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Riccardino



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 15,00
Pagine 292
Data di pubblicazione 16 luglio 2020
Editore Sellerio
Collana La memoria n.1170
e-book € 9,99 (formato epub, protezione acs4)




Edizione speciale Comprende, a seguire, anche la stesura originaria del 2005
Con una nota di Salvatore Silvano Nigro
Prezzo € 20,00
Pagine 590
Data di pubblicazione 16 luglio 2020
Editore Sellerio
Collana Fuori collana n.29
e-book € 13,99 (formato epub, protezione acs4)


Il primo capitolo del romanzo, pubblicato in anteprima su Stilos il 21 giugno 2005


«Il telefono sonò che era appena appena arrinisciuto a pigliari sonno, o almeno accussì gli parse". "Riccardino sono", disse una voce "squillante e festevole", per dargli appuntamento al bar Aurora. Ma Montalbano non conosceva nessuno con quel nome... Un'ora dopo, la telefonata di Catarella: avevano sparato a un uomo, Fazio lo stava cercando. Inutilmente il commissario cercò di affidare l'indagine a Mimì Augello, perché "gli anni principiavano a pesargli" aveva perso "il piacere indescrivibile della caccia solitaria", insomma "da qualichi tempo gli fagliava la gana", "si era stuffato di aviri a chiffari coi cretini". Si precipitò sul posto, e scoprì che il morto era proprio Riccardino.»
Questo, in sintesi, è l'incipit dell'ultimo romanzo con protagonista il commissario Montalbano, che Andrea Camilleri ha voluto uscisse postumo.
Di questa opera viene pubblicata anche un'edizione speciale in cui vengono presentate entrambe le versioni del romanzo, la prima datata 2005 e quella definitiva. Il lettore potrà così seguire i mutamenti di quella lingua individuale, unica, inventata da Andrea Camilleri e la sua evoluzione nel corso del tempo.
Una sperimentazione alla quale lo scrittore teneva moltissimo e che viene resa così evidente dal confronto tra le due versioni.

«Ho sempre distrutto tutte le tracce che portavano ai romanzi compiuti, invece mi pare che possa giovare far vedere materialmente al lettore l’evoluzione della mia scrittura».
Andrea Camilleri

«La fine di Montalbano l'ho già scritta più di 13 anni fa. Recentemente l'ho rimaneggiata dal punto di vista stilistico, ma non del contenuto. Finirà Montalbano, quando finisco io, uscirà l'ultimo libro. Quello che posso dire è che non si tratta tanto di un romanzo, quanto di un metaromanzo dove il Commissario dialoga con me e anche con l'altro Montalbano, quello televisivo.»
Questa una delle ultime dichiarazioni di Camilleri sul suo personaggio più celebre e sul finale della serie che lo vede protagonista.

Anno 2005: Camilleri ha appena pubblicato La luna di carta. Sta lavorando alla successiva avventura della serie, ma in estate consegna a Elvira Sellerio un altro romanzo con protagonista il commissario Montalbano. Si intitola Riccardino. L’accordo è che verrà pubblicato poi, un domani indefinito, si sa solo che sarà l’ultimo romanzo della saga Montalbano.
Anno 2016. Sono passati 11 anni durante i quali sono usciti 15 libri di Montalbano. Andrea Camilleri sente l’urgenza di riprendere quel romanzo, che è venuta l’ora di «sistemarlo». Nulla cambia nella trama ma solo nella lingua che nel frattempo si è evoluta. Né muta il titolo che allora considerava provvisorio ma al quale ormai si è affezionato e che nel 2016 decide essere definitivo. Un titolo così diverso da quelli essenziali ed evocativi e pieni di significato ai quali siamo abituati, in cui risuonano echi letterari: La forma dell’acqua, Il giro di boa, Il ladro di merendine, L’altro capo del filo. Ma Riccardino segna quasi una cesura, una fine, ed è giusto marcare la differenza sin dal titolo.
Ma come è nata l’idea, e soprattutto perché?
Racconta Andrea Camilleri in una vecchia intervista che a un certo punto si era posto il problema della «serialità» dei suoi romanzi, dilemma comune a molti scrittori di noir, che aveva risolto decidendo di fare invecchiare il suo commissario insieme al calendario, con tutti i mutamenti che ciò avrebbe comportato, del personaggio e dei tempi che man mano avrebbe vissuto. Ma poi, aggiunge, «mi sono pure posto un problema scaramantico». I suoi due amici scrittori di gialli, Izzo e Manuel Vázquez Montálban, che volevano liberarsi dei loro personaggi, alla fine erano morti prima di loro. Allora «mi sono fatto venire un’altra idea trovando in un certo senso la soluzione».
Ecco: la soluzione la scopriranno i suoi tantissimi affezionati lettori di questo Riccardino che la Sellerio pubblica ricordando Andrea Camilleri con gratitudine grandissima.


