home page




RASSEGNA STAMPA

MAGGIO 2005

 
l'Unità, 3.5.2005
Il fascismo che ho vissuto

Palermo. "Gli italiani stanno iniziando a capire chi è Silvio Berlusconi, ma ancora il bicchiere è mezzo pieno. Debbono berlo tutto questo amaro calice, e poi capiranno completamente". Andrea Camilleri commenta così le recenti elezioni che hanno visto il trionfo del centrosinistra. Con ironia critica, esprime un giudizio disincantato, e inizia così il suo dialogo con l’Unità, nel quale parla di cultura, di storia, di politica, di attualità, di informazione. Delle elezioni. Partendo ovviamente dal suo ultimo libro, che è alzato in testa alle classifiche, "Privo di titolo", edito da Sellerio.
Con un tema complesso, come abbiamo già raccontato su queste pagine, poiché si tratta di un romanzo storico ambientato nel fascismo. Segno che in Italia il pubblico dei lettori è più attento di quel che si pensi.
La vicenda al centro del nuovo libro è nota, la storia di Luigi Gattuso, un fascista - racconta lo scrittore di Porto Empedocle - ucciso per sbaglio dai suoi durante una rissa in una notte del 1921, e non da un muratore comunista.
Camilleri partendo dalla letteratura si interroga sulla verità storica, sulle verità dell’esistenza e sul loro significato.
Qual è il rapporto di Camilleri con il concetto di verità?
"Non tendo ad una verità assoluta, dogmatica. Credo a verità relative. Ma quando anche la verità relativa viene stravolta ti domandi a cosa devi credere. Riferendoci al libro. Esiste una verità del senso comune, vi è quella processuale, vi è quella storica. Se la verità viene manipolata in verità processuale, a sua volta questa in una verità di comodo, in verità virtuale, allora qual è il filo d’Arianna che ti può servire per muoverti in questo labirinto? Ecco perché la ragione critica ha un valore essenziale, ti dà la possibilità di pensare con la tua testa, di non farti abbindolare dalle manipolazioni e dalle falsificazioni. Di mantenere il tuo spirito libero, critico. La letteratura è uno strumento critico che può aiutare a svelare le verità, a smascherarle. La fantasia narrativa può aiutare a riflettere e capire la realtà che ci circonda. Siccome sono una persona, che si rifà ai fatti quotidiani, richiamo alla mente la tragedia a Bagdad, con l’uccisione di Calipari: tutti sappiamo che ci verrà ammannita una verità parziale (e in questi giorni abbiamo visto quanto parziale e «di parte» sia, ndr), lo sappiamo tutti e non facciamo niente. Ci basta un millesimo di verità in dose omeopatiche. Mi ribello a questa sorte di imposizione. Ritorno sempre a questa faccenda della dittatura. Siamo in un regime mediatico in Italia. Se non fosse così, oggi Enzo Biagi avrebbe la sua trasmissione. Così come Michele Santoro avrebbe la sua. Luttazzi lavorerebbe in tv. Così come lavorerebbero in tv la Guzzanti, Paolo Rossi e tanti altri, che evidentemente hanno creato con il loro spirito libero problemi al potere. Ma qualcuno dalla Bulgaria ha detto che Biagi , Santoro, Luttazzi, non debbono lavorare, e così è. Il diktat è stato rispettato. Queste per me sono limitazioni della democrazia. E c’è talmente fumo negli occhi che ti viene da soffocare."
Lei è sempre stato molto critico su Berlusconi...
"Guardi, Berlusconi è l’antipolitica, anzi metaforicamente potrei dire che è l’antimateria, ovvero la sua è una politica virtuale, non si occupa dei problemi della gente, quelli reali. Tranne i suoi, ovviamente. Per risolvere i suoi problemi, ha una intera maggioranza che vota in maniera compatta."
Ma gli italiani hanno espresso un voto netto alle regionali facendo vincere il centro-sinistra. Hanno compreso la politica di Berlusconi e l’hanno bocciata?
"Gli italiani stanno iniziando a capire Berlusconi, ma non l’hanno ancora capito completamente. La questione è più complessa. Anche la vicenda del regime mediatico non l’hanno ancora compresa a fondo. Il punto è - come dicevo prima - che il bicchiere è mezzo pieno, e debbono berlo tutto questo amaro calice. Solo allora capiranno completamente, ed il vaccino potrà funzionare."
Si riferisce alla tesi di Indro Montanelli?
"Certo, lasciatelo governare, sino alla fine della legislatura e la sua politica si mostrerà per quel che è. Sarà come un vaccino per gli italiani. Ma la questione, ripeto è più complessa, bisogna aspettare e vedere come andranno le elezioni politiche del prossimo anno, alla fine del mandato di governo di Berlusconi. Lì si vedrà se gli italiani lo hanno capito completamente."
Il suo "Privo di titolo", continua a suscitare divergenze. Qual è la sua definizione di fascismo e cosa ha rappresentato nella storia d’Italia?
"Il fascismo, malgrado la sistemazione teorica, lo sforzo intellettuale di Gentile, era tutto e il contrario di tutto, era una sorta di blob. Assumeva le forme che era necessario assumere, per abbattere i democratici. Era una dittatura autentica, che ha prodotto tante vittime. Tante persone hanno subito il carcere, e venivano mandate al confino, al duro confino, altro che villeggiatura! Il fascismo si verificò in Italia, quando l’Europa era malata. Estremamente malata. Per fortuna vinsero le democrazie, quelle vere! Ma Lei mi chiedeva una definizione del fascismo. Ebbene, potremmo dire che fu una solenne minchiata. Una atroce minchiata. Il fascismo sarebbe stato grottesco, se non fosse stato tragico. Se non avesse comportato la morte di tanti innocenti, ricordo Matteotti e Gramsci solo per fare qualche esempio, il fascismo sarebbe stata solo una buffonata. Purtroppo invece è stato un evento tragico. Non lo dico solo io, ma anche un signore che è andato dagli ebrei, ed ha parlato del male assoluto."
Il fascismo, fatto isolato nella storia d’Italia, o atteggiamento mentale che ritorna?
"Guardi, quando appesero Mussolini a Milano, un grande giornalista inglese, scrisse in buona sostanza questi concetti: non l’avete ucciso, potete credere di averlo ucciso, ma per decenni questa sorta di tumore ve lo porterete appresso. Del resto esponenti della tradizione fascista sono diventati ministri della
Repubblica."
Non è la prima volta che affronta il periodo del fascismo. Vi è un'altra sua opera, "La presa di Macallè" dove spiega in maniera critica i meccanismi psicologici e sociali della costruzione del consenso. Il ruolo della propaganda nella comunicazione e nella politica...
"Ha colto perfettamente il nesso. È una riflessione che avevo già avviato ne "La presa di Macallè", in quel caso mi occupavo in particolare dei meccanismi psico-pedagogici e sociali della costruzione del consenso, della manipolazione delle menti. In quel libro la riflessione si sviluppava all’interno di un cervello di un bambino: ovvero come fosse possibile che un certo tipo di educazione alterasse un cervello, il comportamento di un adolescente, trasformandolo in un assassino. Forse però, il racconto sulla vita sessuale del protagonista del romanzo non è stato compreso, né la metafora che essa rappresentava. In "Privo di titolo" per non offrire il fianco a facili equivoci, ho evitato ogni riferimento a questi argomenti. Del resto non è una storia che concede divagazioni."
Racconta però sempre con un stile ironico-critico...
"È il mio stile, impresso nel mio Dna."
Qualcuno l’ha criticata sostenendo che voleva cambiare il nome di una strada a Caltanissetta dedicata a Gattuso?
"Siamo seri, si figuri se penso alla strada di Caltanissetta. Questo è provincialismo, di più paesanottismo. Sono frasi senza senso. Hanno criticato, facendo riferimenti alla toponomastica, un libro che non avevano letto. Probabilmente questo è coerente con i loro principi: attaccare senza conoscere, bollare in maniera dogmatica chi la pensa in maniera diversa da loro, senza manco prendersi la briga di informarsi sui contenuti della questione. Comunque non fanno altro che portarmi il carico da undici come direbbe Salvo Montalbano. Allora dico: o scelgono Fini che se ne va dagli ebrei facendo una scelta giusta, o scelgono la polemica sulla strada. La verità è che una parte di loro rimane legata al nome delle strade…"
Sul piano della struttura che soluzione ha adoperato?
"Questo è un romanzo che si serve di quello che ho sperimentato in altri romanzi, una sorta di assemblaggio di dati, di lettere, di corrispondenza, di ritagli di giornali, tutti inventati di sana pianta. Però qui a differenza de "La scomparsa di Patò", vi sono amplissimi squarci narrativi, romanzeschi. C’è una complessità maggiore.
Salvo Fallica
 
 

RaiNews24, 3.5.2005
Cultura. Da domani 'Incontri' sul nostro sito: video e notizie su 127 scrittori di tutto il mondo

'Il giro del mondo della scrittura', una videoteca aperta al pubblico con 127 scrittori di 39 Paesi: è quella che sarà on line da domani, alla vigilia della Fiera del Libro di Torino, sul sito www.rainews24.rai.it. La nuova sezione 'Incontri' del sito di Rai News 24 raccoglierà il lavoro di quasi cinque anni dell'omonima rubrica televisiva curata da Luciano Minerva e Fausto Pellegrini, e presenterà ogni settimana uno scrittore contemporaneo attraverso un'intervista o la sintesi di un incontro con il pubblico.
Ad ognuno di questi autori, scelti tra le presenze più interessanti in Italia a Festival, Premi internazionali o altre iniziative, il sito dedicherà, oltre a uno o più video di 12 minuti ciascuno, una pagina con biografia, bibliografia, i migliori link, molti testi integrali.
I protagonisti di 'Incontri' saranno per lo più narratori (dai Premi Nobel Saramago e Morrison a Premi Pulitzer come Ford, Franzen, Mc Court, da Arundhati Roy a Grossman e Sepulveda), ma non mancheranno saggisti come Bauman, Baudrillard, Morin e personaggi come il Dalai Lama, Gorbaciov, Rigoberta Menchù e Rita Levi-Montalcini.
35 saranno gli italiani, da Camilleri a Magris, da Citati a De Luca, da Luzi a Maraini, tutti gli altri rappresenteranno la letteratura di Europa, Americhe, Asia e Africa. In prima pagina in questi giorni ci saranno i link dedicati a quindici autori presenti alla Fiera del libro; omaggi a Mario Luzi e, in occasione del Premio a lui intitolato, a Tiziano Terzani.
 
 

Corriere della sera, 3.5.2005
Dieci anni dopo il romanzo simbolo di una generazione, l'autore bolognese racconta il suo nuovo libro. Sarà una delle star della Fiera di Torino
"Jack Frusciante? Gli editori oggi vogliono Melissa"
Brizzi: serve più coraggio, che noia Camilleri, Pansa sbaglia, Piperno non convince

[....]
Il noir lo lascia piuttosto indifferente:"Mi rendo conto che è un genere di successo. E' codificato, reversibile, serializzabile. Se abbiamo avuto decine di romanzi di Camilleri in classifica, è chiaro che ha funzionato. Io li ho trovati un po' ripetitivi, come quelli di Simenon del resto. Mi chiedo se lui non si rompa le scatole, se non si annoi. Invece mi è piaciuto molto "Romanzo criminale" di Giancarlo De Cataldo, proprio perché scardina il genere e se lo mangia".
[...]
Cristina Taglietti
 
 

Il Mucchio Selvaggio, n.610, 5.2005
Il tradimento dei chierici
Già prima delle Regionali c'erano state le prime avvisaglie. Quelli che volevano combattere Berlusconi dall'interno, o che facevano finta di niente, cominciano lentamente a prenderne le distanze. Non si sa mai. Dovesse perdere anche le elezioni del prossimo anno. Salti da canguro per mascherare che son tutti lì per far soldi e ogni bandiera va bene. Salvo poi saltare dalla barca quando sta per affondare.

