

Corriere della Sera, 22.8.2010
Il caso Manara
Le norme dimenticate del commissario che piace in tv

È un dato di fatto il successo che sta arridendo, anche in questi mesi estivi, e pur in sede di replica, alla serie televisiva che vede protagonista il commissario Manara. Si tratta di episodi agili e ricchi di colpi di scena, per quanto talora un po' scontati, sicché non stupisce che una larga parte degli spettatori se ne appassioni. Al punto da discutere sulle spiagge o sui bordi delle piscine dei metodi e delle strategie investigative del nostro commissario. Proprio per ciò, tuttavia (cioè proprio a causa dell'incidenza che anche una fiction televisiva può esercitare sulla conoscenza delle «regole», cui devono attenersi le forze di polizia nelle inchieste giudiziarie), qualche precisazione va fatta, ad evitare il rischio di fraintendimenti. Infatti gli sceneggiati in questione troppo spesso descrivono le attività inquirenti degli organi della polizia, senza tener conto del quadro normativo nel quale gli stessi devono operare. A cominciare dal rapporto di dipendenza funzionale dalla autorità giudiziaria, che per dettato costituzionale «dispone direttamente della polizia giudiziaria». Il commissario Manara è un funzionario della PS impegnato in indagini di natura giudiziaria, e tutti sanno (o forse non tutti) che, in situazioni del genere, gli ufficiali di polizia rispondono al magistrato procedente, a lui riferiscono gli sviluppi delle indagini, da lui ricevono, se del caso, istruzioni e direttive. Nulla di tutto ciò accade, invece, nella prassi risultante dal piccolo schermo. Il simpatico commissario, infatti, sembra dipendere in pieno dal questore, che gli trasmette ordini, esercita pressioni, esige di essere informato, minaccia di sostituirlo nelle indagini. Senonché, nel nostro sistema il questore (non essendo nemmeno ufficiale di polizia giudiziaria) non è dotato di questi poteri, che appartengono invece ai magistrati del pm. Per altro verso, si ha talora l'impressione - nella sintesi rapida del linguaggio televisivo - che Manara eserciti anche poteri che non spettano ad un commissario: come quando decide l'esecuzione di intercettazioni, o interroga persone in stato di arresto o di fermo, o dispone atti di perquisizione al di fuori delle ipotesi di urgenza, magari cedendo alle richieste del questore. Inutile dire che tutto ciò può essere fonte di spiacevoli equivoci, o comunque di cattiva informazione, nei confronti del cittadino spettatore. È troppo chiedere una maggiore attenzione anche su questi aspetti (solo all'apparenza secondari) da parte degli sceneggiatori della nostra tv? E lo stesso vale, ovviamente, anche per la figura del commissario Montalbano, dovuto alla fantasia di Andrea Camilleri.
Vittorio Grevi
 
 

Corriere della Sera, 22.8.2010
Il colloquio. Parla Letizia Mandaglio. E' stata la prima dirigente di polizia a Porto Empedocle, la Vigata di Camilleri
«Noi, in prima linea contro lo stalking»
La «commissaria Montalbano»: fenomeno in aumento, in ogni ceto. Internet lo favorisce Sono amica dello scrittore e della sua famiglia. Per chi infastidisce le persone prima c' è l'ammonimento poi se continua scatta l'arresto

«Prima di tutto chiariamo una cosa: non basta un solo episodio, una telefonata, una email o un messaggino, per sentirsi perseguitata. Lo stalking è una cosa seria. Una minaccia continua, pressante, che non ti lascia respirare...». Letizia Mandaglio, vice questore aggiunto e funzionario addetto alla Divisione anticrimine della questura, guarda fisso negli occhi il suo interlocutore. Conosce bene il fenomeno, sa che non c'è tempo da perdere. E non potrebbe essere altrimenti per una poliziotta soprannominata «Montalbano». È stata lei infatti la prima dirigente del commissariato di Porto Empedocle, quello di Vigata, nei romanzi di Andrea Camilleri. «Ho conosciuto prima le figlie e la moglie, poi lui, e siamo diventati amici», racconta orgogliosa la funzionaria, che dopo l'esperienza siciliana non si è fatta mancare il rischioso servizio nel reparto volanti di Napoli, con la sfida quotidiana ai clan di Scampia. Oggi, a Roma, Letizia Mandaglio si occupa di misure di prevenzione: Daspo per i tifosi, sorvegliati speciali, ammonimenti e altri provvedimenti del questore. «E dal 23 febbraio 2009 anche di stalking - spiega nel suo ufficio al quarto piano dello storico palazzo in via di San Vitale -.».
[…]
Rinaldo Frignani
 
 

Città Nuove Corleone, 23.8.2010
Ad Arcidosso, sul monte Amiata, con Andrea Camilleri a parlare di dialetti e condivisione di progetti

(Calogero Parisi con Andrea Camilleri e Enrico Menduni - Foto Città Nuove Corleone)

Con Calogero, Franco e Francesca ci siamo diretti sul Monte Amiata, ad Arcidosso, dove è stata organizzata una bellissima presentazione di un libro, alla presenza di Enrico Menduni, già Presidente Nazionale dell'Arci, e Andrea Camilleri. L'incontro è nel bellissimo Teatro del paese, nell'occasione al completo. Anzi si decide di aprire il portone e di mettere fuori altre 50 sedie per permettere a tutti di esserci. "Il Libro Novelle 2 Fatte a mano" narra le storie di una volta vissute e raccontate nella montagna grossetana. Andrea Camilleri mette al centro del suo intervento il valore dei dialetti come strumento di difesa della lingua italiana oramai avulsa da termini e parole inglesi. Calogero racconta la storia della Cooperativa Lavoro e Non Solo, che in questi giorni, grazie ad un impegno straordinario delle volontarie corleonesi, è superconosciuta in questo territorio. A me piace pensare come si sia potuto conciliare la narrazione di novelle antiche con l'impegno del movimento cooperativo nell'antimafia sociale. La parola principale che si cerca di far prevalere è CONDIVISIONE! E' vero, in questo caso non vi erano sponsor, ma tanti che intendevano condividere in una serata d'estate, in un teatro di un paese di montagna, il gusto e il valore dello stare insieme. L'associazionismo e la cooperazione sono nati anche per questo: per organizzare il tempo libero e la dignità del lavoro. Per questo motivo, insieme ai gruppi locali, la serata di ieri sera vedeva la presenza dell'Arci, dell'Unicoop Tirreno e della Coop Amiatina. Coltivare questa cultura significa prevenire la ricerca del facile successo e del far soldi a tutti i costi e quindi incentivare l'avvicinarsi dell'illegalità. Rilanciare i dialetti, come ci ha fatto riflettere ieri sera Andrea Camilleri, può sicuramente aiutare le comunità locali ad incentivare la loro armonia, promuovendo allo stesso tempo diversità e unità, abbattendo così anche il concetto che associa le mafie solo ad alcuni dialetti e il benessere ad altri. Oggi la linea della Palma, descritta molti anni fa da Leonardo Sciascia, è sempre più a Nord! L'evento di ieri sera è la dimostrazione pratica di quanto si possa fare al ritorno dai campi di lavoro di Corleone, le volontarie grossetane dell'Unicoop Tirreno lo hanno dimostrato al meglio.
Maurizio Pascucci (Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine)
 
