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Il giudice Surra

e altre indagini in Sicilia



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 14,00
Pagine 192
Data di pubblicazione 14 novembre 2023
Editore Sellerio
Collana La memoria n.1290
e-book € 9,99 (formato epub, protezione acs4)


 

Per la prima volta insieme tre brevi gialli ambientati in Sicilia, tre storie da tempo introvabili, che confermano lo straordinario talento inventivo e di narratore di Andrea Camilleri. Delitti, intrighi e sospetti, e un carosello di personaggi memorabili.

Con una Nota di Giancarlo De Cataldo

Una volta, era il 2005, fu chiesto ad Andrea Camilleri quando avesse preso coscienza che stava per diventare uno scrittore di successo: «Alla fine del 1998. Ero a Firenze in una grandissima libreria, vidi arrivare dal fondo della sala un gruppo di una quindicina di giovani; ebbi la speranza di una contestazione, questi, invece, si sedettero per terra, e quando si svolse il rito degli autografi mi lanciavano il libro e mi intimavano: “Avanti, scrivi a Giovanni”. Allora capii che il ventaglio dei miei lettori si era allargato al massimo, ed entrai in una crisi profonda di domande su che cavolo scrivevo, se agguantavo un ragazzo di diciotto e un signore di settanta. Non riesco ancora a darmi delle risposte».
La risposta crediamo sia nella immensa capacità di invenzione di Camilleri - documentata dagli oltre cento libri scritti e dagli innumerevoli lettori in tutto il mondo - e nella persistente passione di raccontare storie, come le tre qui riunite che, dopo la prima uscita, non sono state più pubblicate. Sono brevi romanzi gialli ambientati in Sicilia.

Il giudice Surra. All’indomani dell’Unità d’Italia Efisio Surra, cinquant’anni, viene trasferito da Torino al tribunale di Montelusa. Imperturbabile, coraggioso, dotato di scienza e coscienza, Surra sembra ignorare la Fratellanza, nome che designava allora la mafia. «In un’epoca in cui il magistrato era considerato fratello gemello dei ricchi, questo forestiero onesto vuole solo applicare la legge e si mette al lavoro», come se la mafia non ci fosse «e così facendo, inconsapevolmente l’annullò».

Troppi equivoci. Un incontro casuale tra Bruno, tecnico dei telefoni, e Anna, traduttrice, si trasforma rapidamente in una storia d’amore, spezzata dopo appena due giorni dal feroce omicidio della donna. Bruno temendo di essere accusato del delitto si mette a caccia dell’assassino. Un giallo classico sullo sfondo di una Palermo abitata dalla mafia.

Il medaglione. Il maresciallo dei carabinieri Antonio Brancato di servizio a Belcolle, immaginario paesino che sovrasta Cefalù, si trova a fronteggiare non un delitto, ma una situazione assai pericolosa: il vecchio Ciccino si è barricato nella sua casa di campagna e minaccia di sparare a chiunque si avvicini, prete compreso. È appena rimasto vedovo e ha scoperto nel medaglione che la moglie portava sempre al collo il ritratto di uno sconosciuto e la cosa gli ha fatto perdere la testa. Tocca al maresciallo, autorevole e comprensivo, agire senza indugio.

Il racconto Il giudice Surra è apparso per la prima volta in Giudici, Einaudi 2011; Troppi equivoci in Crimini, a cura di Giancarlo De Cataldo, Einaudi 2005; Il medaglione, scritto per il Calendario 2005 dell'Arma dei Carabinieri, è stato pubblicato in volume nello stesso anno con Mondadori.

 

