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RASSEGNA STAMPA

GENNAIO 2006

 
Il Giornale, 2.1.2006
Bianciardi non va alla guerra del Meridiano

Nel numero del Corriere della sera del 31 dicembre, nella sezione cultura, è apparso un articolo a firma di Stefano Bucci dal titolo «Bianciardi-Camilleri: la guerra del Meridiano». Tale articolo contiene alcune falsità e parecchie inesattezze che desidererei chiarire a beneficio di coloro che ci leggono. Dunque, l'articolo del Corriere prende le mosse da una mia intervista rilasciata a Luigi Mascheroni e apparsa su Il Giornale del 30 dicembre. In tale articolo, tra le altre cose, mi lamentavo del fatto che la Mondadori avesse dimenticato scrittori come Luciano Bianciardi e avesse dedicato invece un Meridiano a molti altri;  tra questi ultimi avevo citato anche Andrea Camilleri: non perché io non stimi Camilleri, o non lo consideri un autore «degno» di un Meridiano (al contrario, la mia stima e la mia riconoscenza sono grandissime: in uno dei suoi racconti, mio padre viene citato, sia pur non direttamente, e ricordato come l'autore di un racconto nel quale si ribaltano i tabù del cibo e del sesso); semplicemente, nell'intervista cercavo di puntualizzare il fatto che solitamente un'«opera omnia» è un'operazione che si riserva preferibilmente e prioritariamente ad autori non più viventi.  In ogni caso, non ho mai pronunciato la frase dai toni vagamente sprezzanti che mi viene attribuita nell'occhiello («la Mondadori preferisce un commissario a mio padre»). In secondo luogo, trovo assurda (e anche vagamente divertente) la definizione di «guerra del Meridiano» con cui si titola il pezzo: non vedo di quale guerra si tratti, né chi dovrebbe combattere con chi, né la ragione di un conflitto del genere, quasi ci fosse solo una possibilità: insomma, come se nei Meridiani ci dovesse essere spazio o per Camilleri o per Bianciardi, e che uno escludesse l'altro, come in un torneo a eliminazione diretta. Non vedo poi perché Salvatore Silvano Nigro (il curatore del Meridiano su Camilleri) dovrebbe sentirsi «sotto accusa»; lui ha fatto benissimo a curare il volume, peraltro molto bello, e il mio appunto non era assolutamente indirizzato a lui, né tantomeno a Camilleri, come ho già detto, ma teso a sottolineare la dimenticanza: non avevo nessuna intenzione, infatti, di «parlar male di Camilleri per parlar bene di mio padre». In terzo luogo,  devo rilevare che il mio colloquio con Renata Colorni, che mi avrebbe «chiarito le ragioni per le quali Luciano Bianciardi e la sua opera non rientravano tra i progetti dei Meridiani» non è mai avvenuto. In realtà sono stata contattata una sola volta dai responsabili dei Meridiani per un racconto di mio padre da inserire nei Racconti italiani del '900, e per il quale ho volentieri e in maniera del tutto gratuita concesso i diritti. Chiarito tutto questo, vorrei porre una domanda: l'autore dell'articolo ha avvertito la sacrosanta necessità di sentire che cosa ne pensassero Salvatore Nigro, Renata Colorni e Massimo Onofri (scrittore e giornalista) di tutta questa faccenda; ma perché non ha pensato di chiamare al telefono anche la sottoscritta?
Luciana Bianciardi
 
 

Corriere della sera, 3.1.2006
«Sinistra e affari: intellettuali chierici muti»
Cordelli: dove sono i nuovi Pasolini? Solo silenzio dai Camilleri, gli Eco e i Tabucchi

Il silenzio degli intellettuali. Perché gli scrittori di sinistra, romanzieri impegnati che non hanno esitato a denunciare la caduta morale della destra berlusconiana e hanno dedicato interi libri al presidente del Consiglio, in queste settimane non hanno ancora speso una parola sull’affare Unipol, sull’intreccio tra politica di sinistra e finanza, sul «collateralismo» di cui sono accusati i dirigenti del maggiore partito di opposizione, i Ds? Lo chiediamo a Franco Cordelli, critico teatrale e narratore.
[...]
Nell’ultimo decennio, almeno dall’introduzione del sistema maggioritario e dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, secondo Cordelli «si è rafforzata nell’intellighentia di sinistra la convinzione di una superiorità morale nei confronti della destra. Tendiamo a giudicare l’avversario politico come inferiore e con ciò commettiamo un gravissimo errore: scambiamo il moralismo con la morale». Un senso di superiorità che impedisce la visione critica verso la propria parte, «che caratterizzava due scrittori impegnati come Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia. Il primo scrisse nel 1968 la poesia in difesa dei poliziotti proletari contro gli studenti figli della borghesia, poco più di un decennio dopo lo scrittore siciliano lanciò la coraggiosa polemica sui professionisti dell’antimafia». Pasolini morì nel 1975, Sciascia nell’89. Con loro, secondo Cordelli, è finita un’epoca: «In genere lo scrittore racconta (e critica) ciò che conosce meglio, con l’arrivo del maggioritario gli scrittori di sinistra hanno cominciato ad attaccare l’avversario politico proclamandolo altro da sé, e diventando così razzisti e moralisti». Con buona pace del ruolo di coscienza critica del «principe».
Quali le assenze più significative notate da Cordelli in questa vicenda Unipol? «Né Umberto Eco né Andrea Camilleri né Rosetta Loy né Antonio Tabucchi hanno preso la parola. Eppure il momento per parlare, per abbattere la barriera politico-moralistica che divide la sinistra dalla destra era proprio questo. Il modo più serio per restituire senso alla politica di sinistra è infatti raccontare e prendere posizione su quanto sta accadendo in casa propria, non occuparsi soltanto degli scandali altrui. Soltanto così non sei più un moralista ma entri nel vivo della questione morale, che, ripeto, è ciò che ci rende diversi dalla destra. Il politico che ho ammirato di più è stato Enrico Berlinguer, che proprio dell’etica ha saputo fare una bandiera politica».
Qualche voce per la verità a sinistra si è levata. «Ma - osserva Cordelli - si è trattato di giornalisti. Il primo a denunciare le responsabilità dei Ds è stato Marco Travaglio, che scrive sull’ Unità ma ha origini di destra. Poi sono arrivati, tra gli altri, gli articoli di Barbara Spinelli e di Eugenio Scalfari. Molti a sinistra sono stati colpiti dalla posizione del fondatore della Repubblica . Benché interpretino al meglio il loro mestiere, questi giornalisti hanno occupato il vuoto lasciato dagli scrittori impegnati».
Cordelli propone una data per tale mutazione: «Senza avere nulla di personale contro questo o quell’autore, faccio risalire il cambiamento di fisionomia dello scrittore italiano al 1980, quando è apparso sulla scena Andrea De Carlo. Da allora la nostra letteratura si è liberata da tanti pregiudizi ideologici e volontarismi, diventando però narcisista e attenta soprattutto al proprio tornaconto, più concentrata sul mercato che sulle esigenze dell’arte». E l’impegno dov’è finito? «E’ diventato un elemento esterno alla propria opera. In Sciascia, per fare un esempio, c’era una continuità tra un romanzo come "Todo Modo", dedicato al tema del compromesso, e gli interventi politici. Oggi invece i gialli di Andrea Camilleri o i racconti memorialistici di Rosetta Loy non hanno nulla a che fare con i proclami politici degli autori. Lo stesso discorso vale per Umberto Eco: da una parte c’è "Baudolino" dall’altra le dichiarazioni politiche. Quanto ad Antonio Tabucchi, che pure non è tra i miei autori preferiti, c’è da dire che ha dato il meglio fino a "Requiem". Quando ha scritto romanzi impegnati, "Sostiene Pereira" o "La testa perduta di Damasceno Monteiro" ha acquistato in popolarità, non in qualità».
Ma il discorso si estende all’intera comunità degli scrittori di sinistra: «Quando hanno cominciato a staccarsi dalla realtà hanno perso prestigio, una qualità che non dipende dalla collocazione politica».
Dino Messina
 
 

Bresciaoggi, 3.1.2006
Gli scrittori ed i libri che verranno
Nei primi mesi del 2006 numerosi titoli di narratori ma anche di poeti e di giornalisti
Sugli scaffali le opere di Andrea Camilleri, Federico Moccia, Giorgio Bocca, Claudio Piersanti, Cristina Comencini, Paola Calvetti, Alda Merini, Paolo Nori e molti altri. Ma non mancheranno interessanti proposte di autori stranieri come James Graham Ballard, Banana Yoshimoto, Maxence Fermine e James Ellroy
Ecco i volumi su cui puntano alcune case editrici

Con l’arrivo del nuovo anno i lettori troveranno in libreria numerosi titoli di autori italiani, narratori ma anche poeti e giornalisti: Andrea Camilleri, Federico Moccia, Giorgio Bocca, Claudio Piersanti, Cristina Comencini, Paola Calvetti, Alda Merini, Paolo Nori e molti altri, ma non mancheranno interessanti proposte di scrittori stranieri, come James Graham Ballard, Banana Yoshimoto, Maxence Fermine e James Ellroy.
Ecco i titoli su cui puntano alcune case editrici. 
NARRATIVA ITALIANA. Una casa chiusa è lo sfondo di "La pensione Eva" (Mondadori) di Andrea Camilleri, un vero e proprio romanzo di formazione, dolce e crudele.
[...]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.1.2006
Il 2006 porta gloria ai registi
Attori e autori siciliani preparano debutti di prestigio. Tornano i mattatori della melodia

[...]
Libri. Il 17 gennaio sarà in libreria "La pensione Eva" (Mondadori), il nuovo romanzo di Andrea Camilleri ambientato in un bordello di Porto Empedocle negli anni del fascismo. Un luogo già citato ne "Il gioco della mosca".
[...]
(a cura di Salvatore Ferlita, Laura Nobile e Gigi Razete)
 
 

La Stampa, 3.1.2006
Veltroni giallista cattive ragazze e il clown di Rushdie

[…]
Passioni d'amore sono anche la promessa narrativa di Andrea Camilleri che ha abbandonato Salvo Montalbano. I sentimenti più teneri maturano all'interno della “Pensione Eva” (Mondadori editore), bordello siciliano dove gli amplessi si consumano poco prima della caduta del regime.
[…]
Mirella Serri
 
 

Stilos, 3-16.1.2006
Forum
Il nuovo colore del giallo non è quello del genere
Visto per decenni come frutto di letteratura bassa, il poliziesco conquista in Italia un posto di rispetto. E indulgendo verso il noir si intesta il compito di raccontare la società sostituendosi al giornalismo. Ma restano gli equivoci e i pregiudizi, quanto soprattutto allo stile di scrittura.

Il giallo italiano sta vivendo una stagione dorata: i festival e i premi che celebrano questo genere si moltiplicano, così come le trasmissioni e le fiction televisive tratte dai libri di nuovi e vecchi giallisti: le traduzioni all’estero di autori anche difficili da tradurre come Andrea Camilleri hanno raggiunto livelli da boom editoriale. Niente di strano, per chi nel giallo ha sempre creduto; tutto inspiegabile per chi considera minore la letteratura cosiddetta di genere, e quella giallo-noir in particolare.
[...]
Quali autori considera maestri?
De Cataldo - Sicuramente Balzac, sicuramente Ellroy, sicuramente Simenon e Graham Greene, ma anche Loriano Macchiavelli e Camilleri.
Di Cara - Ogni libro che leggo o ho letto ha lasciato un segno nel mio stile. Mi sento molto vicino a Lucarelli, ma assieme a lui metto di sicuro Camilleri, Carlotto, Pinketts, ed amici come Dazieri e De Cataldo.
[...]
Maddalena Bonaccorso
 
 

Famiglia Cristiana, 3.1.2006
Inchiesta
Chi va su e chi va giu in tv
Il 2005 non è stato un anno di buona televisione in Italia. Certo, non tutto è da buttare, ma le cose migliori sono venute dai "soliti noti": Mike, Pippo... E pochi altri.

[...]
LUCA ZINGARETTI: ma è davvero concluso il ciclo di Montalbano? Luca ha dichiarato di voler dire addio al commissario, ma la Rai sta trafficando per riacciuffarlo. Comunque se ne parlerà, ad andar bene, non prima di un anno.
[...]
Gigi Vesigna
 
 

Corriere della sera, 4.1.2006
La discussione
I Meridiani, un argine contro l’oblio

Nell'articolo apparso sul «Corriere della Sera» del 31 dicembre, Stefano Bucci riporta alcune mie affermazioni sui «Meridiani Mondadori» e la mancata inclusione delle opere di Luciano Bianciardi. Epperò quelle mie considerazioni, frutto di una piacevole chiacchierata con Bucci, a causa di un catenaccio (un sottotitolo insomma) acquistavano un significato che non avevano, e non volevano avere. Questo il catenaccio: «Onofri: una collana senza valori», che a molti è apparso come un giudizio drasticamente negativo, e ingiustificato, su quella collana, per cui, tra l'altro, ho introdotto il secondo volume della Bellonci. Come s'evince dal testo correttamente riportato da Bucci, io sostenevo, parlando solo degli italiani, che i «Meridiani» non vogliono proporre un canone, una gerarchia dei valori della letteratura novecentesca. Sicché sottolineavo il loro carattere sempre più inclusivo (vedi, per esempio, la scelta di incoronare autori viventi), laddove, accanto a Camilleri può stare bene uno Zanzotto, o, nel prossimo futuro, un Ottieri. Così come aggiungevo - in una notazione caduta a stampa, per ovvi motivi di spazio -, che questa scelta, assai meritoria, aveva comportato l'impiego di un'attrezzatura filologica in molti casi eccezionale, e che non ha eguali nell'editoria persino europea. Non un canone, ma un argine della memoria letteraria contro l'implacabile lavoro del tempo: questo sono sempre stati per me i «Meridiani». Volevo ribadirlo al di là di ogni possibile equivoco.
Massimo Onofri
 
 

La Stampa, 5.1.2006
Il prezzo della frittata
Andrea Camilleri
 
 

Il Messaggero, 5.1.2006
Intellettuali e sinistra quanta ipocrisia

(Corriere della Sera, 3 gennaio) era prevedibile, un film visto già mille volte. Non risulta che lui si possa definire artista da barricata, come lo è stato ad esempio Nanni Moretti. Eccolo all’improvviso uscire dal seminato e prendersela con Eco, con Tabucchi, eccetera. Come mai stanno zitti davanti alla casa che brucia? Come mai lo scandalo non li scandalizza? Non si chiedono, Cordelli e compagni, che forse è più serio stare ancora un po’ alla finestra piuttosto che sparare giudizi alla rinfusa, senza troppi argomenti?
[...]
In ogni caso si ha l’impressione che nella testa di alcuni esponenti della sinistra sopravviva un’idea della politica che snatura le istituzioni e inquieta gli elettori. Eco, Tabucchi e Camilleri continueranno a star zitti? Speriamo. Il tono di voce di questi piccoli Savonarola non li tocca, è tutta roba vecchia.
Vincenzo Cerami
 
 

La Padania, 5.1.2006
I Meridiani perdono la bussola

I “Meridiani”, sempre meno gotha della scrittura di qualità, sempre più specchietto per le allodole che riflette scopi eminentemente commericiali. È una polemica non priva di fondamento quella che infuria da giorni sulla stampa nazionale. Sì, perché scorrendo il catalogo delle uscite della celebre collana letteraria di Mondadori - che ambisce ad essere una sorta di Biblioteca della Pléiade nostrana -, si notano accanto a nomi considerati universalmente dei “classici” della letteratura (italiana e non) come Stendhal, Balzac, Goethe, Shakespeare, D’Annunzio e Montale, nomi che chiamare “classici” - e quindi investire di quell’aura sacrale che li rende in qualche modo “imprescindibili”, “necessari” e “senza tempo” - è quantomeno prematuro. Per ragioni di qualità, sicuramente, ma anche per una ragione più “prosaica”, la stessa che impedisce l’intestazione delle vie a personalità pure di rilievo: il fatto, cioè, di essere ancora in vita e di non aver quindi - ancora - dimostrato di saper “sopravvivere” intatti al trascorrere del tempo.
Il dito nella piaga lo ha messo, nei giorni scorsi, la figlia di Luciano Bianciardi presentando sul Giornale l’”Antimeridiano” che raccoglie le opere complete dello scrittore-giornalista toscano, da lei stessa pubblicato per ExCogita-Isbn Edizioni. «Trovo vergognoso - aveva dichiarato Luciana Bianciardi senza mezzi termini - che ci sia un Meridiano dedicato ad Andrea Camilleri ma non a mio padre».
E in effetti, perché Camilleri sì e Bianciardi no? Bianciardi, nato a Grosseto nel 1922 e morto a Milano nel 1971, fu un personaggio scomodo, disorganico e ribelle, e un intellettuale ricco di interessi e con molte sfaccettature. Storico (memorabili i suoi studi sul Risorgimento), giornalista (negli anni 60 fecero clamore i suoi servizi scandalistici e di costume su argomenti “leggeri” quali tv, sport e sesso) e traduttore (da Miller, Faulkner, London, ...), la sua fama è legata soprattutto al romanzo "La vita agra", uscito da Rizzoli nel 1962: la storia di un provinciale che sale a Milano per vendicare la morte di alcuni minatori, ma che finisce completamente assorbito e metabolizzato dalla società che voleva distruggere. Libro ormai quasi introvabile, come del resto i romanzi brevi "Il Lavoro Culturale" e "L'Integrazione", e l’altro romanzo a carattere autobiografico "Aprire il Fuoco", disponibili tutt’al più in qualche edizione tascabile.
Tra le caratteristiche che da sempre erano un merito della collana dei Meridiani - la cui responsabilità è affidata a Renata Colorni - c’era del resto proprio quella di rendere disponibile, in un unico volume (o al limite in più tomi), l’opera di autori decisivi della letteratura mondiale, soprattutto in quei testi da tempo non più ristampati, o comunque difficili da trovare. Comodi, dunque. Belli in quanto a veste grafica e tipografica (volumi ponderosi ma di formato “tascabile”, ben rilegati e proposti in un elegante cofanetto), ottimi quasi sempre anche nella curatela critica, affidata a studiosi e specialisti di chiara fama.
Bianciardi a parte, la polemica come Cerbero ha più di una testa. La prima: che senso ha proporre un Meridiano (anzi, due: le "Storie di Montalbano" e i "Romanzi storici e civili", a cura di Salvatore Silvano Nigro, Mauro Novelli e Nino Borsellino) dedicato ad Andrea Camilleri, visto che i suoi romanzi sono disponibili in tutte le librerie (anche le più sperdute), pubblicate da Sellerio, da Rizzoli e dalla stessa Mondadori?
La seconda: siamo così sicuri che le avventure del commissario Montalbano e i romanzi dello scrittore siciliano siano davvero letterariamente così “solidi” da poter superare la prova del tempo? O non è forse un’incoronazione un po’ troppo prematura e definitiva? La vera ragione dell’inclusione di Camilleri (e di altri: Giovanni Giudici, Andrea Zanzotto, Pietro Citati, eccetera) la fornisce forse, indirettamente, lo stesso Nigro quando, rispondendo alle polemiche, dice che «le accuse della figlia di Bianciardi servono solo a confermare una vecchia piaga della letteratura italiana: da noi lo scrittore per essere considerato davvero bravo deve essere illeggibile e invendibile, altrimenti diventa immediatamente di consumo». E qui siamo alla terza “testa” della polemica: la commercialità, che purtroppo molto di rado fa rima con qualità e serietà. I Meridiani Mondadori hanno ormai da tempo perso quell’originaria dimensione di “canone estetico”, che aveva caratterizzato i primi volumi, diventando - in linea con una deleteria moda del “cumulo” - delle mere operazioni all inclusive che propongono l’opera omnia degli scrittori senza più distinguere né selezionare il grano dal loglio. E in questo, obbedienti alla legge del mercato, si privilegiano gli autori che “tirano” di più piuttosto che quelli scomodi, difficili o di minor impatto mediatico, ma che hanno molto di più da dire. Come appunto Bianciardi. O come Luigi Santucci, anch’egli incredibilmente nella lista dei desaparecidos delle lettere nostrane nonostante l’indiscutibile valore letterario (e a suo tempo, anche di pubblico) di romanzi come "Orfeo in Paradiso" e "Il velocifero".
Duole dirlo, ma degradati a mera operazione di marketing editoriale, i Meridiani purtroppo oggi si stanno allontanando sempre di più dal modello della Pléiade per avvicinarsi a quello, assai più inquietante, della letteratura tutto compreso, meglio se un tanto al chilo. Ciò che li differenzia è ancora il prezzo (49 euro a volume), non certo a buon mercato. Seguendo questa logica, a quando un Meridiano sul fenomeno (da baraccone) Dan Brown?
E.P.
 
 

La Padania, 6.1.2006
Gli intellettuali organici alla quercia si mobilitano
La guardia del corpo di Fassino? Montalbano!
Su La Stampa Andrea Camilleri si mette nei panni del suo eroe e conclude: «Dove sta lo scandalo?»