 

l'Adige, 23.8.2010
Pamphlet. Berlusconismo, Tg1, escort, Gheddafi: lo sfogo di Camilleri e Lodato
«L'Italia senza speranza»

Noemi, il G8 e il terremoto. Minzolini, il tg1, le amazzoni di Gheddafi e il Berlusconi prigioniero del belusconismo. Mangano mafioso, le punzecchiature de «l'Unità» e gli italiani non creduloni (nei confronti sempre di lui, Belusconi), ma "privati di speranza, di fiducia, di apertura verso il prossimo, di futuro, da voler credere ciecamente a chi racconta loro favole deliranti". Andrea Camilleri ha sempre parlato a viso aperto ma di solito gigioneggiando magistralmente, ironizzando con il raffinato humor siciliano, parafrasando dall'alto di una saggezza non comune e con grande, riconosciuta lealtà.
[...]
 
 

Lib(ero) libro, 23.8.2010
Andrea Camilleri – La rizzagliata
Un quadro, realistico, dello squallore attuale

Povera Italia, verrebbe da dire giunti all’ultima pagina, ma sarebbe più opportuno concludere con un poveri noi.
La rizzagliata, infatti, è un giallo alla Sciascia in cui si rappresenta il diffuso cinismo che sembra soffocare ogni giorno di più quello che un tempo veniva chiamato Il bel paese.
Non troviamo il commissario Montalbano e questo giustamente, perché la denuncia di Camilleri di un’insieme di cose quotidiane a cui ormai ci siamo quasi assuefatti esula da quello che è il semplice romanzo giallo che vede protagonista il simpatico poliziotto (anche se a volte pure lì ci sono allusioni nemmeno tanto velate ai mali attuali). La rizzagliata non è stato scritto per divertire il lettore, ma per avvertirlo, per mostrargli il degrado in cui è immerso e di cui sovente ha solo una vaga consapevolezza. In questo senso può essere anche considerato un romanzo storico, pur nell’ambito di personaggi di esclusiva fantasia, ma il mondo rappresentato, le connivenze e le furberie, gli interessi solo in apparenza contrapposti costituiscono un preciso atto d’accusa a una classe, quella dei politici, che vive una realtà tutta sua, in una sorta di limbo infernale le cui manifestazioni esteriori sono di pubblico dominio, una sorta di rissa in cui gli altri- cioè il popolo – sono ridotti al rango di semplici spettatori.
Se è vero che la rizzagliata è una rete da pesca da cui il pesce difficilmente può scappare, è altrettanto vero che è pressoché impossibile sfuggire alla rete che il potere politico, economico e mediatico costruisce attorno a una persona. Nel libro c’è una costruzione siffatta che, nella sua individualità, può essere tuttavia estesa all’intera collettività, impotente di fronte a un accerchiamento di forze che di fatto ha addormentato le coscienze e nauseato, fin quasi allo sfinimento, chi ancora ha occhi per vedere.
In particolare, nel romanzo l’intreccio esistente fra gli organi di informazione, potere politico, potere economico e potere mafioso portano a un profondo senso di disgusto che è la prova certa di quanto la decadenza a tutti i livelli, compresi quelli familiari, stia corrodendo gli animi, in un trionfo dell’amoralità, in cui tutto viene fatto senza il benché minimo esame di coscienza. E poiché nell’uomo sono naturalmente presenti il male e il bene, nel ridursi ai più bassi istinti finirà sempre con il prevalere, senza battaglia, il male.
Camilleri questa volta ha inteso scrivere un romanzo più impegnato, ha lanciato un grido, per non dire un urlo che chissà se sarà udito. Indubbiamente si nota nello scritto quanto la questione gli stia a cuore, c’è insomma una sua partecipazione emotiva che nuoce un po’ all’equilibrio del testo (o forse questo mondo di pazzi, così ben descritto, è squilibrato per sua natura).
La rizzagliata è un piatto freddo, per non dire gelido, un’unica portata per un popolo che sembra non avere più fame di verità. Eppure, a Camilleri va un plauso per la sua incrollabile tenacia che lo porta a condurre, nonostante l’età avanzata, una battaglia che sembra persa in partenza. Tanto di cappello, quindi, con la speranza che chi leggerà questo eccellente romanzo possa comprenderlo nel suo autentico significato, risvegliando magari una coscienza da troppo tempo sopita.
Renzo Montagnoli
 
 

Riviera24.it, 23.8.2010
A Villa Nobel il 27 agosto Raul Montanari presenta: “Strane cose, domani”
Sanremo - Venerdì 27 agosto alle ore 21:30, protagonista della serata conclusiva de “Le Plaisir de Lire” sarà una delle firme più interessanti del panorama letterario italiano, Raul Montanari

Ultimo appuntamento in programma per la quinta edizione di “Le Plaisir de Lire”, la rassegna letteraria ospitata dall’incantevole parco di Villa Nobel, evento caratterizzante dell’estate sanremese. Venerdì 27 Agosto, lo special guest sarà lo scrittore Raul Montanari che presenterà la propria opera “Strane cose, domani” (Baldini Castoldi Dalai).
[…]
Una tematica già esistente nelle prime opere si è fatta via via più presente fino a guadagnarsi il titolo del terzultimo romanzo: “L’esistenza di Dio”. È interessante notare come Montanari, ateo dichiarato, non manchi mai di interrogarsi, spesso nei passaggi più angosciosi dei suoi scritti, sul ruolo e il coinvolgimento dell’entità suprema, spettatrice o burattinaia delle vicende umane. Questo ha fatto sì che Andrea Camilleri lo abbia descritto come uno “scrittore mistico”.
[…]
 
 

Libri su libri, 23.8.2010
Acqua in bocca, di Camilleri e Lucarelli
Acqua in Bocca di Camilleri e Lucarelli (Minimum fax), ovvero come far incontrare due maestri del giallo e produrre una piccola chicca letteraria.

