RASSEGNA STAMPA
GENNAIO 2006
Il Giornale,
2.1.2006
Bianciardi non va alla guerra del Meridiano
Nel numero del Corriere della sera del 31 dicembre, nella
sezione cultura,
è apparso un articolo a firma di Stefano Bucci dal titolo
«Bianciardi-Camilleri:
la guerra del Meridiano». Tale articolo contiene alcune
falsità
e parecchie inesattezze che desidererei chiarire a beneficio di coloro
che ci leggono. Dunque, l'articolo del Corriere prende le mosse da una
mia intervista rilasciata a Luigi Mascheroni e apparsa su Il Giornale
del
30 dicembre. In tale articolo, tra le altre cose, mi lamentavo del
fatto
che la Mondadori avesse dimenticato scrittori come Luciano Bianciardi e
avesse dedicato invece un Meridiano a molti altri; tra questi
ultimi
avevo citato anche Andrea Camilleri: non perché io non stimi
Camilleri,
o non lo consideri un autore «degno» di un Meridiano (al
contrario,
la mia stima e la mia riconoscenza sono grandissime: in uno dei suoi
racconti,
mio padre viene citato, sia pur non direttamente, e ricordato come
l'autore
di un racconto nel quale si ribaltano i tabù del cibo e del
sesso);
semplicemente, nell'intervista cercavo di puntualizzare il fatto che
solitamente
un'«opera omnia» è un'operazione che si riserva
preferibilmente
e prioritariamente ad autori non più viventi. In ogni
caso,
non ho mai pronunciato la frase dai toni vagamente sprezzanti che mi
viene
attribuita nell'occhiello («la Mondadori preferisce un
commissario
a mio padre»). In secondo luogo, trovo assurda (e anche vagamente
divertente) la definizione di «guerra del Meridiano» con
cui
si titola il pezzo: non vedo di quale guerra si tratti, né chi
dovrebbe
combattere con chi, né la ragione di un conflitto del genere,
quasi
ci fosse solo una possibilità: insomma, come se nei Meridiani ci
dovesse essere spazio o per Camilleri o per Bianciardi, e che uno
escludesse
l'altro, come in un torneo a eliminazione diretta. Non vedo poi
perché
Salvatore Silvano Nigro (il curatore del Meridiano su Camilleri)
dovrebbe
sentirsi «sotto accusa»; lui ha fatto benissimo a curare il
volume, peraltro molto bello, e il mio appunto non era assolutamente
indirizzato
a lui, né tantomeno a Camilleri, come ho già detto, ma
teso
a sottolineare la dimenticanza: non avevo nessuna intenzione, infatti,
di «parlar male di Camilleri per parlar bene di mio padre».
In terzo luogo, devo rilevare che il mio colloquio con Renata
Colorni,
che mi avrebbe «chiarito le ragioni per le quali Luciano
Bianciardi
e la sua opera non rientravano tra i progetti dei Meridiani» non
è mai avvenuto. In realtà sono stata contattata una sola
volta dai responsabili dei Meridiani per un racconto di mio padre da
inserire
nei Racconti italiani del '900, e per il quale ho volentieri e in
maniera
del tutto gratuita concesso i diritti. Chiarito tutto questo, vorrei
porre
una domanda: l'autore dell'articolo ha avvertito la sacrosanta
necessità
di sentire che cosa ne pensassero Salvatore Nigro, Renata Colorni e
Massimo
Onofri (scrittore e giornalista) di tutta questa faccenda; ma
perché
non ha pensato di chiamare al telefono anche la sottoscritta?
Luciana Bianciardi
Corriere della
sera,
3.1.2006
«Sinistra e affari: intellettuali chierici muti»
Cordelli: dove sono i nuovi Pasolini? Solo silenzio dai Camilleri,
gli Eco e i Tabucchi
Il silenzio degli intellettuali. Perché gli scrittori
di sinistra,
romanzieri impegnati che non hanno esitato a denunciare la caduta
morale
della destra berlusconiana e hanno dedicato interi libri al presidente
del Consiglio, in queste settimane non hanno ancora speso una parola
sull’affare
Unipol, sull’intreccio tra politica di sinistra e finanza, sul
«collateralismo»
di cui sono accusati i dirigenti del maggiore partito di opposizione, i
Ds? Lo chiediamo a Franco Cordelli, critico teatrale e narratore.
[...]
Nell’ultimo decennio, almeno dall’introduzione del sistema
maggioritario
e dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, secondo Cordelli
«si
è rafforzata nell’intellighentia di sinistra la convinzione di
una
superiorità morale nei confronti della destra. Tendiamo a
giudicare
l’avversario politico come inferiore e con ciò commettiamo un
gravissimo
errore: scambiamo il moralismo con la morale». Un senso di
superiorità
che impedisce la visione critica verso la propria parte, «che
caratterizzava
due scrittori impegnati come Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia.
Il
primo scrisse nel 1968 la poesia in difesa dei poliziotti proletari
contro
gli studenti figli della borghesia, poco più di un decennio dopo
lo scrittore siciliano lanciò la coraggiosa polemica sui
professionisti
dell’antimafia». Pasolini morì nel 1975, Sciascia nell’89.
Con loro, secondo Cordelli, è finita un’epoca: «In genere
lo scrittore racconta (e critica) ciò che conosce meglio, con
l’arrivo
del maggioritario gli scrittori di sinistra hanno cominciato ad
attaccare
l’avversario politico proclamandolo altro da sé, e diventando
così
razzisti e moralisti». Con buona pace del ruolo di coscienza
critica
del «principe».
Quali le assenze più significative notate da Cordelli in questa
vicenda Unipol? «Né Umberto Eco né Andrea Camilleri
né Rosetta Loy né Antonio Tabucchi hanno preso la parola.
Eppure il momento per parlare, per abbattere la barriera
politico-moralistica
che divide la sinistra dalla destra era proprio questo. Il modo
più
serio per restituire senso alla politica di sinistra è infatti
raccontare
e prendere posizione su quanto sta accadendo in casa propria, non
occuparsi
soltanto degli scandali altrui. Soltanto così non sei più
un moralista ma entri nel vivo della questione morale, che, ripeto,
è
ciò che ci rende diversi dalla destra. Il politico che ho
ammirato
di più è stato Enrico Berlinguer, che proprio dell’etica
ha saputo fare una bandiera politica».
Qualche voce per la verità a sinistra si è levata.
«Ma
- osserva Cordelli - si è trattato di giornalisti. Il primo a
denunciare
le responsabilità dei Ds è stato Marco Travaglio, che
scrive
sull’ Unità ma ha origini di destra. Poi sono arrivati, tra gli
altri, gli articoli di Barbara Spinelli e di Eugenio Scalfari. Molti a
sinistra sono stati colpiti dalla posizione del fondatore della
Repubblica
. Benché interpretino al meglio il loro mestiere, questi
giornalisti
hanno occupato il vuoto lasciato dagli scrittori impegnati».
Cordelli propone una data per tale mutazione: «Senza avere nulla
di personale contro questo o quell’autore, faccio risalire il
cambiamento
di fisionomia dello scrittore italiano al 1980, quando è apparso
sulla scena Andrea De Carlo. Da allora la nostra letteratura si
è
liberata da tanti pregiudizi ideologici e volontarismi, diventando
però
narcisista e attenta soprattutto al proprio tornaconto, più
concentrata
sul mercato che sulle esigenze dell’arte». E l’impegno
dov’è
finito? «E’ diventato un elemento esterno alla propria opera. In
Sciascia, per fare un esempio, c’era una continuità tra un
romanzo
come "Todo Modo", dedicato al tema del compromesso, e gli interventi
politici.
Oggi invece i gialli di Andrea Camilleri o i racconti memorialistici di
Rosetta Loy non hanno nulla a che fare con i proclami politici degli
autori.
Lo stesso discorso vale per Umberto Eco: da una parte c’è
"Baudolino"
dall’altra le dichiarazioni politiche. Quanto ad Antonio Tabucchi, che
pure non è tra i miei autori preferiti, c’è da dire che
ha
dato il meglio fino a "Requiem". Quando ha scritto romanzi impegnati,
"Sostiene
Pereira" o "La testa perduta di Damasceno Monteiro" ha acquistato in
popolarità,
non in qualità».
Ma il discorso si estende all’intera comunità degli scrittori
di sinistra: «Quando hanno cominciato a staccarsi dalla
realtà
hanno perso prestigio, una qualità che non dipende dalla
collocazione
politica».
Dino Messina
Bresciaoggi,
3.1.2006
Gli scrittori ed i libri che verranno
Nei primi mesi del 2006 numerosi titoli di narratori ma anche di poeti
e di giornalisti
Sugli scaffali le opere di Andrea Camilleri, Federico Moccia, Giorgio
Bocca, Claudio Piersanti, Cristina Comencini, Paola Calvetti, Alda
Merini,
Paolo Nori e molti altri. Ma non mancheranno interessanti proposte di
autori
stranieri come James Graham Ballard, Banana Yoshimoto, Maxence Fermine
e James Ellroy
Ecco i volumi su cui puntano alcune case editrici
Con l’arrivo del nuovo anno i lettori troveranno in libreria
numerosi
titoli di autori italiani, narratori ma anche poeti e giornalisti:
Andrea
Camilleri, Federico Moccia, Giorgio Bocca, Claudio Piersanti, Cristina
Comencini, Paola Calvetti, Alda Merini, Paolo Nori e molti altri, ma
non
mancheranno interessanti proposte di scrittori stranieri, come James
Graham
Ballard, Banana Yoshimoto, Maxence Fermine e James Ellroy.
Ecco i titoli su cui puntano alcune case editrici.
NARRATIVA ITALIANA. Una casa chiusa è lo sfondo di "La pensione
Eva" (Mondadori) di Andrea Camilleri, un vero e proprio romanzo di
formazione,
dolce e crudele.
[...]
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 3.1.2006
Il 2006 porta gloria ai registi
Attori e autori siciliani preparano debutti di prestigio. Tornano i
mattatori della melodia
[...]
Libri. Il 17 gennaio sarà in libreria "La pensione Eva"
(Mondadori),
il
nuovo romanzo di Andrea Camilleri ambientato in un bordello di Porto
Empedocle
negli anni del fascismo. Un luogo già citato ne "Il gioco della
mosca".
[...]
(a cura di Salvatore Ferlita, Laura Nobile e Gigi Razete)
La Stampa,
3.1.2006
Veltroni giallista cattive ragazze e il clown di Rushdie
[…]
Passioni d'amore sono anche la promessa narrativa di Andrea Camilleri
che ha abbandonato Salvo Montalbano. I sentimenti più teneri
maturano
all'interno della “Pensione Eva” (Mondadori editore), bordello
siciliano
dove gli amplessi si consumano poco prima della caduta del regime.
[…]
Mirella Serri
Stilos, 3-16.1.2006
Forum
Il nuovo colore del giallo non è quello del genere
Visto per decenni come frutto di letteratura bassa, il poliziesco
conquista
in Italia un posto di rispetto. E indulgendo verso il noir si intesta
il
compito di raccontare la società sostituendosi al giornalismo.
Ma
restano gli equivoci e i pregiudizi, quanto soprattutto allo stile di
scrittura.
Il giallo italiano sta vivendo una stagione dorata: i festival
e i premi
che celebrano questo genere si moltiplicano, così come le
trasmissioni
e le fiction televisive tratte dai libri di nuovi e vecchi giallisti:
le
traduzioni all’estero di autori anche difficili da tradurre come Andrea
Camilleri hanno raggiunto livelli da boom editoriale. Niente di strano,
per chi nel giallo ha sempre creduto; tutto inspiegabile per chi
considera
minore la letteratura cosiddetta di genere, e quella giallo-noir in
particolare.
[...]
Quali autori considera maestri?
De Cataldo - Sicuramente Balzac, sicuramente Ellroy, sicuramente
Simenon
e Graham Greene, ma anche Loriano Macchiavelli e Camilleri.
Di Cara - Ogni libro che leggo o ho letto ha lasciato un segno nel
mio stile. Mi sento molto vicino a Lucarelli, ma assieme a lui metto di
sicuro Camilleri, Carlotto, Pinketts, ed amici come Dazieri e De
Cataldo.
[...]
Maddalena Bonaccorso
Famiglia
Cristiana,
3.1.2006
Inchiesta
Chi va su e chi va giu in tv
Il 2005 non è stato un anno di buona televisione in Italia.
Certo, non tutto è da buttare, ma le cose migliori sono venute
dai
"soliti noti": Mike, Pippo... E pochi altri.
[...]
LUCA ZINGARETTI: ma è davvero concluso il ciclo di Montalbano?
Luca ha dichiarato di voler dire addio al commissario, ma la Rai sta
trafficando
per riacciuffarlo. Comunque se ne parlerà, ad andar bene, non
prima
di un anno.
[...]
Gigi Vesigna
Corriere della
sera,
4.1.2006
La discussione
I Meridiani, un argine contro l’oblio
Nell'articolo apparso sul «Corriere della Sera»
del 31 dicembre,
Stefano Bucci riporta alcune mie affermazioni sui «Meridiani
Mondadori»
e la mancata inclusione delle opere di Luciano Bianciardi.
Epperò
quelle mie considerazioni, frutto di una piacevole chiacchierata con
Bucci,
a causa di un catenaccio (un sottotitolo insomma) acquistavano un
significato
che non avevano, e non volevano avere. Questo il catenaccio:
«Onofri:
una collana senza valori», che a molti è apparso come un
giudizio
drasticamente negativo, e ingiustificato, su quella collana, per cui,
tra
l'altro, ho introdotto il secondo volume della Bellonci. Come s'evince
dal testo correttamente riportato da Bucci, io sostenevo, parlando solo
degli italiani, che i «Meridiani» non vogliono proporre un
canone, una gerarchia dei valori della letteratura novecentesca.
Sicché
sottolineavo il loro carattere sempre più inclusivo (vedi, per
esempio,
la scelta di incoronare autori viventi), laddove, accanto a Camilleri
può
stare bene uno Zanzotto, o, nel prossimo futuro, un Ottieri.
Così
come aggiungevo - in una notazione caduta a stampa, per ovvi motivi di
spazio -, che questa scelta, assai meritoria, aveva comportato
l'impiego
di un'attrezzatura filologica in molti casi eccezionale, e che non ha
eguali
nell'editoria persino europea. Non un canone, ma un argine della
memoria
letteraria contro l'implacabile lavoro del tempo: questo sono sempre
stati
per me i «Meridiani». Volevo ribadirlo al di là di
ogni
possibile equivoco.
Massimo Onofri
La Stampa,
5.1.2006
Il
prezzo della frittata
Andrea Camilleri
Il
Messaggero,
5.1.2006
Intellettuali e sinistra quanta ipocrisia
(Corriere della Sera, 3 gennaio) era prevedibile, un film
visto già
mille volte. Non risulta che lui si possa definire artista da
barricata,
come lo è stato ad esempio Nanni Moretti. Eccolo all’improvviso
uscire dal seminato e prendersela con Eco, con Tabucchi, eccetera. Come
mai stanno zitti davanti alla casa che brucia? Come mai lo scandalo non
li scandalizza? Non si chiedono, Cordelli e compagni, che forse
è
più serio stare ancora un po’ alla finestra piuttosto che
sparare
giudizi alla rinfusa, senza troppi argomenti?
[...]
In ogni caso si ha l’impressione che nella testa di alcuni esponenti
della sinistra sopravviva un’idea della politica che snatura le
istituzioni
e inquieta gli elettori. Eco, Tabucchi e Camilleri continueranno a star
zitti? Speriamo. Il tono di voce di questi piccoli Savonarola non li
tocca,
è tutta roba vecchia.
Vincenzo Cerami
La Padania,
5.1.2006
I Meridiani perdono la bussola
I “Meridiani”, sempre meno gotha della scrittura di
qualità,
sempre più specchietto per le allodole che riflette scopi
eminentemente
commericiali. È una polemica non priva di fondamento quella che
infuria da giorni sulla stampa nazionale. Sì, perché
scorrendo
il catalogo delle uscite della celebre collana letteraria di Mondadori
- che ambisce ad essere una sorta di Biblioteca della Pléiade
nostrana
-, si notano accanto a nomi considerati universalmente dei “classici”
della
letteratura (italiana e non) come Stendhal, Balzac, Goethe,
Shakespeare,
D’Annunzio e Montale, nomi che chiamare “classici” - e quindi investire
di quell’aura sacrale che li rende in qualche modo “imprescindibili”,
“necessari”
e “senza tempo” - è quantomeno prematuro. Per ragioni di
qualità,
sicuramente, ma anche per una ragione più “prosaica”, la stessa
che impedisce l’intestazione delle vie a personalità pure di
rilievo:
il fatto, cioè, di essere ancora in vita e di non aver quindi -
ancora - dimostrato di saper “sopravvivere” intatti al trascorrere del
tempo.
Il dito nella piaga lo ha messo, nei giorni scorsi, la figlia di
Luciano
Bianciardi presentando sul Giornale l’”Antimeridiano” che raccoglie le
opere complete dello scrittore-giornalista toscano, da lei stessa
pubblicato
per ExCogita-Isbn Edizioni. «Trovo vergognoso - aveva dichiarato
Luciana Bianciardi senza mezzi termini - che ci sia un Meridiano
dedicato
ad Andrea Camilleri ma non a mio padre».
E in effetti, perché Camilleri sì e Bianciardi no?
Bianciardi,
nato a Grosseto nel 1922 e morto a Milano nel 1971, fu un personaggio
scomodo,
disorganico e ribelle, e un intellettuale ricco di interessi e con
molte
sfaccettature. Storico (memorabili i suoi studi sul Risorgimento),
giornalista
(negli anni 60 fecero clamore i suoi servizi scandalistici e di costume
su argomenti “leggeri” quali tv, sport e sesso) e traduttore (da
Miller,
Faulkner, London, ...), la sua fama è legata soprattutto al
romanzo
"La vita agra", uscito da Rizzoli nel 1962: la storia di un provinciale
che sale a Milano per vendicare la morte di alcuni minatori, ma che
finisce
completamente assorbito e metabolizzato dalla società che voleva
distruggere. Libro ormai quasi introvabile, come del resto i romanzi
brevi
"Il Lavoro Culturale" e "L'Integrazione", e l’altro romanzo a carattere
autobiografico "Aprire il Fuoco", disponibili tutt’al più in
qualche
edizione tascabile.
Tra le caratteristiche che da sempre erano un merito della collana
dei Meridiani - la cui responsabilità è affidata a Renata
Colorni - c’era del resto proprio quella di rendere disponibile, in un
unico volume (o al limite in più tomi), l’opera di autori
decisivi
della letteratura mondiale, soprattutto in quei testi da tempo non
più
ristampati, o comunque difficili da trovare. Comodi, dunque. Belli in
quanto
a veste grafica e tipografica (volumi ponderosi ma di formato
“tascabile”,
ben rilegati e proposti in un elegante cofanetto), ottimi quasi sempre
anche nella curatela critica, affidata a studiosi e specialisti di
chiara
fama.
Bianciardi a parte, la polemica come Cerbero ha più di una
testa.
La prima: che senso ha proporre un Meridiano (anzi, due: le "Storie di
Montalbano" e i "Romanzi storici e civili", a cura di Salvatore Silvano
Nigro, Mauro Novelli e Nino Borsellino) dedicato ad Andrea Camilleri,
visto
che i suoi romanzi sono disponibili in tutte le librerie (anche le
più
sperdute), pubblicate da Sellerio, da Rizzoli e dalla stessa Mondadori?
La seconda: siamo così sicuri che le avventure del commissario
Montalbano e i romanzi dello scrittore siciliano siano davvero
letterariamente
così “solidi” da poter superare la prova del tempo? O non
è
forse un’incoronazione un po’ troppo prematura e definitiva? La vera
ragione
dell’inclusione di Camilleri (e di altri: Giovanni Giudici, Andrea
Zanzotto,
Pietro Citati, eccetera) la fornisce forse, indirettamente, lo stesso
Nigro
quando, rispondendo alle polemiche, dice che «le accuse della
figlia
di Bianciardi servono solo a confermare una vecchia piaga della
letteratura
italiana: da noi lo scrittore per essere considerato davvero bravo deve
essere illeggibile e invendibile, altrimenti diventa immediatamente di
consumo». E qui siamo alla terza “testa” della polemica: la
commercialità,
che purtroppo molto di rado fa rima con qualità e
serietà.
I Meridiani Mondadori hanno ormai da tempo perso quell’originaria
dimensione
di “canone estetico”, che aveva caratterizzato i primi volumi,
diventando
- in linea con una deleteria moda del “cumulo” - delle mere operazioni
all inclusive che propongono l’opera omnia degli scrittori senza
più
distinguere né selezionare il grano dal loglio. E in questo,
obbedienti
alla legge del mercato, si privilegiano gli autori che “tirano” di
più
piuttosto che quelli scomodi, difficili o di minor impatto mediatico,
ma
che hanno molto di più da dire. Come appunto Bianciardi. O come
Luigi Santucci, anch’egli incredibilmente nella lista dei desaparecidos
delle lettere nostrane nonostante l’indiscutibile valore letterario (e
a suo tempo, anche di pubblico) di romanzi come "Orfeo in Paradiso" e
"Il
velocifero".
Duole dirlo, ma degradati a mera operazione di marketing editoriale,
i Meridiani purtroppo oggi si stanno allontanando sempre di più
dal modello della Pléiade per avvicinarsi a quello, assai
più
inquietante, della letteratura tutto compreso, meglio se un tanto al
chilo.
Ciò che li differenzia è ancora il prezzo (49 euro a
volume),
non certo a buon mercato. Seguendo questa logica, a quando un Meridiano
sul fenomeno (da baraccone) Dan Brown?
E.P.
La Padania,
6.1.2006
Gli intellettuali organici alla quercia si mobilitano
La guardia del corpo di Fassino? Montalbano!
Su La Stampa Andrea Camilleri si mette nei panni del suo eroe e
conclude:
«Dove sta lo scandalo?»
Piero Fassino ha una nuova guardia del corpo: è il
commissario
Montalbano. Andrea Camilleri, l’infaticabile penna cui gli spettatori
della
televisione pubblica debbono decine di avventure dell’infallibile
poliziotto
di Vigata, è sceso di nuovo in campo per soccorrere la Quercia
pericolante.
Quella dettata a La Stampa, è tuttavia un’arringa deludente,
somigliando
più all’accorata difesa di un tifoso vip che ha visto la propria
squadra perdere per un calcio di rigore fischiato in zona cesarini, che
al pamphlet ponderato e pervicace di un pensatore politico. «Non
ce la faccio proprio a unire la mia voce al coro dei catoni di sinistra
per le telefonate di luglio scorso tra Consorte e Fassino - scrive
Camilleri
precisando, subito dopo, di “non capire in che consista lo scandalo”.
Per
provare a capirlo, lo scrittore siciliano prova addirittura a mettersi
nei panni della sua creatura. «Ho letto con attenzione quei
dialoghi,
mettendomi addirittura nei panni del commissario Montalbano». E
allora,
cosa ne pensa il detective? Neeeente. Lo scandalo non esiste. «A
meno che lo scandalo non consista nel fatto che gente vicina ai Ds
entri
in possesso di una banca usufruendo dei relativi vantaggi; cioè
che i diessini non siano più un’appendice dei frati minori
francescani».
L’unica colpa che Camilleri riesce, faticosamente, ad addebitare a
Fassino
è di “essersi abbandonato al suo carattere emotivo, facile alla
commozione per gli elogi e alla suscettibilità per le critiche”.
Il segretario si è addentrato “con eccesso di entusiasmo e
faciloneria
in un campo minato” come quello della finanza e lì, nota
Camilleri,
“si salvano solo quelli con tanto di pelo sullo stomaco e non gli
implumi”.
Il povero Fassino, infatti, “ha quell’aria di uno che ha rotto pochi
minuti
prima il guscio in cui stava”. A proposito di uova, va ricordato che il
titolo dell’articolo è il “Il prezzo della frittata”, segno che,
anche ci si rifiuta di chiamarlo scandalo, di guaio almeno si tratta.