Il commissario deve sgrovigliare un nuovo caso, il suo ultimo. C’è stato un omicidio. La vittima è il giovane direttore della filiale vigatese della Banca Regionale. Testimoni dell’esecuzione sono tre amici intimi del morto. I quattro hanno condiviso tutto, persino il non condivisibile della vita familiare. Sono stati uno per tutti, tutti per uno: come quattro moschettieri. Il caso sembra di ovvia lettura. Ma contro ogni evidenza, e contro tutti, lui è arrivato alla conclusione che nulla è, in quell’omicidio, ciò che appare. Aguzza lo sguardo. Segue itinerari mentali irti. Analizza e connette. Allarga le indagini. Incappa in personaggi pittoreschi (un uomo-lombrico e una donna cannone capace di avvolgerlo nelle sue voluminose rotondità). Inciampa in un secondo delitto. La svolta è assicurata, eclatante e insospettabile. Si è ritrovato in una pensosa solitudine, Montalbano. Livia era lontana, lontanissima. Augello era assente, per motivi di famiglia. Il commissario ha avuto però la collaborazione intensa dell’anagrafologo Fazio. E ha usato spesso come spalla teatrale il fracassoso Catarella, con le sue sovreccitazioni reverenziali. Molte cose sgomentano i pensieri di Montalbano, in questo romanzo. Gli danno insofferenza, malessere, qualche tormentosa ossessione. Lo stancano. Lo indispongono. Eppure il suo stile investigativo è sempre lo stesso, sorvegliatissimo, sfrontato: fra «sceneggiate», «sfunnapedi», «sconcichi»: giostre verbali e scatti sagaci, a sorpresa. Montalbano, come Personaggio del romanzo, ha dovuto sostenere un confronto impari con l’Attore che lo impersona in televisione (il «gemello» può contare su un pubblico assai più numeroso di quello del Personaggio letterario; e poi sa sempre quello che avviene dopo nella vicenda, mentre lui, Personaggio che consiste nella storia, deve di volta in volta improvvisare, azzardare e scommettersi). A non parlare dell’Autore ottantenne che sta scrivendo «la storia» che il Personaggio «sta vivendo»; e vorrebbe scriverla a modo suo: come romanzo. Montalbano vuole invece vivere la sua vita, in quanto vita. Lo scontro ha accenti pirandelliani.
Questa ultima indagine di Montalbano, Camilleri l’ha scritta tra il 2004 e il 2005. L’ha linguisticamente rassettata nel 2016. Il vigatese è una lingua d’invenzione, viva e fantastica che, con il sostegno dei lettori, si è evoluta negli anni. La sua trama fonica è sempre più diventata un sistema coerente e coeso, con un dialetto che arriva a infiltrare fantasticamente l’italiano. Camilleri ha voluto quindi aggiornare la veste linguistica di Riccardino agli sviluppi che la sua lingua aveva avuto in questi undici anni.