Non è un caso che Acqua in bocca, della insolita e ben riuscita coppia Camilleri-Lucarelli, lo abbiamo inserito nella top ten dei libri dell’estate. 100 pagine di corrispondenza epistolare tra il caustico commissario Montalbano e la curiosa ispettrice Grazia Negro.
Per chi non lo sapesse, e dubito che siano in tanti, il commissario Montabano è il protagonista della omonima serie televisiva, ispirata dalla penna di Camilleri, mentre la Negro è la “donna” di Lucarelli, la sua ispettrice preferita.
Proprio dalla ispettrice Negro parte una corrispondenza rigorosamente epistolare per risolvere un caso sul quale non è assolutamente autorizzata ad indagare. Il nostro Salvo (Montalbano) pare inizialmente rifiutare la proposta di collaborazione.
Ma bastano due minuti e una pagina e mezzo a capire che invece il commissario proprio non riesce a resistere a tutto ciò che non dovrebbe fare.
A questo punto parte l’indagine: lettere, ricerche, pedinamenti ed appostamenti perché la verità venga fuori e l’intricato gioco di spie e contro spie non passi inosservato.
Non poteva che essere un divertente botta e riposta, quello di Camilleri e Lucarelli, che immagino godersela un mondo nel rispondere alle reciproche provocazioni che attuano attraverso i loro personaggi. Perché collaboratori-scrittori si, ma la competizione tra due grandi del giallo non può non esistere.
E il risultato si legge da subito: trama dinamica, battute sferzanti e mai, dico mai, un attimo di pausa per il lettore che se non si appassiona all’indagine (il che risulta difficile…), non vede l’ora di scoprire come hanno replicato l’uno o l’altro scrittore…
Lorenza
 
 

MicroMega, 24.8.2010
Fuori Berlusconi - Tutti in piazza - W la Costituzione
Firma l'appello di Andrea Camilleri, don Andrea Gallo, Paolo Flores d'Arcais, Margherita Hack

Il carattere eversivo dell’azione di Berlusconi è ormai dichiarato, la sua volontà di assassinare la Costituzione nata dalla Resistenza è costantemente esibita. Per difendere la Repubblica è necessario che l’Italia civile faccia sentire unanime la sua voce.
A questa Italia che vuole rinascere dalle macerie in cui l’ha precipitata un regime di cricche chiediamo di scendere in piazza al più presto, l’ultimo sabato di settembre o il primo di ottobre, per una grande manifestazione nazionale a Roma.
Ci rivolgiamo a tutte le associazioni, i club, le testate, i siti, i gruppi “viola”, a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione e nella volontà di realizzarli compiutamente. Ci rivolgiamo al mondo della cultura, della scienza, dello spettacolo, a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica, perché si impegnino tutti, individualmente e direttamente, alla realizzazione di una indimenticabile giornata di passione civile.
FUORI BERLUSCONI
REALIZZIAMO LA COSTITUZIONE
VIA I CRIMINALI DAL POTERE
RESTITUIRE LE TELEVISIONI AL PLURALISMO
ELEZIONI DEMOCRATICHE
FIRMA L'APPELLO | ADERISCI ALLA PAGINA FACEBOOK
Andrea Camilleri
Paolo Flores d’Arcais
Don Andrea Gallo
Margherita Hack

 
 

RomagnaNOI, 24.8.2010
San Marino - Emissione di schede telefoniche
L'Azienda Autonoma di Stato Filatelica ha presentato la nuova serie, che sarà in vendita dall'8 settembre, dedicata agli autori contemporanei della letteratura

San Marino - Presentata dall'Azienda Autonoma di Stato Filatelica la nuova serie di schede telefoniche "Io leggo" dedicata agli autori contemporanei della letteratura, Camilleri, Ammaniti, Volo e Benni, su bozzetto realizzato da Filanci.
Nella scheda da 2,00 € sul fronte è rappresentato il logo sammarinese a sinistra, a destra la legenda “io leggo”, la copertina del libro di Andrea Camilleri intitolato “La rizzagliata” e una parte di testo: "La verità è confezionabile, come qualsiasi menzogna, anche in questo nero e attualissimo “girotondo attorno a un cadavere”; nel verso è riportato una parte di testo del libro e l’immagine di copertina. A completare le legende “Andrea Camilleri”, “La rizzagliata” e il nome dell’autore del bozzetto “F. Filanci”.
[…]
 
 

La Nazione, 24.8.2010
'Sognavo di diventare Papa'. Camilleri quasi una rockstar
 
 

Booksblog.it, 24.8.2010
Di testa nostra, di Andrea Camilleri e Saverio Lodato

La coppia Camilleri-Lodato ritorna nelle librerie con “Di testa nostra” edito da Chiarelettere, proseguimento di quel “Inverno italiano” uscito – un po’ paradossalmente visto il titolo – l’estate scorsa, una raccolta ordinata cronologicamente degli interventi che la coppia ha pubblicato tra il 2009 e il 2010 su L’Unità sotto il titolo di”Lo chef consiglia”.
Nelle oltre 200 pagine di questo libro Andrea Camilleri e Saverio Lodato scatenano tutta la loro insofferenza verso la povertà culturale e politica dell’Italia contemporanea, senza risparmiare critiche durissime che, grazie al sarcasmo, si caricano di un’energia e una forza prorompente.
Dal divorzio di Berlusconi, all’arte giornalistica di Minzolini, dal G8 all’Aquila agli scandali che hanno travolto Bertolaso e la Protezione civile, dall’attacco a “Gomorra”, alla pantomima sulle celebrazioni dell’unità d’Italia, fino ad arrivare al ddl sulle intercettazioni e oltre: sono queste le scintille che fanno scatenare Camilleri e Lodato, e come dar loro torto…
Andrea Coccia
 
 

La Repubblica, 24.8.2010
Cosa leggono i nostri figli

Il problema, coi libri, è l'odore. «Se puzzano di scuola, hai già perso la tua battaglia», avverte Emilio Varrà, che con la sua associazione Hamelin questa battaglia per far leggere i ragazzi la combatte da dieci anni. Ci sono libri che non puzzano di scuola? Certo che sì.
[…]
Trascrivere le classifiche di vendita nelle bibliografie per ragazzi è però ancora una dimostrazione di fragilità. «Passata la sbornia da Harry Potter, l' editoria da qualche anno sta producendo ottimi titoli per adolescenti e giovani adulti, ma gli insegnanti non li conoscono, non li leggono e quindi non li consigliano», sostiene ad esempio Barbara Schiaffino, direttrice di Andersen, la più qualificata rivista del settore. «Così - prosegue - per svecchiare i propri consigli di lettura, anziché chiedere magari l' aiuto di un bibliotecario, ricorrono ai libri che leggono loro, i libri per gli adulti, spesso semplicemente quelli di cui si parla di più». Si spiegano così le apparizioni di Baricco, Grossman, Tabucchi, Camilleri tra le mani dei diplomati di terza media.
[..]
Michele Smargiassi
 