Quello
che i Ds ora dovrebbero fare, conclude il tifoso Camilleri, è
“dimostrare
che la loro diversità morale non è una favola”. ...E dici
poco, Commissà!
[...]
Alessandro Montanari
La Padania,
6.1.2006
Dagli insulti a Berlusconi, suo vecchio editore, al G8 di parte
Al papà del commissario piace spararle grosse
Andrea Camilleri non ha mai nascosto la propria avversione per
Berlusconi,
anzi. Le sue incursioni a mezzo stampa per condannare la politica del
Cavaliere
sono state tante e tali da far nascere persino il sospetto che fossero
diventate una sorta di strategia commerciale per rimanere costantemente
sulla bocca di tutti e continuare a vendere montagne di libri. Lo
scrittore,
però, si è sempre difeso opponendo lo scudo ideologico
della
propria fede comunista e in virtù di tali sbandierate
convinzioni
il creatore del commissario Montalbano è stato spesso invitato
ad
esprimersi dai quotidiani di sinistra. Come quando, per annunciare la
propria
partecipazione alla manifestazione organizzata a Roma il 14 settembre
del
2002 contro le leggi ad personam, Repubblica ospitò una bizzarra
lettera nella quale Camilleri se la prendeva persino con la tuta da
jogging
indossata da Berlusconi. Era il periodo dei girotondini, quelli che poi
hanno smesso di gironzolare, e tutto andava bene pur di dare fondatezza
alla teoria del regime. Da lì in poi tra Camilleri e il
Cavaliere
fu una provocazione via l’altra. La cosa divenne tanto insistita che
qualcuno
gli fece notare come, in fondo, stesse sputando nel piatto in cui
mangiava,
visto che all’epoca pubblicava per Mondadori. Figuriamoci! Lui rispose
risentito che era pagato dai lettori. Poi (saltando qualche tappa siamo
arrivati al 2005) ci fu l’intervista del 2 maggio scorso a
l’Unità,
dove di Berlusconi disse che era “l’antipolitica, anzi l’antimateria,
visto
che la sua è una politica virtuale, che non si occupa dei
problemi
della gente ma esclusivamente dei suoi, per i quali ha un’intera
maggioranza
che vota compatta». Infine, e siamo allo scorso settembre, ci fu
la puntatona politica di Montalbano, quella in cui il valente
commissario
si mostrava tanto disgustato da quanto fatto dai suoi colleghi al G8 di
Genova da meditare le dimissioni con uno sfogo che pare una sentenza di
tribunale. «Ad assaltare la scuola, in quella caserma, a
fabbricare
prove false, false!, non c’è stato qualche agente isolato,
ignorante,
violento... no! C’erano questori, vicequestori, capi della Mobile e
compagnia
bella....». La puntata, come sempre, andò in onda sulla
Rai.
Con buona pace di chi ritiene che a Genova qualche
responsabilità
l’ebbero pure no-global e black-bloc e di chi non crede che la tv di
stato
sia territorio occupato. Semmai, okkupato.
ANSA,
6.1.2006
Raiuno: La Ragusa di Montalbano a "Italia che vai"
Roma. A Ragusa sulle tracce di Montalbano. Nella puntata di domani in onda alle 16 su Raiuno, 'Italia che
vai' portera' i suoi telespettatori nella citta' siciliana dove Andrea Camilleri ha fatto vivere il commissario protagonista
dei suoi libri.
Il viaggio prosegue per Comiso, una ex base Nato, per approdare a Modica dove si produce una delle
cioccolate piu' buone, lavorata secondo le antiche ricette azteche.
Giuseppe Bonura
Avvenire,
6.1.2006
Editoriale
Se manca l'etica la scrittura è mercificazione
[...]
Certo, ci sono scrittori che se ne infischiano dell'etica ma in genere
producono opere rispetto alle quali quelle di Liala o di Camilleri
sembrano
dei capolavori planetari.
[...]
Giuseppe Bonura
La Sicilia,
7.1.2006
Lezioni di sesso ma anche di vita e grandi passioni
All'inizio degli anni Trenta il postribolo di "Vigata" - Porto
Empedocle
era particolarmente conosciuto e di conseguenza anche molto
frequentato.
Si chiamava "Pensione Eva" e sorgeva in fondo a via Colombo, zona
porto,
nei pressi del mercatino. L'edificio era basso, a due piani, con le
persiane
verdi, e ancora oggi quella costruzione, ristrutturata, è
abitata
da un paio di famiglie.
Per anni, durante il ventennio fascista, quel "casino" fu al centro
dello scandalo e delle chiacchiere dei benpensanti empedoclini,
indignati
per quel continuo via vai di gente, locali e forestieri, che
frequentavano
a tutte le ore, la pensione con le sue segrete alcove. Ma il successo
del
locale era garantito soprattutto dal regolare turn-over che ogni
quindici
giorni facevano le "donnine", sei in tutto, giovani e carine che
prestavano
allegramente la loro opera presso la casa di tolleranza.
Oggi lo scrittore Andrea Camilleri, a ottant'anni compiuti, messe da
parte le indagini del suo commissario Montalbano e abbandonato il
genere
del "giallo siciliano", si lancia in una sfida letteraria nuova e per
lui
anche piuttosto inedita: raccontare per la prima volta una storia
d'amore
che nasce e si sviluppa intorno ad una casa, o meglio, ad un casino,
quello,
per l'appunto, della Porto Empedocle dei suoi anni giovanili.
Protagonista del nuovo atteso romanzo di Andrea Camilleri, (edito da
Mondadori e in distribuzione nelle librerie a partire dal prossimo 17
gennaio)
è "La Pensione Eva", casa chiusa non solo metaforicamente, per
via
di quelle persiane verdi che durante il giorno rimanevano sempre
abbassate
come narra lo scrittore, ma anche realmente: una dimora di grandi
passioni
e di audaci segreti di cui l'autore, nella sua ultima opera, non fa
mistero
con il lettore.
Questa volta Camilleri attinge per davvero, a piene mani, dai ricordi
della sua infanzia fin quasi a voler sfiorare la scrittura
autobiografica.
Una casa chiusa realmente esistita, inserita in una storia ambientata
durante il periodo fascista.
Protagonista è il bambino Nenè (che poi è il
soprannome
che gli empedoclini di una certa età avevano affibbiato allo
stesso
Andrea Camilleri) imberbe e curiosissimo che in quel postribolo
vivrà
la sua iniziazione non solo sessuale ma anche sentimentale godendo di
persona
della vita che vi si svolgeva all'interno e non solo più, come
accadeva
all'inizio della vicenda, attraverso i racconti più o meno
fantasiosi
dei suoi compagni di scuola.
La narrazione della "Pensione Eva" procede per periodi.
La "casa" che accoglie Nenè e i suoi compagni, poco per volta
si trasforma: prima aumenta il numero delle stelline poi il locale, da
postribolo, viene promosso a pensione di prima categoria. Cambia il
livello
degli abituali frequentatori e il bambino, ormai diventato adolescente,
assieme agli altri giovani testimoni di questi mutamenti,
rimarrà
colpito sempre più dall'eleganza e dal continuo miglioramento
dei
servizi offerti dalla "casa" nonché dalla straordinaria bellezza
delle donnine che continuano ad alternarsi nelle stanze dei piani
superiori.
I clienti seguiranno ad incontrasi con nuove e prosperose ragazze di
vita, in quelle stanze odorose di borotalco e di acqua di colonia,
cercando
di carpirne i segreti, fin quando, all'inizio degli anni Quaranta, con
l'arrivo degli americani, il ricambio delle "fanciulle in fiore" si
arresterà
improvvisamente.
Il mancato arrivo delle ragazze sarà un evento che
segnerà
in maniera definitiva il declino della casa di tolleranza. Ma a questo
punto del racconto nasce e si alimenta una storia d'amore e di morte
che
qui non anticipiamo.
La cosa certa e che all'improvviso Nenè e i suoi amici,
scopriranno
quanto quel periodo trascorso alla "Pensione Eva" sia stato formativo
per
la loro vita. Alle prostitute, in fondo in fondo, quei ragazzi dovranno
molto. In tutte quelle ore trascorse sotto le lenzuola tra i corpi nudi
e bianchi di quelle fanciulle, i giovani si renderanno conto di aver
ricevuto,
non solo impagabili lezioni di sesso, ma anche e soprattutto lezioni
d'amore
e di vita.
Gli altri protagonisti della nuova storia di Camilleri hanno tutti
nomi molto conosciuti a Porto Empedocle. Ad esempio si chiamano
"Ciccio"
e "Iacolino" e alla "marina" non si fa mistero sul fatto che i due non
siano altri che gli inseparabili amici d'infanzia, Francesco Burgio e
Gaetano
Iacolino, ormai scomparsi da tempo ma testimoni, con Andrea, di quello
straordinario periodo della vita che è l'adolescenza.
Dunque, questa "Pensione Eva" si può considerare un romanzo
di formazione dello scrittore empedoclino che in diverse occasioni
aveva
tra l'altro già raccontato qualcosa in proposito anticipando
proprio
il desiderio di scrivere un testo letterario su quell'epoca.
"Un giorno - racconta Andrea Camilleri - da bambino, passando davanti
a quella pensione dalle persiane verdi, chiesi a mio padre: papà
è vero che lì dentro si affittano donne nude? Mio padre,
sorpreso rispose di sì. - E che se ne fanno? L'incalzai. Se le
guardano,
mi rispose. Ed io, da quel momento in poi, compresi perfettamente
ciò
che poteva avvenire all'interno di quella "Pensione Eva" perché,
all'epoca, la voglia che avevo di guardare sotto la gonna delle mie
cuginette
era tale che potevo benissimo capire come ci fossero persone
interessate
a pagare per guardare sotto le gonne di quelle altre donnine!".
Lorenzo Rosso
Corriere della
sera,
9.1.2006
Bianciardi, Camilleri e i Meridiani
Nel numero del Corriere in edicola il 31 dicembre, a pag. 45,
è
apparso un articolo a firma di Stefano Bucci dal titolo
«Bianciardi-Camilleri:
la guerra del Meridiano».
Tale articolo contiene alcune falsità e parecchie inesattezze
che desidererei chiarire a beneficio di coloro che ci leggono. Dunque,
l'articolo prende le mosse da una mia intervista rilasciata a Luigi
Mascheroni
e apparsa su Il Giornale del 30 dicembre. In tale articolo, tra le
altre
cose, mi lamentavo del fatto che la Mondadori avesse dimenticato
scrittori
come Luciano Bianciardi e avesse dedicato invece un Meridiano a molti
altri;
tra questi ultimi avevo citato anche Andrea Camilleri: non
perché
io non stimi Camilleri, o non lo consideri un autore
«degno»
di un Meridiano (al contrario, la mia stima e la mia riconoscenza sono
grandissime: in uno dei suoi racconti, mio padre viene citato, sia pur
non direttamente, e ricordato come l'autore di un racconto nel quale si
ribaltano i tabù del cibo e del sesso); semplicemente,
nell'intervista
cercavo di puntualizzare il fatto che solitamente un'«opera
omnia»
è un'operazione che si riserva preferibilmente e
prioritariamente
ad autori non più viventi. In ogni caso, non ho mai pronunciato
la frase dai toni vagamente sprezzanti che mi viene attribuita
nell'occhiello
(«La Mondadori preferisce un commissario a mio padre»).
In secondo luogo, trovo assurda (e anche vagamente divertente) la
definizione
di «guerra del Meridiano» con cui si titola il pezzo: non
vedo
di quale guerra si tratti, né chi dovrebbe combattere con chi,
né
la ragione di un conflitto del genere, quasi ci fosse solo una
possibilità:
insomma, come se nei Meridiani ci dovesse essere spazio o per Camilleri
o per Bianciardi, e che uno escludesse l'altro, come in un torneo a
eliminazione
diretta.
Non vedo poi perché Nigro (il curatore del Meridiano su
Camilleri)
dovrebbe sentirsi «sotto accusa»; lui ha fatto benissimo a
curare il volume, peraltro molto bello, e il mio appunto non era
assolutamente
indirizzato a lui, né tantomeno a Camilleri, come ho già
detto, ma teso a sottolineare la dimenticanza: non avevo nessuna
intenzione,
infatti, di «parlar male di Camilleri per parlar bene di mio
padre».
In terzo luogo, devo rilevare che il mio colloquio con Renata Colorni,
che mi avrebbe «chiarito le ragioni per le quali Luciano
Bianciardi
e la sua opera non rientravano tra i progetti dei Meridiani» non
è mai avvenuto. In realtà sono stata contattata una sola
volta dai responsabili dei Meridiani per un racconto di mio padre da
inserire
nei Racconti italiani del '900, e per il quale ho volentieri e in
maniera
del tutto gratuita concesso i diritti.
Chiarito tutto questo, vorrei porre una domanda: l'autore dell'articolo
ha avvertito la sacrosanta necessità di sentire che cosa ne
pensassero
Salvatore Nigro, Renata Colorni e Massimo Onofri (scrittore e
giornalista)
di tutta questa faccenda; ma perché non ha pensato di chiamare
al
telefono anche la sottoscritta?
Luciana Bianciardi
Mi dispiace che la signora Luciana Bianciardi si sia sentita
in dovere
di chiarire alcuni punti relativi al mio articolo: mi dispiace
innanzitutto
per lei, perché mi vedo costretto a confermare il contenuto
dello
stesso articolo (quelle che lei considera «falsità e
inesattezze»
sono le opinioni di chi scrive). A questo punto vorrei però fare
un invito alla signora Bianciardi: non veda intorno a sè sempre
e solo dei nemici del padre (nessuno dei critici da me intervistati ha
mai minimamente messo in dubbio il suo valore), anche perché
l’ostilità
può essere davvero una cattiva consigliera, come quando fa
dimenticare
(è successo anche a lei) l’esistenza di recenti edizioni
dell’opera
di Bianciardi o come quando fa scegliere per una collana la
denominazione
di «Antimeridiani».
Stefano Bucci
Corriere della
sera Magazine,
12.1.2006
Attualità - Anticipazioni
E adesso vi racconto (davvero) la mia prima volta
I lunedì con le ragazze della casa chiusa. Il fazzoletto sporco
di rossetto passato di nascosto al padre. Le lettere cadute dalla
giacca
del soldato ucciso che confessavano un tradimento. Andrea Camilleri
svela
i retroscena del suo nuovo romanzo autobiografico. Più un
episodio
molto intimo con una bionda triestina che nel libro non troverete.
Il nome esatto pare che sia
«Camilleròmani». Ma è
accettata anche la versione «Camilleròpati» e,
persino, la
variante «Camilleròfagi». Sarebbero i patiti dei
libri di Andrea
Camilleri, il più straordinario fenomeno letterario ed
editoriale
italiano dell'ultimo decennio.
I Camilleròmani costituiscono, secondo Ornella Palumbo (che ha
appena
dedicato allo scrittore il saggio “L'incantesimo di Camilleri”, Editori
Riuniti), «una moltitudine, felicemente trasversale quanto a
età,
sesso, estrazione socio-culturale e nazionalità».
La Camilleròmania è un'epidemia planetaria. Così
Ornella
Palumbo ne descrive i sintomi: «Le cifre parlano chiaro: con
dieci
milioni di copie vendute, il fenomeno delle copie contraffatte, il
mercato
nero, centoventi traduzioni, persino in coreano e giapponese, Camilleri
è uno degli autori più letti del mondo».
Per farsi un'idea della grandiosità del fenomeno basta sfogliare
le 400 pagine del meraviglioso volumetto “I libri di Andrea Camilleri”
(pubblicato da Sellerio per gli ottant'anni dello scrittore) che
raccoglie
tutte le sue copertine: dalla inglese “The Terracotta Dog (An Inspector
Montalbano Mistery)” alla tedesca “Der zweite Kuss des Judas
(Historischer,
Kriminalroman)”, alla francese “L'excursion à Tindari (Une
enquete
du commissaire Montalbano}”...
UNO SCRITTORE INTERNAZIONALE. Eppure Camilleri in Italia un po' lo
snobbano. Scrive Ornella Palumbo
che «al travolgente favore del pubblico», incontrato dai
libri
di Camilleri, non corrisponde «la valutazione della critica,
spesso
perplessa». (Visto quello che si intende per critica in Italia
sarei
peplesso se non fossero perplessi).
Per nulla perplesso, Camilleri continua a scrivere e pubblicare libri.
Sono a casa sua a Roma, in via Asiago (mitico indirizzo della Rai, che
si trova proprio qui di fronte e dove lo scrittore ha lavorato una
vita),
nella stanza, accanto alla cucina, che gli fa da studio. Sul tavolo ci
sono le bozze di “La Pensione Eva”, il nuovo romanzo che sta per uscire
da Mondadori e che non mi ha lasciato perplesso, anzi. È la
storia
di Nenè che a 12 anni scopre che c'è un posto (la
Pensione
Eva, appunto) dove «i màscoli si possono affittare fimmine
nude». E scopre anche, grazie alla cugina Angela di due anni
più
grande, il gioco del dottore e, subito dopo, su proposta di Angela, il
gioco inverso: quello dell'infermiera. Con la scusa del caldo che fa
nel
«tettomorto» (la cantina) [in verità il solaio,
NdCFC],
teatro delle operazioni, l'infermiera Angela si leva anche lei i
vestiti
e si «stinnicchia» sopra Nenè. Ma poi Angela
è
costretta a sposare un uomo che non ama ed esce dalla vita di
Nenè
con il suo profumo «di cannella e di noce moscata».
Prenderà il suo posto la vedova Argirò (che profuma
invece
di zagara), madre di un compagno di scuola di Nenè, e l'immagine
della vedova appena uscita dalla vasca da bagno, avvolta in un
asciugamano,
che intona «a vucca chiusa» “Amapola”, prelude alla
definitiva
inizi azione sessuale del sedicenne Nenè.
Seguirà la frequentazione da parte di Nenè della Pensione
Eva, delle ragazze che vi alloggiano (Erminia Davico, in arte Iris;
Emanuela
Ritter, in arte La tedesca; Grazia Contadini, in arte La bolognese;
Maria
Stefani, in arte Lupa...), della Signura, la severa maitresse, mentre
la
guerra avanza, gli alleati sbarcano in Sicilia, Nenè va
militare.
Il tutto narrato con una felicità e una facilità
narrativa
tali da far pensare che il caso Camilleri (malgrado il successo
mondiale,
le centoventi traduzioni, le perplessità della critica) sia
tutt'altro
che chiuso.
Arrivati alla fine del romanzo c'è una nota: «Questo
scritto
intende essere semplicemente una vacanza narrativa che mi sono voluto
pigliare
nell'imminenza degli ottant'anni. Non è ne un racconto storico
né
un racconto poliziesco, è un racconto fortunatamente
inqualificabile.
Oltretutto, alla lettura credo che presenti difficoltà minori di
altri miei romanzi. E persino il titolo è diverso dai miei
soliti.
Desidero avvertire che il racconto non è autobiografico, anche
se
ho prestato al mio protagonista il diminutivo col quale mi chiamavano i
miei famigliari e i miei amici. È autentico il contesto. E la
Pensione
Eva è veramente esistita, mentre sono del tutto inventati i nomi
dei frequentatori e i fatti che vi sarebbero accaduti».
Bene, Camilleri, cominciamo dal fatto che "La Pensione Eva"
è
un libro diverso dal solito. In che senso?
«Mentre lo scrivevo è successa una cosa strana. Se lo
volevo riportare dentro al mio registro, mi fermavo, diventava come una
strada obbligata e la cosa mi dava molto fastidio. Allora ho dato da
leggere
i primi due capitoli a mia moglie. Rosetta è l'unica persona
ormai
che mi resta alla quale far leggere le cose che scrivo. Prima avevo
degli
amici: Ruggero Jacobbi, Dante Troisi, Niccolò Gallo. E mia
moglie
disse: ti stai costringendo dentro la tua scrittura come una sorta di
scarpa
stretta, mi sa che non ci accucchia molto. Raccontalo come se fosse
prima,
prima di essere diventato uno scrittore».
Prima del caso Camilleri...
«Sì, prima del caso Camilleri».
Torniamo alla nota. Di solito avvisi di questo tenore (ogni
riferimento
a fatti e persone reali è puramente casuale) significano
esattamente
il contrario. Lei nella nota dice: non è un romanzo
autobiografico.
«Invece lo è. Perche non è una storia inventata
di sana pianta. Io mi ricordo che noi ragazzi negli Anni Quaranta
eravamo
arrapatissimi. Non c'era la libertà che c'è oggi. Quando
riuscivi di straforo a baciare una ragazza era un avvenimento che
faceva
epoca. Mi ricordo la prima volta che baciai una ragazza. Avevo 15 anni.
Lei sapeva come sarebbe finita e s'era messa il rossetto. Dopo quel
bacio
appassionato dovetti adoperare il fazzoletto per pulirmi la bocca. Il
problema
era: come fare scomparire il fazzoletto?».
Sembra l'Otello. E come fece?
«Tornando in macchina con mio padre da Agrigento, dove era
avvenuto
il fattaccio, gli confessai che ero stato a baciare questa ragazza e
che
avevo il fazzoletto sporco di questa gloriosa cosa. Mio padre disse:
per
carità, dallo a me che se tua madre scopre un fazzoletto tuo
sporco
di rossetto fa un casino! Io dissi: papà, ma non lo fa a te? No,
a me non lo fa. E allora io diedi il mio fazzoletto a mio padre. La
cosa
logicamente oggi dovrebbe essere alla rovescia: cioè il padre
dà
il fazzoletto al figlio. Ma allora andava cosi».
A un certo punto del romanzo Nenè con il suo
inseparabile
compagno Ciccio comincia a frequentare la Pensione Eva. Non ha ancora
18
anni. Anche questa è autobiografia?
«La Pensione Eva di Porto Empedocle (era veramente una villetta
incantevole), venne presa in gestione dal padre di un mio compagno, il
loro nome vero non lo dirò. Questo compagno disse a me e a
Ciccio
Burgio, amico mio del cuore: ragazzi, se volete venire, la Signura vi
dà
il permesso, però siccome non avete 18 anni (la legge era
severa)
vi dà il permesso di venire il lunedì, il giorno di
chiusura,
così venite come se fosse una casa privata».
Una visita di cortesia.
«Sì e infatti noi ci organizziamo di conseguenza. Portiamo
del pesce, del vino, eccetera, mangiamo con loro, chiacchieriamo con
loro».
La Signura era davvero una ex professoressa di greco e di
latino
che dava, tra l'altro, ripetizioni in queste materie al figlio del
gestore,
come si dice nel libro?
«Proprio così».
E cosa aveva fatto per perdere il posto, per essere radiata
dalle
scuole?
«Non l'ho mai saputo, l'avrei scritto se l'avessi minimamente
saputo. Né mi pareva giusto inventarmelo in una situazione
così».
Insomma, comprate il pesce e il vino e poi cosa succede?
«Il mio compagno era stato chiaro: la Signura ha detto che se
le ragazze vogliono va bene ma di loro iniziativa, non hanno l'obbligo.
Ora il fatto di poter passare delle serate con delle ragazze era una
cosa
inimmaginabile, una vera fortuna. E così lentamente capii che
andavo
lì ogni lunedì sera per la voglia di stare e parlare con
delle ragazze liberamente, lentamente capii che ricchezza mi trovavo
tra
le mani».
Una scuola di vita come scrive nel libro.
«La cosa che posso dire con assoluta certezza è che i
discorsi che avvenivano tra di noi non erano discorsi grassi, come si
usa
dire. Erano di tutt'altro genere. E non erano neanche discorsi che
muovevano
alla pietà (io ci ho un figlio e via lacrimando). No, erano
normalissimi
discorsi con delle professioniste che potevano essere manicure,
pedicure,
insomma facevano qualcosa a contatto con i maschi».
Dal romanzo viene fuori l'impressione di un sesso un po'
medicale,
asettico, lo dico perché lei sottolinea più volte l'odore
di disinfettante che aleggiava in quelle camere...
«Era l'odore del permanganato. C'erano queste regole del lavarsi
prima. Era tutto molto medicale, come dice lei. Se non era per i
pessimi
profumi che adoperavano queste ragazze... Terribili. Io ho perso la
memoria
di questi profumi via via che sparivano i calendari dei
barbieri».
