Montalbano a fumetti, tra la Rai e Topolinia
Mappe del pianeta Camilleri, tra lingua, stile, arti, cultura e società
Autore | Alberto Sebastiani |
Data di pubblicazione | 13 settembre 2024 |
Testata | Treccani.it |
Montalbano incontra per la prima volta Topolino nel 2012, in Una cena speciale, racconto di Capodanno in giallo (Sellerio), a un cenone con Lidia in un ristorante vicino a Vigata, la “Forchetta”, dove indossa la maschera del personaggio Disney, e la sua fidanzata quella di Minnie, in mezzo a tanti Pippo, Pluto, Clarabella, Paperino. L’anno successivo arriva Topalbano, con la prima delle tre riscritture transfinzionali a fumetti di Montalbano apparse su «Topolino»: Topolino e la promessa del gatto (in «Topolino» n. 2294, 16 aprile 2013, pp. 11-50), Topolino e lo zio d’America (in «Topolino» n. 3067, 3 settembre 2014, pp. 11-50) e Topolino e la giara di Cariddi (in «Topolino» n. 3223, 30 agosto 2017, pp. 11-45), scritte da Francesco Artibani e disegnate da Giorgio Cavazzano, Giampaolo Soldati e Paolo Mottura (più volte ristampate e ora in I gialli del Commissario Topalbano, Panini comics 2023, da cui le citeremo come T1, T2 e T3). Di Montalbano a fumetti, inoltre, esistono anche quattro adattamenti: tre di L’avvertimento, di Giuseppe Lo Bocchiaro, Claudio Stassi e Valerio Spataro (Hazard 2000), e uno di L’odore del diavolo, diretto da Massimo Fenati (scaricabile online in italiano e inglese e poi edito in «Linus» n. 8/2021, pp. 78-94). I fumetti di Montalbano sono però un ambito ancora poco indagato (Demontis 2021: 104), anche se sulle storie letterarie e televisive del commissario esiste ormai molta bibliografia critica (Marci et al. 2022), anche sulla loro lingua, caratterizzata da momenti metalinguistici e giochi linguistici, e soprattutto da una commistione di dialetto (siciliano e meridionale), italiano regionale e lingua italiana nelle sue varietà, in funzione espressivista, con termini non dialettali distinti per lievi differenze fonetiche o morfologiche dall’italiano (Antonelli 2006, Arcangeli 2004, Santulli 2017 e 2010, Matt 2020 e 2014).
Nel segno disneyano Le riscritture disneyane non sono le consuete parodie. Sono un crossover di due universi narrativi, forse facilitato dalle affinità di alcuni elementi propri di Montalbano, letterario e televisivo, ovvero il posizionamento nella narrativa popolare, la componente comica, i giochi linguistici (Matt 2020), e di «Topolino», un giallo a fumetti per ragazzi riconducibile al comico anche per i numerosi giochi linguistici (Pietrini 2008). Il punto di origine è stata, per Artibani, «l’opera di Camilleri, le sue trame, le caratterizzazioni dei personaggi, il linguaggio e il ritmo» (Caprara 2019). Il risultato è una convergenza di elementi: le storie si ispirano a romanzi, racconti e serie tv, rivolgendosi a un pubblico sia adulto che infantile (Argiolas 2013: 75-79; Guglielmi 2013: 150-156), mentre i personaggi di Topolinia recitano con Topalbano, che ha il volto di Luca Zingaretti, il che conferma la «dominante televisiva» che caratterizza la serie (Marrone 2006), ma con alterazioni “topesche”, come Lidia (Livia, forse sul modello di Sonia Bergamasco) e Ninì Cardillo (Mimì Augello, più Alessio Vassallo del Giovane Montalbano che non Cesare Bocci, il volto “adulto”). Il risultato è una riscrittura di notevole interesse sia sul versante narrativo che linguistico, e che pone questioni tanto all’universo Disney quanto alla «dominante televisiva». Sul piano narrativo, ritroviamo luoghi topici di Montalbano, in particolare televisivi, come Vigàta (qui Vigatta) a Montelusa (Montillusa), il faro di Punta Secca, la casa sul mare di Topalbano. «Topolino» però, in T2 allontana il commissario dal suo microcosmo, lo porta a Topolinia e a Las Vegas. Inoltre, le storie di Topalbano rispettano la doppia isotopia tematica di ogni episodio (e racconto/romanzo): individuale, di tipo sentimentale, e sociale, con il malaffare politico-mafioso (Marrone 2003), che emerge in particolare in T3, affrontando l’acqua come bene comune. Però la mafia non viene mai nominata in «Topolino», ma evocata da eufemismi reticenti («malavita locale» T1:24, «rete di contrabbando ed estorsioni» T1:25, «crimine organizzato» T2:87), o da riferimenti sineddochici a crimini come appunto il controllo dell’acqua (T3:132). Non si ha quindi neanche la distinzione tra vecchia e nuova mafia, però – altra infrazione – Sinatra (ovvero Sinagra) viene arrestato in T1.
