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RASSEGNA STAMPA

APRILE 2006

 
Le temps, 1.4.2006
Andrea Camilleri. La Prise de Makalé
Trad. de Marilène Raiola. Fayard, 284 p.

“La Prise de Makalé” est certainement le livre le plus féroce d'Andrea Camilleri (“La Presa di Macallè”, Sellerio). Publié en 2003, dans une Italie totalement en proie au berlusconisme, ce roman a des résonances politiques évidentes. Il a pour décor une bourgade sicilienne à l'époque où les troupes mussoliniennes envahissent l'Ethiopie (1935), et pour héros le petit Michilino, 6 ans, victime de la propagande fasciste et de l'endoctrinement catholique. L'extrême crudité du langage et des situations a choqué certains des fidèles admirateurs de Camilleri. Et pour cause! “La Prise de Makalé” est une farce violente et tragique qui ne fait aucune concession au «politiquement correct».
Michilino, que la nature a doté d'attributs virils surdimensionnés pour un enfant de son âge, applique fidèlement les préceptes que son entourage (son père fasciste, sa mère adultère, son professeur pédophile, sans oublier le curé coureur de jupons) lui inculque. Ce nouveau Candide se prêtera naïvement aux jeux sexuels des adultes et ira même jusqu'à assassiner un camarade, sans jamais réellement prendre conscience de ses actes, avant un final grand-guignolesque qui ne laisse aucune échappatoire. Un roman truculent qui se lit d'une seule traite.
Marco Sabbatini
 
 

ANSA, 1.4.2006
Da Montalbano a Bartali, la fiction RAI conquista l'estero

Roma - Presto anche all'estero si potranno seguire le nuove avventure del 'Commissario Montalbano' e le gesta di altri eroi delle fiction italiane.
[...]
Tra i titoli più graditi da buyers e broadcaster (per la prima volta erano presenti anche americani ed inglesi) 'Il Commissario Montalbano' con i suoi quattro episodi nuovi. Oltre ai paesi scandinavi (Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca) se ne sono assicurati i diritti di trasmissione anche le tv di Bulgaria, Bosnia, Slovenia e Spagna.
[...]
 
 

La Sicilia, 1.4.2006
Manuela e Gianfranco si confessano
Intervista a Manuela Arcuri, in questi giorni impegnata al Teatro Pirandello di Agrigento nelle repliche del «Liolà»

[...]
Che cosa ne pensa dei gialli di Andrea Camilleri?
«Ne ho letto qualcuno. Sono sicuramente intriganti, mi hanno aiutata a capire meglio il carattere dei siciliani».
Lorenzo Rosso
 
 

Noir, n.2, 4.2006
Storie di carta
Se il racconto diventa fiction
Sul’esempio della serie americana “Fallen angel”, la RAI trasformerà in film sette sceneggiature degli autori di “Crimini”

Il Nordest amaro e cupo di Massimo Carlotto, con i suoi sbirri perennemente in bilico fra giustizia e psicopatologia. L'equivoca Sicilia di Camilleri, dove tutti i suoni si annullano nell'insistente vibrazione della "corda pazza". La Milano depressa di Sandrone Dazieri che so­lo il sogno di un'impossibile scorciatoia (criminale) verso il suc­cesso sembra mantenere in vita. La Napoli irredimibile, ora Ma­donna ora matrigna, di Diego De Silva. La mia Roma di im­migrati coraggiosi e/o bastardi e nevrotiche donnine perdute. L'abbacinante Sardegna di Marcello Fois con la sua meravigliosa natura sottoposta all'assedio di orridi speculatori in guanti gial­li. La Bologna ombrosa di Lucarelli che sembra affidare le sue uniche chances di riscatto a schizzati e marginali. Il backsta­ge della splendente isola d'Elba, trasformata da Faletti in un incubo di inferriate e catene.
Tutto questo è "Crimini". Qualche mese fa un'antologia di rac­conti, molto venduta, e, perché non ammetterlo, molto discussa. Fra breve - e in qualche caso con racconti diversi da quelli com­presi nell'antologia - una "compilation" di film per Rai Due.
L'idea, in origine, era di chiedere ad alcuni fra gli autori che convenzionalmente definiamo di noir italiano di scrivere un bre­ve racconto. Mi proponevo di coinvolgere amici (Lucarelli, Da­zieri, De Silva), maestri riconosciuti (Camilleri), scrittori sti­mati (Fois, Carlotto, Faletti) in un'avventura a metà strada fra letteratura e televisione. Dai brevi racconti sarebbe dovuta sca­turire una specie di raccolta di film "corti" d'autore. Il segno sareb­be stato quello del noir. Le at­mosfere dovevano ricalcare, per quanto possibile, gli stilemi del genere. La fonte d'ispirazione era una vecchia serie americana de­gli anni Novanta, "Fallen Angel": film di mezz'ora con cameos di grandi divi, anche del passa­to, che illustravano storie a tinte fosche mentre dietro la mac­china da presa si sarebbero alternati nomi prestigiosi della re­gia o giovani ardimentosi. Tutti, scrittori, attori, registi, le­gati, pensavo, dalla comune passione per un genere di racconto poco frequentato dalla televisione. E pensavo ai "corti" perché avevo in mente il classico film "di nicchia": ciò che ci si proponeva di impiantare non era una "serie", con protagonisti fis­si e riconoscibili ai quali il grande pubblico potesse affezionarsi, ma piuttosto una "collezione" di luoghi, situazioni, ambienti e facce di volta in volta sempre diversi. E il tema unificante­ -il segno del noir, appunto- poteva apparire traccia troppo esi­le per garantire quella che, con una brutta ma efficace espres­sione gergale, si chiama la fidelizzazione. Ma, nicchia a parte, ciò che poteva apparire interessante, a prima vista, era il sen­so di sfida: scrivere un racconto letterariamente di valore -co­sa ben diversa da un soggetto tout court destinato allo scher­mo, piccolo o grande che sia- e trasformarlo in un film, sia pu­re in un piccolo film, che questo valore rispecchiasse, e rispettasse. La differenza da un normale processo produttivo nel quale un libro viene adocchiato dalla televisione, acquisito e poi trasformato in film o serie è di tutta evidenza: qui ci si proponeva di scri­vere un racconto concepito e pensato come vero e proprio rac­conto letterario, ma anche, nello stesso tempo, come potenziale base per un futuro adattamento televisivo.
Da qui la necessità di coin­volgere nella scrittura televisiva, gli autori, che avrebbero colla­borato con gli sceneggiatori in mo­do da avere, per tutta la fase del­la scrittura, il controllo della pro­pria opera.
La prima sorpresa venne dai produttori di Rodeodrive, ai quali avevo proposto quasi scherzosamente l'idea. Non solo la presero molto sul serio, ma si di­mostrarono immediatamente più coraggiosi del proponente: perché limitarsi ai corti se dai racconti degli scrittori si pote­vano trarre dei veri e propri film?
La seconda sorpresa fu di marca RAI. La proposta di una "collezione" senza protagonisti fissi non solo fu accolta, ma an­zi caldeggiata, sostenuta, incoraggiata. In sostanza, avevo pen­sato da "uomo di nicchia". Avevo pensato in piccolo, tradito da quella diffidenza per il mondo dello spettacolo che, alla fin fine, lo scrittore occultamente cova dentro di se.
Morale: l'incontro fra un certo modo di raccontare l'Italia e la televisione è possibile. Almeno in fase di ideazione e di rea­lizzazione del progetto. Steccati e barriere sembrano essere sta­ti, al momento, accantonati.
Le partiture che abbiamo elaborato insieme agli sceneggiatori sono ora nelle mani dei custodi della visione.
E' questo l'unico momento del processo produttivo che uno scrittore non ha il potere di controllare. Ed è giusto che sia co­sì. Come in tutti i passaggi di linguaggio, nel rivederci in for­ma d'immagine, ci accorgeremo di aver perso delle cose e di averne guadagnate delle altre.
Grande e piccolo schermo fatalmente rendono aguzzi gli an­goli della pagina, ne sciolgono le ambiguità, cassano gli eccessi di dubbio, rimuovono il superfluo.
L'immagine ha il compito brutale di enfatizzare l'emozio­ne: il suo matrimonio con il noir, che è scrittura di emozioni, dovrebbe essere ineluttabile.
Ma poi "Crimini" sarà un apripista, o resterà un esperimen­to isolato... il connubio fra scrittura -non solo noir- e televi­sione è destinato a durare, e magari a dar frutti ancora più con­vinti e convincenti?
Belle domande. Ma non saremo noi a rispondere. Sarà il pubblico.
Giancarlo De Cataldo
 
 

La Sicilia, 3.4.2006
Nasce un cartello di intellettuali fuori da ogni logica politica
Nuovo impegno per Porto Empedocle

Porto Empedocle. Da non credere! In una comunità da sempre divisa e lacerata, qual è quella empedoclina, dove la politica non è mai riuscita a «cucire», finalmente un comitato spontaneo cittadino starebbe mettendo d'accordo tutti, ma proprio tutti, sul fatto che a Porto Empedocle serve un salto di qualità, sia nei contenuti che negli uomini che andranno a guidare la rinascita economica, culturale e sociale della cittadina. Un «manifesto» controfirmato da decine di personaggi, dallo scrittore Alfonso Gaglio, a diversi rappresentanti del mondo politico. Tra questi l'ex segretario provinciale dei Ds, Tonino De Gregorio, l'ex segretario di Rifondazione comunista, Alfonso Frenda e, dall'altra parte politica, l'ex assessore di centrodestra, Alfonso Lazzara, il consigliere comunale uscente dell'Udc, Salvatore Burgio e il presidente del locale circolo di Alleanza Nazionale, Carmelo Ficarra.
Anche altri rappresentanti della società civile hanno voluto aderire: l'ex vice sindaco Lillo D'Ercole, il sindacalista Maurizio Saia, Angela Di Mare, Calogero Gucciardo, Tommaso Bartolotta, Mauro Carusino, Calogero De Leo, Bianca Furioso, Giuseppe Laiola. L'appello parla di una politica che finora «si è mostrata inadeguata» e ribadisce la necessità di superare taluni steccati per «costruire una barriera morale al rampantismo di certo personale politico intriso solo di indifferenza ai valori e ai bisogni della collettività». Manca solo il parere di Andrea Camilleri, mai tenero con il suo paese. Ora si spera che la politica, a Porto Empedocle, cominci sul serio a unire anziché a dividere.
Lorenzo Rosso
 
 

La Sicilia, 4.4.2006
Il dibattito

E' stato presentato a Milano il libro di Salvatore Scalia "La punizione" edito da Marsilio e Matteo Collura, come riferisce una nota dell'agenzia Ansa, ebbe a dire che "La Sicilia che ci trasmettono gli sceneggiati televisivi di successo è una Sicilia assurda, inventata, folcloristica".
"In questi sceneggiati, ha aggiunto il noto giornalista e scrittore, la gente abita solo in case con pavimenti di maioliche, arredate con tendaggi e mobili importanti. La verità è che oggi a Ragusa Ibla, non vive più nessuno, a parte qualche artista o intellettuale. Ci fanno vedere un funerale con un carro funebre barocco che forse non si è mai visto in Sicilia. E' una Sicilia che non esiste, che potrebbe piacere ad Umberto Bossi, mentre la realtà è più dura, fatta di condomini, di vita quotidiana, crudele e spietata". La Sicilia, secondo Collura, è quella rappresentata da Salvatore Scalia nel suo libro "La punizione" che è " una inchiesta-racconto da iscrivere nel filone della narrativa civile." Ma è anche un "Noir" aggiungiamo noi.
Il libro di Scalia racconta di quattro ladri ragazzini che nel 1976 a Catania scipparono inconsapevolmente, nel quartiere San Cristoforo, la madre del superboss Nitto Santapaola.. I quattro nel romanzo, che è la trasposizione della storia vera, finiscono strangolati e gettati in un pozzo da Don Nitto, il mafioso vittima dell'offesa.
E quello che è più grave e che indica una Sicilia atterrita dalla mafia e quindi omertosa è che nessuno dei familiari denunziò alla polizia la scomparsa dei quattro ragazzi.
Per dieci anni lunghissimi quanti una eternità a Catania nessuno seppe della sparizione di quattro giovani non lo seppero le mamme, i padri, i fratelli, non lo seppero i parenti ed i vicini, non lo seppe la società.
Ci volle il pentimento del mafioso Calderone perché si conoscesse una storia così terribile ed allucinante e di fronte a queste cose ci sembrerebbe giusta la polemica dello scrittore Matteo Collura che, rifacendosi al concetto di "irredimibilità" dei nostri Tomasi di Lampedusa, di Sciascia, di Consolo, arriva a dire che è falsa la Sicilia degli sceneggiati di Camilleri ed è vera la Sicilia di Scalia o per dirla meglio di Don Nitto.
Ebbene noi che viviamo in Sicilia diciamo subito che in Sicilia ci viviamo male e proviamo la "difficoltà" di essere siciliani ma non possiamo accettare l'idea che la Sicilia sia quella di Don Nitto, o di Mario Alessi che, da vero balordo, ha sequestrato ed ucciso il piccolo Tommaso.
L'uccisione di un bambino da parte di poveri cristi siciliani rinfocolerà la polemica ed infatti i giornalisti italiani in tutti i loro servizi hanno sempre tenuto a precisare che Alessi e i suoi complici sono siciliani, senza dire di quale contesto sociale sono figli.
Quella è una parte della Sicilia che la gente onesta, i lavoratori, gli operatori economici onesti, gli intellettuali combattono e la si combatte anche con il coraggioso libro di Scalia.
La gran parte della Sicilia ha una grande voglia di riscatto che trova ostacoli nella politica, nelle scelte economiche che marginalizzano il Sud, nell'isolamento in cui la lasciano la mancanza di vere comunicazioni con il nord, nell'ascarismo che è duro a morire.
Questa Sicilia viene fuori anche dai libri di Camilleri che, a nostro avviso, hanno anche una grande pregnanza sociale.
Per quanto attiene gli sceneggiati televisivi noi non ci pronunciamo perché neanche li vediamo comunque dobbiamo dire che le esigenze televisive sono diverse dalle esigenze della pagina scritta ma comunque anche in Sicilia ci sono tantissime persone che vivono nelle case con pavimenti di maioliche, con tendaggi "alla veneziana", con ville faraoniche.
Il liberismo sfrenato opera anche in Sicilia dove i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri.
Gaspare Agnello
 
 

Europa 7, 5.4.2006
Serata in onore di Paolo Sylos Labini
Con il contributo di Andrea Camilleri
(replica il 7.4.2006)
Il video della serata è disponibile sul sito di Arcoiris Tv.
 
 

Il Nuovo Diario Messaggero, 5.4.2006
A Mordano Lucarelli e Camilleri protagonisti
Prestigiose firme in cartellone al Teatro Stabile nel 2006

Prestigiose firme per la stagione teatrale 2006 di Mordano. Il cartellone allestito dalla Compagnia del teatro stabile di Mordano con l’attiva presenza del suo illustre socio fondatore Carlo Lucarelli si candida tra gli appuntamenti più interessanti dei prossimi mesi. Un programma che nasce in simbiosi con il concreto progetto degli organizzatori di incentrare nel teatro paesano un costante incontro con la cultura. Una ricetta innovativa per l’apprezzamento della letteratura in modo giocoso, ironico e diretto. Nelle serate evento in compagnia di affermati autori italiani vengono inscenate rappresentazioni e letture tratte dalle opere stesse dei protagonisti. Il tutto grazie all’estro di attori professionisti accompagnati con musica dal vivo da band di risonanza nazionale.
[...]
Si comincia il 13 aprile con la scrittrice Alessandra Berardi e si prosegue per otto giovedì successivi con lo spettacolo "Guernica". Da sottolineare gli incontri con scrittori del calibro di Giampiero Rigosi (20 aprile), Paolo Nori (5 maggio), Andrea Camilleri (video intervista,11 maggio), Simona Vinci (18 maggio) patrocinati dal Comune di Mordano e dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Imola.
Mattia Grandi
 
 

La Sicilia, 5.4.2006
Luciano Lutring al Classico Empedocle

Agrigento. Si avviano al termine, obbedendo al calendario scolastico, le iniziative promosse dall'assessorato provinciale alla Pubblica istruzione, retto da Calogero Firetto.
Prima tra tutte «Incontri con l'autore», che proprio domani mattina avrà come ospite, al liceo classico Empedocle, Luciano Lutring, detto «Il solista del mitra» (si racconta che entrasse nelle banche da rapinare nascondendo l'arma nella custodia di un violino).
Subito dopo sarà la volta di Andrea Camilleri che registrerà un video, che andrà in onda a maggio e a chiudere il ciclo di «Incontro con l'autore» sarà Livia Pomodoro, magistrato, autrice del libro «A quattordici smetto».
«Abbiamo preferito dare al cliché creato quest'anno il taglio tematico, quindi il merito delle questioni, il tema della legalità, della redenzione e comunque della possibilità di recupero di soggetti che nella loro vita hanno fatto scelte deviate. - ha spiegato Firetto - Un modo anche per interrogarsi sulla capacità realmente educativa del nostro sistema carcerario.
Con Andrea Camilleri parleremo della provincia agrigentina, dei profumi e dei colori della terra di Sicilia e soprattutto dei movimenti culturali visti e raccontati dalla penna più amata e più invidiata del panorama letterario del Paese».
[...]
R. B.
 
 

La Sicilia, 5.4.2006
«Crimini» episodio a Catania

Il film tv «Rapidamente» con Gabriella Pession, che si gira in questi giorni a Bologna con qualche ripresa a Roma, è una delle otto storie della collezione di tv movie «Crimini», prodotta da Rai Fiction con la Rodeo Drive Media, che andrà in onda su Raidue alla fine dell'anno. La serie a cura di Giancarlo De Cataldo vede coinvolti otto grandi scrittori, come Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Giorgio Faletti, lo stesso Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva, Massimo Carlotto e Sandrone Dazieri chiamati a trasporre in otto film di 100 minuti l'estrema diversità e il fascino delle realtà locali italiane attraverso il noir mediterraneo. Gli otto film tv dovranno essere tutti pronti per la fine di agosto. Sono già stati girati: «Il bambino e la befana» di Giancarlo De Cataldo con la regia dei Fratelli Manetti, ambientato a Roma con al centro un bambino rapito a Piazza Navona; «L'unica soluzione possibile» di Giorgio Faletti con la regia di Monica Stambrini, che vede un trentenne chiuso in casa per attacchi di panico, ambientato all'Isola d'Elba, e «Disegno di sangue» di Marcello Fois (sceneggiatura Giancarlo De Cataldo), con la regia di Gianfranco Cabiddu, ambientato a Cagliari, con al centro il Commissario Curreli e un omicidio che nessuno vuole risolvere. Dopo «Rapidamente» si inizierà a girare «Il covo di Teresa» di Diego De Silva ambientato a Napoli sul confronto fra un carabiniere e un rapinatore, regia di Stefano Sollima. Seguiranno «Troppi equivoci» di Andrea Camilleri, ambientato a Catania, regia di Andrea Manni che racconta la storia di un tecnico dei telefoni che si innamora di una traduttrice che verrà barbaramente uccisa; «Morte di un confidente» di Massimo Carlotto si svolge a Padova: al centro un poliziotto di lunga esperienza, regia dei Fratelli Manetti. «L'ultima battuta» di Sandrone Dazieri storia di un comico, ex alcolista, a cui viene ucciso un amico, con la regia di Alex Infascelli. Dai racconti è nato anche un libro «Crimini» (Einaudi).
 
 

Agr, 5.4.2006
Cultura e spettacolo
Televisione: ascolti, Montalbano batte il Milan. Vola 'Ballaro`'

Roma - Non e' bastato al Milan raggiungere la qualificazione alle semifinali di Champions League negli ultimi minuti, per vincere anche la partita degli ascolti. E' 'Il commissario Montalbano' su Raiuno infatti a dominare la serata di ieri con poco piu' di 6 milioni di fan, contro i 5 milioni e 900mila raccolti dai Diavoli rossoneri.
[...]
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 6.4.2006
Esce oggi da Sellerio il nuovo romanzo dell'autore di "Senza re né regno"
Domenico Seminerio. Quel kamasutra di pietra scoperto dal prete dubbioso

Capita di rado che la provincia letteraria dia i suoi frutti. Ma quando ciò avviene, ci si trova di fronte a una rivelazione. È il caso, questo, di Domenico Seminerio, professore di lettere in un liceo di Caltagirone: esordiente a sessant´anni (come Bufalino) col romanzo dal titolo fulminante, "Senza re né regno" (Sellerio), uscito con successo lo scorso anno. Cui fa seguito "Il cammello e la corda" (316 pagine, 11 euro, da oggi nelle librerie).
Il nuovo romanzo, sempre edito da Sellerio, conferma in pieno le doti di narratore secco di Seminerio: anche qui, una scelta stilistica che manda in soffitta il dialogo, a favore di un indiretto libero perfettamente controllato. L´autore se hanno un senso le paternità letterarie, è nipotino di Verga, in quanto allo stile; di Sciascia, per il suo sguardo pessimista sulla Sicilia. Ma non è tutto qui, dal momento che lo scrittore di Caltagirone ha costruito il suo nuovo romanzo facendo ricorso, felicemente, alla sua competenza in materia d´archeologia. Ne è venuto fuori, dunque, una storia che prende l´abbrivio dalla Sicilia interna dei nostri giorni, inchiodata a un´immobilità senza tempo, per poi inabissarsi in un passato lontanissimo. Nella fattispecie, la storia narrata si svolge nel paesino sperduto di Monteselva, in provincia di Castelnassa: nomi d´invenzione, dietro i quali però si celano fondali veri, ben riconoscibili. È lì che padre Salvatore ha la sua parrocchia da parecchi anni. Anni soprattutto di calma piatta, di "pax mafiosa": di tranquillità apparente. Di quiete prima della tempesta.
Padre Salvatore, sensibile all´ordine gerarchico ma anche al fascino femminile, potrebbe far venire in mente padre Carnazza, uno dei personaggi più riusciti di Camilleri. Prete dalle insaziabili voglie sessuali che si diletta in sacrestia con giochi erotici deliziosamente stremanti. In realtà, padre Salvatore sa come tenere a freno i sobbalzi della carne, scacciando la tentazione con risolute giaculatorie. Certo, gli viene da allungare l´occhio quando ha a tiro Minuzza, giovane vedova bianca. La quale, dal suo canto, cerca in ogni modo di calamitare lo sguardo del parroco. Che però, all´inizio, non si spinge oltre la voluttuosa sbirciata: «Un Pater, un´Ave, un Gloria. E poi un´altra volta, e un´altra ancora». E il demonio è bello e servito.
Ma si sa che la tentazione è proteiforme, mutevole. E sa come manifestarsi quando meno uno se l´aspetta. In una battuta di caccia, infatti, padre Salvatore si imbatte per caso in una vera e propria meraviglia. Che fa trasecolare il povero prelato, abbattendo tutte le sue difese. Mettendo in subbuglio i suoi ormoni. Sulle tracce del suo cane, che ha scoperto una grotta sepolta, padre Salvatore scopre all´interno l´esistenza di alcune statue a dir poco sensuali, che in origine ornavano un giardino di Venere con tutte le pose dell´amore carnale. Un vero e proprio kamasutra di pietra, scolpito in stato di grazia. Da qui lo stupore del prete, che si mette a scavare incuriosito, venendosi a trovare, all´inizio, di fronte a un´effige priapea di marmo levigata. «Restò a bocca aperta. L´inguine bellissimo di un giovane perfetto, con un gran membro in posizione eretta. Tutto a grandezza naturale, tranne il membro, ben più lungo e più grosso di quelli veri. Restò interdetto. Un ancestrale pudore gli impedì di toccarlo».
La scoperta ben presto si trasforma in ossessione: il prete non riesce ad allontanarla dai suoi occhi. Dalla sua mente. Anche perché in un secondo momento, padre Salvatore, ritornato nell´antro delle vergogne, si imbatte in ben dodici coppie di statue: ventiquattro effigi, dunque, lo stesso numero dei vegliardi vestiti di bianco che annunciano l´Apocalisse. L´irruzione dell´inatteso, viene dal prete a tutta prima decodificata in base al corredo simbolico della sacra scrittura. Un segno dei tempi, dunque. L´annuncio della catastrofe. A questo punto, però, la grotta venuta alla luce diventa inopinato varco, quasi soglia metafisica, facendo piombare la narrazione nelle brume della fase violenta e convulsa di passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Una fase di interregno in cui intolleranza e furore hanno la meglio. Questa volta, però, l´estremismo religioso è guardato da un´ottica diversa dove i pagani sono vittime. A pagarne le conseguenze, tra gli altri, Atenodoro, costretto a smobilitare il suo giardino erotico, teatro dei riti di Venere, a mettere in salvo quelle statue riportate alla luce.
L´andirivieni temporale è perfettamente calibrato: l´effetto di straniamento messo in moto dal montaggio di Seminerio non compromette la tenuta del romanzo. Il povero prelato, per tornare al piano narrativo iniziale, non sa cosa fare: è lacerato da mille dubbi. Deve rendere nota la sua scoperta, lui che dovrebbe essere la sentinella della moralità? Può d´altro canto privare il mondo del più grande monumento d´arte lasciato dall´antichità? Perché mai la Provvidenza divina ha voluto che un´opera siffatta fosse scoperta da un povero prete di provincia? E se fosse l´avvento dell´Anticristo? La risposta ai suoi laceranti interrogativi, alla fine, non verrà però dettata dal bigottismo, che di solito nella provincia prospera indisturbato: lui sa bene, con Dostoevskij, che la bellezza salverà il mondo. Ed è d´altronde consapevole, come fra Cristoforo nei "Promessi Sposi", che «omnia nunda mundis»: ossia che ogni cosa è pura agli occhi dei puri.
Pian piano, "Il cammello e la corda", quasi con noncuranza, dismette le vesti della finzione narrativa, per assurgere a vero e proprio apologo. A una sorta di antiparabola, di laica favola allegorica, in cui i temi eterni della bellezza, dell´amore, del sesso, danno forma a una storia di inattesa efficacia. In cui il peccato può diventare anche uno strumento della Provvidenza.
Salvatore Ferlita
 