Era quello il profumo dei casini?
«Era quello. Io mi sono ritrovato fino a 25 anni fa a odorare
uno di questi calendarietti e ritornare con la memoria...».
Proust puro... Dunque, quello era l'odore del peccato.
«Proprio così, tanto è vero che quando ho
cominciato
a fare il regista in televisione appena avevo un po' di pausa andavo
appresso
alle ballerine, me ne stavo nel camerino grosso delle ballerine solo
per
risentire questo odore di profumo pessimo, di sudore femminile che era
una cosa meravigliosa».
Nel libro Nenè legge Conrad, Melville e Maigret, gli
stessi
libri che lei leggeva nella biblioteca dello zio Alfredo. E poi
troviamo
questa cosa molto sottile: lei nasce a Porto Empedocle il 6 settembre
1925
nel momento in cui la statua di San Calogero esce dalla chiesa per la
processione...
Be', San Calogero nel romanzo ha una parte strepitosa, appare
ripetutamente
a una delle ragazze della Pensione Eva...
«Guardi in questo paradiso assolutamente deserto che è
il mio studio, lei può vedere un San Calogero ottocentesco
regalatomi
da Elvira Sellerio (mi indica una statuetta sulla libreria), e guardi
qui
(mi mostra una cartolina poggiata sul tavolo), questo è l'ultimo
San Calogero dell'ultima festa, là sopra vede un'altra statuetta
di San Calogero nera...».
Lei ha detto di osservare un unico culto, quello di San
Calogero.
«Culto unico. Quando hanno festeggiato a Porto Empedocle i miei
ottant'anni (che avvenivano il giorno dopo la festa di San Calogero)
hanno
lasciato le luminarie della sua festa per illuminare il paese. Ho
usufruito
delle luminarie di San Calogero».
Questo sì che è un grande onore! Altro che Nobel!
«Ma figurati».
Qui siamo alla processione, qui siamo a Sant'Andrea. Ma
torniamo
alla vita parallela tra lei e il Nenè del romanzo. A un certo
punto
Nenè va a fare il militare ad Augusta, non gli danno nemmeno una
divisa (sono finite) ma un semplice bracciale di riconoscimento,
intanto
c'è lo sbarco alleato.
«Andò proprio come racconto nel romanzo. La mia classe,
1925, terminò le scuole verso il 15 di maggio, senza esami di
Stato,
venimmo promossi o bocciati per scrutinio. Io venni promosso. Gli
ultimi
giorni di scuola sentivamo le cannonate dalle finestre aperte, le
cannonate
di Lampedusa, e c'erano continui bombardamenti. Io avevo passato la
visita
di leva. Mio padre era ispettore alla Capitaneria di porto, avrei
potuto
benissimo farmi riformare. Però tutti i miei compagni erano
stati
fatti abili e mi vergognai. L'ufficiale medico mi sussurrò: che
vogliamo fare? Dissi: sono abile, mi faccia abile. Va bene, abile.
Queste
visite di leva terribili, che stai nudo e siccome erano tempi di guerra
e mancava tutto mi scrissero, con la matita copiativa, l'altezza e il
peso
direttamente sul petto, tipo maiali. Poi mi chiamarono alle armi e
quello
che successe è quello che dico nel libro.
E a un certo punto da Augusta tornò a piedi e in
bicicletta
a Porto Empedocle dove al posto dell'odore di noce moscata o di zagare
trovò un terribile odore di morti, di cadaveri.
«Madonna. Ma c'è una cosa che non ho raccontato
perché
mi pare cosi importante da farne un racconto a se, che mai farò.
Passai da una zona dove era avvenuto un combattimento. Era una zona
completamente
devastata, con gli alberi tagliati, bruciati dallo scontro a fuoco.
C'erano
cinque o sei carrarmati nostri e, proprio come avrei visto poi nei
film,
dalla torretta di un carrarmato si sporgeva il cadavere di un soldato
italiano,
la cui giacca gli si era quasi rovesciata sulla testa e rovesciandosi
aveva
lasciato cadere delle carte. Attirato, come ero allora e come continuo
a essere, dalle carte, agguantai questo mucchio di lettere e me lo
portai
a Porto Empedode e lì lo lasciai. Credo di averle lette queste
lettere
un anno dopo e le conservo tuttora. Erano le lettere, con tanto di
indirizzo,
che la moglie di quel carrista romano scriveva al marito e raccontava
la
storia di un tradimento che lei gli aveva fatto».
E gliele mandava al fronte? Che crudeltà.
«Si, perche lui aveva mandato un suo amico carissimo a salutare
la moglie e a portarle un regalo e lì era finito a
schifio».
Ah, addirittura con il messaggero.
«La donna scriveva: allora tu mi domandi perché
l'atteggiamento
del tuo amico è cambiato? Bene, te lo dico... io ce l'ho ancora
queste lettere, una storia incredibile beccata in quel momento. Poi
proseguii
per Porto Empedode».
Dove non trovò più la Pensione Eva distrutta da
un
bombardamento.
«Si, perche era proprio sul porto, non c'era più».
Il romanzo si potrebbe intitolare “Memoria delle mie puttane
tristi”,
come quello di Marquez.
«Da anni pensavo a queste storie di casino ma, non so, avevo
sempre avuto un certo pudore a scriverle. Quando usci “Memoria delle
mie
puttane tristi” io dissi ad Antonio Franchini della Mondadori: io ci
avrei
delle storie di casino. Come delle storie di casino? Gliele ho
raccontate.
Scrivile subito. È stato Marquez a darmi il coraggio».
Potrebbero accusarla di avere nostalgia dei bordelli.
«Onestamente non ne ho nessuna. Lei sa come finirono i casini?
Finirono con uno sketch molto italiano. Ugo Zatterin dette notizia al
telegiornale
della chiusura delle case chiuse e ne parlò per tre minuti senza
citare mai case chiuse, puttane o cose del genere, per cui gli italiani
non seppero che cosa si era chiuso. È meraviglioso».
Una parte dei suoi lettori magari l'accuserà di aver
scritto
un romanzo di sesso, pornografico.
«In genere i lettori sul sesso sono molto negativi. Mi hanno
scritto decine di lettere a proposito. C'erano delle povere signore
settantenni
che mi hanno scritto dopo “La presa di Macallè”: anche mio
marito
è diventato porco in tarda età, lo diventa anche
lei?».
Poveri mariti. Senta, il primo bacio a 15 anni con la storia
del
fazzoletto sporco di rossetto. E la prima volta?
«A sedici».
Con una vedova come Nenè?
«No, per la verità non è andata così. Come
andò veramente l'avevo raccontato nella prima stesura ma mia
moglie
disse che era una cosa così intima mia e che dovevo modificarla.
Così la modificai con quella che è stata la seconda
esperienza,
quella della vedova».
E quindi la prima volta?
«Noi a Porto Empedocle avevamo questo caffè Ruoccolo che
era in concorrenza con il caffè Castiglione davvero imbattibile
dal punto di vista dei gelati e dal punto di vista dei biliardi
bellissimi
che aveva. Allora il signor Ruoccolo per incrementare la clientela ebbe
la bella pensata di far venire delle bariste femmine, e non delle
bariste
così, delle bariste come minimo triestine. La prima che
arrivò
era molto bella e aveva i modi di una gran dama, tanto è vero
che
i clienti erano un po' impacciati, intimiditi perché era proprio
una austro-ungarica o qualcosa di simile. Correttissima, non dava
confidenza,
niente e quindi l'unica era pigliarsi il caffè e starsela a
guardare.
Nessuno osava. Così durò sei mesi, divenne l'amante e poi
la moglie di uno che fece una certa carriera politica non indifferente.
Fine. Naturalmente il buon signor Ruoccolo capì di avere
sbagliato,
che non era quello il genere. Allora fece venire una barista
giovanissima
che si chiamava Mariuccia, che era tutt'altro tipo, con lei potevi
ridere,
scherzare, fare i doppi sensi...».
Sempre nordica, però.
«Anche lei di Trieste. Come si dice: se no xe mati no li volemo,
se non sono triestine niente. E arrivò questa Mariuccia.
Però
non si sapeva di suoi rapporti con uomini. Confidenza estrema ma
arrivare
a stringere, niente. Allora, quando venne l'estate, scoprimmo io e il
mio
amico Ciccio che Mariuccia sotto il camice: niente».
Non c'è più grande investigatore di un ragazzo
arrapato...
«Raggi X. Questa è nuda sotto ma quando esce è
vestita, allora vuoi dire che nel retrobottega si spoglia, si veste e
noi
dobbiamo restare dentro il retrobottega quando lei finisce di lavorare.
Nel retrobottega c'era pieno di sacchi di caffè e poi c'era una
finestrella dalla quale noi potevamo, quando lei chiudeva la
saracinesca
a mezzanotte e mezza, uscire se rimanevamo chiusi. Così verso
mezzanotte
fingendo di andare in bagno ci sistemammo dietro i sacchi e lì
restammo.
Sentimmo tutte le operazioni di chiusura: abbassò la
saracinesca,
venne nel retrobottega, accese la luce, c'era un osceno lavello, lei
aveva
i suoi vestiti sopra una sedia, cosa che notammo subito, si levò
questo camice bianco. Era nuda».
Era bionda?
«Bionda vera. Superato il momento di morte, perché eravamo
a un passo dalla morte, con Ciccio ci sorreggevamo a vicenda, cercando
di non ansimare per non farci sentire. Lei ci volgeva questa schiena
bellissima
e si lavava. poverina, come poteva. A un certo punto, qualcuno di noi
due,
non so chi, dovette gemere, perché lei si fermò, si
voltò,
non vide nessuno e tornò a lavarsi. Poi arrivò un
momento,
mi deve credere su quanto ho di più caro, che lei si
voltò
di nuovo solo che io non ero più dietro i sacchi. A quattro
zampe
ero uscito da dietro i sacchi e mi avvicinavo a lei, a quattro zampe, e
lei rimase attonita a guardarmi, ghiacciata proprio. Io mi avvicinai,
alzai
la testa e baciai il pelo. Allora lei mi prese, mi alzò in
piedi:
ma che sei pazzo? Ma ora ti scoprono. E io: io non posso stare senza di
te. E lei: guarda, ora non puoi più uscire dalla porta. Io:
sì,
l'avevo previsto. Lei: vattene dalla finestra. Domani sera vieni a
trovarmi,
all'una di notte. Era mossa a una pietà estrema. Io uscii dalla
finestra dimenticandomi di Ciccio che era rimasto dietro. Lei
uscì,
chiuse. Ciccio uscì anche lui dalla finestra. Che t'ha detto? Di
andarla a trovare. L'indomani sera ci andai e fu la prima volta che
facevo
all'amore con una ragazza, di una tenerezza, di una cosa. Questo non so
perché a Rosetta è parso troppo personale. Allora ho
parlato
del secondo episodio, della vedova».
Camilleri, mi permetta di ringraziarla anche di questo superbo racconto
all'impronta. Io non sono perplesso, sono sgomento davanti alla sua
arte.
E mi faccia segnalare ai lettori la bellezza stupefacente del finale
della
"Pensione Eva", un finale che non dirò per non rovinare
l'emozione,
un finale che mischia una disperata e tenerissima storia d'amore e
morte
con un rito quasi cannibalesco (e però dolcissimo), mentre
intorno
si sente un profumo (uno sciauro, come scrive lei) «di mentuccia,
cannella e chiodi di garofano», che era il profumo di Siria, una
delle ragazze della Pensione Eva. Consideri, la prego, questa non una
intervista
ma una processione.
In suo onore e dell'arte del romanzo.
Antonio D'Orrico
Il Giornale,
12.1.2006
Camilleri segregato nella casa chiusa
Con gli attrezzi linguistici di sempre - un siciliano
familiare e felicemente
inquinato da invenzioni vocali - Andrea Camilleri s'inoltra in un
terreno
troppo frequentato e rischia di farci dire: «Ma questo l'ho
già
letto e sentito». Il giardino narrativo è il bordello,
luogo
di ombre e profumi forti dietro le persiane, di umilianti promesse
fatte
a sé con l'alibi di farle anche agli altri, di imprevedibili
amori
e amorazzi, di stranezze sessuali e di malinconie. S'intitola "La
pensione
Eva" (Mondadori, pagg. 188, euro 14, in libreria dal 17 gennaio) questo
singolare romanzo corale che si snoda attorno a Nenè, il
protagonista,
e ai suoi amici. Diciamo «singolare» in quanto crediamo a
quanto
l'autore scrive nella «nota» finale, ossia che le pagine
sono
il frutto di una «vacanza narrativa» in occasione dei suoi
80 anni. Lui stesso, disinvolto nei romanzi storici e nei gialli,
ammette
che il racconto è «fortunatamente inqualificabile».
Una treccia di memorie che scende, a volte dolcemente a volte impedita
da qualche nodo, sulla schiena della ricostruzione fantastica. S'inizia
con il racconto, acuto e delicato, dei primi batticuori del ragazzino
Nenè,
troppo «nico» (piccolo) per gustare le gioie dell'amore
fisico,
ma sufficientemente ardente da non rinunciare al fiato caldo e
rassicurante
della cuginetta Angela, che si spoglia e lo fa spogliare in un solaio:
il gioco del dottore diventa intimità anche di cuore e di mente,
e sparge i semi non solo dell'innamoramento ma anche di quella pulsione
alla vita che il respiro corto dinanzi a un corpo femminile riassume
con
rozza efficacia.
Ma Nenè, e con lui i suoi amici (siamo nella Vigata immaginaria
del Camilleri «padre» del commissario Montalbano), guarda
alla
pensione Eva come si guarda alle promesse dell'età adulta. Con
uno
stratagemma ci entra non avendo l'età giusta e comincia a
«capire
qualichi cosa di la vita». Coglie «giovani fiori» e
lo
fa - la citazione è proustiana - «con una soddisfazione da
botanico». Ma Camilleri purtroppo lascia solo il ragazzo, non
segue
la sua formazione tra le picciotte «buttane». L'abbandona
perché
sedotto dal labirinto dell'aneddotica: la prostituta che ha visioni
«sante»,
il cliente che si soddisfa succhiando caramelle insalivate dalla donna
sul cui ventre poggia il capo. Non manca nemmeno il vizioso che si
traveste
da suora e si confessa davanti alla prostituta. Quadretti di vita che
si
agitano a un ritmo alla Ridolini.
La pensione Eva, sorta sui resti di un tempio greco, dovrebbe avere
un imprinting magico. Ma la magia, si sa, è nella testa di chi
vi
entra, nello «sciauro» (profumo) di donna, soprattutto
quello
della bella e innamorata Lula che s'imprime negli abiti di chi
l'abbraccia
e pure nella mente di chi la desidera a costo di mutare drammaticamente
la propria vita. Il bordello pulsa fino a quando non cadono le
«bombe
miricane»: c'è lo sbarco degli alleati, c'è la
polvere
delle rovine, c'è frenesia sessuale di chi avverte la fine di
un'epoca
se non addirittura del mondo. E Nenè si ritrova diciottenne
dinanzi
a macerie.
Pier Mario Fasanotti
L'espresso,
19.1.2006
(in edicola il 13.1.2006)
Colloquio con Andrea Camilleri
Il teatro? Che dramma
Regista. Attore. Maestro. Ma mai autore di commedie. Mentre 'La
concessione del
telefono' conquista le sale, lo scrittore siciliano racconta una vita
dietro le quinte
Cliccare sulle immagini per ingrandire le pagine
Mentre continua la tournée teatrale di “La concessione
del telefono” tratta dall’omonimo romanzo di Andrea Camilleri edito da
Sellerio, l’autore ci racconta il suo rapporto col teatro e quanto sia
stato fondamentale per il suo successo di scrittore e per la sua vita.
Cominciamo dal teatro. Lei è stato regista, più di cento
spettacoli…
“Centoventi, per l’esattezza”.
E’ stato insegnate all’accademia d’arte drammatica…
“Giusto”.
Ha fatto anche l’attore.
“A teatro una sola volta. Ero allievo dell’accademia, recitavo con
Orazio Costa, dicevo una battuta più lunga di quella di Enrico
Maria Salerno. Ne avevamo una a testa di battute, una sola per cinque
atti, ma la mia era più lunga della sua. Lui diceva: “E’ il
papa?”, e basta. Io invece: “Senza il più piccolo libro”, che
era comunque abbastanza più lunga della sua”.
Però come autore teatrale, escludendo le riduzioni da suoi
romanzi, ha prodotto ben poco.
“Niente, salvo un primo e ultimo testo che ha determinato tutta la
storia della mia vita. Nel’47 lessi che c’era un concorso per atto
unico a Firenze, giuria presieduta da Silvio D’Amico. Scrissi un atto
unico quasi appositamente per quel concorso, “Giudizio a mezzanotte” si
chiamava, vinsi il primo premio, andai a Firenze, conobbi D’Amico,
conobbi Luigi Squarzina, ma tornando in Sicilia rilessi il mio testo e
lo buttai giù dal finestrino del treno. Credo non ce ne sia
più traccia. Però D’Amico mi scrisse l’anno dopo:
“Perché non viene a fare l’esame come allievo regista
all’accademia?”. Dissi di sì e da lì la mia vita
cambiò”.
Poi, solo riduzioni. Cos’è, ha paura della scrittura teatrale
diretta?
“Paura, paura. Forse proprio perché ne ho fatto tanto di teatro,
ritengo quello del drammaturgo un lavoro di una difficoltà
straordinaria”.
Difficile crederlo, perché nei suoi romanzi ci sono dialoghi che
approfittano largamente della sua lunga militanza ed esperienza
teatrale.
“Moltissimo. Il dialogo teatrale lo ritrovo attraverso il romanzo, ma
la drammaturgia diretta mi fa paura, lo confesso sinceramente”.
E’ un annoso problema del teatro italiano, un caso quasi unico in
Europa, la scarsità di autori, a parte gli attori che si
scrivono testi su misura.
“E fanno benissimo. Sono stato così contento del premio Nobel
dato a Pinter, un vero drammaturgo, porca miseria, dialoghi
straordinari. E poi è un premio che può dare una mano al
teatro”.
A proposito, ha un futuro, non lei, il teatro?
“Deve, deve averlo. Non è retorica dire che una nazione senza un
teatro proprio, non dico Shakespeare o altri classici che si continuano
a fare benissimo, ma una nazione senza una sua produzione drammaturgia
è un po’ poverina, destinata all’ingiallimento”.
Sempre confrontando col resto dell’Europa, i giornali italiani si
occupano sempre meno di teatro.
“Quello è tristissimo. Io sono legato a un fatto romantico della
giovinezza. Quando ho cominciato a fare il regista avevo 33 anni.
Quelle notti in attesa del giorno dopo la prima, la mattina si andava
subito a leggere le critiche! La mia prima regia, tutti i critici
vennero, loro scrivevano nella notte, tu non andavi neanche a dormire,
non ce la facevi e aspettavi i giornali. Mi ricordo che ritenendomi io
inutile come regista, perché allora c’erano direttori di scena
che rendevano inutile il regista, al momento in cui lo spettacolo
iniziava me ne andai, che ci stai a fare? Uscii e camminai a piedi fino
a un posto dove c’era scritto “Capitaneria di porto”. Ma come, a Roma?
Era vero, era un posto vicino al vecchio gasometro, si scendeva,
c’erano dei barconi tanto che anni dopo con Mario Landi ci girammo un
Maigret sulla Senna, che invece era il Tevere vicino al gasometro”.
Altri mali del teatro?
“Sbagliando, si da poca importanza al teatro. E poi c’è la
scarsa importanza che il teatro per sé ha voluto avere. Si
è passati dall’eccesso della santificazione dei santi, come ai
tempi di Strehler, anche giusta perché era una grande regista,
all’esaltazione dello sperimentalismo più assoluto che ha fatto
male alla drammaturgia dal momento in cui si è cominciato a dire
e fare teatro gestuale, basta parole ecc. Siamo un paese senza una vera
drammartugia nazionale e dove invece esiste una tivvù nazionale
e non si parla d’altro. Sai, mi dicono, tu sei fissato con berlusconie
allora… Non è vero, anche prima di Berlusconi era così.
Anche i giornali di sinistra, per quanto riguarda l’attenzione
riservata al teatro, si comportano come se fossero di Berlusconi. Si
parla di tagli allo spettacolo oggi, ma sono procedimenti portati
avanti con ben altri governi che si dicevano assai più attenti
alla cultura. Al rischio di rappresentare l’autore italiano si
preferisce andare sul sicuro scegliendo uno straniero già
collaudato. Ci siamo dimenticati anche di quel minimo di autori che
avevamo fino a 30 anni fa, Ugo Betti, Diego Fabbri, Gennaro Pistilli,
Ottiero Ottieri che comparivano in una collana diretta da Paolo Grassi
e pubblicata da Einaudi”.
Passava le nottate ad aspettare le recensioni, ma qualche bella
stroncatura è arrivata?
“Sì, sì. L’ho avuta, me la ricordo e la porto ad esempio.
Per la prima volta misi in scena “Finale di partita” di Beckett nel ’58
a Roma. C’era un critico che non mai conosciuto ma che stimavo
enormemente per quello che scriveva. Era Nicola Chiaromonte. Con molta
ansia attesi l’uscita della sua critica. Vennero fuori tre colonne in
cui non si parlava neanche del mio spettacolo, si raccontava di come
lui vedeva Beckett. Ci rimasi malissimo, ma guarda un po’ neanche una
riga sul mio spettacolo. La settimana dopo scrisse altre tre colonne
dove diceva “Fatta salva la dignità di questo spettacolo (il
mio) devo dire che sono completamente dissenziente” e spiegava punto
per punto il perché. Bene, è uno dei rari critici a cui
ho scritto una lettera: per ringraziarlo, di cuore, di una critica
così costruttiva e seria. Tant’è vero che anni dopo,
mettendo in onda per la tivvù lo stesso testo, con Renato Rascel
e Adolfo Celi, tenni conto delle osservazioni di Chiaromonte”.
Si parlava di Pinter, l’ha mai conosciuto?
“Ho diretto moltissimi lavori di Pinter senza mai conoscerlo, ma l’ho
avuto come attore senza mai vederlo. Il terzo programma Rai permetteva
di mandare in onda cose raffinatissime. C’era un testo di Beckett,
“Lessness”, chiesi a Roger Blin di recitarlo in francese, a Giancarlo
Sbragia in italiano, a Pinter in inglese. Lui accettò e dalla
Bbc mi arrivò il nastro con Pinter che recitava Beckett”.
Ma c’è un altro Nobel che lei ha conosciuto. Luigi Pirandello.
“Avevo dieci anni, ero un bambino. Ero imbarazzatissimo. L’ho visto una
sola volta e mi sono terrorizzato perché era in divisa di
accademico d’Italia, pareva un grande ammiraglio. Feluca, spadino,
mantello, era venuto a trovare mia nonna paterna. Ho avuto un rigetto
da cui mi sono ripreso tardissimo”.
Autori teatrali prediletti?
“Pirandello, scoperto tardi ma mi sono rifatto, sicuramente Beckett e
Adamov. E poi ce ne sono due che non smetto di rileggere, Shakespeare e
Cechov. Non sono riuscito a metterli in scena e me ne andrò col
dispiacere di non averlo fatto”.
Per 17 anni è stato insegnante all’accademia, quali attori ha
avuto come allievi a parte Luca Zingaretti?
“Una delle ultime è stata Sabina Guzzanti”.
Come insegnava, che metodo, quali le cose da fare e da non fare?
“Non avevo metodi tradizionali, non Strasberg, non Stanislavskij, non
li ritenevo applicabili agli attori italiani. Ero un regista insegnante
“a levare”, non “a mettere”: abbassa il tono, non cantare, non volare,
sii concreto, sii te stesso. E soprattutto lunghi discorsi sul
personaggio inserito nel suo tempo e nella sua cultura in modo che
l’attore potesse trarne fuori qualcosa”.
Quando vede un attore recitare cosa le piace e cosa non sopporta?