Piero Fassino ha una nuova guardia del corpo: è il commissario Montalbano. Andrea Camilleri, l’infaticabile penna cui gli spettatori della televisione pubblica debbono decine di avventure dell’infallibile poliziotto di Vigata, è sceso di nuovo in campo per soccorrere la Quercia pericolante. Quella dettata a La Stampa, è tuttavia un’arringa deludente, somigliando più all’accorata difesa di un tifoso vip che ha visto la propria squadra perdere per un calcio di rigore fischiato in zona cesarini, che al pamphlet ponderato e pervicace di un pensatore politico. «Non ce la faccio proprio a unire la mia voce al coro dei catoni di sinistra per le telefonate di luglio scorso tra Consorte e Fassino - scrive Camilleri precisando, subito dopo, di “non capire in che consista lo scandalo”. Per provare a capirlo, lo scrittore siciliano prova addirittura a mettersi nei panni della sua creatura. «Ho letto con attenzione quei dialoghi, mettendomi addirittura nei panni del commissario Montalbano». E allora, cosa ne pensa il detective? Neeeente. Lo scandalo non esiste. «A meno che lo scandalo non consista nel fatto che gente vicina ai Ds entri in possesso di una banca usufruendo dei relativi vantaggi; cioè che i diessini non siano più un’appendice dei frati minori francescani». L’unica colpa che Camilleri riesce, faticosamente, ad addebitare a Fassino è di “essersi abbandonato al suo carattere emotivo, facile alla commozione per gli elogi e alla suscettibilità per le critiche”. Il segretario si è addentrato “con eccesso di entusiasmo e faciloneria in un campo minato” come quello della finanza e lì, nota Camilleri, “si salvano solo quelli con tanto di pelo sullo stomaco e non gli implumi”. Il povero Fassino, infatti, “ha quell’aria di uno che ha rotto pochi minuti prima il guscio in cui stava”. A proposito di uova, va ricordato che il titolo dell’articolo è il “Il prezzo della frittata”, segno che, anche ci si rifiuta di chiamarlo scandalo, di guaio almeno si tratta. Quello che i Ds ora dovrebbero fare, conclude il tifoso Camilleri, è “dimostrare che la loro diversità morale non è una favola”. ...E dici poco, Commissà!
[...]
Alessandro Montanari
 
 

La Padania, 6.1.2006
Dagli insulti a Berlusconi, suo vecchio editore, al G8 di parte
Al papà del commissario piace spararle grosse

Andrea Camilleri non ha mai nascosto la propria avversione per Berlusconi, anzi. Le sue incursioni a mezzo stampa per condannare la politica del Cavaliere sono state tante e tali da far nascere persino il sospetto che fossero diventate una sorta di strategia commerciale per rimanere costantemente sulla bocca di tutti e continuare a vendere montagne di libri. Lo scrittore, però, si è sempre difeso opponendo lo scudo ideologico della propria fede comunista e in virtù di tali sbandierate convinzioni il creatore del commissario Montalbano è stato spesso invitato ad esprimersi dai quotidiani di sinistra. Come quando, per annunciare la propria partecipazione alla manifestazione organizzata a Roma il 14 settembre del 2002 contro le leggi ad personam, Repubblica ospitò una bizzarra lettera nella quale Camilleri se la prendeva persino con la tuta da jogging indossata da Berlusconi. Era il periodo dei girotondini, quelli che poi hanno smesso di gironzolare, e tutto andava bene pur di dare fondatezza alla teoria del regime. Da lì in poi tra Camilleri e il Cavaliere fu una provocazione via l’altra. La cosa divenne tanto insistita che qualcuno gli fece notare come, in fondo, stesse sputando nel piatto in cui mangiava, visto che all’epoca pubblicava per Mondadori. Figuriamoci! Lui rispose risentito che era pagato dai lettori. Poi (saltando qualche tappa siamo arrivati al 2005) ci fu l’intervista del 2 maggio scorso a l’Unità, dove di Berlusconi disse che era “l’antipolitica, anzi l’antimateria, visto che la sua è una politica virtuale, che non si occupa dei problemi della gente ma esclusivamente dei suoi, per i quali ha un’intera maggioranza che vota compatta». Infine, e siamo allo scorso settembre, ci fu la puntatona politica di Montalbano, quella in cui il valente commissario si mostrava tanto disgustato da quanto fatto dai suoi colleghi al G8 di Genova da meditare le dimissioni con uno sfogo che pare una sentenza di tribunale. «Ad assaltare la scuola, in quella caserma, a fabbricare prove false, false!, non c’è stato qualche agente isolato, ignorante, violento... no! C’erano questori, vicequestori, capi della Mobile e compagnia bella....». La puntata, come sempre, andò in onda sulla Rai. Con buona pace di chi ritiene che a Genova qualche responsabilità l’ebbero pure no-global e black-bloc e di chi non crede che la tv di stato sia territorio occupato. Semmai, okkupato.
 
 

ANSA, 6.1.2006
Raiuno: La Ragusa di Montalbano a "Italia che vai"

Roma. A Ragusa sulle tracce di Montalbano. Nella puntata di domani in onda alle 16 su Raiuno, 'Italia che vai' portera' i suoi telespettatori nella citta' siciliana dove Andrea Camilleri ha fatto vivere il commissario protagonista dei suoi libri.
Il viaggio prosegue per Comiso, una ex base Nato, per approdare a Modica dove si produce una delle cioccolate piu' buone, lavorata secondo le antiche ricette azteche.
Giuseppe Bonura
 
 

Avvenire, 6.1.2006
Editoriale
Se manca l'etica la scrittura è mercificazione

[...]
Certo, ci sono scrittori che se ne infischiano dell'etica ma in genere producono opere rispetto alle quali quelle di Liala o di Camilleri sembrano dei capolavori planetari.
[...]
Giuseppe Bonura
 
 

La Sicilia, 7.1.2006
Lezioni di sesso ma anche di vita e grandi passioni

All'inizio degli anni Trenta il postribolo di "Vigata" - Porto Empedocle era particolarmente conosciuto e di conseguenza anche molto frequentato.
Si chiamava "Pensione Eva" e sorgeva in fondo a via Colombo, zona porto, nei pressi del mercatino. L'edificio era basso, a due piani, con le persiane verdi, e ancora oggi quella costruzione, ristrutturata, è abitata da un paio di famiglie.
Per anni, durante il ventennio fascista, quel "casino" fu al centro dello scandalo e delle chiacchiere dei benpensanti empedoclini, indignati per quel continuo via vai di gente, locali e forestieri, che frequentavano a tutte le ore, la pensione con le sue segrete alcove. Ma il successo del locale era garantito soprattutto dal regolare turn-over che ogni quindici giorni facevano le "donnine", sei in tutto, giovani e carine che prestavano allegramente la loro opera presso la casa di tolleranza.
Oggi lo scrittore Andrea Camilleri, a ottant'anni compiuti, messe da parte le indagini del suo commissario Montalbano e abbandonato il genere del "giallo siciliano", si lancia in una sfida letteraria nuova e per lui anche piuttosto inedita: raccontare per la prima volta una storia d'amore che nasce e si sviluppa intorno ad una casa, o meglio, ad un casino, quello, per l'appunto, della Porto Empedocle dei suoi anni giovanili.
Protagonista del nuovo atteso romanzo di Andrea Camilleri, (edito da Mondadori e in distribuzione nelle librerie a partire dal prossimo 17 gennaio) è "La Pensione Eva", casa chiusa non solo metaforicamente, per via di quelle persiane verdi che durante il giorno rimanevano sempre abbassate come narra lo scrittore, ma anche realmente: una dimora di grandi passioni e di audaci segreti di cui l'autore, nella sua ultima opera, non fa mistero con il lettore.
Questa volta Camilleri attinge per davvero, a piene mani, dai ricordi della sua infanzia fin quasi a voler sfiorare la scrittura autobiografica.
Una casa chiusa realmente esistita, inserita in una storia ambientata durante il periodo fascista.
Protagonista è il bambino Nenè (che poi è il soprannome che gli empedoclini di una certa età avevano affibbiato allo stesso Andrea Camilleri) imberbe e curiosissimo che in quel postribolo vivrà la sua iniziazione non solo sessuale ma anche sentimentale godendo di persona della vita che vi si svolgeva all'interno e non solo più, come accadeva all'inizio della vicenda, attraverso i racconti più o meno fantasiosi dei suoi compagni di scuola.
La narrazione della "Pensione Eva" procede per periodi.
La "casa" che accoglie Nenè e i suoi compagni, poco per volta si trasforma: prima aumenta il numero delle stelline poi il locale, da postribolo, viene promosso a pensione di prima categoria. Cambia il livello degli abituali frequentatori e il bambino, ormai diventato adolescente, assieme agli altri giovani testimoni di questi mutamenti, rimarrà colpito sempre più dall'eleganza e dal continuo miglioramento dei servizi offerti dalla "casa" nonché dalla straordinaria bellezza delle donnine che continuano ad alternarsi nelle stanze dei piani superiori.
I clienti seguiranno ad incontrasi con nuove e prosperose ragazze di vita, in quelle stanze odorose di borotalco e di acqua di colonia, cercando di carpirne i segreti, fin quando, all'inizio degli anni Quaranta, con l'arrivo degli americani, il ricambio delle "fanciulle in fiore" si arresterà improvvisamente.
Il mancato arrivo delle ragazze sarà un evento che segnerà in maniera definitiva il declino della casa di tolleranza. Ma a questo punto del racconto nasce e si alimenta una storia d'amore e di morte che qui non anticipiamo.
La cosa certa e che all'improvviso Nenè e i suoi amici, scopriranno quanto quel periodo trascorso alla "Pensione Eva" sia stato formativo per la loro vita. Alle prostitute, in fondo in fondo, quei ragazzi dovranno molto. In tutte quelle ore trascorse sotto le lenzuola tra i corpi nudi e bianchi di quelle fanciulle, i giovani si renderanno conto di aver ricevuto, non solo impagabili lezioni di sesso, ma anche e soprattutto lezioni d'amore e di vita.
Gli altri protagonisti della nuova storia di Camilleri hanno tutti nomi molto conosciuti a Porto Empedocle. Ad esempio si chiamano "Ciccio" e "Iacolino" e alla "marina" non si fa mistero sul fatto che i due non siano altri che gli inseparabili amici d'infanzia, Francesco Burgio e Gaetano Iacolino, ormai scomparsi da tempo ma testimoni, con Andrea, di quello straordinario periodo della vita che è l'adolescenza.
Dunque, questa "Pensione Eva" si può considerare un romanzo di formazione dello scrittore empedoclino che in diverse occasioni aveva tra l'altro già raccontato qualcosa in proposito anticipando proprio il desiderio di scrivere un testo letterario su quell'epoca.
"Un giorno - racconta Andrea Camilleri - da bambino, passando davanti a quella pensione dalle persiane verdi, chiesi a mio padre: papà è vero che lì dentro si affittano donne nude? Mio padre, sorpreso rispose di sì. - E che se ne fanno? L'incalzai. Se le guardano, mi rispose. Ed io, da quel momento in poi, compresi perfettamente ciò che poteva avvenire all'interno di quella "Pensione Eva" perché, all'epoca, la voglia che avevo di guardare sotto la gonna delle mie cuginette era tale che potevo benissimo capire come ci fossero persone interessate a pagare per guardare sotto le gonne di quelle altre donnine!".
Lorenzo Rosso
 
 

Corriere della sera, 9.1.2006
Bianciardi, Camilleri e i Meridiani

Nel numero del Corriere in edicola il 31 dicembre, a pag. 45, è apparso un articolo a firma di Stefano Bucci dal titolo «Bianciardi-Camilleri: la guerra del Meridiano».
Tale articolo contiene alcune falsità e parecchie inesattezze che desidererei chiarire a beneficio di coloro che ci leggono. Dunque, l'articolo prende le mosse da una mia intervista rilasciata a Luigi Mascheroni e apparsa su Il Giornale del 30 dicembre. In tale articolo, tra le altre cose, mi lamentavo del fatto che la Mondadori avesse dimenticato scrittori come Luciano Bianciardi e avesse dedicato invece un Meridiano a molti altri; tra questi ultimi avevo citato anche Andrea Camilleri: non perché io non stimi Camilleri, o non lo consideri un autore «degno» di un Meridiano (al contrario, la mia stima e la mia riconoscenza sono grandissime: in uno dei suoi racconti, mio padre viene citato, sia pur non direttamente, e ricordato come l'autore di un racconto nel quale si ribaltano i tabù del cibo e del sesso); semplicemente, nell'intervista cercavo di puntualizzare il fatto che solitamente un'«opera omnia» è un'operazione che si riserva preferibilmente e prioritariamente ad autori non più viventi. In ogni caso, non ho mai pronunciato la frase dai toni vagamente sprezzanti che mi viene attribuita nell'occhiello («La Mondadori preferisce un commissario a mio padre»).
In secondo luogo, trovo assurda (e anche vagamente divertente) la definizione di «guerra del Meridiano» con cui si titola il pezzo: non vedo di quale guerra si tratti, né chi dovrebbe combattere con chi, né la ragione di un conflitto del genere, quasi ci fosse solo una possibilità: insomma, come se nei Meridiani ci dovesse essere spazio o per Camilleri o per Bianciardi, e che uno escludesse l'altro, come in un torneo a eliminazione diretta.
Non vedo poi perché Nigro (il curatore del Meridiano su Camilleri) dovrebbe sentirsi «sotto accusa»; lui ha fatto benissimo a curare il volume, peraltro molto bello, e il mio appunto non era assolutamente indirizzato a lui, né tantomeno a Camilleri, come ho già detto, ma teso a sottolineare la dimenticanza: non avevo nessuna intenzione, infatti, di «parlar male di Camilleri per parlar bene di mio padre».
In terzo luogo, devo rilevare che il mio colloquio con Renata Colorni, che mi avrebbe «chiarito le ragioni per le quali Luciano Bianciardi e la sua opera non rientravano tra i progetti dei Meridiani» non è mai avvenuto. In realtà sono stata contattata una sola volta dai responsabili dei Meridiani per un racconto di mio padre da inserire nei Racconti italiani del '900, e per il quale ho volentieri e in maniera del tutto gratuita concesso i diritti.
Chiarito tutto questo, vorrei porre una domanda: l'autore dell'articolo ha avvertito la sacrosanta necessità di sentire che cosa ne pensassero Salvatore Nigro, Renata Colorni e Massimo Onofri (scrittore e giornalista) di tutta questa faccenda; ma perché non ha pensato di chiamare al telefono anche la sottoscritta?
Luciana Bianciardi

Mi dispiace che la signora Luciana Bianciardi si sia sentita in dovere di chiarire alcuni punti relativi al mio articolo: mi dispiace innanzitutto per lei, perché mi vedo costretto a confermare il contenuto dello stesso articolo (quelle che lei considera «falsità e inesattezze» sono le opinioni di chi scrive). A questo punto vorrei però fare un invito alla signora Bianciardi: non veda intorno a sè sempre e solo dei nemici del padre (nessuno dei critici da me intervistati ha mai minimamente messo in dubbio il suo valore), anche perché l’ostilità può essere davvero una cattiva consigliera, come quando fa dimenticare (è successo anche a lei) l’esistenza di recenti edizioni dell’opera di Bianciardi o come quando fa scegliere per una collana la denominazione di «Antimeridiani».
Stefano Bucci
 
 

Corriere della sera Magazine, 12.1.2006
Attualità - Anticipazioni
E adesso vi racconto (davvero) la mia prima volta
I lunedì con le ragazze della casa chiusa. Il fazzoletto sporco di rossetto passato di nascosto al padre. Le lettere cadute dalla giacca del soldato ucciso che confessavano un tradimento. Andrea Camilleri svela i retroscena del suo nuovo romanzo autobiografico. Più un episodio molto intimo con una bionda triestina che nel libro non troverete.