 

La Padania, 6.4.2006
Quando la tv va al cinema
Nelle sale i film delle star televisive: le Iene, Luca e Paolo e lo Zelig, Franco Neri

[...]
Domani è il giorno del debutto di Franco Neri (Zelig e Striscia) con “Sono ritornato al Nord”.
[...]
"Ho accettato di interpretare questo film - dice Gilberto Idonea, che ha lavorato, tra gli altri, con Tornatore in Malena e con Sorrentino in “Le conseguenze dell’amore” - perchè finalmente potevo uscire dal cliché del mafioso siciliano che ormai mi contraddistingue in tutti i miei film e fiction. Anzi fra 15 giorni verrà data in Rai una fiction su soggetto di Camilleri dove tanto per cambiare faccio il mafioso".
[...]
Gabriella Poli
 
 

La Primavera di MicroMega, 13.4.2006 (in edicola 7.4.2006)
Al voto, al voto!

Da sempre, in ogni occasione, ho dichiarato che avrei votato Prodi. Confermo che voterò Ulivo alla Camera e Ds al Senato, sia pure con molta scontentezza. Le ragioni di questa scontentezza non mi pare il caso, ora, di dirle. Ad ogni modo, con questo governo che, tra le tante ignobili, ha fatto una legge elettorale indecente, siamo tornati a votare una specie di lista unica di fascistica memoria, senza nessuna possibilità di scegliere tra i candidati.
Andrea Camilleri
 
 

Gazzetta di Parma, 7.4.2006
«Montalbano? Non so da che parte starebbe»

Luca Zingaretti, il «Montalbano» televisivo, ha partecipato ieri alla serata di Fassino recitando un monologo dello scrittore Roberto Lerici. La storia di un figlio («della mia età», precisa) a cui appare in sogno il padre morto partigiano. Montalbano da che parte starebbe in queste elezioni? «Non lo so, dovremmo chiederlo a Camilleri». Ma Montalbano Zingaretti, non lo vedremo proprio mai più? Un sorriso sornione: «Ci penseremo».
 
 

Gazzetta di Parma, 9.4.2006
Memorie di terra e di sangue
Salvatore Niffoi, "Memorie di terra e di sangue"

Salvatore Niffoi ama il sangue, lo ama come si ama disperatamente la vita che il sangue simbolicamente rappresenta, lo mette dappertutto, e specialmente all'inizio dei suoi racconti. Ci colpí infatti, in questo senso l'inizio de "La leggenda di Redenta Tizia" l'anno scorso e oggi ancora il sangue domina le prime righe de "La vedova scalza" (Adelphi editore) il nuovo romanzo di Niffoi. Un nuovo romanzo, per la verità, che continua una vecchia traccia intensificandone le suggestioni e le provocazioni drammatiche, ma anche una buia prigione dialettale. Niffoi, che oltre al sangue, ama profondamente la calda memoria dei secoli e degli uomini ignoti che li incarnano, deve non concedersi troppo a questo vezzo che ha già rovinato buona parte della pur eccellente narrativa sicula di Camilleri.
[...]
 
 

Lire, 4.2006
Spécial polar
Qui sont les grands héros de polar ? Lire les a fiché. Flics ou voyous, insolents ou têtes brûlées... Revue de détail

L'auteur Andrea Camilleri.
Nom du héros Commissaire Montalbano.
Signes particuliers Aime la natation, le tabac, les calamars frits et les enquêtes épicées. On lui connaît une fiancée, mais en coulisse, car il a d'autres chats à fouetter dans la petite bourgade imaginaire de Vigàta, où il s'escrime à traquer les suppôts de la mafia.
Qualités Epicurien, drôle, modeste, cultivé, beau parleur, incollable sur le patois sicilien dont il réhabilite les vertus. Un sacré flair, beaucoup de psychologie et de ruse. Capable de pardonner. Cet anti-superman n'a pas son pareil pour enquêter en passant inaperçu.
Défauts Parfois bougon, râleur et volontiers cabotin. Impatient. De plus en plus rouillé au fil des années. Sa gourmandise ne devrait pas tarder à lui jouer un mauvais tour.
Casier judiciaire Aussi vierge qu'une pietà sicilienne.
Vision du monde Pessimiste sans excès, modérément désabusé, il observe le monde avec l'œil d'un moraliste résigné, ce qui ne l'empêche pas de penser que le bien l'emportera sur le mal, sinon il changerait de métier.
Meilleure enquête La forme de l'eau (Fleuve Noir).
Actualité On croyait tout savoir de Montalbano et voici que ses premières aventures ressortent du placard. Nous sommes évidemment à Vigàta, où le cimetière et la salle de cinéma vont être le théâtre d'étranges manigances. Mais il y a aussi toutes ces bestioles (poisson, chèvre et même un éléphant de cirque) qu'une main mystérieuse trucide sauvagement, en laissant le même message incompréhensible: «Je me contracte encore.» La prochaine victime sera-t-elle humaine? Flanqué de ses deux acolytes, Montalbano mène l'enquête en faisant travailler sa «coucourde» - ses méninges, en version sicilienne. Grâce à un vieux curé érudit, qui en sait long sur la kabbale, le commissaire découvrira le sens de l'énigmatique formule... Du Camilleri pur jus, avec un Montalbano certes débutant mais déjà sacrément chevronné.
André Clavel
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 10.4.2006
Un saggio di Ornella Palumbo
Camilleri, non solo per incantesimo

È uscito in questi giorni, per i tipi degli Editori Riuniti, il libro "L'incantesimo di Camilleri", con cui l'autrice, Ornella Palumbo, affronta una rilettura dell'intera opera del Camilleri alla ricerca delle ragioni che hanno reso quest'autore un cult del genere poliziesco (e non solo!), tradotto in 120 paesi. L'inventore di Montalbano conta ben 10 milioni di lettori - si chiameranno «camilleromani», o «camilleropati», o forse «camillerofagi»? - e compongono un'allegra tribù, felicemente trasversale quanto a età, sesso ed estrazione socio-culturale, alla quale confessa di appartenere incondizionatamente la scrittrice. La scommessa di Ornella Palumbo non è facile, puntando a razionalizzare una passione, addirittura una passione collettiva. A tale scopo, parte da alcuni interrogativi fondamentali: chi è Camilleri? come mai è diventato un «caso»? perché la sua scrittura magicamente incontra il travolgente favore del pubblico mentre nei suoi confronti la critica letteraria si mantiene piuttosto perplessa? Anche curioso appare il fatto che l'anziano autore abbia cominciato a pubblicare - se si eccettuano alcuni tentativi giovanili - solo all'età di cinquantatré anni, nel 1978, avviando una produzione tra le più feconde di questi ultimi decenni: una ventina di romanzi, equamente divisi tra storici e polizieschi, quattro raccolte di racconti, memorie, saggi, pamphlet? La curiosità più grande, però, sta nella capacità di penetrazione dimostrata dal linguaggio usato, un improbabile italo-siculo, curiosamente compreso dovunque. Partendo da questi «pensieri extravaganti», il libro sviluppa, in maniera agile e scorrevole, le ragioni segrete dell'«incantesimo» camilleriano, tra cui la teatralità congenita di una scrittura ad alto tasso di spettacolarità, il dirompente uso del comico, la capacità dell'autore di spezzare col lettore il pane della «sua» Sicilia, usata come metafora di comuni radici, alla ricerca di una comune identità.
Michele Bollettieri
 
 

L'opinione, 10.4.2006
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Montalbano ha riconquistato la sua “leadership” nelle “fiction”. Per pochissimo, qualche migliaia di telespettatori in più, ma ha riconquistato il suo posto. Troppo distratto dal “teatrino“ sempre più ingabbiato e rissoso della politica, il popolo dei teleutenti del “video” ha per un momento abbandonato il “Commissario” Zingaretti, quello che si presenta con l’indiscutibile “Montalbano, sono…”. Adesso Montalbano e i suoi intricati delitti hanno ripreso quota.
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Enzo Balboni
 
 

Fahrenheit, 11.4.2006
La cattura del boss

Bernardo Provenzano preso dopo 43 anni di latitanza. E' stato trovato in una masseria a Corleone, incastrato dai "pizzini": bigliettini indirizzati a lui dalla moglie che hanno portato gli inquirenti sulle sue tracce.
La banalita' dell'arresto, fatta pare senza l'aiuto di nessun pentito e secondo i mezzi investigativi piu` classici, pur non oscurando un fatto importante ci ricorda come la mafia viva sempre accanto a noi, con i suoi tanti volti e l'aspetto multiforme. Ne parliamo con due siciliani doc: Andrea Camilleri e Franco Maresco, regista.
Cliccare qui per scaricare l'intervista a Camilleri
 
 

Stilos, 11-24.4.2006
Primo piano. Andrea Camilleri

Intervista
La Sicilia, la sicilianità, Sciascia e il lungo corso della sua lezione. E poi il programma di scrivere nuovi romanzi storici che coprano alla fine l’epoca dall’Unità ad oggi. E la vena sempre più invalente dell’autobiografismo: Camilleri si narra e analizza
Parlo di me perché ho presbiopia della memoria