[...]
Quelli come Camilleri continuano il dentro e fuori da Mondadori a seconda della portata politica dei propri romanzi, come anche gli scriba dei Costantini griffati Mediaset, nel qual caso cercano temporaneo asilo altrove.
Nella loro risacca non c'è rigurgito morale, non c'è alcuno scrupolo di non assecondare nel mercato un regime politico che si nutre di monopoli, che in 10 anni ha fatto tabula rasa della cultura, dei dissidenti, delle libertà democratiche, sostituendo il volume del fascismo di massa con la qualità.
[...]
Massimo Del Papa
 
 

Le invasioni barbariche, 4.5.2005
Intervista ad Alessandro Piperno

[...]
E Piperno, con i suoi modi da dandy e le sue pose da intellettuale aristocratico, non fa nulla per smorzare i toni del dibattito: non esita, ad esempio, a definirsi più bravo di Faletti (l'autore italiano di maggior successo delle ultime stagioni) ed è solito affermare che preferirebbe leggere "Novella 2000" piuttosto che sorbirsi Camilleri e il suo Montalbano.
[...]
Daria Bignardi
 
 

L'Arena, 5.5.2005
Colognola. Oggi all’alberghiero con Crovi e Novelli
Letteratura e cucina insieme per Bisogiallo

Colognola. Coniugare la cultura letteraria con quella contadina facendo filtrare il tutto attraverso la coltura tipica dei colli di Colognola: i bisi. Questa la ricetta con cui l’assessorato alla cultura, la biblioteca civica di Verona e la biblioteca comunale Sandri hanno sfornato Bisogiallo, una serata culturale ed enogastronomica che si terrà oggi all’Istituto alberghiero Berti di Verona, partendo alle 18.30 da piazza Trento davanti al municipio.
«Protagonista sarà il giallo di cui parleranno alle 19 Luca Crovi, conduttore su rai Radiodue della trasmissione Tutti i colori del giallo e noto autore di libri gialli, con Mauro Novelli, curatore del Meridiano Mondatori su Andrea Camilleri», spiegano l’assessore alla cultura Maria Dal Dosso e il presidente della Sandri Bruno Bonomi, «Si legheranno così la vocazione agricola del territorio di Colognola con il filone letterario scelto, particolarmente amato dai lettori italiani. A esplorare le sfumature del giallo saranno Luca Crovi e Mauro Novelli, appassionati saggisti che racconteranno curiosità e aneddoti legati al genere poliziesco, facendo emergere la figura dell’autore siciliano Andrea Camilleri con il fortunato commissario Montalbano, protagonista di molti suoi romanzi».
L’iniziativa si configura come un appuntamento della primavera colognolese e dà continuità alle due serate (la prima su Emilio Salgari e la seconda su Manuel Vazquez Montalban, conclusesi rispettivamente con cena salgariana e spagnola) che si sono tenute negli ultimi anni in paese, le quali miravano a legare la cultura letteraria con quella enogastronomica. Sarà infatti questa volta una cena siciliana a coronare la serata, che vedrà gli allievi dell’alberghiero preparare e servire un menù tipicamente siculo che, tra le portate, vede timballo di melanzane con fonduta di caciocavallo, ’ncancaranca (minestra rustica con cipolla e pecorino), cavatelli con sarde e semifreddo di ricotta con crema di marsala.
«Si tratta di un menù che gli allievi del Berti hanno stilato sulla base di uno studio condotto sui libri di Camilleri», spiega Claudio Gallo, bibliotecario della Civica di Verona e tra gli organizzatori della serata, «dato che i piatti serviti alla cena sono stati tutti citati nelle sue opere che parlano di Montalbano [questo non è esatto, NdCFC]». Piatti prelibati e impegnativi da preparare, fa sapere l’assessore Dal Dosso, tanto che hanno richiesto l’utilizzo di una cucina apposita come quella dell’alberghiero. Il costo della cena è di 22 euro da versare al momento dell’iscrizione alla biblioteca comunale Sandri di via Trento, aperta al pomeriggio dalle 16.30 alle 19 (tel. 045.615.9677).
Monica Rama
 
 

L'espresso, 12.5.2005 (in edicola il 6.5.2005)
Due domande a Andrea Camilleri

D. Lei ultimamente si sta prendendo sempre di più la libertà di raccontare altre storie, rispetto a quelle di Montalbano. Ultimo caso "Privo di titolo" (Sellerio), dove ricostruisce la vicenda di un giovane siciliano, pianto come un martire fascista e invece "vittima" di una verità opposta. Un episodio a cui affianca la storia di Mussolinia. Perché ha scelto questi due fatti storici?
R. Perché sono esemplari del rapporto tra reale e virtuale valido ancora oggi nella nostra civilità dove i media ci convincono di cose che non esistono. Questo libro è nato dalla volontà di voler cercare la verità dietro le apparenze. Trattandosi di storia, ho cercato di trovare una verità relativa, mettendo in relazione vari testi, documenti.
D. E Montalbano? Lo abbandonerà o ci sarà una "rivolta dei lettori"?
R. La rivolta c'è già. Quando nel "Giro di boa" Montalbano prende posizione contro il G8, si sono arrabbiati come se io lo avessi "contaminato". Montalbano pero` invecchia e io pure. E non vorrei lasciarlo in sospeso. Sto cercando di trovare il modo di farlo scomparire. Ma so che sarà dura per i lettori. È un eroe vero, mentre la nostra epoca è fatta di eroi immaginari, di sogni immaginari alimentati dalla propaganda come quelli che descrivo in "Privo di titolo".
Antonella Fiori
 
 

La Sicilia, 6.5.2005
Cresce l'iniziativa culturale guidata da Tina Cancilleri
Barrafranca, «Cafè letterario» su Andrea Camilleri

Barrafranca.  Ha registrato una buona partecipazione la terza serata del «Cafè Letterario», il quale ha suscitato non poco interesse tra i giovani, anche del Siracusano e del Catanese, riguardo all'argomento trattato, il romanzo storico dello scrittore Andrea Camilleri.
Il luogo scelto per l'iniziativa, il «Bagatto», favorisce un modo di contatto con la tradizione dato che, nel locale, sono presenti delle nicchie con alcuni arnesi in riferimento all'antica cultura contadina dell'entroterra siciliano; gli scrittori siciliani trattati dalla studiosa ne fanno ampio riferimento oppure rimangono un importante filo di collegamento della nostra cultura contadina.
Singolare il modo in cui si avvia la discussione, nella quale qualche riferimento o semplice curiosità porta a interrompere la Cancilleri per interloquire in modo costruttivo, anche al fine di "riscoprire" per il partecipante alcuni testi di letteratura "depositati" da anni nel dimenticatoio.
Si è lanciato, quindi, un modo nuovo di coinvolgere gli intervenuti e gli appassionati di letteratura tra qualche stuzzichino e il sorseggiare una bevanda.
Tina Cancilleri, laureata in filosofia, ha stretto rapporti di collaborazione con il famoso scrittore Andrea Camilleri, e ha condotto una serie di studi su «Il Re di Girgenti», un argomento trattato precedentemente con riferimenti anche a «La strage dimenticata» e «La mossa del cavallo», testi nei quali si fa riferimento ad alcuni personaggi e fatti riconducibili alla cittadina barrese.
La grande capacità di sintesi porterà la studiosa a discutere anche su tematiche di comparazione tra scrittori siciliani, anche sulle tradizioni popolari, con lo scrittore siciliano Giuseppe Pitrè e altri scritti del frate Domenico detto "Micio" Tempio e l'abate Giovanni Meli.
Tina Cancilleri commenta: «Il momento di aggregazione con il confronto tra gli intervenuti riserva una finalità importantissima per la nostra società come la formazione e la bellezza incondizionata del sapere anche con il parlare della nostre tradizioni siciliane».
Renato Pinnisi
 
 

Il Mattino, 6.5.2005
Virginia, l’amore impossibile

Acquisita una certa notorietà come autore di «gialli» che hanno come protagonista il magistrato Agrò, il messinese Domenico Cacopardo ha subito dopo voluto dimostrare che aveva altre frecce al suo arco, proprio come ha fatto il suo corregionale Andrea Camilleri, creatore del celeberrimo commissario Montalbano. E del resto sono molte le somiglianze tra questi due scrittori, entrambi arrivati alla notorietà letteraria in età piuttosto avanzata, e dopo avere onorevolmente seguito altre strade (Cacopardo è un alto magistrato del Consiglio di Stato ed è stato consigliere giuridico di Massimo D’Alema quando questi era presidente del Consiglio).
[...]
Felice Piemontese
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 7.5.2005
Il disco
Il jazz di Olivia Sellerio le parole di Camilleri

Sonorità della tradizione popolare siciliana che si incrociano con il jazz americano, testi inediti di Andrea Camilleri e note antiche di Rosa Balistreri. "Accabbanna" è il cd - e anche il nome del gruppo musicale - con la voce di Olivia Sellerio e il contrabbasso di Pietro Leveratto. Il disco, inciso per la Egea, verrà presentato oggi alle 19 allo stand della Regione alla Fiera del Libro di Torino e sarà distribuito dal 30 maggio. «È un progetto a cui lavoriamo da tempo - racconta Olivia Sellerio - e adesso che ascolto il disco ricordo che in quel periodo ero piena di rabbia e potevo esprimerla solo cantando in siciliano. Rispettando la tradizione, ma senza timore reverenziale». Nel gruppo suonano anche Giampaolo Casati, Gaspare Palazzolo, Tobia Vaccaro, Mauro Schiavone, Giovanni Apprendi. Da Genova arriva Pietro Leveratto, che dice: «Abbiamo lavorato per sottrazione, sulla centralità della parola e la musicalità del testo». Tra le canzoni, c´è "Latri di passu", poesia giovanile di Andrea Camilleri, musicata da Olivia Sellerio. "Accabbanna" si esibiranno per Kals´Art.
Paola Nicita
 
 

La Sicilia, 8.5.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Intervista a Piergiorgio Di Cara e Giacomo Cacciatore
Tra Lucarelli e Scerbanenco
Piergiorgio Di Cara, (1967), nativo di Palermo è Commissario Capo della Polizia di Stato e dirige il Reparto Prevenzione Crimine a Siderno. Appartiene alla scuola dei duri che si riconosce nel bolognese Carlo Lucarelli. Lo stile secco e diretto di Giacomo Cacciatore, (calabrese di nascita, vive da sempre in Sicilia), giornalista, ricorda il grande Giorgio Scerbanenco e la sua lucida quanto spietata durezza nelle short story metropolitane.