Il nome esatto pare che sia «Camilleròmani». Ma è accettata anche la versione «Camilleròpati» e, persino, la variante «Camilleròfagi». Sarebbero i patiti dei libri di Andrea Camilleri, il più straordinario fenomeno letterario ed editoriale italiano dell'ultimo decennio.
I Camilleròmani costituiscono, secondo Ornella Palumbo (che ha appena dedicato allo scrittore il saggio “L'incantesimo di Camilleri”, Editori Riuniti), «una moltitudine, felicemente trasversale quanto a età, sesso, estrazione socio-culturale e nazionalità».
La Camilleròmania è un'epidemia planetaria. Così Ornella Palumbo ne descrive i sintomi: «Le cifre parlano chiaro: con dieci milioni di copie vendute, il fenomeno delle copie contraffatte, il mercato nero, centoventi traduzioni, persino in coreano e giapponese, Camilleri è uno degli autori più letti del mondo».
Per farsi un'idea della grandiosità del fenomeno basta sfogliare le 400 pagine del meraviglioso volumetto “I libri di Andrea Camilleri” (pubblicato da Sellerio per gli ottant'anni dello scrittore) che raccoglie tutte le sue copertine: dalla inglese “The Terracotta Dog (An Inspector Montalbano Mistery)” alla tedesca “Der zweite Kuss des Judas (Historischer, Kriminalroman)”, alla francese “L'excursion à Tindari (Une enquete du commissaire Montalbano}”...
UNO SCRITTORE INTERNAZIONALE. Eppure Camilleri in Italia un po' lo snobbano. Scrive Ornella Palumbo che «al travolgente favore del pubblico», incontrato dai libri di Camilleri, non corrisponde «la valutazione della critica, spesso perplessa». (Visto quello che si intende per critica in Italia sarei peplesso se non fossero perplessi).
Per nulla perplesso, Camilleri continua a scrivere e pubblicare libri. Sono a casa sua a Roma, in via Asiago (mitico indirizzo della Rai, che si trova proprio qui di fronte e dove lo scrittore ha lavorato una vita), nella stanza, accanto alla cucina, che gli fa da studio. Sul tavolo ci sono le bozze di “La Pensione Eva”, il nuovo romanzo che sta per uscire da Mondadori e che non mi ha lasciato perplesso, anzi. È la storia di Nenè che a 12 anni scopre che c'è un posto (la Pensione Eva, appunto) dove «i màscoli si possono affittare fimmine nude». E scopre anche, grazie alla cugina Angela di due anni più grande, il gioco del dottore e, subito dopo, su proposta di Angela, il gioco inverso: quello dell'infermiera. Con la scusa del caldo che fa nel «tettomorto» (la cantina) [in verità il solaio, NdCFC], teatro delle operazioni, l'infermiera Angela si leva anche lei i vestiti e si «stinnicchia» sopra Nenè. Ma poi Angela è costretta a sposare un uomo che non ama ed esce dalla vita di Nenè con il suo profumo «di cannella e di noce moscata».
Prenderà il suo posto la vedova Argirò (che profuma invece di zagara), madre di un compagno di scuola di Nenè, e l'immagine della vedova appena uscita dalla vasca da bagno, avvolta in un asciugamano, che intona «a vucca chiusa» “Amapola”, prelude alla definitiva inizi azione sessuale del sedicenne Nenè.
Seguirà la frequentazione da parte di Nenè della Pensione Eva, delle ragazze che vi alloggiano (Erminia Davico, in arte Iris; Emanuela Ritter, in arte La tedesca; Grazia Contadini, in arte La bolognese; Maria Stefani, in arte Lupa...), della Signura, la severa maitresse, mentre la guerra avanza, gli alleati sbarcano in Sicilia, Nenè va militare. Il tutto narrato con una felicità e una facilità narrativa tali da far pensare che il caso Camilleri (malgrado il successo mondiale, le centoventi traduzioni, le perplessità della critica) sia tutt'altro che chiuso.
Arrivati alla fine del romanzo c'è una nota: «Questo scritto intende essere semplicemente una vacanza narrativa che mi sono voluto pigliare nell'imminenza degli ottant'anni. Non è ne un racconto storico né un racconto poliziesco, è un racconto fortunatamente inqualificabile. Oltretutto, alla lettura credo che presenti difficoltà minori di altri miei romanzi. E persino il titolo è diverso dai miei soliti. Desidero avvertire che il racconto non è autobiografico, anche se ho prestato al mio protagonista il diminutivo col quale mi chiamavano i miei famigliari e i miei amici. È autentico il contesto. E la Pensione Eva è veramente esistita, mentre sono del tutto inventati i nomi dei frequentatori e i fatti che vi sarebbero accaduti».
Bene, Camilleri, cominciamo dal fatto che "La Pensione Eva" è un libro diverso dal solito. In che senso?
«Mentre lo scrivevo è successa una cosa strana. Se lo volevo riportare dentro al mio registro, mi fermavo, diventava come una strada obbligata e la cosa mi dava molto fastidio. Allora ho dato da leggere i primi due capitoli a mia moglie. Rosetta è l'unica persona ormai che mi resta alla quale far leggere le cose che scrivo. Prima avevo degli amici: Ruggero Jacobbi, Dante Troisi, Niccolò Gallo. E mia moglie disse: ti stai costringendo dentro la tua scrittura come una sorta di scarpa stretta, mi sa che non ci accucchia molto. Raccontalo come se fosse prima, prima di essere diventato uno scrittore».
Prima del caso Camilleri...
 «Sì, prima del caso Camilleri».
Torniamo alla nota. Di solito avvisi di questo tenore (ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale) significano esattamente il contrario. Lei nella nota dice: non è un romanzo autobiografico.
«Invece lo è. Perche non è una storia inventata di sana pianta. Io mi ricordo che noi ragazzi negli Anni Quaranta eravamo arrapatissimi. Non c'era la libertà che c'è oggi. Quando riuscivi di straforo a baciare una ragazza era un avvenimento che faceva epoca. Mi ricordo la prima volta che baciai una ragazza. Avevo 15 anni. Lei sapeva come sarebbe finita e s'era messa il rossetto. Dopo quel bacio appassionato dovetti adoperare il fazzoletto per pulirmi la bocca. Il problema era: come fare scomparire il fazzoletto?».
Sembra l'Otello. E come fece?
«Tornando in macchina con mio padre da Agrigento, dove era avvenuto il fattaccio, gli confessai che ero stato a baciare questa ragazza e che avevo il fazzoletto sporco di questa gloriosa cosa. Mio padre disse: per carità, dallo a me che se tua madre scopre un fazzoletto tuo sporco di rossetto fa un casino! Io dissi: papà, ma non lo fa a te? No, a me non lo fa. E allora io diedi il mio fazzoletto a mio padre. La cosa logicamente oggi dovrebbe essere alla rovescia: cioè il padre dà il fazzoletto al figlio. Ma allora andava cosi».
A un certo punto del romanzo Nenè con il suo inseparabile compagno Ciccio comincia a frequentare la Pensione Eva. Non ha ancora 18 anni. Anche questa è autobiografia?
«La Pensione Eva di Porto Empedocle (era veramente una villetta incantevole), venne presa in gestione dal padre di un mio compagno, il loro nome vero non lo dirò. Questo compagno disse a me e a Ciccio Burgio, amico mio del cuore: ragazzi, se volete venire, la Signura vi dà il permesso, però siccome non avete 18 anni (la legge era severa) vi dà il permesso di venire il lunedì, il giorno di chiusura, così venite come se fosse una casa privata».
Una visita di cortesia.
«Sì e infatti noi ci organizziamo di conseguenza. Portiamo del pesce, del vino, eccetera, mangiamo con loro, chiacchieriamo con loro».
La Signura era davvero una ex professoressa di greco e di latino che dava, tra l'altro, ripetizioni in queste materie al figlio del gestore, come si dice nel libro?
«Proprio così».
E cosa aveva fatto per perdere il posto, per essere radiata dalle scuole?
«Non l'ho mai saputo, l'avrei scritto se l'avessi minimamente saputo. Né mi pareva giusto inventarmelo in una situazione così».
Insomma, comprate il pesce e il vino e poi cosa succede?
«Il mio compagno era stato chiaro: la Signura ha detto che se le ragazze vogliono va bene ma di loro iniziativa, non hanno l'obbligo. Ora il fatto di poter passare delle serate con delle ragazze era una cosa inimmaginabile, una vera fortuna. E così lentamente capii che andavo lì ogni lunedì sera per la voglia di stare e parlare con delle ragazze liberamente, lentamente capii che ricchezza mi trovavo tra le mani».
Una scuola di vita come scrive nel libro.
«La cosa che posso dire con assoluta certezza è che i discorsi che avvenivano tra di noi non erano discorsi grassi, come si usa dire. Erano di tutt'altro genere. E non erano neanche discorsi che muovevano alla pietà (io ci ho un figlio e via lacrimando). No, erano normalissimi discorsi con delle professioniste che potevano essere manicure, pedicure, insomma facevano qualcosa a contatto con i maschi».
Dal romanzo viene fuori l'impressione di un sesso un po' medicale, asettico, lo dico perché lei sottolinea più volte l'odore di disinfettante che aleggiava in quelle camere...
«Era l'odore del permanganato. C'erano queste regole del lavarsi prima. Era tutto molto medicale, come dice lei. Se non era per i pessimi profumi che adoperavano queste ragazze... Terribili. Io ho perso la memoria di questi profumi via via che sparivano i calendari dei barbieri».
Era quello il profumo dei casini?
«Era quello. Io mi sono ritrovato fino a 25 anni fa a odorare uno di questi calendarietti e ritornare con la memoria...».
Proust puro... Dunque, quello era l'odore del peccato.
«Proprio così, tanto è vero che quando ho cominciato a fare il regista in televisione appena avevo un po' di pausa andavo appresso alle ballerine, me ne stavo nel camerino grosso delle ballerine solo per risentire questo odore di profumo pessimo, di sudore femminile che era una cosa meravigliosa».
Nel libro Nenè legge Conrad, Melville e Maigret, gli stessi libri che lei leggeva nella biblioteca dello zio Alfredo. E poi troviamo questa cosa molto sottile: lei nasce a Porto Empedocle il 6 settembre 1925 nel momento in cui la statua di San Calogero esce dalla chiesa per la processione... Be', San Calogero nel romanzo ha una parte strepitosa, appare ripetutamente a una delle ragazze della Pensione Eva...
«Guardi in questo paradiso assolutamente deserto che è il mio studio, lei può vedere un San Calogero ottocentesco regalatomi da Elvira Sellerio (mi indica una statuetta sulla libreria), e guardi qui (mi mostra una cartolina poggiata sul tavolo), questo è l'ultimo San Calogero dell'ultima festa, là sopra vede un'altra statuetta di San Calogero nera...».
Lei ha detto di osservare un unico culto, quello di San Calogero.
«Culto unico. Quando hanno festeggiato a Porto Empedocle i miei ottant'anni (che avvenivano il giorno dopo la festa di San Calogero) hanno lasciato le luminarie della sua festa per illuminare il paese. Ho usufruito delle luminarie di San Calogero».
Questo sì che è un grande onore! Altro che Nobel!
 «Ma figurati».
Qui siamo alla processione, qui siamo a Sant'Andrea. Ma torniamo alla vita parallela tra lei e il Nenè del romanzo. A un certo punto Nenè va a fare il militare ad Augusta, non gli danno nemmeno una divisa (sono finite) ma un semplice bracciale di riconoscimento, intanto c'è lo sbarco alleato.
«Andò proprio come racconto nel romanzo. La mia classe, 1925, terminò le scuole verso il 15 di maggio, senza esami di Stato, venimmo promossi o bocciati per scrutinio. Io venni promosso. Gli ultimi giorni di scuola sentivamo le cannonate dalle finestre aperte, le cannonate di Lampedusa, e c'erano continui bombardamenti. Io avevo passato la visita di leva. Mio padre era ispettore alla Capitaneria di porto, avrei potuto benissimo farmi riformare. Però tutti i miei compagni erano stati fatti abili e mi vergognai. L'ufficiale medico mi sussurrò: che vogliamo fare? Dissi: sono abile, mi faccia abile. Va bene, abile. Queste visite di leva terribili, che stai nudo e siccome erano tempi di guerra e mancava tutto mi scrissero, con la matita copiativa, l'altezza e il peso direttamente sul petto, tipo maiali. Poi mi chiamarono alle armi e quello che successe è quello che dico nel libro.
E a un certo punto da Augusta tornò a piedi e in bicicletta a Porto Empedocle dove al posto dell'odore di noce moscata o di zagare trovò un terribile odore di morti, di cadaveri.
«Madonna. Ma c'è una cosa che non ho raccontato perché mi pare cosi importante da farne un racconto a se, che mai farò. Passai da una zona dove era avvenuto un combattimento. Era una zona completamente devastata, con gli alberi tagliati, bruciati dallo scontro a fuoco. C'erano cinque o sei carrarmati nostri e, proprio come avrei visto poi nei film, dalla torretta di un carrarmato si sporgeva il cadavere di un soldato italiano, la cui giacca gli si era quasi rovesciata sulla testa e rovesciandosi aveva lasciato cadere delle carte. Attirato, come ero allora e come continuo a essere, dalle carte, agguantai questo mucchio di lettere e me lo portai a Porto Empedode e lì lo lasciai. Credo di averle lette queste lettere un anno dopo e le conservo tuttora. Erano le lettere, con tanto di indirizzo, che la moglie di quel carrista romano scriveva al marito e raccontava la storia di un tradimento che lei gli aveva fatto».
E gliele mandava al fronte? Che crudeltà.
«Si, perche lui aveva mandato un suo amico carissimo a salutare la moglie e a portarle un regalo e lì era finito a schifio».
Ah, addirittura con il messaggero.
«La donna scriveva: allora tu mi domandi perché l'atteggiamento del tuo amico è cambiato? Bene, te lo dico... io ce l'ho ancora queste lettere, una storia incredibile beccata in quel momento. Poi proseguii per Porto Empedode».
Dove non trovò più la Pensione Eva distrutta da un bombardamento.
«Si, perche era proprio sul porto, non c'era più».
Il romanzo si potrebbe intitolare “Memoria delle mie puttane tristi”, come quello di Marquez.
«Da anni pensavo a queste storie di casino ma, non so, avevo sempre avuto un certo pudore a scriverle. Quando usci “Memoria delle mie puttane tristi” io dissi ad Antonio Franchini della Mondadori: io ci avrei delle storie di casino. Come delle storie di casino? Gliele ho raccontate. Scrivile subito. È stato Marquez a darmi il coraggio».
Potrebbero accusarla di avere nostalgia dei bordelli.
«Onestamente non ne ho nessuna. Lei sa come finirono i casini? Finirono con uno sketch molto italiano. Ugo Zatterin dette notizia al telegiornale della chiusura delle case chiuse e ne parlò per tre minuti senza citare mai case chiuse, puttane o cose del genere, per cui gli italiani non seppero che cosa si era chiuso. È meraviglioso».
Una parte dei suoi lettori magari l'accuserà di aver scritto un romanzo di sesso, pornografico.
«In genere i lettori sul sesso sono molto negativi. Mi hanno scritto decine di lettere a proposito. C'erano delle povere signore settantenni che mi hanno scritto dopo “La presa di Macallè”: anche mio marito è diventato porco in tarda età, lo diventa anche lei?».
Poveri mariti. Senta, il primo bacio a 15 anni con la storia del fazzoletto sporco di rossetto. E la prima volta?
«A sedici».
Con una vedova come Nenè?
«No, per la verità non è andata così. Come andò veramente l'avevo raccontato nella prima stesura ma mia moglie disse che era una cosa così intima mia e che dovevo modificarla. Così la modificai con quella che è stata la seconda esperienza, quella della vedova».
E quindi la prima volta?
«Noi a Porto Empedocle avevamo questo caffè Ruoccolo che era in concorrenza con il caffè Castiglione davvero imbattibile dal punto di vista dei gelati e dal punto di vista dei biliardi bellissimi che aveva. Allora il signor Ruoccolo per incrementare la clientela ebbe la bella pensata di far venire delle bariste femmine, e non delle bariste così, delle bariste come minimo triestine. La prima che arrivò era molto bella e aveva i modi di una gran dama, tanto è vero che i clienti erano un po' impacciati, intimiditi perché era proprio una austro-ungarica o qualcosa di simile. Correttissima, non dava confidenza, niente e quindi l'unica era pigliarsi il caffè e starsela a guardare. Nessuno osava. Così durò sei mesi, divenne l'amante e poi la moglie di uno che fece una certa carriera politica non indifferente. Fine. Naturalmente il buon signor Ruoccolo capì di avere sbagliato, che non era quello il genere. Allora fece venire una barista giovanissima che si chiamava Mariuccia, che era tutt'altro tipo, con lei potevi ridere, scherzare, fare i doppi sensi...».
Sempre nordica, però.
«Anche lei di Trieste. Come si dice: se no xe mati no li volemo, se non sono triestine niente. E arrivò questa Mariuccia. Però non si sapeva di suoi rapporti con uomini. Confidenza estrema ma arrivare a stringere, niente. Allora, quando venne l'estate, scoprimmo io e il mio amico Ciccio che Mariuccia sotto il camice: niente».
Non c'è più grande investigatore di un ragazzo arrapato...
«Raggi X. Questa è nuda sotto ma quando esce è vestita, allora vuoi dire che nel retrobottega si spoglia, si veste e noi dobbiamo restare dentro il retrobottega quando lei finisce di lavorare. Nel retrobottega c'era pieno di sacchi di caffè e poi c'era una finestrella dalla quale noi potevamo, quando lei chiudeva la saracinesca a mezzanotte e mezza, uscire se rimanevamo chiusi. Così verso mezzanotte fingendo di andare in bagno ci sistemammo dietro i sacchi e lì restammo. Sentimmo tutte le operazioni di chiusura: abbassò la saracinesca, venne nel retrobottega, accese la luce, c'era un osceno lavello, lei aveva i suoi vestiti sopra una sedia, cosa che notammo subito, si levò questo camice bianco. Era nuda».
Era bionda?
«Bionda vera. Superato il momento di morte, perché eravamo a un passo dalla morte, con Ciccio ci sorreggevamo a vicenda, cercando di non ansimare per non farci sentire. Lei ci volgeva questa schiena bellissima e si lavava. poverina, come poteva. A un certo punto, qualcuno di noi due, non so chi, dovette gemere, perché lei si fermò, si voltò, non vide nessuno e tornò a lavarsi. Poi arrivò un momento, mi deve credere su quanto ho di più caro, che lei si voltò di nuovo solo che io non ero più dietro i sacchi. A quattro zampe ero uscito da dietro i sacchi e mi avvicinavo a lei, a quattro zampe, e lei rimase attonita a guardarmi, ghiacciata proprio. Io mi avvicinai, alzai la testa e baciai il pelo. Allora lei mi prese, mi alzò in piedi: ma che sei pazzo? Ma ora ti scoprono. E io: io non posso stare senza di te. E lei: guarda, ora non puoi più uscire dalla porta. Io: sì, l'avevo previsto. Lei: vattene dalla finestra. Domani sera vieni a trovarmi, all'una di notte. Era mossa a una pietà estrema. Io uscii dalla finestra dimenticandomi di Ciccio che era rimasto dietro. Lei uscì, chiuse. Ciccio uscì anche lui dalla finestra. Che t'ha detto? Di andarla a trovare. L'indomani sera ci andai e fu la prima volta che facevo all'amore con una ragazza, di una tenerezza, di una cosa. Questo non so perché a Rosetta è parso troppo personale. Allora ho parlato del secondo episodio, della vedova».
Camilleri, mi permetta di ringraziarla anche di questo superbo racconto all'impronta. Io non sono perplesso, sono sgomento davanti alla sua arte. E mi faccia segnalare ai lettori la bellezza stupefacente del finale della "Pensione Eva", un finale che non dirò per non rovinare l'emozione, un finale che mischia una disperata e tenerissima storia d'amore e morte con un rito quasi cannibalesco (e però dolcissimo), mentre intorno si sente un profumo (uno sciauro, come scrive lei) «di mentuccia, cannella e chiodi di garofano», che era il profumo di Siria, una delle ragazze della Pensione Eva. Consideri, la prego, questa non una intervista ma una processione.
In suo onore e dell'arte del romanzo.
Antonio D'Orrico
 
 

Il Giornale, 12.1.2006
Camilleri segregato nella casa chiusa

Con gli attrezzi linguistici di sempre - un siciliano familiare e felicemente inquinato da invenzioni vocali - Andrea Camilleri s'inoltra in un terreno troppo frequentato e rischia di farci dire: «Ma questo l'ho già letto e sentito». Il giardino narrativo è il bordello, luogo di ombre e profumi forti dietro le persiane, di umilianti promesse fatte a sé con l'alibi di farle anche agli altri, di imprevedibili amori e amorazzi, di stranezze sessuali e di malinconie. S'intitola "La pensione Eva" (Mondadori, pagg. 188, euro 14, in libreria dal 17 gennaio) questo singolare romanzo corale che si snoda attorno a Nenè, il protagonista, e ai suoi amici. Diciamo «singolare» in quanto crediamo a quanto l'autore scrive nella «nota» finale, ossia che le pagine sono il frutto di una «vacanza narrativa» in occasione dei suoi 80 anni. Lui stesso, disinvolto nei romanzi storici e nei gialli, ammette che il racconto è «fortunatamente inqualificabile».
Una treccia di memorie che scende, a volte dolcemente a volte impedita da qualche nodo, sulla schiena della ricostruzione fantastica. S'inizia con il racconto, acuto e delicato, dei primi batticuori del ragazzino Nenè, troppo «nico» (piccolo) per gustare le gioie dell'amore fisico, ma sufficientemente ardente da non rinunciare al fiato caldo e rassicurante della cuginetta Angela, che si spoglia e lo fa spogliare in un solaio: il gioco del dottore diventa intimità anche di cuore e di mente, e sparge i semi non solo dell'innamoramento ma anche di quella pulsione alla vita che il respiro corto dinanzi a un corpo femminile riassume con rozza efficacia.
Ma Nenè, e con lui i suoi amici (siamo nella Vigata immaginaria del Camilleri «padre» del commissario Montalbano), guarda alla pensione Eva come si guarda alle promesse dell'età adulta. Con uno stratagemma ci entra non avendo l'età giusta e comincia a «capire qualichi cosa di la vita». Coglie «giovani fiori» e lo fa - la citazione è proustiana - «con una soddisfazione da botanico». Ma Camilleri purtroppo lascia solo il ragazzo, non segue la sua formazione tra le picciotte «buttane». L'abbandona perché sedotto dal labirinto dell'aneddotica: la prostituta che ha visioni «sante», il cliente che si soddisfa succhiando caramelle insalivate dalla donna sul cui ventre poggia il capo. Non manca nemmeno il vizioso che si traveste da suora e si confessa davanti alla prostituta. Quadretti di vita che si agitano a un ritmo alla Ridolini.
La pensione Eva, sorta sui resti di un tempio greco, dovrebbe avere un imprinting magico. Ma la magia, si sa, è nella testa di chi vi entra, nello «sciauro» (profumo) di donna, soprattutto quello della bella e innamorata Lula che s'imprime negli abiti di chi l'abbraccia e pure nella mente di chi la desidera a costo di mutare drammaticamente la propria vita. Il bordello pulsa fino a quando non cadono le «bombe miricane»: c'è lo sbarco degli alleati, c'è la polvere delle rovine, c'è frenesia sessuale di chi avverte la fine di un'epoca se non addirittura del mondo. E Nenè si ritrova diciottenne dinanzi a macerie.
Pier Mario Fasanotti
 
 

L'espresso, 19.1.2006 (in edicola il 13.1.2006)
Colloquio con Andrea Camilleri
Il teatro? Che dramma
Regista. Attore. Maestro. Ma mai autore di commedie. Mentre 'La concessione del telefono' conquista le sale, lo scrittore siciliano racconta una vita dietro le quinte
Il teatro? Che dramma - pagina 1Il teatro? Che dramma - pagina 2
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Mentre continua la tournée teatrale di “La concessione del telefono” tratta dall’omonimo romanzo di Andrea Camilleri edito da Sellerio, l’autore ci racconta il suo rapporto col teatro e quanto sia stato fondamentale per il suo successo di scrittore e per la sua vita.
Cominciamo dal teatro. Lei è stato regista, più di cento spettacoli…
“Centoventi, per l’esattezza”.
E’ stato insegnate all’accademia d’arte drammatica…
“Giusto”.
Ha fatto anche l’attore.
“A teatro una sola volta. Ero allievo dell’accademia, recitavo con Orazio Costa, dicevo una battuta più lunga di quella di Enrico Maria Salerno. Ne avevamo una a testa di battute, una sola per cinque atti, ma la mia era più lunga della sua. Lui diceva: “E’ il papa?”, e basta. Io invece: “Senza il più piccolo libro”, che era comunque abbastanza più lunga della sua”.
Però come autore teatrale, escludendo le riduzioni da suoi romanzi, ha prodotto ben poco.
“Niente, salvo un primo e ultimo testo che ha determinato tutta la storia della mia vita. Nel’47 lessi che c’era un concorso per atto unico a Firenze, giuria presieduta da Silvio D’Amico. Scrissi un atto unico quasi appositamente per quel concorso, “Giudizio a mezzanotte” si chiamava, vinsi il primo premio, andai a Firenze, conobbi D’Amico, conobbi Luigi Squarzina, ma tornando in Sicilia rilessi il mio testo e lo buttai giù dal finestrino del treno. Credo non ce ne sia più traccia. Però D’Amico mi scrisse l’anno dopo: “Perché non viene a fare l’esame come allievo regista all’accademia?”. Dissi di sì e da lì la mia vita cambiò”.
Poi, solo riduzioni. Cos’è, ha paura della scrittura teatrale diretta?
“Paura, paura. Forse proprio perché ne ho fatto tanto di teatro, ritengo quello del drammaturgo un lavoro di una difficoltà straordinaria”.
Difficile crederlo, perché nei suoi romanzi ci sono dialoghi che approfittano largamente della sua lunga militanza ed esperienza teatrale.
“Moltissimo. Il dialogo teatrale lo ritrovo attraverso il romanzo, ma la drammaturgia diretta mi fa paura, lo confesso sinceramente”.
E’ un annoso problema del teatro italiano, un caso quasi unico in Europa, la scarsità di autori, a parte gli attori che si scrivono testi su misura.
“E fanno benissimo. Sono stato così contento del premio Nobel dato a Pinter, un vero drammaturgo, porca miseria, dialoghi straordinari. E poi è un premio che può dare una mano al teatro”.
A proposito, ha un futuro, non lei, il teatro?
“Deve, deve averlo. Non è retorica dire che una nazione senza un teatro proprio, non dico Shakespeare o altri classici che si continuano a fare benissimo, ma una nazione senza una sua produzione drammaturgia è un po’ poverina, destinata all’ingiallimento”.
Sempre confrontando col resto dell’Europa, i giornali italiani si occupano sempre meno di teatro.
“Quello è tristissimo. Io sono legato a un fatto romantico della giovinezza. Quando ho cominciato a fare il regista avevo 33 anni. Quelle notti in attesa del giorno dopo la prima, la mattina si andava subito a leggere le critiche! La mia prima regia, tutti i critici vennero, loro scrivevano nella notte, tu non andavi neanche a dormire, non ce la facevi e aspettavi i giornali. Mi ricordo che ritenendomi io inutile come regista, perché allora c’erano direttori di scena che rendevano inutile il regista, al momento in cui lo spettacolo iniziava me ne andai, che ci stai a fare? Uscii e camminai a piedi fino a un posto dove c’era scritto “Capitaneria di porto”. Ma come, a Roma? Era vero, era un posto vicino al vecchio gasometro, si scendeva, c’erano dei barconi tanto che anni dopo con Mario Landi ci girammo un Maigret sulla Senna, che invece era il Tevere vicino al gasometro”.
Altri mali del teatro?
“Sbagliando, si da poca importanza al teatro. E poi c’è la scarsa importanza che il teatro per sé ha voluto avere. Si è passati dall’eccesso della santificazione dei santi, come ai tempi di Strehler, anche giusta perché era una grande regista, all’esaltazione dello sperimentalismo più assoluto che ha fatto male alla drammaturgia dal momento in cui si è cominciato a dire e fare teatro gestuale, basta parole ecc. Siamo un paese senza una vera drammartugia nazionale e dove invece esiste una tivvù nazionale e non si parla d’altro. Sai, mi dicono, tu sei fissato con berlusconie allora… Non è vero, anche prima di Berlusconi era così. Anche i giornali di sinistra, per quanto riguarda l’attenzione riservata al teatro, si comportano come se fossero di Berlusconi. Si parla di tagli allo spettacolo oggi, ma sono procedimenti portati avanti con ben altri governi che si dicevano assai più attenti alla cultura. Al rischio di rappresentare l’autore italiano si preferisce andare sul sicuro scegliendo uno straniero già collaudato. Ci siamo dimenticati anche di quel minimo di autori che avevamo fino a 30 anni fa, Ugo Betti, Diego Fabbri, Gennaro Pistilli, Ottiero Ottieri che comparivano in una collana diretta da Paolo Grassi e pubblicata da Einaudi”.
Passava le nottate ad aspettare le recensioni, ma qualche bella stroncatura è arrivata?
“Sì, sì. L’ho avuta, me la ricordo e la porto ad esempio. Per la prima volta misi in scena “Finale di partita” di Beckett nel ’58 a Roma. C’era un critico che non mai conosciuto ma che stimavo enormemente per quello che scriveva. Era Nicola Chiaromonte. Con molta ansia attesi l’uscita della sua critica. Vennero fuori tre colonne in cui non si parlava neanche del mio spettacolo, si raccontava di come lui vedeva Beckett. Ci rimasi malissimo, ma guarda un po’ neanche una riga sul mio spettacolo. La settimana dopo scrisse altre tre colonne dove diceva “Fatta salva la dignità di questo spettacolo (il mio) devo dire che sono completamente dissenziente” e spiegava punto per punto il perché. Bene, è uno dei rari critici a cui ho scritto una lettera: per ringraziarlo, di cuore, di una critica così costruttiva e seria. Tant’è vero che anni dopo, mettendo in onda per la tivvù lo stesso testo, con Renato Rascel e Adolfo Celi, tenni conto delle osservazioni di Chiaromonte”.
Si parlava di Pinter, l’ha mai conosciuto?
“Ho diretto moltissimi lavori di Pinter senza mai conoscerlo, ma l’ho avuto come attore senza mai vederlo. Il terzo programma Rai permetteva di mandare in onda cose raffinatissime. C’era un testo di Beckett, “Lessness”, chiesi a Roger Blin di recitarlo in francese, a Giancarlo Sbragia in italiano, a Pinter in inglese. Lui accettò e dalla Bbc mi arrivò il nastro con Pinter che recitava Beckett”.
Ma c’è un altro Nobel che lei ha conosciuto. Luigi Pirandello.
“Avevo dieci anni, ero un bambino. Ero imbarazzatissimo. L’ho visto una sola volta e mi sono terrorizzato perché era in divisa di accademico d’Italia, pareva un grande ammiraglio. Feluca, spadino, mantello, era venuto a trovare mia nonna paterna. Ho avuto un rigetto da cui mi sono ripreso tardissimo”.
Autori teatrali prediletti?
“Pirandello, scoperto tardi ma mi sono rifatto, sicuramente Beckett e Adamov. E poi ce ne sono due che non smetto di rileggere, Shakespeare e Cechov. Non sono riuscito a metterli in scena e me ne andrò col dispiacere di non averlo fatto”.
Per 17 anni è stato insegnante all’accademia, quali attori ha avuto come allievi a parte Luca Zingaretti?
“Una delle ultime è stata Sabina Guzzanti”.
Come insegnava, che metodo, quali le cose da fare e da non fare?
“Non avevo metodi tradizionali, non Strasberg, non Stanislavskij, non li ritenevo applicabili agli attori italiani. Ero un regista insegnante “a levare”, non “a mettere”: abbassa il tono, non cantare, non volare, sii concreto, sii te stesso. E soprattutto lunghi discorsi sul personaggio inserito nel suo tempo e nella sua cultura in modo che l’attore potesse trarne fuori qualcosa”.
Quando vede un attore recitare cosa le piace e cosa non sopporta?
“Mi piace la resa del verosimile, né vero, né simile, ma verosimile. Detesto l’eccesso, la solitudine che l’attore crea intorno a sé come se gli altri attori non esistessero. Facevo fare questo esercizio: attore bendato al centro della scena, tutti gli altri intorno a lui in un raggio di tre metri, scalzi e respirando normalmente, l’attore bendato doveva capire dove erano e in che relazione con lui nello spazio”.
L’italiano è una lingua parlata dai doppiatori, diceva Flaiano. Non è il caso della sua prosa che si nutre di almeno sei dialetti, una base di siciliano, e poi romanesco, milanese, piemontese, genovese, fiorentino… Mi spiega come fanno a tradurla in ben 27 paesi? A proposito, che figurine le mancano?
“Manca la Cina, ma ormai è vicina, e tutti i paesi arabi. Gli altri 27 si arrangiano, intanto non sono in grado di controllare. Ma se prendiamo per esempio la Francia, uno dei traduttori è corso, ha una fidanzata di Palermo, il che lo aiuta, e va a scovare fino in Bretagna l’equivalente di certe mie parole. Un altro francese le va a trovare in certi termini arcaici di Lione, così difficili per i francesi che ha dovuto aggiungere un dizionarietto”.
Vedo qui intorno molti libri di Sciascia. Che cosa pensa di aver preso da lui?
“Continuo a prendere, nulla di diretto però. Per me Sciascia funziona come un elettrauto, quando ho le batterie scariche, lo rileggo e mi ricarico immediatamente”.
A proposito di Sciascia, lui sosteneva che il fumo lo aiutava a scrivere. Per Camilleri, che quanto a sigarette non scherza, come stanno le cose?
“Non aiuta. Ma io fumo lo stesso”.
Rita Cirio
 
 

Adnkronos, 13.1.2006
Scrittori: Camilleri racconta l'amore in una 'casa chiusa'
Esce martedi' prossimo da Mondadori il nuovo romanzo "La pensione Eva"

Roma - Salvo Montalbano per il momento riposa, e' in vacanza. E intanto arriva ''La pensione Eva'', il nuovo atteso romanzo di Andrea Camilleri, dove il celebre poliziotto dello scrittore siciliano questa volta e' assente. ''La pensione Eva'' (pagine 188, euro 14) sara' distribuito nelle librerie da Mondadori martedi' 17 gennaio e segnera' una novita' nella produzione di Camilleri, che da poco ha festeggiato gli 80 anni. Non solo il popolare commissario di Vigata e' andato in ferie ma suo 'padre' ha cambiato genere letterario: non piu' il giallo, che gli ha assicurato fama mondiale, ma il romanzo d'amore.
 