“Mi piace la resa del verosimile, né vero, né simile, ma
verosimile. Detesto l’eccesso, la solitudine che l’attore crea intorno
a sé come se gli altri attori non esistessero. Facevo fare
questo esercizio: attore bendato al centro della scena, tutti gli altri
intorno a lui in un raggio di tre metri, scalzi e respirando
normalmente, l’attore bendato doveva capire dove erano e in che
relazione con lui nello spazio”.
L’italiano è una lingua parlata dai doppiatori, diceva Flaiano.
Non è il caso della sua prosa che si nutre di almeno sei
dialetti, una base di siciliano, e poi romanesco, milanese, piemontese,
genovese, fiorentino… Mi spiega come fanno a tradurla in ben 27 paesi?
A proposito, che figurine le mancano?
“Manca la Cina, ma ormai è vicina, e tutti i paesi arabi. Gli
altri 27 si arrangiano, intanto non sono in grado di controllare. Ma se
prendiamo per esempio la Francia, uno dei traduttori è corso, ha
una fidanzata di Palermo, il che lo aiuta, e va a scovare fino in
Bretagna l’equivalente di certe mie parole. Un altro francese le va a
trovare in certi termini arcaici di Lione, così difficili per i
francesi che ha dovuto aggiungere un dizionarietto”.
Vedo qui intorno molti libri di Sciascia. Che cosa pensa di aver preso
da lui?
“Continuo a prendere, nulla di diretto però. Per me Sciascia
funziona come un elettrauto, quando ho le batterie scariche, lo rileggo
e mi ricarico immediatamente”.
A proposito di Sciascia, lui sosteneva che il fumo lo aiutava a
scrivere. Per Camilleri, che quanto a sigarette non scherza, come
stanno le cose?
“Non aiuta. Ma io fumo lo stesso”.
Rita Cirio
Adnkronos,
13.1.2006
Scrittori: Camilleri racconta l'amore in una 'casa chiusa'
Esce martedi' prossimo da Mondadori il nuovo romanzo "La pensione Eva"
Roma - Salvo Montalbano per il momento riposa, e' in vacanza.
E intanto
arriva ''La pensione Eva'', il nuovo atteso romanzo di Andrea
Camilleri,
dove il celebre poliziotto dello scrittore siciliano questa volta e'
assente.
''La pensione Eva'' (pagine 188, euro 14) sara' distribuito nelle
librerie
da Mondadori martedi' 17 gennaio e segnera' una novita' nella
produzione
di Camilleri, che da poco ha festeggiato gli 80 anni. Non solo il
popolare
commissario di Vigata e' andato in ferie ma suo 'padre' ha cambiato
genere
letterario: non piu' il giallo, che gli ha assicurato fama mondiale, ma
il romanzo d'amore.
Il
Venerdì,
13.1.2006
Fanta-storia
Camilleri ambienta il nuovo romanzo nella città del commissario.
Prima che nascesse
Nella Vigata anni Trenta (senza Montalbano)
Chi lo dice che la Vigata di Montalbano è un luogo di
fantasia?
Vigata esiste, ed esisteva negli anni Trenta, ben prima che nascesse
Montalbano.
Parola di Andrea Camilleri, che nel paese inventato per ospitare il suo
commissario [Vigàta è stata “inventata” molto prima di
Montalbano, NdCFC], sul modello di Porto Empedocle (che ora, in
omaggio
a lui, si chiama Vigata di secondo nome), ha ambientato anche il suo
nuovo
romanzo. Una vicenda in cui si intrecciano, tra dramma, vitalità
e ironia, le storie di uomini e donne che ruotano attorno a una casa
chiusa,
o meglio a “La pensione Eva”, casino della vecchia Vigata. In libreria
per Mondatori nei prossimi giorni
(s.f.)
Exibart.com,
13.1.2006
Agrigento, Museo Archeologico Regionale, fino al 17.I.2006
Arturo Patten – In fondo agli occhi
Attorno ad un pregiato cratere attico del V secolo, una suggestiva
galleria di volti noti. Rigoroso bianco e
nero per i ritratti siciliani di una fra le più prestigiose
firme della fotografia contemporanea…
Il fotografo d’origine nordamericana Arturo Patten ha scelto
la Sicilia come ultima tappa del viaggio della sua
vita. Forse perché l’Isola era più vicina ai ricordi
della sua infanzia in Messico, quando era ancora lontana
l'angosciosa ricerca dell'anima, la “trepidante sensibilità
verso quelli che Vittorini chiamava i dolori del mondo offeso”,
ricorda Camilleri nel catalogo della mostra che Agrigento dedica ai
ritratti realizzati dal fotografo in Sicilia negli anni
Novanta.
I volti intensi di Elvira Sellerio, Letizia Battaglia, Andrea
Camilleri, Dacia Maraini, Pupino Samonà, rivelano
un’arte fotografica colta e una grande sensibilità artistica,
che affonda le radici nel rinascimento italiano. A
ventinove anni Patten abbandona l'America per andare a vivere in
Europa, viaggia continuamente finché decide
di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia, dividendosi tra Roma e
Parigi. In fuga dai volti ottusi, inerti ed anonimi
della provincia americana, il fotografo in Sicilia continua a cercare
l'intensità nello sguardo. Raccontando del
rapporto contraddittorio che Arturo Patten aveva con l’Isola, Edith de
la Héronnière, scrittrice legata al fotografo
da amicizia profonda, nel testo in catalogo "Dal Vulcano al caos"
scrive: “Ho cercato la vita in Sicilia e la morte ha
mostrato il suo volto. Vi ho incontrato sguardi a perdita d'occhio...in
Sicilia mi attendeva un mare di sguardi. Non erano
indiscreti né curiosi, ma abitati da una sorta di franchezza
istintiva, talvolta accompagnata dal riso”.
I volti siciliani, fotografati su sfondo scuro, evocano la composizione
formale classica, sia nel forte contrasto
del bianco e nero, che tende a definire i contorni in maniera netta,
sia nell’attenzione ai più indiscreti dettagli del
viso.
Il più delle volte questa ricerca dell’anima
–dell’”inimmaginabile”, spiega l’amica– riesce ad essere penetrante,
intensa. È questo il caso del bellissimo ritratto di Topazia
Alliata che sorride guardando verso l’alto, illuminata da
una luce tenue, in un dolce abbandono alla vita. Di altra ironica
bellezza è intriso il profilo funereo di Gesualdo
Bufalino.
In alcuni esempi più sporadici la bellezza formale della
composizione adombra l’attenzione per l’aspetto
psicologico del ritratto. Alcune foto, per la posa retorica ma
ricercata, evocano gli scatti dell’americano Irving
Penn, noto fotografo di moda degli anni Cinquanta. Questo ricco
ventaglio di “espressioni siciliane”, create dallo
sguardo malinconico di un Patten ormai stanco, risale ai suoi ultimi
anni di vita. Nel marzo del 1999 Arturo Patten
si toglie la vita ad Agrigento. Il museo archeologico della
città ne celebra oggi la memoria, ospitando, attorno ad
uno dei pezzi più importanti della propria collezione, una rosa
degli intensi sguardi colti e ritagliati dal penetrante
obiettivo del fotografo americano.
Giulia Ingarao
mostra visitata venerdì 18 dicembre 2005
Punto
Informatico,
13.1.2006
Cassandra Crossing/ Doyle, Camilleri e Bush Jr.
Un certo modus operandi applicato da Conan Doyle in passato, preso
a prestito anche da Camilleri, ha insegnato al presidente USA Bush e
alla
sua amministrazione che per ogni cosa c'è un verso. O un trucco
Roma - Conan Doyle, autore tra le altre cose del celeberrimo
personaggio
di Sherlock Holmes (si veda a proposito l'ottima voce di Wikipedia
in italiano) si sentì, intorno al 1894, oppresso dal
personaggio
che aveva creato, e decise di sbarazzarsene in maniera esplicita,
brutale
e definitiva. Per ottenere questo creò un arcinemico mai sentito
prima, il bieco e sconosciuto professor Moriarty, che uccise Holmes
facendolo
precipitare, nel racconto "L'ultima avventura", dalle cascate del
Reichenbach.
Pensava così di aver risolto il suo problema. Ma il pubblico,
affezionato
al personaggio, non accettò la sua scomparsa, oltretutto
avvenuta
in maniera brutale da parte di un "cattivissimo" che scompariva insieme
a lui precipitando dalla stessa cascata.
Minacciato perfino di morte dai fan di Holmes, e forse anche più
banalmente toccato nel portafoglio dallo scarso successo delle altre
sue
opere, Conan Doyle "resuscitò" in maniera subdola Holmes
pubblicando
prima "Il Mastino dei Baskerville" un opera "postuma" che si svolgeva
(nella
cronologia del personaggio) prima della sua morte, e poi un racconto,
"L'avventura
della casa vuota", in cui il personaggio resuscitava ufficialmente.
Successivamente,
dopo molti altri racconti, nel 1917 durante la prima guerra mondiale,
se
ne sbarazzò mandandolo in pensione con la pubblicazione de
"L'ultimo
saluto", in cui un Holmes invecchiato e "profetico" (parlava del Kaiser
e della per lui possibile guerra mondiale) parlava del futuro radioso
della
sua Patria dopo la inevitabile lotta con "Vento dell'Est", e poi non
dando
seguito al racconto, pur senza far morire ulteriormente Holmes.
In effetti Conan Doyle fino al 1927 pubblico' ancora alcuni racconti,
ma questi erano cronologicamente precedenti all'"Ultimo saluto".
Anche Camilleri, autore del celebratissimo Salvo
Montalbano, sembrerebbe infastidito dalla sua popolarissima e
quindi
ingombrante creatura. Ha forse già tentato di farlo sparire
violentemente
nel "Giro di Boa", nella cui ultima pagina un gravemente ferito e
delirante
commissario viene portato di corsa all'ospedale. In effetti non moriva
"esplicitamente", ma del resto nemmeno il corpo di Sherlock Holmes ne
"L'ultima
avventura" veniva mai ritrovato. Forse ambedue gli autori volevano
lasciarsi
una scappatoia? Camilleri comunque ha lasciato sopravvivere il suo
personaggio
nei due successivi lavori "La pazienza del ragno" e "La luna di carta".
Voci circolate
nei mesi scorsi parlano di una intenzione espressa dall'autore di
pensionare
in maniera incruenta il suo personaggio. Forse Camilleri
applicherà
la stessa tecnica che Conan Doyle ha usato con Sherlock Holmes?
Ma veniamo alla cose serie. Dopo l'11 settembre George Bush junior
e la sua amministrazione hanno utilizzato l'evento (anche qui
c'è
un cattivissimo, non creato ma certo amplificato) per far passare tutte
insieme una serie di norme antiterrorismo, ma in realtà
anti-privacy
ed anti diritti civili in Rete, che erano state precedentemente
respinte
dal Congresso od erano impantanate in commissioni varie.
C'è riuscito, ed è stata così partorita quella
mostruosità, dal punto di vista dei diritti civili che è
il Patriot Act, sancendo in moltissimi casi la fine "legale" del
diritto
alla privacy dei cittadini americani e, come possibile futura
conseguenza
politica e tecnologica, quella di tutti gli abitanti del pianeta.
Come era prevedibile (ed auspicabile), esaurendosi l'amplificazione
mediatica del grave attentato dell'11 settembre, che sta rientrando
nell'alveo
della Storia, voci dapprima timide poi sempre più forti hanno
cominciato
a protestare, prima nella pubblica opinione e poi nel Congresso; il
recente
rifiuto della proroga del Patriot Act ne è stato l'esempio fino
ad ora più clamoroso. In un certo senso il "personaggio" Privacy
è stato resuscitato perchè troppo importante per poter
essere
"abolito" di colpo.
Ed ecco che poco dopo lo stesso Bush fa passare una leggina
all'apparenza
"stupida", cioè l'estensione alla "Violence Against Women and
Department
of Justice Reauthorization Act" meglio nota in Italia come Galera per i
Troll. Fa questo utilizzando il mezzuccio silente di inserirla in un
più
ampio ed innocuo provvedimento di tutt'altro argomento.
Per carità, questa tecnica non è certo stata inventata
negli Stati Uniti; è stata già utilizzata ampiamente sia
in Italia che nell'Unione Europea. Due casi recenti sono la prima norma
sulla data retention applicata alle conversazioni telefoniche, infilata
nella legge Gasparri che parlava di ripartizione delle frequenze
radiofoniche
e televisive, ed i primi tentativi di approvazione della direttiva U.E.
sulla data retention, infilata in un provvedimento che trattava di
caccia
e pesca.
Questa legge, con una facciata meritoria di lotta alla diffamazione
ed allo spam, simile in questo a quella del Patriot Act, mira in
realtà
a ridurre la possibilità di esercitare diritti civili in Rete.
Un maligno potrebbe pensare che, visto che attaccare direttamente i
diritti civili in Rete eliminando il diritto alla privacy si è
rivelato
più difficile del previsto, adesso si voglia provare ad
attaccare
gli stessi diritti scoraggiando e limitando la libertà di
espressione,
usando quindi un metodo strisciante invece di uno violento. Montalbano,
parafrasando Andreotti, potrebbe dire che i maligni spesso c'inzertano.
Se da una parte questo potrebbe essere il positivo sintomo che la
privacy
è troppo importante per poter essere impunemente eliminata, pur
sfruttando magistralmente l'onda emotiva di un fatto gravissimo,
dall'altra
manifesterebbe il nuovo e più pericoloso "modus operandi"
dell'eliminazione
strisciante e "morbida" attraverso l'attacco alla libertà di
espressione
in Rete. Qui i DRM non c'entrano, è una motivazione
completamente
diversa.
Privacy e libertà di espressione sono due cose solo in apparenza
diverse e separate, ma in realtà intimamente collegate e
mutuamente
sostenentesi. E bisogna ricordare che se alla fine Conan Doyle ce l'ha
fatta a sbarazzarsi di Sherlock Holmes, lo ha fatto con mezzi non
brutali
ma morbidi.
Marco A. Calamari
La Stampa,
14.1.2006
Anticipazione. Nel nuovo romanzo la storia (in parte autobiografica) di un ragazzino e della
sua precoce iniziazione sessuale alla "Pensione Eva"
Camilleri la prima volta del picciliddro
Nenè trasì, Grazia darrè di lui: "Questa è la stanza dove lavoro io".Una cella. Anzi,
una cammareddra di spitale, pulitissima. C'era fetu di disinfittante
Il fascino del proibito
Si intitola “La pensione Eva” il nuovo libro di Andrea Camilleri, che
uscirà martedì da Mondadori (pp. 188, e14). Un romanzo
inconsueto, né giallo montalbaniano, né racconto storico:
si tratta di una storia in parte autobiografica, ambientata nella
Sicilia
dell’epoca fascista, quando lo scrittore era adolescente. Racconta di
un ragazzino di 12 anni, Nenè, e della sua iniziazione sessuale.
Nel
brano che qui anticipiamo il giovane protagonista entra per la prima
volta in un bordello (la Pensione Eva del titolo, di cui ha sempre
subito il fascino misterioso), nel giorno di chiusura, accompagnato da
una delle ragazze.
La Stampa,
14.1.2006
Da Catullo a Musil, da Maupassant a Joyce: quella signore onnipresenti
nella letteratura di ogni tempo
Lo scrittore va al bordello
Al protagonista di Camilleri per ora sta andando bene. Niente
di paragonabile con il cadetto lussurioso di Musil, che nel
“Giovane Törless” avvicina Bozena, la puttana del villaggio,
«creatura di mostruosa bassezza», e finisce col pensare
orrificato
alla propria madre. E forse neppure con Alessio Mainardi, il liceale di
Elio Vittorini, che nel “Garofano rosso” compie la sua
iniziazione con Zobeida, misteriosa prostituta drogata, abbandonandosi
alla grande tenerezza che la donna gli offre, quasi
un amore, e trascurando ovviamente la scuola. Quelle signore sono
onnipresenti nei romanzi, nella memorialistica e nella
poesia di tutti i tempi (basti pensare a Catullo), per non parlare
della filosofia. Se Nietzsche frequentava i bordelli pur limitandosi a
suonare il pianoforte per intrattenere le ragazze, sappiamo dal “Libro
dei cinici” che Cratete di Tebe (IV secolo a. C.) «portò
il figlio,
finita l'efebia, nell'abitazione di una meretrice e gli disse che suo
padre così aveva celebrato le sue nozze», a testimonianza
di una
pratica durata almeno fino al grande Jorge Luis Borges: secondo il suo
più recente biografo, Edwin Williamson, durante l’adolescenza
a Ginevra fu indirizzato dal padre a una prostituta che lo iniziasse
all’età adulta. Per strada gli venne però da riflettere
sul fatto che forse
il genitore era già stato a letto con la donna, e da allora non
riuscì più a separare il sesso dalla vergogna. Situazione
limite? No, basta
tornare in Sicilia per incrociare le ginnastiche del “Bell’Antonio” di
Vitaliano Brancati. Nel romanzo Antonio Magliano, grande fama
di conquistatore, è in realtà impotente; e il padre
Alfio, che non se ne vuol convincere, va a cercare la bella morte per
redimere, se non
il figlio, almeno il buon nome della famiglia. Con un grido invero
gallista: «Voglio che tutta Catania sappia che Alfio Magnani coi
suoi
70 anni andava a puttane!». L’incontro con la prostituta, luogo
letterario per eccellenza, è ambiguo e complesso. Quello con la
casa di
tolleranza lo è ancora di più, perché fa parte
esclusiva della nostra modernità. Non ci sono veri bordelli nei
libri anteriori al XIX secolo,
per la semplice ragione che non esistevano nella realtà. Vennero
istituiti in Francia a partire dal Consolato, quindi alla fine della
Grande
Rivoluzione. Lo scopo era di creare, come spiegano gli storici, un
luogo dove rinchiudere la prostituzione, renderla invisibile,
controllarla, circoscriverla e gerarchizzarla. La novità era il
sistema, non l’idea in sé, che risale almeno a Sant’Agostino,
cui tutti i
teorici della regolamentazione si richiamarono. Nel “De ordine” scrive
infatti il vescovo di Ippona: «Se sopprimete le prostitute, le
passioni sconvolgeranno il mondo; se conferite loro il rango di donne
oneste, l’infamia e il disonore corromperanno l’universo
intiero». Gli scrittori moderni, bisogna ammetterlo, presero la
faccenda molto sul serio. Sarà stato un alibi per frequentare i
bordelli,
divenuti a poco a poco, da «case chiuse» piuttosto
opprimenti, «case aperte» dove concedersi ogni piacere, da
quelli più trasgressivi
alla più banale e consueta socializzazione tra maschi? In ogni
caso, l’elenco è interminabile, dagli “Splendori e miserie delle
cortigiane”
di Balzac al delizioso bordello di provincia che ci racconta Maupassant
in “Casa Tellier”, dove le ragazze si rivelano, in una
scampagnata organizzata dalla «madame» per festeggiare la
prima comunione della nipotina, non solo nostalgiche dell’antica
purezza,
ma devotissime e addirittura commoventi. Sono donne del popolo. La
letteratura al bordello privilegia i «lupanari», quelli cui
si
rivolgevano la classe operaia e gli studenti, più che le
«maison» sontuose di gran lusso, riservate ai grandi
borghesi. C’è naturalmente
Des Esseintes, l’eroe di Huysmans, che le ama e le descrive. In “A
rebours”, testo sacro del decadentismo, le contrappone
sdegnosamente alle «birrerie con ragazze», altra
istituzione parigina che ebbe grande fortuna. Ma nel complesso trionfa
nei romanzi
la prostituta ingenua, povera, indifesa, poco trasgressiva, di buon
cuore. Non la pericolosa “Nanà” di Emile Zola (del resto
cortigiana
di alta classe), ma una rassicurante massaia del sesso. Il
cliché si conferma, per citare ancora un capolavoro, quello di
Tomasi di
Lampedusa, nelle prime pagine del “Gattopardo” (la preponderanza di
riferimenti siciliani, va da sé, è un esplicito omaggio
al nostro
Camilleri). Il principe di Salina si dirige a piedi «là
dove era deciso ad andare», pensando fra sé e sé di
essere un «peccatore», e due
ore dopo torna soddisfatto, anche se con qualche senso di colpa verso
la moglie Stella (madre dei suoi sette figli, primatista mondiale
nel farsi segni della croce), perché «Mariannina lo aveva
guardato con gli occhi opachi da contadina, non si era rifiutata a
niente, si era
mostrata umile e servizievole». Anzi, lo aveva chiamato
«principone», divertendolo un mondo. Tomasi di Lampedusa ci
dice quel che
hanno ripetuto infiniti suoi predecessori: il bordello è
l’adulterio legalizzato e sterilizzato. Ma non è la sola
definizione possibile. C’è per
esempio quella di James Joyce, che, nel cuore del Novecento, archivia
un’epoca. Il culmine dell’”Ulisse”, quando Leopold Bloom
incontra Stephen Dedalus, è infatti il capitolo sotto l’egida di
Circe, dedicato al bordello. Qui, dove ogni cosa si allucina in
qualcos’altro,
compaiono dalla cappa del camino cabbalisti e teste recise, parlano i
berretti e anche i campanelli mentre i due protagonisti rivelano la
figura archetipica del padre e del figlio, le prostitute sarcastiche e
sapienti Zoe, Kitty e Florry danno filo da torcere, per così
dire, al
mondo. Altro che adulterio soft. Il bordello non è più
rassicurante, getta in faccia ai lettori la traduzione più
ovvia, nel suo linguaggio,
del dilemma di Amleto sull’essere o non essere. È il luogo dove
i figli incontrano i padri e le madri, come Odisseo nell’Ade, e
viceversa.
Ragion per cui forse aveva ragione Borges a turbarsi per così
poco, quel giorno ormai lontano, a Ginevra.
Mario Baudino
Operaincerta,
n.6, 14.1.2006
Gli attori della concessione
Le interviste a Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio e
Francesco Paolantoni
Il 18 dicembre Operaincerta ha intervistato i protagonisti
della commedia “La concessione del telefono” di Andrea
Camilleri presso il Teatro Garibaldi di Modica, prima che iniziasse lo
spettacolo; e le interviste a Tuccio Musumeci, Pippo
Pattavina, Marcello Perracchio e Francesco Paolantoni sono stati un
divertente spettacolo nello spettacolo, sia per la qualità
degli attori, sia per l’atmosfera positiva, di grande affabilità
e affetto che si respirava nei camerini, dove non si sentiva distanza
tra gli attori da cartellone e gli altri attori della compagnia.
Lo spettacolo era stato già proposto a Modica la sera prima, ma
tutti gli attori, tranne Paolantoni, erano tornati a dormire a
Catania, da cui arrivano insieme su un pullman verso le sette di sera.
Siamo stati accompagnati nei camerini da Marcello
Perracchio, attraverso un dedalo di corridoi e porticine strette, tra
casse di scena e scalette in ferro, quasi a perdere l’orientamento.
Nel loro camerino Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, davanti a una
stufa elettrica, hanno risposto alle nostre domande con
grande disponibilità, confermando la grande sintonia artistica e
umana che hanno fra loro e prendendosi un po’ in giro.
Perché la scelta di Camilleri?
Musumeci: Noi Camilleri lo conosciamo da quando aveva quarant’anni,
prima ancora di essere famoso, quando lavorava ancora
nel cinema. Poi nel 1999 abbiamo portato in scena "Il birraio di
Preston" con grande successo.
È stato complesso passare dal romanzo al teatro?
Pattavina: C’è stato un notevole lavoro di sceneggiatura da
parte dello stesso Camilleri insieme al regista Di Pasquale, hanno
realizzato 8 versioni fino al rifacimento che potrete vedere stasera.
Quando si assiste ad un’opera tratta da un libro il pubblico tende
sempre a fare i confronti con l’originale e spesso resta deluso. In
questo caso, nonostante sia tratto da un carteggio, si è
riusciti a fare
la ciambella con il buco. Questa produzione ha avuto un tale successo
di pubblico che il prossimo anno sarà replicata.
Come vi siete trovati a lavorare con un napoletano?
Pattavina: Benissimo! In fondo apparteniamo, i siciliani e i
napoletani, allo stesso regno delle due Sicilie.