Questione di nomi I nomi, come da tradizione Disney, sono parodizzati per assonanza o sul piano semantico: se Salvo Montalbano modifica il cognome, Livia diventa Lidia Bollando, mentre Fazio→Strazio, Catarella→Quaquarella, Sinagra→Sinatra, Adelina→Evelina e suo figlio Pasquale Cirrinciò→Natale Ciarrangiò. Inoltre, nelle mani di Montalbano appare il quotidiano «La Trinacria», da «La Sicilia» (T1:12); i criminali riecheggiano i Malebranche con Ruffo, Barbera, Taglialatela (T2:75) e Dragunara (T3:128), ma quest’ultimo deve il nome a Rinaldo Dragonera della commedia Rinaldo in campo di Garinei e Giovannini (1961), i cui due sgherri Prorunasu e Facciesantu hanno dato ad Artibani i nomi dei “cattivi” di T1; Guardalavecchia e Posalaquaglia, due personaggi di Totò, generano invece Guardalaquaglia. Non mancano infine relazioni intertestuali con la Sicilia: è citato Archimede (T1:40) e dal Fu Mattia Pascal di Pirandello derivano una sottotrama di T2 e il nome Antonino Meis (da Adriano Meis) del pasticcere legato alla malavita, invece Camilleri fa un cameo come albergatore, il signor Patò (T1:18-19), nome ripreso dal suo romanzo storico La scomparsa di Patò (2000), mentre La moneta di Akragas (2011) è citato in apertura di T3. Per i personaggi, Topalbano rispetta la psicologia di Montalbano: il senso di giustizia, l’avversione alla carriera, il carattere scontroso e irascibile, l’avversione alle folle, ma anche l’ironia, il conservatorismo antitecnologico e la relazione con la fidanzata “a camere separate”. Sul piano linguistico, però, l’eufemismo censura il suo intercalare minchia in «bih» (T1:41, 46; T2:64) o, con imitazione della fonetica, «biiiiih!» (T1:23). Restano invece le abitudini culinarie: il cibo è mangiato e nominato, e si parla di caffè e granite, «una guantieruzza di cannoli» (T3:124) e «cubbaita» (T2:69), ma è anche usato come metafora, per cui un momento di confusione di Evelina si riflette in ingredienti sbagliati (T2:60), ma se c’è pace allora ecco «caponatina, pasta ’ncasciata, acciughe in insalata, cannoli, mostazzoli, frutta martorana» (T2:74). E se Topalbano si siede a tavola per la sua «pasta con le sarde» (T1:25) vuole solo mangiare, come nei romanzi, ma poi, come nei telefilm, è costretto a parlare. Le storie di Topalbano ospitano dunque un incrocio di riferimenti tra due mondi possibili, ma con (auto)ironia: come Montalbano con certi delinquenti, Topolino chiede aiuto a Gambadilegno in T2 e T3; quando Strazio mostra le carte raccolte su Topolino con l’elenco dei parenti, commenta: «Soprattutto zii! Non avete idea quanti!» (T1:23). Allude ai vincoli della “bibbia” Disney, che vieta legami diretti tra i personaggi. Quando però Evelina chiede a Trudy e Minnie «che aspettate a maritarvi?», causa una reazione scomposta di Topolino e Gambadilegno (T3:108). L’ironia colpisce gli eterni fidanzati Disney (per i vincoli della “bibbia”), ma anche Salvo, che nel finale di T1 Minnie invita a fare il grande passo con Livia, e che all’inizio di T2, in un sogno che genera una continuity, sembra sul punto di farlo. Infine, l’irascibile Topalbano urla: «Dove siamo, a Topolinia?» (T1:31), quando Cardillo segue le indicazioni di Topolino.