 

Il Venerdì, 13.1.2006
Fanta-storia
Camilleri ambienta il nuovo romanzo nella città del commissario. Prima che nascesse
Nella Vigata anni Trenta (senza Montalbano)

Chi lo dice che la Vigata di Montalbano è un luogo di fantasia? Vigata esiste, ed esisteva negli anni Trenta, ben prima che nascesse Montalbano. Parola di Andrea Camilleri, che nel paese inventato per ospitare il suo commissario [Vigàta è stata “inventata” molto prima di Montalbano, NdCFC], sul modello di Porto Empedocle (che ora, in omaggio a lui, si chiama Vigata di secondo nome), ha ambientato anche il suo nuovo romanzo. Una vicenda in cui si intrecciano, tra dramma, vitalità e ironia, le storie di uomini e donne che ruotano attorno a una casa chiusa, o meglio a “La pensione Eva”, casino della vecchia Vigata. In libreria per Mondatori nei prossimi giorni
(s.f.)
 
 

Exibart.com, 13.1.2006
Agrigento, Museo Archeologico Regionale, fino al 17.I.2006
Arturo Patten – In fondo agli occhi
Attorno ad un pregiato cratere attico del V secolo, una suggestiva galleria di volti noti. Rigoroso bianco e nero per i ritratti siciliani di una fra le più prestigiose firme della fotografia contemporanea…

Il fotografo d’origine nordamericana Arturo Patten ha scelto la Sicilia come ultima tappa del viaggio della sua vita. Forse perché l’Isola era più vicina ai ricordi della sua infanzia in Messico, quando era ancora lontana l'angosciosa ricerca dell'anima, la “trepidante sensibilità verso quelli che Vittorini chiamava i dolori del mondo offeso”, ricorda Camilleri nel catalogo della mostra che Agrigento dedica ai ritratti realizzati dal fotografo in Sicilia negli anni Novanta.
I volti intensi di Elvira Sellerio, Letizia Battaglia, Andrea Camilleri, Dacia Maraini, Pupino Samonà, rivelano un’arte fotografica colta e una grande sensibilità artistica, che affonda le radici nel rinascimento italiano. A ventinove anni Patten abbandona l'America per andare a vivere in Europa, viaggia continuamente finché decide di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia, dividendosi tra Roma e Parigi. In fuga dai volti ottusi, inerti ed anonimi della provincia americana, il fotografo in Sicilia continua a cercare l'intensità nello sguardo. Raccontando del rapporto contraddittorio che Arturo Patten aveva con l’Isola, Edith de la Héronnière, scrittrice legata al fotografo da amicizia profonda, nel testo in catalogo "Dal Vulcano al caos" scrive: “Ho cercato la vita in Sicilia e la morte ha mostrato il suo volto. Vi ho incontrato sguardi a perdita d'occhio...in Sicilia mi attendeva un mare di sguardi. Non erano indiscreti né curiosi, ma abitati da una sorta di franchezza istintiva, talvolta accompagnata dal riso”.
I volti siciliani, fotografati su sfondo scuro, evocano la composizione formale classica, sia nel forte contrasto del bianco e nero, che tende a definire i contorni in maniera netta, sia nell’attenzione ai più indiscreti dettagli del viso.
Il più delle volte questa ricerca dell’anima –dell’”inimmaginabile”, spiega l’amica– riesce ad essere penetrante, intensa. È questo il caso del bellissimo ritratto di Topazia Alliata che sorride guardando verso l’alto, illuminata da una luce tenue, in un dolce abbandono alla vita. Di altra ironica bellezza è intriso il profilo funereo di Gesualdo Bufalino.
In alcuni esempi più sporadici la bellezza formale della composizione adombra l’attenzione per l’aspetto psicologico del ritratto. Alcune foto, per la posa retorica ma ricercata, evocano gli scatti dell’americano Irving Penn, noto fotografo di moda degli anni Cinquanta. Questo ricco ventaglio di “espressioni siciliane”, create dallo sguardo malinconico di un Patten ormai stanco, risale ai suoi ultimi anni di vita. Nel marzo del 1999 Arturo Patten si toglie la vita ad Agrigento. Il museo archeologico della città ne celebra oggi la memoria, ospitando, attorno ad uno dei pezzi più importanti della propria collezione, una rosa degli intensi sguardi colti e ritagliati dal penetrante obiettivo del fotografo americano.
Giulia Ingarao
mostra visitata venerdì 18 dicembre 2005
 
 

Punto Informatico, 13.1.2006
Cassandra Crossing/ Doyle, Camilleri e Bush Jr.
Un certo modus operandi applicato da Conan Doyle in passato, preso a prestito anche da Camilleri, ha insegnato al presidente USA Bush e alla sua amministrazione che per ogni cosa c'è un verso. O un trucco

Roma - Conan Doyle, autore tra le altre cose del celeberrimo personaggio di Sherlock Holmes (si veda a proposito l'ottima voce di Wikipedia in italiano) si sentì, intorno al 1894, oppresso dal personaggio che aveva creato, e decise di sbarazzarsene in maniera esplicita, brutale e definitiva. Per ottenere questo creò un arcinemico mai sentito prima, il bieco e sconosciuto professor Moriarty, che uccise Holmes facendolo precipitare, nel racconto "L'ultima avventura", dalle cascate del Reichenbach. Pensava così di aver risolto il suo problema. Ma il pubblico, affezionato al personaggio, non accettò la sua scomparsa, oltretutto avvenuta in maniera brutale da parte di un "cattivissimo" che scompariva insieme a lui precipitando dalla stessa cascata.
Minacciato perfino di morte dai fan di Holmes, e forse anche più banalmente toccato nel portafoglio dallo scarso successo delle altre sue opere, Conan Doyle "resuscitò" in maniera subdola Holmes pubblicando prima "Il Mastino dei Baskerville" un opera "postuma" che si svolgeva (nella cronologia del personaggio) prima della sua morte, e poi un racconto, "L'avventura della casa vuota", in cui il personaggio resuscitava ufficialmente. Successivamente, dopo molti altri racconti, nel 1917 durante la prima guerra mondiale, se ne sbarazzò mandandolo in pensione con la pubblicazione de "L'ultimo saluto", in cui un Holmes invecchiato e "profetico" (parlava del Kaiser e della per lui possibile guerra mondiale) parlava del futuro radioso della sua Patria dopo la inevitabile lotta con "Vento dell'Est", e poi non dando seguito al racconto, pur senza far morire ulteriormente Holmes.
In effetti Conan Doyle fino al 1927 pubblico' ancora alcuni racconti, ma questi erano cronologicamente precedenti all'"Ultimo saluto".
Anche Camilleri, autore del celebratissimo Salvo Montalbano, sembrerebbe infastidito dalla sua popolarissima e quindi ingombrante creatura. Ha forse già tentato di farlo sparire violentemente nel "Giro di Boa", nella cui ultima pagina un gravemente ferito e delirante commissario viene portato di corsa all'ospedale. In effetti non moriva "esplicitamente", ma del resto nemmeno il corpo di Sherlock Holmes ne "L'ultima avventura" veniva mai ritrovato. Forse ambedue gli autori volevano lasciarsi una scappatoia? Camilleri comunque ha lasciato sopravvivere il suo personaggio nei due successivi lavori "La pazienza del ragno" e "La luna di carta". Voci circolate nei mesi scorsi parlano di una intenzione espressa dall'autore di pensionare in maniera incruenta il suo personaggio. Forse Camilleri applicherà la stessa tecnica che Conan Doyle ha usato con Sherlock Holmes?
Ma veniamo alla cose serie. Dopo l'11 settembre George Bush junior e la sua amministrazione hanno utilizzato l'evento (anche qui c'è un cattivissimo, non creato ma certo amplificato) per far passare tutte insieme una serie di norme antiterrorismo, ma in realtà anti-privacy ed anti diritti civili in Rete, che erano state precedentemente respinte dal Congresso od erano impantanate in commissioni varie.
C'è riuscito, ed è stata così partorita quella mostruosità, dal punto di vista dei diritti civili che è il Patriot Act, sancendo in moltissimi casi la fine "legale" del diritto alla privacy dei cittadini americani e, come possibile futura conseguenza politica e tecnologica, quella di tutti gli abitanti del pianeta.
Come era prevedibile (ed auspicabile), esaurendosi l'amplificazione mediatica del grave attentato dell'11 settembre, che sta rientrando nell'alveo della Storia, voci dapprima timide poi sempre più forti hanno cominciato a protestare, prima nella pubblica opinione e poi nel Congresso; il recente rifiuto della proroga del Patriot Act ne è stato l'esempio fino ad ora più clamoroso. In un certo senso il "personaggio" Privacy è stato resuscitato perchè troppo importante per poter essere "abolito" di colpo.
Ed ecco che poco dopo lo stesso Bush fa passare una leggina all'apparenza "stupida", cioè l'estensione alla "Violence Against Women and Department of Justice Reauthorization Act" meglio nota in Italia come Galera per i Troll. Fa questo utilizzando il mezzuccio silente di inserirla in un più ampio ed innocuo provvedimento di tutt'altro argomento.
Per carità, questa tecnica non è certo stata inventata negli Stati Uniti; è stata già utilizzata ampiamente sia in Italia che nell'Unione Europea. Due casi recenti sono la prima norma sulla data retention applicata alle conversazioni telefoniche, infilata nella legge Gasparri che parlava di ripartizione delle frequenze radiofoniche e televisive, ed i primi tentativi di approvazione della direttiva U.E. sulla data retention, infilata in un provvedimento che trattava di caccia e pesca.
Questa legge, con una facciata meritoria di lotta alla diffamazione ed allo spam, simile in questo a quella del Patriot Act, mira in realtà a ridurre la possibilità di esercitare diritti civili in Rete.
Un maligno potrebbe pensare che, visto che attaccare direttamente i diritti civili in Rete eliminando il diritto alla privacy si è rivelato più difficile del previsto, adesso si voglia provare ad attaccare gli stessi diritti scoraggiando e limitando la libertà di espressione, usando quindi un metodo strisciante invece di uno violento. Montalbano, parafrasando Andreotti, potrebbe dire che i maligni spesso c'inzertano.
Se da una parte questo potrebbe essere il positivo sintomo che la privacy è troppo importante per poter essere impunemente eliminata, pur sfruttando magistralmente l'onda emotiva di un fatto gravissimo, dall'altra manifesterebbe il nuovo e più pericoloso "modus operandi" dell'eliminazione strisciante e "morbida" attraverso l'attacco alla libertà di espressione in Rete. Qui i DRM non c'entrano, è una motivazione completamente diversa.
Privacy e libertà di espressione sono due cose solo in apparenza diverse e separate, ma in realtà intimamente collegate e mutuamente sostenentesi. E bisogna ricordare che se alla fine Conan Doyle ce l'ha fatta a sbarazzarsi di Sherlock Holmes, lo ha fatto con mezzi non brutali ma morbidi.
Marco A. Calamari
 
 

La Stampa, 14.1.2006
Anticipazione. Nel nuovo romanzo la storia (in parte autobiografica) di un ragazzino e della sua precoce iniziazione sessuale alla "Pensione Eva"
Camilleri la prima volta del picciliddro
Nenè trasì, Grazia darrè di lui: "Questa è la stanza dove lavoro io".Una cella. Anzi, una cammareddra di spitale, pulitissima. C'era fetu di disinfittante

Il fascino del proibito
Si intitola “La pensione Eva” il nuovo libro di Andrea Camilleri, che uscirà martedì da Mondadori (pp. 188, e14). Un romanzo inconsueto, né giallo montalbaniano, né racconto storico: si tratta di una storia in parte autobiografica, ambientata nella Sicilia dell’epoca fascista, quando lo scrittore era adolescente. Racconta di un ragazzino di 12 anni, Nenè, e della sua iniziazione sessuale. Nel brano che qui anticipiamo il giovane protagonista entra per la prima volta in un bordello (la Pensione Eva del titolo, di cui ha sempre subito il fascino misterioso), nel giorno di chiusura, accompagnato da una delle ragazze.
 
 

La Stampa, 14.1.2006
Da Catullo a Musil, da Maupassant a Joyce: quella signore onnipresenti nella letteratura di ogni tempo
Lo scrittore va al bordello

Al protagonista di Camilleri per ora sta andando bene. Niente di paragonabile con il cadetto lussurioso di Musil, che nel “Giovane Törless” avvicina Bozena, la puttana del villaggio, «creatura di mostruosa bassezza», e finisce col pensare orrificato alla propria madre. E forse neppure con Alessio Mainardi, il liceale di Elio Vittorini, che nel “Garofano rosso” compie la sua iniziazione con Zobeida, misteriosa prostituta drogata, abbandonandosi alla grande tenerezza che la donna gli offre, quasi un amore, e trascurando ovviamente la scuola. Quelle signore sono onnipresenti nei romanzi, nella memorialistica e nella poesia di tutti i tempi (basti pensare a Catullo), per non parlare della filosofia. Se Nietzsche frequentava i bordelli pur limitandosi a suonare il pianoforte per intrattenere le ragazze, sappiamo dal “Libro dei cinici” che Cratete di Tebe (IV secolo a. C.) «portò il figlio, finita l'efebia, nell'abitazione di una meretrice e gli disse che suo padre così aveva celebrato le sue nozze», a testimonianza di una pratica durata almeno fino al grande Jorge Luis Borges: secondo il suo più recente biografo, Edwin Williamson, durante l’adolescenza a Ginevra fu indirizzato dal padre a una prostituta che lo iniziasse all’età adulta. Per strada gli venne però da riflettere sul fatto che forse il genitore era già stato a letto con la donna, e da allora non riuscì più a separare il sesso dalla vergogna. Situazione limite? No, basta tornare in Sicilia per incrociare le ginnastiche del “Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati. Nel romanzo Antonio Magliano, grande fama di conquistatore, è in realtà impotente; e il padre Alfio, che non se ne vuol convincere, va a cercare la bella morte per redimere, se non il figlio, almeno il buon nome della famiglia. Con un grido invero gallista: «Voglio che tutta Catania sappia che Alfio Magnani coi suoi 70 anni andava a puttane!». L’incontro con la prostituta, luogo letterario per eccellenza, è ambiguo e complesso. Quello con la casa di tolleranza lo è ancora di più, perché fa parte esclusiva della nostra modernità. Non ci sono veri bordelli nei libri anteriori al XIX secolo, per la semplice ragione che non esistevano nella realtà. Vennero istituiti in Francia a partire dal Consolato, quindi alla fine della Grande Rivoluzione. Lo scopo era di creare, come spiegano gli storici, un luogo dove rinchiudere la prostituzione, renderla invisibile, controllarla, circoscriverla e gerarchizzarla. La novità era il sistema, non l’idea in sé, che risale almeno a Sant’Agostino, cui tutti i teorici della regolamentazione si richiamarono. Nel “De ordine” scrive infatti il vescovo di Ippona: «Se sopprimete le prostitute, le passioni sconvolgeranno il mondo; se conferite loro il rango di donne oneste, l’infamia e il disonore corromperanno l’universo intiero». Gli scrittori moderni, bisogna ammetterlo, presero la faccenda molto sul serio. Sarà stato un alibi per frequentare i bordelli, divenuti a poco a poco, da «case chiuse» piuttosto opprimenti, «case aperte» dove concedersi ogni piacere, da quelli più trasgressivi alla più banale e consueta socializzazione tra maschi? In ogni caso, l’elenco è interminabile, dagli “Splendori e miserie delle cortigiane” di Balzac al delizioso bordello di provincia che ci racconta Maupassant in “Casa Tellier”, dove le ragazze si rivelano, in una scampagnata organizzata dalla «madame» per festeggiare la prima comunione della nipotina, non solo nostalgiche dell’antica purezza, ma devotissime e addirittura commoventi. Sono donne del popolo. La letteratura al bordello privilegia i «lupanari», quelli cui si rivolgevano la classe operaia e gli studenti, più che le «maison» sontuose di gran lusso, riservate ai grandi borghesi. C’è naturalmente Des Esseintes, l’eroe di Huysmans, che le ama e le descrive. In “A rebours”, testo sacro del decadentismo, le contrappone sdegnosamente alle «birrerie con ragazze», altra istituzione parigina che ebbe grande fortuna. Ma nel complesso trionfa nei romanzi la prostituta ingenua, povera, indifesa, poco trasgressiva, di buon cuore. Non la pericolosa “Nanà” di Emile Zola (del resto cortigiana di alta classe), ma una rassicurante massaia del sesso. Il cliché si conferma, per citare ancora un capolavoro, quello di Tomasi di Lampedusa, nelle prime pagine del “Gattopardo” (la preponderanza di riferimenti siciliani, va da sé, è un esplicito omaggio al nostro Camilleri). Il principe di Salina si dirige a piedi «là dove era deciso ad andare», pensando fra sé e sé di essere un «peccatore», e due ore dopo torna soddisfatto, anche se con qualche senso di colpa verso la moglie Stella (madre dei suoi sette figli, primatista mondiale nel farsi segni della croce), perché «Mariannina lo aveva guardato con gli occhi opachi da contadina, non si era rifiutata a niente, si era mostrata umile e servizievole». Anzi, lo aveva chiamato «principone», divertendolo un mondo. Tomasi di Lampedusa ci dice quel che hanno ripetuto infiniti suoi predecessori: il bordello è l’adulterio legalizzato e sterilizzato. Ma non è la sola definizione possibile. C’è per esempio quella di James Joyce, che, nel cuore del Novecento, archivia un’epoca. Il culmine dell’”Ulisse”, quando Leopold Bloom incontra Stephen Dedalus, è infatti il capitolo sotto l’egida di Circe, dedicato al bordello. Qui, dove ogni cosa si allucina in qualcos’altro, compaiono dalla cappa del camino cabbalisti e teste recise, parlano i berretti e anche i campanelli mentre i due protagonisti rivelano la figura archetipica del padre e del figlio, le prostitute sarcastiche e sapienti Zoe, Kitty e Florry danno filo da torcere, per così dire, al mondo. Altro che adulterio soft. Il bordello non è più rassicurante, getta in faccia ai lettori la traduzione più ovvia, nel suo linguaggio, del dilemma di Amleto sull’essere o non essere. È il luogo dove i figli incontrano i padri e le madri, come Odisseo nell’Ade, e viceversa. Ragion per cui forse aveva ragione Borges a turbarsi per così poco, quel giorno ormai lontano, a Ginevra.
Mario Baudino
 
 

Operaincerta, n.6, 14.1.2006
Gli attori della concessione
Le interviste a Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio e Francesco Paolantoni

Il 18 dicembre Operaincerta ha intervistato i protagonisti della commedia “La concessione del telefono” di Andrea Camilleri presso il Teatro Garibaldi di Modica, prima che iniziasse lo spettacolo; e le interviste a Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio e Francesco Paolantoni sono stati un divertente spettacolo nello spettacolo, sia per la qualità degli attori, sia per l’atmosfera positiva, di grande affabilità e affetto che si respirava nei camerini, dove non si sentiva distanza tra gli attori da cartellone e gli altri attori della compagnia.
Lo spettacolo era stato già proposto a Modica la sera prima, ma tutti gli attori, tranne Paolantoni, erano tornati a dormire a Catania, da cui arrivano insieme su un pullman verso le sette di sera. Siamo stati accompagnati nei camerini da Marcello Perracchio, attraverso un dedalo di corridoi e porticine strette, tra casse di scena e scalette in ferro, quasi a perdere l’orientamento. Nel loro camerino Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, davanti a una stufa elettrica, hanno risposto alle nostre domande con grande disponibilità, confermando la grande sintonia artistica e umana che hanno fra loro e prendendosi un po’ in giro.