Musumeci: Abbiamo gli stessi ritmi teatrali, gli stessi tempi, non
è stato difficile lavorare insieme.
Che rapporto avete con la tecnologia, con internet?
Musumeci: Io non ci capisco niente, sono un perfetto asino. Io sono
nato nell’epoca dei citofoni e più che rispondere “Chi
è?” non so fare.
Pattavina: Anch’io sono fuori da questo mondo ma quando guardo chi usa
i programmi mi viene voglia di imparare ma non ho
tempo, mi scoraggio solo all’idea di cominciare.
Poi, Marcello Perracchio ci ha invitati nel suo piccolo
camerino, quasi restio a parlare, come se ancora non fosse
abituato al suo status di attore di livello nazionale e alla
considerazione che il teatro italiano ha di lui, come ci conferma poi
Paolantoni: si racconta con pudore e con voce sottile.
Hai fatto "Il Birraio di Preston", “Montalbano” ed ora ancora
Camilleri, come mai?
Perracchio: Il fatto è che Camilleri è un autore che va
per la maggiore ed avendo pochi testi interessanti da mettere in scena,
le rarità che la Sicilia si può permettere in campo
culturale vanno curate e il Teatro Stabile di Catania è molto
interessato da queste cose. Ridurre Camilleri non è facile, si
legge volentieri, ma poi… con questo spettacolo si è riusciti ad
avere il consenso del pubblico, un successo straordinario.
E Paolantoni, come vi siete trovati con lui?
Perracchio: Molto bene. È un ragazzaccio. (sorride) Un
ragazzo molto semplice.
Vorrei che ci parlassi delle tue origini.
Perracchio: Io ho cominciato da bambino, ai salesiani; come tutti gli
attori, ho recitato nelle rappresentazioni parrocchiali; poi
l’esperienza con la Piccola Accademia di Ragusa e nel 1981 sono passato
al professionismo. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi
attori. Mi ritengo fortunato, perché sono stato sempre ben
accetto, è stato in un certo senso semplice inserirmi. Il lavoro
di attore è un
lavoro che può portare a stressarsi, se preso con frustrazione,
rancore o a sentirsi solo un numero, dato che, a volte, si recita da
attore
protagonista e altre volte, quasi senza soluzione di continuità,
da attore di riempimento, perché, magari, in quel momento non
c’è una
parte adatta a te… può diventare routine e, anche per motivi
economici, bisogna accettare certe parti.
Io ho messo la famiglia al centro della mia carriera e, per fortuna,
sono riuscito a non vivere solo del teatro, che invece è rimasta
una grande passione. Non sono mai stato il classico attore che si
sveglia a mezzogiorno, ho fatto sempre in modo da non allontanarmi
troppo dalla mia famiglia, anche a costo di molti sacrifici. Da questo
punto di vista sono anomalo (come, in questo senso, lo è
anche
Tuccio Musumeci: due attori molto legati alla propria casa, capaci di
fare centinaia di chilometri pur di tornare la sera dalla
propria famiglia, n.d.r.)
Com’è recitare a Modica, la tua città?
Perracchio: Ti devo confessare che il Garibaldi rappresenta un tappa
importante per me. Sono quasi 50 anni che manco da
Modica, questo è il mio primo ritorno dopo gli spettacoli
scolastici che facemmo qui. Ma è un legame che vivo in modo non
drammatico, senza tensione.
Sono le nove meno un quarto e Paolantoni ancora non arriva.
Manca mezz’ora allo spettacolo, ma di lui nessun segno.
Poi, finalmente, lo vediamo arrivare carico di una guantiera di
cannolicchi e due bottiglie di vino. Anche lui è molto
disponibile,
ci chiede solo di aspettare un attimo e lo sentiamo brindare con i
tecnici, dietro il palco. Nei camerini la confusione è tanta e
per
avere un po’ di tranquillità ci mettiamo in una stanza vuota;
Paolantoni sembra molto contento e disponibile.
Raccontaci di questa tua esperienza con lo Stabile di Catania.
Paolantoni: È la prima volta che lavoro con lo Stabile di
Catania, è la prima volta che lavoro con Tuccio Musumeci, Pippo
Pattavina e Marcello Perracchio, che è una pietra miliare del
teatro, soprattutto siciliano. Questa è un’esperienza molto,
molto
divertente, che mi ha arricchito e dato la possibilità di
conoscere la realtà siciliana, soprattutto quella del teatro
siciliano; anche
perché frequento la Sicilia da diverso tempo ed è una
terra che adoro! Volevo prendere una casa a Catania, ma adesso che
conosco
Modica, ho pensato di penderla qui! Una città splendida,
fantastica! Artisticamente è stato molto interessante
perché sono riuscito
a coniugare il teatro siciliano con la tradizione napoletana, visto che
comunque noi tutti veniamo dalla stessa storia teatrale, la
commedia dell’arte, la lingua mediterranea, le assonanze e la
musicalità. È stato veramente un connubio molto felice.
Quindi un connubio perfetto tra attori siciliani e napoletani.
Paolantoni: Perfetto, veramente perfetto, anche sotto l'aspetto dei
tempi, dei ritmi, dei…
Non era semplice portare sulla scena un romanzo epistolare…
Paolantoni: La riduzione teatrale è stata molto lunga e
faticosa, ne hanno fatto più o meno otto o nove versioni… e poi,
al
linguaggio camilleriano ciascuno ha aggiunto il suo. Io ho aggiunto un
po' di napoletano alla Paolantoni e questa commistione, mi
sembra, ha funzionato molto bene. Io mi sento molto gratificato da
questo.
Arricchito…
Paolantoni: Molto, molto. Mi piace assai aver conosciuto gli altri.
È stata veramente una bella esperienza.
L’anno scorso sei venuto a Ragusa con un altro lavoro e fu una
serata strana, gli spettatori erano pochissimi, forse meno
numerosi della compagnia. Che hai provato quella sera?
Paolantoni: Vero! Sì, sì. Infatti mi sono chiesto il
perchè di quella situazione. In occasioni come quella, di solito
mi prendo la colpa
dell'insuccesso, anche perchè mi secca dare la colpa agli altri.
Ma forse lo spettacolo non è stato pubblicizzato molto bene. In
ogni caso
bisogna sempre chiedersi perché succedono certe cose…
Si trattava anche di uno spettacolo gratuito.
Paolantoni: Pure? (risate)
Ma un attore, quando ha di fronte poca gente, cosa prova?
Paolantoni: Si dice che la gente non vuole venire a vederlo, pensa di
aver sbagliato qualcosa… E quando capita, negli ultimi
tempi per fortuna raramente, ti chiedi: mamma mia che sta succedendo.
Sì, è stato avvilente. Per fortuna è stato un
episodio.
E in televisione, che tempo fa?
Paolantoni: In televisione… (ride) in generale fa brutto tempo,
pessimo, come in tutta Italia, sia metereologicamente
parlando che per il resto: è uno specchio dell’Italia, della
politica. Però, forse, io sono riuscito a ritagliarmi uno spazio
su Rai 3, che
è ancora una isola felice, più culturale e intelligente,
dove si possono dire ancora delle cose… è ancora la rete
più godibile, più
frequentabile e per la quale, a fine marzo, farò un mio
programma, un varietà in otto puntate in cui riuscirò a
sfogarmi un po’.
Operaincerta è una rivista on-line, tu che rapporto hai
con internet?
Paolantoni: Pessimo, pessimo.
Come il personaggio? (Ci riferiamo al nonno multimediale,
n.d.r.)
Paolantoni: Magari. Il personaggio anticipava molte cose…
Ne abbiamo parlato con Musumesi e Pattavina e anche loro ne
sono molto distanti…
Paolantoni: Io non mi sono appassionato. Rispondo alla posta,
però non mi sono appassionato e certamente il mio lavoro non
è legato direttamente al web. Forse dovrei appassionarmi a
prescindere… io invece sono un cinema dipendente, un tele dipendente,
dalla mattina alla sera vedo sitcom americane, di cui sono un cultore,
le conosco tutte, da quando sono nate, situation comedy che
si svolgono in interno, come "Friends", ad esempio. Le preferisco ai
giochi su internet.
Sei stato a Ragusa?
Paolantoni: No, ho ancora tanto da vedere, questa è una terra
fantastica. Siete stati molto sottovalutati. Qui c’è una
maggiore
civiltà rispetto ad altre zone di Italia considerate comunemente
più civili. Anche le persone sono molto più avanti;
Catania è molto
colta, dinamica. Straordinaria. Io spero di venire in estate con lo
spettacolo “Che fine ha fatto il mio Io”. Mi piacerebbe organizzare
un tour siciliano, in modo da poter tornare qui.
Gianni Giampiccolo e Meno Occhipinti
La Repubblica,
14.1.2006
Il grande sondaggio tra i lettori di Repubblica per scegliere i
più votati nei diversi
campi: sport, politica, film, dischi, libri, auto e personaggi
internazionali
I magnifici sette scelti dai lettori
I libri
La Rosa di Eco trionfa su tutti
[...]
Sorprende che Andrea Camilleri, uno degli scrittori che in questi anni
hanno dominato
le classifiche, arrivi solo undicesimo (Il birraio di Preston).
Corrado Augias
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 15.1.2006
L´intervista
Camilleri "Il mio libro in una casa di tolleranza"
Parla lo scrittore: Nenè, Ariosto e le "signorine"
"Che luoghi straordinari per i giovani di allora"
Questo libro è stato come una vacanza ma badate che non parlo di
sesso
Ho consegnato alla Sellerio l´ultimo atto della storia di
Montalbano
Da micronarrazione "genetica", contenuta nella raccolta di
detti e sentenze “Il gioco della mosca”, a romanzo vero e proprio.
Quello che uscirà martedì prossimo, per i tipi della
Mondadori, dal titolo “La Pensione Eva”. Attraversa questi due estremi
la storia raccontata da Andrea Camilleri nel nuovo libro: una storia
d´altri tempi, legata alla casa di tolleranza di Porto Empedocle.
Una storia che in dieci anni si è espansa, sino a popolarsi di
personaggi come Nenè, Ciccio, tutti quanti con un´idea
fissa nella testa: quella di affittarsi le "femmine nude" (Erminia
Davico, in arte Iris, Emanuela Ritter, in arte La tedesca, Maria
Stefani, in arte Lupa) della pensione. Una trama smaccatamente
brancatiana: non può non venire in mente la Pensione Eros
frequentata dal "Bell´Antonio". «Lo so - ammette Camilleri
- con questo romanzo il piatto della mia bilancia narrativa pende
ancora di più dalla parte di Brancati, allontanandosi da
Sciascia e Pirandello. Certo, nella scrittura e non solo, di solito mi
lascio andare un po´ troppo, cedendo spesso al turpiloquio.
Mentre Brancati aveva un temperamento più anglosassone».
In questo suo nuovo romanzo non c´è nulla di pruriginoso
nel linguaggio: siamo di fronte a una svolta?
«Il fatto è che questo romanzo me lo sono concesso come
una vacanza, una sorta di lunga distrazione. Da qui l´anomalia
della trama e soprattutto dello stile. Mi deve credere: nel romanzo non
si trova una "minchia", nemmeno a pagarla a peso d´oro».
“La Pensione Eva” racconta la formazione di un ragazzino siciliano. Ma
cosa accade tra le pareti della pensione?
«I discorsi intavolati riguardano gli aspetti quotidiani
dell´esistenza. Niente sesso, dunque. Lei capisce che il
protagonista del romanzo, Nenè, è un privilegiato: lui ha
a disposizione tante ragazze con cui parlare, confrontarsi, confidarsi.
Davanti ai suoi occhi si dispiega un immenso, straordinario catalogo. E
non deve fare altro che comportarsi alla stregua di un entomologo. In
poche parole, nel romanzo racconto un´esperienza di vita
straordinaria».
Non è dunque soltanto un romanzo sui casini, “La Pensione Eva”?
«Macché. Nel libro c´è la vita e
c´è anche la morte, e tutto ruota attorno a questi luoghi
straordinari che erano le case di tolleranza. Attenzione: non è
che alla mia età mi sono messo a rimpiangere i casini. È
solo che allora rappresentavano per i giovani dei luoghi di incontro
importanti. Il rigore era assoluto. Oggi i posti in cui i ragazzi si
radunano sono spesso più squallidi e più
pericolosi».
Nella formazione di Nenè, un ruolo rilevante spetta nientemeno
che all´”Orlando furioso”: come mai?
«Il fatto è che Nenè scopre la donna attraverso il
capolavoro dell´Ariosto. Lui ha la fortuna di possedere
un´edizione del “Furioso” su carta spessa e patinata, illustrata
da Gustave Dorè. Da quell´opera Nenè
ricaverà linfa per la sua fantasia: sarà la sua lettura
principe».
Come mai il romanzo non l´ha dato a Elvira Sellerio?
«Per un semplice motivo: “La Pensione Eva” non è cosa da
lettori selleriani. Dopo “La presa di Macallè”, ho ricevuto
lettere di signore indignate che per porco mi prendevano e per porco mi
lasciavano».
La Sellerio, e i lettori selleriani si consoleranno con un nuovo
Montalbano, anche se pare che le cose per lui si metteranno male…
«Lei fa riferimento all´ultimo romanzo della serie, che ha
come titolo provvisorio “Riccardino”, e che da tempo ho dato a Elvira,
a futura memoria. Lì Montalbano sparirà per sempre, e
senza possibilità di ritorno».
Non saranno in pochi a mettere la fascia nera al braccio…
«Il lutto per ora è lontano: voglio rassicurare i miei
lettori. Infatti, ho già scritto una nuova avventura di
Montalbano, “Il campo del vasaio”, che è quello dove si
impiccò Giuda. E lì il commissario è vivo e
vegeto».
Salvatore Ferlita
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 15.1.2006
Il nuovo romanzo di Camilleri ripercorre l´epopea delle case di
piacere
Quando a Palermo c´erano le "pensioni"
La mappa della città si estendeva dal Cassaro al Politeama
Una festa triste con spumante per l´addio della legge Merlin
Dove ci sono campane ci sono buttane, recita un adagio
popolare, antico quanto la "cucca". Figuriamoci a Palermo dove i
campanili sono oltre 150. E tutti rintoccanti. In ogni luogo segnato
dall´uomo c´è prostituzione, che ovviamente
asseconda i mutamenti dell´organizzazione sociale e della morale
del tempo. Mercificio libero, case chiuse, luci rosse clandestine,
lucciole per strada e così via fornicando. Con una costante:
giovani e meno giovani, cocotte e donne d´alto bordo, more e
bionde, magre e grasse, alla portata di tutte le tasche e di tutte le
età.
Andrea Camilleri ambienta il suo ultimo romanzo a Porto Empedocle nella
Pensione Eva, eufemismo di casino. A Palermo durante il fascismo e fino
alla chiusura nel 1958 ce n´erano decine di bordelli legalmente
riconosciuti, quasi tutti concentrati nel centro storico, allora cuore
e portafoglio della città. «Il più prestigioso era
quello gestito da Teresa Valido, in corso Vittorio Emanuele, versante
mare - ricorda Aurelio Bruno, 84 anni, giornalista in pensione, memoria
storica di un´epoca ormai cancellata dal tempo - Specchi, divani,
canapè, letti a baldacchino, donnine nude alle pareti, come
quelle illustrate nei calendari dei barbieri. Durante il regime ci
andavano i gerarchi fascisti, negli anni dell´occupazione gli
ufficiali americani e poi la buona borghesia. La maitresse era una
facoltosa donna di Riesi. Una grande personalità capace di
mettere tutti in riga. Alle Pensione Flores, in via Gagini, invece,
andava a soddisfare i propri istinti il bandito Salvatore Giuliano,
prima che le belle donne cominciassero a raggiungerlo nelle sciare
segrete delle alture di Montelepre».
Ogni quindici giorni le ragazze cambiavano in una girandola nazionale
attivata per tenere desti la curiosità e il desiderio. Una sorta
di globalizzazione del sesso. Mentre le "vecchie" partivano, arrivava
la nuova "quindicina". «Nemmeno il tempo di entrare nella
Pensione e il cocchiere le conduceva in questura per la registrazione -
continua Bruno - La tettoia della carrozza doveva restare rigorosamente
chiusa perché la visione delle donnine era considerata
scandalosa. Questa operazione veniva chiamata "cuppune", dal coupon,
impegno di pagamento, che gli ‘gnuri ricevevano dalla polizia per
svolgere questo servizio. Le ragazze delle case chiuse potevano uscire
solo per un´ora al giorno e mai in gruppo».
Le tariffe delle "marchette" variavano da casa a casa, in media 5 lire
per la prestazione normale, dieci per la "doppia", 15 lire per
mezz´ora di sesso e 30 per un´ora. Il mitico dottor
Catanzaro (nessuno sapeva il suo nome) passava ogni settimana a
visitare le ragazze, prima delle dieci del mattino, orario di inizio
dell´attività. Ma c´erano le irregolari sparpagliate
nei bassi del centro, a cui si rivolgevano i minorenni e i poveracci,
che si concedevano per molto meno e con molti più rischi. Scolo
e sifilide erano malattie frequentissime.
Aurelio Bruno "debuttò" nel 1942 alla Pensione Iolanda di vicolo
Ventura, vicino al Politeama. «Ma poi cominciai a frequentare la
Pensione Buganè al numero 10 di piazza Sant´Oliva.
C´era una certa Tamara, la padovana, che mi piaceva molto. Tanto
che in seguito andai a trovarla a Padova, la sua città, dove era
tornata a vivere in via San Cristoforo, 15. Le feci la posta e la
beccai in un cinema dove davano "I dieci comandamenti". Mi venne da
ridere pensando che sicuramente uno dei dieci lo avevamo trasgredito
insieme».
L´ex giornalista Rai trascorse con Tamara e le sue compagne,
Claretta la veneta, Monica la romana, la notte dell´addio.
«Maledetta legge Merlin. Ricordo come fosse ieri quel 20
settembre del 1958. Ci fu una festa di commiato in cui le lacrime
scorrevano a fiumi come lo spumante nei bicchieri. Ci sentivamo sul
Titanic mentre affondava». La stessa atmosfera in quel momento si
stava vivendo nelle altre pensioni: Delle Rose (via Ventura), Taibi
(piazza Monte di Pietà), Verneille e Settequarti, entrambe in
vicolo Marotta, Pensione Igiea (via Lungarini). Al numero 65 di via
Candelai, quella sera maledicevano la legge approvata giusto mentre
loro stavano allestendo il casino. Non è mai entrato in funzione
e oggi ospita uno dei pub più frequentati dai giovani
palermitani.
Alla Pensione "900", invece l´addio era stato molto più
tragico in quel terribile marzo del 1943. Sotto le bombe delle
micidiali quattrocento fortezze volanti dell´aviazione alleata
erano saltati in aria tutti e tre i piani, eden del sesso, seppellendo
una decina di donne, la tenutaria, l´apriporte e decine di
marinai che erano andati a festeggiare la libera uscita.
«Il balcone della mia casa in via Lungarini era attiguo a quello
della pensione Igiea - riprende Bruno - Quando con i miei amici
facevamo chiasso la maitresse si affacciava sul balcone fiorito e ci
apostrofava con queste parole: «Smettetela, ragazzi. Ma insomma,
una signora che ha lavorato tutta la notte ha o no il diritto di
riposare?». E noi risate. Poi appena maggiorenne diventai
cliente. Casa e bottega come suole dirsi. Ricordo che il marito della
sorella della proprietaria della casa, sottufficiale di polizia, fu
costretto a dimettersi per il mestiere della cognata. Poveruomo
finì con il fare il contabile nello stesso casino».
"L´Unità" in origine aveva la redazione palermitana vicino
alle due case chiuse di vicolo Marotta. Il capo cronista del tempo
Daniele Enriquez si divertiva a fare scherzi telefonici chiedendo
prestazioni strane. Una volta restò di gelo quando dalla signora
Anna, maitresse della Buganè, si senti rispondere: «Non
faccia lo scemo che l´ho riconosciuta. Lei è quel porco di
padre Morello». «Il bordello era interclassista - sorride
Bruno - Più o meno ci passavano tutti. Anche qualche prete.
Quando c´erano presenze importanti l´anticamera veniva
chiusa oppure si organizzavano gli incontri dalla mezzanotte, orario
ufficiale di chiusura, in poi».
Dopo la messa al bando ci fu la diaspora. Le donne di vita si
dispersero e molte con i risparmi comprarono degli appartamentini dove
continuarono a esercitare. Claretta in via Roma, Nicoletta "trimuturi"
all´Albergheria, Marisa in via Mazzini, la "spagnola" in via
Gravina, Luna "l´acrobata" in via Cerda, la "sciancata" in via
Monte Pellegrino, tante altre in via Crispi di fronte al porto. In poco
tempo tutti gli anfratti della città vecchia, dal Borgo alla
Vucciria, si riempirono di lucciole. Una di questa era Maddalena Lo
Biondo, 26 anni. Fu trovata accoltellata in un basso di via Santa
Rosalia, al Borgo, la notte del 18 gennaio 1965. Accanto a lei il corpo
di Ahemed Nomad, 19 anni, un giovane marinaio yemenita. Del duplice
delitto venne accusato Giuseppe Panzica, detto "Pino u pullu" di
professione magnaccia, e Vincenza Montoro, anche lei prostituta. Il
delitto riempì per mesi le cronache dei giornali. Così
come quello di "Helga" in via Mazzini, qualche anno dopo. E di Giovanna
Di Falco al numero 13 di piazza Sant´Oliva il 18 novembre del
1968. Ormai le prostitute erano nelle mani dei protettori. Spesso mani
violente.
La capitale del vizio era piazza Gran Cancelliere, una traversa del
Cassaro. Da duemila a tremila lire le tariffe. Ogni tanto, a scadenza
periodica, una casa veniva, e viene, scoperta dalla polizia. E poi,
come il rintocco delle campane, tutto ha ripreso il suo corso. In una
di queste operazioni qualche anno fa è incappata Provvidenza
Conti, "Enza" per gli amici, ex sciantosa che a 89 anni gestiva ancora
una casa in via Cerda. È finita agli arresti domiciliari.
Oggi le lucciole, al calare delle ombre le si incontrano ovunque: nelle
traverse vicino alla stazione, alla Favorita, in via Roma. Spesso sono
"schiave" arruolate all´estero, Nigeria e paesi dell´Est. I
protettori però ci sono sempre, come le buttane e le campane. Ma
andare a pulle non è più un vanto. «Prima i
puttanieri erano ammirati e invidiati - dice Ignazio Coppola,
segretario provinciale dei Comunisti italiani, che ha vissuto quelle
atmosfere peccaminose - Non c´era la liberalità dei
costumi di adesso, né le malattie di adesso. Le prostitute erano
l´unica via di accesso al sesso. Andare a puttane era una
filosofia di vita largamente condivisa. Oggi con l´Aids è
un azzardo. Bisogna ricordarlo ogni giorno ai nostri figli».
Tano Gullo
TG5, 16.1.2006
Intervista ad Andrea Camilleri in occasione della
pubblicazione de "La
pensione Eva"
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Carlo Gallucci
17.1.2006
Fiorello legge "Un filo di fumo"
L'espresso pubblicherà
la versione in audiolibro di Un filo di fumo, letto da
Fiorello.
Adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale,
con la supervisione di Andrea Camilleri. Musiche di Enrico Rava, Olivia
Sellerio
e Paolo Damiani. La produzione è della Full Color Sound di
Vincenzo Sicchio.
