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RASSEGNA STAMPA

AGOSTO 2018

 
Buttanissima Sicilia, 8.2018
Camilleri nell’anno dei miracoli
La grande abilità di "contastorie", di saper sedurre e affascinare il pubblico. L'allievo Giuseppe Dipasquale racconta il grande maestro

Anno magico questo 2018 per il grande vigatese Camilleri Andrea da Porto Empedocle, anno che celebra in vita la produzione del papà di Montalbano, tradotto in più di tredici lingue nel mondo e verrebbe da dire sponsor ufficiale della Società Italiana Autori ed Editori per la quantità di diritti che macina ad ogni nuova creazione. Siracusa gli ha dedicato una serata memorabile permettendoci di ammirarlo in un irripetibile Tiresia, di cui questo giornale ha già riferito. MicroMega gli ha appena dedicato un numero monografico con interventi illustri, e sono in cantiere due opere per il teatro che debutteranno in autunno.
Insomma nell’anno Camilleris, anno in cui l’Italia possiede la fortuna, senza averne totale consapevolezza come tutte le cose italiane, di avere in vita e lucido uno dei fenomeni letterari più noti e prolifici di tutti i tempi, nell’anno dei suoi novantatré anni – il 6 settembre di questo nobile anno – abbiamo posto alcune domande, per iscritto e a distanza, ad un suo allievo d’eccellenza, il regista Dipasquale Giuseppe. Suo coautore in teatro e suo allievo fin dai tempi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, dove Camilleri Andrea ha insegnato Regia licenziando decine e decine di artisti che si sono affermati nel variopinto mondo dello spettacolo.
Dipasquale, quale è stato secondo lei il meccanismo che ha portato al successo planetario uno scrittore così atipico come Camilleri?
“Il senso delle storie. La capacità di saperle raccontare o meglio, come dice lui stesso, saperle ‘contare’ come un Contastorie. Camilleri è nell’accezione preomerica un Aedo moderno, un grande pozzo fantastico di storie che con l’abilità affabulatoria non comune a tutti gli scrittori incanta, meraviglia e seduce il bisogno di storie dei lettori. Camilleri ha interpretato questo bisogno senza sforzo perché lo possiede in sé. Per lui tutto è storia, non nel senso polveroso e noioso degli storici ancorati per necessità ai Documenta Historiae, ma nel meccanismo tutto umano di fatti concreti ricollocati con grande abilità nella memoria e nella fantasia. La sua è una narrazione con lo strumento espressivo di una lingua mescidata e inventata – al pari di una tradizione illustre che va da Folengo a Gadda – che recupera il piacevole senso del lettore di riconoscersi umano e di questa terra, nel presente e nell’identità con i fatti narrati. Di questo modo d’essere posso testimoniare una delle tante esperienze compiute con Andrea: da allievi di Regia in Accademia eravamo affascinati, sedotti e rapiti dalle sue lezioni. Camilleri amava insegnarci la Regia teatrale non attraverso teoremi e formule teoriche, ma attraverso le storie. Stavamo giornate intere, quasi senza tempo, a sentirlo raccontare dei suoi sogni e delle sue esperienze professionali e umane come delle grandi storie umani ed esemplari. Il regista, diceva, deve sapere raccontare storie scritte da altri, ma a suo modo, facendole sembrare sempre nuove”.
Lei ha messo in scena diverse opere scritte a quattro mani su suoi romanzi o su testi preesistenti, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, La cattura, Il casellante, Troppu trafficu ppi nenti, La signora Leuca, per citarne alcuni. Eppure Camilleri ha detto più volte – con modestia eccessiva – che non si sente un autore teatrale. A differenza di quello che si crede, teatro e letteratura sono così distanti?
“Andrea ha una conoscenza del teatro unica per non sapere con saggia consapevolezza il peso di questa affermazione. E’ stato per decenni regista teatrale, allievo di un grande maestro come Orazio Costa. La sua modestia, come dice lei, è solo frutto di sano realismo. Vede, il teatro tratta il materiale verbale, scritto in proprio o da altri autori, alla stregua della letteratura. La navicella della fantasia permette voli pindarici all’interno di percorsi umani inaspettati. Puoi essere Edipo o Riccardo III senza necessariamente avere vissuto le stesse esperienze, eppure allo stesso tempo poterle raccontare come fossero le tue storie. Lo stesso accade in letteratura, con la sola differenza che il lettore, in teatro, non è come il lettore dei libri. E’ – come diceva Antonio Gramsci – un lettore immediato seduto in platea di fronte a te che non può permettersi, come farebbe con le pagine di un testo scritto su un foglio di carta, di tornare indietro nella storia. Non può dire agli attori “fermati, torna indietro che voglio risentire questo passaggio e goderne ora, ancora!”. Il lettore teatrale vive la storia qui e ora, quello dei romanzi vive lì e allora. E’ una differenza fondamentale, e Andrea predilige senza dubbio quest’ultima”.
Nell’anno di Camilleri lei metterà in scena due nuovi lavori teatrali. Sembrano due titoli originali non tratte da romanzi già dati alle stampe: Don Lollò e Filippo Mancuso e La creatura del desiderio. Ce ne parla?
“Il primo è un testo originale che stiamo scrivendo per due attori di eccezione – Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina – che per l’occasione tornano a recitare insieme. Tutto nasce da una promessa che io e Andrea facemmo loro dopo il successo de La concessione del telefono dove entrambi erano protagonisti e che deliziavano il pubblico di tutti i teatri italiani con una scena esilarante degna di Totò e Peppino. Proprio dallo spunto di quella scena stiamo scrivendo un testo con una storia nuova che li vede nuovamente entrambi protagonisti per la stagione del Teatro Brancati di Catania. “La creatura del desiderio” è tratto da una storia vera, di cui Camilleri si è già occupato in un saggio-storia sulla vicenda di amore folle e paradossale tra il pittore austriaco Oskar Kokoschka e Alma Mahler. La metterò in scena a novembre al Must Musco Teatro di Catania con protagonisti David Coco e Valeria Contadino. E’ una vicenda esemplare sul senso dell’oscuro oggetto del desiderio. Kokoschka, che ebbe una travolgente storia con la sensualissima e affascinante Alma, donna e artista all’avanguardia in quegli anni, non sopportandone l’abbandono si fa costruire ad immagine e somiglianza una bambola come Alma e di questa fa appunto la creatura del suo desiderio non negandosi nessuno dei momenti di vita che si passano con un’amante.
Lei è tra quelli che pensano si debba dare il Nobel per la letteratura a Camilleri.
“Andrea è stato candidato al Nobel qualche anno addietro, insieme a Dacia Maraini e Saviano. Finora il riconoscimento non è arrivato. Lo meriterebbe eccome, ma – come ha appena detto Simonetta Agnello Hornby – è forse il premio a non meritare Camilleri. Il suo Nobel ce l’ha già. Glielo ha consegnato il pubblico di milioni di lettori in tutto il mondo che, a dispetto dei piccoli detrattori o di quelli che non digeriscono ancora il fenomeno del suo successo planetario, continua a leggerlo con gusto e con passione, divenendo per l’occasione inconsapevole notaio del motto di Tommaso d’Aquino: Timeo hominem unius libri”.
Ezio Di Vittorio
 
 

Catanzaro Lido, 1.8.2018
Nel segno di Andrea Camilleri. Dalla narrazione psicologica alla psicopatologia
Hotel "Perla del porto", ore 17:30
Presentazione del libro di Giuseppe Fabiano

 
 
 

SMTV San Marino, 1.8.2018
Roberto Fabbriciani, ai San Marino Courses, racconta: “Io e Camilleri”
Mercoledì 1 agosto 2018 Dalla master class alla tivù, uno tra i migliori interpreti internazionali svela i segreti per diventare un grande concertista

Roberto Fabbriciani con il suo flauto e Andrea Camilleri con il suo linguaggio. Due grandissimi, uno della musica, l’altro della letteratura, da soli, sul palco del teatro greco di Siracusa, per quasi due ore. Il pubblico in delirio. Un’esperienza indimenticabile, per l’originalità e la bellezza di testi e musiche concertati tra loro. Andrà in forma integrale sui Rai 1 verso fine settembre.
Roberto Fabbriciani, interprete originale ed artista versatile, che ha innovato la tecnica flautistica moltiplicando con la ricerca personale le possibilità sonore dello strumento, famosissimo a livello internazionale, è in questi giorni sul Titano per una master class dei San Marino International Summer Courses. Comunicativo ed eclettico, si presta volentieri a rispondere ad alcune domande.
Com’è andata questa storia con Camilleri?
“Mi ha chiamato lui, è un mio ascoltatore da gran tempo. Ci ha tenuto molto ad invitarmi per scrivere la musica per il suo ultimo testo ed eseguirla con lui, in veste di attore. Così abbiamo fatto questa esecuzione intitolata “Conversazione su Tiresia” al teatro greco di Siracusa l’11 giugno scorso. Verrà trasmesso su Rai 1 verso settembre, in occasione del suo 93esimo compleanno. La cosa ha avuto un grandissimo successo
È stata un’esperienza emozionante. Ho visto tanta gente commossa per la forza del testo e per come è stato realizzato. Ne sono fiero, perché era un compito arduo, in quanto era uno spettacolo a due, che è durato un’ora e quaranta, solo parole e musica.”
Ma lei è esperto in questo senso, ha fatto musica per la tivù, per la pubblicità…
“Sì, anche per film. Ho lavorato molto in questo senso. Soprattutto sul teatro musicale, con Camilleri è stata un’esperienza non nuova, ma delicatissima, considerato il personaggio, straordinario, qual è Camilleri, che sta vivendo una stagione di grande popolarità e di grandissima cultura. Questo testo l’ho dovuto studiare bene perché è scritto su se stesso, sul cieco Tiresia, che parte dall’antica Grecia, toccando varie epoche fino ai giorni nostri. Quando la musica supporta e parole, allora è vincente.”
[...]
Comunicato stampa
San Marino International Summer Courses

 
 

Vivere Jesi, 1.8.2018
Le opere registrate al Pergolesi in onda sul canale Classica e su Radio 3 Suite
Dal Teatro Pergolesi di Jesi le opere della Fondazione Pergolesi Spontini in onda sul canale Classica e su Radio 3 Suite. Le date di agosto.

Due produzioni d’opera firmate dalla Fondazione Pergolesi Spontini e andate in scena al Teatro Pergolesi di Jesi saranno in onda nel mese di agosto su canali radio e tv nazionali.
[...]
Venerdì 3 agosto alle ore 22.30 su Rai Radio 3 va in onda “Il colore del sole” di Lucio Gregoretti, opera in un atto liberamente tratta dal romanzo omonimo di Andrea Camilleri, registrata l’8 settembre 2017 in prima esecuzione assoluta al Teatro Pergolesi di Jesi sempre nell’ambito del Festival Pergolesi Spontini. Direttore è Gabriele Bonolis sul podio dell’Ensemble Roma Sinfonietta; regia, scene, drammaturgia video sono di Cristian Taraborrelli, costumi di Angela Buscemi, video di Fabio Massimo Iaquone, light designer Alessandro Carletti. L’allestimento della Fondazione Pergolesi Spontini è in coproduzione con il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, nel cast, l’attore Massimo Odierna ed i cantanti Cristina Neri, Anastasia Pirogova, Daniele Adriani, Renzo Ran, Claudia Nicole Calabrese, Natsuko Kita, Jaime Canto Navarro, Carlo Feola. Al centro della vicenda è il diario di Caravaggio, che Camilleri dichiara aver avuto tra le mani in circostanze misteriose e da cui ha tratto alcune preziose pagine. Nell’opera, si ricostruisce uno dei periodi più oscuri e burrascosi della vita del pittore, quello da lui trascorso tra Napoli, Malta e la Sicilia tra il 1606 ed il 1608.
[...]
dalla Fondazione Pergolesi Spontini
www.fondazionepergolesispontini.com

 
 

Corriere della Sera, 1.8.2018
La voce di Sellerio
Estate, tempo di brividi
Sette gialli editi da Sellerio per la gioia dei cultori del genere. L’ultimo Camilleri è già best seller, ma non mancano le nuove avventure dei vecchietti di Malvaldi e del cinico Rocco Schiavone, e un’incursione nella Barcellona di Alicia Giménez-Bartlett, questa volta, più oscura e fredda

In vacanza o nei lunghi e roventi pomeriggi cittadini, l’estate è da sempre tempo di letture. E l’estate italiana ha il colore del sole, ma una preferenza per il brivido. Lo si scopre scorrendo le classifiche di vendita che vedono saldamente in testa Andrea Camilleri e Marco Malvaldi con le rispettive ultime uscite: Il metodo Catalanotti e A bocce ferme, pubblicati da Sellerio, entrambi vedono protagonisti personaggi diventati familiari al pubblico televisivo, come l’amatissimo commissario Montalbano e i vecchietti del BarLume. Ma per gli amanti del genere, Sellerio ha in serbo altre perle: in tutto sette titoli da veri amatori.
L’avventura numero 26 del commissario di Vigàta, come spesso accade nei romanzi di Camilleri, non è solo il racconto delle indagini partite dall’omicidio di tale Catalanotti, personaggio equivoco e luciferino, regista improvvisato ideatore di un metodo di recitazione a dir poco discutibile, ma è un viaggio nell’anima dello stesso Salvo Montalbano, che alle soglie della vecchiaia si trova a riflettere sulla società in cui viviamo ed è scosso, forse per l’ultima volta, da una tardiva passione. Camilleri torna con questo romanzo a due suoi grandi amori – il teatro e la poesia – e semina rimandi ai classici del genere, da Agatha Christie ad Arthur Conan Doyle, che ne delizieranno i cultori.
[...]
a cura di Sellerio
 
 

Sette - Corriere della Sera, 2.8.2018
Il metodo Catalanotti
di Andrea Camilleri

L'eterno Pirandello sorriderebbe della nuova avventura di Montalbano: è il teatro nel teatro che gli era caro. Tra cadaveri finti e veri, il commissario dipana una matassa che ha al centro il misterioso Catalanotti, artista e usuraio per servirvi. Più drammi a Vigàta e un amore che rende di burro il burbero protagonista, imperdibile.
Letto da Ruggiero Corcella (Salute)
 
 

Sette - Corriere della Sera, 2.8.2018
L'effetto Montalbano
Secondo il Censis, vale per questa zona 15 milioni di euro l'anno.

Il tempo stringe e sull'onda della cinematografi puntiamo verso Santa Croce di Camerina. nel Ragusano. Qui nella trasposizione televisiva c'è la casa del Commissario Montalbano di Andrea Camilleri. Persino la segnaletica stradale si è dovuta adeguare a indicare lo slargo antistante la Torre Scalambri da dove si può vedere la famosa terrazza del commissario. In piazzetta troviamo gli immancabili selfieisti che vorrebbero pure visitarla, ma gli ospiti di quello che in realtà è un b&b hanno consegne ferree: non aprire a nessuno. Noi, però, siamo raccomandati dalla proprietaria, Ivana Miccichè. «Stiamo vivendo un sogno», spiegano gli ospiti Vito Rotondo, 51 anni, e la moglie Santa, 50, di Monopoli, «perché siamo dei fan sfegatati del commissario ed è difficile descrivere l'emozione di svegliarci, affacciati alla terrazza di Salvo e scrutare questo stupendo mare. La prego, venga a vederla». Attraversiamo l'appartamento e notiamo che è disposto in modo diverso da come appare nel serial: la camera da letto è in realtà il soggiorno. In un amen siamo davanti allo Ionio e l'odore di iodio arriva in viso, forte come uno schiaffo. «Abbiamo fatto anche escursioni nel cuore del Barocco della Val di Nolo: fantastico», concludono. Non sono gli unici. L'effetto Montalbano, secondo il Censis, vale 15 milioni di euro l'anno e a beneficiare è tutta la zona limitrofa. [...]
Alessio Ribaudo
 
 

Sellerio Editore, 3.8.2018
Amanti del Commissario Montalbano, c’è un’esclusiva per voi!
Il Camilleri Fans Club intervista l’autore in occasione dell’uscita del nuovo romanzo di Montalbano, “Il metodo Catalanotti”.