Andrea Camilleri e la Sici­lia, un rapporto che in pochi altri casi è stato così stretto fino a involgere un processo di iden­tificazione. Come Sciascia, Camilleri non fa in ogni suo libro che parlare sempre della Sicilia, come se il suo mondo cominciasse e finisse dentro questa dimensione che - per l'adozio­ne del suo specialissimo linguaggio analogico - assume il senso anche di una koiné. E anche quando ha dato personaggi e romanzi non siciliani, lo sguardo, il traitment e la filosofia si sono rivelati e sempre e comunque siciliani. E allora è bene il caso di rie­pilogare questo connubio. Che funzio­na in realtà come generatore per aprire discorsi sugli effetti collaterali della sicilianità: Sciascia innanzitutto, e dunque la ragione, l'impegno intellet­tuale, il romanzo storico. Stilos ha in­tervistato lo scrittore nella sua casa romana, anch'essa molto siciliana.
Che cos'è per lei la sicilianità?
Vorrei partire dalla definizione di que­sto concetto che Leonardo Sciascia ha dato in "Sicilia e sicilitudine" (“La corda pazza”) in cui richiama i tratti dei siciliani quali la timidezza, la temera­rietà, l'istintiva paura della vita e il conseguente appartarsi, la fierezza, l'arroganza, la follia; e dall'altra par­te parla di una riflessione che ha come materia e come oggetto la Sicilia: non senza particolarismo e grettezza, qual­che volta; ma più spesso studiando e rappresentando la realtà siciliana e la sicilianità con una forza, un vigore, una compiutezza che arrivano all'intelligenza e al destino dell'umanità tutta.
Lei invece in varie interviste si con­traddice: in quella rilasciata nel 1999 a Simona Demontis ha detto: «Non amo parlare di sicilitudine perché in realtà non so cosa sia. […] Perché non mi piace? Perché sottin­tende (o postula) un sentimento, una cognizione di diversità. Francamente, mi secca molto di sentir­mi definire "scrittore siciliano". So­no scrittore italiano nato in Sicilia». In seguito, nel 2000, a Marcello Sor­gi ha risposto: «Alle volte mi chiedo­no: "lei si sente uno scrittore siciliano?" Io rispondo che sono uno scrit­tore italiano nato in Sicilia. Poi mi guardo, e mi accorgo che un giro di parole più siciliano di questo è difficile trovarlo». Conferma?
Corrisponde alla realtà. Sciascia dettò un epitaffio diverso da quello poi scelto, che è «Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». Prima ne aveva pensato un altro: «Disse e si contraddisse per l'Italia intera». Ora questo fatto che lei, giustamente, chiama una contrad­dizione perché dire «scrittore italiano nato in Sicilia» è un giro di parole è proprio una forma di difesa perché avverto nel definirmi «scrittore sicilia­no» come una sorta di mettere dei pa­letti, dei confini a me e alla mia scrit­tura e questo mi dà, francamente, un po' fastidio. Però è vero che con Leonardo non avevamo lo stesso concet­to di sicilianità. Anzitutto io detesto, quella sì, veramente, completamente, la sicilitudine perché è mutuata da Léopold Senghor che si riferiva a gen­te di altro colore di pelle... Loro hanno tutto il diritto di parlare di negritudine mentre noi non abbiamo nessun diritto di parlare di sicilitudine. Possiamo parlare di sicilianità, come si può par­lare di napoletaneità e di altre cose. Devo dire che il problema del sicilia­no è molto più complesso perché il si­ciliano non ha a mio avviso una faccia sola, un andamento psicologico solo, ce ne ha parecchi...
Sono maschere o contraddizioni?
Maschera o contraddizione: certe vol­te funzionalmente possono essere adoperate come maschere, non fun­zionalmente sono contraddizioni. Però sono contraddizioni non finalizzate ma insite proprio nel carattere del sici­liano. C'è un'immagine di Brancati che amo ripetere; non ricordo il nome che adopera Brancati, mettiamo che siano due cognomi notissimi: Bianchi e Rossi. Il signor Bianchi abita nello stesso piano e nella stessa casa in cui abita il signor Rossi. Li divide solo un pianerottolo, ma attraversare quel pia­nerottolo per andare da casa Bianchi a casa Rossi è come fare un viaggio in­tercontinentale, tanto Bianchi e Rossi sono diversi tra loro pur essendo tutti e due siciliani. Mio nonno era biondo, con gli occhi azzurri e dall'aria leggermente svedese... e ce ne sono tanti in Sicilia, erano i cosiddetti Normanni: mio nonno era uno di loro, ed erano gente a sangue freddo, completamen­te diversi dalla focosità dei siciliani. Tutte queste cose convivono nel carat­tere del siciliano; quindi che cos'è un siciliano: il siciliano è una persona assolutamente contraddittoria con se stessa.
Quindi la sicilianità esiste.
Esiste, sì, in questo senso, ma solo in questo senso.
Nei suoi libri lei coscientemente vor­rebbe trasmettere qualche idea della Sicilia?
No, coscientemente non so, però, tor­no a ripetere, è l'unica cosa della qua­le io so parlare, in fondo. Nel primo romanzo che scrissi c'era una nota che diceva che oggi come oggi è facile ambientare un racconto in una città dove non si è mai stati, tu prendi una guida di Mosca molto ben fatta e ti di­cono perfino dove stanno i tabaccai. Il problema non è ambientare una cosa, il problema è solo quello che cerchi nella testa delle persone che stanno lì. Questo io penso di conoscerlo dei siciliani, ho aggiunto anche che nel 99% dei casi sbaglio, l'uno per cento dei casi mi dà la possibilità di scrivere un romanzo.
Nei suoi romanzi, soprattutto i co­siddetti storici, si vedono spesso de­scrizioni di paesaggi, feste religiose, tradizioni, comportamenti umani, in particolare la follia e la sensualità primordiale, naturale; sponta­nea. Questi aspetti sono importanti per il carattere dei siciliani di oggi? Il passato, la tradizione?
Oggi si va verso quella che Pasolini chiamava “omologazione”. Se io tor­no in Sicilia, vedo la giovanissima generazione, e comincia a diventare assai difficile capire cos'è siciliano rispetto ad abruzzese: sono simili. Og­gi come oggi, credo sia anche la colpa della comunicazione di massa, me ne accorgo per esempio pensando che mentre noi non sapevamo nella nostra infanzia parlare in italiano, ci veniva difficile, ce lo insegnavano a scuola, oggi tutti i bambini siciliani parlano in un modo perfetto perché lo sentono al­la televisione: il linguaggio omologa­to porta alla omologazione dei caratte­ri. Quindi, anche nei romanzi polizie­schi che sarebbero ambientati al gior­no d'oggi, quella che descrivo è una società un po' della mia memoria, me­moria alla quale posso lasciare le griglie sul collo nel momento nel quale dico: voglio scrivere un romanzo sto­rico.
A proposito della memoria: volevo chiederle della simbologia dei posti, luoghi, oggetti che si ritrovano, ripe­tono e che poi richiamano l'opera e il pensiero di Pirandello e Sciascia. Ho in mente l'ulivo saraceno, la rappresentazione della memoria pi­randelliana; la linea della palma di cui parla spesso e che rievoca Scia­scia in quanto simbolo della menta­lità siciliana, omertà, mafia; e poi la Scala dei turchi, come luogo dell'in­fanzia? Come considera questi simboli della Sicilia?
Devo dire che prima sono stati vissu­ti e che poi sono divenuti dei simboli, sono diventati dei condensati di me­moria e quindi diventano luoghi della memoria quanto furono luoghi dell'esistenza normale, quotidiana e non avevano nessun valore simbolico. Nella campagna di mio nonno dove ho passato tutta l'infanzia, la giovinez­za, davanti a quella casa con gli archi, dove oggi c'è un mare di case, e che ora sta andando in rovina, c'erano so­lo ulivi saraceni che erano di tutte le forme. Ora a Porto Empedocle esiste un ulivo saraceno che è meta di vene­razione della gente; l'hanno carotato, gli hanno messo dentro un ago e hanno stabilito che ha mille e passa anni, seicento mi pare: vuol dire seicento anni dopo Gesù Cristo. Come lo era per Pirandello, diventò un luogo su­premo della memoria vivente, attiva, perché è vivo, ogni anno mette infatti le sue foglioline come un miracolo.
Come mai ha deciso di ambientare i suoi romanzi in questi tre periodi storici: seconda metà dell'800, anni '30 del '900 (nel periodo del fascismo) e tempi odierni?
Sto facendo una sorta di percorso che parte dagli anni postunitari, dell'U­nità d'Italia, e arriva fino agli anni del fascismo, negli ultimi due romanzi storici (“La presa di Maccalé” e “Privo di titolo”). Mi riprometto di proseguire ancora per qualche anno cioè di scrivere un romanzo che arriv al 1945. Tutta la letteratura grossa degli italia­ni di Sicilia da Verga, Capuana, De Roberto nasce proprio dopo l'Unità d'Italia ed è come una difesa di una certa cultura che si sarebbe perduta con l'Unità d'Italia.
Non crede che questi problemi, queste condizioni storico-sociali, le do­minazioni e poi anche l'Unità, che ostacolavano la sicilianità, l'identità dei siciliani, possono essere conside­rate fonte d'ispirazione per gli scrit­tori siciliani dell'800 e del '900?
Certo, cioè come una forma di difesa, di conservazione. L'Unità d'Italia, che era inevitabile e storicamente giusta, è stata realizzata nei modi più sbagliati che si potesse fare dai piemontesi. Non è che la Sicilia sia mai stato un paese ricco, come tutti i sud del mon­do, però coi Borboni era diverso. Fac­cio un esempio: al momento dell'U­nità d'Italia noi in Sicilia avevamo duemila telai in funzione, telai per produrre le stoffe; e nel giro di due an­ni vennero chiusi per favorire i telai di Biella. Poi c'è un'altra cosa. Se lei vede, curiosamente, nel 1860, 1865 nella “Storia economica della Sicilia” di Oddo, che riporta dei grafici molto interessanti, arrivati a un certo punto, la natalità va giù a picco, come crolli di borsa: non nascono più i bambini e nasce quel modo di dire bellissimo, siciliano che non si sa a chi si riferisce mentre invece si riferisce benissimo: «Ci hanno levato il piacere di scopa­re». Perché questa terribile frase? Per­ché venne introdotta la leva obbligato­ria, il richiamo alle armi obbligatorio che non c'era, ciò che significava che un figlio di contadini nel momento in cui quelle braccia diventavano forza-­lavoro, e quindi assicuravano un mini­mo di introito economico, veniva per quattro anni dato al governo. Tanto è vero che ci sono state manifestazioni ­in cui i giovani chiamati alla leva si presentavano al distretto militare seguiti dai genitori vestiti al lutto stretto perché perdevano il figlio per quattro anni. Sono cose traumatiche e di cui Pirandello scriverà ne “I vecchi e i giovani”.
Ma torniamo ai suoi romanzi stori­ci '800, '900…
Allora torno al ciclo... Un altro trau­ma: il fascismo. Non è cosa da niente, perché lei deve pensare che il centro di infezione mondiale dei fascismi europei è nato in Italia. Qui è un cancro, un tumore e altrove sono metastasi; certo che Hitler era una metastasi che porta alla morte ma è una metastasi, non è il punto originale, il franchismo non è il punto originale, mi spiego? Da qui nasce una mia considerazione: per­ché a dieci anni io volevo ammazzare delle persone? Perché volevo andare ad ammazzare dei poveri abissini? Era veramente un desiderio sentito da un bambino di dieci anni. Allora che cosa avevano messo in testa a questo bambino di dieci anni? Qui si può benissimo allargare il discorso e dire: che cosa avete messo in testa a un ka­mikaze che si fa esplodere? Il discor­so però è sempre quello, di un innesto micidiale, di chiesa convertita alla po­litica e della politica che insegna certe cose...
Passiamo a Leonardo Sciascia, sem­pre presente nei suoi libri, nelle sue affermazioni, allusioni, citazioni: può essere considerato un modello ideologico, letterario, civile, fonte d'ispirazione?
Ecco, lei è la terza che ha detto: mo­dello civile. Modello ideologico no, a livello ideologico eravamo lontani, io ero comunista e lui visceralmente, an­ticomunista; cioè dal suo razionalismo, il suo illuminismo, lui considera­va il comunismo una fede, quindi una parrocchia accanto alla parrocchia cat­tolica; e si usciva da una parrocchia per entrare in un'altra. Io avevo un'al­tra concezione. Quindi ideologica­mente no, anzi, semmai abbiamo avu­to momenti di scontro, li abbiamo avuti proprio su questo.
Modello civile, allora.
Civile. Da questo punto di vista un au­tentico modello, ma non è solo questo: la sua scrittura per esempio. Se esiste una scrittura lontana dalla mia è quel­la di Leonardo Sciascia perché Leo­nardo si era costruito un italiano ta­gliente e ogni giorno lo affilava.
Diceva che scriveva ogni giorno quattro pagine, e poi il giorno dopo di queste quattro pagine ne riscri­veva due...
Esatto, è per arrivare alla precisione di un bisturi, di un laser, proprio dentro all'oggetto del suo. pensiero. Io ho una scrittura bastarda, volutamente bastar­da, però, lo sa, i libri di Leonardo Sciascia sono lì, fra quei quattro o cinque autori, e Leonardo nel caso specifico proprio per certe posizioni opposte di scrittura e di stile mi serve a ricaricarmi il carburatore, a ricaricar­mi le batterie. È un modello opposto, però mi serve.
Sciascia usava certe forme: il giallo da una parte, il romanzo storico (in­dagine sulla storia «alla Manzoni») dall'altra; usava queste forme per trasmettere valori partendo dall'i­deologia, dai valori. Lei tratta la scrittura come divertimento e for­se ha scelto queste forme come le più adatte per il divertimento e il gioco letterario, però valori uguali a quelle di Sciascia...
Esatto, io non nego questi valori, par­tecipo agli stessi valori di Sciascia.
Pur partendo da punti opposti...
Sono sistemi di contrabbando, dobbia­mo contrabbandare delle cose. Io adopero la gerla, quella che i contrabban­dieri si portavano sulle spalle, lui ado­perava la fascia, quella che si porta elegantemente sulla pancia e non si vede, ma il contrabbanda è lo stesso: la merce che contrabbandiamo, alme­no io tento di contrabbandare, è quel­la che lui ha, brillantissimamente, ca­po-contrabbandiere, contrabbandato.
Ma è vero che, come la forma lette­raria, alla fine il risultato è uguale in tutti e due i casi: il romanzo storico (l'indagine storica) e il giallo?
Quello sì permettono una quantità di contrabbando.
Ma lei in fondo si sente scrittore im­pegnato o no?
No, ma in fondo ogni scrittore è impe­gnato all'atta della scrittura.
In che senso? Che cosa vuoi dire per lei «scrittore impegnato»?
Ogni scrittore nel momento stessa in cui si mette a scrivere e descrive il proprio ombelico è uno scrittore impe­gnato. Su questo non c'è il minimo dubbio. Definiamo la parola “impe­gno”: se la definiamo nei termini di éngagément sartriano ecc., non ci sia­mo nel modo più assoluto. Come di­ceva Pirandello, di certe epoche si può mostrare solo il negativo, perché a mostrare il lato positivo si rischia di fare propaganda politica, e lì ti fermi. Allora bisogna andarci cauti sulla parola impegno. Io preferisco scrivere senza alcun proposito. di impegno per­ché, avendo un rapporto critico verso la società, verso certi ordinamenti, un fatto implicito dentro di me mi verrà fuori implicitamente nella scrittura. Se devo prendere posizione preferisco scrivere un articolo di giornale.
Anche questo è l'impegno dello scrittore. Se lei lo firma con il suo cognome, per i lettori ha già una connotazione con la sua persona.
Certo, lo firmo con il mio cognome. Infatti, nella rivista "Micromega", per otto settimane sta uscendo "Diario di Montalbano", personaggio che scrive un diario dei fatti politici: quindi «sfrutto» Montalbano in questo senso. In un romanzo non me la sentirei di metterci dentro la politica, potrei tradi­re il romanzo stesso perché diventa volontaristico e invece non lo deve essere.
Si può dire che il suo, diciamo “im­pegno” tra virgolette, è sempre maggiore, sta crescendo nel corso del tempo? All'inizio, anche nei gialli c'erano poche allusioni politiche, adesso ce ne sono sempre di più, e poi anche articoli di politica...
Sì, che prima non mi sognavo manco­ di scrivere. Infatti i primi articoli che ho cominciato a scrivere sui giornali, "Messaggero" o "Repubblica" non trattavano affatto di politica. Quando da noi in Italia c'è stato il referendum (sul divorzio, sull'aborto ecc.) mi so­no impegnato politicamente, ho ripre­so la tessera del partito che non avevo più, proprio per lavorare dall'interno nella direzione che io credevo e credo tuttora giusta, per convincere i miei stessi compagni, molti dei quali erano restii. Ho preso impegno non di scrit­tore, ho preso l'impegno da cittadino in quel momento. In questi ultimi tem­pi credo che l'Italia abbia passato un brutto rischio e dei rischi deve passarne uno peggiore e quindi mi sono sentito in dovere di «impegnarmi», tra virgolette, di più.
Ma il suo impegno è diverso da quello di Sciascia, vero?
Sciascia si impegnò talmente nella politica che si fece eleggere deputato d era una cosa che gli dava un fasti­dio enorme, ma (anche lui) lo fece per lavorare all'interno di una commissione, la commissione Moro, per potere accedere ai documenti, ai qua­li altrimenti, da comune e semplice cittadino, non avrebbe avuto accesso. Il giorno dopo si è dimesso, dopo aver scritto la relazione di minoranza. È stato un cittadino che si è prestato a fare una cosa che non gli piaceva per niente, pur di raggiungere certe verità, che lui credeva di ottenere.
Qual è stata l'influenza di Sciascia su scrittori, artisti, intellettuali del secondo '900?
Poca...
Secondo lei si può però dividere la letteratura, come propone Di Gra­do, in un prima e in un dopo-Scias­cia?
Se lei mi chiede del lavoro degli addetti ai lavori, io dico sì; se lei mi chiede del lavoro di certi critici nei ri­guardi di Sciascia, io dico no perché lo scrittore Sciascia prima di tutto è dif­ficile che possa rappresentare un mo­dello perché è talmente personale che è veramente difficile. In secondo luo­go c'è stata una rimozione di Sciascia, c'è a chi fa paura Sciascia oggi come oggi, mentre è venuta alla luce una continua rivalutazione e rinascita di Pier Paolo Pasolini. E questo è spiega­bile perché tanta irrazionalità c'è in Pasolini che pure era una coscienza critica, e tanta razionalità c'è invece in Leonardo Sciascia che era un'altra coscienza critica. Allora nel momento nel quale subentrano le fedi, il crede­re ecc., è chiaro che Leonardo viene oscurato. Qua1cuno me lo deve spiegare perché si fa una guerra in Iraq, ci si dice che ci sono delle armi di distru­zione di massa, che bisogna levare queste armi di distruzione...
Si dice… ma nessuno le ha viste.
Si dice infatti, perché le armi di distru­zione di massa non esistono. E i due presidenti che hanno promosso questa guerra vengono rieletti a stragrande maggioranza perché un tam tam me­diatico ci ha fatto delle fedi di comodo. E allora povero Leonardo, bisogna riseppellirlo ancora più profonda­mente sotto terra.
”La pensione Eva” è anch'esso un romanzo storico, se vogliamo.
”La pensione Eva” è un romanzo stori­co perché io sono storico avendo ot­tant'anni? Sono un pezzo da museo...
No, è perchè è un romanzo legato a un'epoca storica. Quanta importanza hanno gli elementi autobiografi­ci nella sua narrativa?
C'è sempre un elemento autobiografico, come dei tasselli di vita nel mo­mento in cui sono raccontati in un ro­manzo. Io li ho sparsi sempre nei miei libri, anche in quelli che possono sem­brare più lontani da me come “Il bir­raio di Preston”. Faccio un esempio: nel “Birraio di Preston”, all'inizio, il bambino che si alza per fare pipì è quello che scrive la storia contraffatta, ed è un signore con tanto di nome, co­gnome: un mio amico. Ci sono sem­pre: poi alcuni romanzi decisamente più autobiografici… ma non fino in fondo. Non sono io Michelino di “La presa di Maccallè” ma l'atmosfera, « l'ambiente, sono quelli miei.
Nella narrativa storica gli elementi dell'autobiografismo aiutano la ri­cerca della verità storica oppure l'indagine sulla storia porta all'au­tobiografismo, ai ricordi, alla me­moria? Sono legati questi due con­cetti?
Questo, onestamente, non glielo so dire. Per ciò che riguarda me, l'autobiografismo è il fatto successivo al­l'invenzione di un romanzo storico. Ogni mio romanzo storico nasce sem­pre da un fatto storico nel quale io non c'ero, non sono stati concepiti nean­che i miei nonni al momento. Poi, dentro quell'ambiente, quell'atmosfe­ra, posso mettere dei tasselli di memo­ria che in qualche modo si adeguano.
Ma l'autobiografismo è crescente nei suoi romanzi...
Credo che sia un effetto di vecchiaia... non sto scherzando! Credo che sia, come la chiamava Sciascia, «la pre­sbiopia della memoria»: evidentemen­te più si invecchia, più c'è una certa presbiopia, e credo che sia questo, cioè i miei ricordi si affollano...
…e devono uscire fuori…
Si capisce... la tentazione è quella di ­una sincera autobiografia che nessuno ancora aveva il coraggio di scrivere.
La differenza tra scrittore e narra­tore. Moravia diceva che bisogna di­stinguere gli scrittori dai narratori.
E come si considerava lui?
Lui era giudicato solo narratore, non scrittore, poi Dacia Maraini ribadisce: un narratore è sempre an­che uno scrittore, mentre quest'ul­timo, pur possedendo uno stile, una forma, magari raffinata, risulta pri­vo della scrittura narrativa che è propria appunto del narratore. Quindi considerando il fatto che i suoi due romanzi prediletti sono quelli dove manca o viene sovvertita la struttura narrativa (“ll birraio di Preston” e “La concessione del te­ledono”), lei si crede scrittore e narra­tore o vorrebbe credersi uno o l'al­tro?
Io vorrei essere considerato un conta­storie, come mi sono autodefinito, cantastorie no perché sono stonato, ma contastorie sì, ma non mi conside­ro narratore o scrittore.
È una questione di sfumature tra raccontare, narrare, trasmettere, descrivere?
Nel narratore c'è anche un elemento di oralità implicito nella scrittura, che è nella mia scrittura. Invece in uno scrittore non è detto che ci sia questo elemento di oralità, che sia presente necessariamente.
In futuro ha in animo di scrivere ro­manzi complessi come “Il birrario di Preston” e “La concessione del telefono”?
Non lo so, perché ogni struttura di un mio romanzo storico nasce dal ro­manzo stesso: una volta che sono riu­scito in qualche modo a rendere una. storia lucida dentro me stesso, mi fer­mo e comincio a riflettere proprio co­me un architetto che sta facendo una villa, comincio a riflettere sui pieni, i vuoti, il respiro che deve avere questo romanzo. Pensi che ho una sorta di fis­sazione prima di mettermi a scrivere: la lunghezza dei capitoli. Lei trova nei miei romanzi che i capitoli sono tutti uguali, della stessa lunghezza. Questo è un senso di pianificazione, che mi è necessario prima di comin­ciare a scrivere un romanzo. Questa è la prima cosa, dopodiché comincio a pensare al tempo del romanzo, tempo narrativo, che può variare di romanzo in romanzo a seconda della necessità di quello che voglio raccontare. Quindi non posso, non sono in grado di dirle oggi quale sarà il prossimo.
Justyna Korniej


Il nuovo Montalbano. Un romanzo che rinvia la fine della serie
Ma non è ancora l’ultima ora

“La vampa d'agosto” che esce nei prossimi giorni è il terzultimo libro del­la serie di Montalbano – a stare almeno ai programmi finora stabiliti. Prima di “Riccardino”, titolo provvisorio del romanzo che dovrebbe chiu­dere la serie (dove Montalbano non muore alla maniera di un eroico e martirifante Cattaneo ma esce semplicemente di scena: vedremo come, nella previsione di una sorpresa), altri due libri sono già stati consegnati da Camilleri a Sel­lerio: a questo “La vampa d'agosto” seguirà infatti - probabilmente nel prossimo autunno – “Il campo del vasaio”. Il totale sarà di dodici titoli per un arco di tem­po che dal 1994 al 2006 copre dodici anni. Diciamolo: “La vampa d'agosto” sarà considerato uno dei migliori del ciclo, non tanto per lo stile (ormai consolida­to in una mescidazione di italiano e dialetto che può solo sortire forme espres­sionistiche più o meno accentate) quanto per la trama che si costituisce nella perfezione del giallo, del quale mutua gli elementi cardinali, il howdunit, il why­dunit e naturalmente il whodunit: il «come», il «perché» e il «chi». In più tro­viamo un eccipiente, il wheredunit, che colora il giallo di una tinta più accesa, il «dove» si svolge la vicenda assumendo il senso di una guazza onnipresen­te. Già il titolo, che dispone una sinestesia tra «vampa», sinonimo di fuoco, e «agosto», equivalente di caldo, si offre per una interpretazione del romanzo nella prospettiva di una campata che suggerisce un'idea di cappa. Ed è infatti sot­to una cappa di prostrazione fisica, in un'estate torrida e canicolare, che si dipana questo nuovo caso agito su più suggestioni.
Circa la trama, ecco quanto l'editore detta nella scheda di presentazione ai li­brai: «Mimì Augello ha dovuto anticipare le ferie e Montalbano è costretto a rimanere a Vigata. Livia vorrebbe raggiungerlo, ma per non restare sola, con Montalbano sempre al lavoro, pensa di portare con sé un'amica (con marito e bambino) e chiede a Salvo di affittare una casa sul mare per loro. La vacanza scorre nella bella villetta sul mare, silenziosa, verde. Ma un giorno il bambino sparisce e proprio non si trova. Montalbano accorre e scopre in giardino un cu­nicolo che rivelerà clamorose sorprese tra cui un baule con il cadavere di una ragazza scomparsa sei anni prima. Finita la brutta avventura con il ritrovamento del bambino, Livia e gli amici ripartono, tutti troppo impressionati per resta­re a Vigata. E il commissario inizia l'indagine. Difficile perché il caldo non lascia requie, bollente come la passione amorosa di cui rimane in balìa».
La passione che arde come un fuoco Montalbano integra nei modi del contrap­passo uno stato di estenuazione che, dovuto agli effetti del solleone, fiacca il commissario: quasi che di mitigarne l'ardore carnale sia l'ambiente siciliano a farsi carico, quel clima di una stagione - l'estate - che nella cultura siciliana è visto con disfavore. Basterà pensare a cosa ne pensa il principe di Lampedu­sa, che in viaggio verso Donnafugata si augura presto la fine della «maledizio­ne annuale della Sicilia, il grande lutto», cioè l'estate.
Montalbano ha 55 anni; un animo ancora più atrabiliare e scontento, un'appren­sione crescente per il suo futuro e una cupa disillusione che si riverbera sulla sua attività professionale non meno che sulla sua vita privata. Camilleri, tito­lo dopo titolo, lo sta preparando all'epilogo accentuando la sua sindrome de­pressiva. Chi proverà a rileggere il romanzo d'esordio, “La forma dell’acqua”, a ridosso di quest'ultimo noterà come l'autore non abbia tenuto il suo eroe in una sfera ucronica, condizione comune a quasi tutti i protagonisti seriali, ma lo ha fatto da un lato invecchiare e da un altro cambiare, così rendendolo più umano, anzi tanto umano da mutarlo in un «inetto» di ultima pasta. In questa chiave Camilleri rivela di sé un aspetto pochissimo indagato: la propensione ad accogliere motivi decadentisti e rifarsi a modelli di ispirazione pirandellia­na dove la frantumazione dell'io, l'introspezione psicologica, la febbre della co­scienza fanno premio sulle spinte a una rappresentazione tutta esteriore della realtà. Per questa via Camilleri appare meno sciasciano e sempre più bufalinia­no, facendo della malattia dell'io una degenerazione progressiva della malat­tia del mondo. E quest'ultimo Montalbano sembra portare argomenti proprio a favore di una teoria volta a dimostrare come Camilleri tra Lukács e Lacan è dal lato della forza dell'inconscio che va orientando la sua ricerca lasciando i territori originari della realtà rispecchiata.
G. B.


La questione dell’uso del dialetto e la ricerca camilleriana
La parlata che vuole diventare lingua

La voga di chiedersi se i libri di Camilleri costituiscano vera letteratura sot­tende la questione sempre aperta dell'uso del dialetto come soluzione les­sicale, perché è soprattutto sul dialetto che si esercita la polemica. Parlando proprio con Camilleri, Sciascia gli si confessava scettico circa il successo di uno strumento (quello del pastiche linguistico giocato sui fonemi dialettali e condotto alle estreme forme versicolari) che pur in Sicilia, in una chiave di ri­mando alla cultura popolare, ha non pochi sectatores dediti a pescare nell'argot siciliano locuzioni, stilemi e proverbi.
Già Verga e Pirandello scrivevano ai loro corrispondenti in Sicilia perché for­nissero loro reperti linguistici popolari attinti dal vero. Lo stesso Sciascia indugiava con manifesto interesse etnoscopico attorno alla fonte del dialetto abbe­verando i suoi romanzi, anche i meno partecipi della tensione siciliana, alla par­lata di casa, fino a concepire una raccolta, “Occhio di capra”, che - insieme con “Museo d'ombre” di Bufalino - costituisce il ritorno al forte richiamo delle tradi­zioni popolari, viste come retaggio tutto ottocentesco che da Pitré in poi la «ma­terialistica» cultura siciliana non si è mai sentita di abbandonare intestandosi il dovere di ricercare l'«antiquam matrem» in ossequio a quello statuto regiona­listico che ha comandato a eruditi ottocenteschi e poi a intellettuali novecente­schi di fare conoscere la Sicilia all'Italia.
Stando così le cose, e rimanendo entro un quadro di riferimenti siciliani, c'è da chiedersi se il successo dei libri di Camilleri sia il segno di un apostolato che, da Tempio a Buttitta, da Guglielmino a Vann'Antò a Calì, da Lanza a Savare­se, da Pirandello a Martoglio, da D'Arrigo a Consolo, ha sostenuto il credo col­lettivo di promuovere la Sicilia; o se piuttosto il caso Camilleri non abbia che stinto una koiné siciliana aduggiata dall'invalenza di vieti stereotipi che soltan­to autori come Vittorini e Lampedusa (nei quali mai ricorre un solo vocabolo dialettale, pur riuscendo entrambi a tenere sempre fisso lo sguardo sul quadran­te della Sicilia) hanno saputo scongiurare.
Tra un impressionista quale Vittorini, assolutamente fedele al canone di purez­za lirica derivato dal bellettrismo malapartiano, che può cedere a un barbarismo inglese ma non mai a un motto gergale, e un espressionista quale Camilleri agi­scono in mezzo il Brancati che pur concedendo spazio a voci dialettali ricorre subito all'immediata traduzione a uso degli italiani; il Consolo che ripone il vo­cabolario degli antichi motti per fare piuttosto opera di ricerca delle arcaiche for­me semantiche, così da rifondere la forma del romanzo nel suo contenuto; il D'Arrigo che ricrea la lingua dello Stretto con la cura e l'acribia di un demo­psicologo; la Grasso delle funamboliche e suggestive evocazioni geogergali. Lateralmente agisce un'ultima ondata di autori del momento, da Seminerio in giù, che scimmiottando Camilleri mutilano la parlata siciliana in una sterile mimesi che reitera scaduti rigurgiti sicilianisti.
Certo, se la divulgazione del dialetto siciliano, oggi divenuta oltremodo pene­trante grazie a Camilleri, deve portare un critico come La Capria a tradurre il «Che fa, babbia?» del creatore di Montalbano in un fuorviante «Che fa, balbet­ta?», il rischio è non solo di rendere incomprensibile l'autore ma soprattutto che sia sterilizzata l'operazione di recovery della letteratura siciliana. Oggi il pro­blema è dunque quello di agevolare l'approccio nazionale alla conoscenza del­la cultura popolare siciliana, distinguendo il lessico dialettale di Camilleri da quelli di Bufalino, di Buttitta o di D'Arrigo, infarcito com'è di termini quali «ga­na» o «tambasiare» che appartengono alla sola parlata agrigentina e che come tali non possono rifluire nel dizionario siciliano in uso Oltrestretto.
Ma se, propagando tanti dialetti quanti sono gli autori, il rischio è di coonestare una vena letteraria provincialistica al posto di quella regionalistica, a steri­lizzare il prorompimento di una vulgata camilleriana capace di fagocitare il dia­letto provvede il precetto crociano per cui la letteratura dialettale non è eversi­va rispetto a quella nazionale riguardandola piuttosto come modello. Come gli altri autori siciliani che non scelgono il vernacolo come unico mezzo espressivo, anche l'uso che Camilleri fa del dialetto si scioglie infatti nel lessico nazio­nale: è questo che viene portato in sala trapianto e non viceversa. Anzi, più che in altri, Consolo per esempio, l'utilizzo del dialetto in Camilleri appare limita­to a singole parole o bons mots senza nessun tentativo di fusione polilinguistica.
E che la letteratura dialettale non sia eversiva ci dà atto Pirandello, secondo la visione che ne offre Gramsci, ripresa da Sciascia: uno scrittore nel quale «la cul­tura popolare di grado infimo», cioè il folclore, riflette e ripete una concezio­ne del mondo «filosofica», e dunque di carattere generale, col farsi nazionale e popolare e con l'equiparare il teatro dialettale a quello superdialettale. Entro questa prospettiva, il pirandellismo di natura, calato nel rapporto dialet­tale-dialettico risponde a un «credo realistico» che fa dire a Sciascia come sia «provata nella nostra letteratura l'impotenza degli italiani a fare realismo se non nei termini della dialettalità». Camilleri, autore realista di ispirazione gaddia­na, dà dunque ragione a Sciascia e ammicca nello stesso tempo a Pirandello, do­po il quale lui soltanto ha portato la cultura popolare siciliana «di grado infimo» così lontano. Con l'avvertenza che a diffondersi in Italia è oggi il solo idiotismo agrigentino, che ha finito per fare premio rispetto a una parlata che per tutto il Novecento è stata di accento martogliano e quindi etneo.
Agli inizi del secolo scorso, l'esercizio del dialetto è fermo a una visione ottocentesca cara a un Porta e a un Belli su una linea romantico-verista-regionali­stica che trova nel Russo primonovecentesco il fuochista dell'ipostatizzazione del colore, del folclore e della tradizione locale, pur se le coeve prove innova­tive di un Di Giacomo indicano nella rottura proprio con la tradizione popola­re la strada della nuova poesia in dialetto, da calare in un organon di liricità del dettato compositivo e da lanciare in una sfera europeista dove anziché distan­ziarsi la parlata dialettale possa condividere con la lingua una comune terra di mezzo.
Nel definire «il movente» della letteratura dialettale, Croce trova che essa è «l'integrazione» della letteratura nazionale, acquisizione questa che risulta an­cora estranea a Pirandello, la cui coscienza letteraria è, all'epoca del suo inter­vento sul teatro in vernacolo, educata al persistente equivoco posto tra poesia dialettale e poesia popolare.
Epperò è proprio attorno a questo disegno che si decide l'emancipazione del­la letteratura dialettale che, raggiunto uno stato di pari opportunità rispetto al­la lingua, negli ultimi decenni si spinge oltre conseguendo una qualità defini­ta «endofasica», di un lessico cioè privato che tiene conto di pochi parlanti pre­valentemente arcaici e che, forse più della lingua, si costituisce in poesia come un linguaggio gangoristico, con apporti pur'anche di derivazione ermetica.
A questa altezza si situa per esempio Vincenzo Consolo, la cui ricerca filologi­ca nel lessico dimesso riecheggia le teorie pasoliniane circa una koinè friulana che involga «una specie di linguaggio assoluto, inesistente in natura».
Ad un precedente stadio di evoluzione della letteratura dialettale si è invece at­testato Andrea Camilleri, il cui «dialetto borghese arrotondato» equivale alla pariniana «lingua corrente», o «parlar finito», distinta da dialetto e italiano, avver­sata da Pirandello (il primo Pirandello) ma sostenuta da Sciascia, qui in linea con un gusto tutto siciliano che da Buttitta conduce a Calì e che del siciliano co­me lingua pascolianamente morta, lingua delle rondini, «che più non si sa», fa un mezzo d'espressione al quale piegare quanto più possibile l'italiano, senza che sia sperimentato il contrario.
Del resto il rimprovero che Sciascia sente di muovere al Pirandello di “Liolà” è di «non aver tenuto presente la possibilità che, senza minimamente indulgere al dialetto borghese, certe parole, certe espressioni, potevano essere sostituite agevolmente con altre più comprensibili». È lo stesso suggerimento che Scia­scia dà a Camilleri, muovendo dà una concezione scepsistica circa le possibi­lità di una parlata, quella agrigentina, che pure per Pirandello è in Sicilia «in­contestabilmente la più pura, la più dolce, la più ricca di suoni», ma che per Scia­scia non è da ritenere la più vicina alla lingua italiana.
Gianni Bonina
 
 

AGE, 12.4.2006
TV: Ascolti, RAI vince prima e seconda serata

Roma. [...]
Testa a testa in prima serata su Raiuno e Canale 5 per ''Il Commissario Montalbano - La forma dell'acqua'' e ''Carabinieri 5''. La fiction con Luca Zingaretti ha realizzato il 20.18 di share con 5 milioni 244 mila telespettatori. Nel periodo di sovrapposizione (dalle 21.24 alle 23.27)con il 20.25 di share e 5 milioni 242 mila telespettatori vittoria di Montalbano su Carabinieri che ottengono il 19.75 di share con 5 milioni 113 mila ascoltatori.
[...]
 