TG3 (ore 14:30),
17.1.2006
Intervista ad Andrea Camilleri in occasione della
pubblicazione de "La
pensione Eva"
Stilos, 17-31.1.2006
Autori italiani. Andrea Camilleri
Il tempo dell’amore nel tempio di Venere
L’età dell’infanzia rimemorata in una sotie di invenzione e
ilarità. Quasi un sogno fiabesco su ricordi reali legati
alla presenza di una casa di tolleranza a Porto Empedocle che ha acceso
la fantasia dei “ragazzi del ’25”. Una prova
d’omaggio alla memoria
Sebbene avverta in finale di libro che «il racconto
non è autobiografico», l'intera parte iniziale posta
sotto un calembour di schietto gusto camilleriano,
«Gradus ad Parnassum», risponde (con la fedele
riproposizione anche di alcuni brani) a quanto CamilIeri ha
già scritto in “I1 gioco della mosca” ricordando la Porto
Empedocle della pensione Eva, una casa di tolleranza che negli anni tra
le due guerre, prima di essere distrutta dalle bombe alleate,
animò non poco le notti del paese: la confidenza del padre che
lì dentro gli uomini affittavano le donne per guardarle nude, le
rivelazioni - tra sorpresa e peccato - dei bambini più
grandi, l'educazione sessuale intrapresa con una cuginetta
giocando al dottore in soffitta, l'idea che fosse meglio di una
locanda e peggio di un albergo. Inventate certamente sono
invece le frequentazioni della pensione, sue e dei suoi compagni
di liceo, con i quali piuttosto (quelli reali: Ciccio Burgio, Giuseppe
Fiorentino, Alfonso Gaglio) altri furono gli interessi condivisi,
a cominciare dal teatro: passione in omaggio alla quale fondarono pure
una compagnia teatrale, battezzata «Maschere nude», che
riusciva a riempire di gente colorita il vecchio teatro Mezzano,
posto - in un estemporaneo ma quanto mai burlersque e pittoresque
misto di natura e cultura - proprio alle spalle della ancora
più colorita pensione Eva. Che Camilleri ricorda benissimo,
a rileggerlo in “I1 gioco della mosca”, ma solo per averla vista
da fuori. Ricorda infatti «un floreale cartiglio sopra il
batacchio del portone eternamente semichiuso», portone che non
essendo mai ne sbarrato ne spalancato, ma socchiuso, doveva
instillare nella sua mente bambina fascinazioni e attese ancora
più pruriginose e mesmeriche, un antro di chissà
quali prescienze immagate e versicolari.
Il mood di questo libro, “La pensione Eva” (Mondadori, pp. 183, euro
14) è in un passo di quell'altro e nell'interrogativo che
l'autore ricordava come una nota di basso continuo:
«Perché la pensione Eva, ai margini del paese, proprio sul
molo, come immacolata di fresco, con le persiane luccicanti di verde
sempre chiuse, non presentava di giorno alcun movimento? Era
questa la domanda che mi ponevo quando guardavo quella
casetta a due piani, linda, aggraziata, con i fiori sui
davanzali, che proprio pareva la casa delle fate buone».
Camilleri ha conservato dunque un ricordo caro di quella presenza
conturbante, di assoluta «tolleranza» da parte del paese. E
della «casa delle fate buone» ricorda soprattutto
l'assenza di movimento durante il giorno, quando la guardava nei
dettagli, non potendola osservare la notte nel suo fantasmatico pieno
di «vita».
Quello stato di fissità e di inanimazione che gli suggeriva
la vista della casa si è mutato, passando dalla memoria
infantile alla mente senile, in un tourbillon di brio e ardore,
in un carosello vertiginoso di scene e azioni da helzapoppin',
un vaudeville che sulla quinta di uno stesso fondale, il salone
d'attesa della casa, ingrada e alterna figure e macchiette,
siparietti e bavardage tra sotie e pochade,
cachinni e cochon. Dove la vocazione tutta teatrale di
Camilleri si leva come un canto libero ora librandosi a
un'altezza di divertita invenzione letteraria ora ripiegandosi
raccolto sul suo piccolo mondo perduto dell'infanzia e
dell'adolescenza.
Tra bombardamenti, feste patronali d'antan, pagine rimemorate
dell'Orlando furioso, vedute e luoghi come la Scala dei
turchi e gli scagni degli armatori, le navi ormeggiate al porto e
gli scherzi da «ragazzi del '25» la pensione Eva si
presta a scandire un tempo antifrasticamente felice facendosi
topos del costume più felliniano, in un clima di
«amarcord» dove la nave Rex viene dal molo vista e
fantasticata come un cosmorama rivolto sul futuro. Cè
tutto Camilleri bambino contento in questo libro sorgivo e
incoatto, ricomposto sulla lezione esplicita di Patti, del suo wit
circa l'iniziazione al sesso, tra ammicco e smiccio, e che pure
è in debito con il Bufalino di “Argo il cieco” per la riuscita
congiunzione di camaraderie e campanile, paesani e paese. Tutto
entro uno spirito sinestetico, di odori e sensazioni che
risvegliano ricordi e immagini, di fumi mentali e profumi reali,
che sono non a caso frequentissimi in questa prova che non è
romanzo ma una concatenazione di racconti e ragguagli
personali.
Sicché fa bene Camilleri a precisare che stavolta si è
voluto prendere una «vacanza narrativa» scrivendo un testo
che definisce «fortunatamente inqualificabile», vale a
dire indeterminabile. Nel quale anche il titolo è dissonante
rispetto al repertorio di complementi di determinazione che costellano
le sue copertine. Potrà sembrare un ritorno agli eccessi
coprolalici di “La presa di Macallè” e Nenè
assomigliare troppo a Michelino, ciò che forse è proprio
vero, ma qui non c'è artificio ne gravame. Camilleri si è
voluto mettere a ricordare tra riso spontaneo e pianto sommesso. E
siccome i ricordi si riconvertono spesso in sogni, si è messo a
ripensare al Nenè che è stato a metà: nel mondo e
nel tempo di una fiaba che ha scritto per sé. Con spirito acceso
dall'emozione dice tutto di questa intenzione quando in chiusura
specifica di avere voluto “a pensione Eva” per i suoi ottant'anni. Un
regalo sibi et paucis dunque, sotto l'ispirazione
dell'età e del suo animo rimasto bambino. Peccato
però che non abbia colto l'occasione di prendersi una
vacanza anche da Vigata e di restituire al suo paese il vero nome.
Stavolta è di Porto Empedocle che infatti Camilleri parla, senza
infingimenti né sipari. Ma la premura a rendere letteraria anche
la realtà e premunirsi dando per finto ciò che
però non è falso ha fatto gioco sui sentimenti. Salvo
che, come crediamo, sia stato il pudore a spingere Camilleri a
compiere atto di preterizione. O forse, chissà, il candore.
Gianni Bonina
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 17.1.2006
Il personaggio
Mino Blunda lo scrittore riservato
L´autore di "L´inglese ha visto la bifora" è morto
sabato a Palermo
[...]
A Mino Blunda accade anche di lavorare accanto a Orazio Costa e ad
Andrea Camilleri, realizzando l´adattamento
del Matrimonio di Nikolaj Gogol.
[...]
Salvatore Ferlita
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 17.1.2006
L´anniversario
Il ritorno di Vittorini un siciliano anomalo
Un siciliano anomalo che guardò oltre l´Isola
[...]
Tutti i grandi autori isolani hanno letto la realtà in modo
personale: per Verga è tragedia; per Pirandello un contenitore
di interiorità; per Capuana prima verismo e poi metafisica; per
Tomasi di Lampedusa immutabilità; per Rosso di San Secondo
è la fantasmagoria delle maschere; per Brancati un fondale
semiserio per il teatrino delle sue caricature; per Sciascia
irredimibile; per Consolo violazione; per Lucio Piccolo evocazione del
mito; per Stefano D´Arrigo epopea sostanziata da
una tramatura di parole; per Cattafi il vuoto; per Patti decadimento;
per Camilleri un insieme di incastri; per Bufalino ricerca
di armonia.
[...]
Tano Gullo
La curiosità
Una casa di piacere come "La pensione Eva"
In questi giorni si parla tanto de "La pensione Eva" il nuovo
romanzo di Camilleri ambientato in un casino Sullo stesso
tema, nel 1933 Vittorini aveva scritto "Il Garofano rosso";
l´iniziazione del giovane Alessio diviso tra l´amore per la
sua
compagna di liceo e la scoperta del piacere con la prostituta Zobeida.
Guide SuperEva,
18.1.2006
Pindaro ispira Camilleri
L’ode a Mida raccontata in "La pensione Eva"
Camilleri non è nuovo nel desacralizzare classici
venusti e vetusti, citandoli nei suoi straordinari romanzi. Ne "La
pensione Eva",
il greco stesso è oggetto di divertite attenzioni dal momento
che il terribile studente Jacolino, che fino a qualche tempo fa di
greco
e di latino ne capivi quanto ne può capire, che so, una vacca, o
meglio, una cacca impara a perfezione quelle difficili grammatiche
dopo un ciclo di ripetizioni tenutogli da una prostituta.
Il fascino nel passato aleggia però nelle aule di quei lontani
ginnasi: all’inizio del quarto capitolo, "Prodigi e miracoli",
Camilleri
scrive così: Una matina, alla scola, la professoressa di
greco liggì e spiegò un’ode che Pindaro aveva scritto per
un montelusano,
che di nome faceva Mida e che aveva vinto i jochi pitici suonando il
flauto. A questo Mida era capitato, mentre faceva la gara, che
gli si era rotta la linguetta dello strumento, ma lui non si era perso
d’animo: girato il flauto, lo aveva trasformato in zufolo e aveva
continuato vincendo la gara.
Questa storia addrumò la curiosità di Nenè (il
protagonista), gli fece veniri la gana di sapere com’era Montelusa
ai
tempi dei greci e dei romani.
Affascinata dal riferimento fresco e immediato, sono corsa a rileggermi
la dodicesima Pitica (probabilmente interpolata), che qui
vi ripropongo nella versione di Bruno Gentili.
Benedetta Colella
Questa corona da Pito
Per Mida illustre,
e lui stesso vincitore dei Greci
nell’arte che un giorno trovò,
intrecciando il funereo lamento
delle violente Gorgoni, Pallade Atena;
dai loro capi di vergini
e dalle testa inaccessibili dei serpi
ella l’udiva strillare
con luttuoso travaglio,
quando la terza parte
delle sorelle Perseo eliminò
recando rovina
A Serifo marina e al suo popolo
Così fiaccò la stirpe mostruosi di Forco
e volse in lutto Polidette
il convitto e il costante servaggio
della madre e l’imposto connubio
poi ch’ebbe rapito
il capo di Medusa dalle forti gote
il figlio di danae che nacque, si dice,
dall’oro che piovve spontaneo
Ma quando da queste fatiche
ebbe salutato l’eroe diletto,
una melodia compose
con tutte le voci dell’aulo,
per imitare con lo strumento
il lamento sonoro scaturito
dalle mascelle frenetiche di Euriale.
La dea la trovò e trovatala
Ne fece dono agli uomini mortali
la chiamò aria dalle molte teste,
glorioso incentivo alle gare
Il Tempo,
18.1.2006
Per Niffoi una «Spoon River» barbaricina
Camilleri, storie di sesso per principianti
L’identità che viene dalla lingua - l’identità
di italiani, di mediterranei - la salvano impastando il dialetto con
parole inventate. Niente forestierismi, niente pagine asettiche.
Abbasso il pulp all’americana di Chuck Palaniuk, abbasso il giallo in
serie alla Tom Clancy, abbasso gli intellettualismi inutili, l’erotismo
finto-ingenuo alla Melissa P. E invece sì a una parola
sfarfallata di senso, stratificata di suoni e di colori. Come il
muggito di un muflone e il sibilo di un cuculo. Come lo zufolare di un
ragazzino al pascolo, il sibilo del vento, gli umori degli amici seduti
al baretto di paese, lo schiocchio della lingua davanti alla padella
con la caponata, alla ricotta calda. Eccoli i nuovi dialettali, gli
scrittori che rischiano di essere isolati - loro isolani - per quel
vezzo di impastare nell’argilla delle parole e che invece diventano
casi letterari. L’ultimo arrivato è Salvatore Niffoi, classe
1950, mezzo professore di scuola media, mezzo ceramista, mezzo
scrittore. Anzi, scrittore lanciatissimo dopo che Adelphi gli ha
pubblicato quella sorta di Antologia di Spoon River in prosa e in salsa
sarda che si intitola «La leggenda di Redenta Tiria». Dove
lo sfondo è Abacrasta, quattro case nella terra della Deledda
che non si trovano in nessuna carta geografica e dove non muore mai
nessuno. Almeno di vecchiaia, perché invece la gente di
Abacrasta ha il vizio assurdo di suicidarsi, attaccandosi una corda al
collo. Al punto che chiamano quel posto sperduto e sconosciuto, segnato
dal destino e da una sorta di ineluttabile nemesi, «il paese
delle cinghie». Dal canto suo inventa parole da venticinque anni,
e vuol liberare la lingua dalla prigione della razionalità,
Gavino Ledda, il pastore letterato che nel ’75 la Feltrinelli
consacrò scrittore e che adesso progetta di rifare nella propria
lingua, un sardo reinventato, l’indimenticabile autobiografico
«Padre padrone». E poi il fenomeno Camilleri. Con quel
siciliano sornione, variegato di dialetto e fantasia, con quei
commissari di poche parole, che nicchiano sullo sfondo di Vigata, altro
borgo assolato di case bianche che non esiste in nessuna enciclopedia
eppure è la quintessenza dei borghi di Sicilia. Isolani e
isolati. Non si piegano alla globalizzazione,
all’«esperanto» di tutti i popoli e di tutte le razze, al
meticciato delle lingue. E forse vincono proprio perché restano
con l’immaginario legato all’orto di casa, all’ovile della collina
accanto, alla bottega, al commissariato di paese.
[…]
E se la lingua di Ledda è un miscuglio di speculazione
filosofica e di ancestrali cadenze, più facile - quasi
istrionica - è quella di Camilleri. Nuovi fuochi d’artificio nel
libro appena uscito, «La pensione Eva» (Mondadori), nel
quale l’inventore del commissario Montalbano racconta la propria
educazione sentimentale ed erotica al casino di una Vigata anni Trenta.
Dove Nenè, Ciccio e Jacolino, giovanotti ai primi turbamenti
ormonali, andavano a taliare le fimmine. E «le storie che quelle
picciotte potevano contare gli avrebbero permesso di capire qualichi
cosa di lu munnu, di la vita». Chissà se Niffoi
avrà la fortuna dell’irresistibile ascesa capitata a Camilleri -
per anni e anni soggettista e sceneggiatore di gialli tv, poi autore di
innumerevoli best sellers.
[…]
Lidia Lombardi
Il
Messaggero, 19.1.2006
Tutte le “corde” del commissario Montalbano
La ricerca di Ornella Palumbo su Camilleri
Camilleròmane, Camilleròfila, persino
Camilleròfaga. Così si autodefinisce Ornella Palumbo,
fondatrice e guida, a Roma, del Premio letterario “Orient-Express”,
già autrice di saggi sulla comicità
nella narrativa italiana, nonché interprete di Andrea Camilleri.
In pagine minuziose, con intuito e buon
gusto, ora torna a esaminare l’universo dello scrittore siciliano, ne
analizza il linguaggio, la miscela
d’italiano e dialetto. "L’incantesimo di Camilleri" (Editori Riuniti,
10 euro) non intende appurare se
l’inventore del commissario Montalbano sia un grande romanziere. Vuole
capire «quali corde sa
toccare la sua scrittura».
G. Salt.
ANSA,
20.1.2006
Notiziario libri
"La Pensione Eva", in un casino l'amore vero
Andrea Camilleri: 'La Pensione Eva' (Mondadori; 188 pp.; 14 Euro)
C'e' un motivo ''professionale'' per cui le ragazze che lavoravano nei casini cambiavano ogni quindici giorni. Per
evitare che dall'incontro carnale potesse sviluppare una scintilla e che un cliente e una delle ragazze si innamorassero
l'una dell'altro. Una preoccupazione fondata: basta che per tre mesi la rotazione si interrompa - il momento piu' duro
della Seconda guerra mondiale in Sicilia, dall'aprile al giugno 1943 - che nascono due storie d'amore, indissolubili.
Una con finale lieto e l'altra tragico.
'La Pensione Eva', forse il piu' autobiografico tra i romanzi di Andrea Camilleri, e' la lunga storia del piccolo ma
frequentato casino del suo paese siciliano e di cosa questa realta' avesse significato nell'iniziazione sessuale del giovane
Camilleri.
''Si', questo e' l'argomento - spiega lo scrittore - l'iniziazione di un ragazzo di Sicilia negli anni della guerra piu'
duri della Sicilia, il 1942, il 1943. Certo, con questa specie di estrema curiosita' di entrare in una sorta di regno del
proibito, della trasgressione che per un giovane di buona famiglia e' rappresentato da una casa chiusa''.
''Io la casa chiusa - prosegue lo scrittore - l'ho conosciuta dall'interno. La mia esperienza non e' stata da cliente.
Per una serie di circostanze io finisco per conoscere queste ragazze da semplice amico. Facevano quindi racconti delle
loro esperienze straordinarie ed io mi sono trovato come Proust che in "All'ombra delle fanciulle in fiore" si paragona a
un botanico davanti a infinite varieta' di piante da studiare''. Camilleri ci tiene a sottolineare che ''Nel libro ci sono,
pero', anche storie d'amore vero. A parte la storia del protagonista giovanissimo, si intrecciano due storie d'amore,
tra due ragazze della casa chiusa e due giovani che da clienti si cangiano in innamorati. Quando per tre mesi la rotazione
delle ragazze non e' piu' possibile a causa della guerra ed esse divengono stanziali allora i rapporti diventano piu' lunghi
ed e' facile innamorarsi''. "La Pensione Eva" ha una particolare cura nei dettagli, ad esempio il nome dei capitoli: ''Si' -
spiega - l'ho diviso in capitoli i cui nomi si rifanno a classici della pittura e della letteratura. Ce n'e' uno, 'Prodigi e
miracoli', in cui tutta l'esperienza della casa chiusa acquista un sapore visionario. Quel luogo, proprio perché e' il luogo
della trasgressione ufficiale, diventa luogo della trasgressione della realta', aperto all'invenzione fantastica''. Camilleri
sottolinea che il libro ''Non e' completamente autobiografico: ci sono elementi veri ed elementi di fantasia, parte
sicuramente da un dato autobiografico. Tra i romanzi che ho scritto, e' il piu' autobiografico anche se 'La
presa di Macalle' come foto d'ambiente, di una situazione, lo e' forse altrettanto''.
E' pero' un libro sicuramente diverso dagli altri e il perche' e' nel fatto che ''ad un certo punto, quando arriva a
ottanta anni uno si puo' rompere i cabba... uno si puo' anche stancare di Montalbano e prendersi una sia pur breve
vacanza. Vacanza perché si tratta di un argomento diverso dagli altri e perché anche la scrittura vera e propria si
richiama alle prime esperienze di ricerca come in 'Un filo di fumo' o 'Il corso delle cose' piu' che ai lavori venuti dopo.
Offre meno asperita' ai miei lettori non siciliani''.
"Pensione Eva" sara' un libro che inaugurera' una nuova stagione di polemiche sulle case chiuse? ''Mi auguro
proprio di no! - risponde Camilleri - Le case chiuse hanno fatto il loro tempo la loro epoca. Allora avevano un senso,
oggi l'iniziazione sessuale dei giovani avviene non piu' attraverso un corpo mercenario, c'e' una liberta' che nemmeno ci
immaginavamo'' Tuttavia la prostituzione e' fiorente come forse mai: ''E' vero - dice - ma non credo che sia fiorente per
i giovani, forse per gente piu' matura. Comunque questo non e' un libro sui casini''.
Alice,
20.1.2006
Sellerio: un 2005 d'oro e grandi promesse per il 2006
Secondo la classifica redatta da Demoskopea e pubblicata
sabato 14
gennaio da Tuttolibri ben 5 titoli della casa editrice Sellerio si sono
piazzati tra i 100 più venduti: tre di Andrea Camilleri: "La
luna di
carta", "Privo di titolo" e "La pazienza del ragno"; insieme a due
titoli di
Gianrico Carofiglio entrambi da due anni in classifica: "Testimone
inconsapevole" e "Ad occhi chiusi".
Soddisfatto da questi grandi risultati l'editore ha così pensato
di
confermare, con le prossime pubblicazioni, il consenso dei lettori. Ed
ecco previsti per il 2006 due nuovi romanzi di Andrea Camilleri con
protagonista il commissario Montalbano; e l´atteso ritorno di
Gianrico
Carofiglio con una nuova avventura di Guido Guerrieri. Debutta inoltre
"Alle 8 della sera" una collana di saggistica realizzata in
collaborazione con RadioRai, che comprende una serie di monografie su
temi di grande storia e cultura generale (da Luciano Canfora a Franco
Cardini, da Piergiorgio Odifreddi a Claudio Strinati, da Giulio
Andreotti a Sergio Valzania) proposte in brevi saggi. Quindi il nuovo
"Aristotele detective" di Margaret Doody e il recupero dei romanzi
della
coppia di autori svedesi Maj Sjöwall e Per Wahlöö
insieme all´americano
W.R. Burnett con "Piccolo Cesare". Infine è prevista
l´uscita de "Le
Chevalier de Sainte-Hermine" opera inedita di Alexandre Dumas ritrovato
solo l´anno scorso e che in Francia ha già venduto oltre
80.000 copie,
e di un nuovo romanzo di Alicia Gimenez Bartlett dal titolo "Penelope
Segreta".
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 21.1.2006
La casa editrice, presente con cinque libri nella lista Demoskopea dei
più venduti, punta su tre autori siciliani e apre alla
saggistica
Sellerio scala la classifica
Arrivano due Montalbano, il nuovo Bonaviri e un Dumas inedito
Tra i cento libri più venduti in Italia nel 2005,
cinque hanno il marchio Sellerio. Si tratta di tre romanzi di Andrea
Camilleri (“La luna di carta”, piazzatosi al quarto posto, “Privo di
titolo”, diciassettesimo, “La pazienza del ragno”, settantasettesimo),
e di due gialli di Gianrico Carofiglio, “Testimone inconsapevole” e “Ad
occhi chiusi”, entrambi da due anni in classifica. Sulla base di questi
dati, ricavati dalla classifica redatta da Demoskopea, la casa editrice
palermitana è la quarta in Italia ad avere più titoli,
dopo Mondadori, Feltrinelli e Rizzoli, i mostri sacri
dell´industria libraria italiana. Un successo che porterà
nuovi titoli, da Camilleri alla spagnola Gimenez Bartlett.
«Come è facile immaginare - commenta Antonio Sellerio - i
dati della classifica ci riempiono d´orgoglio, sia come editori
che come imprenditori. Siamo davvero molto soddisfatti, anche
perché cominciamo a renderci conto che i nostri risultati di
vendita fanno parte di un preciso progetto editoriale, e non
rappresentano soltanto un fatto sporadico. La nostra casa editrice si
trova davanti ad alcuni colossi, con una tradizione commerciale
superiore, e non è poco». Per tornare ai risultati della
classifica, salta all´occhio un particolare: su cinque libri
della Sellerio, quattro sono dei polizieschi. Il giallo, insomma, si
conferma come il genere di successo per antonomasia. «Questo
deriva anche dall´onda lunga dei primi gialli pubblicati nella
collana La memoria negli anni Ottanta, dove, accanto a testi di
narrativa di alto livello, si trovano i polizieschi di Manuel Vazquez
Montalban. Oggi il successo, e soprattutto lo sdoganamento del giallo,
è abbastanza normale: venti anni fa, le cose non stavano proprio
così». I due autori in questione, Camilleri e Carofiglio,
non sono soltanto autori selleriani: il primo è il più
fedifrago tra i romanzieri italiani, quello che meglio degli altri
riesce a intrattenere un rapporto poligamico con gli editori: basti
pensare che il suo ultimo titolo, “La Pensione Eva”, è uscito
per la Mondadori.