 
 

Rai Radio 3 - Radio3 Suite, 3.8.2018
ore 22:30
Festival dei Festival: Teatro Pergolesi di Jesi | Gregoretti, Il colore del sole
1h 30m
 
 

Accènto, 3.8.2018
Gela: addio a Federico Hoefer, poeta amico di Camilleri

É venuto a mancare oggi Federico Hoefer, 88 anni, giornalista, poeta, scrittore empedoclino residente a Gela.
Autore di numerose raccolte, Federico Hoefer, é stato un caro amico di Andrea Camilleri. Un rapporto nato tra le barche di Porto Empedocle, fatto di passeggiate letterarie, impegno sociale e balli del mattone. Poi il distacco e un legame che inizia a scorrere dentro una cornetta.
Per tantissimi anni non si sono visti, ma almeno una volta al giorno parlavano al telefono.
Nel libro “Hoefer racconta Camilleri – Gli anni a Porto Empedocle” (Dario Flaccovio, 2016) di Andrea Cassisi e Lorena Scimè, il poeta é la Voce narrante delle memorie delle giornate trascorse insieme ad Andrea Camilleri nella cittadina di Porto Empedocle.
Tanti i ricordi e gli aneddoti di quella amicizia durata mezzo secolo.
I funerali sarnno celebrati domani, sabato 4 agosto alle ore 12:00, presso la Chiesa San Giovanni Evangelista di Macchitella
 
 

Live Sicilia, 3.8.2018
Era amico di Camilleri
"I suoi versi brillano
Addio al poeta Hoefer"

E' morto uno dei più importanti esponenti della cultura siciliana. Il ricordo di chi lo ha conosciuto.
É mancato ieri Federico Hoefer, 88 anni, giornalista, poeta, scrittore empedoclino residente a Gela. Autore di numerose raccolte, Hoefer, é stato il più grande amico di Andrea Camilleri. Al suo legame con il creatore di Montalbano e ai ricordi comuni della giovinezza aveva dedicato un libro il giornalista Andrea Cassisi, che ne traccia un breve ricordo per Livesicilia.

Poeta raffinato e custode della bellezza, con Federico Hoefer scompare una delle voci brillanti ed illustri del panorama culturale della Sicilia. Da sempre vocato alla poesia, luogo d’eccellenza della sua ricca produzione, Federico Hoefer con profondità di pensiero e intensità espressiva ha raccontato con i suoi versi immagini, sentimenti, amori, sogni, sussulti, tumulti dell’animo, angosce, ferite, sofferenze, aspettative del cuore.
Scrittore raffinato e fascinoso, l’intera sua opera è stata costellata nel segno di una notevole carica spirituale ed etica.
Della poesia ne fece uno stile di vita: riconoscendone la nobiltà si fece corteggiare dai versi ispirandosi al mare che oggi ne custodisce il cuore. A chiunque lo incontrasse non mancava di offrire la sua poesia con l'incanto di dolci parole. I suoi versi hanno brillato e continueranno a farlo per la nostra società al servizio della quale ha lavorato con passione travolgente. Amico di Andrea Camilleri, due anni fa affidò a me ed alla collega di Repubblica Lorena Scimè, i suoi ricordi di adolescente, vissuti nella sua amata Porto Empedocle con il papà di Montalbano, dando alle stampe per Flaccovio editore "Hoefer racconta Camilleri".
Federico Hoefer ha sperimentato la poesia in modo originale. Voce autorevole della cultura della Sicilia ha saputo coniugare al linguaggio della scrittura la musicalità del verso ricreando in ogni scritto un'atmosfera che ha respirato, e continuerà a farlo, di libertà e incanto. Giornalista e scrittore conobbe e frequentò i salotti letterari e artistici con gli amici Gesualdo Bufalino, Leonardo Sciascia, Sarah Zappulla Muscarà, Ignazio Buttitta, solo per citarne alcuni, col quale condivise l'amore per la cultura, il teatro, la musica. Grazie Federico per averci introdotto nei territori della bellezza per il tramite di un intenso movimento di sentimenti ed emozioni che custodiremo gelosi.
Ciao Federico.
Andrea Cassisi
 
 

Quotidiano di Gela, 3.8.2018
Addio a Hoefer, poeta amico di Camilleri, conoscitore della fabbrica e amante del mare
Il poeta amico d’infanzia di Camilleri

Gela. Il 2 agosto, all’età di 88 anni, ci ha lasciati Federico Hoefer, una delle personalità più illustri della nostra città. Autore di diverse raccolte di versi e conoscitore attento e lucido della realtà industriale di Gela, Hoefer era anche noto per aver condiviso l’infanzia a Porto Empedocle con Andrea Camilleri, di cinque anni più grande di lui.
Paradossalmente, pur vivendo nella stessa città, è stato proprio grazie a Camilleri che ho potuto conoscere Hoefer di persona, una decina di anni fa. Ero a Roma con l’editore per presentare il mio volume su Camilleri e quest’ultimo, alla fine dell’incontro, nel suo eloquio inconfondibile mi disse: “Appena arrivi a Gela, mi devi salutare Rosario Crocetta e Federico Hoefer”. Crocetta era allora sindaco della città e non mi fu difficile portargli i saluti di Camilleri, perché lo si vedeva spesso in centro. Con Hoefer non fu semplice, perché non lo conoscevo di persona e non lo vedevo quasi mai in giro. Sapevo però qualcosa dei suoi rapporti con Camilleri, che ogni tanto vi fa cenno, e per questo lo avevo anche citato nel mio libro. Un giorno, però, lo incontrai a una conferenza pubblica nella mia scuola ed ebbi così modo di portare a termine il mio compito. Da quel momento Hoefer mi onorò della sua amicizia e negli anni successivi abbiamo avuto modo di fare delle belle chiacchierate su Camilleri e non solo.
Addirittura, alla fine del 2008, accettò di presentare il mio libro insieme a una giovane italianista dell’Università di Catania, la dottoressa Dora Marchese. L’incontro, avvenuto nell’aula magna dell’Istituto d’Istruzione “Luigi Sturzo” di Gela, si trasformò in un vero show di Hoefer, il quale deliziò il pubblico con una serie di aneddoti gustosissimi della sua antica amicizia con Camilleri. Hoefer era così: appena si abbandonava ai ricordi, raccontava con grande brio, cinismo e arguzia avventure divertenti e non di rado piccanti, e ascoltarlo era un vero piacere.
È stato però nell’estate del 2016 che egli mi ha veramente colpito. Un giorno mi telefonò per chiedermi di vederci in un bar del quartiere di Macchitella, perché aveva una cosa importante da dirmi. Giunto sul posto, dopo pochi minuti lo vidi arrivare con una carpetta e dei libri in mano. I libri erano tre sue vecchie raccolte di versi (tra cui la prima), mentre la carpetta conteneva il dattiloscritto con le sue ultime poesie, che intendeva pubblicare al più presto. Mi chiese allora se fossi disposto a leggere il tutto e a mettere per iscritto le mie impressioni sulla raccolta delle ultime poesie, che lui poi avrebbe usato come prefazione. Mi sentii onorato e accettai, avvertendolo tuttavia che la poesia non è esattamente al centro dei miei interessi. Lui non volle scuse e mi disse: “Seziona i miei versi come hai sezionato i testi di Andrea”.
Le ultime visioni di Federico
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Hoefer ha vissuto a Gela per moltissimi anni e proveniva da Porto Empedocle, altra città di mare della costa sud della Sicilia. Questo spiega il suo attaccamento all’elemento liquido, un attaccamento che si traduceva in un vero e proprio culto intriso di simbiosi e sentimento filiale: il mare è “madre mare” nell’omonima poesia, mentre il grembo materno, con immagine efficace, è “pancia-mare” in “Certi convivi”. Agli occhi incantati e sognanti del poeta, a Gela e a Porto Empedocle, come diceva Talete, il primo filosofo, anch’egli devoto all’acqua del mare, tutto è pieno di dèi e il sud stesso è abitato da “un popolo di Dèi” (“È il sud”). Non sorprende, dunque, che lo sguardo di Hoefer abbracciasse in una sincronia percettiva incantata ogni possibile riferimento al mito e al pensiero antichi, nonché alla letteratura che ne è scaturita, da Eschilo a Quasimodo (per quanto riguarda Gela), dal poeta-scienziato Empedocle a Pirandello (per quanto riguarda Porto Empedocle), fino ad Andrea Camilleri, il caro amico d’infanzia.
Sull’infanzia e la prima giovinezza dei due grandi amici è uscito nel 2016 un volumetto di ricordi presso l’editore Flaccovio di Palermo, “Hoefer racconta Camilleri” (a cura di A. Cassisi e L. Scimè), ma anche nella sua ultima silloge Hoefer non mancava di ricordare, con folgorante e cruda rapidità, il sentire comune che lo legava al padre del commissario Montalbano, entrambi stregati sin dall’infanzia dalla poesia, dal mare e dai misteri eleusini: «Siamo due sudditi fanatici/ guardati con sospetto/ commiserati da chi non legge/ non sapendo che Andrea ed io/ ce ne fottiamo di loro/ di chi non guarda lontano/ lontano» (“Sudditi”).
[...]
È così, dunque, che la poesia di Hoefer, muovendo originariamente dal bozzetto localistico, approdava all’impegno civile, al coglimento della storia del mondo a partire dall’oggi e dal paesaggio costiero popolato di ninfe immaginarie e di pescatori realissimi, cultori di un’arte millenaria che vive in simbiosi con il mare materno (celebrato da quei “seni smisurati” dipinti sulle fiancate dei pescherecci dell’omonima poesia), veri e propri “ulissidi”, perche´ discendenti, forse, dei compagni dell’eroe omerico buttatisi in mare per seguire il canto delle sirene, come ebbe a notare una volta Stefano D’Arrigo, anch’egli un tempo amico di Camilleri ed esperto cantore in versi e in prosa dei pescatori di un altro mare siculo, lo Stretto orcinuso di Scilla e Cariddi.
Marco Trainito
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 3.8.2018
Lo scrittore basco ha ricevuto il premio Lampedusa: "Stregato anche da Camilleri"
Fernando Aramburu "La mia Patria è la biblioteca io folgorato dagli autori siciliani"
Fernando Aramburu ha vinto il premio letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa

[...]
Altri autori siciliani che l'hanno segnata come lettore?
Sciascia di recente è stato ritradotto in Spagna ("L'affaire Moro"), oltretutto dalla casa editrice che pubblica i suoi libri, Tusquets…

«Certo, ho letto almeno quattro suoi romanzi: preferisco "Il Consiglio d'Egitto", non tanto per la storia del falso codice, per la frode organizzata dall'abbate Vella, quanto per i dettagli, lo stile, il periodo storico ricostruito dall'autore. Il mio amore è soprattutto per i dettagli. Ho letto pure le poesie di Quasimodo e apprezzo gli aforismi di Gesualdo Bufalino. Ma conosco pure il commissario Montalbano di Camilleri. Sono vicino agli autori siciliani più di quanto io stesso potessi immaginare».
[...]
Salvatore Ferlita
 
 

Il Fatto Quotidiano, 4.8.2018
Sicilia, ritrovare se stessi grazie a Camilleri e alla gioventù

“Ah! La Sicilia! Voi avete l’Algeria, noi abbiamo la Sicilia. Ma voi non siete obbligati a dire agli algerini che sono francesi. Noi, circostanza aggravante, siamo obbligati ad accordare ai siciliani la qualità di italiani”. Così Indro Montanelli in un’intervista a Le Figaro nel febbraio del 1960.
Qualche anno prima, nel 1943, il generale Mario Roatta alla vigilia dello sbarco angloamericano in Sicilia faceva affiggere sui muri dell’isola un manifesto appello ai siciliani in cui si diceva sicuro che “i siciliani insieme agli italiani” avrebbero respinto l’invasione nemica. La cosa suscitò scandalo e il generale fu costretto alle dimissioni. Per Montanelli fu diverso: ci fu naturalmente una sfuriata di indignazione che però cadeva in un clima nazionale in cui la Sicilia, la sua cultura e le sue tradizioni venivano sistematicamente irrise e derise dal cinema, dal teatro, dai rotocalchi e dalla televisione al punto che per molti giovani siciliani sembrò che la modernità coincidesse con la negazione dei depositi estetico-comportamentali della tradizione. “Copriti Carmela!”, la coppola e i fichi d’India contornavano il mood della regione almeno nello sguardo e nei giudizi di chi siciliano non era, ma che finiva col sollecitare nei giovani siciliani la necessità di un distacco, di una distanza da quei modelli per un riscatto e un’accoglienza nazionale.
Vi fu in un ventennio un processo di rapidissima trasformazione dei comportamenti. Non una mutazione antropologica ma una riverniciatura, tanto appariscente quanto superficiale. Oggi quella modernizzazione mostra gli evidenti suoi limiti. Ed è cambiato il paradigma di narrazione della Sicilia. Oggi prevale il fascino delle cose autentiche. “Montalbano sono”, il mondo letterario di Andrea Camilleri e soprattutto la sua traduzione filmica hanno aiutato un processo di recupero non della tradizione ma della specificità siciliana che non indugia al di qua della modernità ma va oltre, superandola, mostrandone i limiti e indicando una possibile via d’uscita senza i contorcimenti nella postmodernità.
Discorsi astratti? Non c’è dubbio. Cerchiamo allora di recuperare.
Lorenzo Reina è un pastore scultore che vive in uno sperduto Paese dell’entroterra agrigentino. Un suo teatro all’aperto, costruito con le pietre recuperate e rimodellate da lui stesso, ha avuto un incredibile riconoscimento nell’ultima Biennale di architettura di Venezia. Come esempio di riqualificazione. Andrea Bartoli e Florinda Saieva hanno fatto di un quartiere diruto di Favara uno dei centri espositivi di arte moderna più rinomati del mondo riuscendo a incastonare il tutto nel tessuto sociale e popolare del paese vivificandolo. Oggi Farm cultural park è indicato ovunque nel mondo come esempio riuscito di rigenerazione urbana. Maurizio Spinello, di Santa Rita – una frazione di Delia in provincia di Caltanissetta – ha speso tutta la sua giovane vita nel recupero di antichi grani autoctoni lavorati secondo il modello produttivo domestico e ha impiantato un forno dove si produce il migliore pane della Sicilia.
Cos’è passato o futuro quello che Lorenzo, Andrea e Florinda e Maurizio stanno vivendo? La risposta la stanno dando i non siciliani che vanno a visitarli sbalorditi e ammirati sicuri che le loro esperienze interrogano il senso della loro vita, il loro modo di relazionarsi, la ricerca della possibile felicità.
Giovanni Taglialavoro
 
 

Il Piccolo, 5.8.2018
Dalla Sicilia di Camilleri alla Grecia di Markaris il noir che fa critica sociale

Il noir come strumento affilato d’indagine e di critica sociale. Ne è lucido e severo interprete il commissario Salvo Montalbano, nell’ultimo libro di Andrea Camilleri, “Il metodo Catalanotti” (Sellerio, pagg. 264, euro 14,00). La storia è quella dell’omicidio d’un geniale dilettante di teatro, Carmelo Catalanotti, artista originale ma anche usuraio.
Tutt’attorno al delitto e alle indagini per individuarne il responsabile s’intrecciano, come nei romanzi di Camilleri, altre storie, sapide e divertenti. Qui, i traffici maldestri d’una coppia di giovani disoccupati, che vogliono mettere su famiglia. E i poliziotti di Vigata che devono dividersi tra le inchieste giudiziarie e i servizi d’ordine pubblico per le proteste sul lavoro, come racconta l’ispettore Fazio: “Alla manifestazioni non c’erano sulo operai delle fabbriche che stanno chiuienno, ma c’era magari la gente comuni, e chista è la vera tragedia. Ci stavano i picciotti che non hanno spranza d’attrovari travaglio. Aio arriccanosciuto, per esempio, magari ‘na poco di compagni di scola e autri amici mè, maritati, patri di famiglia, ‘mpiegati, laureati che hanno perduto il travaglio e non hanno nisciuna possibilità d’arritrovarlo. Se le cose continuano accussì l’unica è tornari a fari ‘n’autra vota l’emigranti”.
Montalbano s’indigna, fa sbollire i nervi mangiando spettacolari triglie fritte da Enzo, indaga, entra nell’animo contorto dei suoi indagati... e - colpo di scena - s’innamora d’una giovane e bella collega, Antonia. Vivendo stanchezza dell’età, rivivendo stimoli sentimentali di giovinezza.
[...]
 