 

Corpi Freddi – Itinerari Noir, 25.8.2010
Video Intervista ad Andrea Camilleri

La conservavo come una reliquia quest' intervista, forse per paura si sgualcisse o che un possibile hacker cinese filo talebano potesse bucare il canale corpi freddi su GliùTub e cancellare i video.
Dopo notti insonni, cene e pranzi saltati, dopo notti in bianco, finalmente ho deciso di mettere online l'intervista che, dal punto di vista emotivo, mi ha più entusiasmato. Non me ne vogliano gli altri autori che ho intervistato negli anni, ma per me intervistare il Sommo è un po' come per il papa andare a cena con Dio :P

Roma - 10 aprile 2010

Staziono davanti al portone di casa Camilleri insieme ai miei prodi compagni di avventura: Cristina Greco e Dario Bertini (fotografa e operatore video). L'appuntamento è fissato per le 11.00 ma essendo un tipo per nulla ansioso metto la tenda tra una Clio e una Punto e dormiamo lì dalle 3 di notte. Metti il traffico, metti che inizi a piovere e si sa che quando piove Roma si blocca, metti che... ok, basta!
20 minuti prima delle 11, l'ansia mi attanaglia lo stomaco e Cristina mi indica un bar dove potrei prendere una camomilla e soprattutto mi indica di scendere dal lampione dove nel frattempo mi sono arrampicato per l'ansia.
Al bar loro scofanano come cinghiali, io rimango fuori e accendo un pacchetto di sigarette... ehm... avete letto bene, non una sigaretta, ma un pacchetto intero ficcato in bocca e acceso. Ho poco tempo per fumare :D

Finalmente citofoniamo "Chi è?" "Sono Enzo dei corpi freddi, avevamo appuntamento con Andrea per l'intervista". Secondi di silenzio che sembravano ore..."Salite" O_O
Panico!! scendo dal lampione e imbocchiamo l'ascensore carichi di videocamera, cavalletti, macchina fotografica e un vassoio di cannoli siciliani (mia mamma mi ha insegnato a non andare mai a mani vuote in visita dalle persone).
Ed eccolo, ci accoglie direttamente il Sommo e dopo qualche scambio di battute: "Ma ccu minchia siti?" "Di cu sù i cannola? Mè? I mettu 'n frigu"... Fortunatamente sono dello stesso paese di Camilleri, quindi ho capito tutto e fortunatamente Cristina ha studiato lingue, ma Dario, poverino, è alquanto spaesato!
Ma basta con le battute, vi lascio all'intervista integrale sperando di far piacere ai nostri lettori.
Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza
Articolo di Enzo "BodyCold" Carcello
Intervista e montaggio di Enzo "BodyCold" Carcello
Riprese di Dario Bertini
Fotografie Cristina Greco

   
 
 

Le guide di Supereva, 25.8.2010
Italianisti a congresso
Dal 25 al 28 agosto 2010 presso l'Università di Cagliari si terrà il XIX convegno dell’Associazione Internazionale dei Professori di Italiano.

[…]
Titolo del congresso rivolto a studiosi, esperti e docenti provenienti da ben ventiquattro paesi è “Insularità e cultura mediterranea nella lingua e nella letteratura italiane”.
Un simposio su quell’importante produzione letteraria che proviene dalle due isole maggiori, la Sardegna e la Sicilia: “da Verga a Camilleri, da Siotto Pintor a Niffoi, dalla Deledda alla Agus”.
[…]
linguasarda
 
 

La Repubblica (ed. di Genova), 25.8.2010
Lo strappo di don Gallo conquista il Web

Lo strappo di don Gallo, protagonista del web. Prosegue il diluvio di messaggi di solidarietà e incoraggiamento al sacerdote genovese che continua ad essere in Italia l'unico autore Mondadori ad aver rotto con la casa editrice, dopo la legge "ad aziendam" e lo scandalo dei 350 milioni evasi di evasione, sanati con 8,6 milioni in vent'anni. Don Gallo, però, in fondo è amareggiato, perché nessun altro ha ancora condiviso la sua scelta: «È il tradimento dei chierici, questo - spiega - ancora una volta dimostra che l'intellighenzia non prende posizione, quando invece dovrebbe schierarsi. Penso ai professori universitari che durante il fascismo dovettero decidere se aderire al partito, e continuare a insegnare, oppure no, ed essere cacciati fuori. Dissero "no" solo 12 su 1200». Ieri il direttore di Micromega, Paolo Flores D' Arcais, ha chiamato don Gallo, per esprimergli affetto e solidarietà e per chiedergli di firmare un appello (unendosi a Margherita Hack, Andrea Camilleri, e lui stesso) e convocare una manifestazione in piazza - che già vola on line - a Roma l'ultimo sabato di settembre, o il primo di ottobre, «Fuori Berlusconi, tutti in piazza, W la Costituzione». Ovviamente ha firmato. «È questo il momento di tirare su la testa», dice don Andrea.
[…]
Michela Bompiani
 
 

AgrigentoWeb.it, 25.8.2010
“Aspettando Montalbano”, venerdì la presentazione del libro di Guglielmo Trincanato

Venerdì 27 Agosto 2010 alle ore 19,30 a Caltabellotta sarà presentato il libro di Guglielmo Trincanato “Aspettando Montalbano” edito dalla casa editrice Medinova.
Le relazioni introduttive saranno tenute dal Sindaco On. Calogero Pumilia e da Gaspare Agnello.
La serata si concluderà con un intervento dello stesso autore.
Una serata culturale a 900 metri sul livello del mare, in un luogo pieno di storia e votato alla pace, è  il massimo che ci si possa concedere in questo scorcio di Agosto così  caldo e afoso.
Vi aspettiamo a Caltabellotta…”Aspettando Montalbano”.
 
 

Affaritaliani.it, 25.8.2010
Simonetta Agnello Hornby: "Mi sento siciliana, non italiana"
Simonetta Agnello Hornby parla in anteprima con Affaritaliani.it del nuovo romanzo, "La monaca", di prossima uscita per Feltrinelli, e aggiunge: "Io sono sempre stata siciliana: mio padre lo era e ci teneva. Noi a casa nostra parliamo siciliano, mentre tante delle mie cugine non lo parlano bene. Papà era stato educato in Toscana, ma si sentiva siciliano, per cui io onestamente mi sento siciliana, non italiana: io ho lasciato la Sicilia nel '64 quando avevamo la televisione da sei anni e da allora i siciliani sono diventati più italiani e gli italiani sono diventati più siciliani grazie al grande Camilleri, per cui ci siamo mischiati di più. Io non ho niente contro l'essere italiano: non lo sono, punto e basta"
[…]
Giovanni Zambito
 
 

il manifesto, 26.8.2010
NO B-DAY
Chi, come e quando?