Sperimentazioni linguistiche A livello linguistico, Caprara (2019a) ha analizzato le tre riscritture e ha evidenziato un amalgama «molto simile al modello camilleriano», con «alcuni elementi occasionali» come dutturi, assà, rumorata, macari e arrisbigliare, serata tinta, mischino, o ancora l’apocope dei nomi, il troncamento dei numeri, degli articoli o dei possessivi e la posposizione dei verbi in finale di frase come «elementi che arricchiscono il testo e ne fanno un’opera di sperimentazione linguistica forse senza precedenti nel fumetto italiano». L’osservazione è corretta, si tratta di una sperimentazione profonda, in cui la lingua di Camilleri, o meglio à la Camilleri, non è colore, ma un elemento strutturale, e si ibrida a quella disneyana: il pronome allocutivo prevalente è il voi, comune ai libri di Montalbano quanto a «Topolino», mentre la punteggiatura è quella Disney, per cui in finale di frase possono alternarsi solo puntini di sospensione e punti esclamativi o di domanda, mai il punto fisso. Prendendo inoltre la catalogazione delle forme linguistiche usate da Camilleri offerta sempre da Matt (2020), si riscontra che «Topolino» qui accoglie lo stile che imita il parlato (frasi marcate e uso del che polivalente), la commistione di registri (es. la compresenza di termini dotti e bassi), nonché il lessico, la sintassi e la morfologia di Montalbano. Il vocabolario della serie di Camilleri è ampiamente ripreso, a volte evidenziato in grassetto, altre no, a partire dalle espressioni ricorrenti, quasi dei cliché, come «fame lupigna» (T2:65), «Raccontami tutto dall’inizio» (T2:70), e «Topalbano sono» (T1:12, 29, T2:69, T3:104), con la variazione «Salvo sono» (T2:64). Nell’impossibilità di riportare uno spoglio dei termini e delle espressioni “vigatesi” presenti nei tre «Topolino», ci limitiamo a segnalare che: 1) il vocabolario e la sintassi rivelano un impasto linguistico à la Camilleri; 2) occorrono anche momenti metalinguistici all’interno di dialoghi, in particolare in T1, quando Topalbano spiega a Topolino il significato di c’inzerta (T1:13), mutànghero (T1:14), a tacimaci (T1:26), macari (T1:33), taliare e spiare (T1:33); 3) la traduzione permette di aprire digressioni culturali, es.: «nella nostra lingua taliare significa guardare e spiare vuol dire domandare! Non fatevi ingannare dalle parole! Qui in Sicilia bisogna saper distinguere l’apparenza dalla realtà!» (T1:33); 4) Topolino fa proprio il “vigattese”, istituendo un uso narrativo della lingua di Camilleri in «Topolino», perché l’apprendimento cresce con la stima che, dopo l’iniziale diffidenza, permette ai due “detective” di fare amicizia; 5) la metafora (e l’isotopia) linguistica sancisce quasi una sovrapposizione tra Topalbano e Topolino, che alla fine enuncia battute in “vigattese”: «nun babbiate e arristati cà unni siti!» (T1:44); «Non mollano! E sia… vediamo d’assistimare la facenna ‘na vota per tutte!» (T2:94).
La sicilianità di Topalbano La «dominante televisiva» emerge anche in ambito linguistico. Infatti, si può applicare a Topalbano quanto scrive Aprile (2019) sulla serie televisiva: la sicilianità linguistica si riduce, rispetto ai romanzi, in due direzioni. La prima, è che a parlare in siciliano sono solo alcuni personaggi di estrazione popolare facilmente isolabili nelle singole puntate. La seconda, è che quando protagonisti e coprotagonisti parlano, nei loro dialoghi i sicilianismi sono ridotti a pochi tratti essenziali, in qualche caso vere e proprie forme bandiera. In effetti, a parlare in maniera più marcata diatopicamente sono i personaggi degli strati sociali più bassi, come Evelina («Ho arrecato disturbo? Stamattina m’appresentai alle sett’albe pirché chiù tardi avi a chiffari! Stavo preparando un cicarone di caffè…» T2:60), Natale («…e quando i due ommini di Meis vennero ad addimannare di me mi portò al sicuro qui! Sugnu in pericolo, dutturi!» T2:70) e Guardalaquaglia («Ho avuto paura, e allura? Voi mai ne aviti? // M’amminazzarono di licenziarmi e io mi scantai! // Aviva a esseri n’impresa di nessun rischio, quasi uno sgherzo! M’arristerete per chello che ho fatto?» T3:124). Numerosi sarebbero gli esempi; inoltre, per “ipercaratterizzare” i personaggi come nella serie televisiva (Calvo Rigual 2020), i malviventi parlano in “vigattese” («Sorcio mallito! T’avi a pintiri di chisto càvucio! Chi voli babbiare co’ Prorunasu sempre a schifìo finisce…» T1:21). In questo contesto, Quaquarella è una figura tutt’altro che secondaria. Il suo modello è l’attore Angelo Russo, rielaborato paperescamente, ed entra in scena tre volte, per altrettante gag: due in T1, con l’entrata nell’ufficio del commissario; l’ultima in T3, come centralinista inaffidabile. La prima di T1 riprende quella nota anche al pubblico televisivo, con un’esagerazione parodica di una scena già comica, perché Topalbano al momento dell’apertura è dietro la porta che, spalancata con forza e senza preavviso, lo schiaccia contro il muro, sgretolando l’intonaco che riproduce fumettisticamente la sua sagoma (T1:23-24). La seconda gag di T1, analoga, non travolge il commissario, ma peggiora il danno precedente, estendendo le crepe al soffitto e facendo cadere il lampadario. Passato lo spavento, Quaquarella informa il superiore, con la consueta confusione e il conseguente fraintendimento, che una persona lo sta aspettando (T1: 45-46). La terza, invece, è composta da sole due vignette (T3:112-113), e la prima è senza il personaggio, ma solo una sua battuta, inconfondibile, che esce dal commissariato in un balloon. La sua voce è infatti riconoscibile dal lettore (adulto) e, a conferma, nell’immagine successiva appare il personaggio nel centralino.