Appartiene alla scuola dei duri, quella che ha fatto del poliziesco e del noir un’icona e si riconosce nel nuovo caposcuola bolognese del gruppo dei 13, Carlo Lucarelli. Piergiorgio Di Cara, (1967), nativo di Palermo è Commissario Capo della Polizia di Stato e dirige il Reparto Prevenzione Crimine a Siderno. Ha pubblicato i racconti "Cammina stronzo", e due romanzi "Isola nera" e il recente "L’anima in spalla" (E/O). In quest’ultimo leggiamo anche un realistico memoriale di un mafioso pentito, frutto dell’esperienza sul campo del commissario/scrittore Di Cara che del poliziotto ha tutto: l’andatura, il fisico, un certo modo di guardarti. Lo stesso come scrittore: l’attenzione per i dettagli, il gusto della ricerca, la passione per il confronto. Il suo personaggio è Salvo Riccobono, commissario a sua volta.
- Di Cara, c’è un modello di scrittura o uno scrittore al quale si ispira?
"Tra gli autori di noir italiani, mi sento molto vicino a Lucarelli, nello stile e nell’impostazione del racconto. Sono convinto che il prodotto finale di uno scrittore sia anche la summa delle sue esperienze culturali, delle sue letture, dei suoi miti e riti. Io sono grato a molti autori, non tanto perché mi hanno influenzato, quanto perché mi hanno entusiasmato, commosso, rapito, sedotto."
- Si sente sminuito se la definiscono giallista?
"Affatto, anzi mi piace molto la definizione di autore di genere."
- Chi è realmente il suo Riccobono?
"Be’, in Riccobono è presente la mia equazione personale, voglio dire è un personaggio che mi somiglia molto, una sorta di alter ego. Ma Riccobono è anche, e forse soprattutto, un carattere, un personaggio da romanzo, con la libertà ed i limiti che da ciò discendono."
- Quanto della sua professione di commissario trasfonde in lui?
"Direi che la mia professione entra nelle storie che racconto in quanto cerco sempre di rimanere vicino al mondo che conosco e che frequento nel mio lavoro. Faccio in modo di scrivere delle cose che se non sono vere, sono almeno verosimili. Parlo di poliziotti che somigliano ai poliziotti, e banditi che somigliano ai banditi. Non so se mi spiego: niente eroi da soap opera, né orchi."
- Ci sarà una terza avventura di Riccobono?
"Sì, sto lavorando al nuovo romanzo che racconterà i fatti che gli succedono dopo la sua partenza da Lipanusa, dove è ambientato Isola Nera il primo romanzo. Il titolo è "Il Cuore Miope", la storia si svolge in Calabria, in un piccolo commissariato della Locride dove viene trasferito per ragioni di sicurezza. Sarà una vicenda molto aspra e dolorosa, un po’ il frutto della mia esperienza da Commissario a Siderno, nella Locride appunto. Invece, più o meno in estate, uscirà un mio nuovo romanzo dal titolo "Hollywood, Palermo", per i tipi della Colorado Noir. In questo libro fa la sua apparizione un personaggio nuovo, un ispettore della Sezione Omicidi della Squadra Mobile di Palermo, alle prese con un omicidio dalle fosche tinte."
- Quali storie le preme raccontare come scrittore ma che non vuole raccontare come poliziotto?
"Quelle che racconto da scrittore sono le storie che racconterei da poliziotto. Ritengo di avere il senso della misura, di saper riconoscere quali vicende lo scrittore può rubare allo sbirro."
- Dove sta andando il giallo siciliano?
"Non so dove stia andando, sicuramente procede di buona lena. Quello che mi auguro è che noi autori siciliani riusciamo a mantenere alto il livello della nostra scrittura, senza scadere nello stereotipo o nella maniera. Il punto di forza del giallo siciliano sta proprio nella ricchezza della lingua e nell’eleganza del tratto, vorrei che continuassimo così."
- Quanto il successo di Camilleri e la nostra cronaca giornaliera incide in questo boom di giallisti?
"Camilleri ha fatto e fa da traino per la narrativa poliziesca italiana intera, e non solo isolana. Quindi ritengo che abbia un peso specifico considerevole. La cronaca è il pane quotidiano, o dovrebbe essere il pane quotidiano, di ogni buon giallista. I romanzi sono lì, per strada, nelle case, nei garage delle nostre città, basta solo raccontarli."
Lo stile secco e diretto di Giacomo Cacciatore, (calabrese di nascita, vive da sempre in Sicilia), giornalista, ricorda il grande Giorgio Scerbanenco e la sua lucida quanto spietata durezza nelle short story metropolitane raccolte nei volumi Milano calibro 9 e Il Centodelitti. Cacciatore è autore di due
romanzi noir a puntate, pubblicati nell’edizione siciliana de La Repubblica, e dei racconti "L’abbaglio", (Giallo Mondadori, 14 colpi al cuore), "Di che colore è uno sbirro" e "L’uovo" (Duri a morire - Dario Flaccovio).
Ne "L’Abbaglio", Cacciatore dà vita al brigadiere Vittorio Cacciamali, che deve risolvere uno strano omicidio a Ballarò. Si chiama invece Basilio il protagonista del racconto "Di che colore è uno sbirro", un noir secco come un pugno a tradimento. Nel 2004 ha pubblicato un saggio sul cinema di Fulci ed ha partecipato al romanzo collettivo "Le tre bocche del drago" (Larcher). Di
prossima pubblicazione il nuovo romanzo, "Sangue del mio sangue", ma sta già lavorando ad un nuovo romanzo.
- Cacciatore, la verità: le sta stretta l’etichetta di giallista?
"Chiunque scriva può definirsi scrittore a tutto tondo: non importa che tipo di letteratura produca, ma lo spirito con cui la produce. Dipende dalle scelte del singolo. A volte ci si impongono dei percorsi forzati per non correre rischi, forse credendo di andare a colpo sicuro e incontrare il favore del pubblico. Di contro, esistono giallisti, o noiristi - o comunque li vogliamo chiamare - che ancor prima di definirsi e farsi definire scrittori "di genere" sono scrittori a tutto campo; raccontano storie che appartengono al proprio vissuto, cercano di farlo al meglio e la tendenza a usare gli strumenti del noir è del tutto incidentale, perché fa parte della loro formazione. Il problema, secondo me, è quando si parte dal genere come premessa imprescindibile."
- Vale a dire?
"Che poi ci si sente obbligati a usare tutti i meccanismi e i luoghi comuni del genere stesso, soprattutto quando la premessa è che "fa tendenza". Vogliamo parlare di etichette distintive? Ecco: ci sono i furbi e gli onesti. Quelli che scelgono le scorciatoie e quelli che rischiano di più, mantenendo saldo il loro patto di lealtà nei confronti del lettore e della realtà che li circonda, cercando di scavare, sviscerare, capire. E’ così nella scrittura come nella vita, credo."
- Nei suoi racconti aleggiano atmosfere che ricordano Giorgio Scerbanenco. Quanto si ispira a lui? "La scrittura di Scerbanenco è così tagliente e moderna che risulta davvero difficile non farsene contagiare. Mi piacciono la sua ferocia e la sua ironia. Il suo essere legato alla realtà del tempo senza per questo rinunciare ad impennate paradossali, allucinatorie. Credo che Scerbanenco sia un autore insuperato e ancora attuale. O magari è il nostro paese a non essere cambiato veramente."
- Che ne pensa degli altri giallisti siciliani?
"Quando leggo, cerco persino di dimenticare se un autore sia siciliano. Voglio che non diventi una discriminante per me come lettore, e che non influenzi il mio giudizio. Direi che in generale c’è una varietà di toni e di registri della quale non ci possiamo lamentare. Se proprio devo citare qualcuno: a me è piaciuto molto il romanzo "Di nome faceva Michele" di Gery Palazzotto, perché ha uno stile nervoso, limpido, e non si sforza di raccontare una storia simpatica a tutti i costi. Rifugge l’autocompiacimento del quale spesso noi siciliani pecchiamo, nella vita come nella scrittura."
Roberto Mistretta (5 - continua)
 
 

La Stampa, 9.5.2005
Un inedito dello scrittore siciliano sul linguaggio misterioso dei silenzi apparirà in un libro che sta nascendo ma non ha ancora editore
Camilleri, parla come guardi
Andrea Camilleri

Idea vincente dello storico bibliotecario di Dogliani
Si chiude la Fiera di Torino, colossale libreria del già pubblicato, e fa capolino un bel libro ancora senza editore. Si spegne la festa delle parole, quelle scritte e quelle dei dibattiti, e si accende questo libro, che ha già un titolo, I silenzi (dalle Langhe alla Sicilia), ma non ha un editore. E’ un’idea che nasce ad Alba, nella casa di Ugo Roello, dal ‘65 al ‘94 responsabile (più giusto dire principe) della Biblioteca di Dogliani, il paese di Einaudi, nonché grande stecca del biliardo. «Avevo finito di leggere "Il paesaggio e il silenzio" del geografo Veronese Eugenio Trevi e ho pensato di applicare il principio alle Langhe e di qui via via per l’Italia». E’ il silenzio come bene ambientale prezioso, che lui è andato a ricercare in Pavese, in Fenoglio. «Qualcosa che è una pace, una necessità in una moderna società fracassona, può essere gioia, riflessione, ma può essere anche solitudine, dolore, depressione, fino al suicidio».
Così da Alba parte una vera frotta di lettere, indirizzate a scrittori, saggisti o giornalisti. In ciascuna si chiede di raccontare un silenzio. La risposta è stupenda: in pochi mesi già un centinaio di autori hanno spedito o garantito di spedire la loro immagine, la loro visione, il loro modo di raccontare il mondo dei pensieri senza voce. Sono i nomi più disparati, da Cesare Segre a Franco Cordelli, da Roberto Roversi a Folco Quilici, da Paola Mastrocola a Gina Lagorio, da Nico Orengo a Guido Ceronetti. E c’è lo psichiatra Carlo Lorenzo Cazzullo che narra il «silenzio della depressione», Edoardo Albinati quello della prigione, Francesco La Licata quello della mafia, Giorgio Pestelli quello della musica.
Andrea Camilleri ha risposto con «I silenzi in Sicilia», che pubblichiamo in questa pagina. Sarà interessante per i lettori, dice Roello, scoprire come anche i silenzi possano in qualche modo connotare, descrivere, lasciar intendere luoghi, storie, emozioni e il loro intreccio su e giù per il paese con sentimenti e modi di cogliere la vita diversi. Nonché, s’intende, silenzi diversi.
 
 

ANSA, 10.5.2005
Teatro: 'No a intitolazione a Leonardo Sciascia'

Palermo - Bocciata l'ipotesi di ribattezzare il Teatro Regina Margherita di Racalmuto, paese natale di Leonardo Sciascia, con il nome dello scrittore. Inaugurato nel 2002, e chiuso da 40 anni, qualche mese fa il sindaco del centrosinistra, Gigi Restivo, aveva accolto la proposta del Cda, presieduto da Andrea Camilleri, di dedicare il teatro a Sciascia. 'Ma alcuni consiglieri dell'opposizione - spiega Restivo - hanno raccolto un migliaio di firme e hanno votato una mozione per non cambiare il nome'.
 
 

Il Messaggero, 11.5.2005
Roma ricorda Guglielmo Petroni

Oggi a Roma in Campidoglio verrà ricordato lo scrittore Guglielmo Petroni (1911-1993) da Alberto Asor Rosa e Sandro Portelli. La manifestazione nasce in occasione del ritorno in libreria, dopo molti anni, di "Il mondo è una prigione" (Feltrinelli) racconto e libro di memorie che parte dall'esperienza dell'autore nella famigerata Via Tasso delle SS e si allarga a una riflessione sulla Resistenza e il Paese tra guerra e dopoguerra. Moni Ovadia leggerà alcune sue pagine, porteranno un ricordo personale Andrea Camilleri, Franco Ferrarotti, Roman Vlad, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Montefoschi.
 
 

La Sicilia, 11.5.2005
Nostra inchiesta sul giallo siciliano. Parla Andrea Camilleri, papà del poliziotto più famoso
Montalbano e i suoi nipotini
«Che pensa del boom del giallo esploso in Italia e in Sicilia in particolare? "Mi fa venire subito in mente quando Italo Calvino scriveva a Leonardo Sciascia che sarebbe stato praticamente impossibile ambientare un giallo in Sicilia. I fatti stanno dimostrando il contrario. La realtà è che il romanzo giallo è un ottimo banco di prova per uno scrittore principiante perché lo costringe dentro alcune regole che deve di continuo rispettare".