Roma. «Per difendere la repubblica, è necessario che l'Italia faccia sentire unanime la sua voce». Per questo, contro «la volontà di Silvio Berlusconi di assassinare la Costituzione», Micromega lancia un appello - promotori Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, don Andrea Gallo e Margherita Hack - a «scendere in piazza al più presto». Date possibili indicate: l'ultimo sabato di settembre o il primo di ottobre. Destinatari dell'appello che, comparso sul sito l'altroieri ha raccolto oltre diecimila firme, «le associazioni, i club, le testate, i siti, i gruppi viola, tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione e nella volontà di realizzarli compiutamente...».
Ma il «Popolo viola» una manifestazione nazionale a Roma, il NoBerlusconi day 2, l'ha già lanciata una decina di giorni fa, con una data precisa, il 2 ottobre, primo sabato del mese. […]
Al Fatto, che ieri domandava a Flores D'Arcais se Micromega lavorerà insieme al Popolo Viola per il 2 ottobre, il direttore della rivista rispondeva che l'importante è non perdere tempo e organizzarsi al più presto, comunque «a inizio ottobre va benissimo per noi» e «vogliamo invitare tutti senza bandiere di partito, però». Con le parole d'ordine elencate in conclusione dell'appello: «Fuori Berlusconi; realizziamo la Costituzione; via i criminali dal potere; restituire le televisioni al pluralismo; elezioni democratiche».
Comunque una manifestazione si terrà. Anche se la voce per ora non è unanime almeno sulla primogenitura dell'iniziativa. Come spesso accade.
 
 

Blog di Gaspare Agnelllo, 26.8.2010
Un Libro Per Amico in TV Arriva Alla Quarantaquattresima Puntata – Camilleri

La nostra trasmissione arriva alla quarantaquattresima puntata e per tutto questo tempo ci siamo tenuti molto lontano dello scrittore di Vigata Andrea Camilleri per diverse ragioni di natura letteraria che ora noi spiegheremo ai nostri telespettatori.
Ma l’occasione dell’ottantesimo compleanno di Camilleri, che cade il sei settembre del 2005, non può passare inosservato da parte di una trasmissione che parla di libri, considerato che lo scrittore che oggi vende il maggior numero di libri e che è da anni al vertice delle classifiche sia in Italia che anche all’estero è proprio Andrea Camilleri nativo di Porto Empedocle e siciliano di scoglio fin dentro le ossa.
Noi ci siamo tenuti lontani dal trattare e dal leggere Camilleri perché nel Birraio di Preston ha trasformato Bufalino, Sciascia e Consolo in tre pompieri impiegati a spegnere l’incendio di Vigata, considerando questo trattamento come un atto di gelosia nei confronti di chi aveva successo e sbarrava probabilmente il suo successo, che è venuto dopo la morte di Sciascia e di Bufalino e poi perché abbiamo sempre storto il naso dinanzi al suo dialetto teatrale che qualcuno ha chiamato “italiano collassato”.
Ma il successo inarrestabile, la voracità con cui i lettori hanno comprato e letto i libri di Camilleri ci ha creato un dramma psicologico e ci siamo detti che se tutti lo comprano e lo leggono, che se la televisione, il teatro ed il cinema si impossessano con successo delle sue storie vuol dire che noi siamo nel torto e che nostro dovere è quello di leggere e studiare Camilleri.
Abbiamo iniziato con un romanzo storico “La strage dimenticata” che parla di una strage di più di 120 persone consumatasi presso la torre di Federico II di Porto Empedocle nel 1848 e che Camilleri porta alla luce in tutta la sua terribile drammaticità consultando documenti e portando alla luce i nomi di poveri reclusi fatti morire per asfissia; quindi abbiamo letto “La presa di Macallè”, “Il giro di Boa”, “Privo di titolo”, “ La luna di carta” e abbiamo scoperto un Camilleri straordinario, uno scrittore con una fantasia sfrenata capace di combinare situazioni aggrovigliate e di arrivare al bandolo di situazioni difficili attraverso un percorso che avvinghia il lettore e lo tiene incatenato al libro per conoscerne la fine e per studiarne tutti i risvolti di natura politico- sociale e di natura culinaria che certamente interessano sia il lettore siciliano che il lettore di tutto il mondo che finalmente può conoscere le semplici ma ottime ricette della nostra cucina mediterranea e marinara.
Camilleri è incoraggiato nel suo percorso dallo scrittore Spagnolo Manuel Vazquez Montalban che nel 1989 vinse il Premio Racalmare Città di Grotte su designazione pressante di Leonardo Sciascia che lo volle premiare anche contro la nostra volontà che non abbiamo capito immediatamente l’importanza di quello scrittore che con il suo Pepe Carvalho ha conquistato lo strano mondo della letteratura di romanzi gialli infarcendoli evidentemente della storia politica della Spagna e delle più belle pietanze che si potevano gustare nei locali tipici della sua Barcellona.
Lo stesso Camilleri dice: “La lettura di un romanzo di Vazquez Montalban “Il Pianista” mi aveva suggerito una strada possibile per strutturare “Il birraio di Preston”. Io rimasi grato a questo autore spagnolo che non conoscevo e decisi di chiamare il commissario, del quale stavo scrivendo questa prima avventura, Montalbano, che è anche cognome siciliano diffusissimo.
Nei libri di Camilleri troviamo tutti i problemi sociali del nostro tempo: l’avvento del Fascismo, lo squadrismo con i suoi risvolti drammatici, la vacuità del fenomeno Mussolini, che Camilleri non finisce mai di ridicolizzare, il non senso di una certa morale cattolica che viene adattata comodamente a tutte le nostre esigenze anche sporche e quindi il connubio tra Fascismo e Chiesa cattolica, la tragedia dell’avventura coloniale e delle leggi razziali, la barbarie della guerra, l’avvento della democrazia e i difetti del sistema democratico che, nella ricerca del consenso, porta l’uomo politico alla collusione con le forze più oscure della nostra società quali la mafia, il mondo della droga, la storia amara di tangentopoli e della delegittimazione della magistratura, il dramma della immigrazione clandestina con il traffico di uomini e con la tratta di bambini e di donne che cadono in schiavitù, l’avventura di un palazzinaro che diventa capo di un Partito e quindi capo del Governo.
Osserverete che Camilleri è uomo di parte. Noi diciamo che è di parte ma in maniera nobile cercando di osservare con senso critico la realtà che lo circonda e traendone le sue conseguenze politiche e storiche ed è per questo che a Montelusa Camilleri non è amato che mai è stata organizzata una festa in suo onore neanche da quella cultura laica che lo dovrebbe amare ma che certamente non esiste o se esiste non è organizzata.
Strano che nella città dove è nato il grande Luigi Pirandello prevale la morta gora e non si accetta uno scrittore che sa volare alto e che ha conquistato l’Italia con una parlata strana che è un misto di siciliano e di italiano che ne fa una lingua accattivante e comprensibile anche dalle rozze persone che vorrebbero dividere l’Italia per riportarla indietro di tanti secoli.
Agrigento,lì 21.8.2005
gaspareagnello@virgilio.it
N.B. Pubblichiamo questo nostro scritto dopo cinque anni e dobbiamo dire che in questo spazio di tempo Camilleri ha avuto tanti riconoscimenti dalla cittadina di porto Empedocle dove è stata creata una fondazione intitolata proprio ad Andrea Camilleri.
Agrigento,lì 28.7.2010
Gaspare Agnello
 