Perché la scelta di Camilleri?
Musumeci: Noi Camilleri lo conosciamo da quando aveva quarant’anni, prima ancora di essere famoso, quando lavorava ancora nel cinema. Poi nel 1999 abbiamo portato in scena "Il birraio di Preston" con grande successo.
È stato complesso passare dal romanzo al teatro?
Pattavina: C’è stato un notevole lavoro di sceneggiatura da parte dello stesso Camilleri insieme al regista Di Pasquale, hanno realizzato 8 versioni fino al rifacimento che potrete vedere stasera. Quando si assiste ad un’opera tratta da un libro il pubblico tende sempre a fare i confronti con l’originale e spesso resta deluso. In questo caso, nonostante sia tratto da un carteggio, si è riusciti a fare la ciambella con il buco. Questa produzione ha avuto un tale successo di pubblico che il prossimo anno sarà replicata.
Come vi siete trovati a lavorare con un napoletano?
Pattavina: Benissimo! In fondo apparteniamo, i siciliani e i napoletani, allo stesso regno delle due Sicilie.
Musumeci: Abbiamo gli stessi ritmi teatrali, gli stessi tempi, non è stato difficile lavorare insieme.
Che rapporto avete con la tecnologia, con internet?
Musumeci: Io non ci capisco niente, sono un perfetto asino. Io sono nato nell’epoca dei citofoni e più che rispondere “Chi è?” non so fare.
Pattavina: Anch’io sono fuori da questo mondo ma quando guardo chi usa i programmi mi viene voglia di imparare ma non ho tempo, mi scoraggio solo all’idea di cominciare.
Poi, Marcello Perracchio ci ha invitati nel suo piccolo camerino, quasi restio a parlare, come se ancora non fosse abituato al suo status di attore di livello nazionale e alla considerazione che il teatro italiano ha di lui, come ci conferma poi Paolantoni: si racconta con pudore e con voce sottile.
Hai fatto "Il Birraio di Preston", “Montalbano” ed ora ancora Camilleri, come mai?
Perracchio: Il fatto è che Camilleri è un autore che va per la maggiore ed avendo pochi testi interessanti da mettere in scena, le rarità che la Sicilia si può permettere in campo culturale vanno curate e il Teatro Stabile di Catania è molto interessato da queste cose. Ridurre Camilleri non è facile, si legge volentieri, ma poi… con questo spettacolo si è riusciti ad avere il consenso del pubblico, un successo straordinario.
E Paolantoni, come vi siete trovati con lui?
Perracchio: Molto bene. È un ragazzaccio. (sorride) Un ragazzo molto semplice.
Vorrei che ci parlassi delle tue origini.
Perracchio: Io ho cominciato da bambino, ai salesiani; come tutti gli attori, ho recitato nelle rappresentazioni parrocchiali; poi l’esperienza con la Piccola Accademia di Ragusa e nel 1981 sono passato al professionismo. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi attori. Mi ritengo fortunato, perché sono stato sempre ben accetto, è stato in un certo senso semplice inserirmi. Il lavoro di attore è un lavoro che può portare a stressarsi, se preso con frustrazione, rancore o a sentirsi solo un numero, dato che, a volte, si recita da attore protagonista e altre volte, quasi senza soluzione di continuità, da attore di riempimento, perché, magari, in quel momento non c’è una parte adatta a te… può diventare routine e, anche per motivi economici, bisogna accettare certe parti.
Io ho messo la famiglia al centro della mia carriera e, per fortuna, sono riuscito a non vivere solo del teatro, che invece è rimasta una grande passione. Non sono mai stato il classico attore che si sveglia a mezzogiorno, ho fatto sempre in modo da non allontanarmi troppo dalla mia famiglia, anche a costo di molti sacrifici. Da questo punto di vista sono anomalo (come, in questo senso, lo è anche Tuccio Musumeci: due attori molto legati alla propria casa, capaci di fare centinaia di chilometri pur di tornare la sera dalla propria famiglia, n.d.r.)
Com’è recitare a Modica, la tua città?
Perracchio: Ti devo confessare che il Garibaldi rappresenta un tappa importante per me. Sono quasi 50 anni che manco da Modica, questo è il mio primo ritorno dopo gli spettacoli scolastici che facemmo qui. Ma è un legame che vivo in modo non drammatico, senza tensione.
Sono le nove meno un quarto e Paolantoni ancora non arriva. Manca mezz’ora allo spettacolo, ma di lui nessun segno. Poi, finalmente, lo vediamo arrivare carico di una guantiera di cannolicchi e due bottiglie di vino. Anche lui è molto disponibile, ci chiede solo di aspettare un attimo e lo sentiamo brindare con i tecnici, dietro il palco. Nei camerini la confusione è tanta e per avere un po’ di tranquillità ci mettiamo in una stanza vuota; Paolantoni sembra molto contento e disponibile.
Raccontaci di questa tua esperienza con lo Stabile di Catania.
Paolantoni: È la prima volta che lavoro con lo Stabile di Catania, è la prima volta che lavoro con Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina e Marcello Perracchio, che è una pietra miliare del teatro, soprattutto siciliano. Questa è un’esperienza molto, molto divertente, che mi ha arricchito e dato la possibilità di conoscere la realtà siciliana, soprattutto quella del teatro siciliano; anche perché frequento la Sicilia da diverso tempo ed è una terra che adoro! Volevo prendere una casa a Catania, ma adesso che conosco Modica, ho pensato di penderla qui! Una città splendida, fantastica! Artisticamente è stato molto interessante perché sono riuscito a coniugare il teatro siciliano con la tradizione napoletana, visto che comunque noi tutti veniamo dalla stessa storia teatrale, la commedia dell’arte, la lingua mediterranea, le assonanze e la musicalità. È stato veramente un connubio molto felice.
Quindi un connubio perfetto tra attori siciliani e napoletani.
Paolantoni: Perfetto, veramente perfetto, anche sotto l'aspetto dei tempi, dei ritmi, dei…
Non era semplice portare sulla scena un romanzo epistolare…
Paolantoni: La riduzione teatrale è stata molto lunga e faticosa, ne hanno fatto più o meno otto o nove versioni… e poi, al linguaggio camilleriano ciascuno ha aggiunto il suo. Io ho aggiunto un po' di napoletano alla Paolantoni e questa commistione, mi sembra, ha funzionato molto bene. Io mi sento molto gratificato da questo.
Arricchito…
Paolantoni: Molto, molto. Mi piace assai aver conosciuto gli altri. È stata veramente una bella esperienza.
L’anno scorso sei venuto a Ragusa con un altro lavoro e fu una serata strana, gli spettatori erano pochissimi, forse meno numerosi della compagnia. Che hai provato quella sera?
Paolantoni: Vero! Sì, sì. Infatti mi sono chiesto il perchè di quella situazione. In occasioni come quella, di solito mi prendo la colpa dell'insuccesso, anche perchè mi secca dare la colpa agli altri. Ma forse lo spettacolo non è stato pubblicizzato molto bene. In ogni caso bisogna sempre chiedersi perché succedono certe cose…
Si trattava anche di uno spettacolo gratuito.
Paolantoni: Pure? (risate)
Ma un attore, quando ha di fronte poca gente, cosa prova?
Paolantoni: Si dice che la gente non vuole venire a vederlo, pensa di aver sbagliato qualcosa… E quando capita, negli ultimi tempi per fortuna raramente, ti chiedi: mamma mia che sta succedendo. Sì, è stato avvilente. Per fortuna è stato un episodio.
E in televisione, che tempo fa?
Paolantoni: In televisione… (ride) in generale fa brutto tempo, pessimo, come in tutta Italia, sia metereologicamente parlando che per il resto: è uno specchio dell’Italia, della politica. Però, forse, io sono riuscito a ritagliarmi uno spazio su Rai 3, che è ancora una isola felice, più culturale e intelligente, dove si possono dire ancora delle cose… è ancora la rete più godibile, più frequentabile e per la quale, a fine marzo, farò un mio programma, un varietà in otto puntate in cui riuscirò a sfogarmi un po’.
Operaincerta è una rivista on-line, tu che rapporto hai con internet?
Paolantoni: Pessimo, pessimo.
Come il personaggio? (Ci riferiamo al nonno multimediale, n.d.r.)
Paolantoni: Magari. Il personaggio anticipava molte cose…
Ne abbiamo parlato con Musumesi e Pattavina e anche loro ne sono molto distanti…
Paolantoni: Io non mi sono appassionato. Rispondo alla posta, però non mi sono appassionato e certamente il mio lavoro non è legato direttamente al web. Forse dovrei appassionarmi a prescindere… io invece sono un cinema dipendente, un tele dipendente, dalla mattina alla sera vedo sitcom americane, di cui sono un cultore, le conosco tutte, da quando sono nate, situation comedy che si svolgono in interno, come "Friends", ad esempio. Le preferisco ai giochi su internet.
Sei stato a Ragusa?
Paolantoni: No, ho ancora tanto da vedere, questa è una terra fantastica. Siete stati molto sottovalutati. Qui c’è una maggiore civiltà rispetto ad altre zone di Italia considerate comunemente più civili. Anche le persone sono molto più avanti; Catania è molto colta, dinamica. Straordinaria. Io spero di venire in estate con lo spettacolo “Che fine ha fatto il mio Io”. Mi piacerebbe organizzare un tour siciliano, in modo da poter tornare qui.
Gianni Giampiccolo e Meno Occhipinti
 
 

La Repubblica, 14.1.2006
Il grande sondaggio tra i lettori di Repubblica per scegliere i più votati nei diversi campi: sport, politica, film, dischi, libri, auto e personaggi internazionali
I magnifici sette scelti dai lettori
I libri
La Rosa di Eco trionfa su tutti

[...]
Sorprende che Andrea Camilleri, uno degli scrittori che in questi anni hanno dominato le classifiche, arrivi solo undicesimo (Il birraio di Preston).
Corrado Augias
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 15.1.2006
L´intervista
Camilleri "Il mio libro in una casa di tolleranza"
Parla lo scrittore: Nenè, Ariosto e le "signorine"
"Che luoghi straordinari per i giovani di allora"
Questo libro è stato come una vacanza ma badate che non parlo di sesso
Ho consegnato alla Sellerio l´ultimo atto della storia di Montalbano

Da micronarrazione "genetica", contenuta nella raccolta di detti e sentenze “Il gioco della mosca”, a romanzo vero e proprio. Quello che uscirà martedì prossimo, per i tipi della Mondadori, dal titolo “La Pensione Eva”. Attraversa questi due estremi la storia raccontata da Andrea Camilleri nel nuovo libro: una storia d´altri tempi, legata alla casa di tolleranza di Porto Empedocle. Una storia che in dieci anni si è espansa, sino a popolarsi di personaggi come Nenè, Ciccio, tutti quanti con un´idea fissa nella testa: quella di affittarsi le "femmine nude" (Erminia Davico, in arte Iris, Emanuela Ritter, in arte La tedesca, Maria Stefani, in arte Lupa) della pensione. Una trama smaccatamente brancatiana: non può non venire in mente la Pensione Eros frequentata dal "Bell´Antonio". «Lo so - ammette Camilleri - con questo romanzo il piatto della mia bilancia narrativa pende ancora di più dalla parte di Brancati, allontanandosi da Sciascia e Pirandello. Certo, nella scrittura e non solo, di solito mi lascio andare un po´ troppo, cedendo spesso al turpiloquio. Mentre Brancati aveva un temperamento più anglosassone».
In questo suo nuovo romanzo non c´è nulla di pruriginoso nel linguaggio: siamo di fronte a una svolta?
«Il fatto è che questo romanzo me lo sono concesso come una vacanza, una sorta di lunga distrazione. Da qui l´anomalia della trama e soprattutto dello stile. Mi deve credere: nel romanzo non si trova una "minchia", nemmeno a pagarla a peso d´oro».
“La Pensione Eva” racconta la formazione di un ragazzino siciliano. Ma cosa accade tra le pareti della pensione?
«I discorsi intavolati riguardano gli aspetti quotidiani dell´esistenza. Niente sesso, dunque. Lei capisce che il protagonista del romanzo, Nenè, è un privilegiato: lui ha a disposizione tante ragazze con cui parlare, confrontarsi, confidarsi. Davanti ai suoi occhi si dispiega un immenso, straordinario catalogo. E non deve fare altro che comportarsi alla stregua di un entomologo. In poche parole, nel romanzo racconto un´esperienza di vita straordinaria».
Non è dunque soltanto un romanzo sui casini, “La Pensione Eva”?
«Macché. Nel libro c´è la vita e c´è anche la morte, e tutto ruota attorno a questi luoghi straordinari che erano le case di tolleranza. Attenzione: non è che alla mia età mi sono messo a rimpiangere i casini. È solo che allora rappresentavano per i giovani dei luoghi di incontro importanti. Il rigore era assoluto. Oggi i posti in cui i ragazzi si radunano sono spesso più squallidi e più pericolosi».
Nella formazione di Nenè, un ruolo rilevante spetta nientemeno che all´”Orlando furioso”: come mai?
«Il fatto è che Nenè scopre la donna attraverso il capolavoro dell´Ariosto. Lui ha la fortuna di possedere un´edizione del “Furioso” su carta spessa e patinata, illustrata da Gustave Dorè. Da quell´opera Nenè ricaverà linfa per la sua fantasia: sarà la sua lettura principe».
Come mai il romanzo non l´ha dato a Elvira Sellerio?
«Per un semplice motivo: “La Pensione Eva” non è cosa da lettori selleriani. Dopo “La presa di Macallè”, ho ricevuto lettere di signore indignate che per porco mi prendevano e per porco mi lasciavano».
La Sellerio, e i lettori selleriani si consoleranno con un nuovo Montalbano, anche se pare che le cose per lui si metteranno male…
«Lei fa riferimento all´ultimo romanzo della serie, che ha come titolo provvisorio “Riccardino”, e che da tempo ho dato a Elvira, a futura memoria. Lì Montalbano sparirà per sempre, e senza possibilità di ritorno».
Non saranno in pochi a mettere la fascia nera al braccio…
«Il lutto per ora è lontano: voglio rassicurare i miei lettori. Infatti, ho già scritto una nuova avventura di Montalbano, “Il campo del vasaio”, che è quello dove si impiccò Giuda. E lì il commissario è vivo e vegeto».
Salvatore Ferlita
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 15.1.2006
Il nuovo romanzo di Camilleri ripercorre l´epopea delle case di piacere
Quando a Palermo c´erano le "pensioni"
La mappa della città si estendeva dal Cassaro al Politeama
Una festa triste con spumante per l´addio della legge Merlin

Dove ci sono campane ci sono buttane, recita un adagio popolare, antico quanto la "cucca". Figuriamoci a Palermo dove i campanili sono oltre 150. E tutti rintoccanti. In ogni luogo segnato dall´uomo c´è prostituzione, che ovviamente asseconda i mutamenti dell´organizzazione sociale e della morale del tempo. Mercificio libero, case chiuse, luci rosse clandestine, lucciole per strada e così via fornicando. Con una costante: giovani e meno giovani, cocotte e donne d´alto bordo, more e bionde, magre e grasse, alla portata di tutte le tasche e di tutte le età.
Andrea Camilleri ambienta il suo ultimo romanzo a Porto Empedocle nella Pensione Eva, eufemismo di casino. A Palermo durante il fascismo e fino alla chiusura nel 1958 ce n´erano decine di bordelli legalmente riconosciuti, quasi tutti concentrati nel centro storico, allora cuore e portafoglio della città. «Il più prestigioso era quello gestito da Teresa Valido, in corso Vittorio Emanuele, versante mare - ricorda Aurelio Bruno, 84 anni, giornalista in pensione, memoria storica di un´epoca ormai cancellata dal tempo - Specchi, divani, canapè, letti a baldacchino, donnine nude alle pareti, come quelle illustrate nei calendari dei barbieri. Durante il regime ci andavano i gerarchi fascisti, negli anni dell´occupazione gli ufficiali americani e poi la buona borghesia. La maitresse era una facoltosa donna di Riesi. Una grande personalità capace di mettere tutti in riga. Alle Pensione Flores, in via Gagini, invece, andava a soddisfare i propri istinti il bandito Salvatore Giuliano, prima che le belle donne cominciassero a raggiungerlo nelle sciare segrete delle alture di Montelepre».
Ogni quindici giorni le ragazze cambiavano in una girandola nazionale attivata per tenere desti la curiosità e il desiderio. Una sorta di globalizzazione del sesso. Mentre le "vecchie" partivano, arrivava la nuova "quindicina". «Nemmeno il tempo di entrare nella Pensione e il cocchiere le conduceva in questura per la registrazione - continua Bruno - La tettoia della carrozza doveva restare rigorosamente chiusa perché la visione delle donnine era considerata scandalosa. Questa operazione veniva chiamata "cuppune", dal coupon, impegno di pagamento, che gli ‘gnuri ricevevano dalla polizia per svolgere questo servizio. Le ragazze delle case chiuse potevano uscire solo per un´ora al giorno e mai in gruppo».
Le tariffe delle "marchette" variavano da casa a casa, in media 5 lire per la prestazione normale, dieci per la "doppia", 15 lire per mezz´ora di sesso e 30 per un´ora. Il mitico dottor Catanzaro (nessuno sapeva il suo nome) passava ogni settimana a visitare le ragazze, prima delle dieci del mattino, orario di inizio dell´attività. Ma c´erano le irregolari sparpagliate nei bassi del centro, a cui si rivolgevano i minorenni e i poveracci, che si concedevano per molto meno e con molti più rischi. Scolo e sifilide erano malattie frequentissime.
Aurelio Bruno "debuttò" nel 1942 alla Pensione Iolanda di vicolo Ventura, vicino al Politeama. «Ma poi cominciai a frequentare la Pensione Buganè al numero 10 di piazza Sant´Oliva. C´era una certa Tamara, la padovana, che mi piaceva molto. Tanto che in seguito andai a trovarla a Padova, la sua città, dove era tornata a vivere in via San Cristoforo, 15. Le feci la posta e la beccai in un cinema dove davano "I dieci comandamenti". Mi venne da ridere pensando che sicuramente uno dei dieci lo avevamo trasgredito insieme».
L´ex giornalista Rai trascorse con Tamara e le sue compagne, Claretta la veneta, Monica la romana, la notte dell´addio. «Maledetta legge Merlin. Ricordo come fosse ieri quel 20 settembre del 1958. Ci fu una festa di commiato in cui le lacrime scorrevano a fiumi come lo spumante nei bicchieri. Ci sentivamo sul Titanic mentre affondava». La stessa atmosfera in quel momento si stava vivendo nelle altre pensioni: Delle Rose (via Ventura), Taibi (piazza Monte di Pietà), Verneille e Settequarti, entrambe in vicolo Marotta, Pensione Igiea (via Lungarini). Al numero 65 di via Candelai, quella sera maledicevano la legge approvata giusto mentre loro stavano allestendo il casino. Non è mai entrato in funzione e oggi ospita uno dei pub più frequentati dai giovani palermitani.
Alla Pensione "900", invece l´addio era stato molto più tragico in quel terribile marzo del 1943. Sotto le bombe delle micidiali quattrocento fortezze volanti dell´aviazione alleata erano saltati in aria tutti e tre i piani, eden del sesso, seppellendo una decina di donne, la tenutaria, l´apriporte e decine di marinai che erano andati a festeggiare la libera uscita.
«Il balcone della mia casa in via Lungarini era attiguo a quello della pensione Igiea - riprende Bruno - Quando con i miei amici facevamo chiasso la maitresse si affacciava sul balcone fiorito e ci apostrofava con queste parole: «Smettetela, ragazzi. Ma insomma, una signora che ha lavorato tutta la notte ha o no il diritto di riposare?». E noi risate. Poi appena maggiorenne diventai cliente. Casa e bottega come suole dirsi. Ricordo che il marito della sorella della proprietaria della casa, sottufficiale di polizia, fu costretto a dimettersi per il mestiere della cognata. Poveruomo finì con il fare il contabile nello stesso casino».
"L´Unità" in origine aveva la redazione palermitana vicino alle due case chiuse di vicolo Marotta. Il capo cronista del tempo Daniele Enriquez si divertiva a fare scherzi telefonici chiedendo prestazioni strane. Una volta restò di gelo quando dalla signora Anna, maitresse della Buganè, si senti rispondere: «Non faccia lo scemo che l´ho riconosciuta. Lei è quel porco di padre Morello». «Il bordello era interclassista - sorride Bruno - Più o meno ci passavano tutti. Anche qualche prete. Quando c´erano presenze importanti l´anticamera veniva chiusa oppure si organizzavano gli incontri dalla mezzanotte, orario ufficiale di chiusura, in poi».
Dopo la messa al bando ci fu la diaspora. Le donne di vita si dispersero e molte con i risparmi comprarono degli appartamentini dove continuarono a esercitare. Claretta in via Roma, Nicoletta "trimuturi" all´Albergheria, Marisa in via Mazzini, la "spagnola" in via Gravina, Luna "l´acrobata" in via Cerda, la "sciancata" in via Monte Pellegrino, tante altre in via Crispi di fronte al porto. In poco tempo tutti gli anfratti della città vecchia, dal Borgo alla Vucciria, si riempirono di lucciole. Una di questa era Maddalena Lo Biondo, 26 anni. Fu trovata accoltellata in un basso di via Santa Rosalia, al Borgo, la notte del 18 gennaio 1965. Accanto a lei il corpo di Ahemed Nomad, 19 anni, un giovane marinaio yemenita. Del duplice delitto venne accusato Giuseppe Panzica, detto "Pino u pullu" di professione magnaccia, e Vincenza Montoro, anche lei prostituta. Il delitto riempì per mesi le cronache dei giornali. Così come quello di "Helga" in via Mazzini, qualche anno dopo. E di Giovanna Di Falco al numero 13 di piazza Sant´Oliva il 18 novembre del 1968. Ormai le prostitute erano nelle mani dei protettori. Spesso mani violente.
La capitale del vizio era piazza Gran Cancelliere, una traversa del Cassaro. Da duemila a tremila lire le tariffe. Ogni tanto, a scadenza periodica, una casa veniva, e viene, scoperta dalla polizia. E poi, come il rintocco delle campane, tutto ha ripreso il suo corso. In una di queste operazioni qualche anno fa è incappata Provvidenza Conti, "Enza" per gli amici, ex sciantosa che a 89 anni gestiva ancora una casa in via Cerda. È finita agli arresti domiciliari.
Oggi le lucciole, al calare delle ombre le si incontrano ovunque: nelle traverse vicino alla stazione, alla Favorita, in via Roma. Spesso sono "schiave" arruolate all´estero, Nigeria e paesi dell´Est. I protettori però ci sono sempre, come le buttane e le campane. Ma andare a pulle non è più un vanto. «Prima i puttanieri erano ammirati e invidiati - dice Ignazio Coppola, segretario provinciale dei Comunisti italiani, che ha vissuto quelle atmosfere peccaminose - Non c´era la liberalità dei costumi di adesso, né le malattie di adesso. Le prostitute erano l´unica via di accesso al sesso. Andare a puttane era una filosofia di vita largamente condivisa. Oggi con l´Aids è un azzardo. Bisogna ricordarlo ogni giorno ai nostri figli».
Tano Gullo
 
 

TG5, 16.1.2006
Intervista ad Andrea Camilleri in occasione della pubblicazione de "La pensione Eva"
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Carlo Gallucci
 
 

17.1.2006
Fiorello legge "Un filo di fumo"
L'espresso pubblicherà la versione in audiolibro di Un filo di fumo, letto da Fiorello.
Adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale, con la supervisione di Andrea Camilleri. Musiche di Enrico Rava, Olivia Sellerio e Paolo Damiani. La produzione è della Full Color Sound di Vincenzo Sicchio.
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TG3 (ore 14:30), 17.1.2006
Intervista ad Andrea Camilleri in occasione della pubblicazione de "La pensione Eva"
 
 

Stilos, 17-31.1.2006
Autori italiani. Andrea Camilleri
Il tempo dell’amore nel tempio di Venere
L’età dell’infanzia rimemorata in una sotie di invenzione e ilarità. Quasi un sogno fiabesco su ricordi reali legati alla presenza di una casa di tolleranza a Porto Empedocle che ha acceso la fantasia dei “ragazzi del ’25”. Una prova d’omaggio alla memoria