 

La Stampa, 13.4.2006
Due generazioni di complici
Andrea Camilleri
 
 

Panorama, 13.4.2006
Rivalità - Ragusa Ibla contro Scicli
Montalbano alla sfida bed & breakfast
C'erano solo 65 locande, ora sono quasi 3 mila. E il commissario è diventato un business

Nella Sicilia del sud-est, come la definisce l'assessore regionale al Turismo Fabio Granata, «i visitatori aumentano al ritmo del 12-14 per cento all'anno. E per i beni culturali di questa area, l'unica al mondo ad avere 10 siti dichiarati dall'Unesco patrimonio dell'umanità, sono stati investiti 480 dei mille milioni di euro stanziati dall'Ue negli ultimi cinque anni. Senza contare che in tutta l'isola i bed & breakfast e gli agriturismi erano appena 65 nel 2001 e l'anno scorso erano diventati 2.900».
Per il momento, dunque, è il turismo a vincere nella sfida tra Ragusa Ibla e Scicli. Le due città siciliane in provincia di Ragusa si contendono il primato delle riprese dello sceneggiato tv sul commissario Salvo Montalbano.
E al turista che si aggira tra le stupefacenti bellezze del Val di Noto capita di essere avvicinato dai locali che con fierezza spiegano: «Vede il municipio? È qui che hanno girato le scene del commissariato».
Perfino le tabaccherie, se frequentate dall'attore Luca Zingaretti, diventano attrazioni da segnalare.
Questa contaminazione tra il sacro dell'arte e il profano della fama televisiva sembra non andare giù ad Anna Maria Criscione, impegnata con il marito Francesco Arezzo di Trifiletti nelle iniziative del Fai, il Fondo per l'ambiente italiano: «Il 25 e 26 marzo, per la prima volta, abbiamo aperto gli androni di sette tra i più antichi palazzi di Ibla, la città “vergine” di Ragusa.
L'affluenza è andata al di là di qualsiasi immaginazione» racconta, rifiutando l'ipotesi che persino i giapponesi siano arrivati da tanto lontano sotto la spinta del successo planetario del Montalbano televisivo (trasmesso in 30 paesi).
Criscione però riconosce: «I turisti della domenica sono arrivati con torpedoni chiassosi e con la richiesta di poter entrare all'interno delle dimore dei baroni Arezzo di Trifiletti». Quasi a volere a tutti i costi ritrovare le atmosfere restituite in video dal regista Alberto Sironi.
A mettere un punto fermo sulla feconda rivalità tra le location del «Montalbanoshire» è lo scenografo Luciano Riccieri, già al fianco del regista Ettore Scola in "Ballando ballando". È lui che ha cercato e scelto gli angoli più suggestivi di questo magico spicchio di Sicilia sudorientale, per poi metterli insieme e ricostruire così la Vigata uscita dalla fantasia e dalla memoria di Camilleri.
«Diciamo che tra Ibla e Scicli abbiamo applicato la par condicio delle riprese, anche per le due puntate della nuova serie andata in onda all'inizio di marzo».
Anche se i critici, e molti spettatori, l'hanno trovata diversa e più bella. «Abbiamo soltanto spinto sull'acceleratore della fantasia» sintetizza Riccieri. Che dal 1998, anno del primo episodio, "Il ladro di merendine", ha visto questa zona cambiare sotto i suoi occhi. «A Marina di Ragusa, dove c'è la casa di Montalbano, ville e villette sono quintuplicate. Ma non sono stati fatti grandi danni».
«Quando apriranno l'aeroporto di Comiso (Rg) ci saranno maggiori opportunità anche per chi, come me, vuole lavorare qui nel turismo rurale» spiega Virgia Di Stefano, che a 31 anni vede nel turismo l'occasione che non costringa a laceranti strappi con questa terra.
Terra che il produttore di Montalbano, Carlo Degli Esposti, definisce «un paradiso, l'esempio di come tutta la Sicilia avrebbe potuto essere».
Paola Ciccioli
 
 

14.4.2006
La vampa d'agosto
Sarà in libreria il 20 aprile il decimo romanzo del commissario Montalbano.
 
 

La Stampa, 14.4.2006
Lo scrittore siciliano e il presidente di Libera si confrontano sui problemi e le soluzioni per combattere l’organizzazione criminale
Camilleri, don Ciotti e la mafia nell’era di Provenzano
Vita e pensiero, la rivista culturale dell'Università cattolica, sul prossimo numero (4 maggio) ospita un dialogo fra Andrea Camilleri e Don Ciotti sulla mafia e Provenzano. Ve ne proponiamo uno stralcio

Oggi, almeno sui giornali e in tv, si parla meno di mafia. L’Italia sembra essere in tutt’altre faccende affaccendata. Significa che Cosa Nostra è in difficoltà o che sta prosperando all’ombra del silenzio?
Camilleri: Non si sente più tanto parlare di mafia sui giornali o nelle televisioni perché la mafia, passato il periodo delle guerre intestine, non fa più notizia. “Fare notizia” è il comandamento al quale obbedisce il giornalismo più quotidiano e volgare. Il kalashnikov o il tritolo facevano notizia, non la fa, per esempio, il controllo mafioso del sistema sanitario in Sicilia. Oggi come oggi la mafia è entrata a gonfie vele, coi suoi uomini, nella politica. E sembra non creare scandalo che noi si debba chiamare col titolo di onorevole un individuo colluso con la mafia.
Ciotti: Più che di mafia, ormai assimilata a Cosa Nostra, io preferisco sempre parlare di mafie, al plurale. La violenza delle mafie sembra scomparsa dai consuntivi dell’anno vecchio e dagli impegni di quello nuovo. Eppure le mafie non sono certo scomparse. I fatti dicono che continuano a prosperare, a governare, a uccidere. Basti pensare che negli ultimi dieci anni abbiamo avuto 2.500 vittime di mafia, di cui 155 vittime innocenti, fuori cioè dai regolamenti di conti. Capisci che è una guerra che si consuma tutti i giorni.
Se i mafiosi nel senso tradizionale non esistono più o sono in via di estinzione, come si riconosce oggi un mafioso? Provenzano, il presunto capo della mafia, come ve l’immaginate, che riflessioni vi porta a fare?
Camilleri: A mio avviso Bernardo Provenzano contava ormai assai poco. Conta moltissimo invece come depistante immagine della mafia. Riina è stato catturato perché aveva fatto il suo tempo. Una volta i mafiosi appartenevano a una “famiglia”, venivano iniziati con riti speciali, si conoscevano l’uno con l’altro. Oggi non c’è più bisogno di conoscersi di persona, di giuramenti, di “punciute”, basta sapere la password giusta. Oggi il mafioso sa usare internet, è raffinato.
Come lo si riconosce? E come si fa a riconoscere un manager di una multinazionale come la mafia da uno di un’altra multinazionale?
Ciotti: Il professor Camilleri (di cui sono un appassionato lettore) ha sostanzialmente ragione. Camilleri conosce bene la sua terra. Purtroppo non tutta la mafia tradizionale sta in galera. È vero anche che, come dice Camilleri, le mafie sono sempre state delle anticipatrici delle trasformazioni sociali. La mafia è un grande osservatorio. La storia insegna che la mafia è sempre stata capace di anticipare i cambiamenti e le trasformazioni sociali, ha sempre sfruttato le nuove tecnologie. Ha trovato sponde in segmenti del mondo economico e imprenditoriale. Le mafie le trovi in Borsa, nelle operazioni di alta finanza. Il vero nodo è il comune sentire mafioso, indefinito, inafferrabile, e per le mafie (in particolare per Cosa Nostra) è la condizione vitale. Quanto a Provenzano, rispondo che non mi interessa più di tanto.
Lei, Camilleri, ha detto recentemente: «Il giudice Gian Carlo Caselli è stato il primo risarcimento che è venuto a noi siciliani dal Nord». La pensa ancora così? E cosa pensa don Ciotti di questa affermazione?
Camilleri: Vorrei richiamarmi a certe pagine de I vecchi e i giovani di Pirandello, per ricordare il modo infame col quale l’unità d’Italia si concretizzò in Sicilia. «Povera isola, trattata come terra di conquista!... Ed eran calati i continentali a incivilirli: calate le soldatesche nuove... calati tutti gli scarti della burocrazia... e i furti, gli assassini, le grassazioni orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo... e falsificazioni, e sottrazioni di documenti e processi politici ignominiosi... E poi era venuta la Sinistra al potere: e usurpazioni e truffe e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del denaro pubblico». Col fascismo fu peggio. Con i governi del dopoguerra la mafia prosperò e si ingigantì la corruzione. Per questo, quando dopo Falcone e Borsellino arrivò Caselli. A quel livello, Caselli resta ancora, e purtroppo, il solo esempio di risarcimento.
Ciotti: Io credo che questa sia una provocazione simpatica di Camilleri, fatta anche di affetto e di riconoscenza. Vorrei non dimenticare altri generosi piemontesi, come Carlo Alberto Dalla Chiesa. E anche Saveria Antiochia, mamma di Roberto Antiochia, che quando le uccisero il figlio che volontariamente si era messo a far da scorta al commissario Cassarà, disse: «Quando ti uccidono un figlio, sparano anche su di te. A me hanno sparato quel giorno». Era il 6 agosto del 1985. Caselli è un magistrato rigoroso e coraggioso. Ma Caselli lo hanno ucciso. Non si uccide solo con le armi. Non era mai successo che venisse fatta una legge ad hoc per impedire a un magistrato di diventare procuratore generale antimafia. Anche l’infanzia violata ricorre spesso nei romanzi di Montalbano. E la tutela dei bambini, dei minori, è uno dei punti su cui insiste da sempre don Ciotti. Quelli che lui chiama i figli della mafia.
Che ne pensate di un Paese che non sa proteggere i suoi figli più fragili?
Ciotti: Sono ragazzi che, immersi in recinti mafiosi, rischiano di essere condannati alla loro diversità. Li segna quel mondo al quale appartengono. Vi faccio un esempio: per il bambino che cresce in una famiglia mafiosa è normale quello che respira in casa: le parole, i gesti, le scelte di papà e mamma. È anormale quello che succede fuori casa.
Camilleri: Che ne penso di un Paese che non sa proteggere i suoi figli più fragili? Che è un Paese perso. E che è un Paese ancora più perso quando penso a come tratta, oltre che i propri, anche i figli degli extracomunitari. Quale vi sembra attualmente l’atteggiamento della Chiesa nei confronti del fenomeno mafioso?
A cura di Francesco Anfossi
 
 

La Rinascita della sinistra, 14.4.2006
Culture. Andrea Camilleri
Sciascia è il mio motore

Eugeni: Il direttore del “L’ora di Palermo” ha distinto i siciliani in due tipologie: il siciliano di “scoglio” e quello di “mare aperto”… La sicilianità portata fuori dall’isola.
Camilleri: va da sé che io sono di “scoglio”. Ma non solo. Sono anche un sostenitore di quella Sicilia che amo di più, che è la sua parte più interna. Il mare erode la spiaggia e si porta via anche molta memoria, mentre all’interno l’opera di erosione e il ricordo dell’esperienza passata rimane intatto.
E.: Lei ha ottanta anni e qualche mese. Vuole fare per me un piccolo bilancio? C’è qualcosa che non rifarebbe?
C.: No, non c’è nulla che non rifarei. Non credo di aver mai fatto grossi errori. Comunque non ho alcun rimpianto e questo mi consente di vivere con serenità. Ogni cosa è compresa nel “ticket” iniziale del percorso della nostra vita. Occorre accettare tutto serenamente.
E.: Andrea Camilleri e Leonardo Sciascia. Che rapporti ha avuto con il suo grande conterraneo, autore del “Il giorno della civetta”, il primo romanzo in cui si parla di mafia e mafiosi?
C.: Con Leonardo Sciascia ho avuto rapporti molto lunghi. La prima cerchia dei suoi amici, quella più vicina, lo chiamava Nanà la seconda invece lo chiamava Leona’. Io appartengo a questa seconda cerchia. Sciascia mi ha fatto conoscere Elvira Sellerio. Eravamo simili e diversi. Simili nel modo di pensare, diversi per la scrittura; lui limava, perfezionava, affilava l’esercizio della scrittura come un bisturi. Il rapporto più intimo tra Sciascia e me è che, quando ho le batterie scariche, prendo un suo libro, leggo qualche pagina e il “motore” si riaccende. Sciascia per me è come un elettrauto.
E.: Lei ha spesso parlato della felicità di continuare a raccontare storie.
Come alimenta la sua fantasia, la sua vena inesauribile?
C.: Il fatto è che scrivere mi diverte, m’annoio se non scrivo. Ma se succede che mentre scrivo mi accorgo che mi sto annoiando, allora smetto immediatamente. Il mio ideale è la ballerina trapezista del circo equestre, sempre sorridente, apparentemente allegra, non ci permette di vedere la sua fatica quotidiana. In realtà non ho mai inventato niente, la mia è l’elaborazione fantastica di un minimo di dato reale. L’input viene sempre da un dato reale.
E.: A lei piace molto la birra mentre rifiuta di bere il vino. Si racconta che non beva più vino dal Primo Maggio 1947, il giorno della strage di Portella della Ginestra. È una leggenda o verità?
C.: Mi è capitato un fatto incredibile. Durante la festa dei lavoratori del primo maggio, a Porto Empedocle, avevo bevuto più che abbastanza. Torno a casa e sento bussare alla porta. Vado ad aprire. Era un compagno che mi dice: a Portella della Ginestra hanno sparato sui contadini. Mi sentii male e rigettai vino amaro: fu un vero trauma.
E.: Il 1992 è l’anno delle stragi a Falcone e Borsellino. A nove anni di distanza, nel 2001, ci fu nelle elezioni politiche una vittoria scandalosa, schiacciante, della Casa delle libertà. In Sicilia vinse 61 seggi su 61.
C.: Bisogna fare una distinzione. Apparentemente le elezioni sono state vinte dalla “Casa delle libertà”. Ma la verità, la sostanza, è che quelle elezioni sono state vinte dalla Democrazia Cristiana. In Sicilia il primo partito fu l’UDC, e cioè l’erede diretto della vecchia Democrazia Cristiana, ma all’interno di questo mai cessato potere democristiano, vi sono forze conservatrici, disperatamente attaccate al sistema che tutti conosciamo: omertà, collusione, intrighi.
E.: I suoi romanzi sono stati tradotti da numerose case editrici tedesche: la Klaus Wagenbach di Berlino, la Piper di Monaco di Baviera, la Lubbe di Colonia, più recentemente la Rowohlt di Amburgo. Conosce la Germania?
C.: Sono stato a Monaco di Baviera, a Berlino e a Colonia. La Germania è per me una nazione inattesa. Durante i miei brevi soggiorni ho sempre incontrato una grande apertura mentale, una grande simpatia, l’esatto contrario del rigido stereotipo tedesco. Quando c’è stato il mio compleanno un gruppo piuttosto folto di persone, ben trentatré, che lavora nella casa editrice, la Lubbe di Colonia, è venuto a Roma per farmi gli auguri. La cosa mi ha reso molto felice, non mi aspettavo il calore che mi hanno manifestato, mi ha sorpreso.
E.: Una delle “grandi opere” proposte dal governo Berlusconi è il ponte diMessina. Che ne pensa? È favorevole o contrario?
C.: Non sono del tutto contrario. Come non sono contrario alla tecnologia: per l’uomo è una possibilità di conoscenza e di apertura. Ovviamente è importante l’uso che si fa delle cose, come sempre. Non sono del tutto contrario ma ritengo che al momento ci siano altre priorità: prima vanno fatte le strade, vanno fatte le ferrovie. Gli “extra” vengono dopo. E soprattutto trattandosi di una zona a rischio sismico, il geologo deve dare delle garanzie forti sulla sicurezza del luogo. Per non parlare poi del disastro ambientale.
E.: Il suo ultimo libro è “La pensione Eva”, suo primo romanzo d’amore, che nella classifica della narrativa italiana, ha subito rotto ogni argine occupando il primo posto. E Montalbano?
C.: Montalbano tornerà in estate con “Il campo del vasaio”. Il campo è quello dove Giuda si impiccò. Naturalmente è una storia di tradimenti.
Alessandro Eugeni
 
 

Corriere della sera, 15.4.2006
Morale mafiosa, indagini giudiziarie e letteratura: lo scrittore spiega la vita da pastore del padrino e risponde al procuratore Grasso
«Il boss povero? Finzione, non etica»
Camilleri: dietro la maschera c’è una modernissima gestione del potere

Palermo - Il padrino di Cosa Nostra catturato a due passi da Corleone sembra uscito da una pagina di Camilleri, dalle “Cinquanta paia di scarpe chiodate”, il racconto su un «re pastore» indicato da un brigadiere al commissario Montalbano, fra le pecore di una masseria, come un paciere che «amministra giustizia». A suo modo, «uomo di saggezza e d’esperienza».
È su questa contraddittoria immagine tra affari milionari e vita francescana di Bernardo Provenzano che il New York Times ha chiesto lumi ad Andrea Camilleri. E lui s’è messo al computer per spiegare agli americani «perché il padrino viveva da povero». Proprio come ha fatto ieri sul Corriere della Sera il procuratore Piero Grasso spiegando che «il boss voleva dare l’esempio». L’antropologia della mafia diventa così indagine giudiziaria e letteratura insieme.
Sorpreso, Andrea Camilleri, dalla realtà che presenta il padrino con lo stesso cliché di un antico mafioso già visto nei film e nei suoi libri?
«Nessuna sorpresa. Me l’aspettavo così. Come vidi quel Cuntrera arrestato in Venezuela dopo le stragi del ’92, uno di Siculiana, il paese vicino al mio, Porto Empedocle».
Il ministro delle Finanze di Cosa Nostra, si disse.
«Pure lui con la faccia e l’atteggiamento di un contadino. Ma solo nell’aspetto».
Scrutiamo oltre.
«Da Cuntrera ai tanti boss presi in questi anni, sono sempre insaccati in una sorta di divisa. Sì, la divisa del mafioso di campagna. Magari con qualche giacca di fustagno, trasandati, dando sempre questa immagine di provenienza pastorale».
Lo vede come un trucco, come sola apparenza?
«In realtà è solo l’immagine che danno. Perché poi sono modernissimi in quella che è la tecnica del malaffare, l’assegnazione degli appalti, la scelta di chi votare alle elezioni o su chi mettere come uomo giusto al posto giusto nei nodi cruciali dei fatti amministrativi. Allora, alla loro divisa di contadini sembra sovrapporsi il colletto bianco».
E non c’è etica sotto la divisa?
«Vogliono apparire in un certo modo, ma sono un’altra cosa. E poi questa vita ascetica che molti conducono un po’ è dettata dalla necessità della latitanza. È chiaro che se alloggiano in un albergo a cinque stelle rischiano di essere beccati subito. Più difficile in una casupola di campagna o dentro un pagliaio».
«Costretti all’angolo», come dice il procuratore Grasso?
«Questa vita senza comodità è dettata dalla necessità. Non è che intendono dare sempre un esempio di moralità. Ma è anche vero che l’esercizio e il gusto del potere, inteso pure come potere di vita e di morte sulle persone, non solo il potere sugli affari, compensa in questi soggetti ad abundantiam il loro disagio di vita quotidiana».
Il potere meglio di una vita agiata?
«Noi siciliani abbiamo un bellissimo proverbio, "cumannari è meglio di futtiri". E si adatta a perfezione, il comandare è meglio di qualsiasi altra cosa. Per loro non è importante che il potere stesso sia sorretto dall’immagine che noi abbiamo del potere».
Un potere ancora solidissimo, a suo avviso, quello del «re pastore» Provenzano?
«Quando queste persone vengono arrestate è perché si sfilaccia la rete di protezione fatta da politici, imprenditori, gente incensurata, gente insospettabile. E succede nel momento in cui il boss ha meno potere. Allora, se è vero il detto italiano per cui "morto un papa se ne fa un altro", io credo che nella mafia il nuovo papa venga già fatto nel momento in cui il papa vecchio si ammala».
Non se ne aspetta la morte?
«Non si aspetta. E, quindi, dire "abbiamo decapitato la mafia" mi sembra eccessivo. Per questo grande arresto va resa tutta la nostra personale gratitudine ai magistrati e alle forze dell’ordine. Ma in realtà, e sempre secondo il mio parere, la cattura di Provenzano rappresenta solo le esequie del papa vecchio».
E i papabili?
«Già in funzione».
Si fanno un paio di nomi.
«Sì, mi pare uno con 13 anni di latitanza e l’altro 12. Non so se le elezioni del nuovo papa vengono fatte in base all’anzianità di latitanza... Visto che felicemente non sono addentro alle loro regole, mi auguro che non bisogni aspettare altri trenta anni perché vengano catturati».
Che cosa consiglierebbe al commissario Montalbano?
«Intanto, mi auguro che i nuovi padrini si cambino le mutande con maggiore frequenza».
Le mutande?
«Se è vero che Provenzano è stato catturato perché aveva bisogno di un paio di indumenti puliti, non possiamo aspettare che questo cambio avvenga ogni 43 anni».
Oltre alla «divisa» da contadino, c’è molta curiosità sulla «dieta Provenzano», miele, ricotta e cicoria...
«Mangia cicoria pure Rutelli... Ma è solo una battuta. Provenzano, poveraccio, è un uomo malato, uno a stecchetto, senza vino, senza niente».
Gli restano le preghiere e una ostentata veste mistica...
«Sì, le cinque Bibbie di cui quattro intonse e una molto usata, tre crocifissi al collo, il rosario, santini, padre Pio. E non c’era un "pizzino" nel quale, in qualche modo, non ci facesse entrare Dio. Qualcuno si può stupire che i mafiosi siano così religiosi, però bisogna cercare di capire che spesso la religione nei siciliani assume una certa inquietante forma di superstizione».
Dobbiamo rileggere le «Feste religiose» e pagane di Sciascia?
«Ricordiamoci di quel Pietro Aglieri con il prete che gli andava a dir Messa nel covo».
Questi boss si convincono di agire per il Bene?
«Pensano di fare il bene per il bene di tutti. Non sono i soli, in Italia. Ma anche i nazisti avevano una cintura con scritto Gott mit uns (Dio con noi, ndr )».
Il «re pastore» non si sente comunque un po’ demodé?
«Il vecchio mafioso dentro di sé dice: "Noi abbiamo ormai sistemi arretrati, siamo come le vecchie 500 che vengono buttate fuori strada dalle Bmw dei nuovi mafiosi". Perché credo che i vari Riina e Provenzano, in fondo, siano stati lasciati a campare nel loro redditizio orticello».
I veri affari vanno cercati oltre?
«Pensare che gli affari di una multinazionale com’è la mafia siano quei pochi appalti lasciati gestire al buon Provenzano significherebbe non avere capito niente dell’importanza della mafia».
E i nuovi padrini come li immagina?
«La vera mafia oggi come oggi deve aver cambiato aspetto e abolito i rituali: l’appartenenza alla famiglia, il santino bruciato, la panciuta. No, credo che oggi la mafia agisca su Internet, che i padrini non si conoscano fra di loro, ma che abbiano in comune la password».
Felice Cavallaro
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 15.4.2006
Gruppo di supermanager a fianco della Borsellino