 

La Repubblica, 26.8.2010
Consolo: "Nei romanzi di oggi abominevole uso del dialetto"

Cagliari - Allarme per la lingua italiana nei romanzi contemporanei. Non solo per gli americanismi. Vincenzo Consolo lancia infatti un SOS per salvare i romanzi dall'uso dei dialetti: «È abominevole. La letteratura italiana è finita». E rispondendo ad Affaritaliani.it, Simonetta Agnello Hornby, dice di sentirsi "siciliana e non italiana", e confessa: «I siciliani sono diventati più italiani e gli italiani più siciliani grazie a Camilleri».
 
 

Blogosfere Cultura, 27.8.2010
A settembre Emergency racconta la sua storia di impegno e solidarietà: sei giorni di incontri, mostre, spettacoli e conferenze

Emergency dà appuntamento ai suoi sostenitori a Firenze per il 9° Incontro nazionale, dal 7 al 12 settembre. L'associazione torna in città per la seconda volta, vista l'accoglienza generosa dello scorso anno che aveva fatto registrare oltre 20 mila presenze tra volontari, sostenitori e simpatizzanti.
Saranno sei giorni di incontri, mostre fotografiche, spettacoli e conferenze per raccontare Emergency e le sue attività umanitarie.
Ogni giorno, artisti, filosofi, giornalisti, intellettuali, scrittori e musicisti si troveranno insieme ai medici di Emergency e ai suoi volontari negli spazi di Firenze Fiera e al Mandela Forum per discutere del lavoro dell'associazione e, soprattutto, per condividere i valori e i principi che l'hanno ispirato.
Si parlerà di guerra, ma anche di salute, uguaglianza, democrazia, informazione insieme a Stefano Rodotà, Massimo Fini, Nicolai Lilin, Stefano Bollani e David Riondino, Riccardo Luna, Jean Ziegler, Marco Paolini e Lorenzo Monguzzi dei Mercanti di Liquore, Arturo Di Corinto, Marco Revelli, Danilo Zolo, Bebo Storti e Renato Sarti.
"Il mondo che vogliamo" è il titolo della serata che Fabio Fazio condurrà venerdì sera dalle 21.30 al Mandela Forum, con Gino Strada, Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Vauro e ospiti musicali.
Sempre al Mandela Forum, sabato sera Serena Dandini ospiterà Neri Marcorè, Antonio Albanese, Dario Vergassola, banda Osiris e Lella Costa per una serata di divertimento intelligente.
Chiuderà la serata un concerto di Patti Smith, la sacerdotessa del rock legata a Emergency dal filo rosso della giustizia e solidarietà.
Valentina Sansoni
 
 

La Stampa, 27.8.2010
Camilleri & Lucarelli: esperimento riuscito?
Qualche riflessione attorno ad Acqua in bocca, interplay jazzistico di due affermati narratori italiani.

Amo le saghe letterarie, ma non sono un habituè del Commissario Montalbano e dell'ispettore Grazia Negro. Mi sento molto più legato a Pepe Carvalho, Fabio Montale, Benjamin Malaussène, i Tre Evangelisti e Adamsberg.
Per questo, non credo che avrei comprato Acqua in bocca, esperimento letterario che unisce le penne celebri di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli. Me l'ha mandato la casa editrice, Minimum Fax, che stimo molto.
Se non sono un aficionado di Montalbano e Negro, che qui uniscono i loro sforzi investigativi come certi albi bonelliani in cui Martin Mystère incontrava (cioè, no: si scontrava) Dylan Dog, non è per snobismo ma perché non è mai scattata la scintilla. Di Camilleri ho letto l'ambizioso romanzo storico Il birraio di Preston (dove ovviamente Montalbano non c'è): non mi ha entusiasmato abbastanza. Di Lucarelli ho apprezzato Guernica e molti libri d'inchiesta. Quello che meno mi ha coinvolto è stato Almost Blue, che vede all'opera proprio l'ispettore Negro, il suo fidanzato cieco e un serial killer "Iguana".
Ho letto però Acqua in bocca con interesse, memore delle riflessioni che molti artisti mi hanno rilasciato in questi anni. La voglia smarrita di unire le proprie esperienze, di incrociare le creatività, di mettersi in gioco con esperimenti rischiosi (e non mercantili). Duettando con uno o più colleghi.
Questo accade in Acqua in bocca: una jam session letteraria. La nota dell'editore, che chiude il breve volume (poco più di cento pagine), è illuminante. Daniele Di Gennaro racconta la genesi dell'opera, sorta di partita a scacchi tra due narratori da un lato attratti dal progetto e dall'altro (quasi) terrorizzati di perdere la sfida con il collega-rivale. Di Gennaro parla acutamente di "interplay jazzistico", per un'operazione durata cinque anni.
Acqua in bocca è un romanzo breve, sotto forma di dossier d'inchiesta. La narrazione è portata avanti "con materiali di riporto, documenti della questura, foto, lettere". E cioè un romanzo episolare, come Firmato Parpot di Alain Monnier (che amai moltissimo) e come Murder Off Miami (A Murder Mystery) di Dennis Wheatley, un libro del 1936 che Camilleri ha usato come punto di riferimento iniziale.
E'  un'opera riuscita? Sì e no. Di sicuro ha venduto moltissimo (i diritti d'autore andranno alle associazioni Papayo e San Damiano Onlus). Lo sviluppo è sin troppo veloce, c'è qualche buco nella sceneggiatura e la femme fatale è un po' tratteggiata con l'accetta. Le pagine sono però piacevoli, qualche capriola funziona (all'inizio è a più agio Lucarelli, mentre Camilleri esce decisamente alla distanza con alcune trovate deliziose).
L'esperimento, in buona sostanza, regge. Più ancora del contenuto, della trama nuda e cruda, ad affascinare - di sicuro i colleghi e gli addetti ai lavori, ma credo anche i lettori più curiosi - è la continua sfida tra i due autori. Lucarelli fa scrivere una lettera all'ispettore Negro (c'è pure un cameo dell'ispettore Coliandro) e la spedisce a Montalbano. Passano i giorni, le settimane, i mesi e arriva la contromossa di Camilleri. "Strategia, capolavori tattici, guerra di posizione, scontro di nervi", riassume ancora Di Gennaro. Come per gli scacchi, la metafora più abusata ma anche più efficace.
Acqua in bocca merita di essere letto non tanto per quello che c'è dentro, ma per quello che si intuisce e si intravede, sbirciando dietro le quinte di due narratori che hanno saputo misurarsi con un immaginario altrui. Operazione ardua. Ma oltremodo stimolante.
Andrea Scanzi
 