Sebbene avverta in finale di li­bro che «il racconto non è au­tobiografico», l'intera parte iniziale posta sotto un calem­bour di schietto gusto camil­leriano, «Gradus ad Parnassum», ri­sponde (con la fedele riproposizione anche di alcuni brani) a quanto Camil­Ieri ha già scritto in “I1 gioco della mosca” ricordando la Porto Empedocle della pensione Eva, una casa di tolleranza che negli anni tra le due guerre, prima di essere distrutta dalle bombe allea­te, animò non poco le notti del paese: la confidenza del padre che lì dentro gli uomini affittavano le donne per guardarle nude, le rivelazioni - tra sor­presa e peccato - dei bambini più grandi, l'educazione sessuale intra­presa con una cuginetta giocando al dottore in soffitta, l'idea che fosse me­glio di una locanda e peggio di un al­bergo. Inventate certamente sono in­vece le frequentazioni della pensione, sue e dei suoi compagni di liceo, con i quali piuttosto (quelli reali: Ciccio Burgio, Giuseppe Fiorentino, Alfonso Gaglio) altri furono gli interessi condi­visi, a cominciare dal teatro: passione in omaggio alla quale fondarono pure una compagnia teatrale, battezzata «Maschere nude», che riusciva a riem­pire di gente colorita il vecchio teatro Mezzano, posto - in un estempora­neo ma quanto mai burlersque e pitto­resque misto di natura e cultura - pro­prio alle spalle della ancora più colori­ta pensione Eva. Che Camilleri ricorda benissimo, a rileggerlo in “I1 gioco del­la mosca”, ma solo per averla vista da fuori. Ricorda infatti «un floreale carti­glio sopra il batacchio del portone eternamente semichiuso», portone che non essendo mai ne sbarrato ne spalancato, ma socchiuso, doveva in­stillare nella sua mente bambina fascinazioni e attese ancora più prurigino­se e mesmeriche, un antro di chissà quali prescienze immagate e versico­lari.
Il mood di questo libro, “La pensione Eva” (Mondadori, pp. 183, euro 14) è in un passo di quell'altro e nell'interroga­tivo che l'autore ricordava come una nota di basso continuo: «Perché la pensione Eva, ai margini del paese, proprio sul molo, come immacolata di fresco, con le persiane luccicanti di verde sempre chiuse, non presentava di giorno alcun movimento? Era que­sta la domanda che mi ponevo quan­do guardavo quella casetta a due pia­ni, linda, aggraziata, con i fiori sui da­vanzali, che proprio pareva la casa delle fate buone». Camilleri ha conser­vato dunque un ricordo caro di quella presenza conturbante, di assoluta «tolleranza» da parte del paese. E del­la «casa delle fate buone» ricorda so­prattutto l'assenza di movimento du­rante il giorno, quando la guardava nei dettagli, non potendola osservare la notte nel suo fantasmatico pieno di «vita».
Quello stato di fissità e di inanimazio­ne che gli suggeriva la vista della casa si è mutato, passando dalla memoria infantile alla mente senile, in un tourbillon di brio e ardore, in un carosello vertiginoso di scene e azioni da helza­poppin', un vaudeville che sulla quinta di uno stesso fondale, il salone d'atte­sa della casa, ingrada e alterna figure e macchiette, siparietti e bavardage tra sotie e pochade, cachinni e cochon. Do­ve la vocazione tutta teatrale di Camil­leri si leva come un canto libero ora li­brandosi a un'altezza di divertita in­venzione letteraria ora ripiegandosi raccolto sul suo piccolo mondo perdu­to dell'infanzia e dell'adolescenza.
Tra bombardamenti, feste patronali d'antan, pagine rimemorate dell'Or­lando furioso, vedute e luoghi come la Scala dei turchi e gli scagni degli ar­matori, le navi ormeggiate al porto e gli scherzi da «ragazzi del '25» la pen­sione Eva si presta a scandire un tem­po antifrasticamente felice facendosi topos del costume più felliniano, in un clima di «amarcord» dove la nave Rex viene dal molo vista e fantastica­ta come un cosmorama rivolto sul fu­turo. Cè tutto Camilleri bambino con­tento in questo libro sorgivo e incoat­to, ricomposto sulla lezione esplicita di Patti, del suo wit circa l'iniziazione al sesso, tra ammicco e smiccio, e che pure è in debito con il Bufalino di “Argo il cieco” per la riuscita congiunzione di camaraderie e campanile, paesani e paese. Tutto entro uno spirito sine­stetico, di odori e sensazioni che risve­gliano ricordi e immagini, di fumi mentali e profumi reali, che sono non a caso frequentissimi in questa prova che non è romanzo ma una concate­nazione di racconti e ragguagli perso­nali.
Sicché fa bene Camilleri a precisare che stavolta si è voluto prendere una «vacanza narrativa» scrivendo un testo che definisce «fortunatamente inqua­lificabile», vale a dire indeterminabile. Nel quale anche il titolo è dissonante rispetto al repertorio di complementi di determinazione che costellano le sue copertine. Potrà sembrare un ri­torno agli eccessi coprolalici di “La pre­sa di Macallè” e Nenè assomigliare troppo a Michelino, ciò che forse è proprio vero, ma qui non c'è artificio ne gravame. Camilleri si è voluto met­tere a ricordare tra riso spontaneo e pianto sommesso. E siccome i ricordi si riconvertono spesso in sogni, si è messo a ripensare al Nenè che è stato a metà: nel mondo e nel tempo di una fiaba che ha scritto per sé. Con spirito acceso dall'emozione dice tutto di questa intenzione quando in chiusura specifica di avere voluto “a pensione Eva” per i suoi ottant'anni. Un regalo si­bi et paucis dunque, sotto l'ispirazione dell'età e del suo animo rimasto bam­bino. Peccato però che non abbia col­to l'occasione di prendersi una vacan­za anche da Vigata e di restituire al suo paese il vero nome. Stavolta è di Porto Empedocle che infatti Camilleri parla, senza infingimenti né sipari. Ma la premura a rendere letteraria anche la realtà e premunirsi dando per finto ciò che però non è falso ha fatto gioco sui sentimenti. Salvo che, come crediamo, sia stato il pudore a spingere Camille­ri a compiere atto di preterizione. O forse, chissà, il candore.
Gianni Bonina
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 17.1.2006
Il personaggio
Mino Blunda lo scrittore riservato
L´autore di "L´inglese ha visto la bifora" è morto sabato a Palermo

[...]
A Mino Blunda accade anche di lavorare accanto a Orazio Costa e ad Andrea Camilleri, realizzando l´adattamento del Matrimonio di Nikolaj Gogol.
[...]
Salvatore Ferlita
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 17.1.2006
L´anniversario
Il ritorno di Vittorini un siciliano anomalo
Un siciliano anomalo che guardò oltre l´Isola

[...]
Tutti i grandi autori isolani hanno letto la realtà in modo personale: per Verga è tragedia; per Pirandello un contenitore di interiorità; per Capuana prima verismo e poi metafisica; per Tomasi di Lampedusa immutabilità; per Rosso di San Secondo è la fantasmagoria delle maschere; per Brancati un fondale semiserio per il teatrino delle sue caricature; per Sciascia irredimibile; per Consolo violazione; per Lucio Piccolo evocazione del mito; per Stefano D´Arrigo epopea sostanziata da una tramatura di parole; per Cattafi il vuoto; per Patti decadimento; per Camilleri un insieme di incastri; per Bufalino ricerca di armonia.
[...]
Tano Gullo


La curiosità
Una casa di piacere come "La pensione Eva"

In questi giorni si parla tanto de "La pensione Eva" il nuovo romanzo di Camilleri ambientato in un casino Sullo stesso tema, nel 1933 Vittorini aveva scritto "Il Garofano rosso"; l´iniziazione del giovane Alessio diviso tra l´amore per la sua compagna di liceo e la scoperta del piacere con la prostituta Zobeida.
 
 

Guide SuperEva, 18.1.2006
Pindaro ispira Camilleri
L’ode a Mida raccontata in "La pensione Eva"

Camilleri non è nuovo nel desacralizzare classici venusti e vetusti, citandoli nei suoi straordinari romanzi. Ne "La pensione Eva", il greco stesso è oggetto di divertite attenzioni dal momento che il terribile studente Jacolino, che fino a qualche tempo fa di greco e di latino ne capivi quanto ne può capire, che so, una vacca, o meglio, una cacca impara a perfezione quelle difficili grammatiche dopo un ciclo di ripetizioni tenutogli da una prostituta.
Il fascino nel passato aleggia però nelle aule di quei lontani ginnasi: all’inizio del quarto capitolo, "Prodigi e miracoli", Camilleri scrive così: Una matina, alla scola, la professoressa di greco liggì e spiegò un’ode che Pindaro aveva scritto per un montelusano, che di nome faceva Mida e che aveva vinto i jochi pitici suonando il flauto. A questo Mida era capitato, mentre faceva la gara, che gli si era rotta la linguetta dello strumento, ma lui non si era perso d’animo: girato il flauto, lo aveva trasformato in zufolo e aveva continuato vincendo la gara.
Questa storia addrumò la curiosità di Nenè
(il protagonista), gli fece veniri la gana di sapere com’era Montelusa ai tempi dei greci e dei romani.
Affascinata dal riferimento fresco e immediato, sono corsa a rileggermi la dodicesima Pitica (probabilmente interpolata), che qui vi ripropongo nella versione di Bruno Gentili.
Benedetta Colella

Questa corona da Pito
Per Mida illustre,
e lui stesso vincitore dei Greci
nell’arte che un giorno trovò,
intrecciando il funereo lamento
delle violente Gorgoni, Pallade Atena;  
dai loro capi di vergini
e dalle testa inaccessibili dei serpi
ella l’udiva strillare
con luttuoso travaglio,
quando la terza parte
delle sorelle Perseo eliminò
recando rovina  
A Serifo marina e al suo popolo
Così fiaccò la stirpe mostruosi di Forco
e volse in lutto Polidette
il convitto e il costante servaggio
della madre e l’imposto connubio
poi ch’ebbe rapito
il capo di Medusa dalle forti gote
il figlio di danae che nacque, si dice,
dall’oro che piovve spontaneo
Ma quando da queste fatiche
ebbe salutato l’eroe diletto,
una melodia compose
con tutte le voci dell’aulo,
per imitare con lo strumento
il lamento sonoro scaturito
dalle mascelle frenetiche di Euriale.
La dea la trovò e trovatala
Ne fece dono agli uomini mortali
la chiamò aria dalle molte teste,
glorioso incentivo alle gare

 
 

Il Tempo, 18.1.2006
Per Niffoi una «Spoon River» barbaricina
Camilleri, storie di sesso per principianti

L’identità che viene dalla lingua - l’identità di italiani, di mediterranei - la salvano impastando il dialetto con parole inventate. Niente forestierismi, niente pagine asettiche. Abbasso il pulp all’americana di Chuck Palaniuk, abbasso il giallo in serie alla Tom Clancy, abbasso gli intellettualismi inutili, l’erotismo finto-ingenuo alla Melissa P. E invece sì a una parola sfarfallata di senso, stratificata di suoni e di colori. Come il muggito di un muflone e il sibilo di un cuculo. Come lo zufolare di un ragazzino al pascolo, il sibilo del vento, gli umori degli amici seduti al baretto di paese, lo schiocchio della lingua davanti alla padella con la caponata, alla ricotta calda. Eccoli i nuovi dialettali, gli scrittori che rischiano di essere isolati - loro isolani - per quel vezzo di impastare nell’argilla delle parole e che invece diventano casi letterari. L’ultimo arrivato è Salvatore Niffoi, classe 1950, mezzo professore di scuola media, mezzo ceramista, mezzo scrittore. Anzi, scrittore lanciatissimo dopo che Adelphi gli ha pubblicato quella sorta di Antologia di Spoon River in prosa e in salsa sarda che si intitola «La leggenda di Redenta Tiria». Dove lo sfondo è Abacrasta, quattro case nella terra della Deledda che non si trovano in nessuna carta geografica e dove non muore mai nessuno. Almeno di vecchiaia, perché invece la gente di Abacrasta ha il vizio assurdo di suicidarsi, attaccandosi una corda al collo. Al punto che chiamano quel posto sperduto e sconosciuto, segnato dal destino e da una sorta di ineluttabile nemesi, «il paese delle cinghie». Dal canto suo inventa parole da venticinque anni, e vuol liberare la lingua dalla prigione della razionalità, Gavino Ledda, il pastore letterato che nel ’75 la Feltrinelli consacrò scrittore e che adesso progetta di rifare nella propria lingua, un sardo reinventato, l’indimenticabile autobiografico «Padre padrone». E poi il fenomeno Camilleri. Con quel siciliano sornione, variegato di dialetto e fantasia, con quei commissari di poche parole, che nicchiano sullo sfondo di Vigata, altro borgo assolato di case bianche che non esiste in nessuna enciclopedia eppure è la quintessenza dei borghi di Sicilia. Isolani e isolati. Non si piegano alla globalizzazione, all’«esperanto» di tutti i popoli e di tutte le razze, al meticciato delle lingue. E forse vincono proprio perché restano con l’immaginario legato all’orto di casa, all’ovile della collina accanto, alla bottega, al commissariato di paese.
[…]
E se la lingua di Ledda è un miscuglio di speculazione filosofica e di ancestrali cadenze, più facile - quasi istrionica - è quella di Camilleri. Nuovi fuochi d’artificio nel libro appena uscito, «La pensione Eva» (Mondadori), nel quale l’inventore del commissario Montalbano racconta la propria educazione sentimentale ed erotica al casino di una Vigata anni Trenta. Dove Nenè, Ciccio e Jacolino, giovanotti ai primi turbamenti ormonali, andavano a taliare le fimmine. E «le storie che quelle picciotte potevano contare gli avrebbero permesso di capire qualichi cosa di lu munnu, di la vita». Chissà se Niffoi avrà la fortuna dell’irresistibile ascesa capitata a Camilleri - per anni e anni soggettista e sceneggiatore di gialli tv, poi autore di innumerevoli best sellers.
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Lidia Lombardi
 
 

Il Messaggero, 19.1.2006
Tutte le “corde” del commissario Montalbano
La ricerca di Ornella Palumbo su Camilleri

Camilleròmane, Camilleròfila, persino Camilleròfaga. Così si autodefinisce Ornella Palumbo, fondatrice e guida, a Roma, del Premio letterario “Orient-Express”, già autrice di saggi sulla comicità nella narrativa italiana, nonché interprete di Andrea Camilleri. In pagine minuziose, con intuito e buon gusto, ora torna a esaminare l’universo dello scrittore siciliano, ne analizza il linguaggio, la miscela d’italiano e dialetto. "L’incantesimo di Camilleri" (Editori Riuniti, 10 euro) non intende appurare se l’inventore del commissario Montalbano sia un grande romanziere. Vuole capire «quali corde sa toccare la sua scrittura».
G. Salt.
 
 

ANSA, 20.1.2006
Notiziario libri
"La Pensione Eva", in un casino l'amore vero
Andrea Camilleri: 'La Pensione Eva' (Mondadori; 188 pp.; 14 Euro)

C'e' un motivo ''professionale'' per cui le ragazze che lavoravano nei casini cambiavano ogni quindici giorni. Per evitare che dall'incontro carnale potesse sviluppare una scintilla e che un cliente e una delle ragazze si innamorassero l'una dell'altro. Una preoccupazione fondata: basta che per tre mesi la rotazione si interrompa - il momento piu' duro della Seconda guerra mondiale in Sicilia, dall'aprile al giugno 1943 - che nascono due storie d'amore, indissolubili. Una con finale lieto e l'altra tragico.
'La Pensione Eva', forse il piu' autobiografico tra i romanzi di Andrea Camilleri, e' la lunga storia del piccolo ma frequentato casino del suo paese siciliano e di cosa questa realta' avesse significato nell'iniziazione sessuale del giovane Camilleri.
''Si', questo e' l'argomento - spiega lo scrittore - l'iniziazione di un ragazzo di Sicilia negli anni della guerra piu' duri della Sicilia, il 1942, il 1943. Certo, con questa specie di estrema curiosita' di entrare in una sorta di regno del proibito, della trasgressione che per un giovane di buona famiglia e' rappresentato da una casa chiusa''.
''Io la casa chiusa - prosegue lo scrittore - l'ho conosciuta dall'interno. La mia esperienza non e' stata da cliente. Per una serie di circostanze io finisco per conoscere queste ragazze da semplice amico. Facevano quindi racconti delle loro esperienze straordinarie ed io mi sono trovato come Proust che in "All'ombra delle fanciulle in fiore" si paragona a un botanico davanti a infinite varieta' di piante da studiare''. Camilleri ci tiene a sottolineare che ''Nel libro ci sono, pero', anche storie d'amore vero. A parte la storia del protagonista giovanissimo, si intrecciano due storie d'amore, tra due ragazze della casa chiusa e due giovani che da clienti si cangiano in innamorati. Quando per tre mesi la rotazione delle ragazze non e' piu' possibile a causa della guerra ed esse divengono stanziali allora i rapporti diventano piu' lunghi ed e' facile innamorarsi''. "La Pensione Eva" ha una particolare cura nei dettagli, ad esempio il nome dei capitoli: ''Si' - spiega - l'ho diviso in capitoli i cui nomi si rifanno a classici della pittura e della letteratura. Ce n'e' uno, 'Prodigi e miracoli', in cui tutta l'esperienza della casa chiusa acquista un sapore visionario. Quel luogo, proprio perché e' il luogo della trasgressione ufficiale, diventa luogo della trasgressione della realta', aperto all'invenzione fantastica''. Camilleri sottolinea che il libro ''Non e' completamente autobiografico: ci sono elementi veri ed elementi di fantasia, parte sicuramente da un dato autobiografico. Tra i romanzi che ho scritto, e' il piu' autobiografico anche se 'La presa di Macalle' come foto d'ambiente, di una situazione, lo e' forse altrettanto''.
E' pero' un libro sicuramente diverso dagli altri e il perche' e' nel fatto che ''ad un certo punto, quando arriva a ottanta anni uno si puo' rompere i cabba... uno si puo' anche stancare di Montalbano e prendersi una sia pur breve vacanza. Vacanza perché si tratta di un argomento diverso dagli altri e perché anche la scrittura vera e propria si richiama alle prime esperienze di ricerca come in 'Un filo di fumo' o 'Il corso delle cose' piu' che ai lavori venuti dopo. Offre meno asperita' ai miei lettori non siciliani''.
"Pensione Eva" sara' un libro che inaugurera' una nuova stagione di polemiche sulle case chiuse? ''Mi auguro proprio di no! - risponde Camilleri - Le case chiuse hanno fatto il loro tempo la loro epoca. Allora avevano un senso, oggi l'iniziazione sessuale dei giovani avviene non piu' attraverso un corpo mercenario, c'e' una liberta' che nemmeno ci immaginavamo'' Tuttavia la prostituzione e' fiorente come forse mai: ''E' vero - dice - ma non credo che sia fiorente per i giovani, forse per gente piu' matura. Comunque questo non e' un libro sui casini''.
 
 

Alice, 20.1.2006
Sellerio: un 2005 d'oro e grandi promesse per il 2006

Secondo la classifica redatta da Demoskopea e pubblicata sabato 14 gennaio da Tuttolibri ben 5 titoli della casa editrice Sellerio si sono piazzati tra i 100 più venduti: tre di Andrea Camilleri: "La luna di carta", "Privo di titolo" e "La pazienza del ragno"; insieme a due titoli di Gianrico Carofiglio entrambi da due anni in classifica: "Testimone inconsapevole" e "Ad occhi chiusi".
Soddisfatto da questi grandi risultati l'editore ha così pensato di confermare, con le prossime pubblicazioni, il consenso dei lettori. Ed ecco previsti per il 2006 due nuovi romanzi di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano; e l´atteso ritorno di Gianrico Carofiglio con una nuova avventura di Guido Guerrieri. Debutta inoltre "Alle 8 della sera" una collana di saggistica realizzata in collaborazione con RadioRai, che comprende una serie di monografie su temi di grande storia e cultura generale (da Luciano Canfora a Franco Cardini, da Piergiorgio Odifreddi a Claudio Strinati, da Giulio Andreotti a Sergio Valzania) proposte in brevi saggi. Quindi il nuovo "Aristotele detective" di Margaret Doody e il recupero dei romanzi della coppia di autori svedesi Maj Sjöwall e Per Wahlöö insieme all´americano W.R. Burnett con "Piccolo Cesare". Infine è prevista l´uscita de "Le Chevalier de Sainte-Hermine" opera inedita di Alexandre Dumas ritrovato solo l´anno scorso e che in Francia ha già venduto oltre 80.000 copie, e di un nuovo romanzo di Alicia Gimenez Bartlett dal titolo "Penelope Segreta".
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 21.1.2006
La casa editrice, presente con cinque libri nella lista Demoskopea dei più venduti, punta su tre autori siciliani e apre alla saggistica
Sellerio scala la classifica
Arrivano due Montalbano, il nuovo Bonaviri e un Dumas inedito

Tra i cento libri più venduti in Italia nel 2005, cinque hanno il marchio Sellerio. Si tratta di tre romanzi di Andrea Camilleri (“La luna di carta”, piazzatosi al quarto posto, “Privo di titolo”, diciassettesimo, “La pazienza del ragno”, settantasettesimo), e di due gialli di Gianrico Carofiglio, “Testimone inconsapevole” e “Ad occhi chiusi”, entrambi da due anni in classifica. Sulla base di questi dati, ricavati dalla classifica redatta da Demoskopea, la casa editrice palermitana è la quarta in Italia ad avere più titoli, dopo Mondadori, Feltrinelli e Rizzoli, i mostri sacri dell´industria libraria italiana. Un successo che porterà nuovi titoli, da Camilleri alla spagnola Gimenez Bartlett.
«Come è facile immaginare - commenta Antonio Sellerio - i dati della classifica ci riempiono d´orgoglio, sia come editori che come imprenditori. Siamo davvero molto soddisfatti, anche perché cominciamo a renderci conto che i nostri risultati di vendita fanno parte di un preciso progetto editoriale, e non rappresentano soltanto un fatto sporadico. La nostra casa editrice si trova davanti ad alcuni colossi, con una tradizione commerciale superiore, e non è poco». Per tornare ai risultati della classifica, salta all´occhio un particolare: su cinque libri della Sellerio, quattro sono dei polizieschi. Il giallo, insomma, si conferma come il genere di successo per antonomasia. «Questo deriva anche dall´onda lunga dei primi gialli pubblicati nella collana La memoria negli anni Ottanta, dove, accanto a testi di narrativa di alto livello, si trovano i polizieschi di Manuel Vazquez Montalban. Oggi il successo, e soprattutto lo sdoganamento del giallo, è abbastanza normale: venti anni fa, le cose non stavano proprio così». I due autori in questione, Camilleri e Carofiglio, non sono soltanto autori selleriani: il primo è il più fedifrago tra i romanzieri italiani, quello che meglio degli altri riesce a intrattenere un rapporto poligamico con gli editori: basti pensare che il suo ultimo titolo, “La Pensione Eva”, è uscito per la Mondadori.
«Noi abbiamo pubblicato venti libri di Camilleri, Mondadori sette, se non sbaglio. Queste cifre sono già motivo di grande soddisfazione per noi. Quest´anno, tra l´altro, pubblicheremo altri due suoi nuovi titoli. Penso che sia un bene avere un autore come Camilleri, che ogni anno dà almeno un libro a noi, e uno o più di uno a un altro editore. Va poi detto che il successo dei libri di Camilleri da noi pubblicati è così forte da permetterci di competere con le grosse case editrici. Si tratta di un trionfo che ci ha aiutato e continua ad aiutarci, soprattutto nella gestione manageriale». Dal canto suo, anche Carofiglio è uno scrittore con più editori: esordisce con Sellerio, ma il terzo libro, “Il passato è una terra straniera”, lo consegna alla Rizzoli. C´è chi ha parlato di fuga dello scrittore, chi di sciacallaggio editoriale: «Il rischio di farsi scappare un autore è sempre incombente. Posso solo dire che il prossimo libro di Carofiglio, con una nuova avventura di Guido Guerrieri, lo pubblicheremo noi. Per non perdere uno scrittore di successo, come Carofiglio, occorre affiancare, al lavoro di ricerca di nuovi autori e al proposito di non deludere i nostri lettori, una capacità commerciale adeguata. Bisogna rispondere adeguatamente alle esigenze di un autore, dopo averlo scoperto. Ma l´editore deve tenere conto del fatto che la fedeltà nei suoi confronti è praticabile sino a un certo punto».
Oltre ai due nuovi titoli di Camilleri, due gialli del commissario Montalbano, quest´anno vedranno la luce anche i romanzi di altri due autori siciliani: Giuseppe Bonaviri e Domenico Seminerio. «Il nuovo romanzo di Bonaviri, “L´incredibile storia di un cranio”, è abbastanza complesso - continua Antonio Sellerio - In esso si mescolano elementi scientifico-realistici ed elementi fantastici: il tutto, legato a un modo di vita tradizionale, rurale. Seminerio, autore su cui puntiamo molto, uscirà con “Il cammello e la corda”, un romanzo ambientato nella Sicilia orientale, con un doppio piano narrativo: uno che risale ai tempi dell´antica Roma, l´altro riferito ai nostri giorni. Tutto viene messo in moto dal ritrovamento di una statua fallica». Accanto agli scrittori siciliani, la casa editrice palermitana allineerà titoli di Mario Soldati, Gian Carlo Fusco, e poi “Le Chevalier de Sainte-Hermine”, opera inedita di Alexandre Dumas ritrovata solo l´anno scorso e che in Francia ha già venduto oltre 80.000 copie, e i nuovi romanzi di Margaret Doody e di Alicia Gimenez Bartlett: entrambe due punte di diamante del catalogo Sellerio.
Salvatore Ferlita
 