Il successo lo ha conosciuto tardi, quando aveva superato i settant’anni ma da allora è stato sempre più travolgente. Un’onda anomala che attraversò l’Italia dal nord al sud (strano a dirsi ma è proprio così!), superò i confini della penisola, dilagò in Europa e conquistò anche mercati letterari lontanissimi da noi. E non solo quelli, stante anche l’enorme successo che ha avuto la serie televisiva del commissario Montalbano, interpretato da un eccellente Luca Zingaretti e girato nella suggestiva e barocca Val di Noto, la Vigàta della fortunatissima serie.
Come tutti avete capito stiamo parlando di Andrea Camilleri, classe 1925, maestro indiscusso di un genere, il giallo, tornato prepotentemente di moda anche e soprattutto grazie al suo irresistibile successo, un mix di dialetto, simpatia, trama avvincente.
L’anno del suo boom, fu il 1998, quando nelle classifiche dei libri più venduti comparivano cinque, sei e perfino sette titoli di quest’attempato pensionato, dalla voce roca del fumatore incallito (Fiorello ne ha fatto un’irresistibile imitazione in radio), che divide la sua vita tra Roma e la natia Porto Empedocle. Eppure anche Camilleri all’inizio della sua carriera trovò porte chiuse e rifiuti. Solo un editore a pagamento si interessò a lui.
Era il primo aprile del 1967 quando Camilleri che allora aveva appena 42 anni, scrisse il suo primo romanzo, dedicato al padre che gli insegnò ad essere quello che è. Il manoscritto si intitolava "Il corso delle cose", protagonista, il maresciallo Corbo, una sorta di Montalbano in embrione. Lo ultimò nel dicembre dell’anno seguente, riscrivendolo di continuo alla ricerca di un suo personale stile. Un amico, critico di spessore, Nicolò Gallo, dopo avere letto il testo gli disse che lo avrebbe proposto alla Mondadori, di cui era consulente e direttore di una collana di narrativa. Il libro doveva uscire nel 1971 ma Nicolò Gallo morì improvvisamente e non se ne fece nulla. Segnalato ad un concorso letterario, il testo venne rifiutato da diverse case editrici, le stesse che oggi farebbero carte false per pubblicare un’opera di Camilleri. Uno spiraglio si era aperto con Editori Riuniti, disponibili a pubblicare quel testo (Camilleri intanto non aveva scritto altro, bloccato dalla mancata pubblicazione di quel suo primo lavoro), ma poi cambiò direttore e nella nuova linea editoriale non c’era spazio per il nostro. Camilleri ci mise una croce sopra sulla scrittura. Una prima svolta venne nel 1975 quando Camilleri scrisse per la trasmissione radio "Le interviste impossibili", (fatte a personaggi storici deceduti anche da diversi secoli), due testi poi pubblicati da Bompiani. Un suo
amico, Dante Troisi intanto propose l’originario testo "Il corso delle cose" per ricavarne un soggetto cinematografico. Ancora rifiuti. Ne venne ricavato invece un soggetto per la televisione. I giornali ne parlarono e l’editore di Roma, Lalli (casa editrice che pubblica col contributo dell’autore), si disse disponibile a pubblicare il romanzo senza nulla pretendere dall’autore a condizione però che nei titoli di coda del film tivù, comparisse il nome della sua casa editrice. Così fu. Il film tivù in tre puntate tratto dal lavoro di Camilleri si intitolava "La mano sugli occhi" ma con l’editore Lalli, dove il libro uscì nel 1978, vale a dire dieci anni dopo la sua definitiva stesura, conservò il titolo originario "Il corso delle cose", titolo davvero emblematico alla luce di quanto sarebbe poi successo vent’anni dopo. Di quel libro ovviamente non si accorse nessuno. Molto più tardi, fu Elvira Sellerio dell’omonima casa editrice che allora stava attraversando un periodo di crisi nera, a dare fiducia, dopo una lunga meditazione, a Camilleri. Fu così che venne pubblicato "La forma dell’acqua", la prima avventura del commissario Salvo Montalbano da Vigàta facendo la fortuna sua e dell’autore. Il resto è storia recente.
- Camilleri, lei, etichettato all’inizio del suo successo come un nipotino di Gadda da una certa critica, è oggi riconosciuto come il maestro indiscusso di un nuovo genere di enorme successo, il giallo con forte connotazione regionale e l’uso del dialetto. Che effetto le fa?
"Mi ha fatto molto effetto sentimi chiamare “un nipotino” in quanto io l’eredità di Gadda l’avevo accolta sempre con il beneficio d’inventario: voglio dire che il percorso letterario e la ricerca sulla scrittura di Gadda non hanno assolutamente nulla a che fare col mio modo di scrittura. Non mi sembra corretto essere considerato una sorta di caposcuola di un genere giallo/regionalizzante. Vorrei far notare, ad esempio, che prima di me c’è stato Scerbanenco o De Angelis che hanno scritto di una Milano che allora non sospettavamo nemmeno che esistesse sul serio, ma nessuno li ha mai chiamati giallisti/meneghini".
- Avendo aperto una nuova strada, come vede quegli autori che riconoscono in lei un maestro e seguono il suo esempio?
"Non credo che ci siano molti autori che stanno seguendo il mio esempio. Se ce ne fossero gli consiglierei piuttosto che prendere me come esempio, di seguire coloro che mi hanno insegnato a scrivere i gialli, da Simenon a Durrenmatt".
- Più in generale, cosa ne pensa del boom del giallo esploso in Italia e in Sicilia in particolare?
"Mi fa venire in mente immediatamente quando Italo Calvino scriveva a Leonardo Sciascia che sarebbe stato praticamente impossibile ambientare un giallo in Sicilia. I fatti stanno dimostrando il contrario. La realtà è che il romanzo giallo è un ottimo banco di prova per uno scrittore principiante perché lo costringe dentro alcune regole che deve di continuo rispettare".
- Che rapporto ha con gli altri autori siciliani?
"Ottimo, alcuni li conosco persona altri no, ma li leggo tutti".
- Se le offrissero di dirigere in Sicilia una scuola per giallisti, accetterebbe?
"No. Molti scrittori aprono scuole di scrittura e alcuni grandi autori di gialli hanno scritto dei libretti su come si scrive un giallo, ma io non ne sono capace".
- E fosse una qualche università dell’isola a proporle un percorso didattico a sfondo giallo?
"Ho già tenuto all’Università di Bologna una lezione non tanto su come si scrive un giallo ma sulla storia del giallo italiano. Un’idea possibile in qualsiasi momento e luogo".
- Lei alterna romanzi storici alla serie di Montalbano, può anticiparci quali saranno i suoi nuovi lavori?
"Quest’estate esce un nuovo romanzo di Montalbano dal titolo “La luna di carta”. Altri lavori per ora sono tutti allo stato embrionale (ma si può dire ancora così?) e quindi è prematuro parlarne".
- Ha mai pensato di riesumare il suo originario personaggio, vale a dire il maresciallo Corbo de "Il corso delle cose"?
"Beh, in realtà l’ho riesumato dandogli un altro nome nel calendario dell’Arma dei carabinieri del 2005. E’ vero, si chiama in modo diverso, il maresciallo Brancato, ma le caratteristiche sono le stesse".
- Tra i suoi romanzi, qual è quello che ama di più?
"”Il re di Girgenti”, indubbiamente".
- A parte il suo amore viscerale per Sciascia e Pirandello, chi sono gli altri suoi riferimenti letterari?
"Gogol, Sterne, Brancati".
- Ultima domanda, lei ha avuto modo di gustare la “mbriulata” di Mussomeli, una particolare focaccia ripiena di frittuli, salsiccia, olive nere e altro, che ha promesso di far mangiare anche a Montalbano. La verità, com’era la “mbriulata”?
"Ottima, senza se e senza ma".
Roberto Mistretta (6 - fine)
 
 

La Repubblica, 11.5.2005
Il sindaco vuole intitolargli un teatro ma in mille si ribellano
Racalmuto: basta con Sciascia
C´è il rischio di una vera inflazione
Camilleri invece era del tutto d´accordo

Racalmuto. E il paese della ragione perse la testa. Nei circoli, nei bar, per strada, in Consiglio comunale, è un accapigliarsi nel nome di Leonardo Sciascia, lo scrittore che con la razionalità del suo "tenace concetto" ha gettato un´aurea di illuminismo su Racalmuto, l´ex caposaldo minerario dell´Agrigentino diventato ormai un centro di diecimila abitanti che sopravvive di terziario. In questi giorni le contrapposizioni politiche si sono concentrate su due "partiti". Il primo si pone come obiettivo di intitolare a Leonardo Sciascia - che si adoperò moltissimo per il restauro - il teatro riaperto tre anni fa alla presenza del presidente della Repubblica Ciampi dopo 40 anni di chiusura. L´altro intende a tutti i costi salvaguardare il nome storico "Regina Margherita". Sembra la trama del "Birrario di Preston" di Andrea Camilleri (che tra l´altro ha un ruolo di primo piano nella vicenda), in cui due fazioni si annientano dopo una lite cominciata sulla scelta di un´opera teatrale.
La vicenda inizia nell´autunno scorso, quando Andrea Camilleri nella qualità di presidente onorario della Fondazione Regina Margherita propone di intestare il teatro all´autore del "Contesto". Il sindaco, Gigi Restivo, uno dei giovani che all´ombra della contrada "Noce", dove lo scrittore trascorreva l´estate, si è nutrito dei ragionamenti di Sciascia, accoglie l´idea e l´annuncia a gennaio in occasione della presentazione del cartellone di quest´anno. Contestualmente invia una lettera al presidente del Consiglio comunale. Ma mentre già circolano programmi e locandine con la nuova intestazione del teatro, esplode la polemica. Un comitato prontamente organizzato comincia a darsi da fare e raccoglie oltre mille firme per chiedere al Comune di ritornare al vecchio nome. Nei giorni scorsi il Consiglio "boccia" Sciascia e invita il sindaco a fare marcia indietro. «Sono molto amareggiato - dice Restivo, che come presidente della Fondazione resta arbitro della scelta - Tutto potevo immaginare ma non che si sarebbero manifestate queste riserve sul nome di Sciascia. Voglio prendermi una pausa di riflessione, anche se considero l´accaduto una bassa speculazione politica. Non escludo comunque che vada avanti sulla mia idea. Hanno firmato più di mille persone? Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano gli altri novemila».
Il fronte del "no" è capeggiato da Giovanni Salvo, segretario locale del Nuovo Psi. «C´è il rischio di inflazionare il nome di Sciascia - dice - C´è già una sua statua, una via, una fondazione, un parco letterario. Non bastano? Lo scrittore poi ha raccontato il teatro citandolo proprio come Regina Margherita. Cambiare intestazione significherebbe stravolgere i luoghi della memoria tanto cari allo stesso Sciascia». «Che c´entra la Regina Margherita con la nostra storia? - replica il sindaco - Senza contare che nella zona ci sono altri due teatri con lo stesso nome e centinaia in tutta Italia. Questo era il teatro di Sciascia, ne ha scritto, si è attivato per la sua riapertura e lo stesso Camilleri ha accettato di fare prima il direttore artistico e ora il presidente, come omaggio al suo amico Leonardo. Alla fine resteranno solo i nomi, i nomi di chi ha detto sì a Sciascia e i nomi di chi lo ha respinto e rifiutato».
E Camilleri cosa pensa di questa querelle? La sua prima reazione è stata un risolino. Poi, ha aggiunto: «Come al solito in Sicilia c´è tutto e il contrario di tutto. È meglio di un romanzo».
 
 

Famiglia Cristiana, 15.5.2005 (online 11.5.2005)
Catania. La città al voto amministrativo in una fase cruciale
Tra gloria e miseria
«A un passo dal paradiso, a mezzo passo dalla povertà». È il paradosso tutto siciliano del capoluogo etneo, dove due vecchie conoscenze si sfidano per la poltrona di sindaco.

[...]
I due contendenti in campo
Il carisma a Catania si chiama Enzo Bianco, il sindaco degli anni Novanta che ha ridato l’orgoglio ai catanesi e che ora si ripresenta candidato contro l’uscente Umberto Scapagnini, che la critica malevola ha sbrigativamente liquidato come "il medico di Berlusconi".
[...]
Per Bianco sindaco sono scesi in campo intellettuali, artisti, attori, cantanti famosi, Leo Gullotta, Andrea Camilleri, Franco Battiato, Paola Maugeri, Carmen Consoli.
[...]
Guglielmo Nardocci
 
 

La Sicilia, 11.5.2005
Il segretario del Pdci. Cittadini ormai stanchi, da Nord a Sud
Diliberto: «Una città da deberlusconizzare»

Catania.
[...]
Si parla già in prospettiva di Regionali in Sicilia, di possibili candidati. Qualcuno ha gettato lì il nome del prof. Latteri...
«Latteri è il presidente della Fed, intanto. Poi di nomi parleremo, con calma. Perché, per esempio, a noi piacerebbe candidare Andrea Camilleri alla presidenza della Regione. Che ne dite?».
A. Lod.
 
 

Scanner, 11.5.2005
Andrea Camilleri
Privo di titolo
Palermo, Sellerio, 2005; pp. 301

L'ultima fatica di Andrea Camilleri si iscrive nel corposo filone del romanzo storico, non a caso l'autore siciliano nell'immancabile nota conclusiva precisa che "Privo di titolo" ha preso spunto da due fatti di cronaca realmente accaduti: l'assassinio di un giovane fascista, ucciso nel 1921 per errore da un compagno di squadraccia durante una ronda punitiva notturna - omicidio di cui venne incolpata la vittima del caso, il comunista Michele Ferrara -, e la costruzione della fantomatica città di Mussolinia, eretta nel bel mezzo dei boschi insulari quasi come surreale scenografia del set di un film che non sarà mai girato, ma 'reale' almeno su carta. Due soggetti semplici e didascalici, senza dubbio, ma nelle mani di Camilleri diventano i capisaldi di un'eterogenea partitura ad orologeria: come ne "La scomparsa di Patò" il romanzo vive infatti dell'alternanza tra parti narrative e documenti ufficiali degli inquirenti, lettere dei protagonisti ed articoli dei giornali dell'epoca - frutto dell'ingegneria scrittoria di Camilleri, impeccabile nel ricostruire a tavolino i roboanti toni della retorica fascista -. "Privo di titolo" risulta degno d'interesse anche per la molteplicità di prospettiva cinematografica attraverso cui Camilleri rilegge il fattaccio di sangue al centro del romanzo, rianalizzandolo dai punti di vista diversificati dei testimoni. Dopo l'agguato notturno ai danni della vittima designata al suolo resterà il corpo senza vita di uno degli aggressori, ucciso in mischia da mano amica: le camice nere locali non perderanno l'occasione per imbastirvi sopra un'ipocrita commedia degli equivoci concepita ad hoc per regalare alla Sicilia il primo martire fascista morto nell'eroico tentativo di soffocare l'ideale bolscevico, togliendo di mezzo al contempo un pericoloso avversario - che, neanche a dirlo, resterà stritolato nel perverso meccanismo della macchinazione politica: pur assolto dal tribunale con il grande disappunto del locale governo fascista, il protagonista venne infine confinato, in quanto bolscevico e nemico della patria -. Per certi versi, mutatis mutandis, questa vicenda giudiziaria realmente accaduta ricorda l'incendio doloso del Reichstag a Berlino il 27 febbraio 1933 di cui i nazisti accusarono i capi comunisti tedeschi, che però furono assolti, dal momento che un loro coinvolgimento nella vicenda non poteva essere dimostrato nonostante la forte pressione del governo nazista. Il sospetto (benché mai dimostrato) che fossero stati gli stessi nazisti ad appiccare l'incendio, fu espresso già all'epoca. Leggendo questo giallo 'storico', il lettore si rende inevitabilmente conto della mistificazione della storia, la cui 'verità' viene stabilita dai vincitori del momento anche contro ogni prova evidente dei fatti - tema quanto mai scottante al giorno d'oggi -. Anche per tale motivo, e non solo per la suspense insita nel giallo, "Privo di titolo" lascia veramente il lettore senza parole. Il solito Camilleri da leggersi tutto d'un fiato, con una dolceamara lezione di revisionismo storico che molto fa riflettere.
Paolo Boschi & Hans Honnacker
 