[…]
Si tratta di siciliani «eccellenti», che faranno da traino per proporre, nelle vesti di testimonial dello sviluppo abituati al successo, la Sicilia come polo d´attrazione per altre grandi imprese.
[…]
Tra gli intellettuali sono stati fatti i nomi di Camilleri, Elvira Sellerio, Vincenzo Consolo.
[…]
Antonella Romano
 
 

Corriere del Mezzogiorno, 15.4.2006
«Il papà di Montalbano in ansia per me, poliziotta a Napoli»
«Io, il Montalbano in gonnella che ha conquistato Camilleri»
«Da cittadino e amico sono terrorizzato»
La storia

 
 

l'Unità, 16.4.2006
Colpo d'amore per Montalbano
Esce mercoledì il nuovo romanzo di Andrea Camilleri con protagonista il celebre commissario. S'intitola "Vampa d'agosto": un giallo con un bambino scomparso e il cadavere di una ragazza. Ma, soprattutto, una torrida passione d'amore

Montalbano innamorato, fra l’incanto ed il disincanto. È davvero sui generis la nuova storia di Salvo Montalbano, che Sellerio manda in libreria nei prossimi giorni, il 20 aprile. Un commissario come non l’avete mai visto, o meglio letto. Il protagonista dei romanzi di Andrea Camilleri, in balia di una passione amorosa.
Sì, proprio così, l’acuto investigatore sempre attento ad ogni dettaglio delle inchieste poliziesche, questa volta è proprio innamorato. Insomma, non è certo «l’Orlando Furioso», ma a 55 anni, Salvo Montalbano, accecato dallo splendore di una bellezza giovanile, rimane ferito, nel cuore e nell’orgoglio. Illuso e disilluso, appunto.
«Natava e chiangiva. Per la raggia, per l’umiliazione, per la vrigogna, per la sdillusione, per l’orgoglio ferito (…) Tutto un tiatro, tutta una finzione. E lui, vecchio, alluciato dalla billizza e perso darrè a quella giovintù che l’imbriacava, c’era caduto, a cinquantacinco anni sonati, come un picciliddro». Montalbano, «natava e chiangiva», nuotava e piangeva così, nelle pagine di "Vampa d’agosto" (Sellerio, pagine 288, euro 11,00). Ma come si arriva a ciò? Il tutto nasce dalla nuova indagine che si svolge, nel caldo torrido d’agosto. Calore estenuante, sole implacabile: è questa la «vampa» del mese più infuocato della torrida estate siciliana, ma è anche l’ardore e la passione che infiammano Montalbano.
Mimì Augello ha dovuto anticipare le ferie. Mancando il suo vice, Montalbano è costretto a rimanere a Vigáta. Livia, sua «eterna fidanzata» vorrebbe raggiungerlo, ma per non restare sola, con il commissario sempre al lavoro, pensa di portare con sé un’amica (con marito e bambino) e chiede a Salvo di affittare una casa sul mare per loro. La vacanza scorre nella bella villetta sul mare, silenziosa, verde. Ma un giorno il bambino sparisce e proprio non si trova. Montalbano accorre e scopre in giardino un cunicolo che rivelerà clamorose sorprese tra cui un baule con il cadavere di una ragazza scomparsa sei anni prima. Finita la brutta avventura con il ritrovamento del bambino, Livia e gli amici ripartono, tutti troppo impressionati per restare a Vigáta. E il commissario inizia l’indagine. Difficile perché il caldo non lascia requie, bollente come la passione amorosa di cui rimane in balia.
Dalle donne de "La luna di carta", belle e misteriose, al cui fascino Montalbano era riuscito a sottrarsi, a questa storia con una nuova figura di donna. Ne vien fuori un giallo ben costruito e strutturato, dove prevale un Montalbano istintivo, meno razionale e più passionale, ma anche malinconico. Così come in altri romanzi precedenti il commissario, con l’avanzare dell’età, si pone interrogativi sulla sua esistenza, fa un bilancio della propria vita. E guarda al proprio futuro, come un orizzonte che pare restringersi: l’esplodere di una nuova passione, che non è la sua Livia, è forse un aggrapparsi alla vita, alla dinamicità della gioventù. Montalbano si guarda dentro, analizza il suo io, si interroga sul futuro. Ed il suo orgoglio ferito, il suo stato d’animo triste, contrasta con la sua Vigáta d’agosto stretta tra pietre infuocate e mare. Quel caldo sole sempre più luminoso, fa da contrasto alla sua passione che sembra spegnersi nella malinconia.
Mentre in molti discutevano della fine di Montalbano, Camilleri non solo ha scritto questo decimo romanzo, ma sta lavorando ad altri libri con protagonista il commissario. Oltre al romanzo conclusivo che ha già scritto e consegnato ad Elvira Sellerio, dal titolo "Riccardino", a metà ottobre sempre per Sellerio è prevista l’uscita de "Il campo del vasaio". Ogni nuovo libro con protagonista il commissario Montalbano non è solo un fatto culturale, letterario, mediatico, ma è anche un piccolo fatto sociale. Ed anche politico. Del resto lo stesso Camilleri ha affidato spesso a Montalbano il suo pensiero politico, spesso critico dopo la sconfitta del centro-sinistra nel 2001, con varie interviste apparse su l’Unità. Questo poliziotto appassionato di narrativa e di filosofia, dai modi semplici ma diretti, leale e coraggioso, animato da valori etici e democratici, uomo di sinistra che sta dalla parte dei deboli e disistima Berlusconi ritenendolo «l’antipolitica», fa discutere molti italiani come si trattasse di una persona reale e non di un personaggio letterario. Perché la sua anima è Camilleri, perché è l’alter ego dello scrittore di Porto Empedocle. E, secondo un sondaggio, nella storia della letteratura italiana Montalbano compete per popolarità con personaggi letterari quali Renzo e Lucia de "I promessi sposi".
Ma quale sarà la sua fine? Sfatiamo i luoghi comuni. Camilleri non farà morire il commissario, la soluzione finale sarà molto probabilmente surreale, con una discussione fra autore e personaggio, fra scrittore e protagonista. Ed allora Montalbano si ribellerà come è capitato in un racconto che stava diventando troppo violento? Possibile. Fu lo stesso Camilleri, ancora in un’intervista a l’Unità, a raccontarlo: «Penso ad una contrapposizione fra l’autore ed il protagonista, ad un dialogo fra i due. Del resto non sarebbe la prima volta che il commissario parla con il suo inventore. Quando in un racconto, non ne poteva più di una storia di violenza eccessiva, mi telefonò e disse sostanzialmente che non ci stava, non era una storia che poteva andare bene per Montalbano».
Una cosa è certa: «Montalbano è un personaggio letterario e la sua non sarà una morte violenta. Non verrà ucciso dalla mafia. La sua sarà una scomparsa letteraria». Camilleri appare optare per una scomparsa metaforica. Così ci ha raccontato in quell’intervista: «Le faccio un esempio simbolico: a volte penso all’autore che con una gomma lo cancella...».
Il fatto è che Camilleri si proietta verso una dimensione metaletteraria, sempre più densa di considerazioni filosofiche. La stessa lotta fra lo scrittore e Montalbano ha una valenza metaletteraria. E pensare che alcuni critici si soffermano ancora sulla natura del dialetto siculo di Camilleri, quando è chiaro da anni, che non di dialetto si tratta ma di una lingua inventata dallo scrittore di Porto Empedocle su una base siciliana. Camilleri con questa lingua vivace e sui generis, vuol raccontare in realtà una Sicilia in movimento, che parte dalla tradizione e giunge alla decostruzione dei luoghi comuni. Un mix di tradizione e innovazione. È vero che Camilleri utilizza anche degli stereotipi, ma in realtà li usa per smontarli in maniera ironica e critica.
È in questa tensione dialettica, di gioco degli opposti, ancor meglio esplicitata in alcuni romanzi storici, che va colto il senso letterario e filosofico del pirandelliano e neobrancatiano Camilleri.
Salvo Fallica
 
 

Corriere della sera, 16.4.2006
Il dibattito
Non «etica» ma necessità. Adesso il vero capo (se c’è) non mangia ricotta e cicoria
Grasso si è mosso su suggestioni letterarie, mentre Camilleri ha parlato come un magistrato

Strano Paese, il nostro. Nei giorni che seguono l’arresto del mafioso siciliano più ricercato del mondo, i lettori aprono il “Corriere della Sera” e leggono, prima, l’intervista al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, poi l’intervista allo scrittore Andrea Camilleri. E che cosa ne ricavano? Che lo scrittore parla come potrebbe farlo un magistrato o un poliziotto e che il magistrato parla come uno scrittore. Nello spiegare l’arresto di Bernardo Provenzano, trovato in uno squallido casolare a due passi dalla sua Corleone e in atteggiamento tutt’altro che da padrino cinematografico, Piero Grasso sembra muovere da suggestioni letterarie, mentre Camilleri si mostra più concretamente (e a mio avviso giustamente) terra terra. Vivere così com’è stato trovato Provenzano in quella puzzolente casa di campagna, per il procuratore antimafia è anche (attenzione a questo anche) segno di una precisa scelta etica; una scelta educativa per gli affiliati all’organizzazione criminale. Finire in quel modo, per lo scrittore Camilleri è invece la prova che Provenzano non aveva ormai alcuna copertura e che quella di starsene rintanato in un casolare nutrendosi di cicoria e formaggio non era una scelta ma una ineludibile necessità.
In questi giorni mi è stato chiesto da amici e colleghi cosa, secondo me, avrebbe detto Leonardo Sciascia a commento di questa vicenda. Dico una cosa risaputa: Sciascia non faceva sociologia e, parlando di mafia, quasi mai si abbandonava alle suggestioni letterarie. Dai dati obiettivi che affluivano sulla sua scrivania ricavava le sue conclusioni. E quali sono i dati obiettivi che oggi riguardano l’arresto di Provenzano? Esattamente quelli cui fa riferimento nell’intervista Andrea Camilleri: il padrino era rimasto solo, privo della rete di protezione sulla quale aveva potuto contare prima. Era il “papa vecchio”, come dice Camilleri, un poveraccio senza più carisma né amici più o meno potenti.
Con le sue intuizioni sociologiche, il procuratore Piero Grasso sembra paradossalmente voler sminuire l’operato degli investigatori e suo quando parla di “etica mafiosa” attribuita a Bernardo Provenzano. Apprezziamo il suo sforzo tendente a denunciare il “linguaggio simbolico potentemente insidioso” del padrino di Corleone, come ieri ha scritto Pierluigi Battista, ma non è il caso di parlare di scelte etiche. Lui era lì, tra gli afrori pastorali e la deprimente frugalità del mobilio di quel casolare, perché ormai non gli restava che questo, essendo stati arrestati a decine i suoi complici, essendo stata fatta terra bruciata attorno a lui. Grazie, per l’appunto, al lavoro di Piero Grasso e dei suoi collaboratori.
È un vecchio arnese, ormai, Bernardo Provenzano, ha ragione Camilleri. Al momento dell’arresto non era più neanche uno specchietto per le allodole e meno che meno il garante indispensabile tra l’attività parassitaria mafiosa e quella imprenditoriale e politica. Per essere chiari: il padrino (ammesso che la mafia abbia ancora questa organizzazione verticistica) che dovrà garantire gli accordi relativi, poniamo, al grande business del ponte sullo Stretto, non è certo un poveraccio che vive nutrendosi di cicoria in un casolare di campagna.
Non so se questo nuovo papa, per dirla con Camilleri, ci sia. Potrebbe anche non esserci più, e in questo caso lo scenario cambierebbe al punto da rendere ardua, se non impossibile, ogni previsione
Matteo Collura
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 18.4.2006
L'isola degli eterni golosi
Le abbuffate di Pasqua hanno dato il via a un calendario gastronomico che non conosce divieti religiosi e che inorgoglisce il ceto popolare
Dacia Maraini in "Marianna Ucria" fa dire a un personaggio che l´inferno è una Palermo senza pasticcerie

[...]
In quasi tutti i romanzi che hanno fatto della letteratura isolana l´asse portante di tutto il Novecento letterario sono frequenti le citazioni di cibi e ricette. In una forbice estesa, che va dalle cene sontuose e i pic-nic succulenti del Gattopardo, ai piati arabi di Consolo per finire con la semplice "verdurella", cibo preferito del prefetto de "L´ultima provincia" di Luisa Adorno. Ma l´apoteosi è con il Montalbano di Camilleri, dove la cucina, a cominciare dalle triglie fritte di Calogero, diventa un elemento caratterizzante del personaggio. In "Un mese con Montalbano" addirittura il famoso commissario davanti alla pistola spianata di un killer rimpiange solo i polipetti con le olive di Gaeta con i quali aveva un appuntamento in una trattoria.
[...]
Tano Gullo
 
 

ANSA, 19.4.2006
News - In primo piano
Camilleri, Montalbano perde la testa per una ragazzina

Roma - Al decimo libro il commissario Montalbano si innamoro'. Accade in ''La vampa d'agosto'' (Sellerio Editore) in libreria da domani.
Dopo mille tentativi, dopo altrettante tentazioni, finalmente il commissario di Vigata cede alle insistenze, irresistibili, di una splendida 22enne. In realta', forse Salvo Montalbano una volta ha gia' tradito la fidanzata Livia con la bella giunonica svedese Ingrid, ma l'autore ha sempre lasciato all' interpretazione del lettore cosa realmente sia avvenuto quella notte in cui i due hanno dormito nello stesso letto.
In 'La vampa d'agosto', Andrea Camilleri non lascia alcuno spazio ai dubbi, il 55enne commissario, forse anche per un prolungato bisticcio con Livia, cede alle provocazioni della bellissima Adriana.
''Si', e' una cosa che non e' mai successa prima'', taglia corto Andrea Camilleri. Il problema e' che Montalbano non soltanto tradisce Livia, ma ''si innamora, perde la testa e soprattutto - prosegue lo scrittore di Porto Empedocle - per una per cui non dovrebbe farlo, non fosse altro per la differenza l'eta'''.
E sono proprio quei 55 anni a pesare e far arrabbiare Montalbano, quelle 55 primavere che costituiscono per lui ''le ultime vampe dell'agosto''.
Si ha l'impressione che negli ultimi libri di Montalbano, l'autore sia diventato sempre piu' intimista, e' vero?
''Si' - risponde Camilleri - scendiamo sempre di piu' nell'intimo. E' in atto una progressiva destrutturazione del personaggio, nel senso che questi aveva certe caratteristiche che negli ultimi due o tre libri e' andato perdendo''.
Le perdera' fino a che punto? ''Le perde per volonta' dell'autore, che lo portera' alla fine personale, come avverra' nell'ultimo libro, gia' scritto, cioe' - spiega l'autore - l'impossibilita' di proseguire come personaggio''.
In altre parole, entrato in conflitto con i suoi superiori, con i collaboratori, con i suoi cari, insomma, entrato in conflitto con tutti, ''gli restera' solo l'autore''. E se la prendera' con lui.
'La vampa d'Agosto' e' la storia di una ragazza uccisa cinque anni prima, il cui cadavere viene trovato in un baule, casualmente, dallo stesso Montalbano. Una storia che per certi aspetti ricorda ''Il cane di Terracotta'', solo che in quella occasione il commissario esauriva la verita' in se stesso, per la sola passione dell'inchiesta, senza alcun esito giudiziario.
''Anche qui - segnala Camilleri - la conclusione non porta a un esito investigativo. Posso dire che, anzi, passa sopra Montalbano stesso''.
Camilleri, che ammette essersi divertito molto a scrivere 'La vampa d'agosto', sottolinea che Montalbano al termine della storia ''e' umiliato e offeso''. Sentimenti suscitati dall'essersi lasciato prendere in giro, proprio dalla ragazza, ''anche se qualche soddisfazione l'ha avuta''. Cio' che brucia a Montalbano, pero', non e' soltanto il fatto di essere stato ''una sorta di burattino'', quanto anche il dato anagrafico. Forse se a raggirarlo fosse stata una donna sua coetanea sarebbe stato meno doloroso.
'La vampa d'Agosto' e' un libro che dunque ancora una volta, e forse ancora piu' che in precedenza, intreccia una interessante e accattivante investigazione nella difficile Sicilia a una vicenda strettamente personale. Forse, come scrive Salvatore Silvano Nigro nel risvolto, questo libro ''non e' un romanzo giallo. O lo e' in modo anomalo''.
 
 

Adnkronos, 19.4.2006
Scrittori: Camilleri, altri due Montalbano poi la fine
L'autore dei gialli ambientati in Sicilia parla a Vanity Fair

Roma - ''Di Montalbano ci sono altre due storie gia' pronte 'ma da rivedere', sia l'undicesima che la dodicesima, dopo la quale non ci sara' piu' Montalbano''. E' Andrea Camilleri a parlare dalle pagine di Vanity fair che esce domani in edicola, giorno in cui, con l'editore Sellerio, uscira' anche il decimo episodio della saga di Montalbano, ''La vampa d'agosto''.
 
 

TGCom, 19.4.2006
Ascolti tv di martedì 18 aprile
I dati Auditel nel target 15-64 anni

[...]
Su Canale 5 "Striscina la notizina" ha ottenuto 7.538.000 spettatori e il 32.07% di share, Milan- Barcellona 8.986.000, 33.25%. Su Rai 1 "Affari tuoi" 6.633.000, 18.95%, "Il commissario Montalbano" 5.284.000, 17.97%. Su Italia 1 "Veronica Mars" 2.058.000, 8.06% (primo episodio), 2.052.000, 9.13% (secondo), su Rete 4 "Ben Hur" 2.431.000, 7.63%. Su Rai 2 "Musicfarm" 2.605.000, 13.65%, su Rai 3 "Ballarò" 3.702.000, 12.66%.
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 20.4.2006
Il libro. Camilleri presenta l'ultimo Montalbano
Esce oggi da Sellerio "La vampa d´agosto" la nuova avventura del commissario di Vigàta
La storia prende le mosse dal cadavere martoriato di una ragazza scoperto nel pianterreno di una casa abusiva in riva al mare
Sfregio del territorio corruzione politica e malaffare L´allegoria del lato oscuro della nostra terra
Quel corpo violentato nel villino degli orrori
Per gentile concessione della casa editrice Sellerio pubblichiamo la parte iniziale de "La vampa d´agosto", il nuovo romanzo di che vede protagonista per la decima volta il commissario Montalbano.