 

Corriere della Sera, 5.8.2018
Novecento. Calogero Conigliaro rievoca una vicenda poco conosciuta della Seconda guerra mondiale in Sicilia (Edizioni Leg)
I battelli corsari di Hitler nella città di Camilleri

Che cosa successe durante la Seconda guerra mondiale nella cittadina siciliana di Vigata, in provincia di Montelusa? Niente, perché Vigata, dove Salvo Montalbano ha il suo commissariato, è una città inventata dallo scrittore Andrea Camilleri, il padre del celebre poliziotto dai cabasisi pronti a girare vorticosamente alla minima provocazione.
Invece nella cittadina agrigentina di Porto Empedocle, dove Camilleri è nato e che ha fornito l’ispirazione per l’ambientazione dei suoi romanzi (Montelusa corrisponde ad Agrigento), è successo parecchio. Qui era di stanza infatti un reparto di motosiluranti tedesche, le S-boote o Schnellboote (letteralmente «battelli veloci»), conosciute dagli inglesi come E-boat (dove le E sta per enemy, nemico), arrivate in Sicilia dopo un avventuroso viaggio lungo i fiumi francesi fino al porto provenzale di Saint Louis, unico modo per arrivare al Mediterraneo per una via d’acqua, visto che lo stretto di Gibilterra era in mani britanniche.
Da Porto Empedocle le siluranti parteciparono ai più importanti scontri che tra il 1940 e il 1943 videro impegnate le forze aeronavali inglesi e quelle italiane con l’appoggio di sommergibili, naviglio sottile e velivoli messi in campo dalla Germania nazista. La loro storia è narrata nel saggio I corsari del Terzo Reich e i segreti di Husky. Sicilia 1940-1943 (Libreria Editrice Goriziana) di Calogero Conigliaro, un giornalista siciliano poco più che quarantenne con una grande passione per la storia. Ma il volume, che si snoda lungo 256 pagine, contiene ben di più rispetto a quella vicenda, poiché si allarga ad esaminare, dalla prospettiva empedoclina, anche le battaglie che vennero combattute dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia del 10 luglio 1943 (la famosa operazione Husky).
Si tratta di una campagna militare che ancora adesso, a distanza di 75 anni dagli avvenimenti, continua a presentare qualche interrogativo, legato soprattutto alla caduta verticale del dispositivo militare italiano nell’isola, mentre a Roma, il 25 luglio, arrivava a compimento il colpo di Stato monarchico contro Mussolini che portò alla guida del governo il maresciallo Pietro Badoglio.
Una prefazione di Andrea Camilleri, la cui famiglia conobbe non pochi tra i personaggi citati nel volume, aggiunge spezie alla narrazione di Conigliaro.
Paolo Rastelli
 
 

Hall of Series, 7.8.2018
Il Commissario Montalbano
Perché sarebbe un crimine non guardare il Commissario Montalbano

Quando il 6 maggio del 1999 andò in onda per la prima volta su Rai 2 una puntata de “Il Commissario Montalbano” nessuno si sarebbe aspettato che la Serie Tv nata dai romanzi di Andrea Camilleri sarebbe diventata una delle più seguite dal pubblico italiano. Diamo qualche numero: oltre 6 milioni di persone – corrispondenti al 24.45% di share – hanno visto la prima puntata quella sera di maggio. Da quel momento, i numeri sono aumentati in maniera incredibile. Le ultime puntate de Il Commissario Montalbano hanno superato gli 11 milioni e il 44% di share. La serie è inoltre trasmessa in 20 paesi (nel Regno Unito è risultata uno dei dieci programmi più visti nel 2016).
La domanda che sorge spontanea, visto il grande successo, è quella che ogni spettatore si pone prima di approcciarsi a una serie televisiva: “Perché guardare Il Commissario Montalbano?”. Oggi proveremo a dare una risposta.
Camilleri e il suo passato da sceneggiatore
Camilleri, prima di iniziare a scrivere romanzi, è stato ex sceneggiatore per la tv di Stato. Tutte le sue opere hanno quindi un tempo narrativo e una struttura tale da permettere una grande resa sul piccolo schermo. Questa caratteristica rende le vicende del commissario molto dinamiche e il pathos dello spettatore sale col passare dei minuti. A interrompere ci sono soltanto alcuni spezzoni tragicomici, in cui viene disegnata l’Italia – e conseguentemente gli italiani – attraverso l’ironia che contraddistingue da sempre la serie.
I personaggi
Montalbano e tutti gli altri personaggi che gli ruotano attorno sono creati a nostra immagine e somiglianza in modo da riconoscere in loro le nostre pecche, debolezze, ma anche virtù e pregi. La bravura degli autori quindi è proprio nel riuscire a farci immedesimare nei personaggi che non appaiono mai lontani e distaccati. Ovviamente, per raggiungere questo intento, è necessario avere anche un cast di livello e sicuramente la bravura non manca in questo sceneggiato. Il fulcro della serie è ovviamente Luca Zingaretti, il burbero commissario.
Il romano dal punto di vista interpretativo è riuscito a entrare perfettamente nella parte e sarà per sempre ricordato come Il Commissario Montalbano (uno dei migliori personaggi delle Serie Tv italiane). Ma guardando i contenuti reali della serie, possiamo vedere come questa sia specchio dell’Italia e degli italiani. Passionali, istintivi, burrascosi e pronti usare metodi non convenzionali pur di raggiungere il loro scopo.
Amanti della tavola e delle donne, buoni e a volte un po’ fessi.
Emozioni prima di tutto
Se le interpretazioni scientifiche di C.S.I. non vi attraggono, ma preferite all’empirismo un intuito naturale guidato dalle emozioni, quella di Camilleri è la serie che fa per voi! Non solo Montalbano, ma anche gli altri personaggi sono interessati a scovare e a osservare le emozioni che accompagnano la realtà in cui si svolgono i fatti più che la realtà stessa, nel tentativo di stabilire quel gioco prospettico che l’ha determinata. I fatti sono espressioni di sentimenti e non soltanto la loro causa, e questa interazione è sempre presente nelle vicende.
Il Commissario Montalbano ci racconta la vita e per farlo si appoggia alle semplici emozioni piuttosto che ai ragionamenti prettamente empirici. Possiamo dire quindi che la soluzione del giallo non è mai frutto solamente della ragione, ma di un’emozione guidata dalla ragione. Sono tanti gli aspetti che fanno amare questo personaggio: l’atipicità dei metodi investigativi del commissario e la sua semplicità e umanità; i valori che rappresenta nello svolgere la professione accanto alla devozione verso la Sicilia e i suoi conterranei; la grande complicità con i colleghi e il forte legame con Livia, la storica fidanzata lontana; il suo amore per il mare e la passione per la buona tavola.
Una Serie Tv cartolina d’Italia
Se tutto questo non vi basta, bisogna aggiungere la sapiente regia di Alberto Sironi. Partito dal Piccolo Teatro di Milano, è arrivato a dirigere miniserie come “Il grande Fausto”, “Salvo D’acquisto” e “Pinocchio”. Attraverso la cinepresa ci mostra cartoline, scorci e paesaggi di una Sicilia tutta da ammirare e da scoprire con i suoi tesori nascosti (qui abbiamo provato a immaginare Breaking Bad ambientato in Italia). La casa di Montalbano e la sua spiaggia, le terrazze sul mare, chiese, vicoli e palazzi antichi regalano un’esperienza visiva impressionante che ci fa amare ed essere orgogliosi della nostra Italia. Il Commissario Montalbano è da sempre acclamato dal pubblico, da critici televisivi come Aldo Grasso e da giornalisti come Domenico Naso de Il Fatto Quotidiano che in un articolo ha scritto testualmente: “Il Commissario Montalbano è un evento, è il Sanremo della Fiction, il Mondiale della serialità made in Italy”.
Se non avete ancora deciso di iniziare questa serie, il sottoscritto alza bandiera bianca e per dirla con le stesse parole di Salvo Montalbano, “mi son rotto i cabbasisi”. Insomma, non sapete quello che vi perdete!
Giacomo Simoncini
 
 

Sicilian Post, 12.8.2018
Sicilitudine
L’oscurità dentro la festa: “Notte di Ferragosto” e la scelta esistenziale di Montalbano
Mentre tutti si dedicano alla spensieratezza e alla festosa confusione della ricorrenza estiva, il commissario guarda con disappunto premonitore a queste usanze. E mentre la folla si disperde dalla spiaggia occupata per tutta la notte, un corpo, abbandonato come un rifiuto, mette il personaggio di Camilleri, nonostante l’aria di vacanza, di fronte ad un oscuro delitto e alla necessità di continuare a compiere il suo dovere

Un cadavere, con tanto di siringa in vena, abbandonato tristemente sulla spiaggia: a fargli da contorno sacchetti dell’immondizia, scatole e bottiglie vuote. È questa la visione che si staglia di fronte allo sguardo di Salvo Montalbano nel racconto Notte di Ferragosto, pubblicato dalla Sellerio nel 2013 all’interno della raccolta Ferragosto in giallo. E mai, il commissario più famoso della letteratura, avrebbe immaginato di imbattersi in un caso così spinoso dopo la classica festa di metà agosto. Tutti, a primo impatto, avrebbero pensato alla bravata notturna e festaiola di un giovane spintosi troppo in là verso una tragica fine: ma non Montalbano, che sin dalle prime battute nutre il sospetto che dietro quella morte apparentemente anonima si nasconda una montatura creata ad arte. Ma qual è il senso di una tale scena? Che significato ha, in chiave camilleriana, una simile morte letteraria?
Il tutto va certamente collegato alle tipiche usanze di Ferragosto delle famiglie siciliane, cui l’immaginaria Vigata non fa eccezione: con tanto di nonni al seguito, un passaggio fondamentale è occupare il litorale per passarvi la notte mangiando e bevendo in quantità. Confusione, folla, chiasso: è così che il commissario, cultore di una solitudine ristoratrice, percepisce negativamente i festeggiamenti estivi della cittadinanza. Ma c’è di più: se il Ferragosto è sinonimo di festeggiamenti – spesso smodati – ciò significa che, anche solo per una notte, si è disposti ad abbassare i propri freni inibitori e, di conseguenza, la propria soglia d’attenzione. Emerge, perciò, una concezione peculiare del Ferragosto, una concezione che considera questo ammassamento festoso come sinistramente pericoloso. E il commissario, col suo intuito quasi infallibile, sembra quasi premonire la tragedia del mattino seguente. Perché, da inquirente navigato, Montalbano sa che la confusione può rappresentare la copertura ideale per qualche malintenzionato, la scena del crimine che, paradossalmente, può garantire un rassicurante anonimato.
Ma il commissario, si è detto, si distingue naturalmente da quella marmaglia che, con sconvolgente indifferenza, ha lasciato che un corpo senza vita finisse spiaggiato come un qualsiasi scarto della festa volta al termine. Da ingegno fine qual è, Montalbano non può permettersi di abbassare la guardia, di dimenticare i propri doveri, di demandare a qualche altro la ricerca di una doverosa giustizia. Coi suoi occhi di esperto poliziotto e di siciliano, abituato a scovare il male anche dietro la patina festosa di una ricorrenza come quella del Ferragosto, il lettore si trova immerso in una dimensione inedita, che ci mostra una tristezza inattesa e una condizione esistenziale che corrisponde quasi ad un sacrificio: quello di vedere compromesse le programmate vacanze con l’amata Livia, di doversi prendere a carico l’oscurità di un delitto mentre tutti si dedicano alla spensieratezza. Di doversi ergere, ancora una volta, a simbolo del bene rinunciando a dedicarsi a se stesso per il bene di una comunità spesso inconsapevole di vivere sicura grazie alla presenza di uomini dediti alla causa come Salvo Montalbano.
Joshua Nicolosi
 
 

Il Giornale, 12.8.2018
L'amica non è solo geniale, è anche eterna

Non è facile levare lo scettro di monarca dell'estate in libreria al «Re» Camilleri. Il quale, infatti, se l'è prontamente ripreso.
Questa settimana Il metodo Catalanotti (Sellerio) è tornato in cima alla Top ten con 10mila e 470 copie. Camilleri in effetti vende qualche centinaio di copie in più rispetto alla settimana scorsa.
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Matteo Sacchi
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 12.8.2018
Intervista
Cristina Cassar Scalia "La mia detective nipotina di Montalbano ma con la grinta delle donna siciliane"
"Racconto storie dal punto di vista femminile
La mia Vanina è vicequestore, un posto da uomini
Per tre giorni alla settimana faccio l'oculista, il resto del tempo lo dedico alla scrittura"

[...]
Qualcuno ha paragonato il suo vicequestore Guarrasi a un commissario Montalbano in gonnella. Cosa ne pensa?
«Mi lusinga il paragone perché sono cresciuta leggendo Camilleri, ma Giovanna Guarrasi e Salvo Montalbano sono due personaggi molto diversi. Sicuramente li accomuna la Sicilia, l'amore verso la cucina tradizionale, ma in "Sabbia nera" c'è meno dialetto e una struttura narrativa diversa. Senz'altro Montalbano è un po' il papà di tutti i commissari di carta».
[...]
Giorgio Caruso
 
 

ANSA, 18.8.2018
Libri autunno tra Camilleri e Smith
Tra prime imperdibili uscite anche Haig, Flanagan e Banville

Roma - Il libro più intimo di Andrea Camilleri, 'Ora dimmi di te. Lettera a Matilda', in cui lo scrittore si racconta in prima persona alla pronipote e le mostra "le pochissime cose" che ha imparato. Un nuovo romanzo del re dell'avventura Wilbur Smith, del ciclo Courtney d'Africa, in cui si fa strada una nuova protagonista femminile. E l'imprevista opportunità di crescita e riscatto che il Booker Prize John Banville regala alla protagonista di 'Ritratto di signora' di Henry James, nel suo nuovo romanzo 'Isabel'. Sono tra i primi e più attesi titoli ad arrivare in libreria tra fine estate e autunno 2018. Camilleri bisnonno ripercorre tanti episodi della sua lunga vita, uno spettacolo teatrale alla presenza del gerarca Pavolini, l'incontro con la moglie Rosetta e con Elvira Sellerio e parla con coraggio anche di errori e disillusioni in questa lettera che esce per Bompiani il 29 agosto. "Ti scrivo alla cieca, sia in senso letterale sia in senso figurato. In senso letterale perché negli ultimi anni la vista mi ha lentamente abbandonato. Ora non posso più né leggere né scrivere, posso solo dettare. In senso figurato perché non riesco a immaginarmi quale sarà il mondo tra vent'anni, quello nel quale tu dovrai vivere..." dice Camilleri, ormai cieco, alla sua nipotina di quattro anni. [...]
Mauretta Capuano
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 18.8.2018
Afa, spiagge, "galli" le estati siciliane nella letteratura
La calura infernale de "La sirena" di Tomasi di Lampedusa il fascino delle turiste secondo Brancati e il mare del commissario Montalbano
Atmosfere e situazioni d'agosto nelle pagine degli scrittori dell'Isola