 

12.5.2005
Sarà in libreria giovedì 23 giugno 2005 La luna di carta (Sellerio), il nuovo romanzo del commissario Montalbano
 
 

Ginger generation, 12.5.2005
Dona valore alla vita

Domenica 8 maggio è partita la terza edizione della campagna nazionale "Dai valore alla vita 2005-2006" promossa dal Ministero della Salute e dal Centro Nazionale Trapianti in collaborazione con associazioni nazionali di volontariato nel settore dei trapianti di tessuti ed organi (Aned, Acti, Aitf e Liver-Pool, Forum, Aido, Ass.Irt-Animo e Associazione Marta Russo).
La campagna, che durerà un anno, si propone di sensibilizzare gli italiani sul fatto che dichiarandosi donatori possono contribuire a dare valore alla vita. Il trapianto infatti è per alcune patologie l’unica cura possibile e può rappresentare l’unica fonte di salvezza per alcuni pazienti.
[...]
A proposito della donazione ha detto lo scrittore Andrea Camilleri il quale vede “il fatto che un corpo senza vita possa ancora servire a dare la vita – come – una delle più appaganti conquiste dell’uomo […] Per chi ha aspirazione all’immortalità, poi, può essere perfino una cosa meravigliosa… Dare agli altri un cuore, sapere che può continuare a battere nel petto di un altro è una conquista della scienza, ma è soprattutto una grande prova di umanità, un grande fatto di civiltà”.
[...]
Anita F
 
 

La Sicilia, 13.5.2005
«Cafè letterario» a Barrafranca
Riflessioni sul «caso» Sciascia e l'intitolazione del teatro

Barrafranca. Il "Cafè letterario" con Tina Cancilleri affronta la tematica del romanzo storico dello scrittore racalmutese Leonardo Sciascia. Un argomento che segna un filo conduttore con quelli precedentemente trattati con scrittori siciliani di un certo spessore, come ad esempio le Novelle di Giovanni Verga e il romanzo storico di Andrea Camilleri. Negli incontri precedenti, la presenza di un pubblico giovanile ha dato la possibilità di trattare argomenti che pur sempre mettono a confronto le differenti idee o supposizioni dei partecipanti, tanto che il luogo dove l'iniziativa ha luogo, il "Bagatto", rappresenta un modo di socializzazione e discussione animata con una "sete" di sapere tra gli intervenuti. Non a caso l'argomento di oggi viene accompagnato alla vicenda su Sciascia accaduta in questi giorni, in riferimento alla denominazione del teatro di Racalmuto allo scrittore siciliano: l'intera vicenda, molti l'hanno collegata alle roventi polemiche del "Birraio di Preston" di Andrea Camilleri. La città natia di Sciascia, Racalmuto, con il suo teatro tanto amato dallo scrittore siciliano, che poteva essere intitolato a Sciascia e che invece è ritornato alla vecchia denominazione di «Regina Margherita» con rammarico da parte di molti, come ad esempio Andrea Camilleri.
A tal riguardo la studiosa Tina Cancilleri, che ha conosciuto Andrea Camilleri in alcuni incontri, parlando anche di Sciascia, riferisce: «Certo che un teatro dedicato allo straordinario scrittore Leonardo Sciascia avrebbe avuto più peso per la cittadina, dato che a volte le parole sono pietre; penso che lo scrittore Camilleri, presidente onorario del teatro, non può che accettare la decisione anche se aveva subito condiviso la nuova intitolazione che deriva dal fatto che, oltre ad essere un talento, amava in maniera smisurata il teatro, tanto che si era impegnato in prima persona per avviare i lavori di restauro».
Renato Pinnisi
 
 

NAE, Anno IV, n° 10, Primavera 2005
Sciascia, l’astrazione, il kalashnikov e il furore dei tempi
Intervista con Andrea Camilleri

Nello studio di Andrea Camilleri, sopra un ripiano accanto alla scrivania, a fuoco lento borbotta una spiritera (“No, non è siciliana, l’ho comprata al Cairo”) che scalda un poco d’acqua in cui sono immersi alloro, cannella e chiodi di garofano (“È un’antica ricetta che già usava mio padre – fumava più di me – per togliere dalle stanze l’odore del fumo”). D’attorno si diffonde un profumo lieve e dolce, come un inatteso sentimento di quiete.

MARCI. Nel mondo antico, quando il peso del vivere si faceva troppo greve, e quasi insostenibile, quando era necessario fare una pausa per riflettere, gli uomini potevano mettersi in cammino, alla ricerca di un oracolo cui rivolgere poche domande e ottenere un viatico che aiutasse a trovare la meta.
Con tale stato d’animo vengo a trovarla, come si va da un maestro…
CAMILLERI. Non sono un maestro, tanto meno un oracolo.
M. Eppure non può rifiutare il conforto della sua saggezza a un cinquantino che si sente strammo e confuso, incapace di valutare fatti e parole portati dal turbine del tempo nel quale viviamo.
C. A cosa si riferisce?
M. Molti, come me, sono cresciuti con il grande modello letterario e civile rappresentato dalla scrittura di Leonardo Sciascia. Una generazione appena precedente, i nostri fratelli maggiori di pochi anni più grandi, leggevano “Il Capitale” di Marx, leggevano Engels, disquisivano sull’interpretazione delle “Lettere” di Rosa Luxemburg… Io nelle “Parrocchie di Regalpetra” ho visto l’ingiustizia sociale e la possibillità di riscatto attraverso il rigore dell’insegnamento. Ho letto “Gli zii di Sicilia”, “Il giorno della civetta”, “Morte dell’inquisitore”… è così che mi sono formato quale sono, uomo di una sinistra che non esiste, ma nella quale è necessario credere come in un dover essere. Ho letto “La corda pazza” e ho capito la complessità della storia culturale italiana, di una storia che ci appartiene, pur nella peculiarità delle nostre diverse sicilitudini. Ho letto “L’affaire Moro” vedendo quale può essere il ruolo dell’uomo di lettere che con i suoi strumenti – il “Dizionario” del Tommaseo – arriva a comprendere la realtà. Non solo quella degli atti giudiziari ma l’altra, se possibile più aspra, formata nel corso di secoli che hanno visto svilupparsi una storia travagliata: “secoli di scirocco”.
Oggi, dice Sgalambro, “La sua funzione s’è esaurita. Sciascia non ci serve più”. Ho provato una minore impressione quando Enrico Berlinguer disse che s’era esaurita la funzione propulsiva dell’URSS. Mi sembrò quella una considerazione vera e produttiva; in questa percepisco soltanto il presagio di un danno.
C. Vede, amico mio carissimo, le sono grato per le parole che dice perché l’intervista di Sgalambro mi ha ulcerato per un motivo duplice: non si parla solo di Sciascia ma si esprime un vecchio concetto secondo il quale la mafia è un’astrazione. Sgalambro pensa che la funzione di Sciascia sia esaurita, ma io vorrei prescindere per un istante da Sgalambro. La campagna comincia con Pino Arlacchi, ai tempi de “Il giorno della civetta” ed è stata sviluppata da altri finissimi letterati che definirono la sua scrittura come quella di un maestro elementare evoluto.
In realtà Sciascia ha sempre operato nel nome della ragione e sostenere che la sua funzione è esaurita è come dire che non abbiamo più bisogno della ragione. Il che è semplicemente terrorizzante. Io vedo Sciascia come uno scudo della ragione contro l’irrazionalità dilagante.
E poi uno si chiede quale sia l’autorevolezza del pulpito dal quale questa predica viene: chi sei tu? Chi ti autorizza a parlare in questo modo? Quando esamino le carte di credito di Sgalambro, mi rassicuro: continui a scrivere canzoni per l’ottimo Battiato ed eviti invasioni di campo che portano solo sconcerto.
Non ho mai visto un’astrazione che spara col kalashnikov: affermarlo significa imboccare la strada dell’irrazionale, contraddire un percorso di razionalità che è di Sciascia, e non solo suo. Penso, al riguardo, a certe interpretazioni dell’Africa proposte con grande lucidità da Alberto Moravia: sono altrettanto importanti delle analisi fatte da Sciascia sulla società italiana. Hanno lo stesso fonamento, metodi e finalità simili, concorrono al medesimo disegno interpretativo. Per questo mi sembra che negare la funzione di Sciascia, cercare di abbattere il baluardo razionale che ha costruito, significa forare una diga. Con cupa incoscienza, considerati gli elementi di irrazionalità che pervadono il nostro tempo.
E poi voglio aggiungere che, comunque, la sede dell’intervista appare inadatta per la proposizione di un simile concetto. Meglio sarebbe stato un saggio meditato, nel quale Sgalambro avrebbe potuto sviluppare i pensieri, dimostrare la fondatezza delle ragioni. Io ho molto rispetto per le idee, le idee forti, compatte… e questo atteggiamento mi ha sempre guidato, anche nel mio insegnamento. In Accademia, quando un allevio mi dimostrava la fondatezza delle sue opinioni, anche diverse dalle mie, da quel momento sapevo che dovevo mettermi sulla sua onda, aiutarlo, non oppormi, soltanto per difendere una mia idea…
M. Ecco, lei ha insegnato a lungo: cosa diceva ai suoi allievi sull’essenza dell’arte, del teatro, della letteratura? Cosa dice ai suoi lettori, affascinati dalla storia poliziesca, omicidio e indagine, ai lettori di un genere letterario prima sottovalutato e oggi, forse, troppo lodato, anche nei suoi esiti più deboli, nelle opere di autori unicamente interessati alla descrizione tecnica di un omicidio e che non sembrano dare molto spazio all’intelligenza investigativa?
C. In ambito francese abbiamo avuto George Simenon, che era uno scrittore a se stante: scriveva i Maigret, ma scriveva anche “Il testamento Donadieu”. Molti fra i racconti dei quali è protagonista Maigret possono essere considerati “romanzi-romanzi”, opere letterarie nelle quali lo sviluppo dell’indagine poliziesca non esclude, anzi implica, lo studio delle psicologie individuali, delle realtà sociali, di un ambiente e di un tempo. Simenon è un eccellente scrittore: per lui raccontare è come respirare, manifesta una bulimia per la quale l’importante è scrivere, non il genere letterario di volta in volta scelto.
Per restare in Francia potremmo parlare di Jean-Patrick Manchette, un vero maestro. “Posizione di tiro”, ad esempio, propone una successione inesorabile dei momenti di vita di un individuo senza offrirne, volta per volta, la spiegazione. La qualità della scrittura si manifesta proprio nel saper raccontare una storia nella quale la sequenza dei comportamenti forma un mosaico all’interno del quale tutto ha spiegazione. Il protagonista, pur nella modestia della sua condizione, offre al lettore prospettive straordinarie.
La descrizione insistita, morbosa, dell’omicidio, è finta letteratura: anche il noir richiede abilità tecniche e conoscenze letterarie d’altissimo livello, e per capirlo basta leggere “Il postino suona sempre due volte” di James Cain.
Nel poliziesco classico avevamo un morto e tutto ruotava attorno a lui: il noir, se ci riflettiamo, ha una complessità maggiore perché a questi elementi aggiunge la violenza; è uno sviluppo del romanzo poliziesco, segna l’avvento della violenza in un universo investigativo che prima non la prevedeva. C’è una corrispondenza con le trasformazioni intervenute nella nostra società. Poi, naturalmente, bisogna considerare la qualità letteraria. Ci sono romanzi noir che dopo le prime pagine non riesci più a leggere: il morboso mortifero è come il porno. Sommamente noioso.
Letteratura è tutto: il problema consiste nel modo in cui l’autore si pone di fronte a ciò che sta scrivendo, se ha lo stesso livello di attenzione cosciente mentre scrive un noir o un roman-roman.
M. A proposito di complessità e di livelli d’attenzione, è poi sicuro che il pubblico dei lettori sia oggi in grado di cogliere tutto questo? Per quanto concerne il mio lavoro di insegnante, ho alle volte la sensazione che si sia confuso il codice comunicativo, che parliamo lingue diverse, io e i miei allievi, che la complessità racchiusa nella letteratura sia giudicata non tanto difficile quanto inutile e prevalga la scelta della semplificazione.
C. No, questo non mi pare possa dirsi dei miei lettori che sono un nucleo consolidato. I miei libri non vanno oltre le cinquecentomila copie, nessun titolo è mai uscito fuori catalogo e ogni nuova uscita significa una ripresa di attenzione nei confronti delle opere precedenti. Mi sembra ci siano abituati, almeno alla mia personale complessità.
Ma quella sensazione l’ho provata anch’io negli ultimi anni d’insegnamento all’Accademia, quando effettivamente era sempre più difficile trovare il codice comune. È la nostra società che, negli ultimi anni, compie trasformazioni impensabili. Un tempo, quando nella vita reale qualcuno aveva da comunicare con la sua donna, se era distante scriveva una lettera o faceva una telefonata. Oggi si manda un sms che richiede un codice completamente diverso, simboli e non parole. Bisognerà capire la logica di queste nuove modallità della scrittura, non possiamo limitarci a constatare che così perdiamo gli epistolari. Il che forse non sarà un gran male.
Da un certo punto di vista, carissimo amico professore Marci, questa può sembrare una battaglia persa, come ha perduto Montalbano al quale il computer ha tolto il territorio, il contesto conosciuto e interpretabile con la sua logica.
Ma non credo che il romanzo sia finito, che possa finire il bisogno di raccontare, di scrivere, di leggere, di ascoltare racconti: è un’esigenza assoluta, forte come il bisogno stesso di comunicare. Ora siamo su un crinale, ed è difficile prevedere la piega che prenderanno le cose. In certi momenti mi viene da pensare che continueranno ad esistere i viziosi, quelli che annusano il libro e se lo portano a letto: ci pensa lei al ruolo delicatissimo che affidiamo alla scrittura, ogni sera, chiedendole di accompagnarci nel trapasso da un giorno all’altro, ogni giorno della nostra vita, per anni?
Forse si troveranno altre forme, non più il libro ma un piccolo computer collegato al cervello: resteranno la fantasia e il bisogno di esprimerla attraverso il racconto.
M. Cosa dobbiamo aspettarci dalla sua fantasia di scrittore? Coll’ultimo romanzo è ritornato alla storia, e subito sono sorte polemiche. “Privo di titolo” è un romanzo in cui si parla di fascismo, ma questa volta sarà difficile che si ripeta l’equivoco del romanzetto pornografico come è successo con “La presa di Macallè”.
E Montalbano?
C. Presto uscirà un Montalbano interlocutorio: mi sono divertito a metterlo a confronto con due donne forti, per vedere come se la cava.
Poi quello definitivo, decimo ed ultimo. No, non lo farò morire, non fisicamente, almeno. Scomparirà letterariamente , dopo una lunga discussione col suo autore, uscirà di scena, come in fondo è giusto che sia.