Salvatore Silvano Nigro



Antonio Manzini legge il primo capitolo del romanzo in anteprima
(Salone Internazionale del Libro EXTRA, 16.5.2020)



Roberto Herlitzka legge in anteprima alcune pagine del romanzo (15.7.2020)


Il tilefono sonò che era appena appena arrinisciuto a pigliari sonno, o almeno accussì gli parsi, doppo ore e ore passate ad arramazzarisi ammatula dintra al letto. Le aviva spirimintate tutte, dalla conta delle pecore alla conta senza pecore, dal tintari d'arricordarisi come faciva il primo canto dell'Iliade a quello che Cicerone aviva scrivuto al comincio delle Catilinari. Nenti, non c'era stato verso. Doppo il Quousque tandem, Catilina, nebbia fitta. Era na botta d'insonnia senza rimeddio, picchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o da un assuglio di mali pinseri.
Addrumò la luci, taliò il ralogio: non erano ancora le cinco del matino. Di certo l'acchiamavano dal commissariato, doviva essiri capitata qualichicosa di grosso. Si susì senza nisciuna prescia per annate ad arrispunniri.
Aviva 'na presa tilefonica macari allato al commodino, ma da tempo non l'adopirava pirchì si era fatto pirsuaso che quella piccola caminata da 'na càmmara all'autra, in caso di chiamata notturna, gli dava la possibilità di libbirarisi dalle filinie del sonno che si ostinavano a ristatigli 'mpiccicate nel ciriveddro.
"Pronto?".
Gli era nisciuta 'na voci non sulo arragatata, ma che priva macari 'mpastata con la coddra.
"Riccardino sono!" fici 'na voci che, al contrario della sò, era squillanti e fistevoli.
La cosa l'irritò. Come minchia si fa ad essiri squillanti e fistevoli alle cinco del matino? E inoltre c'era un dettaglio non trascurabile: non accanosciva a nisciun Riccardino. Raprì la vucca per mannarlo a pigliarisilla in quel posto, ma Riccardino non gliene detti tempo.
"Ma come? Te lo scordasti l'appuntamento? Siamo già tutti ccà, davanti al bar Aurora, ci ammanchi sulo tu! È tanticchia nuvolo, ma cchiù tardo sarà 'na jornata bellissima!".
"Scusatimi, scusatimi... tra deci minuti, un quarto d'ura massimo, arrivo".
E riattaccò, tornanno a corcarisi.
D'accordo, era 'na carognata, avrebbi dovuto diri la virità: avivano fatto il nummaro sbagliato, 'nveci accussì quelli davanti al bar Aurora ci avrebbiro pirduto 'na mezza matinata aspittanno a vacante.
D'autra parti, a voliri essiri giusti, non è consintito a nisciuno di sbagliari nummaro alle cinco del matino e po' passarisilla liscia.
Il sonno era oramà perso senza rimeddio. Meno mali che Riccardino gli aviva ditto che la jornata sarebbi stata bona. Si sintì racconsolato.

(L'incipit riportato sopra è stato pubblicato sul Fatto Quotidiano del 16.7.2020)