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Per gli scrittori siciliani la vacanza fa rima soprattutto con il mare, le spiagge, il dondolio leggero di una barca, la lieve e ipnotica increspatura delle onde. Se siete già stanchi della folla in spiaggia e delle code in autostrada, provate a viaggiare dentro le trame dei libri dei grandi scrittori isolani.
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Tutto l'opposto di Salvo Montalbano: per il commissario di Vigàta il mare è una specie di liquido amniotico, non può proprio farne a meno. La spiaggia di Marinella è il suo regno, da non frequentare però la notte del 14 agosto: «Da anni e anni oramà a Vigàta si era pigliata l'usanza che la notti di Ferrausto, quella tra il quattordici e il quinnici, chiossà di mezzo paìsi scasasse per annare a passare la sirata nella pilaja». Notte di Ferragosto che Camilleri, in un suo racconto, trasforma in tragedia, con tanto di crimine e mistero per via di una morte apparentemente accidentale, che però non convince per nulla Montalbano.
Salvatore Ferlita
 
 

Ventimiglia (IM), 18.8.2018
Maruzza Musumeci
Terrazza Forte Annunziata


 
 

La Repubblica, 19.8.2018
L'anticipazione
Una lunga confessione dello scrittore 93enne, indirizzata alla pronipote di 4 anni, nella quale ripercorre con schiettezza e umorismo i momenti salienti della sua vita: dall'infanzia siciliana durante il fascismo all'amore per la moglie Rosetta, all'incontro con l'editrice Elvira Sellerio.
Il calcio ai balilla firmato Camilleri
L'infanzia fascista, le leggi razziali e l'amico ebreo cacciato da scuola. Così il papà di Montalbano racconta alla pronipote in un nuovo libro (e qui in anteprima) come diventò comunista sotto il Duce. Grazie anche a un vero colpo, sì: ma nei "cabbasisi"
"Mi sentivo come una sorta di traditore soprattutto verso mio padre, che nel Ventennio continuava a credere sia pure a modo suo. Poi una mattina finalmente mi resi conto che mi ero liberato dall'idea fascista"
"Non era giusto che non si partisse tutti allo stesso modo, che il loro destino di poveri fosse già scritto.
No, non era giusto.
Ecco come io, lentamente, cominciai a diventare comunista in pieno regime"

Matilda, mia cara,
ti scrivo questa lunga lettera a pochi giorni dal mio novantaduesimo compleanno, mentre tu hai quasi quattro anni e ancora non sai cosa sia l'alfabeto. Spero che tu possa leggerla nel pieno della tua giovinezza. Ti scrivo alla cieca, sia in senso letterale sia in senso figurato. In senso letterale perché negli ultimi anni la vista mi ha lentamente abbandonato. Ora non posso più né leggere né scrivere, posso solo dettare. In senso figurato perché non riesco a immaginarmi quale sarà il mondo tra vent'anni, quello nel quale tu dovrai vivere. Vedi, mia cara, nell'ultimo trentennio i cambiamenti attorno a me sono stati tanti e alcuni del tutto inattesi e repentini. Il mondo non ha più lo stesso aspetto che aveva durante la mia giovinezza e maturità. A cambiargli la faccia hanno contribuito i mutamenti politici, economici, civili e sociali, le scoperte scientifiche, l'uso della tecnologia più avanzata, le grandi trasmigrazioni di massa da un continente all'altro, il quasi fallimento del nostro sogno che è stato l'Unione Europea.
Ma perché sento il bisogno impellente di scriverti? Rispondo alla mia stessa domanda con una certa amarezza: perché ho piena coscienza, per raggiunti limiti di età, che mi sarà negato il piacere di vederti maturare di giorno in giorno, di ascoltare i tuoi primi ragionamenti, di seguire la crescita del tuo cervello. Insomma, mi sarà impossibile parlare e dialogare con te. Allora queste mie righe vogliono essere una povera sostituzione di quel dialogo che mai avverrà tra di noi. Perciò, prima di tutto, credo sia necessario che io ti dica qualcosa di me. Forse tua madre Alessandra te ne parlerà, ma preferisco essere io a dirti di me e dei miei tempi con parole mie, anche se, come mi auguro di tutto cuore, alcune di esse quali ad esempio nazismo, fascismo, razzismo, campi di sterminio, guerra, dittatura ti appariranno remote e inattuali.
Sono nato nel 1925 a Porto Empedocle, un piccolo paese nel Sud della Sicilia. La popolazione era in massima parte costituita da pescatori, operai portuali, carrettieri, contadini. Pochissimi i piccoli impiegati, ancor meno i commercianti. Quando andai alla prima elementare mi trovai in una classe di coetanei che vivevano quasi tutti in condizioni di semipovertà. Pensa che i figli dei contadini venivano a scuola con le scarpe appese al collo per non consumarle e se le mettevano solo quando entravano in classe. Credo di non essere mai riuscito a mangiare per intero la merendina che mamma ogni mattina mi metteva dentro la cartella. La dividevo quasi sempre con gli altri, non potendo sopportare lo sguardo invidioso e affamato dei miei compagni. Quando nacqui, da tre anni Benito Mussolini era il capo del governo italiano e stava rapidamente assoggettando il paese al regime della dittatura fascista. Siccome credo che questo termine, "fascista", ti riuscirà alquanto difficile da capire, provo a raccontarti quello che è successo in quegli anni.
La fine, per noi vittoriosa, della Grande guerra nel 1918 avrebbe, teoricamente, dovuto apportare in Italia un periodo di tranquillità economica e sociale. Invece le cose andarono diversamente. I soldati che tornavano dal fronte trovavano difficilmente lavoro, perché la trasformazione in industria di pace di quella che era stata per molti anni industria bellica non era riuscita in tempi rapidi. Anche la situazione tra datori di lavoro e lavoratori era apertamente conflittuale. Di tutte le promesse fatte ai soldati durante la guerra, non ne era stata mantenuta nemmeno una. Frequentissimi erano gli scontri di piazza tra polizia e reduci e tra polizia e operai. Fu così che i grandi proprietari terrieri del Centro-Nord e alcune importanti industrie decisero che era indispensabile un ritorno all'ordine. Ma ci voleva una persona che avesse il carisma necessario e che potesse essere totalmente fedele al mandato che gli avrebbero affidato. La loro scelta cadde su un ex dirigente socialista, ex direttore del quotidiano del Partito socialista Avanti!. Il suo nome era Benito Mussolini: era stato ardentemente favorevole alla guerra e poi combattente in prima linea. In breve Mussolini raggruppò attorno a sé tutti gli ex combattenti e quella parte della borghesia che vedeva nel malcontento operaio un pericolo reale. Ispirandosi alla simbologia degli antichi romani, fondò i Fasci di combattimento, i cui aderenti indossavano una camicia nera, erano armati di manganello e inclini alla violenza. Furono detti "squadristi". In poco tempo molte sedi di organizzazioni socialiste vennero date alle fiamme, e ci furono violenti scontri con morti da ambedue le parti. Nel 1921 avvenne inoltre una scissione tra gli stessi socialisti e nacque così il Partito comunista d'Italia, il cui primo segretario fu Antonio Gramsci. I comunisti divennero il bersaglio preferito dei fascisti.
Nel 1922 Mussolini capì che poteva contare sull'appoggio della grande maggioranza della popolazione italiana. In questo modo, il 28 ottobre dello stesso anno, con migliaia di aderenti al suo partito, marciò su Roma. La situazione era gravissima. Alle porte della capitale, i fascisti si trovarono davanti le truppe dell'esercito italiano. A questo punto la guerra civile era inevitabile. Il primo ministro Facta andò dal re perché venisse proclamato lo stato d'assedio, in altri termini l'autorizzazione per le truppe di sparare sui fascisti. Da quello scontro il fascismo sarebbe sicuramente uscito annientato; invece, con una decisione imprevista il re non solo non firmò lo stato d'assedio, ma addirittura accolse Benito Mussolini al Quirinale, dandogli l'incarico di for-mare il nuovo governo. Qui Mussolini dimostrò una certa furberia politica, infatti di questo suo primo governo fecero parte anche liberali, democratici e socialisti. Ma tutto questo durò pochissimo tempo, e ben presto si capì che Mussolini aspirava a essere un uomo solo al comando. La situazione si aggravò nel 1924, quando venne assassinato il deputato socialista Giacomo Matteotti, che era uno dei più lucidi e coraggiosi avversari di Mussolini. Di fronte a questo assassinio politico buona parte del paese reagì negativamente e Mussolini vide traballare il suo potere, però con l'aiuto dei suoi squadristi più facinorosi e violenti in breve tempo seppe consolidare la propria posizione. Da quel momento in Italia il fascismo si tramutò in un'autentica dittatura. Mussolini sciolse parlamento e senato creando la camera dei fasci e delle corporazioni composta da uomini a lui fedelissimi, proibì la pubblicazione di giornali appartenenti all'area della sinistra, fece arrestare Antonio Gramsci (lasciandolo poi praticamente morire in carcere), fece cessare con la violenza ogni manifestazione di dissenso. Aveva bisogno di giovani per le sue mire espansionistiche e così iniziò una politica demografica quasi dissennata, premiando le famiglie che avevano più figli, non facendo pagare le tasse ai giovani sposi che entro un anno avrebbero dato, come si diceva allora, "un figlio alla patria", imponendo una tassa sul celibato.
Fatti salvi pochi politici che scapparono all'estero, si verificò un curioso fenomeno, vale a dire che il fascismo rapidamente conquistò il favore di quasi tutti gli italiani. Poi Mussolini strinse ancora la cinghia, volle che tutti i dipendenti dello stato facessero giuramento di fedeltà al regime fascista e ne prendessero la tessera. Tutti, dico tutti i dipendenti statali, dai maestri delle scuole elementari ai docenti universitari, dai magistrati agli uscieri, obbedirono all'ordine. Va detto a loro merito eterno che solo ventiquattro professori universitari non vollero giurare e perciò furono dimessi dalla cattedra. Nel 1925, quando, come ho detto, io nacqui, il fascismo era già una consolidata dittatura. Aveva inquadrato tanto i bambini quanto i ragazzi in organizzazioni paramilitari. Il sabato indossavamo la divisa fascista e andavamo a fare le esercitazioni. Io appartenevo all'Opera nazionale Balilla; il nostro motto era "libro e moschetto, fascista perfetto", ma in realtà i miei compagni leggevano pochissimi libri o non leggevano affatto. Io invece costituivo un'eccezione. A cinque anni avevo imparato a leggere e a scrivere con l'aiuto di mia madre e della nonna materna Elvira; a sei anni avevo già messo mano alla libreria di mio padre che era molto ben fornita. Così cominciai a leggere non i libri dei bambini o dei ragazzi ma quelli degli adulti, i romanzi importanti. Le mie prime letture furono infatti Conrad, Melville e Simenon. Da allora non smisi mai più di leggere. Non finivo di sorprendermi del modo in cui le parole scritte arrivassero al mio cervello, quasi che mi fossero state dette a viva voce, era un miracolo che mi affascinava. A scuola i maestri ci ripetevano ogni giorno le tre parole d'ordine mussoliniane, "Credere, obbedire, combattere", e ci magnificavano l'intelligenza del duce, così si faceva chiamare Mussolini, e la sua volontà di fare grande l'Italia. Ogni sabato, dopo le esercitazioni, venivamo portati in chiesa dove il prete ci spiegava il catechismo, ma non perdeva occasione di ricordarci che il papa aveva definito Mussolini l'uomo mandato dalla Provvidenza divina e che quindi bisognava seguirlo ciecamente. Era perciò inevitabile che a dieci anni fossi un fervente fascista, tanto che, quando Mussolini nel 1935 dichiarò guerra all'Abissinia, io gli scrissi domandandogli di autorizzarmi a partire come volontario per il campo di battaglia. Con stupore e gioia ricevetti una lettera in risposta, nella quale mi diceva che ero ancora troppo giovane.
L'anno seguente, nel '36, scoppiò una seconda guerra, quella di Spagna, che fu una specie di spartiacque tra fascisti e antifascisti. Vedi, allora l'Europa era dominata più dalle dittature che da governi democratici: in Russia c'era Stalin, in Italia Mussolini, in Germania Hitler, in Portogallo Salazar. La guerra di Spagna fece emergere un nuovo dittatore, Francisco Franco. Le uniche due grandi democrazie rimaste tali in Europa erano la Francia e l'Inghilterra, così fu inevitabile lo scontro tra queste diverse concezioni e nel '39 le mire espansionistiche di Hitler fecero sì che scoppiasse la seconda guerra mondiale. Quando anche noi italiani entrammo in guerra nel1940 come alleati di Hitler, io non ne fui tanto entusiasta perché a casa avevo visto le mie due nonne piangere silenziosamente. Nella guerra precedente ognuna di loro aveva perduto un figlio caduto in combattimento. «La guerra» mi disse carezzandomi nonna Elvira, «è sempre una cosa maledetta». Anche papà in quei giorni girava per casa con il volto rabbuiato e una mattina lo sentii dire a mamma che la dichiarazione di guerra era stata un atroce errore di Mussolini. Rimasi allibito. Papà aveva fatto in prima linea la guerra del '15-18 e poi era stato un fascista della prima ora. Ma insomma, chiedevo tra me e me, se Mussolini era infallibile come andavano dichiarando i gerarchi, se Mussolini era l'uomo della Provvidenza mandato da Dio per il bene dell'Italia come andavano predicando i preti a scuola, per quale ragione aveva potuto commettere un simile errore? Ecco, questa fu la seconda crepa nella mia fede fascista. La prima si era prodotta poco tempo prima, nel '38. Mantre stavo a scuola un mio compagno, che si chiamava Ernesto Pera, alla fine delle lezioni venne a salutarmi. «Da domani non ci vedremo più» mi disse, «non posso frequentare questa scuola». Siccome era figlio di un ferroviere, gli chiesi se il padre fosse stato trasferito. «No» rispose lui, «non posso frequentare più perché sono ebreo». E perché un ebreo non poteva più frequentare la mia stessa scuola? Tornando a casa all'ora di pranzo domandai spiegazioni a papà, che divenne subito rosso in faccia e con voce alterata affermò: «Tu non devi credere a queste sciocchezze sugli ebrei; gli ebrei non hanno nulla di diverso da noi, sono esattamente come noi. Questa storia della razza è un cosa inventata da Hitler. E Mussolini non ha voluto essere da meno di lui. Ma non credere a ciò che ti diranno. Siamo tutti uguali». Ecco, a novantadue anni devo dire che non finirò mai di essere grato a mio padre per quelle sue parole.
A dare il colpo di grazia alla mia fede fascista fu il raduno internazionale della gioventù nazifascista che avvenne a Firenze nella primavera del '42 presso il Teatro comunale. Teatro che, fin dalle prime ore, si gremì di giovani venuti da ogni parte dell'Europa, naturalmente di quell'Europa occupata dai nazisti: greci e polacchi, ungheresi e romeni, albanesi e slavi e ovviamente una folta rappresentanza della gioventù tedesca. Eravamo tutti in divisa. Io, che avevo una precoce passione per il teatro, fui invitato a esporre un repertorio ideale per la gioventù fascista. Al secondo giorno del raduno capitò un incidente. All'aprirsi del sipario con stupore vidi che il fondale era costituito solamente da un'enorme bandiera nazista. Il giorno avanti invece le era stata affiancata anche quella italiana. A quella vista ebbi una reazione tanto violenta quanto inaspettata anche per me. Mi alzai in piedi e mi misi a urlare: «Via quella bandiera! Mettete almeno anche la nostra!». Ci fu un momento di silenzio assoluto, poi in modo del tutto imprevisto molti giovani applaudirono alle mie parole. Il sipario venne immediatamente richiuso, si riaprì poco dopo. Ora c'erano le due bandiere, scoppiò un applauso fortissimo. Entrò la delegazione dei gerarchi italiani e tedeschi e prese posto dietro il lungo tavolo sul palcoscenico. Si alzò a parlare per primo Alessandro Pavolini, allora ministro della cultura popolare; alla fine del suo discorso scese in platea e cominciò a percorrere il corridoio centrale verso l'uscita. Io ero seduto in una poltrona laterale che dava proprio nel corridoio e lui passandomi accanto mi fece cenno con la mano destra di seguirlo. Mi alzai e gli andai appresso. Arrivammo nell'atrio che era deserto, lui si fermò e si voltò a guardarmi, mi disse: «Avvicinati, coglione». Appena fui davanti a lui, alzò la gamba destra calzata da stivali e mi diede un violentissimo calcio nel basso ventre, quindi volto le spalle e se ne andò. Rimasi a terra gemente per il dolore ma due miei compagni, Gaspare Giudice e Luigi Giglia, avevano capito le intenzioni del ministro e perciò mi avevano seguito. Furono loro a chiamare un taxi e ad accompagnarmi all'ospedale. Tornai in teatro due giorni dopo, per la manifestazione di chiusura. Parlava Baldur von Schirach, capo della Hitler-Jugend, e, siccome il tema dell'incontro era "L'Europa di domani", egli descrisse come sarebbe stata l'Europa secondo l'ideologia nazista. Via via che lui parlava sudavo freddo, davanti ai miei occhi l'Europa si trasformava in un'enorme caserma grigia senza altro colore che le divise naziste, con un solo libro che eravamo tutti obbligati a leggere, Mein Kampf (La mia battaglia), scritto da Adolf Hitler. Mentre von Schirach continuava la sua esposizione, io mi andavo domandando: e i miei autori? Il mio Gogol'? Il mio André Gide? Non potrò più leggerli? Dovrò leggere solo autori tedeschi "autorizzati" e indossare per sempre questa divisa che mi trovo addosso? Quando, durante il viaggio di ritorno verso la Sicilia, ripensai al discorso di von Schirach, mi augurai con uno spavento interiore fortissimo che quella Europa sognata dai nazisti non fosse realizzabile, che il loro ideale fallisse.
Questo fu l'inizio della mia grande crisi. Passai notti insonni, non potevo confidarmi con nessuno, nel timore di essere denunciato. Stavo veramente male, ero molto dimagrito, mangiavo di malavoglia, quasi non scambiavo più parola con i miei compagni. Mi rendevo conto che il mio essere stato fascista aveva rappresentato un errore enorme, ma mi sentivo come una sorta di traditore soprattutto verso mio padre che nel fascismo continuava a credere sia pure a modo suo. Questa crisi durò mesi e mesi. Poi una mattina finalmente mi resi conto che mi ero completamente liberato dall'idea fascista. Non avevo più né scrupoli né dubbi. Inoltre, proprio in quei giorni mi capitò tra le mani un libro sfuggito miracolosamente alla censura. Era La condizione umana di André Malraux. Lo lessi. Credo che in quella notte masse del mio cervello si siano spostate da un luogo all'altro. Fui assalito da una leggera febbre. In quel libro scoprii che i tanto odiati comunisti erano gente come noi, con nulla di diverso da noi, non mangiavano i bambini e avevano degli ideali come li avevo io. Tra i libri di mio padre c'era una sorta di riassunto del Capitale di Karl Marx, lo presi e cominciai a leggerlo. C'era anche il Manifesto, quello famoso che inizia così: "Uno spettro si aggira per l'Europa...". Compresi che quelle idee combaciavano con quello che io sentivo dentro di me. Già alle elementari pensavo non fosse giusto che io avessi le scarpe lucidissime e i miei compagni andassero a piedi nudi, che io indossassi un cappotto di lana durante l'inverno e loro arrivassero a scuola con solo strappate e consunte camicie. Erano pensieri confusi, ma chiaro in me era il senso dell'ingiustizia. Non era giusto che non si partisse tutti allo stesso modo, che alcuni prendessero il via svantaggiati, che il loro destino di poveri fosse già scritto. No, non era giusto. Ecco come lentamente cominciai a diventare comunista in pieno regime fascista.
Racconto di Andrea Camilleri
Illustrazioni di Agostino Iacurci