Penso che sia una bella scelta ricca di logica. In fondo una scelta di opposizione, un modo per rifiutare il furore dei tempi nei quali viviamo. Ma non c’è bisogno di dirglielo: è evidente che lo sa già.
Giuseppe Marci
 
 

NAE, Anno IV, n° 10, Primavera 2005
Il fuoco amico di Andrea Camilleri

Caltanissetta, 24 aprile 1921: Michele Ferrara, militante comunista, provoca alcuni avversari politici disarmati e spara proditoriamente a Luigino Gattuso, un giovane camerata, il quale, assassinato per i suoi ideali, viene proclamato martire fascista.
Caltanissetta, 24 aprile 1921: il comunista Michele Ferrara spara per difendersi ed intimidire un gruppetto di giovani fascisti che gli aveva teso un agguato; nella confusione muore Luigino Gattuso, vittima però di un colpo di pistola esploso da uno dei suoi camerati e naturalmente diretto al nemico.
Due diverse e antitetiche interpretazioni di uno stesso avvenimento reale costituiscono l’avvio di “Privo di titolo”, l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri in cui l’autore, dopo le cupe atmosfere delineate ne “La presa di Macallè”, torna ad occuparsi di una vicenda accaduta nel primo Novecento. La vicenda principia nel periodo antemarcia per poi concludersi con una sentenza compromissoria quando il fascismo è diventato regime; sullo sfondo, la beffa della presunta costruzione, nei pressi di Caltagirone, di Mussolinia, città che avrebbe dovuto essere eretta allo scopo di glorificare il duce.
Camilleri, come di consueto nella veste non paludata del letterato che si interessa di storia, cambia i nomi dei protagonisti, abbandona l’abituale ambientazione vigatese, abbraccia la tesi dell’imboscata, ricostruisce l’accaduto con la tecnica della moviola e fornisce una sua personale versione romanzata, che consente allo scrittore di sviluppare un tema a lui caro, vale a dire l’attrito che si crea tra la realtà effettiva e la versione ufficiale di un fatto, quando intervengano motivi di opportunismo politico. Amare considerazioni, presenti nella gran parte dei romanzi storici - e non solo - di Camilleri, di cui egli riprende anche la varietà della struttura narrativa: il libro, infatti inizia e prende congedo dal lettore con alcune brevi note autobiografiche, datate 1941, espresse in prima persona e tese ad indicare la veridicità del fatto. Il corpo centrale del racconto è costituito quindi da una lunga analessi, nella quale spesso il narratore esterno svanisce e l’intelligenza del racconto si sviluppa attraverso materiali (verbali di interrogatori, articoli di giornale, manifesti murari, referti medici) che rammentano i precedenti romanzi ambientati nella Sicilia postunitaria, per poi scivolare in un inusitato legal drama, con tanto di colpo di scena finale. Perciò, accanto al tipico linguaggio meticciato, che permea l’intera narrazione e ne costituisce lo stile preminente, l’autore fa umoristicamente ricorso a diversi tipi di lingue e di registri linguistici.
“Privo di titolo” è un romanzo corale, in cui l’unico a voler rintracciare la verità senza farsi influenzare dalle pressioni esterne, pur rendendosi ben conto del pericolo a cui tutte le persone coinvolte sono esposte, è il maresciallo dei carabinieri Tinebra – un altro dei fratelli carnali di Montalbano – coadiuvato da pochi altri personaggi retti o perlomeno al di sopra delle parti. Le indagini ufficiali, invece, pesantemente viziate da ragioni politiche, tendono a manipolare i fatti e a sfruttare cinicamente l’accaduto, trasformando Grattuso in un martire fascista e Lopardo in un feroce bolscevico assassino. 
Camilleri dà ancora una volta testimonianza del suo impegno civile di scrittore e di uomo, denunciando le mistificazioni e le prevaricazioni da parte del potere e delle istituzioni in un periodo storico che ancora risveglia accesi dibattiti: il libro ha suscitato polemiche e discussioni fin da prima della sua pubblicazione proprio per questa ragione, ma anche per i non pochi riferimenti alla attuale situazione politica italiana abilmente disseminati nel corso del racconto.
Simona Demontis
 
 

La Stampa, 14.5.2005
Camilleri rilegge il dramma satiresco di Euripide tradotto in siciliano da Pirandello. È in scena a Siracusa per il ciclo classico [In effetti, "'u Ciclopu" è in scena al Teatro Antico di Palazzolo Acreide]
Totò contro i Ciclopi
La versione fu ordinata da Martoglio per creare un repertorio dialettale avversato dagli impresari. L’invenzione più geniale della riscrittura è nell’uso di tre linguaggi: per Sileno, Polifemo e il re di Itaca
Andrea Camilleri
 
 