Le storie di Camilleri sono sempre seducenti, anche quando tralasciano la fascinazione sonora del vigatese per scavare dentro il rimestìo, sommesso ed elusivo, di un italiano parlato tra torsioni e tocchi dialettali: come accade nei tre racconti di questo volume. Conta, nell’un caso e nell’altro, la straordinaria esattezza della scrittura dell’autore. Nella terna, che qui fa libro, trovano assetto componimenti di diversa configurazione narrativa, di uguale qualità inventiva, e di godibilissima lettura. Due dei racconti sono datati 2005. L’altro è del 2011. Ora, dopo la dispersione, entrano nelle partizioni e nell’arcata di un libro unitario, collaborando vicendevolmente con i legami associativi suggeriti dagli ingegnosi giochi di quinte della regia di Camilleri. Sintomatico è il racconto Troppi equivoci con la sua costruzione severamente cinematografica. Sullo schermo delle pagine scorrono le didascalie come in un film d’antan. E la narrazione intreccia due trame parallele di contrapposta colorazione: una luminosa; l’altra torbidamente fosca, marcata dal corsivo. Bruno Costa, «tecnico della società dei telefoni», è portato da una «curiosità innata» a verificare le sue «supposizioni» partendo «da minimi indizi». È un dilettante dell’investigazione. Un futile scherzo telefonico, con conseguenti combinazioni di equivoci, fa precipitare lui e la donna di cui è innamorato nelle spire della trama oscura. La donna viene orrendamente uccisa. L’esercizio della «curiosità» consente a Bruno di venire a capo del giallo prima dello scrupoloso commissario Chimenti. Un monile di onerosi ricordi dà il titolo a Il medaglione. Il maresciallo Antonio Brancato comanda in Sicilia la Stazione dei Carabinieri di un paesino di montagna. Più che altro è un consulente per famiglie, un paciere. Può capitargli di doversi scontrare con un pericoloso latitante di passaggio. Ma lui sa come regolarsi. Risolve tutto con una furbata teatrale (in stile Montalbano). Ed è con una stupefacente furberia che salva dall’attonita disperazione e dalla angosciata autoreclusione un vedovo che, nella cassa del medaglione regalato alla moglie, al posto della sua fotografia ha trovato il ritratto di uno sconosciuto. Ambientato a Montelusa, nell’anno 1862, con propaggini nel biennio successivo, è Il giudice Surra. Il protagonista del racconto storico (un piemontese sceso in terra di Sicilia) è armato di un candore che disorienta la fratellanza, o mafia, e lo rende enigmatico, alieno all’intero paese; gli fa ignorare minacce, intimidazioni, e persino un attentato. È una corazza fantastica, l’innocenza, una sfida, sostenuta com’è da un’integrità morale e da un combattivo senso della giustizia che consentono al giudice di rintuzzare e umiliare la mafia, consegnandola all’irrisione.
Salvatore Silvano Nigro
 