 
 

Santa Margherita Ligure (GE), 22.8.2018
Maruzza Musumeci
Villa Durazzo


 
 

Vanity Fair, 23.8.2018
Andrea Camilleri: «Arrivare a 92 anni mi sembrava fantascienza»
Lo scrittore siciliano tira le somme di una vita che grazie al suo commissario Montalbano, monumento italiano riconosciuto in tutto il mondo, gli ha restituito fama e incontri straordinari
Questa intervista è tratta dal numero 34 di Vanity Fair in edicola fino al 29 agosto

Camilleri è nel suo studio, al solito posto. Io vedo lui, lui intravede appena me perché negli ultimi tempi la vista lo ha abbandonato. Ma non lo hanno abbandonato la memoria prodigiosa, le battute pronte, l’abilità di narratore. Le donne della sua vita (la moglie, le tre figlie) sono intorno a lui anche oggi. Entra una, esce l’altra, ritorna quella che era uscita prima. Se ne occupano, lo coccolano. E, del resto, lui dice: «Se una donna non mi coccola, io ci rimango male, sono troppo abituato.
Da sempre. Quando ero già sposato con Rosetta e avevamo già avuto le tre bambine, nell’appartamento accanto al nostro convivevano pacificamente, e questa è la cosa più misteriosa, le due consuocere rimaste vedove. Avevamo anche una cameriera che stava con noi da vent’anni, di nome Italia. La mattina Rosetta andava in ufficio, io potevo stare a letto un po’ di più e ci stavo. Subito, arrivava mia madre con una tazzina di caffè, seguita da mia suocera con la seconda tazzina di caffè. Fino a quando entrava Italia: “Pigliatevi ’o caffè, che quelle due non lo sanno fare”».
Quattro anni fa, in famiglia è entrata un’altra «donna», la prima pronipote. Si chiama Matilda, è figlia di Alessandra che è figlia di Andreina, la primogenita.
A Matilda, che ha quattro anni, è dedicato il libro Ora dimmi di te, che uscirà il 29 agosto. Non è un romanzo, ma una sorta di autobiografia di Camilleri, sotto forma di lettera alla bambina. Il bisnonno racconta la sua infanzia in Sicilia, l’Italia sotto il fascismo, il ’68, anno in cui occupò l’Accademia d’arte drammatica di Roma insieme agli studenti, il teatro e la televisione e, ovviamente, la nascita di Montalbano.
Matilda è l’unica pronipote?
«No, da otto mesi ha anche un fratello che è stato chiamato come me, Andrea. Ma lei gli ha dato un nome diverso: Foglia. Così, per ora, lo chiamiamo tutti Foglia».
Si aspettava di diventare bisnonno?
«Ma no. A 40, 50 anni pensavo che non sarei mai arrivato al 2000, questa data fantascientifica».
E arrivarci in questo modo! Oltre cento libri, traduzioni in 37 Paesi, una notorietà che pochi scrittori hanno.
«Al mercato mia moglie ha più volte ascoltato questa frase: “Vedi quella, è la signora Camilleri, la moglie di Montalbano!».
Montalbano è un monumento nazionale.
«Infatti, ogni tanto qualcuno mi scrive: lei la deve finire di prestare le sue idee politiche a Montalbano. Montalbano è nostro e non le appartiene più».
Quanto è stata presente la politica in 92 anni di vita?
«Sempre. Da ragazzi eravamo fascisti e credevamo che quella fosse l’unica possibilità politica. Per me tutto cambiò il giorno in cui partecipai, a Firenze, a un grande raduno della gioventù internazionale nazifascista. Parlò Baldur von Schirach e delineò l’Europa del futuro in caso loro avessero vinto la guerra, cosa di cui erano certi. Io mi vidi all’improvviso dentro un casermone grigio, tutti in divisa, con un unico libro da leggere, il Mein Kampf di Hitler. Provai una sensazione di terrore».
Però non ha mai fatto politica in prima persona.
«No, mi sono sempre rifiutato. La prima volta, quando il Pci mi offrì una candidatura blindata, la seconda quando dei vescovi siciliani, non so perché proprio i vescovi, si misero in mente di chiedere all’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di farmi senatore a vita. Li ho pregati quasi in ginocchio per evitare una cosa simile».
Perché?
«La politica è una cosa seria, bisogna dedicarcisi davvero e io sapevo che avrebbe portato via troppo tempo alla scrittura. Ma intervenire da cittadino è una cosa che ho sempre fatto e che farò sempre, fino a quando potrò».
È pessimista sul futuro?
«Anche se tutto il mondo cospira per farmi diventare pessimista, io resisto. L’uomo è quello che dice “schiattate nel mare, migranti, non me ne fotte nulla di voi”, ma è anche novanta volontari subacquei che vanno a salvare quei ragazzi in Thailandia. L’uomo è così, meravigliosamente contraddittorio. Io ho fiducia nella parte buona».
In Ora dimmi di te sono citati molti libri, è quasi un’autobiografia letteraria.
«Mio padre era ispettore delle capitanerie di porto per la costa meridionale della Sicilia, non era certo un intellettuale, ma aveva una libreria molto ben fornita, con un fiuto straordinario per i bei libri: Melville, Conrad, i francesi e gli anglosassoni…».
Il giovane Andrea legge molto. In seconda ginnasio, addirittura, smette di andare a scuola per starsene in giro a leggere.
«E di conseguenza viene mandato in un collegio vescovile, ad Agrigento, su una collina. È stata un’esperienza orrenda, però credo che abbiano pianto di più i miei genitori a stare lontani da me. Ero figlio unico. La sera mi immalinconivo un po’ guardando da lontano le luci del mio paese, di giorno ne combinavo di tutti i colori sperando che mi sbattessero fuori. Le punizioni erano orrende, tipo: stare due ore in ginocchio a meditare sulle mie malefatte, mentre i miei compagni andavano a dormire».
Camilleri prima di Montalbano è soprattutto docente di teatro e regista. La parte migliore di quel lavoro?
«Vedere in che modo gli attori riuscivano a restituire quello che chiedevo. Era tutta una questione di psicologia e diplomazia perché dovevi sempre capire come era fatto l’uomo attore. Con alcuni bisognava ragionare, con altri giocare di sponda, con qualcuno non c’era niente da fare e ti veniva da dare testate contro il muro».
Gli allievi migliori?
«Per esempio, Marco Bellocchio al Centro Sperimentale. All’inizio studiava recitazione, proprio con me. Ma si capiva che non era a suo agio. Si vergognava come un ladro quando saliva in palcoscenico, si metteva di spalle, cercava di scomparire. Alla fine del primo trimestre, lo presi in disparte e gli dissi: “Sei un ragazzo intelligentissimo ma perché vuoi fare l’attore? Non mi sembra il tuo mestiere”. E lui confessò di essersi iscritto al corso di recitazione perché era l’unico disponibile. In realtà, avrebbe voluto studiare per diventare sceneggiatore. Mi diede da leggere delle sue cose, erano davvero interessanti. Io parlai con il direttore e lo trasferimmo al corso di sceneggiatura».
Come è nata l’idea di scrivere in siciliano?
«Era il ’67. Mio padre stava morendo e io ho trascorso un mese intero in clinica, accanto a lui. Avevamo tante cose da chiarirci e oggi posso dire che è stato bellissimo, nonostante la situazione. Un giorno mi chiese di raccontargli una storia, io da tempo avevo in mente quello che poi sarebbe diventato il mio primo romanzo, Il corso delle cose, e glielo raccontai. In siciliano, come si parlava tra di noi. Alla fine, mio padre mi disse: “Promettimi che lo scriverai e che lo scriverai così come lo hai raccontato a me”».
So che siete sommersi dalle email di giornalisti e anche di semplici lettori da tutto il mondo. Che cosa scrivono?
«Fanno tutti le stesse domande, dalla Francia alla Cina! Però a volte vogliono solo raccontare la loro storia. Per esempio, non molto tempo fa, uno mi ha mandato una lettera in una busta contenente una sua foto, un uomo sui cinquant’anni, con accanto una signora e due ragazzine. E scrive: “Questa è la mia famiglia. Solo ora mi sento di raccontarle quello che mi è successo nel 2001. Mi era caduto il mondo addosso perché avevo scoperto che la persona che amavo mi tradiva. Ero, e sono tuttora, infermiere all’ospedale di Bari. Rubai del veleno e mi portai a casa ampolla e treppiedi per le flebo. Mi misi a letto e infilai l’ago nel braccio. Siccome la cosa sarebbe stata lunga, presi dal comodino un libro che avevo comprato ma non ancora aperto: Il re di Girgenti. Dopo un po’ mi sono trovato a sorridere, ho staccato l’ago e ho continuato a leggere fino alle cinque di mattina. Tre anni dopo ho incontrato un’altra donna e mi sono sposato. Le devo la vita”. Ecco, quando penso a quella lettera, mi consolo di tante cose perché penso che, in fondo, tutto quello che ho fatto non è stato inutile».
Paola Jacobbi
 
 

CanaleSicilia, 23.8.2018
Patti – “Theatri Memoriae – Massimo Mollica, i capolavori”

“Theatri Memoriae – Massimo Mollica, i capolavori” è l’evento che andrà in scena questa sera, dalle 21, presso il Convento San Francesco di Patti.
Nel corso della serata saranno donati al Comune di Patti, da parte della famiglia, materiali documentari e storici dell’attore.
Per l’occasione anche lo scrittore e regista Andrea Camilleri ricorderà, attraverso un video messaggio, le regie realizzate a Tindari con Massimo Mollica.
L’evento vedrà la riproduzioni di video ed audio originali dell’attore, oltre alla lettura di alcuni testi. La famiglia ricorderà l’uomo, mentre grazie all’impegno del direttore artistico del Tindari Festival, Anna Ricciardi, grande spazio sarà dato alla carriera ricordando, tra l’altro, la realizzazione del “Glaucu” di Pirandello a Tindari con la regia di Andrea Camilleri. Ma non solo teatro. Infatti attraverso il racconto di alcuni aneddoti sarà ripercorsa anche la carriera tv e cinematografica di Massimo Mollica.
Nel corso della serata, presso il Convento San Francesco, sarà anche realizzata una istallazione artistica a cura di Laura Costantino “U tiatru mi cerca”. A conclusione si svolgerà il concerto dell’orchestra del conservatorio “Corelli” di Messina.
 