 

Wuz, 27.8.2010
Mondadori, i libri a cui è difficile rinunciare
Un piccolo gioco. Se un lettore dovesse veramente sostenere la campagna di boicottaggio dei titoli Mondadori cosa rischierebbe di perdersi nei prossimi mesi? Ecco le principali novità in arrivo dal gruppo editoriale di Segrate: i nuovi libri di Corrado Augias, Andrea Camilleri, Piero Citati, Ken Follet, Paul Auster, Carlo Lucarelli, Ian McEwan, Orhan Pamuk, Bret Easton Ellis, Stephen King e molti altri ancora...

Se noi lettori, da questo preciso momento, dovessimo aderire alla campagna di boicottaggio dei libri editi dal Gruppo Mondadori, cosa perderemmo? Beh, innanzi tutto una sfilza di classici pubblicati dalla casa editrice di Segrate. Ma volendo fare un passo in più, in questo gioco ipotetico, quali sono nell'immediato futuro i titoli che non potremmo più acquistare in libreria? Tra i libri in arrivo a quali novità dovremo rinunciare? In uscita Corrado Augias, Andrea Camilleri, Piero Citati, Ken Follet, Paul Auster, Carlo Lucarelli, Ian McEwan, Orhan Pamuk, Bret Easton Ellis, Stephen King e molti altri ancora...
Alcuni titoli Mondadori di prossima pubblicazione
[…]
Andrea Camilleri - L'intermittenza
[…]
Alcuni titoli Einaudi di prossima pubblicazione
[…]
Giancarlo De Cataldo - Traditori
Carlo Lucarelli - Il sogno di volare
[…]
 
 

Il Giornale, 27.8.2010
Saviano contestato dai fan su Facebook

Sarà Roberto Saviano a inaugurare l’anno accademico 2010/2011 dell’università di Genova, tra metà novembre e metà dicembre. Riceverà anche una laurea honoris causa in Giurisprudenza. Nell’attesa lo scrittore si è «sospeso» da Facebook per concentrarsi sul nuovo libro. Nel giro di poche ore, più di 300 i commenti dei fan. Non manca chi porta nel social network gli echi della polemica innescata nei giorni scorsi dal teologo Vito Mancuso. «Ancora per Mondadori? - chiede Liborio T -. Se è così non compreremo il libro». «Per coerenza, molla la Mondadori per la Sellerio - scrive Ezio F - Camilleri avrebbe un orgasmo e noi saremmo più tranquilli».
 
 

L'espresso, 27.8.2010
Caccia all'autore

Un mite teologo ha il mal di Mondadori, ma quanto infettivo è questo virus? Quante vittime mieterà? Il caso di Vito Mancuso, dotto saggista che dà l'addio alla casa di Segrate perché a disagio per la cosiddetta "legge ad aziendam" con cui il governo Berlusconi ha risolto il contenzioso fiscale tra il gruppo editoriale di Berlusconi e lo Stato, eccita questa fine estate già fibrillante di crisi di governo.
Ma forse la vicenda, oltre a creare dibattito (osserva un editore concorrente che non vuol essere citato: "La novità è che, con l'applicazione di questa legge, Marina e Silvio Berlusconi sono diventati la stessa persona") è la spia di qualcos'altro. Inquietudini che riguardano il mercato librario in una fase molto delicata. Processi di ristrutturazione, cure dimagranti, prospettive incerte.
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VADO ANCH'IO, NO IO NO
Ecco una mappa delle fedeltà e infedeltà, accuse e difese, disagi e conferme degli autori Mondadori e della Einaudi, in relazione al ruolo dell'azionista Silvio Berlusconi.
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MALPANCISTI
Roberto Saviano
Carlo Lucarelli
Paolo Giordano
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PLURIFIDANZATI
Andrea Camilleri
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Enrico Arosio
 
 

Panorama, 27.8.2010
Fiction autunnali, che cosa ci aspetta?

Messaggio di speranza per chi non ne può più delle repliche estive a oltranza di Don Matteo, Capri, La signora in giallo, Il commissario Rex: è in arrivo sulle reti Rai e Mediaset una valanga di fiction.
A uno sguardo attento ci si rende conto che proprio nuove di zecca non sono… Molte infatti sono sequel di storie a cui non si pone fine perché si ha timore di affrontare nuove tematiche che potrebbero non essere gradite al pubblico.
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Mamma Rai non è da meno e segue la medesima politica di non correre rischi per tentare  altre strade nel racconto televisivo. In quest’ottica ecco tornare su Raiuno […] Il commissario Montalbano con Luca Zingaretti interprete oramai cult del personaggio Salvo Montalbano. Sono in programma altri quattro episodi tratti dai romanzi di Andrea Camilleri.
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Marida Caterini
 
 

Limes, 27.8.2010
Cina: l’ispettore Chen colpisce ancora
Chen Cao come Montalbano. Due ispettori che attraverso le penne di Qiu Xiaolong e Andrea Camilleri raccontano i problemi culturali e politici dei loro Paesi.

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Laura Denaro
 
 

La Sicilia, 29.8.2010
Tinaglia: «Camilleri merita il Nobel»

Favara. «Il premio Nobel per la letteratura ad Andrea Camilleri». La proposta arriva dal giovane filosofo favarese, Fabrizio Tinaglia a pochi giorni dal 6 settembre, data dell'85° compleanno dello scrittore empedoclino. In una lettera che presto andrà in pubblicazione, Tinaglia elogia Camilleri, divenuto ormai uno dei più grandi scrittori contemporanei. «Andrea Camilleri è uno scrittore che merita il premio Nobel per la letteratura - dice Tinaglia - i suoi libri sono famosissimi e molto venduti in Italia. Le sue opere, tradotte, sono andate a ruba anche all'estero. Quindi ci sono tutte le motivazioni per una sua eventuale candidatura al prossimo premio Nobel». Lo scrittore empedoclino è stato anche regista e sceneggiatore, il suo commissario Montalbano ha conquistato milioni di telespettatori oltre che numerosissimi lettori. «Camilleri - continua il filosofo - è di Porto Empedocle, ha vissuto nella città marinara e vi torna spesso quando è libero di impegni. È attaccato alla sua terra e questo è un bene per il nostro territorio. Molte sue storie prendono punto proprio dalla provincia di Agrigento, con ricaduta positiva sull'immagine dei nostri luoghi. La terra natia non si dimentica mai ed in questo Camilleri somiglia molto a Luigi Pirandello». Il filosofo favarese si unisce ai milioni di italiani nel fare gli auguri ad un grande della letteratura contemporanea.
e.a.
 