«Noi abbiamo pubblicato venti libri di Camilleri, Mondadori
sette, se non sbaglio. Queste cifre sono già motivo di grande
soddisfazione per noi. Quest´anno, tra l´altro,
pubblicheremo altri due suoi nuovi titoli. Penso che sia un bene avere
un autore come Camilleri, che ogni anno dà almeno un libro a
noi, e uno o più di uno a un altro editore. Va poi detto che il
successo dei libri di Camilleri da noi pubblicati è così
forte da permetterci di competere con le grosse case editrici. Si
tratta di un trionfo che ci ha aiutato e continua ad aiutarci,
soprattutto nella gestione manageriale». Dal canto suo, anche
Carofiglio è uno scrittore con più editori: esordisce con
Sellerio, ma il terzo libro, “Il passato è una terra straniera”,
lo consegna alla Rizzoli. C´è chi ha parlato di fuga dello
scrittore, chi di sciacallaggio editoriale: «Il rischio di farsi
scappare un autore è sempre incombente. Posso solo dire che il
prossimo libro di Carofiglio, con una nuova avventura di Guido
Guerrieri, lo pubblicheremo noi. Per non perdere uno scrittore di
successo, come Carofiglio, occorre affiancare, al lavoro di ricerca di
nuovi autori e al proposito di non deludere i nostri lettori, una
capacità commerciale adeguata. Bisogna rispondere adeguatamente
alle esigenze di un autore, dopo averlo scoperto. Ma l´editore
deve tenere conto del fatto che la fedeltà nei suoi confronti
è praticabile sino a un certo punto».
Oltre ai due nuovi titoli di Camilleri, due gialli del commissario
Montalbano, quest´anno vedranno la luce anche i romanzi di altri
due autori siciliani: Giuseppe Bonaviri e Domenico Seminerio. «Il
nuovo romanzo di Bonaviri, “L´incredibile storia di un cranio”,
è abbastanza complesso - continua Antonio Sellerio - In esso si
mescolano elementi scientifico-realistici ed elementi fantastici: il
tutto, legato a un modo di vita tradizionale, rurale. Seminerio, autore
su cui puntiamo molto, uscirà con “Il cammello e la corda”, un
romanzo ambientato nella Sicilia orientale, con un doppio piano
narrativo: uno che risale ai tempi dell´antica Roma,
l´altro riferito ai nostri giorni. Tutto viene messo in moto dal
ritrovamento di una statua fallica». Accanto agli scrittori
siciliani, la casa editrice palermitana allineerà titoli di
Mario Soldati, Gian Carlo Fusco, e poi “Le Chevalier de
Sainte-Hermine”, opera inedita di Alexandre Dumas ritrovata solo
l´anno scorso e che in Francia ha già venduto oltre 80.000
copie, e i nuovi romanzi di Margaret Doody e di Alicia Gimenez
Bartlett: entrambe due punte di diamante del catalogo Sellerio.
Salvatore Ferlita
La Repubblica,
21.1.2006
Il sabato del villaggio
Par condicio atto d´authority
Variava a piacere tali sue allucinazioni. Non si accontentava del
passato, anticipava il futuro! Cambiava il presente a suo piacimento:
mentiva e inganna se stessa, ma poiché quelle menzogne erano
opera sue le erano care.
(da "Suite francese" di Irène Némirovsky–Adelphi, 2005 –
pag. 290)
[…]
Sulle reti televisive nazionali, circola un fantasmagorico spot di un
minuto, prodotto dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,
naturalmente a spese dei contribuenti. In una pirotecnica rassegna di
immagini a effetto, introdotte dallo slogan "Stiamo lavorando per voi"
e concluse dallo stesso slogan con l´aggiunta "…e per i vostri
figli", scorre un elenco di opere pubbliche in corso di realizzazione
per annunciare in tono trionfalistico che "le grandi opere fanno
crescere l´Italia". E all´incauto telespettatore, "per
saperne di più ed evitare qualche disagio temporaneo", si
consiglia di chiamare un numero verde (800.911.911) oppure di
consultare il sito del ministero.
[…]
L´operazione mediatica, di chiara impronta elettorale e
propagandistica, ricorda la paradossale storia di Mussolinia raccontata
da Camilleri nel suo ultimo [sic!, NdCFC] romanzo, “Privo di
titolo”. E´ la città-fantasma, la città virtuale
che i gerarchi siciliani promettono al Duce, in occasione di una visita
a Caltagirone. Ma poi alla fine tutto si riduce a una messinscena, con
una scenografia di case false di legno e compensato che vengono
utilizzate in un fotomontaggio e riprodotte in un album da inviare a
Roma per compiacere il Cavaliere.
[…]
Giovanni Valentini
ttl,
21.1.2006
In volo o guardando il gatto, i tic dello scrittore
C’è’ chi per scrivere si mette una bandana e chi per
festeggiare una pagina ben riuscita si beve una birra. A quest'ultima
categoria appartiene Andrea Camilleri che, dopo aver superato un
difficile snodo di una sua storia poliziesca, si concede come premio
una bella «bionda».
[…]
Sono questi alcuni dei cosiddetti Trucchi d'autore: così recita
il titolo di una singolare inchiesta di Mariano Sabatini, giornalista e
scrittore ficcanaso che è andato a frugare tra le carte, sulle
scrivanie, nelle camere da letto, nelle toilettes di 50 scrittori per
conoscerne i risvolti del lavoro letterario, virtù e vizi, anche
i più segreti. Tra i primi trucchi il libro svela come è
stata - se lunga o breve - la marcia per esordire.
[…]
Per la prima volta di Camilleri ci sono voluti dieci anni di tentativi
vani.
[…]
Mirella Serri
Viagginrete,
21.1.2006
A tavola con Montalbano
Si svolgerà a Foggia, presso l'Hotel Regio Manfredi, il
4 febbraio 2006, il primo degli
appuntameneti monotematici de "La curiosità è servita.
Percorso conviviale con retrogusto
culturale". L'incontro, dedicato interamente ad Andrea Camilleri ed in
particolare al suo
personaggio Salvo Montalbano, avrà tutti i colori della Sicilia.
Una cena a base di piatti
"Montalbanici" sarà la scusa per una serata conviviale, in cui
tra un piatto di dù trigliette oramà
fritte e bucatini con le sarde stinnicchiate, accompagnate dal vino di
Pantelleria passito secondo
la liggi, si scoprirà chi è Montalbano... ommo di Sicilia
o siciliano del 2000?! A voi la risoluzione del
caso... infotel 0881 580163/ 0884 586698 annamaria@elas.191.it
Annamaria Ciampolillo
Il Sole 24
Ore (suppl. "Domenica"), 22.1.2006
Una “vacanza” nella casa chiusa
Non stupiamoci, è uscito un nuovo libro di Andrea
Camilleri, "La pensione Eva".
Ormai siamo avvezzi a questo flusso narrativo imponente, e,
benché perplessi di fronte a tanta
mole, continuiamo a non nascondere il nostro debole, nonostante la
disuguaglianza dei risultati, per le
varie avventure del commissario Montalbano, diventato un personaggio di
casa. Mentre pensiamo
fermamente che i romanzi storici (vedi "Il re di Girgenti") dello
stesso Camilleri non costituiscano
traguardi memorabili: ambiziosi ma irrisolti nonché enfatici
come sono.
A proposito di enfasi: singolare è la spaccatura rilevabile fra
le due parti di questo nuovo piccolo
libro che vorrebbe essere, come dice il narratore in una nota finale,
“una vacanza narrativa”, “un racconto
francamente inqualificabile” (e vediamo di qualificarlo, diciamo invece
noi). Per il fatto che, all’interno del
genere, che è quello, assolutamente riconoscibile, della prosa
di memoria (personale e verace o
collettiva o di invenzione, che importa?), si verifica un curioso
contrasto. È, infatti, la prima parte,
delicata e mescolata a deliziosa ironia, compatta attorno all’infanzia
e alla prima adolescenza del
personaggio, e io narrante, Nenè, e alla scoperta del sesso con
la bella ragazza Angela, di un paio
di anni più grande di lui. La seconda, per contro, ambientata
appunto nella pensione Eva, il postribolo
di Vigata, appare soprattutto elencazione aneddotica di episodi di
casino, narrativamente insignificanti,
cui si aggiunge una parte drammatica finale, quella dei bombardamenti
degli aerei alleati in Sicilia e
dell’arrivo degli americani.
Distonia che si avverte e che disturba: perché Angela è
figura viva e concreta, brusca nella sua
spiccia sensualità ma insieme appassionante. Mentre restano
figurette di profilo, appena abbozzate,
le “cortigiane” che si alternano, col trascorrere delle quindicine,
nella pensione. Nonostante l’attribuzione
ad alcune di esse di episodi drammatici che, infine, vorrebbero animare
la storia.
Certo, il libro va anche preso come piccola vacanza dell’autore, come
divertimento. Ma, se
dobbiamo riandare alla Sicilia, all’adolescenza, alla scoperta del
sesso e alle donne di piacere, come
non associare ai temi del romanzo di Camilleri "Il garofano rosso" di
Elio Vittorini? Quello, una grande
nonvacanza.
Giovanni Pacchiano
Il Gazzettino,
22.1.2006
Andrea Camilleri abbandona per ...
Andrea Camilleri abbandona per un po' il suo Montalbano e si
dedica alla Sicilia degli anni Trenta,
addormentata sotto alla coperta del fascismo che tutto annienta. In "La
pensione Eva" (Mondadori)
vediamo muoversi tre liceali in cerca di avventure e di emozioni. Gli
ormoni adolescenziali e un po' di
sana curiosità li spingeranno a visitare e poi a frequentare il
casino di Vigàta, dove, lo scopriranno
presto, non si muovono solo prostitute eteree e clienti vogliosi, ma
tutta una genia di gente che, alla
fine, tra un incontro e l'altro racconterà tutta una vita.
Perché nell'intimità di un'alcova, messi a nudo
e contemporaneamente protetti dall'oscurità, gli uomini e le
donne che abitano il casino si racconteranno,
creando una sorta di storia parallela a quella reale, fatta di bombe e
ricatti, che si svolge fuori dal bordello.
E forse, molto più autentica di quella con la S maiuscola. Un
libro ironico ma allo stesso tempo arguto,
condito con le espressioni della parlata dialettale che hanno reso lo
stile di Camilleri assolutamente unico
e inimitabile. Una pagina della storia italiana raccontata con
creatività e sapienza letteraria.
[...]
Lorenza Stroppa
New York Times,
22.1.2006
Crime
The Haunted Detective
[…]
Ah, Italy! Or should it be: uh-oh . . . Italy? That depends on which
Italian author
you happen to be reading. For sunny views, explosive characters and a
snappy plot
constructed with great farcical ingenuity, the writer you want is
Andrea Camilleri.
His police procedurals, of which "The smell of the night" (Penguin,
paper, $12) is the latest, are set in a Sicilian seaside town called
Vigàta that could
serve just as well as the locale for a comic opera - and it plays the
role con brio
in Stephen Sartarelli's antic translation. The book's endearing hero,
Inspector Salvo
Montalbano, is a tempestuous force of nature who operates by his own
unorthodox
rules, which allow for frequent timeouts to indulge in exquisite meals
or just sit on
a rock and look out to sea. But the man is no buffone, and his
passion for
justice is easily aroused, as it is here when a con man who passes
himself off as a
financier works a pyramid scheme that robs people of their hard-earned
savings and
pensions. Montalbano has his own devious methods for dealing with such
vultures,
and while they may not be entirely legal, they restore the harmony of
an enchanting
place.
[...]
Marilyn Stasio
Corriere della
sera, 22.1.2006
Curiosità
I trucchi per scrivere: c’è chi saccheggia la cucina e
chi
bagna i gerani
Non esistono geni incompresi, solo narratori timidi. Sotto
l’egida di questo motto,
Mariano Sabatini è andato a curiosare nelle officine creative
dei «geni compresi»,
ovvero scrittori di grande (e meno grande) successo. Che hanno svelato
a Sabatini
i loro «trucchi d’autore», diventati un libro della piccola
e promettente casa editrice
Nutrimenti.
[...]
Andrea Camilleri, infine, si vanta di non leggere mai un suo libro
stampato per
ispirarsi a una nuova opera, al fine di avere uno sguardo sempre
aperto.
Una costante? Tutti, o quasi, danno in prima lettura le sudate pagine
alla
moglie o al marito. Il giudizio che conta si chiede in famiglia, a
dispetto di ogni
idea scapigliata e maledetta della letteratura e di chi crede che
esistano dei critici
di riferimento.
Gli autori di Sabatini sono persino un po’ più noiosi della
media: disciplinati,
lontani dai guizzi d’imprevisto. A forza di svelare trucchi e
trucchetti, Sabatini toglie
ogni illusione: gli scrittori sono proprio come noi, specchio dei
nostri vizi e delle nostre
virtù.
Antono Bozzo
La
Repubblica
(ed. di Palermo), 22.1.2006
Dopo Ciprì e Maresco, altri palermitani entrano nei palinsesti.
Il parere di Klaus Davi
Comici, "Carabinieri" e veejay i siciliani
fanno boom in tv
[...]
Ma perché i siciliani in tv piacciono tanto? Il massmediologo
Klaus Davi spiega che il siciliano
in video rappresenta «un minestrone di valori, dal machismo
all´ironia tagliente, che mostra la
quintessenza dell´italianità. Per questo piace a chi
siciliano non lo è. E se parliamo di fiction
non posso non associare la Sicilia alle avventure del commissario
Montalbano. Può far ridere,
ma nel resto d´Italia non sono in pochi a immaginare la vostra
isola semplicemente come la
regione narrata nei racconti di Camilleri».
Carla Nicolicchia
l'Unità,
23.1.2006
La sera andavamo alla Pensione Eva
Alla scoperta del sesso con il papà di Montalbano. Ma
questa volta Salvo Montalbano non c’entra nulla.
Semplicemente perché non è il popolare commissario il
protagonista del nuovo romanzo di Andrea Camilleri, "La
Pensione Eva", pubblicato da Mondadori. In un «vidiri e
svidiri», Camilleri stupisce il lettore con un romanzo di
formazione. La dimensione storica è quella del periodo fascista,
il contesto è quello di una casa chiusa. In quale città?
Proprio nella Vigàta di Montalbano, che però a
quell’epoca non era ancora nato. Ed il romanzo vive di personaggi anni
Trenta, immersi in una Sicilia che ricorda quella del Brancati. Ma
è la Vigàta di Camilleri, la sua città natia:
Porto
Empedocle. Il centro della vita del romanzo è la «Pensione
Eva». È come se la dinamicità dell’esistenza fosse
racchiusa
tra quelle mura, che diventano nello sdipanarsi del racconto, il
contesto dell’esistenza, con le sue gioie e le sue profonde
contraddizioni. È evidente che Camilleri ancora una volta,
utilizza una vicenda in terra sicula come metafora della vita.
Che sia autobiografica? La domanda è legittima, ma è lo
stesso Camilleri a spiegare in una nota che: «il racconto non
è autobiografico, anche se ho prestato al mio protagonista il
diminuitivo col quale mi chiamavano i miei famigliari e i miei
amici. È autentico il contesto. E la Pensione Eva è
veramente esistita, mentre sono del tutto inventati i nomi dei
frequentatori e i fatti che vi sarebbero accaduti». Camilleri con
la sua fantasia narrativa, con la sua prosa fluida e ben
ritmata, la sua ironia critica, anima queste pagine, facendole
diventare un altro tassello della sua prolifica ed eclettica
opera letteraria.
La struttura si regge sulle vicende di Nenè, alle prese con le
sue prime esperienze sessuali ed esistenziali, che in
realtà non iniziano nel «casino» della città.
Ma quelle più compiute e mature, le vive nella Pensione Eva.
«Mai era stato
vasato in quel modo. Dintra alla sua vucca la lingua di Grazia
esplorò, liccò, assapurò, gustò. Gli
firriò la testa. Mentre
il suo sangue dabbascio s’arrisbigliava di colpo e pigliava a tuppiare
per nisciri fora, gli principiò una specie di trimolizzo
che la picciotta avvertì». In questo particolare iter di
formazione, Nenè non è solo. È accompagnato nelle
sue avventure
da Ciccio e da Jacolino, il che rende il romanzo più complesso
ed avvincente. Con passaggi assolutamente esiliranti,
come quando Nenè e Ciccio si sfidano parodiando l’Orlando
Furioso, nella Pensione Eva. Nenè scopre «lu munnu»
assieme ai suoi amici d’infanzia, ed è come se assistessero ad
un film, del quale però sono protagonisti. Nel racconto
di Camilleri l’incontro con le donne del casino non è solo il
raggiungimento del piacere, ma storie di amore e di vita.
L’autore mostra gli orrori della guerra. E fa qualche accenno ironico
alla politica. «Ora bisogna sapere che questa
Teresa, una trentina sempre pronta allo sgherzo e alla risata, aveva il
patre in galera da otto anni pirchì comunista e lei
stessa era una comunista arraggiata. Teresa faceva ammucciuni servizio
per il partito: datosi che ogni quindici jorni
cangiava città e sapeva in aniticipo indove andava a
travagliare, riceveva e consegnava littre segrete e riferiva
disposizioni e ordini che i compagni si scangiavano. E con tutta
sicurezza: chi ci andava a pensare, infatti, a una buttana
comunista?».
La narrazione fondata sulla vitalità della scrittura di
Camilleri, che ad ottant’anni ha ancora voglia di sperimentare,
di ricercare nuove formule linguistiche e contenutistiche per le sue
storie, diventa anche dimensione di riflessione. Poiché
in quel «casino» i drammi e le contraddizioni, fanno da
cornice e da sfondo, all’alternarsi dei momenti di
«piacere».
Salvo Fallica
Traspi.net,
23.1.2006
Intervista a Camilleri
Camilleri, il fenomeno
Lo scrittore Roberto Mistretta ha intervistato Andrea Camilleri, in
occasione dell’uscita dell’ultimo
libro “La pensione Eva” (Mondadori)
Il successo lo ha conosciuto tardi, quando aveva superato i
settant’anni ma da allora è stato sempre più travolgente.
Un’onda anomala che attraversò l’Italia dal nord al sud (strano
a dirsi ma è proprio così!), superò i confini
della penisola, dilagò in Europa e conquistò anche
mercati letterari lontanissimi da noi. E non solo quelli, stante anche
l’enorme successo che ha avuto la serie televisiva del commissario
Montalbano, interpretato da un eccellente Luca Zingaretti e girato
nella suggestiva e barocca Val di Noto, la Vigàta della
fortunatissima seria.
Come tutti avete capito stiamo parlando di Andrea Camilleri, classe
1925, maestro indiscusso di un genere, il giallo, tornato
prepotentemente di moda anche e soprattutto grazie al suo irresistibile
successo, un mix di dialetto, simpatia, trama avvincente.
L’anno del suo boom, fu il 1998, quando nelle classifiche dei libri
più venduti comparivano cinque, sei e perfino sette titoli di
quest’attempato pensionato, dalla voce roca del fumatore incallito
(Fiorello ne ha fatto un’irresistibile imitazione in radio), che divide
la sua vita tra Roma e il natio Porto Empedocle. Eppure anche Camilleri
all’inizio della sua carriera trovò porte chiuse e rifiuti. Solo
un editore a pagamento si interessò a lui.
Era il primo aprile del 1967 quando Camilleri che allora aveva appena
42 anni, scrisse il suo primo romanzo, dedicato al padre che gli
insegnò ad essere quello che è. Il manoscritto si
intitolava “Il corso delle cose”, protagonista, il maresciallo Corbo,
una sorta di Montalbano in embrione. Lo ultimò nel dicembre
dell’anno seguente, riscrivendolo di continuo alla ricerca di un suo
personale stile. Un amico, critico di spessore, Nicolò Gallo,
dopo aver letto il testo gli disse che lo avrebbe proposto alla
Mondadori, di cui era consulente e direttore di una collana di
narrativa. Il libro doveva uscire nel 1971 ma Nicolò Gallo
morì improvvisamente e non se ne fece nulla. Segnalato ad un
concorso letterario, il testo venne rifiutato da diverse case editrici,
le stesse che oggi farebbero carte false per pubblicare un’opera di
Camilleri. Uno spiraglio si era aperto con Editori Riuniti, disponibili
a pubblicare quel testo (Camilleri intanto non aveva scritto altro,
bloccato dalla mancata pubblicazione di quel suo primo lavoro), ma poi
cambiò direttore e nella nuova linea editoriale non c’era spazio
per il nostro. Camilleri ci mise una croce sopra sulla scrittura. Una
prima svolta venne nel 1975 quando Camilleri scrisse per la
trasmissione radio “Le interviste impossibili”, (fatte a personaggi
storici deceduti anche da diversi secoli), due testi poi pubblicati da
Bompiani. Un suo amico, Dante Troisi intanto propose l’originario testo
“Il corso delle cose” per ricavarne un soggetto cinematografico. Ancora
rifiuti. Ne venne ricavato invece un soggetto per la televisione. I
giornali ne parlarono e l’editore di Roma, Lalli (casa editrice che
pubblica col contributo dell’autore), si disse disponibile a pubblicare
il romanzo senza nulla pretendere dall’autore a condizione però
che nei titoli di coda del film tivù, comparisse il nome della
sua casa editrice. Così fu. Il film tivù in tre puntate
tratto dal lavoro di Camilleri si intitolava “La mano sugli occhi” ma
con l’editore Lalli, dove il libro uscì nel 1978, vale a dire
dieci anni dopo la sua definitiva stesura, conservò il titolo
originario “Il corso delle cose”, titolo davvero emblematico alla luce
di quanto sarebbe poi successo vent’anni dopo. Di quel libro ovviamente
non si accorse nessuno. Molto più tardi, fu Elvira Sellerio
dell’omonima casa editrice che allora stava attraversando un periodo di
crisi nera, a dare fiducia, dopo una lunga meditazione, a Camilleri. Fu
così che venne pubblicato “La forma dell’acqua”, la prima
avventura del commissario Salvo Montalbano da Vigàta facendo la
fortuna sua e dell’autore. Il resto è storia recente.
Camilleri, lei, etichettato all’inizio del suo successo come
un nipotino di Gadda da una certa critica, è oggi riconosciuto
come il maestro indiscusso di un nuovo genere di enorme successo, il
giallo con forte connotazione regionale e l’uso del dialetto. Che
effetto le fa?
Mi ha fatto molto effetto sentimi chiamare “un nipotino” in quanto io
l’eredità di Gadda l’avevo accolta sempre con il beneficio
d’inventario: voglio dire che il percorso letterario e la ricerca sulla
scrittura di Gadda non hanno assolutamente nulla a che fare col mio
modo di scrittura. Non mi sembra corretto essere considerato una sorta
di caposcuola di un genere giallo/regionalizzante. Vorrei far notare,
ad esempio, che prima di me c’è stato Scerbanenco o De Angelis
che hanno scritto di una Milano che allora non sospettavamo nemmeno che
esistesse sul serio, ma nessuno li ha mai chiamati gemellisti/meneghini
Avendo aperto una nuova strada, come vede quegli autori che
riconoscono in lei un maestro e seguono il suo esempio?
Non credo che ci siano molti autori che stanno seguendo il mio esempio.
Se ce ne fossero gli consiglierei piuttosto che prendere me come
esempio, di seguire coloro che mi hanno insegnato a scrivere i gialli,
da Simenon a Durrenmatt
Più in generale, cosa ne pensa del boom del giallo
esploso in Italia e in Sicilia in particolare?
Mi fa venire in mente immediatamente quando Italo Calvino scriveva a
Leonardo Sciascia che sarebbe stato praticamente impossibile ambientare
un giallo in Sicilia. I fatti stanno dimostrando il contrario. La
realtà è che il romanzo giallo è un ottimo banco
di prova per uno scrittore principiante perché lo costringe
dentro alcune regole che deve di continuo rispettare
Che rapporto ha con gli altri autori siciliani?
Ottimo, alcuni li conosco persona altri no, ma li leggo tutti
Se le offrissero di dirigere in Sicilia una scuola per
giallisti, accetterebbe?
No. Molti scrittori aprono scuole di scrittura e alcuni grandi autori
di gialli hanno scritto dei libretti su come si scrive un giallo, ma io
non ne sono capace
E fosse una qualche università dell’isola a proporle un
percorso didattico a sfondo giallo?
Ho già tenuto all’Università di Bologna una lezione non
tanto su come si scrive un giallo ma sulla storia del giallo italiano.
Un’idea possibile in qualsiasi momento e luogo
Lei alterna romanzi storici alla serie di Montalbano,
può anticiparci quali saranno i suoi nuovi lavori?