 

RomaToday, 23.8.2018
A Letture d'Estate una serata dedicata al Maestro Camilleri

Venerdì 24 agosto, alle 21.30 nei Giardini di Castel Sant'Angelo, nell'ambito di "Letture d'estate", doppia presentazione a cura del Centro Sperimentale di Cinematografia: Alberto Crespi conduce la serata sul numero monografico n. 590 della storica rivista del Csc, BIANCO e NERO, dal tema "Camilleri su Camilleri", edito da Csc/edizioni Sabinae, sarà presente Salvatore De Mola, sceneggiatore di "Montalbano".
Nell’ambito della serata Alfredo Baldi parlerà di "La scuola italiana del cinema" edito da Csc/Rubbettino.
Adriano
 
 

Buscemi (SR), 23.8.2018
Nel segno di Andrea Camilleri. Dalla narrazione psicologica alla psicopatologia
Presentazione del libro di Giuseppe Fabiano nell'ambito della Notte Bianca di Buscemi paese museo

   
 
 

Liguria Notizie, 23.8.2018
Lunaria Teatro presenta Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri

Lunaria Teatro presenta Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri con la partecipazione di Pietro Montandon venerdì 24 Agosto alle ore 21.15 , in Piazza Trento e Trieste a Bogliasco. Le scene sono di Giorgio Panni e Giacomo Rigalza, i costumi preparati da Maria Angela Cerruti, regia Daniela Ardini.
Con il sostegno del Comune di Bogliasco, ingresso è libero. Il mito è una fonte inesauribile di possibilità di interpretazioni del presente, delle relazioni tra le cose, i pensieri e il mondo. Anche in una “favola” strana, inquietante come quella raccontata da Andrea Camilleri nel suo romanzo Maruzza Musumeci.
Nella nuova produzione del teatro Lunaria, ritornano i motivi classici della sirena – del suo canto che uccide – e di una vendetta covata per millenni contro un Ulisse dedicato ai campi. Il protagonista Gnazio ritorna dall’America senza mai guardare il mare, per dedicarsi a coltivare la terra, l’acquisto di un campo che è come un’isola sull’acqua.
Il lavoro sul testo si è svolto nell’assoluto rispetto della parola di Camilleri, lasciando il fascino del racconto, di una lingua misteriosa, velata e oscura. Attraverso il susseguirsi incessante degli eventi si vuole prendere idealmente il pubblico per mano e condurlo in un viaggio attraverso una mitologia rude, selvaggia, sensuale, popolata da Aulissi Dimare, Sirene Catananne, cani feroci; ma anche attraverso la poesia, l’ironia e la levità della storia d’amore di Gnazio e Maruzza, fino al messaggio finale dell’immortalità del canto delle sirene racchiuso in una conchiglia che dona l’ultimo conforto a un soldato morente. ABov
Per informazioni più dettagliate info Tel. +39 010 2477045 Tel. +39 373 7894978 www.lunariateatro.it info@lunaria
 
 

Corriere della Sera - Liberi Tutti, 24.8.2018
Il bello dell'essere - Lo sapevate che...
L’epopea di Camilleri, da ragazzo discolo a scrittore di best seller
Studente incapace di piegarsi alla disciplina, disertore durante lo sbarco degli alleati, debuttò, a sua insaputa, con una poesia. Dal 1959 a oggi ha scritto oltre 100 libri

I matrimoni di sùrfaro erano matrimoni di zolfo, unioni combinate per ragioni commerciali che spesso nella Sicilia di fine Ottocento, ha scritto Andrea Camilleri, riuscivano meglio dei matrimoni d’amore. «Posso garantire che il matrimonio tra mio padre e mia madre riuscì splendidamente, si amarono davvero». La famiglia paterna è di origine maltese ma risiede a Porto Empedocle, la futura Vigata dei romanzi. Andrea è figlio unico di Giuseppe Camilleri e di Carmelina Fragapane, anche se prima di lui sono morti un fratello a sei mesi e una sorella, Elvira, a due anni per un innocuo angioma asportato con un bisturi non sterile che causò una setticemia. La Cronologia dei Meridiani, scritta da Antonio Franchini, è il miglior romanzo biografico di Camilleri: ad apertura di pagina si trovano perle di curiosità sulla lunga vita del «padre» di Montalbano. Ricordando la sua «infanzia senza limiti», Andrea parla di una «dignitosa miseria» seguita alla rovina delle miniere di zolfo detenute dalla famiglia paterna e da quella materna. Al collegio vescovile di Agrigento, dove viene spedito a nove anni nel 1936 per manifesta mascalzonaggine (ha falsificato i voti della pagella), non riesce a piegarsi alla disciplina, ma ottiene la possibilità di leggere romanzi come Via col vento, La saga dei Forsythe e gli «Omnibus» Mondadori. È stata la nonna materna a trasmettergli la passione per la lettura, cominciando da Alice nel paese delle meraviglie. Ma anche il padre è un gran lettore, soprattutto di gialli.
Espulso dal collegio e «obiettore» nel saluto al Duce
Per farsi cacciare dal collegio ne combina di tutti i colori, ma riesce a centrare l’obiettivo quando lancia contro il crocifisso una delle uova che la madre gli ha mandato da casa. All’espulsione si aggiungono le botte dei suoi compagni. A dieci anni comincia a scrivere poesie, dedicate alla mamma e al suo idolo Mussolini, e a sedici vince i Ludi Juveniles con un tema sulla cultura fascista, ma l’anno dopo, vincendo ancora i Ludi, alla premiazione che si tiene al Teatro Comunale di Firenze, si prende un calcio nei testicoli da Pavolini per essersi dissociato dal saluto al duce. È disertore (dalla marina) durante lo sbarco degli alleati, quando si imbatte nel carrarmato su cui svetta il generale Patton e nel grande fotografo Robert Capa che, pancia a terra, spara flash a raffica verso gli aerei americani e tedeschi in duello nei cieli della Sicilia. Iscritto a Lettere a Palermo, nel ’45, dopo aver fondato il Partito comunista nel suo paese, è a Taormina come osservatore del Pci al congresso liberale. Un altro incontro memorabile è quello con Vitaliano Brancati, un «dio» per Camilleri, che aveva letto tutti i suoi libri. Dopo qualche mese, a Roma, compera in un’edicola l’ultimo numero di Mercurio, la rivista diretta da Alba De Céspedes: in copertina legge il suo nome accanto a quelli di Silone, Alvaro, Moravia, Natalia Ginzburg. Qualche mese prima aveva spedito alla rivista una poesia, la stessa che ora legge accanto a una brevissima nota biografica. Si intitola Solo per noi ed è la prima pubblicazione di Camilleri: nessun libro, trionfo letterario, recensione, bestseller futuro gli regalerà mai una simile emozione.
Nuovo libro in arrivo dedicato alla pronipote
Così è cominciata la carriera dello scrittore italiano più prolifico e venduto degli ultimi vent’anni: con una poesia uscita a sua insaputa. Il primo dei suoi oltre 100 libri è del 1959. Non un romanzo ma una dotta Storia dei teatri stabili in Italia 1898-1918. Il commissario Montalbano doveva ancora nascere, anzi era già nato a insaputa di suo «padre». Che è padre, nonno e bisnonno. E in un nuovo libro, intitolato Ora dimmi di te. Lettera a Matilda(in uscita il 30 agosto per Bompiani), racconterà le fasi salienti della sua vita alla pronipote di 4 anni: infanzia siciliana, guerra, Roma, teatro, incontri, amicizie.
Paolo Di Stefano
 
 

Bogliasco (GE), 24.8.2018
Maruzza Musumeci
Piazza Trento e Trieste


 
 

Chiavari (GE), 25.8.2018
Maruzza Musumeci


 
 

Clarín, 26.8.2018
Crónicas del nuevo milenio
En una Italia que no quiere ver, el novelista Andrea Camillieri reflexiona sobre la ceguera
Con 93 años, el escritor y guionista siciliano, autor de la serie “Montalbano”, cuenta que quedar ciego lo ayudó a recuperar los otros sentidos. Y que la escritura lo ha salvado.

La última vez que nos recibió en su casa, hace tres años, encendió en una hora nueve cigarrillos que, rigurosamente, escupieron la ceniza afuera del cenicero. El gesto, que por error interpreté como desdén por las minucias de la vida doméstica y sus normas de buenos modales, era en cambio una profecía, un certificado simbólico de que Andrea Camilleri entraba, en silencio y fingiendo mirar para otro lado, en tinieblas. Sin elogio a la oscuridad, el casi centenario escritor siciliano de novelas de intrigas y de las otras -cumplió ya 93 y escribió más de cien- anunció hace poco que se ha quedado ciego. Que no ve desde hace un tiempo impreciso que no vale la pena fechar.
“Apenas comencé a perder la vista, he recuperado los otros sentidos. He fumado siempre 80 cigarrillos por día y, cuando todavía veía, había perdido el gusto de los olores, de los sabores. Cuando mis ojos se apagaron, volvieron todos mis sentidos juntos -dice Camilleri hoy-. Soy bastante autónomo. Basta que no me cambien de lugar los objetos y me arreglo solo. Finalmente respiro. Me he odiado siempre. Me pesaba ver esta cara de imbécil cada mañana en el espejo. Ahora, finalmente, no me veo más.” El mito del poeta ciego suma así la pluma cáustica de Camilleri a la de varias intuiciones exquisitas que no necesitaron ver para brillar… A la de Homero, a la de John Milton, a la de Paul Groussac, a la de Borges.
“Desde mi nacimiento, que fue en 1899, el tiempo minucioso me fue hurtando las formas visibles de este mundo -confesó Borges-. Y de todas las cosas que me han sucedido, la menos importante es haberme quedado ciego… Un escritor, o todo hombre, debe pensar que cuanto le ocurre es un instrumento; todas las cosas le han sido dadas para un fin y esto tiene que ser más fuerte en el caso de un artista. Todo lo que le pasa, incluso las humillaciones, los bochornos, las desventuras, todo eso le ha sido dado como arcilla, como material para su arte; tiene que aprovecharlo.”
En junio, Camilleri fue invitado a participar en el 54º festival del teatro griego de Siracusa, en Sicilia. Escribió un monólogo sobre Tiresias, el sabio de la mitología al que la diosa Hera dejó ciego y a quien Zeus consoló con el don de la profecía. Y subió al escenario, por primera vez a ciegas. “La idea de contar y personificar a Tiresias, más allá del reciente parentesco por la ceguera, nace del deseo de pronunciar algunas palabras en la oscuridad -confesó Camilleri-. En mi texto hay un momento en el que cito a Borges y digo que las palabras de Sófocles, escuchadas en la oscuridad de la ceguera, adquieren el sonido de la verdad absoluta. Cuando me preguntaron qué personaje me hubiera gustado interpretar en Siracusa, lo sentí enseguida dentro de mí. Tal vez porque llegué a un punto en el que me gustaría tener una idea más precisa de la eternidad. A los 93 años, tenés la certeza del hecho que la eternidad está viniendo a tu encuentro.”
Dice Camilleri que la ceguera no ha influenciado su escritura, “pero tal vez sí me volvió más reflexivo o ligeramente menos impetuoso. Primo Levi dice que logró salvarse de la horrenda metamorfosis hacia el no-hombre que vivió en Auschwitz con la poesía. Yo me salvé con la escritura -confiesa-. Pensaba que no iba a poder escribir más. ¿Cómo hace un ciego para escribir? Hubiera podido dictar, pero lo hubiera tenido que hacer en italiano, que no es exactamente mi lengua siciliana. No hubiera podido seguir escribiendo mis bellos Montalbano (el comisario que protagoniza su saga policial más célebre) en ‘vigatese’ (su dialecto literario). Por suerte intervino Valentina Alferj (su agente literaria), que está a mi lado desde hace 16 años siguiendo de cerca mi lengua.”
Camilleri tardó en admitir su “lento crepúsculo”, como describió Borges a su ceguera. Se podría hipotizar que el siciliano lo hizo tal vez por coquetería. O por genética: Italia y sus hijos padecen de poca visión, en este último tiempo, para los desafíos que la historia contemporánea les planta ante sus propios ojos. Y prefieren no ver.
Sucede con el sentimiento antixenófobo que el pueblo italiano intenta sostener ante las políticas migratorias que la Unión Europea reformula cada vez que el Mediterráneo se salpica de restos de vidas que desesperan por salir a flote. A pesar de contar con un viceprimer ministro y ministro del Interior “di destra”, como Matteo Salvini, y a pesar de los brotes filofascistas que riegan el territorio del antiguo Imperio Romano.
Sucede con el aborto, tan sensible a nuestros oídos en estos tiempos, que Italia convirtió en ley hace 40 años pero que se sigue practicando clandestinamente -y, por lo tanto, continúa drenando vidas de mujeres a escondidas- por el alto porcentaje de médicos objetores de conciencia.
Italia pareciera estar cerrando los ojos adrede mientras en el laberinto de su propia oscuridad, Camilleri se esfuerza para que su lucidez sea cada vez más luminosa: “Desde que soy ciego, estoy aprendiendo la humildad de depender de otros. Soy completamente dependiente de la cortesía y de la gentileza de quien me rodea. Desde que no veo, veo las cosas más claramente”, dice el escritor que, en la noche perpetua en la que vive, recuerda a Demócrito, aquel filósofo griego que osó arrancarse los ojos para que el espectáculo de la realidad no lo distrajera.
Marina Artusa
 
 

Il Giornale, 26.8.2018
I soliti gialli al top, in attesa di settembre

La classifica della settimana? Come un mare calmo agostano, quando non tira nemmeno una bava di scirocco e persino le termiche locali danno forfait per eccesso di pressione barometrica. Ovvero: tutto fermo in attesa che arrivino i titoli di settembre. In generale il numero di copie vendute cala per tutti, ma lascia inalterati gli equilibri di forza. Quindi al primo posto c'è sempre lui, il sempiterno dominatore dell'estate: Andrea Camilleri: Il metodo Catalanotti (Sellerio) è sceso a 9mila duecentodieci copie. Non sono numeri stratosferici, ma bastano al commissario Montalbano per sbaragliare la concorrenza. Quest'anno del resto Camilleri ha regnato senza mai avere un vero avversario. Solo Helena Janeczek ha osato un breve sorpasso, ma è subito stata rimessa al suo posto. Infatti anche questa settimana è seconda, scivolando a 7mila e centododici copie. Senza dubbio l'effetto Premio Strega su La ragazza con la Leica (Guanda) si sente ancora, e si sta rivelando di buona durata, ma non basta a impensierire Camilleri.
[...]
Matteo Sacchi
 
 

Sicilian Post, 26.8.2018
Letteratura
Un’amica inattesa e silenziosa: le confessioni alla Luna degli scrittori siciliani
Da Pirandello a Quasimodo, passando per Sciascia e Camilleri: il candido satellite ha spesso esercitato un’influenza decisiva nell’immaginario letterario degli autori isolani. Fonte di risposte o spalla su cui piangere, compagna fidata o custodia dei nostri desideri più segreti, allo stesso modo in cui guida i pescatori e rischiara l’oscurità, la sua figura ci conduce nella nostra ricerca e illumina la nostra intimità

[...]
La luna di carta: così si intitola uno dei romanzi di Camilleri che ha come protagonista Montalbano. Motivo? La reminiscenza del commissario in là con gli anni di una sua credenza dell’infanzia dovuta al racconto scherzoso di suo padre.
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E non è un caso che la luna appaia sempre in contesti dal significato ambivalente: [...] Montalbano, dall’alto dei suoi anni, ricorda con piacere e amarezza i tempi felici dell’essere bambino [...].
Joshua Nicolosi
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 26.8.2018
Festival della mente Canta Olivia Sellerio

Olivia Sellerio canterà i temi del "Commissario Montalbano" al Festival della mente, il 31 agosto, a Sarzana, in Liguria. La cantante intreccerà atnosfere mediterranee e sonorità dell'Atlantico.
 