Dalle finestre, dai balcuna, dai terrazzini, vecchi e picciotti, fimmine e mascoli, picciliddri, cani e gatti s'affacciavano a taliare, autri si sporgivano a rischio di annare a catafottirisi supra alle basole per vidiri meglio quello che stava capitanno. Ed era tutto un chiamari, arridiri, chiangiri, prigari, fari voci, un gran virivirì che pativa priciso 'ntifico alla festa di San Calò. E propio come nella festa c'era chi scattava fotografie e chi ripigliava la scena con quei tilefonini nichi nichi che oggi sanno manoprare macari i neonati.
Il commissario accostò al marciapedi, scinnì.
E subito s'intrecciò sulla sua testa un animato dialogo aereo.
«Tale! Talè! 'U commissariu arrivò!».
«Montalbano è!».
«Cu? Montalbanu? Chiddro di la tilevisioni?».
«No, chiddro veru».
A Montalbano gli vinni 'na violenta botta di nirbùso. Chiossà di 'na decina d'anni avanti aviva avuto la bella isata d'ingegno di contare a 'n autore locali 'na storia che gli era capitata e quello di subito ci aviva arraccamato supra un romanzo. Siccome che in Italia a leggiti suono quattro gatti, la cosa non aviva avuto conseguenzia. E accussì gli aviva contato, non sapenno diri di no alla 'nsistenza di quella gran camurria d'orno, 'na secunna, 'na terza e 'na quarta 'ndagini che l'autro aviva scrivuto a modo sò, usanno 'na lingua 'nvintata e travaglianno di fantasia. E 'sti romanzi, va' a sapiri pirchì, erano addivintati i cchiù vinnuti in Italia ed erano stati tradotti macari all'estiro. A'sto punto le storie erano arrivate 'n tilevisioni ed avivano ottenuto un successo straordinario. E da quel momento la musica era cangiata. Ora tutti l'araccanoscivano e sapivano chi era ma sulo in quanto pirsonaggio di tilevisioni. 'No scassamento di cabasisi 'nsupportabili, che pariva nisciuto paro paro da 'na commedia di 'nautro autore locali, un tali Pirandello.
E meno mali che l'attori che faciva lui, bravissimo, non gl'assimigliava per nenti e tra l'autro era cchiù picciotto di 'na decina d'anni (il cornuto!), masannò sarebbi stato consumato, non avrebbi cchiù potuto caminare strata strata senza essiri fermato a ogni passo da dimanne d'autografi.

(Il brano riportato sopra è stato pubblicato su La Stampa del 16.7.2020)


Ancora 'na vota fu Liotta a farisi carrico della risposta.
«Dottore, eravamo amici fraterni di Riccardino, ma non lo siamo di Else, sua moglie».
«Non andate d'accordo con lei?».
«Glielo dico apertamente: ha fatto le umane e divine cose per separare Riccardino da noi, per rompere la nostra bella amicizia. Maldicenze, insinuazioni, falsità... Ma per fortuna non ci è riuscita».
«La ragione?».
«Eh, la ragione! Non l'abbiamo mai capita. Anche le nostre mogli hanno cercato più volte di stringere un rapporto con Else, ma lei è rimasta sempre ferma nel suo atteggiamento. Non c'è stato verso. Lo sa che Riccardino, poveretto, per potersi vedere con noi certe volte era costretto a inventare delle scuse come se dovesse incontrarsi con un'amante?».
«Forse pativa di gelosia» 'ntirvinni Gaspare Bonanno.
«Capace che non sopportava la nostra amicizia, si sentiva esclusa».
«Hanno figli?».
«Else e Riccardino? No» dissi ancora Bonanno.
«Dove dovevate andare stamattina?».
La parola passò novamenti a Mario Liotta.
«Dato che oggi è festa...».
Montalbano strammò.
«Festa? Che festa è?».
«Ognissanti, dottore».
Ma pirchì chisto fituso misteri non gli pirmittiva di passari in paci manco 'na festa? Fici 'nzinga a Liotta di continuari.
«Avevamo progettato di fare una lunga passeggiata fino a Monte Lirato. Un sei ore tra andata e ritorno. Avremmo comprato qualche panino strada facendo. L'appuntamento era per le cinque meno un quarto davanti al bar Aurora. In genere siamo puntualissimi».
«Perché proprio lì?».
«Perché è praticamente equidistante dalle nostre rispettive abitazioni. E dato che non prendiamo l'auto, per arrivare all'appuntamento...».
«Quindi non era la prima volta che vi vedevate davanti a quel bar».
«Commissario, quello era diventato il nostro luogo di raduno abituale, la nostra base di partenza».
«Chi sapeva di questa vostra gita?».
«Ma... le nostre mogli, naturalmente».
«Solo loro?».
«Lo sapevano tutti, dottore. Ieri, per esempio, l'abbiamo detto ai nostri amici della Polisportiva. Perché avremmo dovuto tenere segreta una normalissima passeggiata?».
«Mi dica che cosa è successo questa mattina».
«Io e Gaspare ci siamo incontrati in via Bixio e appena siamo sbucati in via Rosolino Pilo abbiamo visto Riccardino che ci aveva preceduti. Ci siamo messi a chiacchierare».
«Ricorda di cosa?».
«Mah... ci preoccupava il tempo. Secondo me avremmo avuto pioggia, ma Riccardino era fiducioso, sosteneva che sarebbe diventata una bellissima giornata. A un certo momento, visto che Alfonso ritardava, Riccardino gli ha telefonato e Alfonso gli ha risposto che sarebbe arrivato entro un quarto d'ora al massimo».
Alfonso Licausi fici un piccolo sàvuto sulla seggia, isò di scatto la testa, taliò 'mparpagliato a Liotta. Ma non dissi nenti.
La reazioni di Licausi fici sonari un campanello a Montalbano: pirchì non aviva ditto che Riccardino non l'aviva mai acchiamato? Sarebbi stata la reazioni cchiù naturali e 'nveci no. E chisto fici pirsuaso a Montalbano che, per il momento, la meglio cosa era non arrivilari com'era annata veramenti la facenna.