 

Il Giornale di Vicenza, 29.8.2010
Per raccontare come siamo fatti non c'è che il giallo
Chen Cao come Montalbano. Due ispettori che attraverso le penne di Qiu Xiaolong e Andrea Camilleri raccontano i problemi culturali e politici dei loro Paesi.
Petros Markaris

[…]
Perché ha scelto proprio il filone dei libri gialli per parlare della sua terra? Avrebbe potuto scrivere un saggio.
Credo che un giallo parli meglio di qualunque altro genere letterario della società in cui viviamo. Riesce a mettere in evidenza storia, sociologia, pensieri, descrizioni, dialoghi, modi di dire, personaggi, carattere, strade , odori. Viviamo in mezzo a tutto questo e trovarlo scritto, credo sia importante . Del resto è lo stesso lavoro che sta facendo Andrea Camilleri, di cui sono molto amico, con il commissario Montalbano oppure Massimo Carlotto.
Charitos e Montalbano: "mia faza mia raza"…
Diciamo che ci sono libri che passano dal Sud del Mondo: per cui Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e altri a Nord come i gialli svedesi. Sono più interessato ai primi anche perché con i secondi non ci può essere dialogo: sono troppo lontani dalla nostra cultura e dal nostro stile di vita, per quanto efficaci .
[…]
 
 

Panorama, 30.8.2010
Buttafuoco: Caso Mondadori, contro il fighettismo moralista delle anime belle

Gli autori di libri, scrittori civili con coscienza immacolata, non possono pubblicare con Mondadori. L’assetto proprietario della casa editrice, infatti, è delinquenziale: non paga le tasse. E non solo: il padrone, Silvio Berlusconi, s’è fatta una legge «ad aziendam» per fare marameo all’etica. E lo scrittore, si sa, è etico. Così la pensa Vito Mancuso, star alla voga della teologia new age. Lui è uno che sostiene una tesi da rogo, tipo: «Se solo si trovassero le ossa del Cristo, a smentire dunque la resurrezione, la mia identità di cristiano non cambierebbe».
Ma lui è solo uno spretato nella cucuzza e fra le tonache che ha buttato alle ortiche non poteva dimenticare quella di essere stato autore Mondadori e consulente dello stesso catalogo. Ebbene, nel nome di un suo privato principio di autosuperiorità morale, grazie a Repubblica che gli ha pubblicato una lettera-denuncia, il Mancuso ha indovinato la polemica di fine stagione chiamando a raccolta le file di autori-colleghi, in particolare quelli della scuderia di Repubblica, e preparare così lo scisma.
Invece nulla. Ben poco. A parte don Andrea Gallo, non l’ha seguito nessuno.
[...]
Non Andrea Camilleri, che tutto è tranne che un fesso.
[...]
Pietrangelo Buttafuoco
 
 

Desordre, 30.8.2010
Acqua in bocca

Ho trovato particolarmente gustoso questo esperimento letterario che ha portato Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli a far interagire i loro personaggi piu’ famosi.
Tutto nasce dall’iniziativa personale dell’ispettore capo della polizia bolognese Grazia Negro a cui e’ stato tolto il caso di un omicidio dalle modalita’ insolite. Siccome la vittima, Arturo Magnifico, era originario di Vigata, la Negro chiede la collaborazione del celebre commissario siciliano per un’inchiesta privata che si rivela piu’ pericolosa del previsto e che prende una piega inaspettata: non ci vuol molto ai due poliziotti per intuire cosa ci sia dietro alla morte di Magnifico ma ben presto i due si ritrovano ad essere nel mirino di segugi senza scrupoli e solo con un colpo di scena ricco di humor nero che mette anche in dubbio la bonta’ di Montalbano, i due investigatori riusciranno a risolvere il caso.
Cento pagine grondanti intelligenza ed ironia, mettendo alla berlina soprattutto la figura di Montalbano: oltre che passare per assassino nel finale, un incompleto trafiletto di giornale ironizza anche sulla sua morte che come tutti sanno e’ gia scritta, e conservata nella cassaforte della casa editrice Sellerio.
Il gioco parte gia’ dal titolo, quell’acqua in bocca che allude sia alla modalita’ con cui e’ stato ucciso Magnifico che al fatto che l’indagine debba essere portata avanti con segretezza ed e’ un piacere scoprire i vari modi escogitati dai due protagonisti per tenersi in contatto.
In Acqua in bocca non si incontrano solo Montalbano e Grazia Negro ma anche i loro abituali comprimari, Camilleri schiera Ingrid, una Livia sempre piu’ gelosa, Mimi' Augello e l’ineffabile Catarella a cui e’ dedicata una paginetta fantastica sulla sua odissea con le ferrovie italiane che trova fine solo grazie all’intervento della Polfer.
Grazia Negro cita il suo fidanzato Simone e e puo’ contare soprattutto sulla aiuto di Balbo, l’agente Balboni che di solito opera nella squadra di Coliandro e il mitico ispettore rimane coinvolto suo malgrado in questa vicenda, ovviamente senza capire perche’.
A chiusura del romanzo un’interessante postfazione dell’editore di Minimun fax, Daniele di Gennaro, narra la genesi di questo esperimento letterario che tiene molto conto del profilo televisivo e cinematografico dei due protagonisti tanto che gli attori che li hanno portati sullo schermo (Lorenza Indovina e Luca Zingaretti) prestano le loro fattezze anche per le foto del volume che si chiude con i titoli di coda, speriamo che sia un ottimo auspicio per una versione televisiva o cinematografica del racconto!
ava
 
 

Il Giornale, 31.8.2010
Indiscreto

Roma, sede della minimum fax. A Ponte Milvio esultano per il successo travolgente di «Acqua in bocca», due mail di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli spacciate per libro e riempite di foto e corpo 16 che hanno fatto incazzare i fan (leggere i commenti feroci sui siti web ibs e anobi per credere). Ma a minimum fax sono molto più felici perché ritengono di aver gabbato anche il famoso Roberto Santachiara, agente di Lucarelli (e di moltissimi altri) a cui non era stato prospettato un libro di tale successo.
 
 

 


 
Last modified Thursday, February, 02, 2012