 

Anni 60 News, 28.8.2018
Patti: una mostra permanente dedicata a Massimo Mollica

Una mostra permanente allestita nei locali dell’ex Convento San Francesco di Patti dedicata al teatro e alla figura di Massimo Mollica. È stata inaugurata in occasione dell’evento “Theatri Memoriae – Massimo Mollica, i capolavori”, svoltosi nei giorni scorsi nel centro storico di Patti nell’ambito della 62^ edizione del Tindari Festival. Una serata particolare, durante la quale è stata ufficializzata la donazione del materiale documentario e storico dell’attore Massimo Mollica al Comune di Patti da parte della famiglia Mollica.
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Ha inaugurato il teatro in Fiera di Messina con una regia di Camilleri nel 1977.
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Il suo nome è legato a doppio filo a Tindari e al suo teatro greco: tra i fondatori del Tindari Festival, mise in scena in prima mondiale a Tindari il “Glaucu” di Pirandello, con la regia di Andrea Camilleri. A quest’ultimo, Mollica fu congiunto da una profonda amicizia, oltre che dalla passione per la Sicilia e per il teatro che li portarono ad un intenso sodalizio artistico. Lo stesso Camilleri lo ha ricordato, in un video proiettato durante la serata dedicata all’attore, rivivendo le regie realizzate a Tindari con Massimo Mollica. Attraverso il racconto di alcuni aneddoti è stata ripercorsa anche la sua carriera televisiva e cinematografica.
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Roberta Fonti
 
 

Linkiesta, 29.8.2018
Va' pensiero
La passione di Camilleri per la musica del Novecento

Ho piacevolmente chiacchierato con Andrea Camilleri per oltre un’ora nel suo buen retiro estivo di Santa Fiora, il borgo ai piedi del Monte Amiata dove lo scrittore siciliano prese casa alcuni decenni fa.
Seduto al centro di una stanza affacciata sul giardino, Camilleri mi ha regalato i suoi ricordi in occasione dell’uscita del libro “Ora dimmi di te. Lettera a Matilda” (Bompiani), un riassunto della sua vita ad uso della pronipote Matilda, 4 anni.
Camilleri compirà 93 anni il 6 settembre. La mente è lucida. I ricordi vividi, spesso allegri, non appesantiti dalla malinconia. Camilleri ha dedicato la sua lunga vita al teatro e alla scrittura, ma c’è anche un po’ di spazio per la musica. Una volta, infatti, Camilleri si cimentò con una regia di teatro musicale.
“Sì, al Teatro Donizetti di Bergamo il 30 settembre del 1958 curai la regia di una novità del maestro Alfredo Sangiorgi. Si intitolava San Giovanni Decollato ed ebbe molto successo, tanto che l’anno seguente il sovrintendente Bindo Missiroli (faceva un festival meraviglioso di novità italiane, si chiamava Festival delle novità) mi propose di allestire l’opera all’Arena di Verona e io rifiutai, ritenendo di non avere la competenza sufficiente e dato lo scarso numero di giorni di prova a disposizione. Allora dissi di chiamare uno competentissimo, perché a me ci vuole un po’ di tempo, almeno 24 ore, per distinguere il rumore di due bicchieri che sbattono dal suono di un violino”.
Qui Camilleri esplode in una risata. “Ovviamente era un paradosso”, aggiunge, “ma sono convinto che i registi che fanno l’opera lirica dovrebbero conoscere benissimo la musica, io non ero in quelle condizioni, quindi non ho continuato”.
Ho chiesto a Camilleri quali sono le sue opere liriche preferite e mi ha dato una riposta non scontata: “Ci sono due opere che mi interessano moltissimo, entrambe di Alban Berg. Sono il Wozzeck, che mi piace enormemente, e l’altra è la Lulu, tratta dalla commedia di Wedekind”.
Camilleri mi ha confidato di amare molto e di ascoltare spesso anche la musica di Arnold Schönberg. Come mai questa passione per la musica del Novecento? “Non glielo so dire”, ha risposto, “forse la capisco di più, la trovo più consona”.
Roberto Zichittella
 
 

Sololibri.net, 29.8.2018
Approfondimenti su libri... e non solo
Andrea Camilleri torna in libreria con una lettera alla pronipote Matilda
Bompiani, 2018 - In queste pagine il bisnonno Camilleri, quasi 93 anni, racconta il suo passato alla pronipote Matilda che di anni ne ha solo 4. Scaturisce in tal modo il racconto appassionante di una vita vissuta senza risparmio, una mano tesa tra il passato e il futuro.

“Lettera a Matilda” è il sottotitolo del volume “Ora dimmi di te” (Bompiani 2018, pp. 192, 14,00 euro) di Andrea Camilleri nel quale il Maestro siciliano, regista di teatro, televisione, radio e sceneggiatore, nato a Porto Empedocle il 6 settembre 1925, scrive una lunga lettera alla pronipote Matilda, dove rievoca con sincerità e ironia gli episodi salienti della propria esistenza.
Matilda mia, ho imparato pochissime cose e te le dico.
Lo sguardo di Andrea Camilleri, il più grande scrittore italiano, 26 milioni di copie vendute solo in Italia, traduzioni in 40 Paesi, ha avuto modo di osservare quasi tutto un secolo, il Novecento, e non ha paura di commentare, attraverso i suoi scritti, tutte le contraddizioni che stanno caratterizzando questo travagliato periodo storico. Ora gli occhi del padre del Commissario Montalbano non vedono più, ma paradossalmente tutto gli appare spaventosamente chiaro. Se è chiaro e limpido il presente, altrettanto lo è il passato vissuto a 360°. In queste pagine il bisnonno Camilleri, quasi 93 anni, lo racconta alla pronipote Matilda che di anni ne ha solo 4. Scaturisce in tal modo il racconto appassionante di una vita vissuta senza risparmio, una mano tesa tra il passato e il futuro.
Sono nato nel 1925 a Porto Empedocle, un piccolo paese nel Sud della Sicilia.
Che cosa rimarrà di noi nella memoria di chi ci ha voluto bene? Come verrà raccontata la nostra vita ai nipoti che verranno? Il Maestro sta scrivendo quando la pronipote Matilda s’intrufola a giocare sotto il tavolo, e lui pensa che non vuole che siano altri, quando lei sarà grande, a raccontarle di lui. Così nasce questa lunga lettera, che ripercorre una vita intera con l’intelligenza del cuore: illuminando i momenti in base al peso che hanno avuto nel rendere Camilleri l’uomo che tutti apprezzano e stimano.
Uno spettacolo teatrale alla presenza del gerarca Pavolini e una strage di mafia a Porto Empedocle, una straordinaria lezione di regia all’Accademia Silvio D’Amico e le parole di un vecchio attore dopo le prove, l’incontro con la moglie Rosetta e quello con Elvira Sellerio, editrice e carissima amica. Ogni episodio, come l’infanzia fascista e la decisione di diventare comunista sotto l’Italia di Mussolini:
mi sentivo come una sorta di traditore, soprattutto verso mio padre, che nel Ventennio continuava a credere, sia pur a modo suo
è per parlare di ciò che rende la vita degna di essere vissuta: le radici, l’amore, gli amici, la politica, la letteratura. Camilleri ha il coraggio di raccontare gli errori e le disillusioni, con la commozione di un bisnonno che può solo immaginare il futuro e consegnare alla nipote la lanterna preziosa del dubbio.
Matilda, mia cara, ti scrivo questa lunga lettera a pochi giorni dal mio novantaduesimo compleanno, mentre tu hai quasi quattro anni e ancora non sai cosa sia l’alfabeto. Spero che tu possa leggerlo nel pieno della tua giovinezza. Ti scrivo alla cieca, sia in senso letterale sia in senso figurato. In senso letterale perché negli ultimi anni la vista mi ha lentamente abbandonato. Ora non posso più né leggere né scrivere, posso solo dettare. In senso figurato, perché non riesco a immaginarmi quale sarà il mondo fra vent’anni, quello nel quale tu dovrai vivere.
Alessandra Stoppini
 
 

Famiglia Cristiana, 30.8.2018
Camilleri alla nipotina: «Matilda, ti dono la mia vita»
Lo scrittore il nuovo libro " Ora dimmi di te. Lettera a Matilda" lo dedica alla nipotina di 4 anni: «Quando è nata mi sono commosso pensando che non avrei avuto il tempo di sentirla cominciare a ragionare. Mi sono chiesto: “Che cosa le racconteranno di questo catanonno?”. Allora le ho scritto...»

Seduto al centro di una stanza che si affaccia sul giardino, dove regna un ulivo secolare, Andrea Camilleri si gode il riposo estivo nella sua casa di Santa Fiora, il grazioso borgo toscano ai piedi del Monte Amiata. «Ho tradito la mia Sicilia perché qui mi trovo benissimo e non ho bisogno dell’aria condizionata, che detesto», confida lo scrittore. «Qui di solito lavoro», aggiunge, «ma non quest’anno, perché mi è venuta un’improvvisa voglia di non fare niente. Forse è la prima volta che mi prendo una vacanza vera». Alla vigilia del suo 93° compleanno (che festeggia il 6 settembre) Camilleri ha scritto un libro indirizzato alla pronipote Matilda, di 4 anni, in uscita per Bompiani: Ora dimmi di te. Lettera a Matilda.
«Quando è nata la bambina», confida Camilleri, «mi sono commosso pensando che non avrei avuto il tempo e la possibilità di sentirla cominciare a ragionare. Mi sono chiesto: “Che cosa le racconteranno di questo catanonno?”, come diciamo in Sicilia. Così ho preferito dirglielo io. È una specie di esame di coscienza davanti a una bambina, una confessione del bisnonno».
Nei suoi racconti emerge una costante, il suo spirito ribelle, fin da ragazzo.
«Ma lo sa che me ne sono accorto da vecchio che ero ribelle? Ripassandomi queste storie mie, spesso mi sono detto: “Cavolo, dove ho trovato il coraggio di fare ’sta cosa?”. Mi sono accorto che non ero un tipo tanto tranquillo, ma credo di aver avuto ragione quando ho detto no a qualche cosa. Comunque chiedo a Matilda: dimmi tu se ho sbagliato o no».
Sbagliò da ragazzo a lanciare le uova contro il crocifisso del Collegio vescovile di Agrigento?
«Non fu mica un episodio tanto buffo, ricordo che dopo mi svegliavo in preda a sudori freddi. Ma lo feci per farmi cacciare da quell’inferno che era il convitto».
Lei racconta che i suoi veri maestri li ha sempre trovati fuori dalla scuola.
«Diciamo quasi sempre. Devo essere grato alla scuola per due professori che non dimenticherò mai. Il docente di Filosofia Carlo Greca e quello di Italiano, Emanuele Cassesa. Cassesa è riuscito a farci capire Dante divertendoci, come Benigni».
E lei, docente per molti anni di Regia teatrale, che insegnante è stato?
«Ero severissimo nelle selezioni di ammissione. Sceglievo gli allievi non tanto per la cultura, ma scommettendo sul loro patrimonio di intuizioni e intelligenza. Se facevo leggere l’Amleto e poi li interrogavo, ottenevo risposte di ventenni pieni di intuizioni interessanti. Certe mattine mi sentivo Dracula, perché il confronto era tutto a favore mio, mi sentivo rinnovare il sangue, mi venivano altre idee nate dalle loro. Perciò dicevo sempre che il giorno più triste della mia vita sarebbe stato quello dell’addio all’insegnamento. Infatti lo è stato».
La perdita della vista e il dover dettare i suoi testi come hanno cambiato la sua scrittura?
«Io mi denisco un contastorie, non cantastorie, perché non canto neppure quando mi faccio la barba. L’oralità è sempre stata importante perché ogni mia pagina l’ho riletta a voce alta, una o due volte, e mi accorgevo quando perdevo il ritmo, rallentavo troppo o una parola stonava. Perciò non mi è difficile dettare».
C’è qualche immagine particolare che le manca?
«Certe volte la sera, prima di addormentarmi, faccio l’esercizio di ricordarmi i colori di un quadro che ho amato. Uno di questi è la Flagellazione di Piero della Francesca. Allora mi interrogo: qual è il colore delle vesti dei tre personaggi a destra? Poi al mattino faccio fare il controllo e scopro che, qualche volta, la mia memoria ci ha visto giusto».
Di recente che lettura l’ha emozionata?
«Un libro di Philip Roth, L’animale morente, mi è parso davvero molto bello ed emozionante. Roth è stato un grande scrittore e non ho proprio capito perché non gli abbiano mai dato il Nobel, se lo strameritava».
È vero che una volta il vescovo di Agrigento le disse che i vescovi siciliani volevano proporla come senatore a vita?
«Sì, ma li fermai, per carità. Rifiutai anche una candidatura da parte dei Democratici di sinistra. Io ho sempre fatto politica da cittadino, scrivendo articoli e lettere ai giornali, ma non me la sentivo di impegnarmi, anche perché avrebbe rubato tempo alla scrittura».
C’è un tema che la appassiona?
«Mi preoccupano le troppe famiglie a rischio povertà. Fino a quando non si risolveranno veramente i problemi del lavoro, che è non solo la possibilità fondamentale di portare a casa il pane, ma anche la tua dignità di uomo, saremo sempre nei guai».
Cosa pensa del nuovo Governo?
«Quando sento gli spropositi di Salvini penso a un vecchio proverbio siciliano: Cu è chiù scemo, Carnalivaru o cu ci va appresso? (è più scemo Carnevale o chi gli va dietro?, ndr). Salvini è stato eletto dagli italiani, quindi rappresenta una mentalità che evidentemente avevamo e che restava nascosta nel sottofondo. Ora la colpa non è di Salvini, ma di quelli che lo hanno eletto e, siccome siamo in democrazia, ce lo dobbiamo sorbire».
Rimpiange un’epoca?
«Il clima del primo dopoguerra, quando c’era in giro un grande entusiasmo. Certo, c’erano anche delle sfide terribili fra Togliatti e De Gasperi, però quei due si chiamavano, appunto, Togliatti e De Gasperi. In politica, sono stato educato male. Anche se ero comunista, con tanto di tessera, come facevo a non avere rispetto per un uomo come De Gasperi?».
Ma nei suoi ricordi non c’è malinconia, come mai?
«È vero, non so che farci. Vittorio Alfieri diceva che verso il tramonto della vita viene l’umore nero, ma io non so che cosa sia. Ho avuto una vita fortunatissima, un lavoro che mi piaceva, una famiglia, una sola moglie con cui sono sposato da 61 anni. Magari mi arrabbio per le vicende politiche, ma poi mi passa subito. Forse non mi prende la malinconia perché ho fiducia nell’uomo e tantissima fiducia nei giovani».
E in Dio non ha mai creduto?
«Non mi vanto di non essere credente, ho un rispetto autentico e anche un po’ di invidia per chi ha fede. Però ho una fede superstiziosa in san Calogero. Sono nato il giorno della sua festa, proprio durante la processione di Porto Empedocle, e Calogero è il mio secondo nome. È il santo più amato dai poveri della costa meridionale della Sicilia, anche se ci sono rivalità. San Calogero di Naro fa le grazie per denaro, san Calogero di Canicattì fece una grazia e se ne pentì, invece il mio san Calogero da Marina fa una grazia ogni mattina. È il più generoso e io ogni tanto accarezzo la sua statua, che tengo nel mio studio».
Roberto Zichittella
 
 

LetteratitudineNews, 30.8.2018
ORA DIMMI DI TE di Andrea Camilleri (recensione)
“ORA DIMMI DI TE. Lettera a Matilda” di Andrea Camilleri (Bompiani)