(Il brano riportato sopra è stato pubblicato sul Giornale di Sicilia del 16.7.2020)


Mentri che stava sconzanno, squillò il tilefono. Siccome la mangiata l’aviva bono disposto, annò ad arrispunniri.
Era l’Autore che lo chiamava da Roma. Si pentì subito d’aviri isato il ricevitori.
«Salvo, ce l’hai un po’ di tempo?».
«Un poco quanto?».
«Massimo deci minuti».
«Vabbeni. Dimmi».
«Così non posso più andare avanti, dovresti cercare di darmi una mano d’aiuto».
«In che senso?».
«Come me l’hai sempre data. La storia di Riccardino, della quale ti stai occupando...».
«Chi te ne ha parlato?» lo ’ntirrompì Montalbano arrisintuto.
L’Autore tirò un sospiro funnuto.
«Madonna, Salvo, siamo ancora a questo punto? Non l’hai capito o lo fai apposta?».
«Voglio sapere chi ti ha informato».
«Salvo, la facenna sta completamenti arriversa. Sono io che informo te, e non capisco perché ti ostini a credere che sei tu a informare me. Questa storia di Riccardino io la sto scrivendo mentre tu la stai vivendo, tutto qua».
«Quindi io sarei il pupo e tu il puparo?».
«Ma che minchiate dici? Ora mi cadi nei luoghi comuni? Te lo sei scordato quante volte tu hai imposto a una mia storia, di tua iniziativa, autonomamente, un corso completamente diverso da quello che io avevo in testa di scrivere? Per esempio, non sei stato tu a scegliere il finale de La pazienza del ragno? Io avevo pensato di terminarlo in un certo modo, ma tu mi hai costretto a una soluzione diversa. E so anche perché l’hai voluto fare».
«Ah, sì?».
«Sì. In quell’ultima parte mi hai obbligato a inserire nel racconto certi tuoi monologhi interiori impossibili da sceneggiare. E tu lo sapevi benissimo. In altre parole, hai voluto fottere il personaggio televisivo, negandogli la possibilità di arricchirsi di certe sfumature. Non è così?».
«Mi hai chiamato per dirmi che hai fatto questa grande scoperta? Che io voglio differenziarmi dall’altro?».
«Non si tratta solo di questo, Salvo. Io in un certo senso ti capisco, tant’è vero che all’inizio di questa storia ho fedelmente riportato la tua insofferenza, il tuo disagio verso il Montalbano televisivo, mentre potevo benissimo non parlarne. Però t’aio ad avvirtiri che ti stai mittenno supra a ’na mala strata».
«Spiegati meglio».
«Paragonarti a lui o, peggio, sfidarlo non è cosa».
«Perché?».
«Perché tu sei tu e lui è lui».
«È facili per tia che campi supra a tutti e dù! Certo che ti conveni tinirici siparati e diversi!».
«Salvo, sto solo cercando di dirti che questo confronto ti porta a non avere le idee chiare. E di conseguenza danneggi anche il mio racconto. Le tue indagini non sono più quelle di una volta. Sei troppo spesso incerto, vago, contraddittorio e perfino divagante. Tiri di continuo in ballo il problema della vecchiaia imminente, mentre io so benissimo che si tratta di un alibi per coprire le tue troppe indecisioni. Ti rendi conto che in questa storia di Riccardino tu non vuoi incanalare l’indagine su un percorso preciso e delimitato? Io ti offro una pista e tu ti metti a babbiare, di conseguenza mi vengo a trovare nei guai. Come scrittore, dico. Così non si può andare avanti, bisogna che la tua indagine...».
«I deci minuti scadero» dissi Montalbano. E riattaccò.