Stava dormenno che manco le cannonate l´avrebbero arrisbigliato. O meglio: le cannonate no, ma lo squillo del telefono sì.
Un omo che ai jorni nostri campa in un paìsi civilizzato come il nostro (ah ah) se percepisce nel mezzo del sonno botte di cannonate, certamente le scangia per truniata di temporale, spari per la festa del santo patrono o spostamento di mobili da parte di quei garrusi che abitano al piano di supra e continua bellamente a dormiri. Ma lo squillo del telefono, la marcetta del cellulare, il campanello della porta, quelle no, quelle sono tutte rumorate di richiamo al quale l´omo civilizzato (ah ah) non può fari altro che assumare dalle profondità del sonno e arrispunniri.
E di conseguenzia, Montalbano si susì, dal letto, taliò il ralogio, taliò verso la finestra, capì che avrebbe fatto càvudo assà e annò nella càmmara di mangiare indove il telefono sonava alla dispirata.
«Salvo, ma dov´eri? E´da mezzora che chiamo!».
«Scusami, Livia, ero sotto la doccia, non sentivo».
Prima farfantaria della jornata.
Pirchì l´aviva ditta? Pirchì s´affruntava di dìri a Livia che stava ancora dormenno o pirchì non voliva mortificarla dicennole che era stato arrisbigliato da quella telefonata? Boh.
«Sei andato a vedere la villetta?».
«Ma Livia! Sono appena le otto!».
«Perdonami, ma sono così impaziente di sapere se va bene...».
La facenna era principiata una quinnicina di jorni avanti, quanno aviva dovuto comunicare a Livìa che nella prima quinnicina di agustu, contrariamente a quando avivano stabilito, non potiva cataminarsi da Vigàta pirchì Mimì Augello aviva dovuto anticipare le vacanze per una complicazione con i sòceri. La cosa non aviva avuto gli effetti devastanti che s´aspittava, Livia voliva bene a Beba, la mogliere di Mimì e a Mímì stisso. Si era lamentiata tanticchia, questo sì, e Montalbano si era fatto pirsuaso che la storia era finuta li. Ma si sbagliava, e di grosso. Nella telefonata della sira appresso, Livia se ne era vinuta fora con una strofella inaspettata.
«Cerca subito una casa, due camere da letto e salone, proprio sul mare, da quelle parti».
«Non ho capito. Perché dovremmo spostarci da Marinella?».
«Quanto sei stupido, Salvo, quando vuoi fare lo stupido!
Io parlavo di una casa per Laura, suo marito e il bambino».
Laura era l´amica del cori di Livia, quella alla quale confidava i misteri gaudiosi e macari quelli tanticchia meno gaudiosi.
«Vengono qua?».
«Si. Ti dispiace?».
«Per niente, tu sai bene che Laura e suo marito mi stanno simpatici, ma...».
«Spiegami questo ma».
Bih, che camurria!
«Pensavo che finalmente avremmo potuto stare un po´ a lungo da soli e...».
«Ahahah!».
Risata tipo strega di Biancaneve e i sette nani.
«Perché ridi, scusa?».
«Perché sai benissimo che a restare sola sarò io, io, capisci, mentre tu passerai la giornata e forse anche la nottata al commissariato dietro l´ammazzato di turno!».
«Ma no, Livia, qua d´agosto, col caldo che fa, macari gli assassini aspettano l´autunno».
«Cos´è una battuta di spirito? Dovrei ridere?».
E accussì era accomenzata la longa ricerca con l´aiuto, non risolutivo, di Catarella.
«Dottori, avrebbi trovato una bitazione come la cerca vossia in contrata Pezzodipane».
«Ma la contrada Pezzodipane è a dieci chilometri dal mare!».
«Vero è, ma in compensativo c´è un laco artificioso».
Opuro: «Livia, avrei trovato un appartamentino proprio grazioso in una specie di residence che si trova...».
«Appartamentino? Ti avevo detto, chiaramente, una casa».
«E l´appartamentino non è una casa? Che è, tenda?».
«No, l´appartamento non è una casa. Siete voi siciliani che fate confusione e chiamate casa un appartamento, mentre quando io dico casa intendo casa. Vuoi che mi spieghi meglio? Devi cercare una villetta unifamiliare».
Nelle agenzie di Vigata gli avivano riduto ´n facci.
«E lei, il sedici luglio, pretende di trovare per il primo d´agosto una villetta a mare? Ma è tutto già affittato!».
Gli avivano ditto di lassare il nummaro di telefono: se per caso all´ultimo minuto qualchiduno dava la disdetta, l´avrebbero avvertito. E il miracolo capitò quanno proprio ci aviva perso le spranze.
«Pronto dottor Montalbano? Qui è l´agenzia Aurora. Si è resa libera una villetta come la cerca lei. È a Marina di Montereale, località Pizzo. Ma dovrebbe passare subito, stiamo per chiudere».
Aviva lassato ´n tridici un interrogatorio e si era precipitato. Dalle fotografie, pariva proprio precisa come la voliva Livia. Con il signor Callara, il proprietario dell´agenzia, erano ristati d´accordo che all´indomani a matino, verso le nove, sarebbero vinuti a pigliarlo per fargli visitare la villetta che era dalle parti di Montereale, a manco deci chilometri di distanza da Marinella...
...Ci si arrivava lassando la provinciale e pigliando una trazzera in salita lungo la quale c´erano solamente una casuzza rustica, un´altra casuzza tanticchia meno rustica e, alla fine, il villino.
Era una zona squasi mancante d´àrboli e di piante, arsa dal soli.
Ma quanno s´arrivava al villino, ch´era situato in cima a una specie di granni muntarozzo, la vista di colpo cangiava. Una billizza! Sutta, a dritta e a manca, c´era la spiaggia d´oro, punteggiata da qualichi raro ombrellone, e davanti un mare chiaro, aperto, accogliente. Il villino, tutto a pianoterra, aviva proprio dù càmmare di letto, una granni matrimoniale e una cchiù nica con un lettino, il salone con finestre rettangolari che si vidiva sulo cielo e mari ed era macari dotato di televisore. La cucina era spaziusa e munita di un enorme frigorifero. E c´erano macari dù bagni. E po´ una terrazza che non aviva prezzo, bona per mangiaricci la sira.
«Mi sta bene» disse il commissario. «Quanto viene?».
«Guardi, dottore, noi non affittiamo un villino cosi per quindici giorni, ma trattandosi di lei...».
E sparò una cifra ch´era una mazzata. Montalbano non accusò minimamente il colpo, tanto Laura era ricca assà e potiva contribuire a sollevare la povertà del sud.
«Mi sta bene» ripitì.
Visto che le cose stavano accussi, il signor Callara, che si sintiva sperto, addecise di rilanciare.
«Naturalmente, a parte ci sarebbero da conteggiare...».
«Naturalmente, a parte non c´è niente da conteggiare» disse Montalbano che non voliva passare pi fissa.
«Va bene, va bene».
«Come si scende alla spiaggia?».
«Guardi, lei esce dal cancelletto del terrazzo, fa dieci metri e lì inizia una scaletta di tufo che la porta giù. Sono cinquanta gradini».
«Può aspettarmi una mezzoretta?».
Il signor Callara lo taliò ‘mparpagliato.
«Se è proprio una mezzoretta...».
Di farisi una gran natata in quel mari che pariva chiamarlo, Montalbano l´aviva propio addìsidìrato appena l´aviva viduto. Se la fici in mutanne.
Al ritorno, tempo d´acchianare i cinquanta gradini che il soli l´aviva già asciucato...
Andrea Camilleri
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 20.4.2006
La trama
Giallo civile in una Sicilia tetra

Salvo Montalbano, ormai alla sua decima avventura, smania sempre più d´insofferenza, di nirbùso, di càvudo. La "vampa d´agosto", come recita il titolo del nuovo romanzo di Andrea Camilleri (Sellerio, 272 pagine, 11 euro, da oggi in libreria), non gli concede tregua: diventa foco diavolisco, che mette in stallo malignamente la sua lucidità, facendo pesare ancor di più al commissario di Vigàta la vecchiaia che incalza impietosa. Ad arroventare ulteriormente un agosto infuocato, ci pensa una casa stregata: quella in cui vanno a villeggiare gli amici di Livia, fidanzata storica del commissario, sempre più acida e permalosa. Casa prima invasa da orrende blatte (elevate agli onori dell´altare letterario da Landolfi); poi dai topi e infine dai ragni. Viene alla mente, a questo proposito, "Casa di Matrjona" di Solgenitsin, racconto ambientato in una fatiscente magione infestata da topi e scarafaggi. Si tratta dell´irruzione dell´inatteso, del rimosso. Segno di qualcosa di orribile che sta per accadere.
Disgustosa epifania di un sottosuolo che viene a galla, portandosi appresso le scorie immonde della coscienza. E l´impensabile non si fa del resto attendere: questa volta si tratta di un cadavere, quello di una ragazza, rinvenuto nel pianoterra del villino, sapientemente occultato perché abusivo. E tutto il romanzo diventa una sofferta discesa agli inferi, una claustrofobica catabasi: a Montalbano, a un certo momento, comincia a mancare il respiro. E anche se i cortocircuiti della sua mente sono sempre più lenti, le illuminazioni meno frequenti, il commissario di Vigàta è l´unico a percepire che attorno a lui si fa formando «un ambiente cupo, viscido, privo d´aria, maligno. Un luogo, anzi un non luogo, dove ogni orrore, ogni infamia» è possibile. Manco a dirlo, quel pianterreno nascosto, coperto dalla terra battuta, è per metonimia, la Sicilia, un´isola dannata a un´oscurità senza fine. A un´abiezione infernale.
La parte per il tutto, dunque: il giallo dismette le vesti del divertimento enigmistico, per traghettare il lettore in una palude immonda. Fatta di parentele perigliose, di collusioni tra mafia e politica, tra mafia e imprenditoria, tra politica e banche, tra banche riciclaggio e usura. «Che balletto osceno! Che foresta pietrificata fatta di corruzione, imbrogli, malaffare, indegnità, affarismo!». E fatta di abusivismo, piaga storica della Sicilia occidentale: se da questo romanzo si dovesse ricavare il solito sceneggiato televisivo, lo scenario di Ragusa Ibla e di Scicli sarebbe del tutto fuori luogo. Meglio, di certo, Porto Empedocle e Agrigento. «Commissario mio - dice Spitaleri, il geometra che ha progettato il villino degli orrori, rivolgendosi a Montalbano - l´abusivismo da noi direi che è doveroso per non passare da imbecille agli occhi degli altri. Lo fanno tutti!». Spitaleri è il cognato del sindaco di Vigàta e paga in parti uguali il pizzo tanto ai Cuffaro quanto ai Sinagra, le due famiglie mafiose della città: ecco perché riesce a vincere il novanta per cento degli appalti comunali. Al geometra piace la carne fresca, va matto per le fanciulle in fiore: su di lui si concentrano i sospetti di Montalbano e compagni, che però non tralasciano nessuna possibile pista: da qui gli interrogatori dei muratori, impegnati nel seppellimento del pianterreno abusivo, e del capocantiere. Alla fine, solo un´intuizione di Montalbano fugherà le tenebre del dubbio e dell´impotenza, facendo quadrare i conti di un romanzo dal congegno perfetto, da allineare ai titoli migliori di Camilleri: "La forma dell´acqua", "Il cane di terracotta", "Il ladro di merendine", "La voce del violino". Bentornato, dunque, Montalbano: con qualche anno in più, ma in perfetta forma letteraria. Ma non finisce qui. Camilleri ha già pronti due nuovi libri sul commissario, gli ultimi, che Sellerio ha già in cassaforte.
Salvatore Ferlita
 
 

La Stampa, 20.4.2006
Anteprima. Il nuovo giallo di Camilleri, «La vampa d’agosto»: nella torrida estate siciliana una storia di passione inquieta il commissario
Oggi in libreria edito da Sellerio
“Ma no, Livia, qua d’agosto, col caldo che fa, macari gli assassini aspettano l’autunno”, dice Montalbano all fidanzata Livia, nelle prime pagine di “La vampa d’agosto”, il nuovo giallo di Andrea Camilleri, decimo della serie incentrata sul celebre commissario portato sul piccolo schermo da Luca Zingaretti, che esce oggi da Sellerio (pp.288, E 11). Gli assassini aspetteranno forse tempi meno canicolari, ma i misteri sono sempre in agguato per il protagonista, in questa storia che un po’ ricorda il secondo romanzo della fortunata serie, “Il cane di terracotta”, pubblicato nel 1996. […] Nelle pagine del nuovo romanzo che qui anticipiamo si racconta la scomparsa di un bambino di tre anni, figlio di amici di Livia venuti a Vigàta pr le vacanze. Un mistero presto risolto, che però dà l’avvio a una storia ricca di sorprese.

Montalbano, il picciliddro scompare
Quanno ognuno finì di fari i fatti sò, s’arritrovarono nel terrazzo, Guido chiuì la porta-finestra, niscero, Guido chiuì il cancelletto, pigliò l’ombrellone pirchì toccava a lui portarlo essenno omo, e s’addiressero verso la scaletta di tufo che portava alla spiaggia. Ma prima di accomenzare la discesa, Laura si taliò torno torno e doppo spiò:
«Ma dov’è Bruno?».
«Forse ha cominciato a scendere da solo» disse Livia.
«Oddio, ma Bruno da solo non ce la fa, lo devo sempre tenere per mano!» fici Laura tanticchia prioccupata.
Si sporgero a taliare. Da lì si vidivano una vintina di gradini, po’ la scaletta girava. Bruno non era a vista.
«È impossibile che abbia potuto scendere di più» disse Guido.
«Vai a vedere, per carità! Può essere caduto!» fici Laura che principiava ad agitarsi.
Guido, seguito dalle taliate di Laura e di Livia, scinnì di cursa, scomparse alla curva, riapparse alla curva doppo manco cinco minuti.
«Ho fatto tutta la scala. Non c’è. Andate a guardare in casa, forse l’abbiamo chiuso dentro» fici a voci alta, col sciatone.
«Ma come facciamo? Le chiavi ce l’hai tu!» disse Laura.
Guido, che aviva circato di sparagnarisi l’acchianata, arrivò santianno, raprì il cancelletto e la porta-finestra. E fu subito un coro:
«Bruno! Bruno!».
«Quest’imbecille di bambino è capace di starsene nascosto sotto a un letto una giornata intera solo per farci un dispetto» disse Guido che accomenzava a perdiri la pacienza.
Lo circarono casa casa, sutta ai letti, dintra all’armuàr, supra all’armuàr, sutta all’armuàr, nel ripostiglio delle scupi, nenti. E a un certo momento Livia fici:
«Ma neanche Ruggero si vede...».
Era vero. Il gatto, che di solito sinni stava pedi pedi, come ben sapiva Guido, pariva scomparso macari lui.
«Quando lo chiamiamo, di solito Ruggero o viene o miagola. Proviamo a chiamarlo» suggerì Guido.
Era una pinsata logica: dato che il picciliddro non parlava, l’unico che in qualichi modo potiva arrispunniri era il gatto.
«Ruggero! Ruggero!».
Nisciuna risposta gattigna.
«Allora Bruno dev’essere fuori» concluse Laura.
Niscero tutti fora a circare torno torno alla casa, controllarono dintra alle dù auto parcheggiate, nenti.
«Bruno! Ruggero! Bruno! Ruggero!».
«Forse si sarà incamminato sulla straduccia che porta alla provinciale» suggerì Livia.
La reazione di Laura fu subitanea:
«Ma se arriva fin lì... Oddio, lì c’è un traffico tremendo!».
Allura Guido montò in machina e si fici la stratuzza che si collegava alla provinciale, a passo d’omo, talianno a dritta e a manca. Arrivò fino allo sbocco nell’altra strata, tornò narrè e vitti che davanti alla porta della casuzza rustica ora c’era un viddrano cinquantino, malo vistuto, ’n testa una coppola lorda, che taliava ’n terra con tanta attenzione che pariva contare le formicole.
Guido fermò, si sporgì dal finestrino.
«Senta...».
«Eh?» fici l’omo isando la testa e sbattenno le palpebre come uno che si arrisbiglia allura allura.
«Ha visto per caso passare un bambino?».
«Cu?».
«Un bambino di tre anni».
«Pirchì?».
Che cavolo di domanda era? – si spiò Guido che aviva i nerbi addivintati sensibili. Ma arrispunnì:
«Perché non lo troviamo più».
«Ahi ahi!» disse il cinquantino facenno di colpo la facci prioccupata e girannosi di tri quarti verso la casa.
Guido strammò.
«Che significa ahi ahi, mi scusi?».
«Ahi ahi significa ahi ahi e basta. Io a chisto picciliddro non l’ho viduto e comunque nenti nni saccio e nenti nni vogliu sapiri di ’sta storia» disse risoluto l’omo trasenno in casa e chiuenno la porta.
«Ennò! Senta!» fici Guido arraggiato. «Non è questo il modo di rispondere! Lei è un maleducato!».
Aviva gana d’attaccare turilla e darisi tanticchia di sfogo. Scinnì dalla machina e andò a tuppiare alla porta, la pigliò a càvuci, ma non ci fu verso, la porta ristò chiusa. Santianno rimontò in machina, partì, passò davanti all’altra casa, quella che aviva un aspetto decente, gli parse vacante, proseguì e tornò al villino.
«Niente?».
«Niente».
Laura abbrazzò a Livia e si misi a chiangiri.
Andrea Camilleri
 
 

La Stampa, 20.4.2006
«Prima dell'addio taglio a pezzi il mio personaggio»
«Ho già consegnato a Elvira Sellerio i prossimi due romanzi, compreso quello finale. In mezzo, forse, ne pubblico anora uno, poi smetto»
«Parto sempre di fatti di cronaca e li elaboro a mente. Per scrivere mi bastano tre settimane. Devo frenare il computer, altrimenti mi finisce il lavoro da solo»

E dieci. Con “La vampa d'agosto” la serie di Mon­talbano (senza contare le raccolte di racconti) rag­giunge il fatidico numero che nella filosofia pitagorica condensa ogni perfezione. È tem­po di un bilancio. Dieci romanzi in dodici anni, mentre in Italia crollava un sistema politico e ne abortiva un altro, e lui, il com­missario, passava dalla piena maturità alle soglie della vec­chiaia, con tutte le crisi e i problemi connessi.
Camilleri, che cosa ha rap­presentato per lei Montalba­no?
«Potrei dire che mi è servito innanzitutto da battistrada per i romanzi storici e civili, a cui tengo moltissimo. Ma sarebbe riduttivo. Seguire un personag­gio che invecchia nel tempo e attraverso le situazioni è un buon esercizio. Per me è una sorta di linfa vitale, mi dà più libertà consapevolezza nella scrittura. Devo farla assoluta­mente questa piccola innovazio­ne continua, altrimenti mi ritroverei con un personaggio seriale davvero noioso: di quelli che quando hai letto un romanzo, li ha iletti tutti».
Il commissario è cambiato fisicamente ma anche carat­terialmente: in meglio o in peggio?
«Montalbano non ha mai avuto un buon carattere. Ma non so dire se adesso è diventato più comprensivo. E uno che quando vuole capire capisce, avevo scrit­to nel primo romanzo. Adesso capita più spesso che si rifiuti di. capire, c'è un irrigidimento. In parte è dovuto al fatto che ha passato la vita dietro a dei cretini, come lui stesso dice una volta: perché i delinquenti sono quasi sempre dei cretini, e non è una bella cosa avere a che fare con i cretini. Per questo a Mon­talbano interessano di più le indagini dove non c'è da ricerca­re un assassino, come nel “Cane di terracotta” o nella “Pazienza del ragno”».
Ma dica la verità: con il suo personaggio si diverte anco­ra?
«Sempre. Nel momento in cui non mi divertissi più, in cui scoprissi di avere difficoltà a scrivere, smetterei. Ed è in previ­sione di quel momento che ho già consegnato a Elvira Sellerio, lo scorso autunno, l'episodio finale della serie, quello in cui il com­missario uscirà di scena, senza però morire».
Il romanzo numero x: quan­ti ne vedremo ancora, nel frattempo?
«Uno è già pronto e titolato: ”Il campo del vasaio”. Non so quando Elvira lo farà uscire, forse a ottobre. Con “La vampa d'agosto”, rappresenta un ulteriore passo verso la scomposizione del perso­naggio, qui in crisi personale, là in crisi sempre più grave nei confronti della polizia: è come se lo volessi tagliare pezzo a pezzo, un preludio alla definitiva scom­parsa letteraria».
E poi?
«Ancora un altro romanzo, cre­do, e poi tiro fuori l'ultimo. Ma non ho ancora definito quali nuove vie prenderà la sua crisi, c'è il rischio che se comincio a pensarci ora non riesco più a scrivere altro. Invece adesso un po' di respiro fino alla fine del­l'anno ce l'ho... ».
Come nascono le storie di Montalbano?
«Nascono sempre da un fatto di cronaca. Per esempio lo spunto per “La vampa d’agosto”, dove sotto una villetta, in seguito alla scomparsa di un bambino, si trova un cunicolo pieno di sorprese, da cui poi si sviluppa tutta la vicenda, mi è venuto da un fatto autentico accaduto a un carissimo amico. Aveva affittato una bella villa a un piano, di recente costruzione, per le vacanze al mare con moglie e figlio. L'anno seguente mi raccontò che il bambino, scavando una buca nel terreno argilloso, aveva scoperto sotto il pianterreno un altro ap­partamento finito in tutto e per tutto, pronto per essere abitato. È una cosa che succede, in Sicilia: si ottiene la licenza per edificare un piano, poi quando viene il condono si apre l'apparta­mento nascosto. Posso dire che le idee mi si presentino da sole. Io poi le modifico e rielaboro».
Come procede?
«Non ho mai preso appunti, vado avanti a mente, per arricchimen­ti successivi. Quando sono arriva­to a metà, ma soprattutto quan­do vedo la possibilità di organizzare il materiale nei miei schemi abituali - un certo numero di capitoli, tutti della stessa lun­ghezza - capisco che la bollitura è al punto giusto e calo la pasta».
E la fa cuocere...?
«In genere tre settimane. Scrittu­ra quotidiana, dalla mattina presto fino alle l0 e mezzo-undici. C'è la prima stesura, poi tutto il lavoro di sartoria al computer. Il taglia-copia-incolla è uno stru­mento spassosissimo. Bisogna frenarla, la macchina, altrimenti finisce il romanzo da sola».
Maurizio Assalto
 
 

Il Messaggero, 20.4.2006
L'anticipazione
Torna Montalbano, e “avvampa”
Montalbano, nuove avventure sotto il torrido sole di Sicilia