Matilda è la pronipote di Andrea Camilleri. Quando l’anno scorso l’autore pensò di raccontarle la propria vita, lei aveva quattro anni, per cui si suppone che – nelle intenzioni dell’autore – debba leggere la lettera a lei diretta (divenuta un libro Bompiani, Ora dimmi di te, concepito anzi come tale) almeno fra mezza dozzina di anni, quando potrà davvero capire cosa è stato il fascismo, cosa il comunismo, l’Italia del nostro tempo e la vita stessa nella visione che il bisnonno le ha rappresentato.
Ad ogni modo, anche quando avrà una decina di anni, Matilda si farà l’idea di un mondo essenzialmente violento e sbagliato, ma soprattutto vedrà nel suo celebre antenato, longevo e amorevole, non esattamente un buon esempio da seguire: avrà davvero il piccolo Andrea letto a sei anni Simenon e Conrad (sviluppando ben precocemente un torbido rapporto con i morti ammazzati e maturando con strepitosa arguzia la filosofia della linea d’ombra), ma certamente è stato alquanto discolo se scoloriva la pagella per ingannare i genitori, scriveva a dieci anni al Duce per chiedere di partire volontario in Abissinia, si prendeva un calcio dal ministro Pavolini per aver interrotto una cerimonia pubblica e chiesto la rimozione della bandiera nazista, marinava anche per tre mesi la scuola per andare a leggere romanzi alla Valle dei templi, capeggiava una banda di monelli contro un’altra, lanciava uova contro il Crocifisso per lasciare il collegio, si faceva espellere dall’Accademia per aver fatto l’amore con una allieva, perdeva il posto in Rai per essersi fatto conoscere come comunista “violento e pericoloso” e chiedeva una pistola in un bar per rispondere al fuoco dei killer autori di un raid mafioso.
Matilda avrà però motivo per apprezzare in lui il convinto senso di solidarietà umana e di eguaglianza sociale, le ragioni di una religione laica sostenuta dal credo nell’uomo, una certa generosità nei confronti soprattutto dei giovani in carriera, la propensione all’ascolto, la disposizione verso “l’altro”, l’amore e la fedeltà coniugali, l’attaccamento alla famiglia e alla casa; e ne ammirerà il talento di giovanissimo poeta, di studioso di teatro, di docente di drammaturgia, di dirigente di spettacoli televisivi, di regista e infine di scrittore, invidiandone perché no una vita fortunata e felice, avventurosa e vissuta nella pienezza, costellata di successi e di soddisfazioni, magari convenendo alla fine con due dei valori di modestia riportati nella lettera: il primo, preso da Montaigne, per cui “più in alto si sale e più si mostra il culo”, a riaffermare l’effimero del successo; il secondo, ammesso a se stesso e più volte in passato ripetuto, di non essere un grande scrittore, essendo in realtà portato – come lui dice – a costruire chiesette di campagna anziché cattedrali.
Forse la storia della letteratura non conterà Camilleri tra i grandi (preferendo tenerlo nella cerchia degli intrattenitori, a motivo dell’esorbitante prevalenza del commissario Montalbano, divenuto personaggio più mediatico che letterario: fatto di cui Camilleri è ben consapevole), ma la storia d’Italia non potrà ignorare un autore che solo in Italia e solo per una casa editrice ha venduto quasi venti milioni di copie e ha scritto oltre cento libri il cui principale effetto è stato di influenzare il gusto degli italiani.
Scrivendo alla pronipote, Camilleri si è piuttosto proposto di spingere i giovani di domani a farsi portatori di un cambiamento che la sua generazione, figlia delle guerre e delle disuguaglianze, non è riuscita a favorire. Ma la lettera che le scrive, più che un ammaestramento e un incoraggiamento, appare nel segno del documento testimoniale se non del testamento morale e spirituale, fondato sull’immaginario invito della bambina a parlarle di lui: lo stesso invito che alla fine lui rivolge a lei, nella prospettiva di stabilire un dialogo tra generazioni distanti che molto ricorda le ore trascorse da Camilleri a parlare col padre morente in un’atmosfera di riconoscimento e di identificazione.
Giunto nel 2017 a novantadue anni, il padre di Montalbano sente che deve creare un ponte con il futuro, perché vuole che non siano dispersi il patrimonio di esperienze personali e il bagaglio di aspettative e progetti che costituiscono il suo contributo al miglioramento dei destini degli uomini, e individua la più piccola della sua famiglia affidandole una missione di salvezza. Ma nello stesso tempo Camilleri sente di dover integrare la sua biografia, finora resa per episodi sparsi qui e là, fissando anche i punti del suo “vangelo” civile entro una sorta di orazione ghibellina e illuminista ispirata alla ragione e al credo nell’umanità. In numerose opere Camilleri ha già raccontato di sé, da Gocce di Sicilia a Il gioco della mosca, da La testa ci fa dire a La linea della palma, da Racconti quotidiani a Favole del tramonto, da Le parole raccontate a L’ombrello di Noè, pervadendo della propria biografia anche alcuni romanzi, da La pensione Eva a La presa di Macallé, da Privo di titolo a Il casellante, ma stavolta ha voluto svuotare il serbatoio dei ricordi, offrendosi alla memoria – più del suo pubblico che della piccola Matilda – nei panni di Rousseau che con le sue Confessioni rivela di sé anche il lato meno encomiastico.
E che questo sia il vero intento del libro, giunto non per caso a una gagliarda e veneranda età, ci viene prova dal silenzio che Camilleri osserva circa episodi già noti della sua vita soprattutto infantile che sarebbero stati ben più appropriati alla sensibilità di una bambina: tace infatti del “mirmecoleone”, essere fantastico, mezzo leone e mezza formica, che la nonna Elvira invitava il piccolo Andrea a cercare sotto terra; nulla dice dei mostri le cui apparizioni un fantasioso villano, Minucu, gli rendeva reali e fantasmagorici; nulla riferisce dei suoi luoghi, la Scala dei turchi, la casa di campagna, la linea ferroviaria, tutti topoi della sua educazione giovanile; e poco racconta del padre, dei cui rapporti piuttosto confusi sappiamo da altre sue fonti, qui tuttavia offerto nella luce migliore, figura insostituibile e decisiva per la sua formazione. Scopriamo per esempio perché Montalbano in Il ladro di merendine non va per il dolore a vedere il padre morente e quel che fa è comprare un cartoccio di ceci abbrustoliti e andarsene al molo: nella realtà Camilleri, appresa dai medici la notizia che al padre restano pochi mesi di vita, se ne va fino a sera a giocare a flipper per stordirsi e non pensarci, per poi non muoversi più dal suo capezzale.
Un pretesto dunque la lettera alla pronipote per dire di sé al mondo e dare al mondo la sua visione delle cose. Con struggimento, una vena sottile di rimpianto e una dote di ottimismo che gli instilla una speranza sul futuro. Un libro, Ora dimmi di te, da immaginare mentre viene dettato dall’autore cieco, centellinato parola per parola come grani di un rosario laicale, distillato dal fondo di una coscienza irenica e soterica messa di fronte al mistero della vita e al suo rovescio, un ticket che viene staccato al momento della nascita: «Un invisibile foglietto sul quale c’è stampato tutto il nostro futuro, l’infanzia, la giovinezza, la maturità, le malattie, le disavventure, la vecchiaia, la morte. È tutto scritto». L’ateo Camilleri che non crede nell’Aldilà ora crede forse nella predestinazione, nel fato voluto dal Cielo? Se tutto è scritto, tutto è anche voluto da qualcuno che può tutto. Questo penserà Matilda quando alzerà un giorno gli occhi dal libro e si chiederà se il grande bisnonno non sia stato alla fine illuminato da qualche raggio della Provvidenza.
Gianni Bonina
 
 

Il Messaggero, 30.8.2018
Lampi
"Ora dimmi di te", il nuovo libro di Camilleri è una lettera alla pronipote

In "Ora dimmi di te" c'è il messaggio che Andrea Camilleri vuole consegnare ai posteri. Scritto nella forma di una lettera alla pronipote Matilda, ideale donna del futuro, il memoir appena uscito per Bompiani riesce nell'intento, non facile, di racchiudere un'esistenza in poco più di cento pagine. L'inventore del personaggio del commissario Montalbano, il bisnonno giunto sulla soglia dei 93 anni (il compleanno è prossimo: il 6 settembre) lascia per un po' i gialli ambientati in Sicilia e apre il libro dei ricordi: i figli dei contadini di Porto Empedocle che arrivano a scuola con le scarpe appese sulle spalle, e se le mettono solo per entrare in classe, per non consumarle; la lettera che il bambino a dieci anni scrive a Mussolini, per chiedergli di poter andare in guerra da volontario, e la risposta che lo raggela: «Sei troppo giovane»; le parole del padre : «Tu non devi credere a queste sciocchezze sugli ebrei; gli ebrei non hanno nulla di diverso da noi» che gli apre gli occhi sul fascismo.
Forse non c'è altro modo, per raccontarsi, che riepilogare («alla cieca», come scrive con autoironia lo scrittore ormai non vedente), i fatti che ci hanno formato, che sono stati essenziali per noi. La stivalata nel basso ventre del gerarca Pavolini, a teatro, lo convince che la sua fede nel regime era stato un enorme errore; poi, complici le letture di Malraux e Marx, Camilleri raggiunge il campo opposto, il comunismo. Cercando quello che Roland Barthes definì sapere-sapore, scopre che la scuola gli va stretta, non gli basta più. Lo scrittore di successo di oggi ricorda i tormenti della fame di ieri, quando a Roma - cacciato dall'Accademia di arte drammatica Silvio D'Amico perché sorpreso a fare all'amore con un'allieva - è costretto a vivere di espedienti.
La fame non era certo, per il futuro cantore di Vigata, la stessa di Knut Hamsun, che riteneva la privazione una potentissima droga; ma Camilleri si nutriva esclusivamente di cappuccini e brioche, così che, da magro, diventò magrissimo. Per fortuna arrivarono in seguito molti lavori, dalla Rai (che dapprima gli chiuse le porte perché considerato pericoloso comunista) alle regie teatrali. Solo più di recente, ma questa è storia nota, i romanzi e le serie tv.
Alcuni aneddoti sembrano presi da film: il matrimonio con Rosetta, la donna che lo accompagna da sessant'anni, che per errore sull'altare cerca di infilare l'anello al dito del prete, che si ritrae inorridito; la sparatoria di mafia in cui si ritrova con orrore - tornato nel suo paese siciliano, nel 1986 - con tanto di bottiglie di whisky crivellate dai proiettili.
«Non credo - scrive - di essere un grande scrittore. In Italia si ha l'ambizione di creare cattedrali, a me piace invece costruire piccole disadorne chiesette di campagna». Sull'uso del siciliano nei romanzi cita Pirandello: la lingua per esprimere il concetto, il dialetto per il sentimento. Nel ripercorrere la storia d'Italia ricorda l'attuale crisi dell'immigrazione: «Alzare muri - sottolinea - significa chiudersi in casa con lo stesso nemico». Ma il vero messaggio che Camilleri vuole trasmettere alle future generazioni (così come ai contemporanei) è fare tabula rasa, non fidarsi mai delle apparenze. «Noi - scrive - oggi siamo dei morti che camminano». Perché «Le nostre idee, le nostre convinzioni appartengono a un tempo che non ha futuro».
Riccardo De Palo
 
 

Siciliainformazioni, 31.8.2018
Rocco Schiavone e Salvo Montalbano tradiscono la legge per fare giustizia. E li amiamo…

Nessuno è mai del tutto innocente. Ricordo le parole del trailer di un film di successo, protagonista Harrison Ford, dal titolo “Presunto innocente”, tratto dal libro omonimo di Scott Turow, avvocato e scrittore americano. La trama regala un prezioso spunto per riflettere sui limiti dell’indulgenza e della flessibilità da parte dei servitori dello Stato, o quali si sostituiscono ai giudici in nome di una giustizia superiore, che niente ha a che vedere con la verità processuale.
Ford, nella parte di un Procuratore distrettuale sospettato del delitto della sua collega amante, viene sottratto al giudizio grazie alla sparizione di un oggetto di prova, un bicchiere sul quale si trovano le impronte che l’avrebbero condannato. Senza quel bicchiere, la prova non può essere introdotta nel dibattimento, e il Procuratore si salva. La giustizia trionfa, perché non è lui l’assassino dell’amante, bensì la moglie.
Ho rivisto un episodio della serie “Rocco Schiavone”, interessante e ben recitato da Marco Giallini, tratto da un romanzo di Antonio Manzini. Rocco Schiavone è un vice questore trasferito da Roma ad Aosta perché si è servito dei cazzotti per punire un giovane stupratore, figlio di un pezzo grosso della politica romana. Ha perso la moglie ma è come se le fosse sempre accanto, la vede e le parla quando torna a casa e mangia, solitario, la pizza. Incappottato e brusco nei modi, ma generoso nei fatti, Schiavone, non sopporta la miseria umana: i violenti, gli ipocriti, i perbenisti eccetera. Nel film andato in onda martedi sera su Ra2 , il vice questore è impegnato a risolvere un caso di suicidio, c’è una donna impiccata, che presto si rivela come un assassinio. Scopre che la vittima, una donna di 35 anni, ha subito terribili angherie e violenze dal marito, che però si batte il petto in chiesa ed ha un sacerdote che lo crede uno stinco di santo.
Gli indizi e le prove portano al lui, il marito violento, che ha distrutto la vita della moglie a causa della sua gelosia. La conclusione sembra chiara, ma Schiavone trova una prova inoppugnabile che riporta l’indagine al punto di partenza:, il marito violento è innocente, la donna si è impiccata, non è stata assassinata ad ed ha messo le cose in modo da far credere che fosse stato il marito ad ucciderla. E a quel punto l’investigatore che vuole punire il marito violento, va in crisi. E dopo averne parlato al suo collaboratore più stretto, “brucia”, letteralmente, la prova del suicidio. Moralmente la donna è stata uccisa dal marito violento. La giustizia superiore trionfa. L
Quanti amano Andrea Cammilleri [Sic!, NdCFC] e il suo Montalbano, sanno che il commissario siciliano, al pari di quello romano trasferito ad Aosta, non interpetrano “burocraticamente” il loro ruolo, tengono in gran conto il fattore umano. Di fatto trasgrediscono la legge sull’altare di una giustizia che si avicina più a quella divina che terrena…
Né Schiavone né Montalbano sono giudici o delegati del Padreterno, tuttavia. Il fattore umano può anche tradire, non conta nella elaborazione della verità processuale, ma decide l’esito del processo. Influenzati dal bisogno di non punire vittime “vere”, potrebbero commettere atti di ingiustizia sull’altare della giustizia superiore.
C’è un’altra considerazione da fare: i commissari che non rispettano la legge, seppure a fin di bene, sono una risorsa o un rischio? Chi scrive ama Montalbano e ha simpatie per Schiavone, al cuore non si comanda, ma ciò non esclude che ci si debba porre delle domande. Non vorrei che dopo i film epocali di mafia – Padrino e simili – che hanno diseducato milioni di giovani per la naturale simpatia che suscitano boss feroci e violenti, si debba rieducare folle di spettatori al rispetto della legge? La fiction è una cosa, la realtà un’altra. Ma come facciamo a separarle?
Salvatore Parlagreco
 
 

Lettera43, 31.8.2018
Blues
Palinsesti Rai: nessuna idea e nessuna novità
Sempre gli stessi format, le stesse facce, le stesse fiction rassicuranti. È come quando si ritorna a scuola dopo l'estate, e si ripete pari pari il programma dell'anno passato.

[...]
DON MATTEO E MONTALBANO: STEREOTIPI RASSICURANTI
[...] C'è un altro personaggio, ugualmente arcitaliano, provinciale, immutabile, che ha avuto grande successo negli ultimi 20 anni, è il commissario Montalbano uscito dai romanzi di Camilleri che deve quasi tutto a Simenon e proprio per questo vi si trova qualche traccia letteraria, un livello più alto. Ma anche il commissario di Zingaretti, in definitiva, come il prete di Terence Hill, ricomprende i tanti stereotipi della tradizione italiana ed è prodotto innocuo, rassicurante, fatto perché gli italiani, non sovranisti, non globalisti, ma sempre e comunque provinciali, vi si possano riconoscere. Non a caso, anche «Montalbano sono» è logorato dalle repliche delle repliche delle repliche, come in quel gioco di specchi che moltiplicano l'immagine fino all'impazzimento. [...]
Massimo Del Papa
 
 

 


 
Last modified Sunday, September, 03, 2023