 

La Repubblica, 21.1.2006
Il sabato del villaggio
Par condicio atto d´authority
Variava a piacere tali sue allucinazioni. Non si accontentava del passato, anticipava il futuro! Cambiava il presente a suo piacimento: mentiva e inganna se stessa, ma poiché quelle menzogne erano opera sue le erano care.
(da "Suite francese" di Irène Némirovsky–Adelphi, 2005 – pag. 290)

[…]
Sulle reti televisive nazionali, circola un fantasmagorico spot di un minuto, prodotto dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, naturalmente a spese dei contribuenti. In una pirotecnica rassegna di immagini a effetto, introdotte dallo slogan "Stiamo lavorando per voi" e concluse dallo stesso slogan con l´aggiunta "…e per i vostri figli", scorre un elenco di opere pubbliche in corso di realizzazione per annunciare in tono trionfalistico che "le grandi opere fanno crescere l´Italia". E all´incauto telespettatore, "per saperne di più ed evitare qualche disagio temporaneo", si consiglia di chiamare un numero verde (800.911.911) oppure di consultare il sito del ministero.
[…]
L´operazione mediatica, di chiara impronta elettorale e propagandistica, ricorda la paradossale storia di Mussolinia raccontata da Camilleri nel suo ultimo [sic!, NdCFC] romanzo, “Privo di titolo”. E´ la città-fantasma, la città virtuale che i gerarchi siciliani promettono al Duce, in occasione di una visita a Caltagirone. Ma poi alla fine tutto si riduce a una messinscena, con una scenografia di case false di legno e compensato che vengono utilizzate in un fotomontaggio e riprodotte in un album da inviare a Roma per compiacere il Cavaliere.
[…]
Giovanni Valentini
 
 

ttl, 21.1.2006
In volo o guardando il gatto, i tic dello scrittore

C’è’ chi per scrivere si mette una bandana e chi per festeggiare una pagina ben riuscita si beve una birra. A quest'ultima categoria appartiene Andrea Camilleri che, dopo aver superato un difficile snodo di una sua storia poliziesca, si concede come premio una bella «bionda».
[…]
Sono questi alcuni dei cosiddetti Trucchi d'autore: così recita il titolo di una singolare inchiesta di Mariano Sabatini, giornalista e scrittore ficcanaso che è andato a frugare tra le carte, sulle scrivanie, nelle camere da letto, nelle toilettes di 50 scrittori per conoscerne i risvolti del lavoro letterario, virtù e vizi, anche i più segreti. Tra i primi trucchi il libro svela come è stata - se lunga o breve - la marcia per esordire.
[…]
Per la prima volta di Camilleri ci sono voluti dieci anni di tentativi vani.
[…]
Mirella Serri
 
 

Viagginrete, 21.1.2006
A tavola con Montalbano

Si svolgerà a Foggia, presso l'Hotel Regio Manfredi, il 4 febbraio 2006, il primo degli appuntameneti monotematici de "La curiosità è servita. Percorso conviviale con retrogusto culturale". L'incontro, dedicato interamente ad Andrea Camilleri ed in particolare al suo personaggio Salvo Montalbano, avrà tutti i colori della Sicilia. Una cena a base di piatti "Montalbanici" sarà la scusa per una serata conviviale, in cui tra un piatto di dù trigliette oramà fritte e bucatini con le sarde stinnicchiate, accompagnate dal vino di Pantelleria passito secondo la liggi, si scoprirà chi è Montalbano... ommo di Sicilia o siciliano del 2000?! A voi la risoluzione del caso... infotel 0881 580163/ 0884 586698 annamaria@elas.191.it
Annamaria Ciampolillo
 
 

Il Sole 24 Ore (suppl. "Domenica"), 22.1.2006
Una “vacanza” nella casa chiusa

Non stupiamoci, è uscito un nuovo libro di Andrea Camilleri, "La pensione Eva".
Ormai siamo avvezzi a questo flusso narrativo imponente, e, benché perplessi di fronte a tanta mole, continuiamo a non nascondere il nostro debole, nonostante la disuguaglianza dei risultati, per le varie avventure del commissario Montalbano, diventato un personaggio di casa. Mentre pensiamo fermamente che i romanzi storici (vedi "Il re di Girgenti") dello stesso Camilleri non costituiscano traguardi memorabili: ambiziosi ma irrisolti nonché enfatici come sono.
A proposito di enfasi: singolare è la spaccatura rilevabile fra le due parti di questo nuovo piccolo libro che vorrebbe essere, come dice il narratore in una nota finale, “una vacanza narrativa”, “un racconto francamente inqualificabile” (e vediamo di qualificarlo, diciamo invece noi). Per il fatto che, all’interno del genere, che è quello, assolutamente riconoscibile, della prosa di memoria (personale e verace o collettiva o di invenzione, che importa?), si verifica un curioso contrasto. È, infatti, la prima parte, delicata e mescolata a deliziosa ironia, compatta attorno all’infanzia e alla prima adolescenza del personaggio, e io narrante, Nenè, e alla scoperta del sesso con la bella ragazza Angela, di un paio di anni più grande di lui. La seconda, per contro, ambientata appunto nella pensione Eva, il postribolo di Vigata, appare soprattutto elencazione aneddotica di episodi di casino, narrativamente insignificanti, cui si aggiunge una parte drammatica finale, quella dei bombardamenti degli aerei alleati in Sicilia e dell’arrivo degli americani.
Distonia che si avverte e che disturba: perché Angela è figura viva e concreta, brusca nella sua spiccia sensualità ma insieme appassionante. Mentre restano figurette di profilo, appena abbozzate, le “cortigiane” che si alternano, col trascorrere delle quindicine, nella pensione. Nonostante l’attribuzione ad alcune di esse di episodi drammatici che, infine, vorrebbero animare la storia.
Certo, il libro va anche preso come piccola vacanza dell’autore, come divertimento. Ma, se dobbiamo riandare alla Sicilia, all’adolescenza, alla scoperta del sesso e alle donne di piacere, come non associare ai temi del romanzo di Camilleri "Il garofano rosso" di Elio Vittorini? Quello, una grande nonvacanza.
Giovanni Pacchiano
 
 

Il Gazzettino, 22.1.2006
Andrea Camilleri abbandona per ...

Andrea Camilleri abbandona per un po' il suo Montalbano e si dedica alla Sicilia degli anni Trenta, addormentata sotto alla coperta del fascismo che tutto annienta. In "La pensione Eva" (Mondadori) vediamo muoversi tre liceali in cerca di avventure e di emozioni. Gli ormoni adolescenziali e un po' di sana curiosità li spingeranno a visitare e poi a frequentare il casino di Vigàta, dove, lo scopriranno presto, non si muovono solo prostitute eteree e clienti vogliosi, ma tutta una genia di gente che, alla fine, tra un incontro e l'altro racconterà tutta una vita. Perché nell'intimità di un'alcova, messi a nudo e contemporaneamente protetti dall'oscurità, gli uomini e le donne che abitano il casino si racconteranno, creando una sorta di storia parallela a quella reale, fatta di bombe e ricatti, che si svolge fuori dal bordello. E forse, molto più autentica di quella con la S maiuscola. Un libro ironico ma allo stesso tempo arguto, condito con le espressioni della parlata dialettale che hanno reso lo stile di Camilleri assolutamente unico e inimitabile. Una pagina della storia italiana raccontata con creatività e sapienza letteraria.
[...]
Lorenza Stroppa
 
 

New York Times, 22.1.2006
Crime
The Haunted Detective

[…]
Ah, Italy! Or should it be: uh-oh . . . Italy? That depends on which Italian author you happen to be reading. For sunny views, explosive characters and a snappy plot constructed with great farcical ingenuity, the writer you want is Andrea Camilleri. His police procedurals, of which "The smell of the night" (Penguin, paper, $12) is the latest, are set in a Sicilian seaside town called Vigàta that could serve just as well as the locale for a comic opera - and it plays the role con brio in Stephen Sartarelli's antic translation. The book's endearing hero, Inspector Salvo Montalbano, is a tempestuous force of nature who operates by his own unorthodox rules, which allow for frequent timeouts to indulge in exquisite meals or just sit on a rock and look out to sea. But the man is no buffone, and his passion for justice is easily aroused, as it is here when a con man who passes himself off as a financier works a pyramid scheme that robs people of their hard-earned savings and pensions. Montalbano has his own devious methods for dealing with such vultures, and while they may not be entirely legal, they restore the harmony of an enchanting place.
[...]
Marilyn Stasio
 
 

Corriere della sera, 22.1.2006
Curiosità
I trucchi per scrivere: c’è chi saccheggia la cucina e chi bagna i gerani

Non esistono geni incompresi, solo narratori timidi. Sotto l’egida di questo motto, Mariano Sabatini è andato a curiosare nelle officine creative dei «geni compresi», ovvero scrittori di grande (e meno grande) successo. Che hanno svelato a Sabatini i loro «trucchi d’autore», diventati un libro della piccola e promettente casa editrice Nutrimenti.
[...]
Andrea Camilleri, infine, si vanta di non leggere mai un suo libro stampato per ispirarsi a una nuova opera, al fine di avere uno sguardo sempre aperto.
Una costante? Tutti, o quasi, danno in prima lettura le sudate pagine alla moglie o al marito. Il giudizio che conta si chiede in famiglia, a dispetto di ogni idea scapigliata e maledetta della letteratura e di chi crede che esistano dei critici di riferimento.
Gli autori di Sabatini sono persino un po’ più noiosi della media: disciplinati, lontani dai guizzi d’imprevisto. A forza di svelare trucchi e trucchetti, Sabatini toglie ogni illusione: gli scrittori sono proprio come noi, specchio dei nostri vizi e delle nostre virtù.
Antono Bozzo
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 22.1.2006
Dopo Ciprì e Maresco, altri palermitani entrano nei palinsesti. Il parere di Klaus Davi
Comici, "Carabinieri" e veejay i siciliani fanno boom in tv

[...]
Ma perché i siciliani in tv piacciono tanto? Il massmediologo Klaus Davi spiega che il siciliano in video rappresenta «un minestrone di valori, dal machismo all´ironia tagliente, che mostra la quintessenza dell´italianità. Per questo piace a chi siciliano non lo è. E se parliamo di fiction non posso non associare la Sicilia alle avventure del commissario Montalbano. Può far ridere, ma nel resto d´Italia non sono in pochi a immaginare la vostra isola semplicemente come la regione narrata nei racconti di Camilleri».
Carla Nicolicchia
 
 

l'Unità, 23.1.2006
La sera andavamo alla Pensione Eva

Alla scoperta del sesso con il papà di Montalbano. Ma questa volta Salvo Montalbano non c’entra nulla. Semplicemente perché non è il popolare commissario il protagonista del nuovo romanzo di Andrea Camilleri, "La Pensione Eva", pubblicato da Mondadori. In un «vidiri e svidiri», Camilleri stupisce il lettore con un romanzo di formazione. La dimensione storica è quella del periodo fascista, il contesto è quello di una casa chiusa. In quale città? Proprio nella Vigàta di Montalbano, che però a quell’epoca non era ancora nato. Ed il romanzo vive di personaggi anni Trenta, immersi in una Sicilia che ricorda quella del Brancati. Ma è la Vigàta di Camilleri, la sua città natia: Porto Empedocle. Il centro della vita del romanzo è la «Pensione Eva». È come se la dinamicità dell’esistenza fosse racchiusa tra quelle mura, che diventano nello sdipanarsi del racconto, il contesto dell’esistenza, con le sue gioie e le sue profonde contraddizioni. È evidente che Camilleri ancora una volta, utilizza una vicenda in terra sicula come metafora della vita. Che sia autobiografica? La domanda è legittima, ma è lo stesso Camilleri a spiegare in una nota che: «il racconto non è autobiografico, anche se ho prestato al mio protagonista il diminuitivo col quale mi chiamavano i miei famigliari e i miei amici. È autentico il contesto. E la Pensione Eva è veramente esistita, mentre sono del tutto inventati i nomi dei frequentatori e i fatti che vi sarebbero accaduti». Camilleri con la sua fantasia narrativa, con la sua prosa fluida e ben ritmata, la sua ironia critica, anima queste pagine, facendole diventare un altro tassello della sua prolifica ed eclettica opera letteraria.
La struttura si regge sulle vicende di Nenè, alle prese con le sue prime esperienze sessuali ed esistenziali, che in realtà non iniziano nel «casino» della città. Ma quelle più compiute e mature, le vive nella Pensione Eva. «Mai era stato vasato in quel modo. Dintra alla sua vucca la lingua di Grazia esplorò, liccò, assapurò, gustò. Gli firriò la testa. Mentre il suo sangue dabbascio s’arrisbigliava di colpo e pigliava a tuppiare per nisciri fora, gli principiò una specie di trimolizzo che la picciotta avvertì». In questo particolare iter di formazione, Nenè non è solo. È accompagnato nelle sue avventure da Ciccio e da Jacolino, il che rende il romanzo più complesso ed avvincente. Con passaggi assolutamente esiliranti, come quando Nenè e Ciccio si sfidano parodiando l’Orlando Furioso, nella Pensione Eva. Nenè scopre «lu munnu» assieme ai suoi amici d’infanzia, ed è come se assistessero ad un film, del quale però sono protagonisti. Nel racconto di Camilleri l’incontro con le donne del casino non è solo il raggiungimento del piacere, ma storie di amore e di vita. L’autore mostra gli orrori della guerra. E fa qualche accenno ironico alla politica. «Ora bisogna sapere che questa Teresa, una trentina sempre pronta allo sgherzo e alla risata, aveva il patre in galera da otto anni pirchì comunista e lei stessa era una comunista arraggiata. Teresa faceva ammucciuni servizio per il partito: datosi che ogni quindici jorni cangiava città e sapeva in aniticipo indove andava a travagliare, riceveva e consegnava littre segrete e riferiva disposizioni e ordini che i compagni si scangiavano. E con tutta sicurezza: chi ci andava a pensare, infatti, a una buttana comunista?».
La narrazione fondata sulla vitalità della scrittura di Camilleri, che ad ottant’anni ha ancora voglia di sperimentare, di ricercare nuove formule linguistiche e contenutistiche per le sue storie, diventa anche dimensione di riflessione. Poiché in quel «casino» i drammi e le contraddizioni, fanno da cornice e da sfondo, all’alternarsi dei momenti di «piacere».
Salvo Fallica
 
 

Traspi.net, 23.1.2006
Intervista a Camilleri
Camilleri, il fenomeno
Lo scrittore Roberto Mistretta ha intervistato Andrea Camilleri, in occasione dell’uscita dell’ultimo libro “La pensione Eva” (Mondadori)

Il successo lo ha conosciuto tardi, quando aveva superato i settant’anni ma da allora è stato sempre più travolgente. Un’onda anomala che attraversò l’Italia dal nord al sud (strano a dirsi ma è proprio così!), superò i confini della penisola, dilagò in Europa e conquistò anche mercati letterari lontanissimi da noi. E non solo quelli, stante anche l’enorme successo che ha avuto la serie televisiva del commissario Montalbano, interpretato da un eccellente Luca Zingaretti e girato nella suggestiva e barocca Val di Noto, la Vigàta della fortunatissima seria.
Come tutti avete capito stiamo parlando di Andrea Camilleri, classe 1925, maestro indiscusso di un genere, il giallo, tornato prepotentemente di moda anche e soprattutto grazie al suo irresistibile successo, un mix di dialetto, simpatia, trama avvincente.
L’anno del suo boom, fu il 1998, quando nelle classifiche dei libri più venduti comparivano cinque, sei e perfino sette titoli di quest’attempato pensionato, dalla voce roca del fumatore incallito (Fiorello ne ha fatto un’irresistibile imitazione in radio), che divide la sua vita tra Roma e il natio Porto Empedocle. Eppure anche Camilleri all’inizio della sua carriera trovò porte chiuse e rifiuti. Solo un editore a pagamento si interessò a lui.
Era il primo aprile del 1967 quando Camilleri che allora aveva appena 42 anni, scrisse il suo primo romanzo, dedicato al padre che gli insegnò ad essere quello che è. Il manoscritto si intitolava “Il corso delle cose”, protagonista, il maresciallo Corbo, una sorta di Montalbano in embrione. Lo ultimò nel dicembre dell’anno seguente, riscrivendolo di continuo alla ricerca di un suo personale stile. Un amico, critico di spessore, Nicolò Gallo, dopo aver letto il testo gli disse che lo avrebbe proposto alla Mondadori, di cui era consulente e direttore di una collana di narrativa. Il libro doveva uscire nel 1971 ma Nicolò Gallo morì improvvisamente e non se ne fece nulla. Segnalato ad un concorso letterario, il testo venne rifiutato da diverse case editrici, le stesse che oggi farebbero carte false per pubblicare un’opera di Camilleri. Uno spiraglio si era aperto con Editori Riuniti, disponibili a pubblicare quel testo (Camilleri intanto non aveva scritto altro, bloccato dalla mancata pubblicazione di quel suo primo lavoro), ma poi cambiò direttore e nella nuova linea editoriale non c’era spazio per il nostro. Camilleri ci mise una croce sopra sulla scrittura. Una prima svolta venne nel 1975 quando Camilleri scrisse per la trasmissione radio “Le interviste impossibili”, (fatte a personaggi storici deceduti anche da diversi secoli), due testi poi pubblicati da Bompiani. Un suo amico, Dante Troisi intanto propose l’originario testo “Il corso delle cose” per ricavarne un soggetto cinematografico. Ancora rifiuti. Ne venne ricavato invece un soggetto per la televisione. I giornali ne parlarono e l’editore di Roma, Lalli (casa editrice che pubblica col contributo dell’autore), si disse disponibile a pubblicare il romanzo senza nulla pretendere dall’autore a condizione però che nei titoli di coda del film tivù, comparisse il nome della sua casa editrice. Così fu. Il film tivù in tre puntate tratto dal lavoro di Camilleri si intitolava “La mano sugli occhi” ma con l’editore Lalli, dove il libro uscì nel 1978, vale a dire dieci anni dopo la sua definitiva stesura, conservò il titolo originario “Il corso delle cose”, titolo davvero emblematico alla luce di quanto sarebbe poi successo vent’anni dopo. Di quel libro ovviamente non si accorse nessuno. Molto più tardi, fu Elvira Sellerio dell’omonima casa editrice che allora stava attraversando un periodo di crisi nera, a dare fiducia, dopo una lunga meditazione, a Camilleri. Fu così che venne pubblicato “La forma dell’acqua”, la prima avventura del commissario Salvo Montalbano da Vigàta facendo la fortuna sua e dell’autore. Il resto è storia recente.
Camilleri, lei, etichettato all’inizio del suo successo come un nipotino di Gadda da una certa critica, è oggi riconosciuto come il maestro indiscusso di un nuovo genere di enorme successo, il giallo con forte connotazione regionale e l’uso del dialetto. Che effetto le fa?
Mi ha fatto molto effetto sentimi chiamare “un nipotino” in quanto io l’eredità di Gadda l’avevo accolta sempre con il beneficio d’inventario: voglio dire che il percorso letterario e la ricerca sulla scrittura di Gadda non hanno assolutamente nulla a che fare col mio modo di scrittura. Non mi sembra corretto essere considerato una sorta di caposcuola di un genere giallo/regionalizzante. Vorrei far notare, ad esempio, che prima di me c’è stato Scerbanenco o De Angelis che hanno scritto di una Milano che allora non sospettavamo nemmeno che esistesse sul serio, ma nessuno li ha mai chiamati gemellisti/meneghini
Avendo aperto una nuova strada, come vede quegli autori che riconoscono in lei un maestro e seguono il suo esempio?
Non credo che ci siano molti autori che stanno seguendo il mio esempio. Se ce ne fossero gli consiglierei piuttosto che prendere me come esempio, di seguire coloro che mi hanno insegnato a scrivere i gialli, da Simenon a Durrenmatt
Più in generale, cosa ne pensa del boom del giallo esploso in Italia e in Sicilia in particolare?
Mi fa venire in mente immediatamente quando Italo Calvino scriveva a Leonardo Sciascia che sarebbe stato praticamente impossibile ambientare un giallo in Sicilia. I fatti stanno dimostrando il contrario. La realtà è che il romanzo giallo è un ottimo banco di prova per uno scrittore principiante perché lo costringe dentro alcune regole che deve di continuo rispettare
Che rapporto ha con gli altri autori siciliani?
Ottimo, alcuni li conosco persona altri no, ma li leggo tutti
Se le offrissero di dirigere in Sicilia una scuola per giallisti, accetterebbe?
No. Molti scrittori aprono scuole di scrittura e alcuni grandi autori di gialli hanno scritto dei libretti su come si scrive un giallo, ma io non ne sono capace
E fosse una qualche università dell’isola a proporle un percorso didattico a sfondo giallo?
Ho già tenuto all’Università di Bologna una lezione non tanto su come si scrive un giallo ma sulla storia del giallo italiano. Un’idea possibile in qualsiasi momento e luogo
Lei alterna romanzi storici alla serie di Montalbano, può anticiparci quali saranno i suoi nuovi lavori?
Quest’estate esce un nuovo romanzo di Montalbano dal titolo “La luna di carta”. Altri lavori per ora sono tutti allo stato embrionale (ma si può dire ancora così?) e quindi è prematuro parlarne
Ha mai pensato di riesumare il suo originario personaggio, vale a dire il maresciallo Corbo de “Il corso delle cose”?
Beh, in realtà l’ho riesumato dandogli un altro nome nel calendario dell’Arma dei carabinieri del 2005. E’ vero, si chiama in modo diverso, il maresciallo Brancato, ma le caratteristiche sono le stesse
Tra i suoi romanzi, qual è quello che ama di più?
“Il re di Girgenti”, indubbiamente”
A parte il suo amore viscerale per Sciascia e Pirandello, chi sono gli altri suoi riferimenti letterari?
Gogol, Sterne, Brancati
Ultima domanda, lei ha avuto modo di gustare la “mbriulata” di Mussomeli, una particolare focaccia ripiena di frittuli, salsiccia, olive nere e altro, che ha promesso di far mangiare anche a Montalbano. La verità, com’era la “mbriulata”?
Ottima, senza se e senza ma
Roberto Mistretta
 
 

Il Mucchio Selvaggio, n.618, 1.2006
Profili
Gimenez-Bartlett
Alicia Gimenez-Bartlett, scrittrice spagnola di Almansa, dove è nata nel 1951, è divenuta famosa con la serie poliziesca dell’ispettore Petra Delicado. Un successo, in Italia più sensibile che nel resto d’Europa, grazie all’editore siciliano Sellerio, che sta pubblicando l’intero ciclo.