Prima di metterla in moto il capo pompieri volle che veniva alleggerito il piso dell’arenaria che gravava supra il percorso del fosso. Tri pomperi, con le pale a mano, si misiro a scavari lungo il fianco del villino. Mittivano la terra in tri carriole che i loro compagni scaricavano a una decina di passi di distanza.
Avivano scummigliato una trentina di centimetri d’arenaria che ebbero una sorpresa. Indove avrebbero dovuto accomenzare le fondamenta del villino, principiava invece un altro muro, perfettamente ’ntonacato. Per non fari arrovinari l’intonaco dall’umidità, erano stati impiccicati supra al muro, a protezione, fogli di nylon spesso.
Insomma, era come se il villino continuava, tutto ’ncartato, sottoterra.
«Scavate tutti sotto alla finestra del bagno piccolo» ordinò il capo pomperi.
E a picca a picca, si delineò la parte superiore di un’altra finestra che era perfettamente allineata a quella di supra. Non aviva infissi, era un riquadro rettangolare protetto da doppi fogli di nylon.
«Ma qui sotto c’è un altro appartamento!», fici Guido strammato.
E a questo punto Montalbano accapì ogni cosa.
«Basta, scavare!» ordinò.
Tutti si fermarono e lo taliarono interrogativi.
«Qualcuno ha una torcia?» spiò.
«Gliela vado a prendere!» fici uno dei pomperi.
«Rompete il nylon in corrispondenza della finestra!» ordinò ancora il commissario.
Abbastarono dù colpi di pala. Il pomperi gli portò la torcia.
«Restate tutti qua» disse, scavalcanno il davanzale. Di subito, non ebbe bisogno d’addrumare la torcia, la luci che venniva dalla finestra era cchiù che bastevole.
S’attrovava in un bagno nico, esattamente uguale a quello che c’era al piano supra, ed era un bagno già bell’e pronto, col pavimento, le piastrelle, la doccia, il lavabo, la tazza e il bidè.
Mentre stava a taliare torno torno, spiannosi intento che viniva a significare quella facenna, qualichi cosa gli sfiorò una gamma, facennolo satare in aria per lo scanto.
«Rrrmau» gli fici Ruggero.
«Bentrovato» disse il commissario.
Addrumò la torcia e seguì l’armàlo che lo portò nella càmmara allato.
Lì il piso della terra aviva sfonnato il nylon che protiggiva la finestra e la càmmara era addivintata un pantano.
Ma Bruno era lì. Addritta in un angolo, tiniva l’occhi ’nserrati. Aviva un tagli ’n fronti e trimava tutto come per la fevri terzana.
«Bruno, sono io, Salvo» fici a voci vascia il commissario.
Il picciliddro raprì l’occhi, l’ariconobbe, gli currì incontro a vrazza stisi, Montalbano l’abbrazzò e Bruno si misi a chiangiri.
E fu allora che nella càmmara trasì Guido che non ce l’aviva fatta cchiù ad aspittari.
«Livia? Bruno è salvo».
«È ferito?».
«Ha un taglio in fronte, ma niente di grave, credo. Comunque, Guido lo sta portando al pronto soccorso di Montereale. Dillo a Laura e, se vuole, accompagnala lì. Io vi aspetto tutti qua». I
l capo pomperi stava niscenno scavalcanno la finestra dalla quale era trasuto lui. Pariva ’mparpagliato.
«Ma qua sotto c’è un appartamento perfettamente identico a quello di sopra. C’è persino il terrazzo protetto da uno steccato! Basta mettere gli infissi esterni e interni, che sono accatastati in salone, e diventa abitabile in un attimo! Pensi che c’è persino l’acqua funzionante! Ed è predisposto l’allaccio della luce! Ma non riesco a capire perché l’hanno sotterrato!».
Montalbano però si era fatto preciso concetto.
«Io credo d’avere capito. Sicuramente in origine è stata concessa una licenza edilizia che contemplava la costruzione di un villino senza nessuna possibilità di sopraelevazione. Il proprietario invece, d’accordo col progettista e direttore dei lavori, ha fatto costruire il villino così come ora lo si vede. Dopo, ha fatto coprire con l’arenaria il pianoterra. E così solo il piano superiore è restato visibile, diventando a sua volta pianoterra».
«Sì, ma perché l’ha fatto?».
«Aspettava l’arrivo di un condono edilizio. Appena sarebbe stato varato dal governo, lui, in una notte sola, avrebbe fatto levare la terra che nascondeva l’altro appartamento e si sarebbe precipitato a fare domanda di condono. Altrimenti rischiava, anche se dalle nostre parti è molto improbabile, che qualcuno ne ordinava l’abbattimento».
Il capo pomperi si misi a ridiri.
«Ma quale abbattimento! Qua ci sono interi paesi abusivi!».
«Sì, ma ho saputo che il proprietario viveva in Germania. Capace che si era scordato delle nostre belle usanze e si era fatto persuaso che qua il rispetto della legge era uguale a quello che c’era a Colonia».
Il capo pomperi non parse pirsuaso.
«D’accordo, ma questo governo ne ha fatti di condoni su condoni! Come mai allora...».
«Ho saputo che è morto da qualche anno».
«Che facciamo? Rimettiamo le cose a posto?».
«No, lasciate tutto così. Può portare conseguenze?».
«Al piano di sopra, dice? Nessuna».
«Voglio far vedere questo bel lavoro al proprietario dell’agenzia che ha affittato il villino».
Andrea Camilleri
 
 

Il Messaggero, 20.4.2006
Un bimbo scomparso e un delitto nella villa “sepolta”

E’ il “gran càvudo“ dell’estate siciliana, quella di Brancati e di Patti, il suo calore torrido e il sole a picco che ottenebra i sensi. E’ una vera e propria vampa, "La vampa d’agosto" (Sellerio, 288 pagine, 11 euro: da oggi in libreria) quella raccontata da Andrea Camilleri attraverso “l’emotività amorosa” che infiamma il suo Montalbano giunto cinquantacinquenne alla decima avventura, con la nostalgia della giovinezza che lo azzanna e il fiato dell’incipiente vecchiaia che lo incupisce. Nell’agosto in cui è costretto a rimanere a Vigàta, Montalbano si trova coinvolto nella misteriosa scomparsa di un bambino in una villa sul mare con un suo imbarazzante ”pianterreno”. Qui si accede attraverso un cunicolo dal giardino e, in un baule, è nascosto il cadavere di una ragazza scomparsa sei anni prima. Parte l’inchiesta deviata dalle “attenzioni” interessate che a Montalbano riserva una splendida ventiduenne. E tutto dentro una ragnatela di connessioni criminali che ruota intorno al villino dell’omicidio, un vero grumo di “parentele perigliose, collusioni tra mafia e politica, tra mafia e imprenditoria, tra mafia e banche, tra banche riciclaggio e usura”. E sotto l’occhio un po’ allucinato di Salvo, avvampato e ferito dal registro di una doppia rivelazione che gli mostra un sé che lo umilia, ”alluciato dalla bellezza e perso darrè a quella gioventù che l’imbriacava”.
(R.M.)
 
 

Vanity Fair, 27.4.2006 (in edicola 20.4.2006)
Vanity cenere
La morte, che cosa disdicevole
Alla sua fine, Andrea Camilleri non vuole pensare (infatti beve sempre una bottiglia di birra a colazione). Quella di Montalbano, invece, l’ha già scritta. Così, appena si stufa di lui, zac!

“E’ stanco?”, domando, “Ho desiderio di sonno” risponde Camilleri.
L’appuntamento era fissato da tempo per la mattina dell’11 aprile, a poche ore, quindi, da quella che si è rivelata una lunghissima notte elettorale. Camilleri, 81 anni a settembre, aveva preso l’impegno di scrivere un articolo di commento al voto per la rivista Micromega.
“Ho seguito i risultati fino ad una certa ora, poi mi sono stufato: il dato importante era che chiunque avesse vinto si sarebbe trovato di fronte ad un compito spaventoso. Così ho scritto, spedito e me ne sono andato a letto”, spiega.
Rapido come al solito. Ma come si fa a scrivere così velocemente? Tenere a mente il conto dei suoi libri, dal primo “Un filo di fumo” dal 1980, a oggi è praticamente impossibile. “Il numero esatto non me lo ricordo neppure io (la casa editrice Sellerio sì: sono 37, ndr). Ma non scrivo affatto velocemente. Semmai ho molto tempo da dedicare alla scrittura: circa tre ore al mattino, dalle sei e mezza alle dieci, più qualche oretta nel corso della giornata. La mia rapidità è un’impressione e rispetto a Balzac, che ha scritto 96 libri in 20 anni, sono lentissimo”.
Negli scaffali che circondano il minuscolo ufficio della sua casa romana, una sezione piuttosto ampia è dedicata solo alle sue opere: l’ultima arrivata è una traduzione russa del “Cane di terracotta”, la prossima sarà “La vampa d’agosto”, decima puntata nella saga del Commissario Montalbano, che Sellerio pubblica il 20 aprile. E sempre di Montalbano, ci sono altre due storie già pronte.
“Ma da rivedere, sia l’undicesima che la dodicesima, quella finale, dopo la quale non ci sarà più Montalbano. Un anno fa mi è venuta in mente l’idea di come potesse essere la sua fine, e l’ho scritta. Meglio non aspettare: a 80 anni non mi fido più di me stesso“.
Ha paura di morire?
“Fino a cinque, sei anni fa riuscivo a scrivere contemporaneamente due romanzi, ora posso fare solo una cosa per volta, altrimenti, nella mia testa, le trame si confondono, stingono l’una sull’altra come quando si sbaglia a fare il bucato. Questa mia incapacità mi ha un po’ inquietato, anche perché io sono un uomo che ama l’ordine, e non mi piacerebbe lasciare Montalbano in tredici”.
In tredici?
“E’ un modo di dire siciliano, vuol dire “sospeso””.
E’ vero che l’ultimo Montalbano sta chiuso nella cassaforte della Sellerio?
“Veramente io una cassaforte in casa editrice non l’ho mai vista”.
E ha deciso che venga pubblicato postumo?
“No. Lo pubblicherò quando Montalbano non m’interesserà più. Non so quando succederà. Di certo c’è solo il capitolo che esce adesso, quello successivo che si intitola “Il campo del vasaio” e quello finale. Ma prima di arrivarci può darsi che mi venga voglia di scriverne ancora. Ammetto che ormai il nostro rapporto è piuttosto usurato: è normale che succeda, con un personaggio seriale. Anche se il vantaggio di Montalbano è che invecchia pure lui, non come Maigret di Simenon: settantadue romanzi, sempre uguale. Dopo uno si chiede: ma questo non cambia mai?”.
Nel romanzo che esce adesso il commissario ha 55 anni. A che età ha deciso di farlo morire?
“Verso i 60. Perché, a differenza delle persone, ai personaggi si può mettere la parola fine quando vogliamo”.
Anche agli essere umani, volendo.
“Sono sempre stato favorevole all’eutanasia. Ho visto soffrire atrocemente molte persone care, tenute in vita non si sapeva perché, visto che i medici avevano detto che non c’era nessuna speranza di sopravvivenza”.
Ha mai chiesto ai suoi familiari nel caso, di aiutarla a morire?
“No, perché uno si augura sempre che la fine arrivi nel modo meno doloroso possibile. Mia nonna, la madre di mia madre, per esempio, è morta splendidamente. Ha 86 anni decise di venire a Roma: non c’era mai stata prima. Su sua richiesta riuscii a farla partecipare ad un’udienza di Giovanni XXIII, poi domandò di poter visitare la Villa di Adriano. La girò tutta, si fermò davanti ad una balaustra, si guardò intorno e, ai due figli che le erano accanto, disse: “Tutto questo è di una bellezza straordinaria”. E morì, lì, in quel momento. Era sempre stata una donna saggia ed ha avuto questa grazia”.
E della serenità con la quale Tiziano Terzani è riuscito a morire, che cosa pensa?
“Solo poche persone eccezionali riescono ad andarsene esattamente come vogliono: la morte, in un certo senso, se la guadagnano. Io non sono allo stesso livello né di mia nonna, né di Terzani, perché mi manca la speranza. La fede, di qualunque tipo, è un grande aiuto”.
E lei non l’ha mai avuta. Eppure molti, avvicinandosi all’epilogo…
“E’ vero, si riaccostano a Dio: mi sembra piuttosto vile, però. No, io resto agnostico, ma è anche vero che, dal punto di vista cattolico, mi considero un mediocre peccatore, se escludiamo il fatto che ho desiderato la donna d’altri e commesso atti impuri”.
Parliamo un po’ di sua moglie Rosetta. Lei ha sempre detto che le fa leggere in anteprima tutti i libri e segue ogni suo consiglio. “Ha cinque anni meno di me, ci siamo sposati nel 1953. Di solito, in un matrimonio, dopo un po’ si crea una certa complicità. Invece, lei, la sua, me l’ha sempre negata. Se in un libro ho fatto un errore, non c’è verso che non me lo faccia notare. Ma, attenzione, non subito. Prima mi dice: “Hai fatto tutto bene.” Poi, dopo due ore, aggiunge, “Però, dovresti riflettere…” e comincia con le sue critiche, atroci. Sa che se mi da torto subito mi infurio, così aspetta che mi rilassi e poi parte all’attacco. E’ spietata. Ma solo per quello che riguarda il mio lavoro, mentre nei confronti della mia vita privata è sempre stata come posso dire? Meno attenta. Volutamente. Credo che sia questa “distrazione” il segreto di un matrimonio duraturo”.
Perché a Montalbano ha dato una fidanzata lontana?
“Oggi è più facile che resistano le relazioni da weekend. Se si fosse sposato, con quel carattere, non sarebbe durata”.
Senza svelare il finale del nuovo libro, possiamo dire che in questo romanzo, il Commissario si fa abbindolare da una bella ragazza.
“C’è un’età, diciamo dopo i cinquant’anni, in cui gli uomini diventano vulnerabili al fascino femminile”.
E c’è anche un’età in cui smettono di esserlo?
“Le garantisco che la pace dei sensi è una balla, io non ci sono ancora arrivato. Però è vero che arriva una fase della vita in cui non si può più usufruire della bellezza di una donna. Fa parte del corso naturale della vita e credo di avere avuto abbastanza saggezza da prenderne atto. Chi cade in depressione per questo è un fesso“.
Ne ricorda qualcuno?
“Molti, a cominciare da Vittorio Gassman”.
Camilleri impila sul bordo del posacenere il sesto mozzicone delle 80 sigarette che dichiara di fumare al giorno. Le spegne tutte a metà, o anche prima.
Fiorello, la prende in giro da anni per questa sua mania del fumo. Lo sente ogni tanto a VivaRadioDue?
“Di rado, perché a quell’ora vado a riposare, però me lo raccontano. E una volta sono andato in trasmissione: ho fatto Fiorello che imitava me. Non so quanti se ne siano accorti, perché non abbiamo detto niente”.
Come vi siete conosciuti?
“Anni fa, per caso, al bar sotto casa (Camilleri abita a due passi dalla sede di Radio Rai, ndr). Mentre firmavo autografi ad un gruppo di studentesse, sento dire: “Sciaralla, Professore”. Sciaralla, in siciliano, vuol dire allegria. Era Fiorello. A quel punto, le ragazze dirottarono su di lui, ma triplicate di numero, così gli dissi: “Tu dici a mia sciaralla?”. E Lui mi diede una risposta bellissima: “Professò, voglio vedere quando io arrivo alla sua età, quante ragazze mi staranno accanto”. Da allora siamo diventati amici”.
Tornando al fumo: quando ha cominciato?
“A diciotto anni dissi a mio padre: “Dammi una sigaretta”. E lui, che ne fumava quante ne fumo io adesso, si era sempre opposto all’idea che cominciassi, me la diede senza dire una parola. Era da anni che volevo provare, ma mi ero ripromesso di aspettare quel momento perché, prima, avrei dovuto farlo di nascosto e non mi andava di fumare chiuso in un gabinetto”.
Ha mai cercato di smettere?
“Sì. Quindici anni fa resistetti per 25 giorni. Poi una sera, andai a cena dal mio medico, ed ero molto nervoso. Allora lui mi disse: “Così non mi fai neppure divertire, fumati una sigaretta, che è meglio”. E ricominciai. Ma guardi che non è una questione di mancanza di volontà. Per anni ho bevuto una bottiglia di whisky al giorno, la cominciavo al mattino e la finivo prima di pranzo, poi basta. Chi mi vedeva solo al pomeriggio o alla sera, poteva benissimo pensare che fossi astemio. Bevevo a digiuno e non mi ubriacavo. Poi, quindici anni fa sono stato male, e ho smesso”.
Perché beveva?
“Mi sono reso conto, molti anni dopo, che avevo cominciato a bere perché ero in crisi, solo che allora non lo sapevo. Ero in una fase in cui il mio lavoro di regista teatrale non mi piaceva più e non sapevo ancora se sarei stato in grado di scrivere”.
E adesso?
“Bevo una bottiglia di birra. Sempre al mattino, a digiuno”.
Ma lei fa di tutto per rovinarsi la salute.
“Non mi sono mai voluto bene, come si dice oggi. Però a parte il fumo i consigli del medico li seguo: cammino 40 minuti al giorno, non mangio carne rossa, uova, insaccati, formaggi, non uso il sale. Due mesi fa commentando le mie analisi, il medico ha detto: “Abbiamo abbattuto il colesterolo”. Pareva Napoleone sul campo di battaglia. Montalbano mi fa invidia, perché lui può ancora permettersi di mangiare”.
Non per molto, visto che lei ne ha già scritto la fine. E la sua, ha mai immaginato come potrebbe essere?
“No. Trovo che la morte sia disdicevole”.
L’intervista è finita, quando arriva un messaggio in segreteria: “Maestro, hanno arrestato Provenzano. Verrebbe a registrare un intervento in televisione oggi pomeriggio alle quattro?”. “Figuriamoci”, dice Camilleri, “Io a quell’ora dormo”.
Non festeggia la cattura?
“Macchè, Provenzano ormai non contava più niente. Saranno stati i nuovi mafiosi, quelli che comandano davvero, a decidere di liberarsene: era anziano, chissà, forse costava troppo di spese mediche!”.
Enrica Brocardo
 
 

Il Tempo, 20.4.2006
Spettacoli
Terence Hill molla Don Matteo e torna con Bud Spencer

Spariscono, l’uno dopo l’altro, i grandi personaggi della fiction televisiva diventati famosi presso il grande pubblico grazie ad attori, non tutti inizialmente noti, che si sono prestati ad impersonarli. Dopo «Il maresciallo Rocca», che ha avuto per cinque serie il volto di Gigi Proietti e di cui per adesso non sono più in progetto altre fiction televisive, rischiano di non avere più futuro in tv altri due amatissimi personaggi della recente fiction: il Commissario Montalbano e Don Matteo. I rispettivi attori, Luca Zingaretti, inizialmente sconosciuto al grande pubblico, e Terence Hill, sembrano infatti aver indirizzato altrove il proprio futuro professionale. Per ambedue è il grande schermo ad avere adesso la priorità sul piccolo. Mentre Zingaretti è proiettato verso un progetto di grande rilievo come il remake del notissimo film di Monicelli «Amici miei», per Terence Hill si profila all’orizzonte il ritorno con Bud Spencer per riformare una delle più amate coppie del grande schermo degli anni Settanta e Ottanta. Per motivi legati alla identificazione con il personaggio televisivo che, secondo un’opinione non sempre condividibile, rischia di limitarne le capacità artistiche e di tarpare le ali alla poliedricità interpretativa, molti attori, scelgono di allontanarsi dai personaggi ai quali pure devono grande popolarità. Una filosofia a cui sembra abbiano oramai irrevocabilmente aderito proprio Luca Zingaretti e Terence Hill. Attualmente stanno andando in onda su Raiuno, il martedì sera, le repliche de «Il commissario Montalbano» che, almeno alla terza apparizione in video, riescono a tenere testa alla concorrenza rappresentata su Canale 5 da «Carabinieri». E i due episodi settimanali della lunga serie «Don Matteo» conferiscono al prime time di Raiuno, il giovedì sera, il grande merito di affrontare con inconsueto vigore, talvolta anche vincendolo, lo scontro con «Il Grande Fratello» presente sulla più blasonata rete Mediaset. Ma dalla settimana prossima la riproposizione dei casi di Montalbano sarà conclusa e due giorni dopo, anche la serie «Don Matteo» avrà esaurito il quinto sequel. Esiste da quel momento la possibilità di non incontrare più, se non nelle repliche, i due personaggi. Con un espediente narrativo Don Matteo nell’ultima puntata, in onda tra sette giorni, verrà spedito in Brasile, tra le favelas, dove si dedicherà all’assistenza ai bambini orfani ed abbandonati. Ovviamente sarà un finale aperto, perché il prete detective sarà in ogni momento pronto a tornare alla sua parrocchia. Magari dopo una pausa che consentirà a Terence Hill di dedicarsi al progetto cinematografico con Bud Spencer che sembra aver oramai preso forma. Il tutto per non rischiare di ripetersi in tv, come lui stesso ha dichiarato. A meno, dunque, di un ripensamento in extremis di Luca Zingaretti, per favorire il quale sta lavorando con impegno la Palomar di Carlo Degli Esposti che produce «Il commissario Montalbano», l’attore si dedicherà ad altri progetti. Il più vicino sembra essere un film con la regia di Neri Parenti che ha firmato per venti anni le pellicole della coppia Boldi- De Sica, il cui titolo, per adesso provvisorio, è «Amici miei ‘400», remake, rivisitato in chiave moderna, del celeberrimo capolavoro di Mario Monicelli «Amici miei». Il cast che si sta mettendo in piedi è di tutto rispetto: i quattro protagonisti infatti dovrebbero essere, oltre Zingaretti, Giorgio Panariello, Gérard Depardieu e Paolo Hendel. E può darsi che dopo Zingaretti trasformi in realtà il suo sogno nel cassetto: passare dall’altra parte della macchina da presa e realizzare un film come regista. Intanto, tra breve, Gigi Proietti, abbandonata la divisa del maresciallo Rocca, il carabiniere più amato d’Italia, si trasforma in un autista nella miniserie in due puntate «Il camionista», presto su Raiuno. La statistica degli attori che ad un certo punto della loro carriera decidono di allontanarsi dal personaggio a cui devono la popolarità è lunga. E comprende, tra gli altri, anche Raoul Bova che ha rinunciato alla terza serie di «Ultimo» ed Alessandro Preziosi che già dopo la prima serie non ha più voluto calarsi nel conte Ristori in «Elisa di Rivombrosa».
Marida Caterini
 
 

AGE, 20.4.2006
TV: Codacons, forse abusiva casa del Commissario Montalbano

Roma. E’ solo una fiction, ma la casa è reale. Ci riferiamo all’abitazione del Commissario Montalbano, protagonista dell’omonima serie di successo trasmessa da Rai1. Il Codacons ha notato infatti che la casa di Montalbano è situata a ridosso della spiaggia di Licata [in effetti di Punta Secca, NdCFC], con un terrazzo che si affaccia direttamente sulla sabbia. “Ci chiediamo – afferma Carlo Rienzi, Presidente Codacons – se quell’abitazione sia costruita a norma di legge, e quindi rispetti la legalità, oppure se sia abusiva o situata in zona non edificabile. Il sospetto viene proprio dalla vicinanza tra l’abitazione e la battigia, in una zona che generalmente è considerata del demanio”. L’associazione invita quindi i Vigili di Licata a verificare la situazione effettuando un sopralluogo presso l’abitazione “televisiva” del Commissario Montalbano. “Sarebbe paradossale – conclude Rienzi – che una fiction tutta basata sulla legalità avesse scelto come location una costruzione irregolare. In tal caso la Rai farebbe bene a regalare un’altra casa al Commissario Montalbano”.
 
 

La Repubblica, 20.4.2006
In libreria "Ooookey", il nuovo libro sul famoso personaggio radiofonico. Ha collaborato Digei Angelo. In edicola con Repubblica e L'espresso
Una nuova avventura del "Ranzani" di Albertino

[...]
In questa nuovissima opera illustrata il mobiliere più famoso d'Italia racconta come è cambiata la sua vita dopo l'uscita del suo primo bestseller ("Mi hanno chiamato il Benni e il Camilleri per sapere se li potevo aiutare...").
[...]
 
 

New York Times, 21.4.2006
When a Godfather Becomes Expendable
Bernardo Provenzano's arrest in Italy does not spell the end of the Sicilian Mafia or even its decapitation
Andrea Camilleri
 
 

21.4.2006
Andrea Camilleri partecipa alla cerimonia di premiazione dei David di Donatello

Al momento della premiazione del miglior regista, è stato mandato in onda uno spezzone di un vecchio telefilm di Maigret, nei cui titoli di testa si leggeva "delegato di produzione Rai Andrea Camilleri".
Quindi uno due presentatori, Fabio Volo, annunzia (babbiando esplicitamente) che "a consegnare il premio sarà un collega: Andrea Camilleri!".
Il Sommo scende dall'apposita scala meglio di Wanda Osiris, seppure appoggiandosi (secondo noi con grande piacere) al braccio di una bella picciotta.
Il Sommo ha spiegato cosa significasse fare il delegato Rai, e a Volo che lo sfruculiava chiedendogli se avesse voglia di una sigaretta ha risposto, quasi urlando: "Sono due ore che non fumo!" :-DDD
Si va alla dichiarazione del vincitore, e il Sommo ha l'evidente piacere di consegnare il premio a Nanni Moretti, a cui dice "Finalmente ci si conosce".
Nanni Moretti, in seguito, dichiarerà: «Sono felice di ricevere un premio dalle mani di Andrea Camilleri, abbiamo partecipato insieme ad una manifestazione politica qualche anno fa».
 