Eterni fidanzati Le otto battute di Quaquarella sono un concentrato dei tratti linguistici di Catarella (de Fazio 2019), senza l’espressione bandiera «di pirsona pirsonalmente». Oltre all’insistenza su dottori (e non dutturi come usano altri), e all’uso di espressioni ricorrenti («Dimanno pirdonanza» T1:23, 46), il lessico e la morfologia caratteristici (es. «Scusaste, Dottori! Pozzo tràsere senza tuppiare o mi chiamaste per vidìri se trasivo senza tuppiare?» T1:23), si nota l’uso di figure etimologiche (urgenza urgentissima), del burocratese vacante («tutto il commisariato è vacante!» T3:112) e, per la resa dell’italiano popolare, la storpiatura dei nomi propri (Tappolino per Topolino) e il malapropismo arrivista («Scusasse… volete che porti una poltrona e un’arrivista giù in strada?» T1:46). La prima volta Topolino capisce nulla, ma alla fine non ha problemi quando si sente dire: «Sulu sugnu [...]! Macari il dottori Topalbano dovitti arrisbigliare! Un rapimento ci fu!» (T3:113). Quaquarella, doppio di Catarella, genera però oltre a effetti comici anche un cortocircuito tra i due mondi possibili. Il fraintendimento sulla persona in attesa, nella seconda gag, è risolto da Minnie, che per prima intuisce che si tratti Lidia, e con una battuta esprime un commento che riguarda la fidanzata di Topalbano (e Montalbano) e sé stessa: «Non fatela aspettare! Ha già atteso troppo!» (T1:46). Così facendo, Minnie contesta la condizione di eterna fidanzata di entrambe, cioè contesta la “bibbia” disneyana (e la relazione “a camere separate” di Montalbano), come evidenzia la punteggiatura: solo punti esclamativi perentori, non puntini di sospensione, in contrasto con l’espressione dolce del viso. La scena crea la premessa per quella onirica iniziale di T2, la quale a sua volta incrina ulteriormente la “bibbia” sentimentale del Montalbano “a camere separate”, perché a livello inconscio il sogno di Topalbano potrebbe aprire ad altri scenari. Infine, la battuta di Minnie anticipa quella di Evelina in T3 che imbarazza Topolino e Gambadilegno. La contestazione alla “bibbia” si estende così a Trudy. I due eterni fidanzati, però, sono salvati da Pippo, che interviene con un insolito aplomb per sviare la conversazione (T3:108). L’intervento è enfatizzato da movenze impostate e formali, ed è una delle rare battute di Pippo, che ha un ruolo assai marginale nell’avventura: è una comparsa, non combina guai, non fa l’aiutante. Pippo sarebbe il corrispettivo naturale di Catarella, ma c’è Quaquarella, il che innesca anche qui una serie di complicazioni: Pippo non può “fare Pippo”, non può essere l’assistente goffo. Lo è solo nella sua entrata in scena in T2:68-69, dove Quaquarella è assente, e prima di cedere il ruolo a Gambadilegno, insolito difensore della legge, aiutante pasticcione di Topolino e Topalbano. Quando però il furfante cerca di declamare un proverbio con esiti disastrosi («Andiamo! Come dice il proverbio? Non si può fare una frittata senza strapazzare qualche gallina…» T2:84), è difficile non vedervi un’uscita alla Catarella, o Quaquarella. Il personaggio di Camilleri ha decisamente creato scompiglio, disseminandosi ovunque. Il crossover non è quindi indolore: si discosta dalla consueta parodia, arricchisce la lingua topolinesca, ma attua anche piccoli smottamenti sul piano delle relazioni sentimentali dei due mondi possibili, e compie un’operazione straniante nell’identificazione dei tipi dei personaggi. E sembra che parte della responsabilità sia riconducibile, per varie strade, a Catarella. Proprio lui, «di pirsona pirsonalmente».
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Saturday, September, 14, 2024
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