Segno nel mondo, 15.5.2005
Cultura. Andrea Camilleri
Dietro il romanzo

Andrea Camilleri non può fare a meno della Sicilia e dei dialetto siciliano. La sua voce, il suo dialogare lo dimostrano a ogni sillaba. È dalla Sicilia che i suoi racconti prendono spessore e forza, la stessa che traspare dai suoi occhi. «Non ho scelto la Sicilia, lei ha scelto me, sono passivo rispetto alla mia isola. Ho quattro vocabolari siciliano-italiano, di cui uno delizioso, uno dei primi vocabolari post unitari. Andando a giocare al lotto magari capitava un ricevitore piemontese e non capiva il siciliano, nel vocabolario accanto a ogni parola c'era il numero, una sorta di smorfia. Però è tutto in siciliano, molto divertente. Il dialetto mi aiuta moltissimo, mi serve a captare delle sfumature che la lingua non mi dà. C'è una frase di Luigi Pirandello in un saggio di fine ottocento, dice che di una data cosa la lingua ne esprime il concetto, della medesima cosa il dialetto ne esprime il sentimento». Ma la Sicilia non è solo la forza del sole, la bellezza dei suo mare, è anche una terra che ha visto tante vicende nere che hanno lasciato il segno, come cicatrici di una malattia. «La Sicilia non è mai stata una terra di buona salute. Ha subito molte conquiste, ne ha sofferto, ma ha saputo adattarsi, pagando prezzi piuttosto alti. Negli ultimi tempi la malattia ha un nome ben preciso, definito, e si è fatta più insidiosa perché prima era come una malattia che dà delle macchie cutanee; uno vede questo malato e gli dice, "cosa c'hai, stai male?" Ora le macchie sono scomparse ma la malattia continua dentro. Qualcuno s'è illuso che è scomparsa. È un errore».
I mutamenti sociali, l'immigrazione, il lavoro che cambia si ritrovano anche a Vigàta, la cittadina immaginata da Camilleri in cui vive il suo personaggio più famoso. «Molti anni fa, quando ci fu il sogno dell'industrializzazione, Vigàta vide le terre spopolarsi, l'agricoltura era il principale lavoro dell'isola. Arrivarono i primi contadini tunisini. Nello stesso modo in cui i nostri contadini in altri tempi erano andati in Tunisia, in Libia. Oggi la Sicilia è il centro dell'immigrazione extracomunitaria e devo dire che fatta eccezione di qualche caso isolato, per il resto c'è un'apertura verso questo fenomeno, enorme. Credo che i siciliani non possano dimenticare di essere stati emigranti in Belgio, Germania e Stati Uniti. Il mondo non si è fermato a Vigàta. Infatti il suo personaggio principale, il buon commissario Montalbano, invecchia, partecipa alla vita politica, si arrabbia. E certo come tutte le città ideali, inventate, fantastiche è un po' isolata, ma il mondo fuori esiste».
La Sicilia è come un avamposto, in essa si sono incontrate culture diverse, oggi è la sponda a cui approdano tanti immigrati, ma questo non le pesa. «Disagi non ne comporta perché gli immigrati vengono subito bloccati con la legge Bossi-Fini. La cosa tragica è quando annegano in mare. Il contegno dei siciliani di fronte all'immigrazione è civilissimo. Io penso che l'immigrazione sia un bene e un fenomeno inarrestabile dovuto ai tempi nei quali viviamo. Il vescovo della mia terra anni fa istituì un ufficio apposito prevedendo quello che sarebbe avvenuto. Mi fece parlare con un sacerdote addetto all'ufficio, e questo mi disse che sarebbe stato impossibile ipotizzare una chiusura, noi siamo una frontiera aperta».
Andrea Camilleri non può fare a meno di parlare attraverso il racconto di episodi, sia recenti che remoti. I suoi romanzi ne sono pieni. È più forte di lui. «Per me raccontare è fondamentale, è la mia vita. L’occupazione principale a cui mi dedico. Ma attenzione: anche sentir raccontare ha un ruolo primario. Credo che il dono di essere riuscito a raccontare sia una sorta di restituzione del dono che ho avuto per tanti anni, e che continuo ad avere, dell'aver saputo ascoltare. Da bambino davo al contadino che lavorava la terra di mio nonno un pacchetto di sigarette, quelle razionate, le Milit, per farmi raccontare. Molti li ho messi nel romanzo il Re dí Girgenti». Ma questa sindrome del "raccontare" appartiene a tutta la penisola. «L’italiano ama raccontarsi. Forse ama di meno sentir raccontare gli altri. Lo dico in senso ironico. Se si osserva la forbice che c'è tra quelli che scrivono e quelli che leggono, a momenti quelli che scrivono sono assai di più di quelli che leggono. L’italiano ama raccontare se stesso. È difficile per un italiano oggettivare il racconto». Spesso negli scritti di Camilleri emerge una religiosità popolare che è colore e folklore. La religione è «una componente importante della società. Esiste, ha un valore, ne devi tenere conto. Io non sono religioso. In alcuni momenti la fede è assoluta e diventa anche un fatto invidiabile. Certe volte è superstizione, e anche folklore, altre volte decade. La fede è più facile prenderla nel momento in cui si abbassa di valore e ne vedi il lato folkloristico, la superstizione, allora diventa agguantabile. È difficile arrampicarsi e raggiungere il livello della fede assoluta. Io stesso sono un non credente superstizioso: tengo nel mio studio tre statue di San Calogero perché sono superstizioso». E il rapporto tra l'uomo Camilleri e Dio? «Se Dio c'è, c'è; lo puoi percepire più o meno. L’onorevole La Loggia ha detto una cosa "deliziosa" all'indomani delle elezioni regionali, riportata da tutti i giornali: la "casa delle libertà" ha perso perché gli elettori erano distratti per la morte del Papa, dicendo quindi una sciocchezza. Oggi la società cerca di sostituire in qualche modo la fede vera con la fede di comodo. Mi spiego meglio. Cos'è la fede? Ci sono tante fedi. Noi possiamo anche controbattere e diciamo che sono estremisti, terroristi, quelli che si fanno saltare anche in aria in nome di Allah. Però è una fede, distorta, un'interpretazione assurda e distorta della legge, ma è una fede. Poi c'è una fede di comodo, quella per cui noi crediamo che la guerra in Iraq sia stata giusta anche se le armi di distruzione di massa non esistevano. Era una balla».
Ma come vede i giovani che spesso incontra soprattutto nelle università? «Non sono un vecchio pessimista che dice: "Ai miei tempi", anche perché ai miei tempi c'era il fascismo. Nei giovani vedo quello che ho sempre visto: sono degli alberi che crescono e a volte crescono male. Mia zia aveva la campagna e diceva: "Un albero messo qui. Come vuoi che venga, poverino!" Invece un albero cresciuto con una buona esposizione diventa meraviglioso. Questo è un pensiero da contadino. I giovani reagiscono a seconda di quello che le classi che hanno il potere danno loro. E non è detto che il dar loro sia sempre un bene. La nostra generazione è passata attraverso privazioni assolute perché la guerra segna il destino di un uomo e il suo comportamento. Significa non solo la presenza possibile della morte, perché quella è in conto, ma segna anche il malore di alcune genti, i sentimenti». La scrittura, il dialetto e il mestiere di Camilleri da sempre, quanto coinvolge i giovani? «Penso che i giovani si lascerebbero molto volentieri coinvolgere dalla scrittura se qualcuno li sapesse coinvolgere. La scuola fa di tutto per dissuaderti dalla lettura. Insegna dei modi di lettura fuorvianti, ti fanno venire la noia. Tutti i bambini disegnano con una fantasia illimitata, poi vai a scuola e ti dicono, "cosa sono questi segnetti", ti insegnano e tu perdi qualsiasi fantasia. Che la lettura sia un esercizio della fantasia non glielo dice nessuno. Dicono che è un compito e fare i compiti è noioso. Io l’ho sempre detto: la mia fortuna è legata all'aver incontrato due o tre professori degni di questo nome». L’11 maggio del 1993 Giovanni Paolo Il nella valle dei templi ad Agrigento lancia un monito contro la mafia gridando: «Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio». Questo episodio cosa ha suscitato in un siciliano doc come lei? «Credo che l’unico che avesse fino a quel momento parlato apertamente contro la mafia sia stato il cardinale Pappalardo. Gli altri tacevano doverosamente. L’intervento di Giovanni Paolo II è stato fondamentale, importantissimo per alcune coscienze. Pietro Aglieri, assassino sanguinario, non solo aveva l'altarino con la Madonna nel suo rifugio di talpa sotterranea, ma aveva anche il prete che lo andava a confessare e a comunicare. Anche Nitto Santapaola aveva l'altarino. Questo non è conciliabile con la fede perché c'è un comandamento che dice: "Non uccidere". Uno era un assassino e l'altro un prete che sbagliava. A questo punto i più coraggiosi cosa avranno pensato? Padre Pino Puglisi invece è morto: questa è testimonianza, questo significa avere fede».
Come la testimonianza dei Papa che ci ha appena lasciato... «Riguardo la guerra in Iraq aveva, ha, ragione. La sua disgrazia è nel non avere avuto vicino uomini della sua stessa statura, come invece ebbe Giovanni XXIII che si trovò accanto Krusciov e Kennedy. Non si può dire che George W. Bush o Tony Blair siano gente di grande levatura. Lui si è trovato in una sorta di solitudine e in questo caso si è visto. Mikhail Gorbaciov era una persona che poteva stare alla pari con Giovanni Paolo II. Raramente ho visto un Papa che ha voluto essere realmente un uomo senza assumere mai le atmosfere e le dimensioni che hanno caratterizzato il papato nella storia. L’esempio di Giovanni Paolo II che colpisce me laico, è l'assoluta coerenza dell'uomo rispetto al proprio disfacimento, la propria malattia, il dolore, non aver la paura di andare avanti fin quando è possibile. Penso che in lui si sia concretizzato quello che diceva Merleau-Ponty: dato che l'eroe dei contemporanei è l'uomo, lui come uomo è stato l'eroe dei contemporanei. E stato un cattolico nel senso pieno, vero. La cosa più importante che ha fatto è stata l'apertura verso le altre religioni, è stato l'uomo che ha chiesto scusa delle colpe della Chiesa a tutti. È andato al muro del pianto e ha messo un biglietto, è entrato in una Sinagoga e in una Moschea. Quando mai si sono visti i palestinesi o gli ebrei o altri popoli commuoversi per un Papa. Quando mai Fidel Castro se ne va a messa, quando mai la Cina manda un telegramma di condoglianze per la morte di un Papa. Questo è il risultato di qualche cosa, o lo vogliamo negare?».
Alessandra Gaetani
 
 

Il Sole 24 Ore (suppl. "Domenica"), 15.5.2004
Virginia, una passione siciliana

Avevamo visto, a suo tempo, il siciliano, trapiantato a Roma, Domenico Cacopardo (classe 1936) come una specie di "AntiCamilleri": entrambi giallisti, ma, contro l'affabilità di scrittura dell'inventore del commissario Montalbano, Cacopardo, nei due romanzi “Il caso Chillè” (Marsilio 1999) e “L'endiadi del dottor Agrò” (Marsilio 2001), mostrava di avere scelto una strada diversa: uno stile prosciugato, a membretti, e una scrittura imbronciata. Che voleva occultare radicalmente il punto di vista del narratore e, insieme, essere metafora del disorientamento del suo personaggio. Un'alternativa a Camilleri che ci piaceva parecchio.
Passato qualche anno e intercorsi romanzi di minor importanza, oggi Cacopardo torna a sorprenderci con il suo nuovo romanzo, “Virginia”. Una storia difficile da ascriversi a un unico genere: storia di costume, ambientata nella Sicilia del Novecento, ma, insieme, romanzo d'amore. Non bastasse, rievocazione alla Nievo di una vita antica, chiusa e ancestrale: un mondo piccolo che Cacopardo sa raccontare benissimo. E, ancora, romanzo che, a tratti, si intreccia alle vicende della nazione (le guerre di conquista in Africa; la Seconda guerra mondiale, l'occupazione tedesca, l'arrivo degli alleati), e che si rivela, anche e infine, un romanzo giallo. Troppa roba? Per niente. Si è soltanto divertito, Cacopardo, ad allargare il suo campo. Con il gusto e la flessibilità dei novellieri di un tempo. Meritandosi, in più, una nuova definizione: superata la fase dell’"AntiCamilleri", oggi si rivela come l’"AntiCacopardo". E non è un paradosso, perché l'autore ci fa conoscere, nella prima e più lunga (l12 pagine) parte di “Virginia”, una morbidezza lirico-evocativa che credevamo esclusa dalle sue corde. Raccontandoci soprattutto un tema forte, l'amore-passione, che dura una vita, fra un padroncino, don Fifi, e una bella e sensuale serva, Virginia, per metà eritrea.
[...]
Giovanni Pacchiano
 
 

16.5.2005
Giallo, rosso, rosa, blu... colore d'autore
Andrea Camilleri ha comunicato con una lettera che non potrà essere presente a Catanzaro per l'incontro al Teatro Masciari sul "Rosso storico", previsto per mercoledì 18 maggio 2005 alle ore 18:30.
 
 

Press Sicilia, 17.5.2005
Scicli come Vigàta

Torna la primavera e con essa i turisti in cerca dei luoghi di Montalbano. Nuova ondata di presenze turistiche a Scicli legata alla ricerca dei luoghi in cui vive e opera nella fiction televisiva il commissario Salvo Montalbano. L’anno scorso in agosto, quando la stanza del sindaco Falla fu resa fruibile per i turisti fino a sera per rendere visitabile quella che nella fiction è diventata la stanza del questore Luca Bonetti Alderighi, si registrò una presenza di duemiladuecentosettanta turisti, in nove visite.
Una media di un turista ogni trenta secondi. Allora l’amministrazione comunale di Scicli decise di aprire per due giorni la settimana, il giovedì e il sabato, dalle 20 alle 22, la stanza del sindaco Bartolomeo Falla, che nel famoso serial televisivo ispirato ai libri di Andrea Camilleri è diventata la stanza del Questore.
Mentre Porto Empedocle cambiava addirittura nome in Vigàta in onore del commissario di Camilleri, a Scicli il Comune organizzò, su idea dell’assessore Piccione, con la collaborazione della cooperativa Siklah, le visite guidate alla stanza di Montalbano.
Come è noto infatti il Municipio della città ha ospitato nel corso dei diversi cicli dello sceneggiato la sede del Commissariato in cui lavora Salvo Montalbano. Quest’anno si registra ancora una volta un’alta presenza di turisti e visitatori desiderosi di una foto nella austera stanza del sindaco di Scicli, senz’altro uno degli interni più eleganti della provincia. La gran parte di questi visitatori chiedono di posare e scattare la loro foto nella sedia del Questore Luca Bonetti Alderighi. Da diversi mesi a questa parte accade infatti che i turisti chiedano al sindaco Falla, che nel corso degli ultimi cinque anni si è privato per lunghi periodi della sua stanza di primo cittadino per ospitare le location della troupe del regista Alberto Sironi, di visitare la sua stanza per vedere di presenza i luoghi in cui Montalbano lavora.
In realtà il vero e proprio ufficio in cui gira Luca Zingaretti era stato allestito nell’ex Camera del Lavoro e nella stanza in cui oggi si trova il protocollo, al piano terra del palazzo municipale. La stanza del sindaco è stata usata come location dell’austero gabinetto del Questore Bonetti Alderighi, con cui spesso Montalbano ha più di un diverbio. Per la prossima estate si attende un nuovo boom ed è probabile che il Comune dovrà replicare l’iniziativa dello scorso anno: la stanza del commissario meta di attrazione turistica, e, perché no, di sana curiosità per i tanti turisti in cerca della qualità Unesco e degli arancini di Salvo Montalbano.
Giuseppe Savà
 
 

La Sicilia, 19.5.2005
Le donne nel tempo attraverso l'arte

[…]
Il libro, rigorosamente tascabile, è il primo di un più ampio programma editoriale che privilegia la visione. Arte, architettura, fotografia e territorio sono i riferimenti delle neonate Edizioni di passaggio, che si propongono di promuovere la cultura e la conoscenza del patrimonio siciliano, lanciando una scommessa nell'ambito del turismo culturale e del tempo libero. Un progetto ambizioso che, in questo primo volume, vede Joselita Ciaravino nella duplice veste di autrice ed editrice. Fra gli altri titoli in pubblicazione «Stazioni. Un viaggio in Sicilia» di Franco La Cecla, nel centenario delle Ferrovie dello Stato, la scoperta di paesaggi ormai desueti con un'intervista di Gaetano Savatteri ad Andrea Camilleri.
[…]
Laura Oddo
 
 

Sellerio Editore, 20.5.2005
Andrea Camilleri
La luna di carta
Collana La memoria Pagine 260 Prezzo Euro 11,00
In libreria: 23 giugno

Torna il sangue nelle inchieste di Montalbano. Un delitto spietato in una casa alla periferia di Vigata. Tutto sembra condurre alla pista passionale. Ma il commissario non si lascia ingannare. Come già ne La pazienza del ragno incontriamo un Montalbano più del solito pensieroso, quasi intimista.
 