Quest’estate esce un nuovo romanzo di Montalbano dal titolo “La luna di
carta”. Altri lavori per ora sono tutti allo stato embrionale (ma si
può dire ancora così?) e quindi è prematuro
parlarne
Ha mai pensato di riesumare il suo originario personaggio,
vale a dire il maresciallo Corbo de “Il corso delle cose”?
Beh, in realtà l’ho riesumato dandogli un altro nome nel
calendario dell’Arma dei carabinieri del 2005. E’ vero, si chiama in
modo diverso, il maresciallo Brancato, ma le caratteristiche sono le
stesse
Tra i suoi romanzi, qual è quello che ama di più?
“Il re di Girgenti”, indubbiamente”
A parte il suo amore viscerale per Sciascia e Pirandello, chi
sono gli altri suoi riferimenti letterari?
Gogol, Sterne, Brancati
Ultima domanda, lei ha avuto modo di gustare la “mbriulata” di
Mussomeli, una particolare focaccia ripiena di frittuli, salsiccia,
olive nere e altro, che ha promesso di far mangiare anche a Montalbano.
La verità, com’era la “mbriulata”?
Ottima, senza se e senza ma
Roberto Mistretta
Il Mucchio
Selvaggio, n.618, 1.2006
Profili
Gimenez-Bartlett
Alicia Gimenez-Bartlett, scrittrice spagnola di Almansa, dove è
nata nel 1951, è divenuta famosa con la serie
poliziesca dell’ispettore Petra Delicado. Un successo, in Italia
più sensibile che nel resto d’Europa, grazie all’editore
siciliano Sellerio, che sta pubblicando l’intero ciclo.
[...]
La felice riuscita della serie di Petra Delicado e Fermìn
Garzòn rappresenta una delle migliori esemplificazioni del
successo del giallo contemporaneo. E’ un caso simile a quello di
Camilleri, dal quale però la Gimenez-Bartlett non sembra
particolarmente influenzata. Hanno in comune molti editori (tra cui
quello italiano) e il fatto che dai loro scritti sono state
tratte serie televisive di grande popolarità. In Spagna Petra
Delicado è quel che in Italia è Montalbano. La Zingaretti
catalana
è l’attrice Ana Belèn.
[...]
Gianluca Veltri
Il primo
amore, 25.1.2006
Anche
noi parte offesa: riaprire il processo Pasolini
A trent'anni dalla morte, non sappiamo ancora da chi è stato
ucciso Pasolini e perché.
Il testo dell'appello con l'elenco dei primi firmatari [fra i quali
Andrea Camilleri,
NdCFC] e l'indirizzo di posta elettronica per aderire.
Il
Messaggero, 26.1.2006
L’orologio del destino alla pensione Eva
Stavolta Montalbano si è messo a riposo. E anche lui,
Andrea Camilleri, il papà del celebre poliziotto, ne approfitta
per concedersi un felice intermezzo che solca come una traccia
fosforescente quel giardino di tormenti e di delizie che è
il giardino della memoria. "La pensione Eva" (Mondadori, 188 pagine, 14
euro) non è un giallo montalbaniano né un
racconto storico: semmai è un romanzo di formazione, una storia
d’altri tempi, in parte autobiografica, che si snoda tra
la Vigàta degli anni Trenta e la seconda guerra mondiale, sullo
sfondo di un’Italietta sonnolenta e provinciale,
addormentata dai languori della carne e dai miasmi del fascismo. Col
suo tipico siciliano sornione, venato di dialetto e
inventiva, Camilleri racconta l’iniziazione sessuale di un ragazzino di
nome Nenè, e dei suoi due amici del cuore, Ciccio
e Jacolino. Ma soprattutto racconta le vicende che ruotano attorno alla
“Pensione Eva”, il bordello di Vigàta, un reame
oscuro e sfuggente del piacere, con le sue “donnine” che dispensano
amore, con quell’aria greve, impregnata di cipria,
fumo di sigari, corpi di donna, vapori di whisky.
E’ un mondo a suo modo completo, il bordello di Vigàta, dove il
sesso ha il posto d’onore ma dove troviamo
anche gli altri Vizi, in colloquio non pregiudizialmente ostile perfino
con alcune Virtù. Non per niente Nenè e suoi amici
guardano alla “Pensione Eva” come si guarda alle promesse
dell’età adulta. E quando, non avendo ancora gli anni giusti,
riescono a introdursi con uno stratagemma nella casa di tolleranza
possono finalmente cominciare a «capire qualichi cosa
di la vita». Quel “qualcosa” che tornerà utile di fronte
alle svolte della Storia: l’avanzare dello spettro della guerra, il
fragore dei bombardamenti, la fine di un’epoca di inganni e di
illusioni. C’è in queste pagine il colore aspro con cui
Vittorini ritrae nel "Garofano rosso" l’iniziazione erotica di un
liceale. E c’è il tono struggente e incantato con cui
Márquez racconta la "Memoria delle mie puttane tristi" . Ma non
solo. Pur mantenendo una smaltata e invadente
presenza dei fatti, dei volti e dei dettagli, Camilleri riesce a
scoprire quel gigantesco meccanismo che è “l’orologio del
destino”. E penetra in quella zona di melensa sentimentalità,
accumulato rancore sociale, incancrenita ipocrisia, da cui
è nato il fascismo.
Francesco Fantasia
L'Arena,
26.1.2006
Ma il più venduto è sempre Harry Potter
Camilleri e Andreoli i re delle classifiche
Ancora tutti sotto il tallone di mago Harry. Al secondo posto
in assoluto non troviamo più “Le cronache di Narnia”,
che avevano affascinato la Rowling bambina, ma la concreta “Pensione
Eva” di Andrea Camilleri, indomabile classe
1925. Lasciando da parte Montalbano, lo scrittore siciliano costruisce
un vero e proprio romanzo di formazione, prima
dolce, poi crudele.
[...]
Alessandra Milanese
Caserta News,
26.1.2006
Le mani del pianista
[...]
Chi, in Spagna, ha stabilito una relazione fra la scrittura di Eugenio
Fuentes e quella di Camilleri, non ha sbagliato:
c’è l’attenzione rivolta alle vite private dei personaggi,
c’è lo scenario socioeconomico (le speculazioni edilizie che per
anni hanno contribuito alla progressiva devastazione della provincia
spagnola; una realtà tristemente nota anche
all’Italia), c’è un detective pensoso, particolare, estremamente
caratterizzato.
[...]
Viva Radio 2, 27.1.2006
Andrea Camilleri ha partecipato alla trasmissione con Fiorello e Marco
Baldini,
producendosi in una strepitosa... imitazione di se' stesso.
Cliccare
qui per scaricare la registrazione in MP3
Repubblica Radio, 27.1.2006
Andrea Camilleri
"La pensione Eva": gli anni Trenta a Vigata, prima di
Montalbano
In libreria "La pensione Eva", romanzo storico ambientato nella Vigata
degli anni Trenta
Leopoldo Fabiani intervista lo scrittore siciliano, padre del
commissario Montalbano
Cliccare qui per scaricare la registrazione
ANSA, 27.1.2006
Pasolini, intellettuali su processo
Camilleri e altri 70 artisti chiedono riapertura indagini
Roma - Da Camilleri a Ronconi, da Henry-Levi a Lucarelli:
circa settanta intellettuali ed artisti chiedono la riapertura del
processo Pasolini. Una iniziativa che, secondo gli organizzatori, e'
'il modo migliore' di ricordarlo, 'a trent'anni dalla sua tragica
morte'. L'idea e' ottenere la riapertura del processo e costituirsi
parte offesa, come gia' ha fatto il Comune di Roma, visto che
non si sa ancora 'da chi e' stato ucciso Pasolini e perche''.
Il Mattino,
27.1.2006
La Sicilia dell’eros a pagamento
Dice Andrea Camilleri, presentando il suo ultimo libro, “La
pensione Eva”, (Mondadori, pagg. 192, euro 14)
che, scrivendolo, ha voluto prendersi una «vacanza
narrativa» nell’imminenza degli ottant’anni. Non so bene che
cosa significhi, questo, per un autore che pubblica almeno due libri
nuovi ogni anno. Ma, forse, Camilleri allude al
fatto che sia rispetto ai libri di Montalbano che a quelli che nascono
da accurate ricostruzioni storiche, qui il
racconto fluisce in piena libertà, sul filo di ricordi personali
(anche se ci ha tenuto a precisare che Nenè,
personaggio principale del libro, non è autobiografico)
mescolati alla vasta aneddotica sul casino che nei
caffè di Porto Empedocle e dintorni doveva alimentare senza
sosta le chiacchiere degli avventori, finché i
casini ci sono stati e negli anni successivi. La pensione Eva del
titolo, infatti, altro non è che la pudica
denominazione del quasi lussuoso postribolo di Vigàta, nelle cui
stanze si svolge la maggior parte del
romanzo, con tre giovanissimi protagonisti, che sono, oltre al
già citato Nenè, i coetanei e compagni di scuola
Ciccio e Jacolino, figlio, quest’ultimo, del gestore. Con loro, una
piccola folla di prostitute e di clienti, che
forniscono a Camilleri materiale narrativo abbondante e corrivo, per
costruire una lunga serie di scenette
e di racconti in modo da arricchire notevolmente la già ricca
casistica della «letteratura da bordello». Siamo
alla fine degli anni Trenta, quando la narrazione comincia, con il
piccolo Nenè che proprio non riesce a capire
cosa mai si nasconda dietro quelle persiane perennemente chiuse. Poi,
superato grazie alla complicità di Jacolino
l’ostacolo dell’età, i tre amici non ancora diciottenni avranno
libero accesso alla pensione, nel giorno di chiusura al
pubblico, almeno, e non per farci quel che ci si aspetterebbe (o
almeno, non solo quello). Uno dei tre, infatti, nel
casino riceve lezioni di latino e greco dalla maîtresse mentre
gli altri, e soprattutto Nenè, vi compiono in realtà la
loro particolarissima educazione sentimentale o iniziazione alla vita
che dir si voglia. Anche perché, scoppiata la
guerra e fattesi sempre più pesanti le sue conseguenze, diventa
impossibile anche il rito della «quindicina»
(l’arrivo di ragazze «nuove» al posto di quelle che hanno
allietato la clientela per due settimane) e quindi i
rapporti con i frequentatori abituali diventano per forza di cose
più stretti. E ce ne sono di personaggi singolari,
sia tra le prostitute che tra i clienti: c’è quella con le crisi
mistiche e la devota a Stalin in missione per il Partito,
c’è quella che s’innamora e quella che legge l’”Orlando
furioso”, il ricco «baronello» che perde la testa per una
ragazza e organizza la sua finta morte per spassarsela con lei e quello
che recupera la perduta virilità grazie al
fragore delle bombe. Siamo, insomma, in quella ricchissima aneddotica
da cui un’affabulatore come Camilleri
potrebbe trarre materiali per dieci romanzi almeno, con personaggi
appena abbozzati e altri un po’ più definiti. Ma
accade poi che il tono ammiccante e scanzonato debba cedere il posto,
nella parte finale, ai drammi della guerra,
con la sua cieca ferocia, l’insensatezza dei bombardamenti a tappeto,
lo sfaldamento dell’esercito italiano. Ed è a
questo punto che il diciottenne Nenè potrà considerare
completata la sua educazione, e prepararsi (davanti alle
macerie della pensione distrutta) ad affrontare la difficile vita da
adulto. È perfino superfluo dire che il romanzo si
legge d’un fiato, e con non poco godimento soprattutto in certi
momenti. Sembra, però, troppo spesso, di rileggere
qualcosa che si è già letto, e che viene riproposto con
qualche variante, tra le infinite possibilità disponibili.
Felice Piemontese
La
Gazzetta di Parma, 27.1.2006
La pensione Eva
«La pensione Eva»: storia di un'educazione
sentimentale, di un bambino che si chiamava Nenè, come
Camilleri... Per
festeggiare i suoi primi ottant'anni Andrea Camilleri si prende una
vacanza. Una «vacanza narrativa», una pausa dal
commissario Montalbano, una momentanea rinuncia ai suoi romanzi gialli
che l'hanno reso famoso alla bella età di 69 anni,
dopo una vita passata a firmare regie e a scrivere per il teatro e la
televisione. L'uomo della Sicilia più a Sud del Sud, uno
degli autori più letti al mondo alle cui opere la Mondadori ha
dedicato un Meridiano nel 2004, si è presentato ai suoi
appassionati fans con un nuovo attesissimo romanzo dal titolo
inconsueto: «La pensione Eva», uscito da Mondadori
in questi giorni. Una nuova avventura questa per il ciclonico
Camilleri: una insolita avventura d'amore alla quale
pensava da anni ma che un certo pudore gli ha sempre impedito di
scrivere. Ora sulla scia dell'ultimo Márquez si è
deciso a metterla su carta. «Desidero avvertire che il racconto
non è autobiografico, anche se ho prestato al mio
protagonista il diminutivo col quale mi chiamavano i miei famigliari e
i miei amici» sostiene Camilleri nella nota finale al
romanzo, ma tutto fa capire che i ricordi de «La pensione
Eva» appartengono alla vita del giovane Nenè Camilleri.
[...]
La Repubblica,
28.1.2006
Esce 'Pensione Eva', storia di bordello e di guerra
La Sicilia hard di Camilleri
Per avere un'idea del nuovo romanzo di Andrea Camilleri
basta l'incipit: «Fu tanticchia prima dei suoi dodici anni che
Nenè finalmente
capì quello che capitava dintra alla Pensione Eva tra i
màscoli grandi che la
frequentavano e le femmine che ci abitavano». Sono storie di
bordello:
evidentemente un topos inevitabile per gli scrittori il cui esordio
erotico sia
avvenuto prima della legge Merlin.
Per metà romanzino, “La pensione Eva”, protagonista
il giovanissimo borghesino Nenè Cangialosi, studente di liceo, e
per l'altra
metà repertorio di aneddoti da casa chiusa, con i personaggi
canonici del
genere: la meretrice devota con le visioni del santo, il virile
fascista, la
maitresse occhiuta ma se occorre maternamente comprensiva e benevola, e
sullo
sfondo una Sicilia da bozzetto, in cui i caratteri vengono esaltati
dalla
scrittura fino a diventare altrettanti ritratti di una irriducibile
sicilianitudine.
Anche l'ambientazione è d'annata: «Don Stefano Jacolino
inaugurò la rinnovata Pensione Eva alle otto di sera del
dù gennaio
millenovecentoquarantadù».
Scrittore di solidissimo mestiere, Camilleri riesce
benissimo nel raccontare gli eventi straordinari e le migliori storie
da
lupanare, dove brillano esemplari umani tipici di una Sicilia da
cartolina
illustrata. Di tanto in tanto, infatti, il bozzetto si completa in una
narrazione addirittura commovente nella sua perfetta riuscita comica o
sentimentale.
Ma come si è visto dall'indicazione cronologica, la Sicilia degli
anni
Quaranta è anche il teatro della guerra, dei bombardamenti
inglesi e americani.
E mentre a Camilleri riesce così facile la scrittura brillante,
quel gioco in
cui gli stereotipi si rivelano carte da gioco della letteratura,
idealtipi un
po' stralunati della varietà umana della Sicilia, "pupi" di un
teatro
pieno di colpi di scena, di tradimenti, di agnizioni, di mezzi
miracoli, ci si
accorge invece che non è troppo nelle sue corde il tragico. Le
città e i paesi
sventrati dalle bombe, i morti sepolti dalle macerie, i feriti negli
ospedali
di fortuna, il lezzo dei cadaveri sembrano risolversi in una maniera,
cioè in
un mondo narrativo di finzioni linguistiche.
Il lessico di Camilleri, quell'italiano regionalizzato che
talvolta rende vivo ed efficace il racconto, funziona meravigliosamente
quando
contrappunta l'oleografia del lupanare, e le avventure giovanili di
Nenè e dei
suoi giovanissimi compari. Appare invece sfasato non appena il clima
della
narrazione si muta in tragedia. Camilleri è uno scrittore di
commedie, di certo
un talento dell'intrattenimento popolare, mentre non è un autore
epico, capace di
rendere l'incombere e la paura della guerra e della morte.
Scrive nella nota finale che questo libro è «una vacanza
narrativa», evidentemente dai racconti con Montalbano
protagonista, «che mi
sono voluto pigliare nell'imminenza degli ottanta anni».
Il nuovo libro di Camilleri è pronto per tutte le classifiche e
per i lettori che ne amano la felice vena narrativa, anche se non
aggiunge molto al suo profilo di autore.
La Repubblica,
28.1.2006
La rivista diventa mensile
Il brano che pubblichiamo è tratto dal dialogo tra
Eugenio Scalfari e Paolo Flores d´Arcais che esce sul nuovo
numero
di MicroMega, appena diventata mensile. Sulla rivista compaiono anche
articoli di Gustavo Zagrebelsky, Carlo Augusto
Viano, Fiorella Mannoia, Lidia Ravera, Sergio Luzzatto, Piercamillo
Davigo, Guido Rossi, Marco Travaglio, oltre a un
racconto di fantascienza di Andrea Camilleri.
Gazzetta
del Sud, 28.1.2006
Invasione non necessaria di termini stranieri nel linguaggio quotidiano
«Eurogay», nuova parola in arrivo?
[...]
Sarebbe preferibile, al limite, ammettere il dialetto. Magari quello
saporito di Andrea Camilleri, il para-linguaggio di Vigata, il
nobile vigatese, appena riapparso in libreria con la piccante "Pensione
Eva" (Mondadori). Meglio assaporare revòrbaro e pinsero,
zuppicchiare e tanticchia, succosi al pari dei sette aranci che
brillano in copertina.
[...]
Dino Basili
29.1.2006
Due nuovi romanzi di Montalbano
È prevista per il mese di maggio la pubblicazione de Il
campo del vasaio (Sellerio), il decimo romanzo del commissario
Montalbano; è già a buon punto la stesura dell'undicesimo episodio,
che potrebbe essere pubblicato a settembre, sempre da Sellerio.
Il Giornale, 29.1.2006
Foto d'autore sulla Germania d'oggi
Il linguaggio è quello inconfondibile della parlata siciliana; ciò che cambia è che il protagonista del suo
nuovo libretto "La pensione Eva" non è la creatura più famosa di Andrea Camilleri, ovvero il commissario Montalbano,
ma un ragazzino. Siamo sempre nella immaginaria Vigata, intorno agli anni Trenta, con la guerra che minacciosa sta per
irrompere anche sulla scena sonnolenta del paesino siciliano. Nenè, ragazzino ingenuo, è alle prese con i primi pruriti
sessuali, i primi stravolgimenti emotivi, le prime esperienze consumate grazie all'aiuto compiacente di una predisposta
cugina. Ha due amici del cuore, Ciccio e Jacolino ed un desiderio: conoscere cosa si celi dietro le porte della pensione
Eva, il casino del paese che non ospita solo sesso a pagamento ma, soprattutto, storie di varia umanità. Che sono quelle
che Camilleri distilla sapientemente nel suo racconto (poche pagine che si leggono con grande facilità) accompagnando i
tre ragazzi nella loro crescita scolastica e, soprattutto, nella loro formazione sessuale e sociale.
La pensione Eva e le ragazze che vi lavorano diventano una presenza imprescindibile, una sorta di porto dove si
ha la certezza di trovare un sicuro attracco. Le prostitute hanno un cuore d'oro, a volte si prestano ad operazioni
politiche, si innamorano dei loro clienti, hanno visioni escatologiche. La guerra arriva con il suo carico di morte ma la
Pensione non smette di generare amore, anche se a pagamento. Non mancano i momenti di ilarità, come nel caso
dell'anziano cavaliere Calcedonio che recupera improvvisamente l'impeto sessuale, da anni smarrito, grazie al fragore
di un bombardamento.
[...]
Tappetta, 30.1.2006
Un due orate di piaciri...
Andrea Camilleri, La pensione Eva, Mondadori, Milano 2006. Euro 14,00
Divertente, ironico, tragicomico. La storia centrale - nella lingua abbondantemente collaudata
dell'italo-girgentino - è della crescita di Nené, dall'infanzia alla "ventina" passando per la seconda guerra mondiale, che
si incrocia con i racconti (brevi ma indimenticabili) delle vite che gravitano intorno alla Pensione. Il casino della ormai
geograficamente esistente Vigàta è l'ennesimo pretesto di Camilleri per raccontarci di persone. Non
di personaggi, attenzione. Nené, Ciccio, Jacolino, Angela, Teresa, Grazia, Filippo e il suo "quaquone"
sono "persone", come i tanti "cavaleri", i mille avvocati, i vari Mimì, Gegé, Patò, Calò incontrati nei suoi romanzi,
montalbanici e non, che alla fine fanno parte di noi. E che impariamo a riconoscere, cugini un po' alla lontana di cui
abbiamo quel ricordo labile ma piacevole, a cui pensiamo sorridendo.
Tappetta
Manfredonia.net magazine, 30.1.2006
Comunicati
La curiosità è servita
Percorso conviviale con retrogusto culturale. Sabato 4 febbraio a cena con Andrea Camilleri, il creatore del commissario Montalbano.
Si terrà sabato 4 febbraio presso il Regio Hotel Manfredi alle ore 20,30 la prima di una lunga serie di cene tematiche intitolate La curiosità è servita, percorso conviviale con retrogusto culturale.
L'intento è di creare una armoniosa mescolanza di gastronomia e letteratura, gastronomia e arte, gastronomia e musica, legate da motivi individuati in maniera curiosa e creativa.
La cena di sabato 4 febbraio prende spunto dagli ottant'anni di Andrea Camilleri e verterà sul commissario Montalbano. Sarà preceduta dall'intrattenimento di due artisti locali: Dino La Cecilia e Pino Vigilante. Il primo è un attore e leggerà una serie di brani tratti dai libri su Montalbano. Il secondo è un fisarmonicista che suonerà brani siciliani alternandosi all'attore o introducendolo.
Il menu della cena è interamente tratto dai testi di Camilleri e rispetta integralmente le ricette originarie. Durante la cena ci saranno un paio di intermezzi tenuti dagli artisti che riempiranno le pause tra le varie portate. Inoltre ogni commensale avrà, in ricordo della serata, un libretto di quattro pagine con un menù, molto simpatico, scritto alla Montalbano ed altri brevi commenti.
Per ulteriori informazioni: globaldiscovery@libero.it
Fahrehneit, 31.1.2006
Andrea Camilleri, La pensione Eva, Mondadori
Per le stanze della Pensione Eva, il casino di Vigàta appena rinnovato e promosso dalla terza alla seconda
categoria, transitano figure e personaggi di quei provinciali, sonnolenti, tipici anni Trenta che potremmo benissimo aver
incontrato in altri indimenticabili romanzi di Camilleri. Dall'anziano cavalier Calcedonio Lardera, cui il fragore dei
bombardamenti restituisce per un attimo l'impeto dell'antica virilità, a Biagiotti Teresa, in arte Tatiana, puttana
comunista capace di occultare il ghigno baffuto di Stalin in luoghi insospettabili.
Ma le case chiuse non furono solo lo spazio proibito e in fondo domestico delle prodezze e delle fantasie erotiche
di un'Italia addormentata dai languori della carne e dai miasmi del fascismo. Camilleri ne fa lo sfondo - o il primo
piano? - di un vero e proprio romanzo di formazione prima dolce e poi crudele.
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"Sto lavorando a uno scritto su Caravaggio che mi è stato commissionato per una mostra esaustiva che si terrà a
Berlino quest’estate. Io non sono un critico... Non scriverò del Caravaggio sparito a Palermo: m’hanno detto scriva, s’impegni,
qualche episodio siciliano, maltese… È stato un buon suggerimento."
ANSA, 31.1.2006
La fine di Montalbano? Dopo la mia morte
"La fine di Montalbano? L'ho gia' scritta e sta nel suo cantuccio": lo ha detto Andrea Camilleri a
Radiotre. La precisazione arriva in occasione della presentazione dell'ultimo libro di Camilleri, "La pensione Eva",
ambientato a Vigata, ma in un'epoca precedente alla nascita di Montalbano. "Saprete come va a finire -ha precisato
lo scrittore- quando non ci saro'piu'. Nel frattempo,usciranno altri Montalbano. Io intanto ho intravisto come far finire
il personaggio".
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