 

La Repubblica (ed. di Bologna), 21.4.2006
Il festival
Scrittori imitate i registi torna Cinema e Letteratura
"Così il film salvò il libro"
"Le parole dello schermo" attraverso Soldati, Calvino e i giallisti
Si svolgerà dal 27 al 30 giugno in vari luoghi. E offrirà anche uno spettacolo sul bus di Mellara & Rossi

Con un omaggio a Mario Soldati e uno a Italo Calvino, con un inedito a quattro mani di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, con uno spettacolo sull´autobus di Mellara & Rossi, con uno sguardo alla cinematografia della Turchia, con la ripresa di "Ritratto del Novecento" di Edoardo Sanguineti, con una nuova maratona notturna fantascientifica guidata da Valerio Evangelisti, e corollario di convegni e protagonisti italiani e no (Ermanno Olmi, Vincenzo Cerami, Sabina Guzzanti, Ronald Harwood...), ritorna, dal 27 al 30 giugno, il festival di Cinema e Letteratura "Le parole dello schermo".
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Soldati, «intellettuale dimenticato», come ha detto di lui Gian Luca Farinelli, ammirevole viaggiatore dello sguardo e della parola, è l´arco che all´interno del festival collega il passato al futuro. Sul presente si concentrano gli interrogativi. E anche qualche celebrazione: ad esempio l´inedito “A quattro mani” di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, documentario diretto da Matteo Raffaelli e racconto realizzati a quattro mani dai due scrittori, tra Agrigento Palermo Roma e l´Emilia-Romagna, prodotti e pubblicati da Minimum Fax, presentati in anteprima a Bologna.
[...]
Ma, aldilà di questo, «Perché - si è chiesto Guglielmi - il cinema e la letteratura non sanno raccontare il presente? Perché cinematografie di paesi sofferenti, com´è il caso della Turchia, lo sanno fare? E perché da noi lo sa fare meglio la televisione?». La risposta dovrebbe giungere da uno dei dibattiti in programma, che riunirà scrittori (Carlotto, Evangelisti, De Cataldo...), cineasti e anche autori televisivi. Ma anche è vero che proprio questa stagione ha visto film come "Il Caimano" di Nanni Moretti, il documentario di Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani "Quando c´era Silvio", "Viva Zapatero!" di Sabina Guzzanti, "Romanzo criminale" di Michele Placido, divenire veri e propri «casi» per consenso o mobilitazione di pubblico e di opinioni.
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Brunella Torresin
 
 

L'Arena, 21.4.2006
Un poliziotto dal cuore tenero
Duro, deciso e di poche parole

Un successo senza paragoni in editoria e sul piccolo schermo

[...]
I fans "televisivi" del commissario confidano che Luca Zingaretti ritorni sulla decisione di "abbandonare" il suo personaggio più riuscito. Una scelta artistica che ha lasciato spiazzati tutti i fan del poliziotto nato dalla penna di Andrea Camilleri, ma, forse, prima della parola fine c’è ancora uno spiraglio. «Credo che bisognerà trattare con Luca Zingaretti, lui aspettava da tanto tempo di poter annunciare la fine di Montalbano» - sostiene Cesare Bocci che nella serie interpreta Mimì Augello e che il 5 maggio debutterà in teatro, al fianco di Lorella Cuccarini, nel musical «Sweet Charity». «Come appassionato - dice - spero che Montalbano si rifaccia, ma non spetta a me decidere. Comunque se si rifarà non sarà prima dell’autunno 2006, per potere andare in onda nella primavera successiva».
 
 

Corriere della sera (ed. di Roma), 22.4.2006
Tenacia, coraggio, fantasia le armi di chi vuole raccontare storie: «Ed essere letto dal maggior numero possibile di persone»
Camilleri «Dracula»: diffidate della tv
Lo scrittore agli studenti della media Belli: «Incontrarvi mi rigenera»

«Andare nelle scuole mi fa sentire un vampiro. Una sorta di Dracula» confida Andrea Camilleri. Un vocione scaturito a ignote profondità, lo costringe a pescare tra personaggi di autorevole potenza: «Incontrare dei ragazzi mi rinnova, rigenera il mio modo di pensare» dice durante un incontro incantatore con gli studenti della scuola media G. Belli di Mazzini. Due ore in aula magna tra Montalbano, il giallo, la guerra e le menzogne. «Davanti alla televisione dovete proteggetevi. Portatevi sempre dietro "l’ombrello" della ragione» suggerisce lui (tra i bambini seduti in platea c’è il nipote e lui si fa premuroso). La tenacia, la scrittura e Camilleri: autobiografia di uno scrittore errante attraverso professioni diverse (teatro, televisione e narrativa) ma sempre con la medesima immaginazione.
L’episodio iniziale potrebbe intitolarsi il «Tappo dello scrittore». «Il mio primo romanzo l’ho scritto a quarant’anni. Decisi di spedirlo a tutti gli editori italiani. E tutti, concordemente, mi risposero che non era pubblicabile. Una schifezza dicevano. Da allora non scrissi più nulla. Dieci anni dopo un piccolo editore, accettò. Ricevetti il libro a casa e tenendolo in mano sentii che "il tappo era saltato". Allora ricominciai a lavorare».
La comunicazione: «Chi fa il romanziere desidera comunicare al maggior numero possibile di persone. Altrimenti terrebbe un diario». Un bambino si alza, attraversa l'aula magna, raggiunge il microfono e domanda: «Che bisogna fare per diventare scrittore?» Essere testardo e non aver paura, suggerisce lo scrittore. Ma cos’è il vero terrore, «l’orrido» secondo Camilleri? «Un aereo stracolmo e un teatro con un unico spettatore in platea». Emozioni dalla sua prima vita di regista, rielaborate. Il teatro o «la macchina del tempo», come lo chiama, è qualcosa da amare ogni giorno: «Voi entrate, vi sedete e siete in tanti. Piomba il buio e diventate una comunità di passeggeri su un veicolo spazio temporale». La scrittura come equazione: «Provate a scrivere su un foglio una frase tratta da un libro che vi è piaciuto. Rileggetela. Poi fatevi delle domande. Perché il verbo è proprio lì o il soggetto da quell’altra parte. Scrivetela diversamente. Alla fine vi accorgerete che quella frase, scritta in quel modo, era l'unica soluzione possibile. Non poteva essere scritta diversamente». L’immaginazione, la velocità e il movimento condensate in uno stesso vocione. Qualcuno in platea si estranea e poi ricompare con domande in libertà. «Ma a lei piace Zingaretti?». Risposta: «È un truffatore come tutti i bravi attori. Sono lì per farti credere di essere la migliore identificazione di quel personaggio». Invece a una ragazzina che chiede se è soddisfatto del Montalbano televisivo, racconta questa: «L’americano James Cain, lo scrittore del libro noto come "Il postino suona sempre due volte" vendette i suoi diritti al cinema. Luchino Visconti per primo, realizzò un bellissimo film "Ossessione". Anni dopo, in America ne fu girato un altro. Un amico di Cain, andò a vederlo e gli disse: "Non sai in che modo hanno ridotto il tuo libro..." Allora Cain si alzò, prese un volume e rigirandolo, disse: "Tutto sommato mi pare sano"». Il mestiere dello scrittore? «È un ladro: ruba da chi lo ha preceduto» Meglio quello di lettore: «Chi legge conclude il lavoro dello scrittore. Un libro non letto è incompleto». Il Camilleri-vampiro, dopotutto, non è venuto solo per rubare.
Ilaria Sacchettoni
 
 

La Sicilia, 22.4.2006
Troppi cretini per il commissario Montalbano

Racconta Andrea Camilleri che lo spunto gli è arrivato grazie a un amico che aveva affittato ai lidi empedoclini una villa per le vacanze. Suo figlio, scavando una buca, aveva finito per scoprire un altro appartamento abusivo, ultimato in tutto e per tutto e pronto per essere abitato. «Una cosa che succede spesso dalle nostre parti - spiega lo scrittore - Si ottiene la licenza per edificare un piano poi, quando arriva il condono, si apre l'appartamento nascosto e si raddoppia!».
Il decimo giallo del commissario Montalbano, da ieri in libreria, si intitola «La vampa d'agosto» e racconta l'ennesima storia d'inquietudine e passione, con tanto di scomparsa di un bimbo di tre anni, figlio di amici di Livia in vacanza a Vigata. Sarà l'avvio di una storia ricca di sorprese. Dunque, Montalbano è un personaggio ormai racchiuso in 10 romanzi (numero che nella filosofia pitagorica condensa la perfezione) il tutto in un arco di 12 anni. Sarebbe quasi ora di bilanci per il celebre commissario, passato dall'età matura alla soglia della vecchiaia, con tutti i cambiamenti d'umore che caratterizzano il periodo. Ma Camilleri è ancora molto impegnato a inseguire con la scrittura il «mostro» che ha creato per potersi soffermare sui bilanci.
«Ho consegnato a Elvira Sellerio il mio prossimo romanzo, «Il campo del vasaio». Uscirà a fine anno - anticipa l'autore - e anche l'ultimo episodio della serie di Montalbano, quello in cui il commissario esce definitivamente di scena, ma senza morire. In mezzo, forse, ne pubblico ancora uno o due, poi smetto!».
Sembra che lo scrittore empedoclino con gli anni stia diventando un po' come il suo ultimo Montalbano, prima comprensivo, adesso si rifiuta di capire.
«C'è un irrigidimento del mio personaggio - spiega - perché lui ha passato la vita dietro a dei cretini: perché i delinquenti sono quasi sempre dei cretini e non è mai una bella cosa, avere a che fare per tutta la vita, solo con dei cretini!».
[...]
 
 

Supereva Guide, 22.4.2006
La vampa d’agosto
Montalbano invecchia nell’ultimo romanzo di Andrea Camilleri

Vampate di caldo che tolgono il respiro, come improvvisi e fulminei pensieri di vecchiaia incombente, in un mese, agosto, che mantiene il furore dell’estate ma prelude al tramonto autunnale della natura, come i cinquanta anni, ancora forti e vigorosi, si affacciano a precipizio sulla terza età: questo lo scenario, paesaggistico ed umorale, di “La vampa d’agosto”, in cui Camilleri ritrova la mano felice delle prime opere e ci guida con brio e con rassegnato sdegno (si perdoni l’ossimoro) nel mondo corrotto della Sicilia e dell’Italia contemporanea.
Montalbano, in piena crisi di identità, indaga su un omicidio di sei anni prima; l’assassino si intuisce quasi subito e si odia ancor prima, ma non è su di lui che verte il romanzo.
In un mondo in cui la verità è osteggiata e vilipesa da corruzioni e concussioni, in cui la connivenza tra potere e delinquenza è evidente a tutti, Montalbano deve reprimere la sua irruenza, mentre più incontrollate diventano le sue emozioni.
Per la prima volta, il fine psicologo, che seppe penetrare nei meandri cerebrali di molti delinquenti, viene manipolato da una donna scaltra, forte della sua avvenenza e di una profonda crisi amorosa tra Salvo e Livia, eterna fidanzata, che, con una voci da banchisa polare, si mostra sempre più distante dal protagonista.
Camilleri non partecipa alla disfatta del suo eroe: sa creare scenette sapide e gustose, concedendo più spazio a Catarella, con la sua disarmante dislessia, e ad altri personaggi minori indimenticabili, che ravvivano ogni pagina con gesti e frasi argute e divertenti.
Solo quando parla dell’Italia, l’autore torna alla sua indignazione, abbandona il suo vernacolo per esprimere tutto il suo corruccio.
Benedetta Colella
 
 

La Repubblica (ed. di Palermo), 23.4.2006
Il convegno
L´italiano non è nemico dei dialetti
De Mauro. Le contaminazioni lessicali arricchiscono ma gli italiani ne hanno quasi paura
Ruffino. Camilleri con il suo linguaggio regionale ha rilanciato in tutta Italia il siciliano

«È una crescita culturale quella che sviluppa l´unità di lingua e l´unità di lingua è un obiettivo importante, un obiettivo democratico». Le parole sono del linguista Tullio De Mauro intervenuto ieri alla facoltà di lettere al convegno "Gli italiani e la lingua" organizzato dall´Università di Palermo e dalla Società Siciliana per la Storia Patria, che è anche il titolo di un libro, edito da Sellerio, che ha raccolto gli atti di un incontro su "Gli italiani e la lingua. A quarant´anni dalla pubblicazione della ‘Storia linguistica dell´Italia Unita’ di Tullio De Mauro".
[…]
«I dialetti godono di buona salute - prosegue De Mauro - anche se non rivestono più il ruolo che avevano cinquanta anni fa, quando solo i toscani e i romani sapevano parlare un buon italiano. Le grandi città sono state un buon punto di partenza per la diffusione della lingua unitaria ma anche delle parlate dialettali, soprattutto per quelle di grande prestigio, quali il veneziano, il romanesco, il napoletano e il palermitano. Esiste una ricchissima letteratura, sulla base di una tradizione già esistente, che ha contribuito a diffonderle, così come hanno fatto il teatro, ed in particolare per il dialetto napoletano, il cinema e la canzone. Guardi l´operazione effettuata da Camilleri. Lui scrive come parla. Adoperando il suo italiano regionale o dialetto smunicipalizzato, ha contribuito a far circolare il siciliano molto più di altri. Credo di poter dire di non aver mai abbandonato una linea di attenzione ai dialetti, alle loro innovazioni negli ultimi cinquant´anni, ai loro rivolgimenti, alle convergenze verso l´italiano».
[…]
Antonella Scandone
 
 

Megachip, 24.4.2006
Un Pizzino si aggira per l'Italia
Intervista con Gianpiero Caldarella

Lunga vita a Pizzino. Satira indipendente, senza pub né pad (pubblicità/padrini). Bernardo Provenzano è stato arrestato, ma un Pizzino si aggira ancora per la Sicilia. L'associazione culturale Scomunicazione è alla base di questo progetto editoriale e culturale che ha avuto e continua ad avere forte risonanza. Satira per deridere la mafia e per riflettere sul falso spacciato per verità. Una grafica innovativa per scardinare la tradizione del silenzio. Riflessioni acute e prese in giro del pensiero (politico) dominante.
Titoli ad effetto che nel loro sintetismo racchiudono grandi verità su cui le dotte disquisizioni servono solo a far calare nebbia. Una piccola rivoluzione culturale è in atto tra boicottaggi e rifiuti distributivi, ma una realtà che si può fregiare di avere tra i propri lettori anche Andrea Camilleri. Gianpiero Caldarella è una delle teste pensanti e fondanti del progetto Pizzino.
[...]
Sergio Nazzaro
 
 

Il Sole 24 Ore, 26.4.2006
Settegiorni TV
Montalbano in replica trionfa nell'audience

Luca Zingaretti nei panni del “Commissario Montalbano” porta Rai Uno in “Gita a Tindari” facendogli vincere così la serata con 5,9 milioni di affezionati al personaggio dei libri di Andrea Camilleri disposti a seguire le sue avventure anche in replica.
[...]
Riccardo Siliato
 
 

Teatro Strehler, 26.4.2006
In viaggio con l’autore - La Sicilia del Gattopardo e i luoghi di Montalbano

Dal Gattopardo a Montalbano, da Tomasi di Lampedusa a Camilleri: la Sicilia vista con gli occhi di due grandi scrittori è protagonista della visita virtuale in programma al Teatro Strehler (largo Greppi - M2 Lanza) mercoledì 26 aprile 2006 alle ore 16.30 per il ciclo “In viaggio con l’autore” del Touring Club.
Leggono Christian Poggioni e Nicole Vignola.
La Sicilia è un libro di storia e di arte, un luogo unico per vivere tutti i colori, le atmosfere e i profumi di una terra ricca di contrasti, con un paesaggio che muta dalle coste all’interno, con un patrimonio architettonico e culturale che racchiude l’essenza del Mediterraneo arricchito dalle contaminazioni arabe e normanne.
La Sicilia del Gattopardo è inevitabilmente la Sicilia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e i luoghi descritti nel libro sono quelli intimamente legati alla sua vita che parte da Palermo, dove trascorre la sua infanzia, e prosegue attraverso campagne assolate e senza tempo.
Camilleri racconta una Sicilia inventata, ma non per questo meno reale: «Un critico, recensendo il mio Cane di terracotta, ha scritto che Vigàta, il paese geograficamente inesistente nel quale ambiento tutti i miei romanzi, è ‘il centro più inventato della Sicilia più tipica’». Non esiste dunque Vigàta, la città di Montalbano, anche se è facile immaginare che sia Porto Empedocle (tanto che il nome è stato adottato dal Comune). E Montelusa è Ragusa, Fiacca in realtà Sciacca...
 
 

Centre Culturel Français de Palerme et Sicile, 27.4.2006
Passaggi e identità - Montalbano je suis: la fortuna di Camilleri in Francia

Giovedì 27 aprile 2006 alle ore 15:00, presso l'Istituto Artigianelli di Cefalù (PA) (via Roma 90), Stefano Leoncini, dell'Università di Nizza, parlerà sul tema Montalbano je suis: la fortuna di Camilleri in Francia. L'appuntamento è nell'ambito di Passaggi e identità, incontri di studio organizzati dal Centre Culturel Français de Palerme et Sicile, in collaborazione con Palumbo Editore, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo, Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario.
 
 

PuntoCom, 27.4.2006
Zanzare & tigri
Testa a testa

Due calvi si sfidavano, in generi diversi, martedì sera. Alla faccia di chi perde tempo in trapianti. Su La7, dopo una serie di esilaranti spot di annuncio, in una data che più simbolica non si può, finalmente il comico Maurizio Crozza, liberato da gioghi censori, ha potuto togliersi alcune pietre dalle scarpe.
[...]
Su Rai Uno, la replica di "Una gita a Tindari", inchiesta del commissario Montalbano. Quanto di meglio abbia prodotto la fiction Rai negli ultimi vent'anni. Anche perché le puntate tratte dai romanzi di Camilleri hanno fatto per la lettura più di mille consigli del pur valoroso Augias. E il mio amico Zingaretti (altro calvo di successo) vuole lasciare il ruolo. Ho avuto modo di parlargli, ho cercato di dissuaderlo, temo non ci sia possibilità.
m.sabatini@libero.it
[...]
 
 

La Stampa, 28.4.2006
Eroi senza medaglia
Andrea Camilleri
 
 

Internazionale, 28.4.2006
Italieni
Andrea Camilleri racconta il boss
Il grande scrittore siciliano spiega agli americani chi è Bernardo Provenzano
Andrea Camilleri
Questo articolo è uscito sul New York Times il 21 aprile 2006. Titolo: Quando un padrino diventa sacrificabile
 
 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 30.4.2006
«La vampa d'agosto», l'ultima avventura (anche amorosa) del celebre commissario
Montalbano preso d'afosa passione

Spesso i romanzi di Camilleri su Montalbano cominciano con il commissario che si risveglia inquieto al suono del telefono per il richiamo all'azione. Succede anche in La vampa d'agosto, dove il ritorno alla veglia è complicato dal caldo e dalle considerazioni sul fatto che il trillo dell'apparecchio telefonico si trova ormai stampato nell'inconscio degli individui civilizzati. Ma di civiltà non se ne intravede granché addentrandosi nei meandri di questa nuova indagine montalbanesca, torridi e intorbidati da un'afa che ha la stessa temperatura delle passioni selvagge. Livia, la fidanzata istituzionale del commissario, genovese, porta in Sicilia Laura e Guido, una coppia di amici, con il loro umbratile figlioletto Bruno e il gatto Ruggero. Montalbano viene incaricato di affittare un villino per ospitarli. Qui il bimbo di tre anni scompare. Seguendo le tracce del gatto, il commissario ritrova Bruno in un appartamento interrato del villino. È il primo piano, coperto per mascherare l'abusivismo e nell'attesa del solito condono. Oltre al piccolo Bruno, però, là sotto c'è un baule con dentro un cadavere femminile avvolto nella plastica. La vittima viene identificata in Rina, sedicenne scomparsa sei anni prima. Livia non gradisce il modo surrettizio con il quale Montalbano prende l'iniziativa. Quanto ai suoi amici, non sopportano di restare nella stessa abitazione di un delitto efferato e di una scomparsa recente, quella del figlioletto, benché quest'ultimo sia sano, salvo e più pestifero di prima. I villeggianti vanno via, dunque. Livia con l'ennesimo broncio verso Montalbano. Al quale resta da smascherare il colpevole. La morta ha una sorella gemella, Adriana, che le è sopravvissuta fino allo splendore attuale dei suoi ventidue anni. Sempre troppo pochi per l'ormai cinquantacinquenne Montalbano, che potrebbe considerarla una figlia. Non è così, purtroppo. E la vampa d'agosto lo prende al cuore, appannandogli la lucidità necessaria all'inchiesta. La quale si appunta subito su tre sospetti: il geometra Spitalieri, titolare dell'impresa costruttrice, un muratore e il figliastro demente del primo proprietario del villino insanguinato. Il ragazzo, Ralf, aveva inclinazioni pedofile. Ormai, tuttavia, è morto, e comunque Montalbano scova elementi validi per assodarne l'innocenza. Spitalieri, invece, è in odore del classico trinomio affari-mafia-politica. Eppure, l'uccisione di Rina non sembra contemplare questi aspetti del codice penale. La vampa d'agosto si riverbera anche sul delitto del passato prossimo, sebbene sia accertato che avvenne in una notte di ottobre. Con la nuova variazione su Montalbano, Andrea Camilleri si conferma un virtuoso dei preziosismi polizieschi, come non se n'erano più letti dopo l'accoppiata Borges-Bioy Casares per i problemi di Don Isidro Parodi. Le navigazioni di costa con cui l'autore segue le rotte mentali del suo commissario sono tratti di puro godimento intellettuale. Stavolta Camilleri evoca financo l'Alighieri per deprecare l'abiezione perpetua dell'Italia sottomessa al potere, e quando Montalbano vede per la prima volta Adriana, la gemella della vittima, va con la mente a una lirica di Pessoa. Abbastanza per stringere con più fervore l'inimitabile formato Sellerio del romanzo e sperare che sia rimandato all'infinito il momento in cui da una cassaforte verrà estratta, postuma, l'ultima impresa del commissario.
Enzo Verrengia
 
 

La Stampa, 30.4.2006
Ricco programma. Il sindaco: saremo la vetrina di tutto il territorio
Musica e noir, Orta al rilancio

Orta San Giulio (NO). Con la partecipazione alla manifestazione «Cortili e giardini aperti» in programma oggi nel Cusio, si apre il calendario di eventi di OrtaCultura. Le iniziativa in cartellone sino a Natale sono state illustrate dal sindaco Stefano Cusinato e dalla responsabile del programma Mirella Motta. «Abbiamo puntato su una serie di manifestazioni che abbracciano non solo un arco di tempo ampio, si concludono a dicembre, ma anche una gamma vasta di interessi - dice il sindaco Cusinato». [...] Il programma è molto ampio: [...] ad ottobre il premio «Piemonte Noir» dedicato agli scrittori di gialli. Saranno presenti Andrea Camilleri e Dario Argento.
v. a.
[Camilleri non potrà essere presente, NdCFC]
 
 

Corriere della sera, 30.4.2006
La vampa di Camilleri accende la top ten. E Melissa scrive a Ruini

Montalbano è tornato. Ed è subito primo. La vampa d’agosto , nuova avventura del commissario di Vigata (sempre più malinconico e nostalgico) firmata da Andrea Camilleri, appena uscita in libreria è balzata in vetta alla top ten col massimo del punteggio, pari a indice 100.
[…]
(g.z.)
 
 

 


 
Last modified Saturday, July, 16, 2011