Il metronomo di Camilleri
Mi proclamo orgogliosamente corresponsabile di due dei tre episodi narrativi che compongono questa magnifica “compilation”. E che illustrano a perfezione una delle doti più universalmente riconosciute e stimate del Maestro: la sua impareggiabile generosità. Tutto cominciò intorno al 2005. Con Carlo Lucarelli nacque l’idea di un’antologia di racconti a sfondo poliziesco che potesse, allo stesso tempo, originare altrettante trasposizioni televisive. Un simile disegno non era concepibile senza la presenza di Andrea Camilleri. L’idea, per nostra fortuna, gli piacque. Era stato a lungo uomo di televisione, ci spiegò. Non era mai stato preda dello snobismo che a volte inquina il rapporto fra l’autore letterario e l’adattamento per immagini della sua opera. Pose un’unica condizione: che il racconto non contemplasse la figura del commissario Montalbano, riservata, letterariamente, disse, a Sellerio: il rapporto che lo legava alla casa editrice era di profonda stima e autentica lealtà, e non di minore importanza era l’affetto che lasciava trasparire per la gente di casa Sellerio. Nacque così Troppi equivoci, che venne inserito nell’antologia einaudiana Crimini. Un racconto contemporaneo dal ritmo incalzante che si dipana a partire da una citazione metalinguistica che sa di sapido ammiccamento — Bruno risponde per scherzo a una telefonata e viene scambiato per chi non è, e precipita in un’equivoca avventura così come il Cary Grant di Intrigo Internazionale — e prosegue in un crescendo di colpi di scena, agili e nervosi, nei quali la casualità gioca un ruolo determinante. L’antologia funzionò, e dal racconto di Camilleri fu tratto l’omonimo film per la Tv diretto da Andrea Manni e interpretato, fra gli altri, da Beppe Fiorello e Claudia Zanella. Ma questa è solo una parte della storia. Visto che il colpevole, com’è noto, prova un’irredimibile attrazione per il luogo del delitto, qualche anno dopo tornai a importunare il Maestro con una nuova proposta. Si trattava ancora di un’antologia. Aveva per oggetto la figura e il ruolo del giudice. Correva l’anno 2010. L’idea era di raccogliere tre storie emblematiche (eravamo ancora insieme a Lucarelli), nelle quali i giudici non recitassero, secondo la vulgata dominante, il ruolo dei cattivi, ma, al contrario, fossero protagonisti in positivo. E così mi rivolsi ancora a Camilleri, che in più occasioni aveva preso posizioni pubbliche tanto equilibrate quanto ferme nel difendere non tanto i singoli giudici, quanto il ruolo istituzionale. Mi ricevette nella sua storica casa in Prati un pomeriggio d’autunno. C’era un tempaccio che sembrava smentire tutti i luoghi comuni sulle gaie ottobrate romane. Camilleri era avvolto da una nube di fumo e vagamente polemico contro il “proibizionismo salutista” che si faceva strada a larghi passi. Gli ricordai un passaggio di un Montalbano di qualche tempo prima, il brindisi di un “parrino” (nel senso di Michael Corleone) all’annuncio della strage di Capaci. Mi raccontò della sua amicizia con il giudice Suriano, fine giurista e ancor più fine autore: io stesso, d’altronde, avevo incontrato Camilleri grazie al figlio Francesco. Poi, di colpo, dopo l’ennesima boccata, mi disse: «dalle mie parti c’è un’erba maligna che si chiama surra. È un’erba tenace, che non riesci ad estirpare. Ho sempre considerato la tenacia una qualità essenziale. Perciò scriverò un racconto che si chiamerà Il giudice Surra, dal nome dell’erba. Sarà un racconto storico. Si comporrà di quarantotto pagine. Te lo consegnerò il…» e sparò una data, di lì a un po’ di mesi. «Ma se l’hai già scritto» obbiettai «perché non me lo dai subito? Poi lo impaginiamo a tempo debito». Si irrigidì. Capii, dalla sua risposta, di aver sfiorato l’incidente diplomatico: «io non ho già scritto il racconto» puntualizzò, ora serissimo, «se l’avessi scritto certo che te l’avrei dato. Io so come lo scriverò perché già lo vedo. È il mio modo di procedere. Quando devo scrivere, subentra una forma di razionalità che prende la forma di una sorta di metronomo interiore. Un regolatore di ritmo che mi fa vedere in anticipo come sarà la storia che ho in mente, e quando sarà pronta». Fui fortunatamente perdonato. Il racconto venne consegnato esattamente nei tempi previsti. Finì nell’antologia Giudici. Constava di esattamente 48 pagine. Camilleri era stato di parola, e con una precisione che lascia sbalorditi. Il giudice Surra ci appare, a un primo livello, indifferente alle minacce mafiose semplicemente perché, neanche fosse un novello Mister Magoo, sembra non accorgersene. Pensi, leggendo: gli manca l’algoritmo per interpretare certi codici territoriali. Poi, però, ti viene un altro pensiero (che Camilleri, peraltro, suggerisce): Surra ci lascia intendere di non capirli, quei codici. In realtà, agisce nel modo migliore per neutralizzarli. Li ignora, procede dritto per la via maestra della giustizia. È “surra”, tenace e inestirpabile, perché questa è la sua natura. E in questa tenacia, in questa resistenza sta la forza del suo essere integerrimo magistrato. Un segnale sottile, e sottilmente “politico”, di quelli che solo Camilleri, nella leggerezza del suo fluire narrativo, sapeva comunicare. Il medaglione, infine, è una storia profondamente camilleriana, una novella gentile nella quale il Maestro dimostra, una volta di più, la sua personalissima, e per certi versi unica, abilità nel declinare il genere poliziesco secondo una ricca pluralità di registri. L’impianto è “mistery”, ma il mistero in questione attiene alla sfera più intima dei sentimenti: è un mistero della memoria, e nello stesso tempo dell’anima. In termini di giallo classico, il finale del Medaglione equivale alla scena in cui il detective smaschera il colpevole, riaffermando il primato della giustizia.
Se sostituiamo alla giustizia degli uomini la serenità di un animo tormentato, vediamo come, ancora una volta, Camilleri sia riuscito a piegare le regole del genere alla sua inimitabile polifonia, qui declinata sulle note tenere e patetiche di una sinfonia campestre. E, nello stesso tempo, questo girotondo di vite ordinarie illuminate da un’ironica “pietas” ci ricorda che, fra le radici del Maestro, si annidano i profili mesti e severi di tanti “vinti” di verghiana memoria.
Giancarlo De Cataldo

(Il brano sopra riportato della nota di De Cataldo, intitolata "Tre pezzi facili", è stato pubblicato su La Repubblica del 13-14 novembre 2023)



Last modified Wednesday, November, 15, 2023