(Il brano riportato sopra è stato pubblicato sul Corriere dela Sera del 16.7.2020)


«Montalbà, tu non me la conti giusta» esordì il profissori.
Aviva la voci cchiù arragatata del solito. Quante sicarette s'era fumato, cento e passa?
«Perché?».
«Montalbà, tu sei stato sincero poco fa quanno hai detto a Fazio che non è a lui che vuoi fari nesciri 'u senso. Allura però t'addimanno: lo vuoi fari nesciri a mia? O meglio, stai facenno 'n modo che l'autri, i miei lettori, non i recensori che tanto i recensori manco mi leggino, pensino che non ci sto cchiù con la testa? Che mi sono completamente rincoglionito? Il che è pericolosamente verosimile, dato che tra qualche mese faccio ottanta anni».
«Congratulazioni e auguri. Senti, sono in ufficio e ho da fare. Non ho capito 'n'amata minchia del pirchì tu ti sei amminchiato che io voglio fari accridiri che tu non raggiuni cchiù per le vicchiaglie. Mi fai il piacere d'essere più chiaro?».
«Sarò chiarissimo. Mi stai facenno scriviri sulla storia di Riccardino un romanzo di merda. 'Na minchiata che non reggi».
«Dici davero?».
«Davero. Tu stai mettendo in gioco apposta una grandissima quantità di elementi contraddittori tenendoli tutti sullo stesso piano in modo che il lettore ci si perda dentro. Questo giallo è un guazzabuglio che pare scritto da un principiante».
«Mi stai forsi accusanno di farlo d'approposito? Ma se ti giuro che le cosi stanno esattamenti accussì, che ci pozzo fari?».
«No, le cose non stanno esattamente così. Sei tu che stai facendo in modo che le cose stiano così».
«Ma a che scopo io incasinerei una mia stessa indagine?».
«Quanto sei 'nnuccentuzzo, Montalbà! Tu accomenzasti già tempo fa con la storia delle dù fìmmine e del morto ammazzato con l'affare di fora. Lì hai fatto alcuni sbagli. Io non me ne sono accorto, ma qualche lettore sì. E me l'ha segnalato. Allora ho capito benissimo la tua intenzione. A tia non tinni futti nenti né della logica dell'indagini né delle regole da seguiri. Parlamonni chiaro: tu mi vuoi solo sputtanare, Montalbà. Vuoi fari tirreno abbrusciato torno torno a mia. Vuoi che i miei romanzi su di te diventino illeggibili».
«Se la pensi così, ti posso fare una proposta?».
«Sentiamola».
«Perché non mi lasci perdere e ti metti a scrivere uno di quei romanzi storico civili di cui ti glorii tanto? Prima dici a porci e a cani che quelle sono le sole tue opere che contano e dopo, com'è come non è, torni di nuovo a calarti le mutande con me? Sostieni che io sono ormai un peso. E allora perché questo peso torni a caricartelo sulle spalle?».
«Montalbà, in primisi non è che mi veni accussì facili di scriviri un romanzo storico. E in secunnisi in questo momento non nni aio gana».
«Ma non ti passa manco per l'anticàmmara del ciriveddro che io 'sti errori non li sto facenno apposta per arruvinari la tò reputazioni? Che mi sento veramente stanco e confuso?».

(Il brano riportato sopra è stato pubblicato su La Repubblica del 16.7.2020)



Last modified Sunday, August, 09, 2020