 

Cosenza in rete, 20.5.2005
8 giugno: La Mossa del Cavallo, A. Camilleri

La III circoscrizione di Cosenza ed il Gruppottanta presentano "La Mossa del Cavallo", narrazione scenica dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri.
Lo spettacolo si terrà giorno 8 Giugno alle 20,30 al Cinema Teatro Italia: ingresso gratuito.
Il genio del regista, Ennio Scalercio, ha tradotto in opera teatrale il romanzo più politico di Camilleri. Assisterete ad un attualissimo resoconto dei sistemi politici in "odore" di mafia!
Vocina
 
 

Il Fiorile, 21.5.2005
Raduno del Camilleri Fans Club
Dalle ore 19:00 al Ristorante Il Fiorile, in Val Borbera.
 
 

ANSA, 18.5.2005
SAT2000: il mito attraverso l'avanguardia 'Al Top spettacoli'

Roma - Il mito attraverso la lente dell'avanguardia sarà l'argomento della puntata di 'Al Top spettacoli', in onda domani alle 21.30 su Sat2000.
[…]
Ai microfoni di Sat2000 Andrea Camilleri racconterà la 21a edizione della ''Prima del teatro – scuola europea per l'arte dell'attore'', promossa dal Teatro di Pisa, dall'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica 'Silvio d'Amico' e dalle principali scuole teatrali europee.
 
 

ANSA, 20.5.2005
Teatro: 'Prima del teatro' con allievi e docenti d'Europa a San Miniato dal 16 giugno – Libro e DVD sui 2O anni d'attività

Roma - Oltre 250 allievi da tutta Europa, ma anche Usa e Russia, converranno a San Miniato per la 21/ma edizione di 'Prima del teatro', scuola estiva promossa dal Teatro di Pisa, dall'Accademia Nazionale d'Amico e dalle principali scuole Eu.
[…]
In occasione del ventennale di 'Prima del teatro' (1985-2004) e' stato pubblicato dalla ETS di Pisa un libro, con scritti di Andrea Camilleri, Musati e Roberto Scarpa, e un grande repertorio documentario fotografico, assieme a Dvd, firmato da Gianluca Paoletti, Domenico Zazzara e Chiara Martina su 'il mestiere dell'attore'.
[…]
 
 

ANSA, 20.5.2005
Con avallo di Camilleri torna primo romanzo di Von Borries

Roma - Con tanto di vistosa fascetta rossa riportante una frase tratta dalla postfazione di Andrea Camilleri, Guanda ripubblica il primo romanzo di Christine Von Borries, edito nel 2003 per Il Ponte.
E' il libro in cui fa la sua comparsa Irene Bettini, impiegata amministrativa del Sisde prestata al piu' alto livello di agente segreto. E del suo amore, corrisposto ma travagliato, per uno dei dirigenti dell' Ufficio. Una storia composta da spie, spioni e da una donna apparentemente fragile che si trasforma in eroina per amore; tutti gli ingredienti per un giallo nel solco della tradizione. D' altronde, Christine von Borries nelle trame di questa natura ci sguazza e si diverte, visto che e' un pubblico ministero, di recente nella difficile
procura di Palermo.
“Fuga di notizie” tuttavia non e' un giallo in termini tradizionali: Camilleri lo inserisce nel percorso evolutivo del romanzo poliziesco; un itinerario la cui vetta lo scrittore siciliano individua in “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda e che oggi si e' gia' trasformato in romanzo d' indagine.
 
 

AGI, 23.5.2005
Pisa
Cultura, seconda laurea Ad Honorem per Andrea Camilleri

Seconda laurea ad honorem per Andrea Camilleri. Giovedi' 26 maggio lo scrittore siciliano sara' insignito del prestigioso riconoscimento accademico in Scienze della comunicazione dall'universita' di Pisa. La cerimonia, che avra' inizio alle 16 nell'Aula Magna dell'ateneo, vedra' la partecipazione delle autorita' cittadine e del Rettore, che conferira' a Camilleri la laurea specialistica in Sistemi e Progetti di Comunicazione. Conosciuto dal pubblico per aver dato vita al personaggio del commissario Montalbano, protagonista di una fortunata serie televisiva, Camilleri ha cominciato a scrivere sin da giovanissimo, a soli vent'anni. Nel 1942, dopo aver pubblicato alcuni racconti brevi su diversi quotidiani ("L'Ora" e "L'Italia Socialista"), il letterato di Porto Empedocle approda alla regia teatrale portando in scena piu' di cento opere, tra cui molte di Pirandello, suo compaesano e amico di famiglia. "Pirandello era nell'aria, nel clima famigliare - racconta l'autore - l'ultimo grande punto di riferimento col quale ho un dialogo che dura tuttora a distanza, e' stato Leonardo Sciascia". In campo televisivo Camilleri ha firmato numerose regie di opere teatrali e di romanzi: sua la famosa serie poliziesca del "Commissario Maigret" di Simenon e del "Tenente Sheridan". Dal 1958 al 1965 insegna al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e successivamente, dal 1977 al 1997 all'Accademia Nazionale di Arte Drammatica "Silvio D'Amico". La carriera di Camilleri come romanziere comincia nel 1978 con "Il corso delle cose": primo di una serie di romanzi storici cui seguirono molti altri titolo, tra i quali "Un filo di fumo" (premio Gela nel 1980) e "Il birraio di Preston" (premio Vittorini), successivamente adattato per il teatro e per la radio. Camilleri aveva gia' ricevuto una laurea Honoris causa dall'Universita' di Milano in Lingue.
 
 

PuraLanaDiVetro, 24.5.2005
Il protagonista che ha regalato il successo letterario di Camilleri torna nelle librerie il 23 giugno
Luna di Carta: torna il commissario Montalbano

Crepuscolare e stanco. Così avevamo lasciato il commissario Montalbano nell'ultimo sua inchiesta, La pazienza del ragno, in libreria lo scorso autunno.
E il commissario aveva lasciato i suoi affezionati lettori con un po' di amaro in bocca. In un giallo, senza il morto, Montalbano, in semi convalescenza per una ferita, aveva addomesticato la sua proverbiale ironia e per di più si commuoveva con una frequenza un po' sospetta.
Il sospetto che Camilleri stesse per pensionare il suo commissario era davvero forte, pensiero rafforzato poi dall'uscita del successivo Privo di Titolo che con Montalbano non aveva nulla a che vedere.
E invece arriva l'annuncio che il popolare commissario di Vigata torna in libreria. Per leggere le sue nuove peripezie bisognerà aspettare il 23 giugno, giorno in cui Sellerio manderà in libreria Luna di Carta. Anche qui dovremmo aspettarci un Montalbano intimista. Tuttavia il punto di partenza del nuovo romanzo di Camilleri sarà un delitto, consumato in una casa alla periferia di Vigata.
E qualche altro colpo di scena questa volta dovremmo aspettarcelo. Secondo alcune indiscrezioni, lanciate dall'agenzia Adn Kronos, Montalbano, dopo anni di fedeltà alla storica fidanzata Livia, metterà gli occhi su una "fimmina" che lo tenterà moltissimo. E non sarà l'unica donna a impegnare la mente del nostro commissario, che si troverà tra due forti figure femminili, entrembe possibili indiziate del delitto.
Montalbano alle prese con la psicologia femmminile. C'è di che poter concludere che sarà questa l'inchiesta più arda della sua carriera.
 
 

Il 26 maggio 2005 l'Università Statale di Pisa ha conferito ad Andrea Camilleri la Laurea Specialistica Honoris Causa in Sistemi e Progetti di Comunicazione.
Sul sito dell'Università sono disponibili:
il testo della Lectio Doctoralis di Andrea Camilleri, Le fabbriche del credere;
il discorso di saluto del Magnifico Rettore, Prof. Marco Pasquali;
un profilo di Andrea Camilleri;
il testo della Laudatio del Prof. Alfonso Maurizio Iacono (Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia), dal titolo Il corso delle cose è sinuoso.
 
 

Adnkronos, 26.5.2005
Tv: Camilleri, davanti a televisione sempre avere l'ombrello della ragione

Pisa - ''Ricordo che quando c'era una sola rete televisiva e il colonnello Bernacca faceva le previsioni del tempo, un mio amico continuava a scrutare il cielo. E quando vedeva che era nero, nonostante le previsioni dicessero che era bel tempo, lui prendeva l'ombrello e mi diceva che era il caso di portare con se' il 'baracco'. Ecco, io posso consigliare che davanti alla televisione e' bene avere sempre a disposizione il 'baracco della ragione'''. Lo ha detto Andrea Camilleri, parlando con i giornalisti dopo aver ricevuto a Pisa la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione.
[Il paracqua, ha detto il paracqua! NdCFC (segnalazione di Emanuele)]
 
 

ASCA, 26.5.2005
Università
Pisa: Laurea Honoris Causa a scrittore Andrea Camilleri

Pisa - Ogni rete televisiva ''deve per forza configurarsi come una fabbrica del consenso, consenso sia ai prodotti commerciali pubblicizzati sia alle idee politiche altrettanto pubblicizzate e commercializzate, cercando in tutti i modi d'evitare che gli ascoltatori-compratori-potenziali elettori cambino canale''.
E' uno dei passi della lectio magistralis pronunciata oggi dallo scrittore Andrea Camilleri nel corso della cerimonia con cui l'Universita' di Pisa gli ha consegnato la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione.
Riflettendo sui moderni mezzi di comunicazione di massa, si legge in una nota, Camilleri ha sottolineato che ''questo vertiginoso allargamento della comunicazione e' stato salutato da tutti come il segno di una finalmente raggiunta liberta' d'informazione. Ma questo tipo di liberta' coincide con la possibilita' d'approssimarsi a una verita' potabilmente limpida e priva di germi?''.
Dopo aver passato in rassegna, prosegue il comunicato, esempi eclatanti nei quali l'opinione pubblica dei paesi occidentali e' stata deliberatamente ingannata e domandandosi perche' quest'inganno non abbia inciso sulla fiducia che si continua a dare a coloro che l'hanno perpetrato, ha concluso la sua lezione azzardando un'ipotesi sull'ultima trasformazione dei mezzi di comunicazione che ''si sono tramutati, riuscendoci, da fabbriche di consenso in convertitori di fede, in fabbriche del credere''.
A consegnare la laurea a Camilleri e' stato il rettore dell'Universita' di Pisa Marco Pasquali. 
 
 

La Repubblica  (ed. di Roma), 26.5.2005
Via Giulia
Con la Buy e Camilleri il libro scende in strada

Margherita Buy sul sagrato di San Giovani dei Fiorentini. A dar voce ai versi di Catullo, Ovidio e Montale. Accompagnata dal piano di Paolo Di Sabatino. Con il reading dell´attrice, stasera alle 21 prende il via "Poesia in via Giulia". Fino al 5 giugno a piazza dell´Oro e dintorni spazio a dibattiti, esposizioni, letture e performance letterarie. Venticinque le case editrici che partecipano, con stand e presentazioni di libri, alla manifestazione organizzata dal Punto Einaudi di via Giulia e con la partecipazione dell´assessorato comunale alla Cultura. Ogni giorno, alle 21, le serate sono dedicate ai grandi poeti: domani sarà la volta di Sandro Penna, sabato di Dino Campana, il 30 maggio di Jorge Luis Borges. Quindi spazio a Pier Paolo Pasolini, Silvia Platt e Bertold Brecht (rispettivamente il primo, il tre e il cinque giugno). Altro ospite d´eccezione, sabato alle 20, Andrea Camilleri, che renderà un suo personale omaggio alla poesia. Infine, il 4 giugno, si terrà un laboratorio rivolto ai bambini delle scuole elementari in un percorso scandito dalle poesie.
Via Giulia, da oggi al 5 giugno (info 06 6875043).
Marco Occhipinti
 
 

Adnkronos, 26.5.2005
Dal primo luglio lo showman siciliano partirà in tour

Roma
[…]
'Viva Radio 2' domani chiuderà ma non andrà 'in ferie': da lunedì 30 maggio, infatti, a venerdì 10 giugno saranno trasmesse dieci puntate 'clou' della stagione e, inoltre, non mancherà un CD contenente gag e imitazioni dei personaggi del programma, da Andrea Camilleri ad Antonio Cassano e Mike Bongiorno, protagonisti che "si sono divertiti - spiega Fiorello - Camilleri l'avevo invitato per la puntata conclusiva ma non potrà intervenire".
[…]
 
 

La Repubblica, 27.5.2005
Giovanardi: con la nuova legge non calano i casi di procreazione. Turco: sull'astensione opportunismo di Berlusconi e Rutelli
"Un piano contro la legge sull'aborto"
Referendari all'attacco. Prestigiacomo: integralisti nella Cdl

[…]
"Voterò quattro sì ma gradirei meno appelli" confessa lo scrittore Andrea Camilleri.
[…]
Carmelo Lopapa
 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011