[...]
La felice riuscita della serie di Petra Delicado e Fermìn Garzòn rappresenta una delle migliori esemplificazioni del successo del giallo contemporaneo. E’ un caso simile a quello di Camilleri, dal quale però la Gimenez-Bartlett non sembra particolarmente influenzata. Hanno in comune molti editori (tra cui quello italiano) e il fatto che dai loro scritti sono state tratte serie televisive di grande popolarità. In Spagna Petra Delicado è quel che in Italia è Montalbano. La Zingaretti catalana è l’attrice Ana Belèn.
[...]
Gianluca Veltri
 
 

Il primo amore, 25.1.2006
Anche noi parte offesa: riaprire il processo Pasolini
A trent'anni dalla morte, non sappiamo ancora da chi è stato ucciso Pasolini e perché. Il testo dell'appello con l'elenco dei primi firmatari [fra i quali Andrea Camilleri, NdCFC] e l'indirizzo di posta elettronica per aderire.
 
 

Il Messaggero, 26.1.2006
L’orologio del destino alla pensione Eva

Stavolta Montalbano si è messo a riposo. E anche lui, Andrea Camilleri, il papà del celebre poliziotto, ne approfitta per concedersi un felice intermezzo che solca come una traccia fosforescente quel giardino di tormenti e di delizie che è il giardino della memoria. "La pensione Eva" (Mondadori, 188 pagine, 14 euro) non è un giallo montalbaniano né un racconto storico: semmai è un romanzo di formazione, una storia d’altri tempi, in parte autobiografica, che si snoda tra la Vigàta degli anni Trenta e la seconda guerra mondiale, sullo sfondo di un’Italietta sonnolenta e provinciale, addormentata dai languori della carne e dai miasmi del fascismo. Col suo tipico siciliano sornione, venato di dialetto e inventiva, Camilleri racconta l’iniziazione sessuale di un ragazzino di nome Nenè, e dei suoi due amici del cuore, Ciccio e Jacolino. Ma soprattutto racconta le vicende che ruotano attorno alla “Pensione Eva”, il bordello di Vigàta, un reame oscuro e sfuggente del piacere, con le sue “donnine” che dispensano amore, con quell’aria greve, impregnata di cipria, fumo di sigari, corpi di donna, vapori di whisky.
E’ un mondo a suo modo completo, il bordello di Vigàta, dove il sesso ha il posto d’onore ma dove troviamo anche gli altri Vizi, in colloquio non pregiudizialmente ostile perfino con alcune Virtù. Non per niente Nenè e suoi amici guardano alla “Pensione Eva” come si guarda alle promesse dell’età adulta. E quando, non avendo ancora gli anni giusti, riescono a introdursi con uno stratagemma nella casa di tolleranza possono finalmente cominciare a «capire qualichi cosa di la vita». Quel “qualcosa” che tornerà utile di fronte alle svolte della Storia: l’avanzare dello spettro della guerra, il fragore dei bombardamenti, la fine di un’epoca di inganni e di illusioni. C’è in queste pagine il colore aspro con cui Vittorini ritrae nel "Garofano rosso" l’iniziazione erotica di un liceale. E c’è il tono struggente e incantato con cui Márquez racconta la "Memoria delle mie puttane tristi" . Ma non solo. Pur mantenendo una smaltata e invadente presenza dei fatti, dei volti e dei dettagli, Camilleri riesce a scoprire quel gigantesco meccanismo che è “l’orologio del destino”. E penetra in quella zona di melensa sentimentalità, accumulato rancore sociale, incancrenita ipocrisia, da cui è nato il fascismo.
Francesco Fantasia
 
 

L'Arena, 26.1.2006
Ma il più venduto è sempre Harry Potter
Camilleri e Andreoli i re delle classifiche

Ancora tutti sotto il tallone di mago Harry. Al secondo posto in assoluto non troviamo più “Le cronache di Narnia”, che avevano affascinato la Rowling bambina, ma la concreta “Pensione Eva” di Andrea Camilleri, indomabile classe 1925. Lasciando da parte Montalbano, lo scrittore siciliano costruisce un vero e proprio romanzo di formazione, prima dolce, poi crudele.
[...]
Alessandra Milanese
 
 

Caserta News, 26.1.2006
Le mani del pianista

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Chi, in Spagna, ha stabilito una relazione fra la scrittura di Eugenio Fuentes e quella di Camilleri, non ha sbagliato: c’è l’attenzione rivolta alle vite private dei personaggi, c’è lo scenario socioeconomico (le speculazioni edilizie che per anni hanno contribuito alla progressiva devastazione della provincia spagnola; una realtà tristemente nota anche all’Italia), c’è un detective pensoso, particolare, estremamente caratterizzato.
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Viva Radio 2, 27.1.2006
Andrea Camilleri ha partecipato alla trasmissione con Fiorello e Marco Baldini, producendosi in una strepitosa... imitazione di se' stesso.
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Repubblica Radio, 27.1.2006
Andrea Camilleri
"La pensione Eva": gli anni Trenta a Vigata, prima di Montalbano
In libreria "La pensione Eva", romanzo storico ambientato nella Vigata degli anni Trenta
Leopoldo Fabiani intervista lo scrittore siciliano, padre del commissario Montalbano
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ANSA, 27.1.2006
Pasolini, intellettuali su processo
Camilleri e altri 70 artisti chiedono riapertura indagini

Roma - Da Camilleri a Ronconi, da Henry-Levi a Lucarelli: circa settanta intellettuali ed artisti chiedono la riapertura del processo Pasolini. Una iniziativa che, secondo gli organizzatori, e' 'il modo migliore' di ricordarlo, 'a trent'anni dalla sua tragica morte'. L'idea e' ottenere la riapertura del processo e costituirsi parte offesa, come gia' ha fatto il Comune di Roma, visto che non si sa ancora 'da chi e' stato ucciso Pasolini e perche''.
 
 

Il Mattino, 27.1.2006
La Sicilia dell’eros a pagamento

Dice Andrea Camilleri, presentando il suo ultimo libro, “La pensione Eva”, (Mondadori, pagg. 192, euro 14) che, scrivendolo, ha voluto prendersi una «vacanza narrativa» nell’imminenza degli ottant’anni. Non so bene che cosa significhi, questo, per un autore che pubblica almeno due libri nuovi ogni anno. Ma, forse, Camilleri allude al fatto che sia rispetto ai libri di Montalbano che a quelli che nascono da accurate ricostruzioni storiche, qui il racconto fluisce in piena libertà, sul filo di ricordi personali (anche se ci ha tenuto a precisare che Nenè, personaggio principale del libro, non è autobiografico) mescolati alla vasta aneddotica sul casino che nei caffè di Porto Empedocle e dintorni doveva alimentare senza sosta le chiacchiere degli avventori, finché i casini ci sono stati e negli anni successivi. La pensione Eva del titolo, infatti, altro non è che la pudica denominazione del quasi lussuoso postribolo di Vigàta, nelle cui stanze si svolge la maggior parte del romanzo, con tre giovanissimi protagonisti, che sono, oltre al già citato Nenè, i coetanei e compagni di scuola Ciccio e Jacolino, figlio, quest’ultimo, del gestore. Con loro, una piccola folla di prostitute e di clienti, che forniscono a Camilleri materiale narrativo abbondante e corrivo, per costruire una lunga serie di scenette e di racconti in modo da arricchire notevolmente la già ricca casistica della «letteratura da bordello». Siamo alla fine degli anni Trenta, quando la narrazione comincia, con il piccolo Nenè che proprio non riesce a capire cosa mai si nasconda dietro quelle persiane perennemente chiuse. Poi, superato grazie alla complicità di Jacolino l’ostacolo dell’età, i tre amici non ancora diciottenni avranno libero accesso alla pensione, nel giorno di chiusura al pubblico, almeno, e non per farci quel che ci si aspetterebbe (o almeno, non solo quello). Uno dei tre, infatti, nel casino riceve lezioni di latino e greco dalla maîtresse mentre gli altri, e soprattutto Nenè, vi compiono in realtà la loro particolarissima educazione sentimentale o iniziazione alla vita che dir si voglia. Anche perché, scoppiata la guerra e fattesi sempre più pesanti le sue conseguenze, diventa impossibile anche il rito della «quindicina» (l’arrivo di ragazze «nuove» al posto di quelle che hanno allietato la clientela per due settimane) e quindi i rapporti con i frequentatori abituali diventano per forza di cose più stretti. E ce ne sono di personaggi singolari, sia tra le prostitute che tra i clienti: c’è quella con le crisi mistiche e la devota a Stalin in missione per il Partito, c’è quella che s’innamora e quella che legge l’”Orlando furioso”, il ricco «baronello» che perde la testa per una ragazza e organizza la sua finta morte per spassarsela con lei e quello che recupera la perduta virilità grazie al fragore delle bombe. Siamo, insomma, in quella ricchissima aneddotica da cui un’affabulatore come Camilleri potrebbe trarre materiali per dieci romanzi almeno, con personaggi appena abbozzati e altri un po’ più definiti. Ma accade poi che il tono ammiccante e scanzonato debba cedere il posto, nella parte finale, ai drammi della guerra, con la sua cieca ferocia, l’insensatezza dei bombardamenti a tappeto, lo sfaldamento dell’esercito italiano. Ed è a questo punto che il diciottenne Nenè potrà considerare completata la sua educazione, e prepararsi (davanti alle macerie della pensione distrutta) ad affrontare la difficile vita da adulto. È perfino superfluo dire che il romanzo si legge d’un fiato, e con non poco godimento soprattutto in certi momenti. Sembra, però, troppo spesso, di rileggere qualcosa che si è già letto, e che viene riproposto con qualche variante, tra le infinite possibilità disponibili.
Felice Piemontese
 
 

La Gazzetta di Parma, 27.1.2006
La pensione Eva

«La pensione Eva»: storia di un'educazione sentimentale, di un bambino che si chiamava Nenè, come Camilleri... Per festeggiare i suoi primi ottant'anni Andrea Camilleri si prende una vacanza. Una «vacanza narrativa», una pausa dal commissario Montalbano, una momentanea rinuncia ai suoi romanzi gialli che l'hanno reso famoso alla bella età di 69 anni, dopo una vita passata a firmare regie e a scrivere per il teatro e la televisione. L'uomo della Sicilia più a Sud del Sud, uno degli autori più letti al mondo alle cui opere la Mondadori ha dedicato un Meridiano nel 2004, si è presentato ai suoi appassionati fans con un nuovo attesissimo romanzo dal titolo inconsueto: «La pensione Eva», uscito da Mondadori in questi giorni. Una nuova avventura questa per il ciclonico Camilleri: una insolita avventura d'amore alla quale pensava da anni ma che un certo pudore gli ha sempre impedito di scrivere. Ora sulla scia dell'ultimo Márquez si è deciso a metterla su carta. «Desidero avvertire che il racconto non è autobiografico, anche se ho prestato al mio protagonista il diminutivo col quale mi chiamavano i miei famigliari e i miei amici» sostiene Camilleri nella nota finale al romanzo, ma tutto fa capire che i ricordi de «La pensione Eva» appartengono alla vita del giovane Nenè Camilleri.
[...]
 
 

La Repubblica, 28.1.2006
Esce 'Pensione Eva', storia di bordello e di guerra
La Sicilia hard di Camilleri

Per avere un'idea del nuovo romanzo di Andrea Camilleri basta l'incipit: «Fu tanticchia prima dei suoi dodici anni che Nenè finalmente capì quello che capitava dintra alla Pensione Eva tra i màscoli grandi che la frequentavano e le femmine che ci abitavano». Sono storie di bordello: evidentemente un topos inevitabile per gli scrittori il cui esordio erotico sia avvenuto prima della legge Merlin.
Per metà romanzino, “La pensione Eva”, protagonista il giovanissimo borghesino Nenè Cangialosi, studente di liceo, e per l'altra metà repertorio di aneddoti da casa chiusa, con i personaggi canonici del genere: la meretrice devota con le visioni del santo, il virile fascista, la maitresse occhiuta ma se occorre maternamente comprensiva e benevola, e sullo sfondo una Sicilia da bozzetto, in cui i caratteri vengono esaltati dalla scrittura fino a diventare altrettanti ritratti di una irriducibile sicilianitudine.
Anche l'ambientazione è d'annata: «Don Stefano Jacolino inaugurò la rinnovata Pensione Eva alle otto di sera del dù gennaio millenovecentoquarantadù».
Scrittore di solidissimo mestiere, Camilleri riesce benissimo nel raccontare gli eventi straordinari e le migliori storie da lupanare, dove brillano esemplari umani tipici di una Sicilia da cartolina illustrata. Di tanto in tanto, infatti, il bozzetto si completa in una narrazione addirittura commovente nella sua perfetta riuscita comica o sentimentale.
Ma come si è visto dall'indicazione cronologica, la Sicilia degli anni Quaranta è anche il teatro della guerra, dei bombardamenti inglesi e americani. E mentre a Camilleri riesce così facile la scrittura brillante, quel gioco in cui gli stereotipi si rivelano carte da gioco della letteratura, idealtipi un po' stralunati della varietà umana della Sicilia, "pupi" di un teatro pieno di colpi di scena, di tradimenti, di agnizioni, di mezzi miracoli, ci si accorge invece che non è troppo nelle sue corde il tragico. Le città e i paesi sventrati dalle bombe, i morti sepolti dalle macerie, i feriti negli ospedali di fortuna, il lezzo dei cadaveri sembrano risolversi in una maniera, cioè in un mondo narrativo di finzioni linguistiche.
Il lessico di Camilleri, quell'italiano regionalizzato che talvolta rende vivo ed efficace il racconto, funziona meravigliosamente quando contrappunta l'oleografia del lupanare, e le avventure giovanili di Nenè e dei suoi giovanissimi compari. Appare invece sfasato non appena il clima della narrazione si muta in tragedia. Camilleri è uno scrittore di commedie, di certo un talento dell'intrattenimento popolare, mentre non è un autore epico, capace di rendere l'incombere e la paura della guerra e della morte.
Scrive nella nota finale che questo libro è «una vacanza narrativa», evidentemente dai racconti con Montalbano protagonista, «che mi sono voluto pigliare nell'imminenza degli ottanta anni».
Il nuovo libro di Camilleri è pronto per tutte le classifiche e per i lettori che ne amano la felice vena narrativa, anche se non aggiunge molto al suo profilo di autore.
 
 

La Repubblica, 28.1.2006
La rivista diventa mensile

Il brano che pubblichiamo è tratto dal dialogo tra Eugenio Scalfari e Paolo Flores d´Arcais che esce sul nuovo numero di MicroMega, appena diventata mensile. Sulla rivista compaiono anche articoli di Gustavo Zagrebelsky, Carlo Augusto Viano, Fiorella Mannoia, Lidia Ravera, Sergio Luzzatto, Piercamillo Davigo, Guido Rossi, Marco Travaglio, oltre a un racconto di fantascienza di Andrea Camilleri.
 
 

Gazzetta del Sud, 28.1.2006
Invasione non necessaria di termini stranieri nel linguaggio quotidiano
«Eurogay», nuova parola in arrivo?

[...]
Sarebbe preferibile, al limite, ammettere il dialetto. Magari quello saporito di Andrea Camilleri, il para-linguaggio di Vigata, il nobile vigatese, appena riapparso in libreria con la piccante "Pensione Eva" (Mondadori). Meglio assaporare revòrbaro e pinsero, zuppicchiare e tanticchia, succosi al pari dei sette aranci che brillano in copertina.
[...]
Dino Basili
 
 

29.1.2006
Due nuovi romanzi di Montalbano

È prevista per il mese di maggio la pubblicazione de Il campo del vasaio (Sellerio), il decimo romanzo del commissario Montalbano; è già a buon punto la stesura dell'undicesimo episodio, che potrebbe essere pubblicato a settembre, sempre da Sellerio.
 
 

Il Giornale, 29.1.2006
Foto d'autore sulla Germania d'oggi

Il linguaggio è quello inconfondibile della parlata siciliana; ciò che cambia è che il protagonista del suo nuovo libretto "La pensione Eva" non è la creatura più famosa di Andrea Camilleri, ovvero il commissario Montalbano, ma un ragazzino. Siamo sempre nella immaginaria Vigata, intorno agli anni Trenta, con la guerra che minacciosa sta per irrompere anche sulla scena sonnolenta del paesino siciliano. Nenè, ragazzino ingenuo, è alle prese con i primi pruriti sessuali, i primi stravolgimenti emotivi, le prime esperienze consumate grazie all'aiuto compiacente di una predisposta cugina. Ha due amici del cuore, Ciccio e Jacolino ed un desiderio: conoscere cosa si celi dietro le porte della pensione Eva, il casino del paese che non ospita solo sesso a pagamento ma, soprattutto, storie di varia umanità. Che sono quelle che Camilleri distilla sapientemente nel suo racconto (poche pagine che si leggono con grande facilità) accompagnando i tre ragazzi nella loro crescita scolastica e, soprattutto, nella loro formazione sessuale e sociale.
La pensione Eva e le ragazze che vi lavorano diventano una presenza imprescindibile, una sorta di porto dove si ha la certezza di trovare un sicuro attracco. Le prostitute hanno un cuore d'oro, a volte si prestano ad operazioni politiche, si innamorano dei loro clienti, hanno visioni escatologiche. La guerra arriva con il suo carico di morte ma la Pensione non smette di generare amore, anche se a pagamento. Non mancano i momenti di ilarità, come nel caso dell'anziano cavaliere Calcedonio che recupera improvvisamente l'impeto sessuale, da anni smarrito, grazie al fragore di un bombardamento.
[...]
 
 

Tappetta, 30.1.2006
Un due orate di piaciri...
Andrea Camilleri, La pensione Eva, Mondadori, Milano 2006. Euro 14,00

Divertente, ironico, tragicomico. La storia centrale - nella lingua abbondantemente collaudata dell'italo-girgentino - è della crescita di Nené, dall'infanzia alla "ventina" passando per la seconda guerra mondiale, che si incrocia con i racconti (brevi ma indimenticabili) delle vite che gravitano intorno alla Pensione. Il casino della ormai geograficamente esistente Vigàta è l'ennesimo pretesto di Camilleri per raccontarci di persone. Non di personaggi, attenzione. Nené, Ciccio, Jacolino, Angela, Teresa, Grazia, Filippo e il suo "quaquone" sono "persone", come i tanti "cavaleri", i mille avvocati, i vari Mimì, Gegé, Patò, Calò incontrati nei suoi romanzi, montalbanici e non, che alla fine fanno parte di noi. E che impariamo a riconoscere, cugini un po' alla lontana di cui abbiamo quel ricordo labile ma piacevole, a cui pensiamo sorridendo.
Tappetta
 
 

Manfredonia.net magazine, 30.1.2006
Comunicati
La curiosità è servita
Percorso conviviale con retrogusto culturale. Sabato 4 febbraio a cena con Andrea Camilleri, il creatore del commissario Montalbano.

Si terrà sabato 4 febbraio presso il Regio Hotel Manfredi alle ore 20,30 la prima di una lunga serie di cene tematiche intitolate La curiosità è servita, percorso conviviale con retrogusto culturale.
L'intento è di creare una armoniosa mescolanza di gastronomia e letteratura, gastronomia e arte, gastronomia e musica, legate da motivi individuati in maniera curiosa e creativa.
La cena di sabato 4 febbraio prende spunto dagli ottant'anni di Andrea Camilleri e verterà sul commissario Montalbano. Sarà preceduta dall'intrattenimento di due artisti locali: Dino La Cecilia e Pino Vigilante. Il primo è un attore e leggerà una serie di brani tratti dai libri su Montalbano. Il secondo è un fisarmonicista che suonerà brani siciliani alternandosi all'attore o introducendolo.
Il menu della cena è interamente tratto dai testi di Camilleri e rispetta integralmente le ricette originarie. Durante la cena ci saranno un paio di intermezzi tenuti dagli artisti che riempiranno le pause tra le varie portate. Inoltre ogni commensale avrà, in ricordo della serata, un libretto di quattro pagine con un menù, molto simpatico, scritto alla Montalbano ed altri brevi commenti.
Per ulteriori informazioni: globaldiscovery@libero.it
 
 

Fahrehneit, 31.1.2006
Andrea Camilleri, La pensione Eva, Mondadori
Per le stanze della Pensione Eva, il casino di Vigàta appena rinnovato e promosso dalla terza alla seconda categoria, transitano figure e personaggi di quei provinciali, sonnolenti, tipici anni Trenta che potremmo benissimo aver incontrato in altri indimenticabili romanzi di Camilleri. Dall'anziano cavalier Calcedonio Lardera, cui il fragore dei bombardamenti restituisce per un attimo l'impeto dell'antica virilità, a Biagiotti Teresa, in arte Tatiana, puttana comunista capace di occultare il ghigno baffuto di Stalin in luoghi insospettabili.
Ma le case chiuse non furono solo lo spazio proibito e in fondo domestico delle prodezze e delle fantasie erotiche di un'Italia addormentata dai languori della carne e dai miasmi del fascismo. Camilleri ne fa lo sfondo - o il primo piano? - di un vero e proprio romanzo di formazione prima dolce e poi crudele.
Cliccare qui per scaricare la registrazione
"Sto lavorando a uno scritto su Caravaggio che mi è stato commissionato per una mostra esaustiva che si terrà a Berlino quest’estate. Io non sono un critico... Non scriverò del Caravaggio sparito a Palermo: m’hanno detto scriva, s’impegni, qualche episodio siciliano, maltese… È stato un buon suggerimento."
 
 

ANSA, 31.1.2006
La fine di Montalbano? Dopo la mia morte

"La fine di Montalbano? L'ho gia' scritta e sta nel suo cantuccio": lo ha detto Andrea Camilleri a Radiotre. La precisazione arriva in occasione della presentazione dell'ultimo libro di Camilleri, "La pensione Eva", ambientato a Vigata, ma in un'epoca precedente alla nascita di Montalbano. "Saprete come va a finire -ha precisato lo scrittore- quando non ci saro'piu'. Nel frattempo,usciranno altri Montalbano. Io intanto ho intravisto come far finire il personaggio".
 

 


 
Last modified Tuesday, May, 11, 2021